Modulo di Pedagogia Interculturale Master EUITM

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Modulo di Pedagogia Interculturale – Master EUITM
Internazionalizzazione ed intercultura: linee per ripensare la pedagogia
Modulo di Pedagogia Interculturale Master EUITM
Internazionalizzazione ed Intercultura : per un
ripensamento della pedagogia
Juliana E. Raffaghelli
Juliana E. Raffaghelli
Università Ca’ Foscari di Venezia
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Modulo di Pedagogia Interculturale – Master EUITM
Internazionalizzazione ed intercultura: linee per ripensare la pedagogia
Scheda Sintetica del Modulo
1. Nome e Cognome del Docente
Juliana Raffaghelli
2. Istituzione di Riferimento (Università/Facoltà//Dipartimento)
Università Ca’ Foscari di Venezia
3. Nome del Modulo Proposto (in concordanza con il Piano degli Studi EUITM)
Internazionalizzazione ed Intercultura : per un ripensamento della pedagogia
4. Sintesi/Abstract della materia-argomenti trattati nel modulo
In questo modulo si tenta di fornire gli strumenti per capire quale sia lo status quaestionis, per
quanto riguarda ad una pedagogia interculturale, partendo dallo scenario di cambiamento globale e
dalle principali discussioni sulla necessità di cambiamento educativo. Per puntare dopo a capire
quale sia l’importanza di integrare la pedagogia interculturale come area non specialistica delle
scienze dell’educazione, bensì, come strategia principale ormai necessaria in qualsiasi riflessione o
pratica pedagogica e formativa. Vengono introdotte prospettive ed esperienze europee ed italiane,
con lo scopo di illustrare tale riflessione.
5. Obiettivo Generale del Modulo
Conoscere lo stato dell’arte nella tematica, cogliendo gli aspetti essenziali di un dibattito che avranno forte impatto nella
pratica, le concezioni della propria disciplina e l’identità professionale dell’insegnante/formatore.
6. Obiettivi Specifici del Modulo
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Introdurre gli scenari di cambiamento introdotti dalla globalizzazione: il mondo diviso economicamente fra
Norte e Sud, Europa come realtà regionale cui identità è un processo in costruzione, le persone “in
mobilità”(flussi migratori a corto e lungo termine)
Capire la necessità di nuove risposte al cambiamento, in particolare, nella sfera educativa
Introdurre la Pedagogia Interculturale come asse portante delle logiche Lifelong e Lifewide Learning, per un
cambiamento dei paradigmi educativi
Riconoscere l’importanza data al ruolo dei formatori/insegnanti nella società globale, come professionisti
esperti per il cambiamento dei sistemi educativi
Evidenziare la problematica della distanza fra politiche e strategie di programmazione e prassi quotidiana
dell’insegnante, ruolo sociale che conosce oggi una forte crisi d’identità professionale
Collegare la necessità di una profonda riflessione sull’insegnamento l’introduzione dell’interculturalità in
aula, con la necessità di un cambiamento nella rappresentazione di professionalità docente nel contesto
interculturale, di concezione della propria disciplina e di pratica pedagogica.
Fornire strumenti per pensare il ruolo dell’insegnante/formatore come ricercatore-etnografo attraverso una
ricostruzione narrativa dell’incontro interculturale nel contesto di apprendimento/insegnamento
Juliana E. Raffaghelli
Università Ca’ Foscari di Venezia
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Internazionalizzazione ed intercultura: linee per ripensare la pedagogia
7. Schema/ Elenco dei Principali Contenuti
1. Un mondo in cambiamento: processi di internazionalizzazione
Lo scenario globale
Dalla globalizzazione all’era planetaria
Conoscere il destino planetario: il ruolo dell’educazione nella promozione dell’apprendimento
interculturale
I processi di acculturazione alla società globale: l’apprendimento interculturale aldilà
dell’educazione formale
Se…Allora…
2. Pedagogia Interculturale, discipline e linee di ricerca
Lo stato dell'arte nella tematica
La nascita di una riflessione interculturale nell'ambito educativo
Verso una Pedagogia Interculturale come asse portante del cambiamento educativo
Il farsi della pedagogia interculturale: uno sguardo ai progetti europei ed italiani
Europa: il contributo del Consiglio d’Europa
Italia
3. La professionalità del formatore nel contesto interculturale
Sul ruolo dei formatori nella società globale: formatori di qualità per la qualità educativa
Riflessività del formatore e ricostruzione dell’identità professionale nel contesto globale
Raccontare il viaggio, raccontarsi: valorizzazione dell'esperienza interculturale
La scelta delle immagini e le parole: l'interpretazione demistificante di Ricoeur alla
base.
Conclusioni
Bibliografia e Sitografia
.
8. Proposta di Attività Didattiche
Metodologia didattica online

Forum di discussione b) Esercizio per l’esplorazione dei propri assetti culturali –
Riflessione sulla valenza di ricostruire il discorso in ogni situazione di dialogo,
le concezioni e definizioni sulle prassi del formatore od insegnanti e creare così
un ambiente formativo equo:
Per lanciare la discussione: Gli Inglesi, di tutte le persone nell’universo, non hanno un
carattere nazionalista ; a meno che questa particolarità possa passare per una loro caratteristica
nazionale –DAVID HUME, The Ohilosophical Works, Essay XXI, 1742; I tedeschi vivono in
Germania, i Romani a Roma, i Turchi in Turchia…Ma gli inglesi vivono a casa! –detto popolare, da
J.H.GORING, 1909
Forum di discussione a) L’incidente critico: raccontare un incidente critico sul
contatto interculturale – Con tale attività si procederà ad un feed-back mirato a
raggruppare gli ambiti di esperienza professionale e creare una “cassetta degli
attrezzi” a seconda degli stessi.
9. Proposta di Attività Valutativa
- Qualità e quantità di interventi sul forum: pertinenza, innovatività, utilizzo di concetti
essenziali del modulo, trasferimento di concetti in una riflessione sulla propria pratica
professionale.
Juliana E. Raffaghelli
Università Ca’ Foscari di Venezia
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- Compito-Riflessione. Autobiografia narrativa: com’è cambiata la propria
professionalità nel contesto interculturale, applicando il concetto di esplorazione
del proprio assetto culturale e riflettendo su come si sono cambiate le pratiche
pedagogiche e la concezione della propria disciplina nel contesto interculturale.
Al termine dell’attività sul forum si propone un breve feed-back al corsista
Il Compito-Riflessione può essere valutato con un voto concettuale
10. Bibliografia
Si lascerà online suggerimento di letture aggiuntive e sitografia ragionata
Nota: In copertina – “Colombe” di Giovanni Federle (2007)
Juliana E. Raffaghelli
Università Ca’ Foscari di Venezia
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Alcune parole per cominciare…
Everybody looks at the world from behind the
windows of a cultural home, and everybody
prefers to act as if people from other countries
have something special about them (a National
character) but home is normal. Unfortunately
there is no normal position in cultural matters.
This is an uncomfortable message, as
uncomfortable as Galileo Galilei’s claim in the
seventeenth century that the Earth is not the
center of the universe. (HOFSTEDE, J.G &
HOFSTEDE, G.J, 2005:363)1
Le identità di comunità e di nazione richiamano a storie, non sempre trasparenti quanto le si vuole
far vedere o assumere attraverso racconti, narrazioni che le persone di un determinato luogo in un
determinato momento tendono a creare come memoria congiunta, come consenso di prassi ed idee su
ciò che è normale o non lo è.
I contatti fra culture diverse è sempre esistito, non è affatto nuovo: i viaggiatori dei mondi
inimmaginabili ed immaginari sono comparsi con i primi uomini dell’Età di Pietra che
percorrevano enormi distanze per trovare modi di sopravvivenza.
E poi venne il sedentarismo, e con ciò, la necessità di difendere un ‘ identità comune che tenesse le
persone insieme, strette, a lavorare duramente in un progetto che gli accomunava: la sopravvivenza,
ancora una volta.
Con il divenire dei tempi, il contatto interculturale si è trasformato spesso in guerre e conflitto. Ma
è altretanto vero che il contatto con la diversità ha generato e ricreato culture, attraverso la
leggenda, l’arte, le mappe e la pelle stessa delle persone, di colori cambianti nonostante il mito della
purezza razziale.
Ciò nonostante, questi cambiamenti accadevano nel trascorso di una o varie generazione: tempo
sufficiente per dare luogo alle storie umane, ai discorsi, di rifarsi, di re-inventarsi, per generare
nuovi consensi sociali (Durkheim, 1912 ; Weber, 1906, 1913 )
I processi di acculturazione che consentivano, secondo questi autori, la generazione dell’identità
individuale in un dato contesto sociale, accadevano in un contesto nel quale le rappresentazioni, le
costellazioni di simboli sociali, icona, processi di costruzione di senso, avevano un divenire per lo
meno pluriennale.
Lo scenario che viene a crearsi con la globalizzazione ci pone davanti a delle logiche di contatto e
flussi migratori che generano cambiamenti tanto violenti quanto veloci. L’introduzione delle ICT’s
sta, inoltre, creando una terza cultura, uno spazio di socializzazione con linguaggi e pratiche a sé
stanti, le quali hanno profondo impatto nella costituzione di un identità che, seguendo Sherry
Turkle (1996), non è più una: in una persona possono concorrere diverse identità, vite vissute
“sullo scherno” o “nello schermo”, che vengono a rafforzare l’immagine di un sé fluido e
frammentario, aspetto della postmodernità già denunciato da Giddens (1991).
La scuola è stata nella società industriale lo spazio principe di socializzazione, di
“addomesticamento” dei corpi (Bourdieu, 1972), al ritmo della macchina; un’educazione ripetitiva,
1
“Tutti guardiamo il mondo da dietro la finestra del mondo culturale, e tutti preferiamo attuare come se le persone da
altri paesi avessero qualcosa di speciale –un carattere nazionale-, ma a casa le cose sono normali. Purtroppo no vi
è una posizione normale nei fatti culturali. Questo è sconfortante quanto lo è stata la affermazione di Galileo
Galilei nel XVII secolo, dal fatto che la Terra non fosse il centro dell’Universo”
Juliana E. Raffaghelli
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che piegasse i corpi in gesti meccanici, che rendesse le persone docili alla guida di chi deteneva il
potere ed il sapere, imprimeva alla Scuola e all’insegnante un ruolo chiaro ed una professionalità di
confini precisi. La Scuola trasmetteva la Cultura. Ma quale?
Prima l’abbandono scolastico ed il questiona mento di una scuola solo per l’elite, poi il cambiamento
epocale con il passaggio dalla “Clockwork Orange Society” alla “Learning Society” (Carneiro,
2007), con la necessità del Lifelong learning; e finalmente, l’arrivo di persone di culture e colori
diversi, e l’arrivo delle mille voci che la rete ha fatto comparire dentro e fuori alla scuola, fecero
traballare tutte le certezze educative.
Quando parliamo di pedagogia interculturale, non possiamo fare a meno di fare i conti con queste
problematiche, per capire, per intuire, quali le nuove competenzei, la nuove professionalità legata
alla necessità di una riflessione interculturale nella pratica del formatore, nei variegati contesti dove
oggi, si riconosce l’emergenza di processi di apprendimento.
Poiché non si tratta dell’accoglienza degli immigrati a scuola, neppure del superamento delle
difficoltà linguistiche dei lavoratori stranieri, o anche degli studenti Erasmus (in situazione
sicuramente meno disagiata); poiché si tratta di una riflessione che porta ad un ribaltamento delle
concezioni e le prassi dei formatori, e quindi, di un ripensamento della pedagogia, questo modulo
non elenca una serie di esempi, e non riesce nemmeno ad essere esaustivo in quanto riguarda alla
miriade di esperienze e contesti di educazione interculturale –una tematica, fra l’altro, tanto in voga
quanto sono spesso banali o superficiali gli interventi-.
In questo modulo si tenta invece di fornire gli strumenti per capire quale sia lo status quaestionis,
per quanto riguarda ad una pedagogia interculturale, partendo dallo scenario di cambiamento
globale e dalle principali discussioni sulla necessità di cambiamento educativo. Per puntare dopo a
capire quale sia l’importanza di integrare la pedagogia interculturale come area non specialistica
delle scienze dell’educazione, bensì, come strategia principale ormai necessaria in qualsiasi
riflessione o pratica pedagogica e formativa.
Per ottenere questo scopo, proporrò una metodologia di lavoro che aiuti ai formatori a sperimentare
con i concetti ed esempi, per creare una propria narrativa, un’esperienza che sproni riflessione
critica e nuovo discorso mirante a modificare propri approcci e certezze con riguardo a pratiche
pedagogiche.
Sperando così, inoltre, di aprire una nuova opportunità di riflessione anche per me stessa, come
formatore coinvolto nel divenire della comunità di apprendimento EUITM.
Buon Lavoro!
Juliana Raffaghelli, Venezia, Settembre 2008
Juliana E. Raffaghelli
Università Ca’ Foscari di Venezia
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Internazionalizzazione ed intercultura: linee per ripensare la pedagogia
1. Un mondo in cambiamento: processi di internazionalizzazione
In questa sezione miriamo a:
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Introdurre gli scenari di cambiamento introdotti dalla globalizzazione:
il mondo diviso economicamente fra Norte e Sud, Europa come realtà regionale cui
identità è un processo in costruzione, le persone “in mobilità”(flussi migratori a corto e
lungo termine)
Capire la necessità di nuove risposte al cambiamento, in particolare,
nella sfera educativa
Introdurre la Pedagogia Interculturale come asse portante delle logiche
Lifelong e Lifewide Learning, per un cambiamento dei paradigmi educativi
Lo scenario globale
La globalizzazione è iniziata come processo da molto prima che si intravedessero i suoi
risultati. Nelle sue sfaccettature più recenti, vi sono tre fattori che regolano i diversi
fenomeni da essa scaturiti: progresso tecnologico continuo, che porta con se ad avere
trasporti e comunicazioni più efficaci, rapidi e meno costosi; de-regolarizzazione del
commercio e del flusso di capitali; e ad una rapida crescita di business a livello
trasnazionale.
Le corporazioni multinazionali hanno fatto uso delle logiche neoliberiste per espandersi
rapidamente, generando scambi economici di livelli mai prima immaginati. Esse hanno
inoltre approfittato delle facilitazioni provviste dalla tecnologia, i costi minori dei trasporti
e le ICT (Information-Communication Technologies), così come la possibilità di fruire di
prodotti e servizi di rifornimento, per ri-allocare diverse parti ed operazioni in aree dove i
loro bisogni venissero meglio soddisfate , soprattutto in ciò che riguardasse mercato del
lavoro locale (competenze, disponibilità della mano d’opera), infrastrutture, e accesso ai
mercati.
Questo processo ha creato nuove reti globale dove tempo e spazio sono compressi in una
forma inconcepibile finora: non molto tempo fa, l’internazionalizzazione si riferiva
unicamente al incremento di movimenti di lavoro, capitali e beni, fra zone confinanti;
attualmente, invece, tale fenomeno comprende pure conoscenze, culture e la
commercializzazione di servizi.
Alcuni dei fenomeni più noti, provocati dalla globalizzazione sono dunque (Stiglitz, 2002):
Juliana E. Raffaghelli
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Ambito Economico
Apertura generalizzata di mercati
dei beni e capitali, che sugerisce la
fine dei “blocchi” commerciali,
trattati regionali e completa
indipendenza dei paesi a livello
economico; ma nel contempo
facilita la capacità di risolvere
bisogni economici in una sfera di
sviluppo locale –quando i territori
ne hanno le skills ed opportunitàCrescente privatizzazione
dell’attività economica, aumento
del potere delle imprese
multinazionali e decadenza del
potere dello Stato
Ambito Politico
Decadenza dei nazionalismi per il
rafforzamento delle strategie e
discorsi regionali/locali, in
tensione con i processi di
internazionalizzazione
Ambito Culturale
La presenza di elementi culturali
estranei alle comunità locali viene
rafforzato dall’alto (processi di
internazionalizzazione politica ed
educativa –e.g. europeanisation-,
modelli culturali “migliori”) e dal
basso (flussi migratori in cerca di
opportunità di vita, presenza di
internet)
Le multinazionali incidono
fortemente su orientamenti ed
agenda politica nazionale
Aumento della concorrenza delle
economie internazionali,
maggiore circolazione di beni e
servizi, segmentazione dei
mercati. Le sinergie del mercato
vengono regolate soprattutto dai
prosumers, le persone che nel
consumare prodotti o servizi
molto specifici, direzionano
strategie di sviluppo commerciale
per la sopravvivenza delle
imprese
Generazione di forme di
democrazia e stato di diritto come
forme di governo predominanti a
livello mondiale versus il
risorgimento di aree e periodi di
profonda instabilità politica,
dovuto, da una parte, alla perdita
di potere da parte dei governo
(stati fallimentari) e dall’altro al
rifiuto di una parte del mondo
sempre più ampia sull’impronta
occidentale nel modo di fare
politica
La focalizzazione delle agende
politiche sulla costruzione di
alleanze transazionali per
rassicurare una socialità allargata
che consenta la circolazione sicura
dei lavoratori e dei talenti, utili
allo sviluppo di un’economia che
consuma knowledge workers.
Conflitto fra concezioni di cultura
come civiltà, cultura come 'Alta
Cultura' o discorso dominante e
d’elite di una società; vs.
l’estensione di una “Cultura
dell’Uomo” o cultura come
elementi di sapere popolare.
Fiorire delle culture regionali e
folklore vs. massificazione e
“modello unico” di
comportamento proposto dai
processi di
internazionalizzazione.
Precarietà del lavoro, instabilità,
accompagnata da una richiesta
sempre maggiore di altissime
competenze e skills per
l’employability (non più essere
occupato, ma essere “occupabile”)
Forte impatto sull’ambiente con
conseguenze soprattutto per le
economie meno sviluppate che
accettano condizioni di lavoro e
sfruttamento delle risorse
pericolose per la sostenibilità
(accesso delle generazioni future
alle stesse risorse e condizioni di
vita)
Collegato all’ultimo punto,
l’importanza data alle politiche
educative, sociali e di accoglienza,
per costruire spazi di dialogo
interculturale miranti alla
governance di società
multietniche e multiculturali –
dove non manca il conflitto-
Senso di perdita/minaccia di una
identità culturale nella “memoria”
delle comunità locali e gruppi
sociali che possono idealizzare il
passato e diventare intolleranti
alla diversità, non intravvedendo
le opportunità di creazione di una
“nuova storia”, integrata dalla
memoria
Rafforzamento di una coscienza
di “comunità planetaria” a
confronto di una identità
nazionale, e dell’accoglienza
acritica di elementi di modelli
culturali dominanti, nel
riconoscimento
dell’interdipendenza culturale per
la sostenibilità planetaria.
Juliana E. Raffaghelli
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Dalla globalizzazione all’era planetaria
Dice J. Stiglitz nella prefazione del suo saggio “La globalizzazione ed i suoi oppositori” :
“…Mentre mi trovavo alla Banca Mondiale, ho preso atto in prima persona degli effetti devastanti
che la globalizzazione può avere sui paesi in via di sviluppo, e in particolare, sui poveri che vi
abitano. Ritengo che la globalizzazione, ossia l’eliminazione delle barriere al libero commercio e la
maggiore integrazione tra le economie nazionali, possa essere una forza positiva e che abbia tutte le
potenzialità per arricchire chiunque nel mondo, in particolare i poveri. Ma perché ciò avvenga, è
necessario un ripensamento attento del modo in cui essa è stata gestita…” Stiglitz, 2002:IX
Dallo scenario che abbiamo dipinto, quanto da queste eloquenti parole del noto
funzionario della BM, la globalizzazione crea fenomeni sociali come le nuove e vecchie
povertà, migrazioni, mobilità globale, e senza ombra di dubbio sconvolge lo scenario delle
comunità umane appartenenti al pianeta. Ciò nonostante, è il cambiamento di prospettiva,
proprio la necessità di ripensamento, che Stiglitz ci invita ad avviare come processo di ricostruzione di una seconda globalizzazione, che rende l’idea di un intreccio di destini, che
è trama della realtà, che è fine comune in un unico destino. Gli sviluppi economici, tecnici
ed infine scientifici racchiudono in sé il potere di promuovere o bloccare tale divenire
planetario, nel senso che ogni decisione, ogni scelta, ogni problema ha un impatto
immediato (considerando l’influenza dei mass media quanto della rete, ma anche tutta
accelerazione logistica promossa por lo sviluppo tecnologico di comunicazioni e trasporti);
e quanto tenteremo di dimostrare in questi paragrafi, per promuoverlo occorre
unicamente un forte cambiamento di formae mentis, un decentramento delle concezioni di
mondo, persona, appartenenze, per poter guardare a sé stessi come comunità e dunque
guardare l’alter. Ed in questo passaggio, l’educazione sembra di avere un ruolo essenziale,
come ci aiuta a pensare E. Morin2
In questa prospettiva, è importante precisare come il termine “planetarizzazione”
divenga più complesso e si scosti fondamentalmente dall’essere un semplice sinonimo di
“globalizzazione”, poiché esso si delinea come termine radicalmente antropologico, ed
esprime così l’inserimento simbiotico, ma anche estraneo, dell’umanità sul pianeta Terra.
Non si potrebbe concepire il rapporto dell’essere umano con la natura e il pianeta in modo
riduttivo né separatamente, come la molla del concetto globalizzazione, poiché la Terra
non è la somma di elementi separati, il pianeta fisico, più la biosfera, più l’umanità, ma
piuttosto il rapporto fra Terra e umanità, che deve concepire se stessa come un’entità
planetaria e biosferica.
Del resto, l’essere umano è ugualmente estraneo a un cosmo del quale è figlio. Egli è
un essere naturale e soprannaturale. Naturale in ragione del suo duplice radicamento:il
cosmo fisico e la sfera del vivente. Soprannaturale, perché l’uomo, al tempo stesso, soffre
2
Indicare le opere essenziali di Morin dove si tratta la tematica (sette saperi, la testa ben fatta, educare gli educatori,
educazione per l’era planetaria)
Juliana E. Raffaghelli
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di un certo sradicamento, di una straneità, dovuti ai caratteri propri dell’umanità, della
cultura, delle religioni, dello spirito, della sua coscienza.
“Il termine planetarizzazione contiene (…) nella sua radice etimologica l’idea di avventura
dell’umanità. Perché la parola colpire in greco condivide la propria radice con la parola greca
errante, vagabondo, e con pianeta. Questa correlazione di significati rimanda all’esperienza omerica
nella quale Odisseus è un essere colpito sul suo cammino, spinto dal fulmine di Zeus, errante,
agitato e senza una destinazione precisa, ma egli persegue tuttavia un fine, un disegno concreto:
arrivare a casa. Quest’idea, oggi, è fondamentale per comprendere la condizione umana e quela di
tutta l’umanità attraverso una reale contestualizzazione della nostra situazione complessa del
mondo.
La parola planetarizzazione contiene quindi l’avventura greeca di Odisseus, ma oggi
Odisseus è tutta l’umanità errante, situata su un piccolo pianeta perduto in una periferia del cosmo.
E mostra che questo errare è un itinere, un’avventura incerta. Avventura ignota alla ricerca del
proprio destino. Comprendere quest’avventura e il proprio destino possibile costituisce la principale
sfida dell’educazione planetaria, e in questo contesto, tutto ciò è primordiale per giungere a una
civilizzazione planetaria” (Morin, Ciurana, Motta, 2004:77-78).
Con queste parole gli autori introducono un percorso mirato a capire come
“l’avventura umana” si evolve e naviga attraverso i secoli, attraverso le piccole nazioni di
guerrieri ed agricultori che si spostano per i territori vicini verso il sempre più lontano
orizzonte, alla ricerca di traguardi che migliorino le proprie condizioni di vita ma anche
alla ricerca di risposte, e soprattutto nel tentativo di dimostrare a sé stessa le capacità di
proporsi e vincere nuove sfide.
Seguendo Morin, l’era planetaria, dunque, nonostante l’apparenza di fenomeno
recente, comincia tra la fine del XV secolo e gli inizi del XVI con la scoperta dell’America
da parte di Colombo, la circumnavigazione della terra da parte di Magellano e la scoperta
copernicana secondo la quale la terra è un pianeta che gira intorno al sole. L’era planetaria
si è sviluppata attraverso la colonizzazione, la schiavitù, l’occidentalizzazione e, quindi,
attraverso la moltiplicazione delle relazioni e interazioni tra le differenti parti del globo.”
( Morin, 2004: 9).
Si parla per tanto di due processi di mondializzazione, di una duplice elica di
mondializzazione, che sono il motore dello sviluppo umano: un processo di
mondializzazione della dominazione, della colonizzazione e dell’espansione
dell’Occidente; l’altro di mondialilzzazione delle idee umaniste, emancipatrici,
internazionaliste, portatrici di una coscienza comune dell’umanità. Se il primo processo
comincia come egemonia temuta, come tecnocraticismo che esclude, come dominazione
che non attende logiche di armonizzazione della cultura, società ed ambiente in una logica
di sviluppo lineare verso sempre più raffinati processi di produzione, tendenti a
promuovere la ricchezza intesa in termini di accumulazione di patrimonio finanziario e
materiale; il secondo processo tenta invece di capire queste tendenze in modo critico ed
autocritico, per un rispetto culturale e di dialogo interculturale.
In qualche modo, i due autori propongo, da due discipline diverse quali l’economia
e la filosofia, una visione nuova dei processi globali che scaturisce dalla comprensione dei
problemi irrisolti che le illusioni di progresso degli anni del dopoguerra avevano portato
nel seno stesso delle società industrializzate: anonimizzazione, atomizzazione,
mercantilizzazione, degrado morale, frammentazione del sé, dando così luogo al mal-essere
del benessere.
Juliana E. Raffaghelli
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La perdita di responsabilità (all’interno degli apparati tecno-burocratici divisi in
compartimenti iperspecializzati) e la perdita di solidarietà (dovuta all’atomizzazione degli
individui e all’ossessione del consumo) portano al degrado morale e psico-sociale. Si
sviluppano in ogni caso due controtendenze: la prima, nelle resistenze private ed
individuali all’atomizzazione e all’anonimato, adottando stili di vita neo-rurali, lo slowfood, il turismo sostenibile, la mobilità per capire le diverse culture ed il raffronto con la
cultura migrante che porta i rapporti Nord-Sud proprio “a casa”; la seconda resistenza è
nata in seguito alla presa di coscienza ecologica, all’aumento della disoccupazione e alla
desertificazione dei villaggi: dai microtessuti della società civile emergono prospettive di
una economia evidentemente eretica agli occhi degli economisti 3, una economia che porta
alla qualità di vita ed alla convivialità.
Nonostante l’insorgere di tutti questi gruppi della solidarietà, di queste dinamiche
di critica e di rinnovamento nel concepire lo sviluppo come un processo che punta ad
armonizzare, ad equilibrare, che non è lineare ma che pensa in termini di sistema, si tratta
soltanto, come si accenava prima, di tendenze.
Conoscere il destino planetario: il ruolo dell’educazione nella promozione
dell’apprendimento interculturale
Lo scopo di conoscere il destino planetario nel quale viviamo, e quindi di tentare di
percepire il caos degli avvenimenti, delle interazioni e retroazioni, in cui si fondono e
interferiscono i diversi processi sociali, che sono la trama di questo destino, è quello di
capire l’essenza prima dello sviluppo umano, il verso dove, ma soprattutto, il capire come
l’uomo può tentare di vivere senza consumarsi, senza entrare in conflitto con l’ambiente
che ha dato supporto alla vita umana sin dagli esordi. Pensato in una prospettiva
sistemica, l’essere umano ed il proprio ambiente sociale è parte costituente di un
ecosistema complesso.
Ma nel momento nel quale la prospettiva globale è imminente, e fa sentire su
l’intera umanità il peso dell’ interdipendenza , i sistemi educativi, in qualsiasi realtà
nazionale, stentano ad uscire da una prospettiva frammentaria, sia dal punto di vista
curricolare (frazionamento dei saperi, delle discipline), che dal punto di vista
organizzativo (separazione della scuola e l’università dal sistema delle organizzazioni che
compongono un cluster con riferimento ad un territorio e sua identità socio-economica e
culturale). Si promuove così una coscienza unidimensionale, riduttrice della complessità,
che privilegia sui problemi la veste di un certo e particolare ritaglio disciplinare, e
l’attivazione degli attori coinvolti per darne risposta attraverso le metodologie che tale
visione disciplinare privilegia come uniche o migliori. A tale quadro, si aggiunge poi, la
artificiale divisione delle organizzazioni sul territorio, che, con particolare riguardo alle
istituzioni dell’istruzione formale, si allontanano dalla visione che i diversi portatori
d’interesse mettono in gioco davanti ai problemi affrontati. Il risultato è un particolare
irrigidimento e incapsulamento dei sistemi educativi, una autorreferenzialità che non
promuove di certo la visione di sistema, l’integrazione dei saperi formali, non formali ed
informali per affrontare la condizione di cittadini della Terra. Ciò richiama, parafrasando
Morin, alla riforma del pensiero, la riforma dell’insegnamento, la riforma del modo di
conoscenza.
3
Si veda il caso della Banca dei Poveri, la Grameen Bank (M. Yunus, 1999).
Juliana E. Raffaghelli
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Internazionalizzazione ed intercultura: linee per ripensare la pedagogia
L’obiettivo principale dell’educazione all’era planetaria è quello di educare perché
nasca una società-mondo. Tuttavia, non è possibile comprendere la possibilità di una
società-mondo, che implica l’esistenza di una civilizzazione planetaria e di una
cittadinanza cosmopolita, senza comprendere la planetarizzazione dell’umanità e la sfida
del suo governo
L’emergenza possibile di una società mondo ci parla di una seconda
mondializzazione, di un processo di presa di coscienza sulla scala planetaria dei rapporti
umani, dell’interdipendenza funzionale. Se quelli che si chiamano movimenti
antiglobalizzazione sono ancora lontani dal condurre a un’azione congiunta e
all’elaborazione di una concezione alternativa, essi costituiscono tuttavia il fermento di
una ricerca delle risposte possibili alla crisi di una civiltà che è avanzata soltanto nella
dimensione razionale, strumentale e tecnologica, riducendo la sua ricerca del benessere a
una modalità di consumo quasi compulsiva, risultato di uno stile di produzione e
consumo dei paesi ricchi, che ha generato gli effetti perversi di degrado ambientale. I paesi
in via di sviluppo che hanno adottato tali stili di produzione e di consumo soffrono
attualmente degli stessi mali e subiscono la distruzione della loro cultura e del loro modo
di vivere millenari. Si tratta dunque di una mondializzazione dell’umanesimo, un
neoumanesimo basato sulla libertà, diritti umani, equità, democrazia, dialogo
interculturale, che danno supporto quindi, a nuovi modi di pensare l’economia, intesa nel
senso ampio di uno sviluppo di capacità e potenzialità dell’uomo per realizzarsi, seguendo
la concezione di A. Sen4. Ne consegue una concezione dello sviluppo che è integrata,
complessa, in equilibrio degli aspetti socio-economici, che implicano l’equilibrio
ambientale.
Una visione più completa dell’attuale sviluppo dell’era planetaria permette di
identificare delle contro-correnti che hanno superato la chiusura locale, quella delle loro
culture, delle loro etnie e nazioni, per promuovere la seconda elica di mondializzazione:
un internazionalismo5 che fa parte di una corrente di pensiero che vede le soluzioni
politiche, economiche e tecnologiche nella bilancia degli interessi glocal , nella risposta alle
problematiche umane su una base universale che è pero a sua volta contestualmente
interpretabile.
4
5
In questo senso, il pensiero di Amartya Sen (1994) –Nobel di Economia- sul welfare , presentando la sua teoria
delle capacity and functionings è illustrativo: Il benessere degli individui non è fondato su la ricchezza obiettiva, e i
servizi che siano raggiungibili da una comunità, ma sui funzionamenti, ovvero i risultati acquisiti dall'individuo su
piani come quello della salute, della nutrizione, della longevità, dell'istruzione, ecc. che apre alle possibilità di fare
in libertà quello che ci aspetta a seconda delle capacità. Il well-being è allora uno stato soggettivo piuttosto che una
funzione di reddito. La teoria dei funzionamenti di A. Sen pone l'accento sulle dimensioni soggettive del well-being,
ed è la libertà la condizione essenziale per acquisire il benessere. I processi formativi diventano una risora chiave
per acquisire il benessere, visto che forniscono agli individui sia di conoscenza che di valori, strumenti esenziali per
agire la “libertà” attraverso sempre maggiori e più complessi “funzionamenti” (functionings).
L’internazionalismo, inteso come movimento di organizzazioni internazionali e apertura delle organizzazioni locali
al mondo, ha sottolineato e denunciato realtà nascoste nelle differenti società e nazioni, dalla violazione dei diritti
umani ai delitti ambientali, dai problemi di genere alle disuguaglianze economiche, tecnologiche ed educative. Ciò
nonostante, l’internazionalismo è stato spesso governato da movimenti provenenti dal mondo ricco e occidentale,
con una incidenza sui paesi poveri vicina alla colonizzazione, in un senso più lato, non per lo sfruttamento
economico, ma si nell’imposizione di modelli di pensiero e traguardi di sviluppo organizzativo e sociale estranei
alle culture locali (quindi a partire dell’etnocentrismo). Una delle idee più forti è stata quella di “nazione” , della
separazione amministrativa e linguistica, che, sulla forzatura di una sostanza mitologica presente nel concetto di
“patria” (che costituisce un legame sociale di natura comunitaria e fortemente tinto dalle identità culturali),
spronando i nazionalismi, ha generato lo sconvolgimento di ecosistemi umani, dinamica che speso viene indicata
alla base dei conflitti più gravi del pianeta (quale la problematica africana).
Juliana E. Raffaghelli
Università Ca’ Foscari di Venezia
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Modulo di Pedagogia Interculturale – Master EUITM
Internazionalizzazione ed intercultura: linee per ripensare la pedagogia
E. Morin parla di una “Terra-Patria”, della necessità di educare per un’identità
planetaria, poiché aldilà degli insuccessi nella comunicazione internazionale, e degli effetti
devastanti della globalizzazione in termini di imposizione di un modello di sviluppo nonsostenibile, la infrastruttura necessaria alla creazione di una società mondiale esiste. Esiste
sulla base degli scambi economici e comunicativi, ma non solo: esiste nelle migrazioni,
nell’intreccio interculturale obbligato a questo punto dalla convivenza di narrative umane
nate da tali flussi migratori; esiste nella consapevolezza della natura planetaria di certi
problemi quali il riscaldamento globale o la corruzione.
Tuttavia, la seconda mondializzazione progredisce contemporaneamente alla
prima: i processi di umanizzazione della globalizzazione6 procedono in modo incompiuto,
convivono quotidianamente con i punti di riferimento della globalizzazione economica
(consumo non sostenibile, diseguaglianze); tale convivenza è fortemente marcata
dall’inadeguatezza dei modelli di trasmissione di una nuova concezione di sviluppo, dal
rafforzamento immediato del comportamento umano che è legato alla prima
mondializzazione per chi vive nella ricchezza, dall’incapacità di riorganizzazione sociale e
protesta per chi vive nella povertà.
Si reclama all’istruzione l’enorme compito di generare una società nuova, di
promuovere una competitività basata nella coesione sociale, quale è stato dichiarato negli
obiettivi di Lisbona (Commissione Europea, 2000).
Si reclama all’educazione, come operazione di formazione, di dialogo degli attori
sociali in processi di costruzione di senso comunitario, fuori e dentro all’aula, la necessità
di generare strategie per una umanità più consapevole del proprio destino e delle
opportunità esistenti nel concepire un nuovo modello di sviluppo: tale posizione è stata
fondamentalmente raccolta dall’UNESCO (2003), attraverso il report conclusivo della
presidenza di F. Mayor (1999)7
6
Si noti che il termine globalizzaione è carico di sensi, e in questo passaggio vi è concretamente la difficoltà di
utilizzarlo senza dire che esso è stato quasi sempre adoperato per descrivere esclusivamente i fenomeni di
mondializzazione delle economie e le ICT. Invece la globalizzazione dovrebbe essere concepita come una dinamica
multidimensionale, cioè ecologica, culturale, economica, politica e sociale, il tutto in un rapporto di mutua
interdipendenza. Tuttavia, la sistemazione concettuale di una prima e seconda mondializzazione, riesce a rendere
l’idea di un primo fenomeno di allargamento globale del modello di sviluppo lineare occidentale, non-sostenibile in
quanto creatore di diseguaglianze e grave usura del pianeta a scopo di una continua industrializzazione che segue il
consumo, e quindi porta ad una autodistruzione dell’umanità. Il secondo movimento globale risponde a un
fenomeno di umanizzazione, di critica e di ricerca di un nuovo modello di sviluppo legato all’interdipendenza di
tutti i fattori degli ecosistemi umani per generare processi creativi equilibrati e per tanto sostenibili.
7
Non basta ripensare i valori che stanno alla base di un’educazione nuova, un’educazione per le persone che
debbono affrontare un mondo cambiante: si tratta anche, come ci invita a pensare Federico Mayor, di pensare ad un
altro mondo7, di un mondo che fa fronte alle problematiche non soltanto dello sviluppo economico, ma anche della
povertà e delle disuguaglianze, del conflitto, della devastazione ambientale. Questo autore vede l’educazione in
chiave della sua efficacia: la pensa come una leva strategica per dare risposta ad un nuovo sviluppo. In un mondo in
profonda crisi dei suoi modelli di riferimento –per il sucesso, per la crescita, per il comportamento delle società-,
insomma, ai problemi globali bisogna dare risposte attraverso un’altra globalizzazione, quella della
democratizzazione dell’educazione e l’interculturalità come asse della stessa, un’educazione dunque volta a capire
la mondialità, i problemi dei rapporti fra Sud e Nord del mondo, la capacità di creazione di ricchezza non in termini
materiali ma culturali attraverso la rivisitazione di una storia che è stata, tutto sommato, sempre storia di rapporti
nel mondo –soprattutto negli ultimi ‘500 anni-, e le opzioni di futuro; Mayor parla così, e secondo il termine
coniato nella dichiarazione di Copenaghen, nel 1995, di uno sviluppo umano.
La linea di pensiero di Mayor da sicuramente continuità alla preoccupazione dell’innovazione nell’educazione, e di
un’educazione per i talenti, ma aggiunge soprattutto approffondimenti per gli orizzonti educativi: se Delors aveva
posto che occorre sviluppare talenti per cambiare il mondo, Mayor pone la questione di come possa e debba essere
Juliana E. Raffaghelli
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Modulo di Pedagogia Interculturale – Master EUITM
Internazionalizzazione ed intercultura: linee per ripensare la pedagogia
Che le politiche di internazionalizzazione fossero di rilevanza per lo sviluppo dei
sistemi educativi lo si capiva già negli anni ’708. Ma quale istruzione, quale formazione,
può veramente onorare un tale impegno? Non quella odierna, quella che stenta a ritenere
le persone nel sistema scolastico, quella che fallisce essenzialmente nel convocare i
lavoratori, quella che ha nulla significatività per i cittadini, e raccolgo in questa frase i
diversi spazi nei quali la sostenibilità avrebbe l’opportunità di essere affrontata. Sembra
proprio che il destino planetario del genere umano sia una realtà ignorata
dall’insegnamento (Morin, 1999). E che i sistemi educativi si accaniscano
nell’insegnamento per “pacchetti” (di concetti, di principi, di regole o di fatti) o “per
obiettivi”, o “per situazioni”, nella frammentazione infine della conoscenza (Margiotta,
1997) che è frammentazione disciplinare, e quindi frammentazione nel modo di conoscere
la realtà che si insegna sin dai primi momenti, e che porta, indubbiamente, all’incapacità di
vedere il destino dell’individuo come trama complessa e integrata ad un destino
planetario.
Il registro che invece i sistemi educativi hanno della problematica, spesso viene
denunciato come un’introduzione superficiale, volontaria –a seconda della lucidità degli
insegnanti o comunità educative nel riconoscere la problematica e modi di affrontarla,
come modi di vivere costruttivamente la propria realtà di pratica e di convivenza- ;
tematiche, esperienze, idee, introdotte nel curriculum scolastico come oggetti estranei,
come “giocatoli” che talvolta distolgono dal curriculum centrale. Si stenta però a vedere il
raccordo, la trama, che una nuova nozione di sviluppo, richiede come cambiamento nei
sistemi educativi.
Nella tabella I, vengono rappresentati quelli che potrebbero essere gli interventi di una
educazione trasformativa, sulla base di un modello di l'educazione per una seconda
mondializzazione. Tale introduzione si fa in base ad una comparazione di elementi fra il
modello educativo presente, in forte crisi, ed un modello che riesca ad includere la
problematica dell’educazione ad una nuova identità planetaria.
cambiato il mondo per essere all’altezza di uno sviluppo a misura di talenti. Esiste un traguardo dunque, un futuro
che benché non sia scritto da nessuna parte e per questo non si possa prevedere, si deve comunque preparare,
attraverso un nuovo contratto sociale, scientifico, etico, che interroga i parametri del benessere e della cosidetta
“ricchezza”.
8
Cfr. op. cit. Rapporto Faure (1972), dove i sistemi educativi vengono fortemente questionati a livello della sua
autoreferenzialità, in vista dell’incipiente fenomeno dell’esaurimento del modello industriale; e soprattutto per la
mancanza di innovatività, richiamando a creare una nuova cultura dell’educazione con l’inclusione di tutte le
“nuove” teorie delle scienze dell’educazione, aprendo la porta ad un graduale spostamento di prospettiva
dall’insegnamento all’apprendimento nella programmazione educativa; delle scienze e tecnologie come fenomeni
che si “sviluppano” attraverso l’educazione; e la considerazione fondamentale dell’educazione come componente di
sviluppo della società, che non appartiene come fenomeno al solo ambito scolastico. Tutto questo dibattito viene
riportato su una prospettiva internazionale, come uno dei focus del rapporto: l’imprinting di quegli anni dimostrano
un’interesse sulla cooperazione allo sviluppo –e lo sviluppo stesso, basato sull’educazione, come diritto umano-. La
cooperazione in materia di educazione, seguendo questa linea appena accennata, avrebbe tre principali forme: a)
l’organizzazione di scambi di informazioni, allievi ed informazione scientifica per arricchire i metodi e contenuti
dell’insegnamento; b) la promozione della pace e la comprensione internazionale attraverso l’educazione; c) l’aiuto
dell’educazione nell’interesse dello sviluppo economico e sociale per i cosidetti “paesi in via di sviluppo”.
Juliana E. Raffaghelli
Università Ca’ Foscari di Venezia
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Modulo di Pedagogia Interculturale – Master EUITM
Internazionalizzazione ed intercultura: linee per ripensare la pedagogia
Educazione: fra l’era Industriale e la
Knowledge Society
Educazione per l’era Planetaria
Strutturazione dei
Processi educativi
Top down, dal centro alla periferia,
dall'insegnante allo studente.
Bottom-up, Dialogico e reciproco, dalla
comunità locale alla scuola.
Filosofie
Potere di un gruppo dominante che impone
normative e valori attraverso la didattica.
Consenso “sottinteso”, etnocentrismo
Conflitto, posizionamento storico-critico
(Bachelard), questionamento delle
discipline e valorizzazione delle culture
locali per la contestualizzazione dei
saperi
Funzioni
dell'educazione
Socializzazione e adattamento alle ideologie
prevalenti
Tipo d'intervento
educativo
Trasmissione della conoscenza a persone in
modo che sappiano consumare le cose
“giuste” riciclare, produrre meno rifiuti. Si
apprende ad essere un “buon” consumatore.
Nasconde o non promuove la visibilità dei
rapporti Nord-Sud, tutti hanno la stessa
possibilità di accesso all'informazione.
L'intervento educativo promuove la
passività, il “disempowering”
Coinvolgere le persone in un'azione
colletiva di cambiamento e comprensione
dei rapporti socio-economici planetari,
delle relazioni di produzione Nord-Sud
del mondo, dei poteri politici.
L'intervento educativo promuove la
competenza per la partecipazione allo
sviluppo di sistemi/comunità con
l'abilità di ricononoscersi nella propria
identità ambientale e culturale, ed ha
quindi valenza di “empowerment”
Modo di azione
Individualistico e riduzionista
Collettive, culturale e consapevole del
contesto socio-economico.
Ruolo personale e
sociale
Passivo; accettazione di chi si è e della
propria posizione in un mondo non del tutto
compresso.
Attivo; cambiamento delle relazione per
cambiare se stessi, in una “cittadinanza
planetaria”
Stato della società,
l'ambiente e gli attori
istituzionali/individua
li
Statico
Dinamico
Risoluzione del conflitto con visibilità
degli interessi rappresentati in una
comunità
Fonte: Adattamento e traduzione da D. Uzzell e N. Räthzel (2007)
.
Come abbiamo prima accennato, un tale cambiamento nell’educazione come
intervento umano, come dispositivo di socializzazione al centro dello sviluppo delle
società, rispecchia l’importanza dell’interculturalità come dimensione non più “tematica”,
o area di intervento, ma come asse trasversale ad un nuovo paradigma educativo.
Ma quando diciamo dispositivo di socializzazione accogliamo la denuncia della
scuola come spazio di riproduzione del potere, spazio di circolazione di discorsi dominanti e
pratiche che piegano i corpi, tesi centrale del sociologo Bourdieu (1970), nell’analizzare il
concetto di habitus: una Scuola che insegna la Cultura generale, notoriamente, una
costruzione del potere per unificare i gruppi sociali e quindi portare ad un determinato
ordine sociale, necessario alla società industriale, alla fabbrica, al ritmo della macchina e ai
grandi miti moderni quali i nazionalismi.
J. Delors (1996), nel suo famoso rapporto UNESCO che aprirà una intera linea di pensiero
sul ruolo dell’educazione in una società profondamente in crisi, ci invita a credere
Juliana E. Raffaghelli
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Modulo di Pedagogia Interculturale – Master EUITM
Internazionalizzazione ed intercultura: linee per ripensare la pedagogia
nell’educazione nei tempi della globalizzazione ed il cambiamento9. Esistono valori
fondamentali di cui i nuovi scenari di flessibilità, incertezza e complessità, non possono
fare a meno: i “quattro pilastri” da lui proposti, in tempi di “dimagrimento” delle
certezze, delle politiche, ed infine dei finanziamenti all’educazione: imparare a conoscere,
imparare a fare, imparare a vivere insieme, imparare ad essere. Ciò riposiziona il dibattito
dell’innovazione e le riforme dei sistemi educativi nel cuore dei ’90, riaprendo una
prospettiva di un’educazione più fondata in componenti essenziali, in vista della rapida
obsolescenza di un’educazione centrata su qualifiche tecniche, piuttosto che su
competenze che dimostrano l’efficacia della formazione nel momento in cui vengono
contestualizzate.
Da questo punto a pensare una pedagogia dei talenti, il passo è breve: formare
talenti vuol dire, nella percezione che sempre di più, nelle nuove condizioni caratteristiche
della società della complessità, l’uomo è continuamente obbligato a prendere/rivedere
decisioni, affinare/cambiare conoscenze e know-how, esprimere/dominare stati affettivi,
confermare/rivedere i propri stili di vita: in somma, una sorta di viaggio interiore per
capire le proprie potenzialità e metterle in atto nei momenti e contesti opportuni. Ovvero
sia, una autoconsapevolezza dei talenti e degli ambiti di padronanza che acconsentono
l’individuo di fronteggiare le più imprevedibili situazioni (lavorative e sociali) quanto
mettere in atto una capacità creativa per riproporsi ad un mondo in cambiamento, in
modo proattivo, anziché essere schiacciato dalle dinamiche di cambiamento esterne. Il
rovescio della medaglia è giustamente un’educazione pensata in modo personalizzato,
flessibile, modulare, attenta ai bisogni formativi piuttosto che ai contenuti rigidamente
impostati dall’alto.
Per R. Carneiro (2007), funzionario dell’UNESCO, la Learning Society richiede di
spazi di apprendimento cui logiche spronano la partecipazione e la riconoscenza della
diversità, come si mette in evidenza nello schema 1: Due forme di accedere alla
conoscenza.
9
J. Delors, Learning: the treasure within, UNESCO, Paris, 1996. In questo lavoro è stata consultata la versione in spagnolo La
Educación Encierra un Tesoro. Ediciones Santillana UNESCO, Madrid, 1996
Juliana E. Raffaghelli
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Modulo di Pedagogia Interculturale – Master EUITM
Internazionalizzazione ed intercultura: linee per ripensare la pedagogia
Controllo
Frammentazione –
Incapacità di
riconoscersi nei
processi di
apprendimento
Paura e Disagio
nelle situazioni di
apprendimento
Inclusione
Conoscenza generate
da gruppi di potere
Cultura Generale
Omogenizzazione
dei discorsi,
conoscenza attraverso
ripetizione
Speranza e
coinvolgimento
Partecipazione
Conoscenza generate
attraverso la
partecipazione ed il
dialogo
Diversità
(adattamento dall’originale in inglese in R. Carneiro: The Big Picture, Understanding Learning and
Metalearning changes, European Journal of Education, Vol 42, No. 2, 2007)
Il mondo che cambia, dunque, come abbiamo descritto, attraverso la
globalizzazione e la post-modernità, richiede un altro tipo di menti e di pratiche, richiede
dunque un’esperienza formativa attraverso diversi contesti e situazioni, lungo l’intero arco
della vita. Una scuola dunque che non si vede come unico spazio di apprendimento, ma
come contesto che si allarga e si unisce alla rete di contesti che parlano attraverso gli spazi
formativi (Pontecorvo, Ajello, Zucchermaglio, 1995), dell’incrocio nel senso che il
cambiamento dell’educazione possa essere portatore di risposte, di una nuova
socializzazione all’identità planetaria, alla base di un modello di sviluppo sostenibile.
I processi di acculturazione alla società globale: l’apprendimento interculturale aldilà
dell’educazione formale
Se abbiamo fatto un percorso logico che ci ha reso possibile di capire le nuove sfide della
ricerca educativa e degli stessi educatori, nella società multiculturale, introducendo anche
la nozione di un’educazione che si apre e riconosce nuovi contesti di apprendimento,
dobbiamo però riconoscere che i processi di apprendimento interculturale non accadranno
unicamente in una situazione pianificata. L’apprendimento interculturale succede,
soprattutto, in situazione informale e non-formale, quando le persone vengono esposte, in
un modo o l’altro, ad elementi o contesti culturali nuovi.
L’incontro con la diversità, violento e non, fra modelli culturali, stili di vita, credenze,
lavoro, nell’arco medesimo dell’esperienza quotidiana, -ciò che era una volta assunto come
un racconto, come storia che il tempo decantava, da una generazione all’altra-, è oggi
intreccio complesso che l’individuo deve risolvere nel processo di formazione della
propria identità: un’identità fluida per sopravvivere al cambiamento incessante, che nella
cultura che avvolge, può diventare dialogo interculturale o conflitto.
Juliana E. Raffaghelli
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Modulo di Pedagogia Interculturale – Master EUITM
Internazionalizzazione ed intercultura: linee per ripensare la pedagogia
Nell’ antropologia statunitense è stato proposto l'uso del termine inculturazione,
preferendolo a quello di socializzazione, in conformità con l'enfasi dominante che gli Stati
Uniti danno al concetto di cultura piuttosto che a quello di società. Di fatto, socializzazione
e inculturazione indicano due aspetti di un unico iter di apprendimento teso ad avere
parte in un sistema socioculturale. Il processo di socializzazione, mediante il quale
l'individuo acquisisce norme, valori e modelli di comportamento e si insedia
informalmente nei suoi ruoli sociali, inizia al momento della nascita e avviene, in una fase
iniziale, all'interno della famiglia, considerata a ragione il principale agente di
socializzazione. Per questo motivo si distingue la socializzazione che si realizza in famiglia
la socializzazione primaria, distinta dalla socializzazione secondaria che si effettua
successivamente e che continua per tutta la vita, via via che l'individuo impara ad adottare
nuovi ruoli e strategie con il maturare della sua posizione e delle circostanze sociali. La
socializzazione secondaria, devoluta ad altri gruppi "esterni alla famiglia", come "il
gruppo dei pari" oppure alle istituzioni (ad esempio, la scuola), od anche alle strutture
proposte alla sviluppo della partecipazione (associazionismo), è sempre più potenziata da
nuovi agenti socializzanti che influiscono su tutto il processo di socializzazione in genere.
Basti pensare al ruolo svolto da tutti i mass-media per comprendere come la dinamica della
socializzazione sia particolarmente complessa e, nella società contemporanea, sia sempre
meno patrimonio esclusivo della famiglia e della stessa scuola. La socializzazione primaria
è stata inoltre messa in crisi dall'evoluzione rapida, negli ultimi decenni, della istituzione
familiare che hanno profondamente indebolito il suo potere socializzante.
Quindi l’inculturazione è stato indicato come processo attraverso il quale l'individuo
acquisisce la cultura del proprio gruppo (famiglia, gruppo etnico, comunità religiosa,
classe sociale, società nazionale...) o di un suo segmento.
L'insieme, invece, dei processi di acquisizione cosciente o incosciente della cultura o
almeno di alcuni dei tratti culturali di un altro gruppo sociale viene definito
l'acculturazione. Questa suppone, dunque, come condizione necessaria la presenza di due
o più modelli culturali differenti.
Gli antropologi che hanno coniato questo termine hanno sempre sottolineato, senza
ambiguità, che l'acculturazione è uno scambio a doppia direzione, anche se questo
scambio è spesso disuguale10
In questa visione, anche la cultura "donatrice" è modificata da ciò che riceve dalla cultura a
cui essa dà. Questa distinzione, seppure utile, diventa sempre più sfumata nella società
odierna dove i due processi interferiscono e si sovrappongono sempre più frequentemente
a causa del sistema planetario di informazione e comunicazione dei media e dove le
frontiere territoriali delle singole culture sono rese sempre più inoperanti. Ogni individuo
o gruppo ha difficoltà di percepire il carattere endogeno o esogeno del proprio mutamento
il termine acculturazione, secondo Melville Herskovitz, è utilizzato per la prima volta in uno studio dell’etnologo americano
Powell sulle lingue indiane, in cui sta a significare il “prestito” di parole e suoni che una lingua trae
dall’altra. Tra gli etnologi tedeschi dei primi decenni del ‘900 il termine indicava “adattamento” fra due culture.
L’interesse per il concetto e la diffusione del termine accrebbero nel periodo fra le due guerre mondiali a causa dei problemi sociali e
politici sorti come conseguenze del colonialismo europeo (a scapito dei paesi africani e asiatici).
In questo contesto il termine acculturazione designava l’accoglimento e la riformulazione dei tratti della cultura europea da parte dei
popoli delle colonie africane e asiatiche, nonché degli indiani d’America, “colonizzati in patria”. Questa disparità del rapporto
tra una cultura “debole” che necessariamente è destinata ad accogliere i tratti di una cultura “forte” si è riflessa sulla successiva
storia del termine, fino a interessare le ricerche e gli studi di numerosi antropologi e storici. Il termine, che è rimasto soprattutto
circoscritto all’America, (in Inghilterra si preferisce l’utilizzo di espressioni più ampie e più comprensibili come contatto di
culture, scambio di culture,) connota un significato ambiguo. Formato sulla parola “cultura”, l’acculturazione è il movimento di
un individuo, di un gruppo, di una società e anche di una cultura verso un’altra cultura: dunque un dialogo, uno scambio, un
insegnamento, un confronto, una mescolanza e più spesso una prova di forze.
10
Juliana E. Raffaghelli
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Modulo di Pedagogia Interculturale – Master EUITM
Internazionalizzazione ed intercultura: linee per ripensare la pedagogia
culturale (contenuti valoriali e comportamentali). Ovvero: non essendoci riflessione
adeguata sul contatto interculturale, si prova difficoltà a capire quale l’origine delle paure
alla diversità, quale e quindi introietta come proprio ciò che lo circonda nell’ambito locale,
dove accade il vissuto quotidiano. Ma è giustamente l’inconsapevolezza della costruzione
interculturale dell’identità, la mancanza di una cultural awareness, che porta al rifiuto o
addirittura l’annullamento di ciò che viene ritenuto diverso, nell’incapacità di avere
strumenti per confrontarsi ed arricchire la propria identità. Poichè l’identità è spazio di
conciliazione delle molteplici voci che confluiscono come esperienze nella formazione
della persona, ed in un mondo complesso, l’identità si fluidifica a punto tale che diventa
multi identità (Giddens, 1991). Il soffermarsi in un tratto o caratteristica della stessa rischia
la frammentazione e la violenza, contro di sé (annullamento di opportunità di
apprendimento ed adattamento a situazioni cambiamenti) contro l’altro (isolamento,
aggressione; azioni in ogni caso volte a far sparire ciò che ci genera timore poiché minaccia
i confini forzatamente precisi di un’identità “sicura”).
Ciò nonostante, la necessità di convivere, di risolvere la quotidianità, di dotare di senso
pratiche ed opere umane, negli ambiti di lavoro e nella comunità, quindi, gli spazi dove
l’acculturazione ha luogo, sprona processi comunicativi spontanei che portano alla
costruzione di nuove narrative, nuovi racconti sull’incontro culturale (Demetrio, in Favaro
e Luatti, 2004). E’ tale narrativa dell’incontro che diventa processo di apprendimento
interculturale, quando da essa scaturiscono risultati positivi.
Il riconoscimento ex-post di queste esperienze di acculturazione diventa essenziale in ogni
spazio multiculturale: si vengono a creare processi di sensemaking, attraverso i discorsi dei
partecipanti sull’essere in situazione interculturale, che modellano non soltanto nuove
identità, ma soprattutto, nuovi spazi sociali dove si modella una memoria positiva
dell’incontro. M. Giusti (2007), per esempio, ha raccolto l’interessante esperienza di
apprendimento attraverso l’incontro nei parchi gioco da parte delle madri immigrate. Ma,
riflette l’autrice, sebbene l’apprendimento accade in ogni situazione e contesto, la raccolta
accurata di questi racconti, queste storie, è essenziale a capire come modellare i diversi
spazi sociali per promuovere l’incontro positivo.
Se…Allora…
Per chiudere questo capitolo, farò riferimento al breve ma significativo elenco fatto
all’interno del progetto del Consiglio Europeo “All Different-AllEqual”11, che sottolinea
la necessità di nuove risposte per nuove situazioni nelle quali “ritrovare se stessi”
Se le società multiculturali sono una realtà e continueranno ad esserlo in futuro
Se l’esplotazione di molti sta essendo usata per sostenere il privilegio di pochi
Se nel nostro mondo, che sta diventando sempre più piccolo e più interdipendente,
pochissimi problemi rimangono racchiuse dietro le frontiere nazionali, e prima o poi ci
raggiungeranno
Se i paesi e gli stati sono consapevoli della loro impossibilità di rimanere isolati
Se noi crediamo in diritti umani equi per tutti
11
Campagna europea contro la Xenofobia, il Razzismo, l’Antisemitismo e l’Intolleranza, promossa dal Consiglio
Europeo, dal 1995, a 50 anni della fine della Seconda Guerra Mondiale. http://alldifferent-allequal.info/
Juliana E. Raffaghelli
Università Ca’ Foscari di Venezia
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Modulo di Pedagogia Interculturale – Master EUITM
Internazionalizzazione ed intercultura: linee per ripensare la pedagogia
Allora le nostre azioni dovrebbero esprimere il nostro impegno per generare il
cambiamento
Allora la nostra risposta non potrebbe essere la costruzione di barriere istituzionali o
personali per “mantenere gli altri in un altro posto”
Allora la nostra risposta non può essere comandare o sentirsi superiori
Allora noi dovremmo tentare la relazione con l’altro ad un livello di uguaglianza –sia fra
diverse società e culture, sia fra maggioranze e minoranze in una stessa società
Allora la discriminazione creata dall’economia internazionale dovrebbe essere combatutta,
poiché altrimenti l’emarginazione e la povertà continueranno ad un livello globale
Allora noi abbiamo bisogno di lavorare nella comprensione e la modificazione di
pregiudizi e stereotipi.
Questo lo scenario che una nuova educazione dovrà affrontare, e al centro vi dovrà essere
una pedagogia senz’altro riformulata per essere all’altezza delle circostanze.
Juliana E. Raffaghelli
Università Ca’ Foscari di Venezia
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Modulo di Pedagogia Interculturale – Master EUITM
Internazionalizzazione ed intercultura: linee per ripensare la pedagogia
2. Pedagogia Interculturale, discipline e linee di ricerca
In questa sezione miriamo a:



Conoscere lo stato dell’arte nella ricerca pedagogica, con particolare
riguardo all’area della pedagogia interculturale
Capire le diverse discipline che intervengono nella trama dei saperi che
nutrono la pedagogia interculturale
Fare un breve riassunto delle linee progettuali e di intervento dove si
esprime la pedagogia interculturale, sia in Europa che in Italia.
I believe that knowledge of social conditions, of the present
state of civilization, is necessary in order properly to
interpret the child's powers. The child has his own
instincts and tendencies, but we do not know what these
mean until we can translate them into their social
equivalents. We must be able to carry them back into a
social past and see them as the inheritance of previous race
activities. We must also be able to project them into the
future to see what their outcome and end will be. In the
illustration just used, it is the ability to see in the child's
babblings the promise and potency of a future social
intercourse and conversation which enables one to deal in
the proper way with that instinct
Jonh Dewey, “My pedagogic creed”, The School
Journal, Volume LIV, Number 3 (January 16, 1897),
pages 77-80
Ho usato questa citazione iniziale poiché nel nuovo contesto sociale non soltanto il
bambino balbetta...Balbetta anche chi non conosce la lingua, lo studente, il lavoratore
straniero. Le parole di Dewey acquisiscono forse nuovo valore in tale dimensione, e
l'operazione di “conoscere” le condizioni sociali, che tradurrei in cultura, e l'incontro
sociale e la conversazione che deve attivare l'istinto naturale degli uomini di aggregarsi e
decifrare il mondo che li sta attorno. Di questo vorrei parlare, quando parlerò di
intercultura.
Come abbiamo fatto notare nel capitolo precedente, le tendenze in educazione si stanno
aprendo alla dimensione internazionale, in modo strategico o forzato, attraverso
dinamiche che partono dalla base (la visione dell'opportunità internazionale, la necessità
di far fronte all'immigrazione presente in aula) o dall'alto (politiche educative europee di
integrazione culturale).
In questo contesto si torna importante riconoscere, tollerare, e nel migliore dei casi, capire
le altre culture che possano vedersi come lontane, o possano percepirsi come una minaccia
nella quotidianità, apportano un elemento alla dinamica sociale. Una comprensione che,
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Internazionalizzazione ed intercultura: linee per ripensare la pedagogia
dalla conoscenza della cultura altra, può portare, per citare alcuni esempi, a capire il ruolo
dell'Islam nella preservazione di molta della conoscenza del mondo classico attraverso il
medioevo, o il ruolo del Regno Unito e la Spagna nel commercio di schiavi e la
colonizzazione come base alla formazione di dinamiche conflittuali nei giovani paesi
africani ed americani. Abbiamo parlato di questo, indicando che oramai è il tempo di fare i
conti con la diversità planetaria, ed è l'educazione ad avere un ruolo cruciale nella
promozione di questo dialogo interculturale.
Lo stato dell'arte nella tematica
E' importante a questo punto chiarire che, l'interculturalità non può soltanto essere un
aspetto dell'educazione. Essa non è un soggetto, un mero meticciamento di discipline quali
l'antropologia, l'etnografia, la psicologia culturale, la storia dello sviluppo socioeconomico e la storia dell'arte, del quale l'educazione se ne appropria per inserirlo come
tema nel curriculo.
Attraverso questo capitolo voglio fare presente come la pedagogia interculturale emerge,
dal dibattito sull'interculturalità, come nuovo approccio scientifico all'educazione, come
un ripensamento della pedagogia alla quale è oramai banale chiamare “pedagogia
interculturale”: poiché essa non deve essere concepita come settore particolare della
pedagogia, bensì come un nuovo modo di concepire la natura della generazione di
conoscenza umana, dell'apprendimento, dell'azione educativa in sé, e quindi, delle
metodologie per la ricerca educativa e didattica.
Dobbiamo però capire da dove scaturiscono queste riflessioni, ed un breve ex-cursus sugli
ultimi trent'anni di ricerca pedagogica ci verranno incontro per quest'impresa. La
definizione terminologica risulta talora importante: su termini quali intercultural,
educazione interculturale e pedagogia interculturale, sembra di esserci una polisemia di sensi e
significati che provocano spesso un uso inadeguato e superficiale, al quale accennerò più
avanti. Per “fare il punto”, ordinerò in questo modo gli studi e ricerche consultati in una
prima disamina della letteratura del settore:
a) La nascita di una riflessione interculturale nell'ambito educativo,
b) Il contributo dell’Antropologia Culturale: dalla nozione di cultura ad una metodologia
per l’intervento di ricerca/formazione interculturale
b) Per una Pedagogia Interculturale
c) Il farsi della pedagogia interculturale: uno sguardo ai progetti
La nascita di una riflessione interculturale nell'ambito educativo
Quando Margaret Mead, assieme a Ruth Benedict, fonda l'Institute for Intercultural
Studies, nel 1944, definisce lo scopo di quest'istituzione come un gruppo di lavoro
composto da diverse persone e nazioni che generano una conoscenza avanzata sui popoli
e nazioni del mondo, con speciale attenzione a quei popoli e quegli aspetti delle loro vite
che vedono compromesse le relazioni internazionali ed interculturali. A tutt'oggi
quest'istituzione continua a sostenere la tradizione etnografica della fondatrice, ma si
sottolinea come gli eventi di questo nuovo millennio abbiano generato una
consapevolezza maggiore della necessità di comprensione interculturale, attraverso la
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Internazionalizzazione ed intercultura: linee per ripensare la pedagogia
ricerca e per promuovere nuovi mezzi di dialogo interculturale sia a livello locale che
globale.
Osserviamo dunque che il termine interculturale non è recente, ma l'accortezza sulla
polisemia dello stesso, ed i primi intenti di dare delle definizioni più concrete avvengono
negli anni '80 (Gobbo, 2004; Coulby, 2006; Boumard, 2006)
Nonostante la visione di Mead fosse di avanguardia, poiché anticipava un lavoro di
ricostruzione delle relazioni internazionali in un mondo che si ri-pensa dopo la seconda
grande guerra, la questione era in tale occasione presentata come ideale lontano dalla vita
quotidiana, applicabile al dialogo sporadico fra le nazioni del mondo ed i suoi popoli; ma
l'intercultura nell'ambito quotidiano è qualcosa di inimmaginabile sicuramente per gli
anni '50, e si attiverà per l'Europa qualche decennio dopo, mentre per gli Stati Uniti si
accende il dibattito e lo studio prima dell'ambito europeo attraverso la necessità di
“assimilazione” dei gruppi culturali diversi conviventi nel melting pot americano, ovvero il
rispetto senza necessario confronto delle culture, che apre la corrente della multicultural
education12. Corrente che sarà soltanto criticata verso gli anni '80, per terminare, nei '90,
nella confluenza di una discussione sulle terminologie ed assunti dopo la quale la
comunità scientifica internazionale si è decisa ad adottare quasi equanimemente il termine
intercultural education.
Seguendo Demorgon (1989) in ambito europeo, la questione del dialogo interculturale si
intravede già come sfida negli anni '70, quando dopo il Maggio francese, i movimenti
dell'Analisi Istituzionale provocano la riflessione dell'intera società, e soprattutto
dell'istituzione Universitaria, per la dimensione di mono culturalismo in esse presenti. Da
una parte gli intenti di una Europa con le ferite ancora aperte per creare spazi di
riflessione mirati a dare ai giovani un legame di apprendimento che la precedente
generazione avrebbe pagato ad un alto prezzo di morte e paura; dall'altra parte, invece,
una cresciente immigrazione nei paesi una volta colonialisti, di una massa di persone
estranee alla cultura europea, che verso la fine degli anni '70 cercava lavoro o rifugio
politico. Due condizioni che aprono la porta, come lo indica in nel Documento del
Consiglio d'Europa del 1981, (Project n.7 del CDCC, 1981-1986) a lanciare un progetto
consistente di lavoro sulla dimensione interculturale nella pratica educativa con i nuovi
12
La traduzione di opere in Italia di autori noti nel mondo anglosassone, quale il caso di J. Lynch, ha generato un certo
livello di confusione nell'ambito educativo . L'opera “ Multicultural Education in a Global Society , The Falmer
Press, Falmer House, Barcombe, Lewes, East Sussex -UK- (1989); tr. it. Educazione Multiculturale in una Società
Globale, Armando, Roma 1993 (1998), ampiamente citata in Italia, ha portato a moltissimi autori e practitioners
all'utilizzo del termine “multiculturale” con riferimento alle dinamiche di integrazione e di accoglienza della
diversità, nelle istituzioni educative colpite dalla globalizzazione. In quest'opera, Lynch presenta riflessioni maturate
nell'esperienza e nella conoscenza come funzionario della Banca Mondiale, ed esperto in progetti educativi a favore
di paesi in via di sviluppo e realtà culturali diverse da quella occidentale. Il punto di partenza obbligato è quello
della riformulazione dell'educazione, laddove un grande rimescolamento delle popolazioni nel mondo globalizzato
sta reclamando un urgente intervento di razionalizzazione. Compito che a seconda dell'autore, può essere affidato
alla scuola, istituzione che deve rivedere ruolo, missione, e contenuti del proprio intervento per affrontare
efficacemente tale impresa, scostandosi da una tradizione pedagogica scarsamente attrezzata per le pratiche della
realizzazione concreta e con squallide basi di supporto teorico-epistemologico. L'autore tenta di presentare sia una
filosofia dell'educazione multiculturale, dalle finalità precise -considerando un orizzonte costituito non solo da un
sistema mondiale degli scambi sociali ma anche dalla figura di un nuovo uomo-, sia una pedagogia e una
metodologia didattica. S'inoltra così nella definizione un nuovo curricolo atto ad un'educazione multiculturale,
attraverso un'attenta disamina di saperi, atteggiamenti, abilità per passare poi a delineare obiettivi operativi; tenendo
per nucleo di tale curricolo l'educazione ai diritti umani, a cominciare da quelli dell'infanzia.
Il lettore può trovare in questo libro i valori centrali che orientano la ristrutturazione strategica dei programmi
pedagogici attenti ad una visione ampliata della multicultural education
Juliana E. Raffaghelli
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Internazionalizzazione ed intercultura: linee per ripensare la pedagogia
migranti; e dei progetti per il lavoro sulla dimensione europea, sovranazionale, con i
giovani (si vedano per esempio il programma di incontri dell'OFAJ --L'Office Francoallemande per la Jeunesse13 --).
Due versanti che indicavano due cammini aperti, ripresi fino al giorno d'oggi: quello
dell'integrazione interculturale dei migranti, quello della dimensione europea e
rivalorizzazione della cultura europea. Due cammini che stanno ad indicare quanto, per
Europa, fosse importante generare una politica di tolleranza coerente con una revisione
critica delle radici dei nazionalismi, di coesione sociale, un nuovo sogno europeo (Rifkin,
2004).
Il principio fondamentale che accompagnava il Progetto del Consiglio dell'Europa era
quello di trattare principalmente la situazione degli immigrati come elementi che
dovevano trovare il proprio luogo nella società europea, ma allo stesso tempo sollecitava a
valutare il funzionamento dei sistemi educativi, provocando una maggiore attenzione
sulla presenza e bisogni di alunni che venivano considerati differenti a causa della loro
provenienza socio-culturale che mal si adattano ai percorsi di studio convenzionali (Consiglio
d'Europa, ibidem: p.3)
Nei quasi tre decenni che separano quei progetti dagli attuali, il Consiglio d'Europa
esplorerà il concetto di cultura e di identità culturale: sosterrà una interpretazione della
differenza come aspetto fondante dell'individuo e come fattore di crescita e di
arricchimento individuale e collettivo; leggerà il fenomeno migratorio come spostamento
di esseri umani e inculturati invece che come impersonale forza lavoro, e diffonderà
questa sua lettura tra quanti si occupavano (e si occupano) di questioni interculturali, fino
a raggiungere, nell'anno 2008, la consapevolezza di un importanza crescente della tematica
che fa diventare quest'anno “L'anno dell'Intercultura”.
Ciò nonostante, il termine viene spesso svuotato di senso dall'uso continuo, e l'analisi delle
due linee consente di capire che a tutt'oggi queste due linee persistono; e che quando si
parla di “educazione interculturale” si parla di una progettualità che spesso vede la
questione dell'immigrante come punto centrale degli interventi formativi; mentre la
seconda linea, sebbene sviluppata soprattuto dalla traduzione francofona anche come una
riflessione sugli scambi internazionali, e quindi più mirata al fenomeno interculturale
all'interno dei processi di internazionalizzazione dell'educazione superiore, è stata sempre
più inquadrata come “dimensione europea”. Detto questo, occorre adesso sottolineare, che
sia una che l'altra linea, faranno riferimento comunque a una rivisitazione ampia e
profonda dell'interculturalità nelle scienze dell'educazione, per pensare ad una pedagogia
interculturale, che nonostante spesso sia stata associata alla prima linea di intervento, si
13
OFAJ, Office Franco-Allemand pour la Jeunesse, attualmente reperibile sul sito http://www.ofaj.org/ . Il periodo di
attività coperto dalle ricerce citate in questo volume, va dal 1974 al 1989. L’OFAJ viene creata a seguito del Traité
et l’Accord de 1963 (De Gaulle-Adenauer) , un accordo di cooperazione fra la Francia e la Germania, nell’ottica di
una riparazione economica, sociale e culturale, delle ferite aperte dopo la grande guerra. L'OFAJ s'installa a Bad
Honnef (Germania), per i primi anni di gestione. Poco dopo, viene aperto un’ufficio anche in Francia, a Brainly.
Juliana E. Raffaghelli
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Internazionalizzazione ed intercultura: linee per ripensare la pedagogia
riconosce come una teorizzazione più profonda dell'incontro fra culture nello spazio
educativo/formativo.
Negli Ottanta, dunque, viene rilevato che gli immigrati tendono sempre più spesso a
fermarsi stabilmente nel paese di accoglimento, e qui creare o riunire la famiglia; se nel
passato u oltremare (si veda nota al piede sul termine anglosassone multicultural education)
l'immigrato doveva essere assimilato alla cultura locale, per l'Europa, inizia un percorso di
discussione sul luogo dell'immigrato, ipotizzandosi la necessità di preservazione di ogni
gruppo dei propri tratti culturali14.
Ma saranno gli immigrati di seconda generazione proprio a creare uno sbilanciamento di
questi presupposti: poiché essi, essendo nati nella terra che in famiglia è estranea, creano
chiaramente percorsi di assimilazione della cultura locale, e talvolta, tratti di una cultura
nuova che esprime un sincretismo spesso negato o ancora temuto sia da uno u altro
gruppo culturale15.
Gli anni novanta sono all’insegna della categoria dell’interculturalità (Sirna, 1997). Con quest'
assunzione la prof.ssa Sirna tenta di mettere in tema sulla problematica interculturale nelle
scienze dell'educazione premettendo la centralità che i processi interculturali hanno per il
momento nel quale la sua ricerca viene presentata. Ma non è la sola: se gli anni '80 sono
stati proficui di progetti ed intenti di pensare il problema nella realtà concreta della pratica
educativa, i '90 vedono l'esplosione della riflessione accademica sulla tematica, e l'Italia si
14
In questo senso sono ampiamente diffusi gli studi dell’olandese Geert Hofstede ha studiato i diversi popoli per capire
quali categorie culturali siano in comune a tutti, e capirne le differenze. Per ’cultura’ Hofstede intende quell’atteggiamento mentale
collettivo che fa agire un intero gruppo in maniera uguale, ovvero una sorta di programma mentale alla base del pensiero, delle
emozioni e delle azioni di un gruppo o popolazione. Hofstede ha evidenziato inizialmente quattro categorie culturali principali che
permettono di descrivere e di misurare le tendenze di una cultura rispetto ad un’altra, ma successivamente ne ha aggiunta una quinta.
Le cinque categorie, definite anche ’dimensioni’ sono: la distanza del potere (power distance) l’individualismo in opposizione al
collettivismo (individualism versus collectivism) la mascolinità in opposizione alla femminilità (masculinity versus femininity)
l’evitamento dell’incertezza (uncertainty avoidance) l’orientamento a lungo termine e quello a breve termine (long-term versus shortterm orientation).
La distanza del potere si ha in qualsiasi situazione in cui vi è un’autorità e un subalterno, quindi la distanza tra genitori e
figli, capi e impiegati, insegnanti e studenti, eccetera. Analizza come il potere viene distribuito e accettato in una società, e come
queste disuguaglianze vengono gestite.
La dimensione dell’individualismo concerne se la società tende ad essere più individualista, ovvero a prediligere il singolo
rispetto alla collettività: una società individualista lascia che ognuno si occupi di sé, e qualsiasi offerta da parte di un altro è vissuta
come ’ingerenza’ nei propri affari privati. La famiglia non è ’allargata’. Al contrario, una società con atteggiamento opposto, ovvero
’collettivista’ fa sentire la popolazione un gruppo unito e solidale ma chiuso all’esterno; la famiglia è ’allargata’ a parenti vicini e
lontani. Va notato che la definizione ’collettivismo’ non ha alcuna accezione politica, ma vuole definire solo il gruppo, non lo Stato.
La dimensione mascolinità contro femminilità riguarda la distribuzione dei ruoli nei sessi. Anche qui, tale definizione non
vuole suscitare o contribuire ad alimentare stereotipi o discussioni sulla superiorità di un sesso rispetto all’altro, ma è pensata in
funzione esclusivamente bipolare: la mascolinità è il carattere assertivo mentre la femminilità è il carattere accomodante.
L’evitamento dell’incertezza valuta il grado in cui i membri di un gruppo si sentono minacciati da situazioni sconosciute o
che creano incertezza. Indica la capacità della cultura a "programmare" i membri del gruppo a reagire in situazioni strutturate ovvero
non strutturate. Le culture che evitano l’incertezza hanno regole e leggi ferree e notevoli misure di sicurezza. Le culture che accettano
maggiormente l’aleatorietà sono invece più tolleranti verso le opinioni altrui, cercano di avere poche regole e leggi. Tuttavia, c’è
anche un lato filosofico di questa dimensione: le culture che evitano l’incertezza tendono, essendo maggiormente rigide, a credere di
essere le uniche depositarie della Verità; d’altro canto vi sono quelle culture che lasciano che più correnti di idee convivano e si
evolvano contemporaneamente.
I valori indicati dalla dimensione dell’orientamento a breve termine sono il rispetto per le tradizioni, il senso del dovere
verso gli obblighi sociali e la cura della propria immagine pubblica. I valori compresi nell’orientamento a lungo termine sono invece
la perseveranza e la parsimonia.
Nonostante l’interesse e serietà scientifica degli studi di Hofstede, è a mio avviso pericolosa l’operazione di
“ettichetamento” che promuovono. In alcuni articoli e libri, in effetti, e nella formazione manageriale (diversity manager) questi studi
vengono presi come “ricette” attraverso le quali leggere le relazioni con persone provvenenti da altre culture. Vorrei subito ricordare
la folk pedagogy di Bruner, che indica come le teorie sulla mente degli altri possano avere un impatto forte sulla performance e
comportamento dell’altro.
15
Vedere paragrafo: Il contributo dell’antropologia culturale alla pedagogia interculturale.
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Internazionalizzazione ed intercultura: linee per ripensare la pedagogia
aggiunge al dibattito europeo con interessanti contributi che seguono sempre di più la
linea francofona di integrazione e dialogo, quindi di un ripensamento della propria
posizione culturale dinnanzi alla cultura estranea piuttosto che la convivenza nel
relativismo culturale. “…La diversità che ci interpella esige risposte meditate e nuovi saperi…”
prosegue la Sirna, che prova a rispondere al quesito della diversità e complessità rilevata,
attraverso ciò che rappresenta il nocciolo duro di questo decennio di riflessioni nell'ambito
delle scienze dell'educazione: una pedagogia interculturale come risposta, ovvero un’area
delle scienze della formazione che siano in grado di interpellare i nuovi fenomeni
migratori, la composizione non più omogenea della società, con una capacità costruttiva, e
non una pedagogia della compensazione.
Sebbene per metà degli anni novanta la questione dell’interculturalità è già stata
ampiamente affrontata, le pubblicazioni sembrano presentarsi in modo frammentario,
concentrandosi in problemi settoriali con ottica specialistica. Vi sono così molte ricerche
sostanzialmente di tipo psicologico, antropologico, sociologico e linguistico. E nelle
scienze dell’educazione, le ricerche si concentreranno prevalentemente in ambito
epistemologico (definizione della collocazione della pedagogia interculturale all’interno di
un sapere pedagogico più vasto), quanto in ambito didattico (tecniche e metodologie per
l’intervento in aula, per la mediazione culturale nei processi di apprendimento, per
l’inserimento sociale degli studenti stranieri).
I primi contributi da diversi autori italiani (Demetrio, 1993; Demetrio & Favaro, 1992;
Giusti, 1995; Gobbo, 1992) iniziano una esplorazione della progettualità in materia di
educazione interculturale, con prevalenza dell'aspetto di accoglienza e compensazione
dell'immigrato. Sarà nella seconda metà dei '90 che emergeranno i contributi più critici (
Nigris, 1996; Sirna, 1997 ; Gobbo, 1997; Desinan, 1997; Demetrio, 1998) che tentano uno
sguardo più complessivo allo stato dell'arte, di definizione di una nuova pedagogia; del
ruolo dell'insegnante e del formatore (Sirna, 1997; Gobbo, 2000) e le didattiche che mirano
a pensare la questione interculturale nei processi di apprendimento (Albarea & Izzo, 2002;
Silva, 2002) e finalmente, dell'intercultura nel lavoro con gli adulti, attraverso la narrativa e
il racconto autobiografico (Demetrio, 2003).
Questo iter di produzione accademica e scientifica sulla tematica, dal voler semplicemente
proporsi come tematica nuova nell'ambito delle scienze dell'educazione, inizia a
questionare l'intera pedagogia poiché essa è, come le altre scienze, nate nel contesto
occidentale, ed è portatrice di una forte carica di etnocentrismo. I contributi si collocano
dunque non più rivolti ad un pubblico generale, ma vengono rivolti a esperti delle scienze
dell’educazione, che intendono intervenire nei vari settori sociali (non soltanto la scuola) ,
tentando di definire i nuovi parametri del discorso pedagogico entro i quali va iscritta
l’esperienza interculturale. In questo senso, viene rappresentato si capisce che il contesto
storico-istituzionale nel quale nasce l’esigenza di affrontare una tale esperienza complessa
di contatto fra culture diverse; delineando così la fenomenologia varia che caratterizza tali
incontri nella società odierna e particolarmente in Italia.
“…Col prevalere dell’ottica interculturale la pedagogia diventa non ideologica ma rimane
fortemente impregnata di tensione etica, perché orientata a potenziare la relazione, lo scambio, il
confronto. Essa, cioè, rinuncia a proporre sistemi di idee chiusi e totalizzanti ma si sente impegnata
a valorizzare l’interfecondazione e la sintesi tra le diverse culture dando spazio alla pluralità di
risposte culturali (…) Una pedagogia che non pretende di convogliare le energie in un’unica
direzione, in un’unica visione del mondo, ma le orienta alla costruzione di reti di incontro e aiuta a
guardare alle valenze positive degli stessi conflitti…” (Sirna, 1997)
Juliana E. Raffaghelli
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Internazionalizzazione ed intercultura: linee per ripensare la pedagogia
La definizione di pedagogia interculturale si fonda su “tappe di un travagliato percorso”
che stanno ad indicare una maturazione di discussioni nate dalla pratica e il raffronto di
problematiche quotidiane:
In una prima tappa, viene trattata la questione delle differenze etniche e culturali sui
processi educativi, ovvero, della presenza di bambini immigrati nel contesto scolastico e
del loro orientamento.
In una seconda tappa, compare la sensiblità verso i problemi sovranazionali, ovvero, la
necessità delle società sviluppate di trattare il diverso non come una presenza sporadica,
ma come l’emergente di una problematica universale che, coinvolge i popoli più ricchi in
una autoriflessione sulla propria presenza nel mondo globale: è in questa tappa che
vengono affrontati come temi dell’interculturalità l’educazione alla pace, allo sviluppo, ai
diritti umani, all’ecologia come aspetti di un’educazione mirata a nuovi modelli di
sviluppo più inclusivi e critici del consumismo e la devastazione planetaria.
Una terza tappa è dedicata al rinnovamento dei paradigmi scientifici e metodologici
(pensiero complesso, raccordi interdisciplinari, società della conoscenza e
interconnettività, nuove frontiere dell’apprendimento attraverso la rete)
Attraverso quest'ultima tappa, la pedagogia interculturale viene ad inserirsi come leva
strategica per ripensare l’atto educativo, ma non soltanto: essa è fonte di creazione di
nuovi valori e competenze per promuovere persone che si trovano davanti ai fenomeni
della globalizzazione, sia perché debbono affrontare il diverso intanto che disagiato,
espulso dalla propria povertà, quanto il diverso, intanto che appartenente a culture con le
quali bisogna incontrarsi quotidianamente per la propria crescita sociale ed economica
dell’individuo, le comunità, le nazioni.
I contenuti ed obiettivi dell’educazione interculturale, fra assolutismo monoculturale e
relativismo culturale, tentano una via di uscita che nasce da un continuo rimando tra
esperienza educativa e riflessione pedagogica. L’impegno educativo che voglia connotarsi
in direzione dell’interculturalità dovrà preoccuparsi quindi di sviluppare competenze e
abilità di ordine sociale, culturale e politico. In particolare, di far maturare nei soggetti a)
l’empatia, come capacità di mettersi nei panni dell’altro per capirne dall’interno i vissuti e
pensieri, e ad essa collegata, l’exotopia, cioè il distanziamento culturale che consente di
accettare la diversità dell’altro; b) il decentramento culturale, cioè la possibilità di riflettere
sui propri condizionamenti culturali –pregiudizi, stereoptipi, razzismo inconscio, risorse e
limiti della propria cultura); c) gestione dei conflitti, in modo da sopportare e controllare lo
stress connesso con le forme di shock culturale1 cui l’incontro/scontro tra diversità
impone
Gli sviluppi di un decennio di ricerca e confronto con la pratica nell'educazione
interculturale, tentano così di unire al ex-cursus teorico, l’utilizzo situato di strumenti e
tecniche per la ricerca e la pratica educativa: vengono indicati i problemi più significativi
da essa emersi, ovvero, settori dove viene affrontata una molteplicità di aspetti che si
collegano a nodi problematici dell’educazione, quali l’identità e la lingua, la
comunicazione, i diritti e l’incontro fra religioni come temi di cittadinanza, la scuola
medesima come istituzione di socializzazione. Alcune delle tecniche di intervento
analizzate dimostrano le mille sfaccettature dell’intervento in educazione interculturale,
Juliana E. Raffaghelli
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Internazionalizzazione ed intercultura: linee per ripensare la pedagogia
dove vengono utilizzate tecniche di animazione ludica, metodologie partecipanti,
l’approccio autobiografico, la ricerca-azione come riflessione sulla pratica professionale, la
metodologia umoristica, la maieutica di gruppo, la metodologia dell’ascolto. Ne consegue
la necessità di capire quali sono i contesti di attuazione e quali gli strumenti specifici: si fa
così riferimento così all’intervento nella scuola quanto nei contesti dove la problematica
interculturale risulta emergente e cambiante: quelli degli scambi internazionali (scambi
intereuropei di studenti, seminari multinazionali, comunicazione telematica).
Voglio nella mia esposizione evidenziare il tono della stessa, che privilegia la
problematizzazione come approccio, riportando le varie tesi attualmente presenti nel
dibattito e le voci critiche, ritenendo che questo possa risultare utile a chi deve accostarsi ai
problemi con l’ottica della ricerca piuttosto che di chi utilizza strumenti per una pratica
quotidiana non mirata. E voglio, in quel senso, davanti ad una miriade di “pacchetti”
formativi pronti per l'uso, sottolineare la necessità di creare in ogni attore dell'educazione
interculturale, un ricercatore pronto ad ascoltare sé stesso davanti alla diversità, come
unico approccio possibile alla creazione di interventi efficaci e soprattutto, rilevanti per la
società.
Sono ormai 30 anni che nell'Unione Europea, e circa 50 anni che il mondo parla della
problematica dell'incontro delle culture, e sembra che questo tempo sia tanto, e la
discussione scientifica e gli interventi progettuali, nonché le politiche, siano state materia
di continuo aggiornamento e partecipazione . Uno sforzo consistente deve senz'altro
essere dedicato alla riorganizzazione di concetti, problemi, esperienze e metodologie
tentando di generare uno strumento di lettura della pedagogia interculturale come
disciplina di base alla riforma educativa.
I nuovi spazi di sviluppo dell’interculturalità, fra l'altro, porranno nuove domande,
aggiunte alle nuove opportunità. Basti pensare agli scambi internazionali e la pedagogia
ad essi correlata, e la comunicazione telematica e il linguaggio interculturale nello spazio
sociale dell’agorà telematica (Sirna, 1997).
Il contributo dell’Antropologia Culturale: dalla nozione di cultura ad una metodologia
per l’intervento di ricerca/formazione interculturale
Nella letteratura sulla pedagogia interculturale viene particolarmente riconosciuto il ruolo
della ricerca antropologica, attraverso ciò che è stato descritto come contributo
dell'antropologia culturale alle scienze dell'educazione, e che sta ad indicare come lo
sguardo dell'antropologo che cambia a seconda dei paradigmi scientifici adottati nella
disciplina, avrà impatto nelle pratiche educative, ma soprattutto nella concezione della
diversità in situazione di apprendimento interculturale, e quindi il ruolo
dell'insegnante/formatore .
Notiamo nella letteratura italiana sulla pedagogia interculturale, che diversi autori
(Demetrio, 1993; Nigris, 1996; Sirna, 1997; Desinan, 1997; Gobbo, 2000; Albarea & Izzo,
2002; Silva, 2002) individuano per lo meno 4 momenti dello sviluppo dell'antropologia
culturale, con le sue ricadute sull'ambito educativo:
Un primo momento, quello dell'antropologia positivista, che praticamente guida lo
sviluppo dello studio scientifico dei fenomeni culturali fino alla seconda grande guerra,
enfatizzava la presenza di una cultura “sviluppata” alla quale in modo lineare dovevano
arrivare tutti i popoli “arretrati”, generando una metodologia di ricerca “oggettivista” che
ha ricadute specifiche sul ruolo del ricercatore (e chiaramente, così anche sul ruolo
Juliana E. Raffaghelli
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Internazionalizzazione ed intercultura: linee per ripensare la pedagogia
dell'educatore) come osservatore “neutro”, esterno alla situazione analizzata; che nel caso
dell'educatore deve sopprimere o migliorare i tratti culturali che sono deviazioni da uno
stato di sviluppo superiore.
Un secondo momento, avviatosi con il primo dopoguerra, propone una critica del
modello positivista, con la consapevolezza di “strutture universali” che generano le
diverse culture (Levy Strauss,1958; citato in Nigris, 1996); con un antropologo che si vede
ancora fuori dalla scena osservata, sebbene consapevole di quanto la diversità culturale
abbia un punto di contatto nelle strutture alla base. Nello scenario mondiale, mentre in
Europa lo strutturalismo ha la voce portante , il relativismo culturale prende piede nella
società americana (Mead, 1959 ; Benedict, 1934). Il movimento, che generò importanti
contributi nello studio di culture lontane dalla cultura occidentale, mise in discussione
diversi assunti “universalisti” della scienza positiva occidentale. La posizione della
Benedict, attraverso il suo concetto di “modello di cultura” tenta di essere descrittiva in
profondità, essendo l’insieme dei tratti e delle peculiarità che caratterizzano una
determinata cultura, elementi che indica l’individualità di una cultura rispetto a ogni altra.
I tratti di per sé possono far parte di più culture, ma è la particolare configurazione di
questi tratti a rendere unica ogni cultura. Le culture sarebbero come dei "complessi
integrati", cioè insiemi coerenti di pensieri e di azioni caratterizzati da certi scopi
caratteristici che sono propri e non condivisi da nessun altro tipo di società. Il movimento
del relativismo culturale è fondante per i movimenti del “multicultural education”, per
quanto accetta la diversità delle culture e principalmente della coesistenza pacifica di ogni
una di esse nei diversi ambiti microsociali, quali per esempio l'aula. La posizione
dell'insegnante sarà comunque quella dell'osservatore esterno della diversità (Nigris 1996).
Un terzo momento si genera a partire del passo di cruciale importanza nelle scienze
antropologiche che è la messa in discussione della posizione di “osservatore”
privilegiato del antropologo nello studio delle culture altre; poiché l'antropologo è
presente nel campo, e dal momento in cui lo è, riesce a generare delle forze motrici di
fenomeni che prima non sarebbero mai stati scatenati. Questa la posizione di B.
Malinowski (1944, 2001) padre della moderna etnografia ed esponente del funzionalismo
britannico, che riprende l’interpretazione tyloriana della cultura come insieme complesso,
ma ne accentua l’aspetto organicistico trasformandola in un “tutto integrato” in cui ogni
singola parte contribuisce al funzionamento dell’insieme. Malinowski ritiene che ogni
cultura sia costituita dall’insieme di risposte che la società dà ai bisogni universali degli
esseri umani. Per ciò considera il ricercatore antropologo un esperto che però partecipa,
s'immedesima nella situazione culturale e riesce a farne parte del sistema che essa
rappresenta. Le teorie educative accolgono questa posizione soprattutto nelle pratiche di
formazione degli adulti e nell'educazione popolare, dove l'intervento etnografico nella
comunità può diventare inoltre un intervento educativo ad ampio raggio. Molto più tardi,
negli anni 60, con la messa in discussione delle metodologie quantitative in aula, verrà
adottata la “etnometodologia” nelle scienze dell'educazione ma il modello verrà
ampiamente ripensato alla luce delle critiche ricevute sia al funzionalismo che allo
strutturalismo in antropologia culturale. In effetti, I metodi etnografici nella ricerca sono
arrivati all'educazione molto più tardi. Il gruppo di sociologi dell'Università di Chicago,
che seguivano un gruppo di studenti di Medicina (Becker et al., 1961) sono stati
probabilmente i pionieri nell’ambito educativo, mentre Smith & Geoffrey (1968) sono stati
i primi a centrare lo studio dei processi in classe sulle metodologie dell'analisi
antropologico di campo, usando un metodo che loro identificarono come microetnografia.
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Internazionalizzazione ed intercultura: linee per ripensare la pedagogia
Essi esprimevano il suo scopo di studiare una classe come un ricercatore antropologo, in
queste parole "(a) primary intent was to describe the silent language of a culture, a classroom in a
slum school, so that those who have not lived in it will appreciate its subtleties and complexities"
(Smith & Geoffrey, 1968:2). Come si può osservare è il ricercatore, che ancora da fuori, in
modo asettico, che studia i processi in aula.
Il quarto momento caratterizzante lo sviluppo dell'antropologia culturale applicata alle
scienze dell'educazione, è quello che si apre da una parte da C. Geertz per la discussione
della cultura come testo, ovvero per la valenza semiotica di tutta produzione umana.
Seguendo questa linea la presenza e la viva esperienza non bastano più a garantire
l’accesso a un’altra cultura: tale accesso deve passare attraverso la comprensione del
sistema di significati che i nativi attribuiscono alla propria vita sociale. La riflessione
teorica di Geertz prende l'avvio da un profondo ripensamento del metodo etnografico.
Non basta più andare sul posto ed osservare - secondo la concezione veni, vidi, vici, come
la chiama Geertz (1973). Resta comunque una certa contraddittorietà nella visione che
Geertz ha della cultura, a volte definita come insieme di significati, altre volte con la
classica definizione di insieme di costumi, o di modelli di comportamento. A volte essa è
una costruzione dell’antropologo, altre volte sembra essere un dato oggettivo e
indipendente. Ma in ogni caso, sotto l'influenza dei lavori della Benedict, Geertz pone già
l'accento sulla questione del interpretazione della cultura che viene fatta attraverso le
proprie “lenti” culturali dell'antropologo, il che apre la porta a mettersi nel luogo non
soltanto dell'osservatore, pure sia partecipante, ma anche di chi è in grado di interpretare e
quindi deve riconoscere un sistema proprio di significati prima ancora di leggere quegli
altrui. Ciò avrà delle ricadute non indifferenti per l'etnometodologia nelle scienze
dell'educazione: in primo luogo, la possibilità di avere un insegnante/formatore che è
anche ricercatore (in fusione con le teorie della ricerca-azione che però lasceremo da parte
poiché vengono da altri ambiti di teorizzazione -psicologia e sociologia delle
organizzazioni), e tenta di comprendere un sistema di significati che viene a crearsi nel
microcosmo della propria aula. E' soltanto qui che si giunge ad uno stato di avanzamento
tale della ricerca antropologica che consente di pensare una vera apertura al dialogo
interculturale, per quanto esso non è più osservazione, etichettamento, classificazione e
assistenza del diverso, come una pedagogia della compensazione; né pedagogia
multiculturale, di scambio, di convivenza senza mutuo ripensamento; si tratta invece di
una pedagogia che avrà alla base l'assunto della riflessione sul sistema, sull'altro, su sé
stessi, per creare un nuovo ordine di equilibrio.
In Italia, Francesca Gobbo, (1997; 2000) riprende l'analisi del ruolo dell'insegnante in aula,
e va a puntualizzare l'importanza di un riposizionamento dell'insegnante come ricercatore
centrale nell'aula come unico modo di affrontare l'interculturalità in aula. Ciò è in linea
con il rafforzamento dell'insegnante/formatore come figura centrale della ricerca
educativa (ricerca-azione), ma anche come un nuovo modo di riflettere sulla propria
identità (personale/professionale), seguendo i passi dell'etnografo che interpreta, come via
maestra per affrontare la diversità. La Gobbo chiama questo approccio “l'insegnante come
etnografo”.
Il contributo di altre discipline per l’introduzione della dimensione interculturale
nell’educazione e la formazione
“For the intercultural educator, trainer, and researcher, the first decade of the new millennium
presents a time of great resistance to our work, as well as enormous need for it.” In questo modo
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Internazionalizzazione ed intercultura: linee per ripensare la pedagogia
iniziano Janet Bennett, Milton Bennett e Dan Landis la prefazione alla terza edizione del
Manuale sulla Formazione Interculturale. Queste eloquenti parole pre-annunciano la
portata del lavoro, nel senso della raccolta di quasi 30 anni di ricerca -con 50 anni di
sviluppo della tematica-, in presenza di incipienti fenomeni quali la globalizzazione e le
migrazioni mondiali che hanno senz'altro accresciuto l'interesse su questo particolare
settore di ricerca educativa.
“It is a period of inevitable contradictions and conflicts, as organizations globalize, nations wage
war, nondominant groups seek a voice, ad sojourners from all continents shrink the global village
through travel, commerce, education, and electronic communication. Into each of these contexts,
researchers and practitioners have introducet theory, research, and training designed to foster the
development of effective intercultural interactions...” (pp.1, Introduction and Overview)
La formazione interculturale è un'applicazione all'interno delle relazioni interculturali: è la
definizione che adottano gli editori per questo ambito di sviluppo disciplinario, ambito
relativamente nuovo che rappresenta un focus interdisciplinario che vede coinvolte
discipline quali l'antropologia culturale, la psicologia cross-cultural, la sociolinguistica,
l'educazione multiculturale, la comunicazione interculturale, e l'international business
management. Gli antropogi come Edward T. Hall (1959) hanno fornito quest'area di
ricerca con definizioni di cultura e valori culturali, e con orientamenti su ciò che è stato
denominato il relativismo culturale. I psicologi “cross-cultural” come Harry C. Triandis
hanno generato modelli di contrasto culturale, sui quali hanno applicato le più rigorose
metodologie delle scienze sociali per un adeguato testing (si veda Triandis, 1972, 1994,
1995; Triandis, Brislin & Hui, 1988). I sociolinguisti come Benjamin Lee Whorf (1940, 1956),
Roger Brown (Brown & Lennenber, 1965), e più recentemente, il linguista cognitivo
George P. Lakoff (1987; Lakoff & Johnson, 1999) hanno mostrato come il linguaggio può
essere usato come “finestra” dei processi culturali, non soltanto come strumento di
comunicazione. Gli accademici che studiano la comunicazione interculturale, come per
esempio Dean Barnlund (1975, 1989), William Gudykunst (2003; Gudykunst & Mody,
2002), Young kim (2001), Judith Martin (Martin & Nakayama, 2000, 2001) e Stella TingToomey (1999; Ting-Toomey & Oetzel, 2001) fra altri, sono stai i pionieri della ricerca sulle
interazioni interpersonali attraverso le culture, ed hanno formalizzato l'uso di sistemi
teorici nello studio delle relazioni interculturali. Inoltre, a queste contribuzioni, si
sommano quelle fatte dai “multicultural educators” sull'insegnamento e la formazione:
James A. Banks (1988; banks & MacGee Banks, 2002, 2003), dove hanno dimostrato come le
identità culturali vengono sviluppate e mantenute; in questo stesso settore
dell'educazione, William G. Perry, Jr. (1999), ha generato un modello di sviluppo cognitivo
ed etico molto utile agli interculturalisti.
Finalmente, e nel periodo più recente, la linea di formazione e ricerca in international
business management (Adler, 2002a, 2002b; Gardenswartz & Rowe, 1998; Gardenswartz,
Rowe, Digh & Bennett, 2003) hanno mostrato come la teoria interculturale e la ricerca
possono essere applicate alle richieste pratiche avvenute in sede delle iniziative sulla
“diversity management” nell'ambito delle corporazioni multinazionali.
I temi combinati delle relazioni interculturali navigano su modelli unici di indagine
all'interno dell'esperienza interculturale. Per esempio, lo studio sul “Shock culturale”
emerge dall'aggiunta di una dimensione antropologica alla descrizione psicologica del
comportamento e quindi dal collocare il risultato all'interno di un contesto sistemico
dell'atto comunicativo (Ward, Bochner & Furnham, 2001), Diversi approcci
all'”Adattamento Culturale” abbinano la psicologia cross-cultural e l'educazione
multiculturale con la comunicazione interculturale al modello dello sviluppo cognitivo,
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Internazionalizzazione ed intercultura: linee per ripensare la pedagogia
affettivo e comportamentale che l'esposizione a lungo termine ad un'altra cultura implica.
E, come aspetto più importante delle diverse linee di ricerca, i diversi focus disciplinari
delle relazioni interculturali congiungono in approcci che possono essere potenzialmente
efficaci, quali quelli della formazione per la “competenza interculturale”.
La formazione interculturale si fonda sulla psicologia cross-cultural per introdurre le
tassonomie che fanno generalizzazioni culturali (approccio etico) nel operazione di
contrasto culturale; e sull'antropologia, per illustrare i contrasti delle generalizzazioni
culturali con le caratteristiche specifiche di una determinata cultura (approccio emico). Le
implicazioni di queste differenze culturali per l'interazione vengono esplorate attraverso
l'utilizzo di metodi sviluppati dai sociolinguisti e dalle comunicologi interculturali.
Un programma tipico di formazione abbina il materiale cognitivo dei processi
esperienziali generati attraverso l'educazione multiculturale per stimolare le esperienze
cross-cultural e le pratiche di sviluppo di skills per l'adattamento interculturale.
Il risultato quindi di un accurato disegno di formazione basato su una coerente
teorizzazione ed una rigorosa ricerca sarebbe, per ultimo, una competenza interculturale
dimostrabile in termini di valutazione e trasferibilità in contesti della vita quotidiana e
lavorativa: la formazione interculturale incoraggia dunque le interazioni cross-cultural
efficaci, che abbiano impatti sostanziali.
Alcuni dei lavori più significativi nell’ambito della ricerca sull’intercultural training che
adoperano la formazione interculturale per controbattere i pregiudizi ed il razzismo; per
sviluppare l'umiltà culturale e la messa in evidenza del “white privilege”; per intensificare
l'apprendimento nei soggiorni internazionali; per indirizzare i profondi impatti
dell'esperienza internazionale/interculturale sullo sviluppo dell'identità.
Lo stato dell’arte nella ricerca sull’educazione e formazione interculturale, si indirizza
dunque verso tre necessità importantissime del settore:



In primis, la necessità di documentare in modo accessibile lo stato dell'arte attuale e lo
sviluppo storico di certe aree degli studi interculturali
In secondo luogo, la necessità di avvicinare ricerca e pratica della formazione per
dimostrare il potere delle relazioni fra teorie e pratiche: molto spesso queste “due
faccie della stessa moneta” realizzano la diffusione dei propri contributi per strade
completamente separate. Questo volume tenta di creare un “forum” comune per
esplorare i contesti dove la formazione interculturale e la ricerca ad essa relativa hanno
i suoi più proficui interventi, con lo scopo di generare una “cross-fertilization”.
In terzo luogo vi è la necessità di esplorare i contesti nei quali la formazione
interculturale e la ricerca su tali processi può essere più efficace e produttiva.
Tutto ciò ci consente di capire che il rapporto interculturalità ed educazione non si limita
soltanto all’ambito scolastico, né molto meno all’accoglienza degli studenti stranieri “con
difficoltà”, diventato un luogo comune sicuramente da superare nella pratica esperta del
formatore.
Verso una Pedagogia Interculturale come asse portante del cambiamento educativo
Ne consegue che l’interculturalità può assumersi come tema trasversale, probabilmente un
tema maggiore, che necessita di essere considerato in ogni processo di insegnamento, in
ogni esperienza educativa, in ogni esperienza di apprendimento sia esso formale o
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Internazionalizzazione ed intercultura: linee per ripensare la pedagogia
informale. E' ugualmente trascendentale nella scuola elementare quanto all'università,
nella comunità quanto nell'ambito lavorativo.
If education is not intercultural, it is probably not education, but rather the inculcation of
nationalist or religious fundamentalism. The theorization of intercultural education, then, is not
simply a matter of normative exhortation, of spotting good practice in one area and helping to
implement in another. It involves reconceptualization of what schools and universities have done in
the past and what they are capable to doing in the present and future (Coulby, 2006:244)16
In queste parole che cito, si racchiude l'essenza di un cambiamento nelle scienze
dell'educazione. Chi teorizza sull'educazione interculturale, deve quindi sapere che non si
tratta più di solo essere abile nel capire altre storie, contesti e pratiche e metterle assieme
per facilitare la comprensione della diversità: si tratta inoltre, e di questo parlerò in questo
capitolo, di ripensare la propria posizione come educatore, attraverso una consapevolezza
culturale che lascia aperto spazio ad essere interpellato dall'altro, che genera gli strumenti
per dialogare con la diversità, e che promuove nei discenti, nelle persone coinvolte in un
processo di apprendimento, la capacità di procedere in un'analoga operazione di
riconoscimento dei simboli che, nell'azione educativa, si mettono in circolazione
(Bourdieu, 1970). Vorrei fare riferimento in questo passaggio particolarmente alla teoria
del capitale simbolico e le operazioni di violenza simbolica, introdotta da P. Bourdieu. In
effetti, questi sono gli argomenti fondanti dei suoi lavori,dove attraverso un ampia ricerca
sperimentale sui problemi relativi al mantenimento del sistema di potere attraverso la
trasmissione della cultura dominante, egli argomentò che il sistema di educazione
riproduce le divisioni culturali della società. Bourdieu teneva a dire che nell'intervento
pedagogico ha luogo un'operazione di violenza simbolica, dove uno (l'insegnante) è
portatore del sapere, e l'altro (lo studente) vi accede a tale sapere solo se si comporta nel
modo nel quale il primo prefigge. A questo Bourdieu lo presenta come un atto di violenza
parallelo al monopolio dello Stato nell'uso legittimo della violenza fisica. 17 Quindi ciò che
viene denunciato da questo autore, è la necessità di “leggere” di portare alla luce la la
natura stessa dell'intervento formativo, non perchè esso sia immediatamente passibile di
un cambiamento, come in modo naif si sostiene in molti degli interventi in educazione
interculturale. Ciò che va cambiato, in primo luogo, è la posizione stessa della pedagogia,
della concezione alla base di ogni intervento formativo; ne consegue, giustamente, la
necessità di pensare il ruolo e la persona del formatore, di aiutare all'attore principale
dell'atto pedagogico, la natura culturale, prima ancora della natura interculturale, di ogni
suo intervento.
Ma una cosa è enunciare questo principio, e una diversa completamente, è quella di
immaginare gli interventi che possono tendere ad attuare tale logica formativa. Si pensi
agli sforzi per denunciare i ruoli di oppressione fra docente-discente nella relazione
pedagogica che porta avanti Freire, attraverso il suo famoso attacco a quello che chiama il
concetto "bancario" dell'educazione, in cui lo studente era visto come un conto vuoto che
dev'essere riempito dal docente. Egli si spinge un passo -o forse tanti- oltre la tabula rasa, e
come Dewey si mostra fortemente critico sulla trasmissione di meri "fatti" come fine
dell'educazione. Il lavoro di Freire è uno dei fondamenti della pedagogia critica: e dimostra
la dura avversione di Freire sulla dicotomia docente-studente. Questa divisione ammesa in
Dewey, per Freire deve essere completamente abolita. Diventa difficile immaginare questo
16
Coulby, D. (2006) Intercultural education: Theory and Practice. Rivista Intercultural Education, Vol. 17, N°3,
August 2006, pp. 244-257
17
Cfr. Bourdieu, P., e Passeron, J.C., La reproduction. Eléments pour une théorie du système d'enseignement,
Minuit: Paris, 1970 – Opera consultata in italiano, La riproduzione, 2006, Rimini: Guaraldi.
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in termini assoluti (vi deve essere un certa legge della relazione docente-studente nella
relazione genitore-figlio), ma ciò che Freire suggerisce è una profonda reciprocità che va
inserita nella nostra idea di docente e studente. Freire cerca di pensarli in termini di
docente-studente e studente-docente, cioè un insegnante che impara e uno studente che
insegna, come ruoli basilari della partecipazione della classe 18. Questo è uno dei tentativi
per implementare qualcosa di simile alla democrazia come un metodo educativo, e non
meramente un obiettivo dell'educazione democratica.
Mi sembra importante a questo punto ricollegare gli enunciati di Bourdieu, circa la natura
istituzionale della relazione pedagogica, la pedagogia critica di Freire nella sua visione
della relazione docente-discente, con alcuni passaggi che Bruner, nella sua opera critica
“La Cultura dell'Educazione”, realizza per capire l'importanza delle teorie della mente e
dell'apprendimento . Non si tratta delle teorie che la ricerca psicologica e pedagogica
mettono a disposizione del formatore, di teorie nate dall'ambito sterile del laboratorio, dal
risultato sperimentale controllato, bensì di quelle teorie che hanno la maggiore efficacia --o anche potere distruttivo--- nell'atto educativo, e che riassumono ciò che Bruner riprende
come corrente di ricerca aperta, la Folk Pedagogy. Bruner accenna a delle rappresentazioni
sociali, idee che vivono in ogni singola persona in ogni cultura, sulla natura dei processi
mentali, dell'intelligenza, dei modi migliori per imparare e per insegnare. Sebbene Bruner
schematizza le diverse teorie educative e le sue ricadute nella scuola, nella vita reale e
quotidiana dell'azione educativa19, egli enfatizza la necessità di pensare la “scuola reale”
che confina con una miriada di modelli sull'apprendimento e l'insegnamento. L'assunto
portante è quindi che la pedagogia comunica inevitabilmente una concezione del processo
di apprendimento e sulla mente dello studente, “pedagogy is never innocent, it is a medium
that carries its own message” (Bruner, 1996:63).
Seguendo Bruner, ripensare le menti, le culture e l'educazione è un operazione che non si
può più trascurare.
Se la pedagogia moderna si sta muovendo verso una visione dove il discente dovrebbe
essere consapevole dei propri processi di pensiero e di apprendimento, onde incoraggiarlo
ad avere un approccio indipendente e responsabile della propria formazione, come
attivazione di un piacere provato nell'infanzia, per imparare lungo tutto l'arco della vita;
se quindi diventa cruciale che gli esperti in pedagogia, e gli insegnanti sappiano come
spronare tali processi metacognitivi, riflessivi (Dewey, 1933), persino nell'età adulta
(Schon, 1983); allora si tratta di scoprire, di mettere alla luce le rappresentazioni che hanno
i partecipanti dell'esperienza educativa, su ciò che vuol dire apprendere, insegnare,
educare, seguendo Bruner. Si tratta anche di capire quale capitale simbolico si mette in
gioco nella relazione pedagogica, nella visione di Bourdieu.
18
Questo concetto verrà ripreso anche nel suo ultimo scritto pubblicato in Italia, "Pedagogia dell'autonomia", dedicato alla
tematica della formazione docente. In esso Freire afferma con forza che "non c'è insegnamento senza apprendimento", evocando il
suggestivo concetto di "do-discenza" (docenza/discenza). Ciò in piena coerenza con il suo stile linguistico, tendente in molti casi a
presentare due termini contradditori per cercarne una conciliazione.
19
Bruner parla di “modelli di mente e modelli di psicologia” e ne fa riferimento a quattro di essi: a) I bambini
imparano per imitazione, ovvero l'accquisizione del know-how -con riferimento alle teorie dell'insegnamentoapprendimento per osservazione, tipiche della concezione medioevale dell'apprendistato; b) I bambini imparano per
esposizione didattica, ovvero l'acquisizione di conoscenza “proposta”, presente nell'approccio tradizionale e
nozionistico di educazione c) I bambini come pensatori, ovvero lo sviluppo di interscambio intersoggettivo come
modalità di apprendimento, quale proposta delle nuove scuole pedagogiche critiche, da una parte, e del cooperative
learning e la valorizzazione dell'apprendimento in comunità, dall'altra; d) I bambini come individui ben informati,
ovvero il contatto attivo con conoscenza oggettiva, presente negli ultimi approcci, che tentano di rivalorizzare la
partecipazione dello studente, ma attraverso l'analisi dei fondamenti storico-epistemologici delle discipline.
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Internazionalizzazione ed intercultura: linee per ripensare la pedagogia
Da queste operazioni emerge, sicuramente, nel contesto globale, che abbiamo descritto nel
capitolo precedente, la relazione interculturale che si viene a creare nello spazio formativo
(Margiotta, 1997)20. E non all'inversa: essa non può essere “imposta” nel discorso
educativo come un altro argomento, come una serie di pratiche per fronteggiare ciò che
può essere vissuto come un problema di congiuntura (la presenza della cultura estranea
nello spazio formativo, sia che essa vi è presente per un fattore di necessità sociale -caso
dell'immigrato- che per un fattore di scelta istituzionale o personale -i processi di
internazionalizzazione, la mobilità-). Si tratta di generare le condizioni per una
conversazione fra chi insegna e chi apprende, una condizione di ascolto del balbettare dello
straniero, che il formatore deve prefiggersi per affrontare la relazione pedagogica nel
contesto interculturale.
Il farsi della pedagogia interculturale: uno sguardo ai progetti europei ed italiani
Europa: il contributo del Consiglio d’Europa
In un recente volume (“Facets of Interculturality in Education”, Leclerq, 2003) viene fatto un
riassunto dell'attività e linee progettuali del Consiglio di Europa sulla questione
dell'interculturalità in materia educativa. Per questo organo sovranazionale,
l'interculturalità è un insieme di processi attraverso i quali le relazioni fra le diverse
culture vengono costruite sulla base dell'eguaglianza ed il rispetto mutuo, approccio che,
con un enfasi strategica sulla democrazia ed i diritti umani, è stato attuato attraverso i tutti
i progetti già dagli anni '70. Il volume fornisce un riassunto del lavoro del Consiglio
nell'ambito dell'educazione interculturale e dona una migliore comprensione di tali
processi, rendendo chiare le differenze fra tali processi in ordine di scoprire che cosa
significa interculturalità nella pratica. L'approccio interessante da parte dell'autore è
proprio quello che considera l'intercultura come un fenomeno di diverse “sfaccettature”, e
quindi costruito dalla molteplice presenza di progetti e prassi. Alcune di esse, nel
riassunto del documento, sono: il confronto delle differenze nella lotta contra la
discriminazione; la comunicazione nel contesto del pluralismo linguistico e dei media; e
l'interculturalità come approccio critico nell'insegnamento della storia da un lato, e delle
pratiche in aula -metodologie didattiche- dall'altro.
20
Intendendo per spazio formativo uno spazio di apertura alle sempre nuove possibilità per i soggetti, possibilità di
azione e di evoluzione, che deve piuttosto essere inteso come la trama costruttiva fra diversi attori sociali con uno
scopo formativo oppure educativo. Seguendo Margiotta, tale possibilità si dà solo in quanto c'é uno spazio sociale.
La complessificazione delle società contemporanee, l'eccedenza delle possibilità esperibili dai soggetti, ha
radicalizzato il problema della "riduzione" di tale complessità, cioé la questione del "senso". Come ha osservato
Crespi (1982), il piano del senso é anche il piano del simbolico, cioé della esperienza della nostra "mediazione"
culturale rispetto al "mondo". Ciò costituisce l'orizzaonte della nostra esperienza conoscitiva, ma insieme il limite
di essa: di qui il carattere paradossale della mediazione, come "riduzione di complessità", e insieme come rinvio ad
altro da sé, al possibile. Il simbolico tende infatti a "ridurre" il vissuto, come "ordine differenziante" (una identità
costituisce sempre anche una differenza) e a ricomporlo in una "totalità integrata", a risolverlo cioé in razionalità.
Lo spazio sociale resta tuttavia irriducibile alle interpretazioni che intendono "risolvere" le differenze. Esso è in
senza soluzioni", come l'esistenza. Lo spazio formativo é trasversale (Margiotta, 1979) allo spazio sociale : questa
trasversalità é qui intesa come "ordine emergente" dalla complessità stessa dei sistemi sociali. (Margiotta, 1997)
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Considerando la situazione degli immigrati oppure dei nuovi gruppi di minoranza
nell'europa centrale e dell'Est. la sfaccettatura dominante dell'interculturalità e la
preoccupazione per l'indirizzo della diversità, in ordine di individuare i malintesi ed i
conflitti che fanno scaturire le soluzioni. Nella esplorazione della diversità linguistica, o
nella ricerca della comprensione dell'importanza dei media, la sfaccettatura
dell'interculturalità è centrata nelle problematiche della comunicazione e le implicazioni
del pluralismo linguistico e le informazioni etiche.
Nella rivisitazione delle memorie collettive del passato, nelle quali le paure, le connivenze
e le sofferenze che ogni civiltà possiede, le sfaccettature dell'interculturalità che emergono
sono concernenti alla ridefinizione delle identità ed al rafforzamento dell'intesa reciproca.
Laddove l'accento è posto nel coinvolgimento di un'eredità comune e della dimensione
Europea dell'educazione, o nella promozione delle buona cittadinanza e la democrazia, la
sfaccettatura rilevante dell'interculturalità rappresenta punti di riferimento e valori. Sulla
base di queste considerazioni, si può leggere fra le righe un ulteriore messaggio: queste
diverse visioni dell'interculturalità vanno realizzate attraverso la prassi, quindi una
sfaccettatura esenziale è quella delle pratiche, basate sulle scelte che i processi
interculturali generano.
L'approccio scelto dal Consiglio ipotizza che questo percorso di lavoro attraverso i
sopraccennati livelli, dall'ideale di educazione interculturale verso le prassi -modelli di
insegnamento interculturale-, dovrebbe aiutare ad apprezzare chiaramente le
interrelazioni fra diversi interessi e forze, tutto ciò che è rilevante, nonostante alcune di tali
dinamiche sono, o sono state, più influenti da altre, dipendendo inter alia del tipo di
problemi affrontati e del momento nel quale essi sono emersi.
Le differenze di enfasi dunque rivelano il ventaglio di punti di vista abbracciati dalle
diverse prospettive dell'interculturalità, e generano una fotografia della sua natura e
scopo.
Ne consegue un approccio che traccia, lo status e la funzione dell'interculturalità
all'interno del concetto di educazione prevalente nel Consiglio di Europa negli ultimi
trent'anni, quindi praticamente dalla sua fondazione; un approccio strutturato necessario
per la categorizzazione che chiaramente la sede di decisioni ed iniziative reclama. Senza di
esso il rischio di una tediosa enumerazione di azioni senza senso né riflessione possibile.
Ciò significa che non esistono categorie che si escludano mutuamente: la discussione di
una di esse, separatamente, è un esercizio che semplicemente potrebbe spianare la strada
per future ricerche in profondità, fermo restando che l'universo complesso
dell'intercultura è divisibile soltanto artificialmente. Infatti, la pletora di informazioni
emerse da trent'anni di esperienze, senza un filo rosso che le unisca, può portare alla
frammentazione e alla mancanza di un framework che consenta la lettura critica delle
stesse.
F. Gobbo riassume il contributo del Consiglio d’Europa al dibattito internazionale:
…nei decenni in cui il Consiglio d’Europa ha promosso l’educazione intercultuale, questa è stata
via via rivolta a gruppi culturali, e ai loro problemi, differenti da quelli degli immigrati, come pure
alle “nuove minoranze” europee, conseguenza, quasi sempre, degli sconvoglimenti politici e sociali
della fine degli anni Ottanta, che hanno cambiato il volto del vecchio continente, dando luogo a
complesse, e conflittuali, realtà. Nei medesimi anni, l’affermazione dei principi interculturali è stata
affiancata da una riflessione su quel concetto di cultura che qualifica la prospettiva educativa e,
contemporaneamente, specifica come intendere la questione della differenza. I risultati di questa
elaborazione non soltanto diffondono e rendono sempre più familiare l’interpretazione delle nostre
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Internazionalizzazione ed intercultura: linee per ripensare la pedagogia
società come multiculturali, ma propongono anche un’analisi delle identità culturali esistenti
all’interno di tali stati, che non sempre hanno origine nell’immigrazione…” (F.Gobbo, 2004: 47)
Lo Status Quaestionis della dimensione interculturale nella costruzione dell’identità
europea secondo l’Agenda del Consiglio d’Europa
I nodi critici del Descrizione della problematica e raccordo con la questione
problema secondo il della costruzione di un identità europea
COE
Nord-Sud:
Una I paesi colonizzati dall’Europa ed il debito europeo per la
questione di squilibri
ricostruzione di un’identità propria, non coloniale, ma
comunque riconoscente del legame europeo, nei suoi aspetti
positivi e negativi. Tale legame è la base per attivare il dialogo
ed il confronto fra Europa e tali paesi.
Esempi di un tale rapporto di interdipendenza nella
costruzione della storia sono le Americhe e l’Africa.
Est-Ovest: La nuova Dove comincia e termina l’Europa? Quanti paesi rappresentano
ricerca dell’equilibrio
l’Europa? Quanti ci stanno all’interno dei suoi confini? Esiste
una cultura europea? Rispondere queste questioni è diventato
sempre più complicato dopo il 1989. Diverse Europe (per lo
meno due) possono essere riconosciute ed il dialogo diventa
necessario.
La mobilità degli studenti e lavoratori, con il conseguente focus
nelle modalità di accoglienza, riconoscimento e certificazione
delle esperienze lavorative forma parte di questo dibattito,
sebbene passi direttamente alla Commissione Europea come
linea politica specifica, parte della strategia di sviluppo
europeo.
Le minoranze in Europa
Minoranze locali: gruppi etnici che sono stati presenti per
secoli, con diversi abitudini e costumi con riguardo alla
maggioranza. Esempi chiar sono gli ebrei e i Roma. Ma il
concetto di minoranza e maggioranza può diventare
“pericoloso”; Ilok, un paese del confine est della Croazia, ci
può aiutare a capire la difficoltà: al tempo dell’Impero
Ottomano, Ilok era una comunità musulmana. Dopodichè,
diventò cattolica; nel 1930, molti degli abitanti erano tedeschi
ed ebrei. Nel 1991, si ontavano 3000 Croati, 500 serbi e 1900
slovacchi discendenti dei migranti del XIX secolo. Un anno
dopo, nel 1992, la popolazione consisteva in 3000 serbi, ma
dalla fine della guerra dei Balcani, la stragrande maggioranza
degli abitanti sono di nuovo Croati. Come definire minoranza?
Migranti, Immigrati, Rifugiati
La teminologia è anche difficile in quest’area. E’ accettato che
molti paesi europei chiamino “migranti” alle persone che
Juliana E. Raffaghelli
Università Ca’ Foscari di Venezia
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Modulo di Pedagogia Interculturale – Master EUITM
Internazionalizzazione ed intercultura: linee per ripensare la pedagogia
hanno origini in un altro paese, ma radici europee. Questo il
caso di una persona nata in Giamaica, con passaporto
britannico. L’UE gli chiama “gest workers”, ma è chiaro che
molte di queste persone rimarranno.
Lo stesso problema si applica ai ragazzi nati in un paese (per
esempio l’Italia) detti “seconda generazione”. Sono italiani per
nascita e per diritto, ma i loro origini richiamano culture che
s’introducono e dialogano con quella italiana attraverso
l’identità di questi ragazzi.
Un primo sguardo alla problematica dell’immigrazione ci fa
pensare che la definizione di immigrato sia facile.
Italia, Portogallo, Grecia e Spagna sono diventati da poco paesi
di immigrazione, essendo fino a due generazioni fa paesi da
emigrazione.
Quindi,
pur
essendo
la
motivazione
dell’immigrato la ricerca di una migliore qualità di vita, molte
mete vengono scelte anche per motivi familiari (o di familiarità
della cultura). Difficilmente, nell’immaginario sociale, questi
immigrati vengono chiamati “extracomunitari”, pur essendolo
per definizione.
Le persone, invece, di diversa religione o colore di pelle,
vengono facilmente contraddistinte con le etichette
“extracomunitario” o “illegale”, situazione che stigmatizza e
crea difficoltà nell’integrazione delle persone straniere.
La buona gestione ed accoglienza dei tantissimi stranieri che
vogliono raggiungere l’Europa perché meta di lavoro e
benessere, è parte della complessa discussione avviata fra i
paesi europei, che spesso hanno bisogno di tale mano d’opera
per la crescita economica.
Il numero di persone che richiedono asilo politico è aumentato
notoriamente fra 1983 e 1983: fra 70000 a 685.000, con persone
provenenti dall’Est europeo e Turchia, principalmente, in
Europa. Ma nel mondo intero, i dieci movimenti più ampi di
rifugiati si trovano all’interno del continente africano.
L’accoglienza
stranieri
degli Il benvenuto “legale” delle persone che entrano in Europa è
tema di intensa discussione.
Se una persona possiede un patrimonio personale, troverà
meno problemi che chi arriva senza nulla alla ricerca di lavoro.
In effetti, a meno che si appartenga ad una compagnia
trasnazionale, le persone proveranno parecchie difficoltà per
ottenere un permesso di soggiorno e lavoro in Europa.
Juliana E. Raffaghelli
Università Ca’ Foscari di Venezia
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Modulo di Pedagogia Interculturale – Master EUITM
Internazionalizzazione ed intercultura: linee per ripensare la pedagogia
Interculturalità nel contributo della Commissione Europea, in linea con la Strategia di
Lisbona
I nodi critici del
problema secondo l’UE
Mobilità studentesca e
dei lavoratori
Lingue
21
22
Descrizione della problematica e raccordo con la strategia di
sviluppo europea
Il Lifelong Learning Programme ha come una delle strategie
centrali la mobilità delle persone all’interno dell’UE, come
modalità per la promozione di un identità culturale e sociale
allargata, per lo scambio di idee e talenti21. In effetti, come
elemento trasversale a tutte le linee programmatiche
(Leonardo, Grundtvig, Erasmus, Comenius) viene fortemente
supportato lo scambio di esperienze, di punti di vista e
l’arricchimento dell’identità culturale in prospettiva europea ed
internazionale, nell’ambito dell’educazione lungo l’intero arco
della vita.
In tanto, in altri spazi dell’UE e centri di ricerca e sviluppo
come il CEDEFOP22, si continua a ragionare sull’aspetto più
complesso della mobilità, ovvero del riconoscimento degli
apprendimenti, esperienze e qualifiche all’estero.
Tutto ciò implica un dialogo internazionale dove l’accettazione
di tratti culturali diversi, di stili di lavoro, la collaborazione fra
stati e settore privato europeo, diventa essenziale per
promuovere una società della conoscenza, come economia
competitiva che non trascura la coesione sociale
Come asse trasversale alle politiche di sviluppo sulla traccia di
Lisbona, la conoscenza di tre lingue europee risulta essenziale:
essa consente di promuovere una consapevolezza di diversità,
ma di contatto e tolleranza con una tale diversità. All’interno
dei programmi di mobilità, l’immissione in una lingua implica
il rovesciamento di modelli culturali e di socializzazione
(acculturazione).
L’insegnamento delle lingue si fa, a tutti i livelli dell’istruzione
e la formazione, attraverso non soltanto la lingua in sé ma
soprattutto di tratti culturali, verso l’acquisizione di una formae
mentis, un modo di raggionare consentito dalla lingua straniera
come veicolo di comunicazione con le diverse culture europee
e non.
http://ec.europa.eu/dgs/education_culture/publ/pdf/comenius/mobility_en.pdf. Cfr. l’ultimo rapporto della Commissione
sull’impatto sociale ed educativo della mobilità in Europa
http://www.cedefop.europa.eu/
Juliana E. Raffaghelli
Università Ca’ Foscari di Venezia
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Modulo di Pedagogia Interculturale – Master EUITM
Internazionalizzazione ed intercultura: linee per ripensare la pedagogia
Italia
Per quanto riguarda all'ambito italiano, una interessante ricerca del Centro COME di
Milano (Favaro, 2002) rileva le rappresentazioni sociali degli insegnanti su cosa sia
intercultura, attraverso il racconto dei progetti nei quali essi erano stati coinvolti.
Nelle parole degli insegnanti intervistati, l'educazione interculturale si colloca su quattro
dimensioni, che corrispondono ad altrettante visioni dell'approccio pedagogico:
 La dimensione della conoscenza e la valorizzazione degli apporti culturali e delle
differenze, che rimanda a una visione piuttosto statica e descrittiva delle culture,
 La dimensione dello scambio e del reciproco cambiamento e contaminazione, che
rimanda invece a un'idea dinamica e porosa delle culture;
 La dimensione dell'empatia, dell'apertura anche affettiva della prevenzione e lotta a
ogni forma di discriminazione e di razzismo, che rimanda a una concezione valoriale e
etica dell'interculturalità;
 La dimensione dell'approccio alle discipline e della revisione dei curricoli, che
rimanda a una visione cognitiva dell'intercultura.
Un importante materiale multimediale distribuito nelle scuole dal MIUR – Commissione
nazionale “Educazione Interculturale”, 2000) indicava nell'educazione interculturale lo
sfondo integratore per il piano dell'offerta formativa e si proponeva di sostenere i progetti
attraverso la diffusione di parole/chiave e di indicazioni esemplari, che di fatto
richiamano le diverse rappresentazioni dell'idea che gli insegnanti avevano nel frattempo
elaborato. Entrando nel merito delle strategie operative, necessarie per passare dalle idee
alla pratica e alla didattica, venivano delineati quattro possibili percorsi e attenzioni:
 attenzione alla relazione, attraverso l'attivazione nella scuola di un clima di apertura e
di dialogo
 attenzione ai saperi, attraverso l'impegno interculturale nell'insegnamento disciplinare
e interdisciplinare
 attenzione all'interazione e allo scambio attraverso lo svolgimento di interventi
integrativi delle attività curricolari anche con il contributo di Enti e di Istituzioni
varie.
 attenzione all'integrazione attraverso l'adozione di strategie mirate, in presenza di
alunni stranieri.
Si conclude da questa ricerca che l'educazione interculturale non è quindi uno specialismo,
una disciplina aggiuntiva che si colloca in un momento prestabilito e definito dell'orario
scolastico, ma è un approccio per rivedere i curricoli formativi; gli stili comunicativi, la
gestione educativa delle differenze e dei bisogni di apprendimento. I progetti fin qui
realizzati possono accentuare l'uno o l'altro degli aspetti e propendere a volte per
interventi didattici specifici, rivolti a gruppo di alunni; altre volte per iniziative che
cercano di raggiungere tutti i soggetti in formazione.
Andando ad analizzare i progetti delle scuole e i materiali didattici elaborati, le scelte
didattiche possono essere orientate verso temidi modalità diverse e si ritrovano sotto la
direzione intercultura azioni e obiettivi differenti e variegati. Per quanto riguarda i temi,
fra i progetti (circa 300) raccolti dalla Commissione nazionale “Educazione Interculturale”
Juliana E. Raffaghelli
Università Ca’ Foscari di Venezia
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Modulo di Pedagogia Interculturale – Master EUITM
Internazionalizzazione ed intercultura: linee per ripensare la pedagogia
e presentati in maniera sintetica nella pubblicazione multimediale, si trovano 21
definizioni:




















italiano come L2
le situazioni di emergenza
i mediatori linguistico-culturali
nuove tecnologie ed educazione interculturale
centri territoriali, educazione degli adulti, centri interculturali
educazione ai diritti: oltre il razzismo, antisemitismo, e pregiudizio
orientamento e recupero
i molti linguaggi dell'educazione interculturale: arte, gioco, teatro, musica;
minoranze linguistiche
Progetti europei, scambi, gemellaggi
aggiornamento e documentazione
rapporti con le famiglie immigrate
Il Mediterraneo
accoglienza, integrazione, relazioni interpersonali
nomadi
dialogo inter-religioso
discipline ed educazione interculturale
educazione alla solidarietà e allo sviluppo
l'identità di genere
convivenza democratica e nuova cittadinanza
Nell'elenco compaiono, come si può osservare, sia i temi, le parole/chiave e i nodi critici,
sia i soggetti e le azioni specifiche che vengono raggruppati tutti nell'ambito dei progetti di
educazione interculturale. Quanto ai modi e ai tempi dell'educazione interculturale, vi
possono essere iniziative sporadiche e occasionali; altre sono invece aggiuntive rispetto al
programma ordinario e si possono collocare fra le numerose educazioni; alcune attività
sono specifiche e indirizzate, ad esempio, a dare risposta ai bisogni linguistici di gruppi di
alunni stranieri, di recente immigrazione. Vi sono scelte didattiche che hanno portato a
rivedere o a integrare il programma di una determinata disciplina e iniziative sperimentali
interdisciplinari che vedono coinvolti tutti gli insegnanti nello sforzo di modificare e
arricchire il curricolo, sia
rispetto ai contenuti, sia rispetto alla metodologia e
all'organizzazione scolastica.
Seguendo invece la traccia di M. Fiorucci (2007) nel 1° Rapporto di Ricerca Educativa in
Italia, è possibile raggruppare gli interventi ed esperienze più significative in Italia in
materia di educazione e didattica interculturale, come versante progettuale della
pedagogia interculturale (Gobbo, 2004), ma sempre posizionati su quanto accade nel
contesto scolastico italiano. Ciò, purtroppo non è esaustivo per quanto riguarda ai diversi
settori e spazi di riflessione aperti da una pedagogia interculturale, che rimangono ancora
abbastanza inesplorati. La mancanza di studi e riferimenti alla realtà lavorativa ed alla
formazione degli adulti, ci fa capire quanto, dal discorso su una pedagogia interculturale
come asse trasversale nelle strategie lifelong learning, alle pratiche, vi sia ancora una lunga
strada da percorrere.
Juliana E. Raffaghelli
Università Ca’ Foscari di Venezia
41
Modulo di Pedagogia Interculturale – Master EUITM
Internazionalizzazione ed intercultura: linee per ripensare la pedagogia
Come accenna A. Portera,
“ La pedagogia interculturale, in Italia e in altri paesi industrializzati, manca di chiara definizione
semantica e di approfondimento epistemologico. Le applicazioni didattiche spesso sono improntate
all’improvvisazione e a momenti folcloristici. Persino fra educatori, insegnanti e responsabili della
politica scolastica, molto spesso i principi fondamentali dell’educazione interculturale sembrano
essere fraintesi, poco conosciuti e poco condivisi” A. Portera (2007:289)
Scheda: Educazione e Didattica Interculturale - Percorsi ed Esperienze
Elementi Fondamentali
a)
b)
c)
d)
La selezione di tematiche interculturali nell’insegnamento disciplinare e interdisciplinare, con una successiva
revisione e integrazione dei curricoli
Lo svolgimento di interventi integrativi alle attività curricolari, anche con contributo di istituzioni e
organizzazioni varie impegnate in attività interculturali
L’attenzione ad un clima di apertura e di dialogo, nonché a una riflessione sullo stile di insegnamento
L’adozione di strategie mirate, in presenza di alunni stranieri con particolari necessità23
I filoni entro cui
ordinare le esperienze
di educazione
interculturale
(1) Didattica
dell’Accoglienza
Le pratiche
Procedure messe in atto al momento
dell’iscrizione
Strategie di mediazione per la prima
conoscenza della famiglia, il
bambino, lo stile di apprendimento e
modalità comunicative preferite dal
bambino/ragazzo
I criteri di assegnazione dell’allievo
ad una classe (età, adattamento socioemotivo e cognitivo, ecc.)
Strumenti offerti da centri
interculturali o la destinazione a
risorse professionali esterne, per
l’orientamento della famiglia
Gli esempi
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE
LINEE GUIDA PER L’INTEGRAZIONE DEGLI
ALUNNI STRANIERI
http://www.cgil.it/Formazionericerca/Riforme/RiformeSistema/ParitaScolastica/Sc
uolaeImmigrazione1DocumentoMIURLineeGuidaPer
IntegrazioneDegliAlunniStranieriNellaScuola.pdf.
PERCORSO DI ACCOGLIENZA SCOLASTICA CENTRO IMMIGRATI BALDUCCI FVG
http://www.buoniesempi.it/materiali/1132/1132_ac
c_int_alunni_imm.pdf.
Centro di informazione e documentazione
interculturale curato dal CRES; scaricabile un kit di
prima accoglienza in varie lingue.
www.racine.ra.it/casadelleculture/interculturando/
Centro Tante tinte, promosso dal CSA di Verona. Alla
voce STRUMENTI un elenco di materiali utili per
l'inserimento e l'accoglienza.
www.istruzioneverona.it/indice/intercultura/
(2) Didattica per la
promozione e il
confronto delle culture
23
Produzione di attività, percorsi,
materiali didattici rivolti
all’integrazione degli studenti
stranieri, ma anche fare conoscenza
della cultura altra negli studenti
autoctoni. Presentazione,
esplorazione, confronto fra costumi,
abitudini, parole, racconti.
Le attività vengono però spesso
organizzate in modo tangenziale con
Sito che affronta il fenomeno migratorio sotto vari
aspetti; contiene una sezione dedicata all'integrazione
scolastica.
www.educare.it/Frontiere/intercultura/intercultura
_index.htm
Il sito contiene tutti i materiali elaborati dalle scuole
della rete SAM della regione Friuli Venezia Giulia.
www.progettosam.it
Cfr. Favaro, G. Aprire le menti nel tempo della pluralità, in D. Demetrio, G. Favaro, Didattica Interculturale: Nuovi
sguardi, competenze, percorsi, franco Angeli, Milano, 2002, pp.46-47.
Juliana E. Raffaghelli
Università Ca’ Foscari di Venezia
42
Modulo di Pedagogia Interculturale – Master EUITM
Internazionalizzazione ed intercultura: linee per ripensare la pedagogia
(3) Didattica per il
Decentramento dei
punti di vista
Didattica per la
prevenzione degli
stereotipi e dei
pregiudizi
Didattica per il
cambiamento delle
discipline
Didattica dell’italiano
come lingua seconda
riguardo ad un curriculo che rimane,
in certi aspetti, etnocentrico.
Dentro questo filone possono essere
inoltre incluse le biblioteche
interculturali ed i centri di
documentazione, che consentono la
conoscenza di opere, libri ed arte
proveniente da culture diverse
presenti nel territorio e non.
Approfondimento sulla base della
dimensione (2), diventa un approccio
nel quale si prendono in esame
specifici temi ed elementi culturali,
che sono poi analizzati a partire dai
diversi punti di vista, al fine di
evidenziare l’esistenza di una
molteplicità di prospettive nella
costruzione della realtà, e mettere in
luce le concezioni etnocentriche che
pervadono nei discorsi quotidiani,
ma anche nei saperi.
Un importante esempio è la
“Complex Instruction”
Approccio che riguarda intimamente
anche la riflessione relativa ai
contenuti disciplinari, inducendo gli
insegnanti a rimettere in discussione
alcuni degli assunti epistemologici e
culturali su cui sono stati finora
costruiti gli itinerari di
apprendimento24
E forse l’approccio più complesso,
che intende selezionare nuovi
contenuti e rivedere quelli già
presenti, a partire dalla constatazione
che gli attuali curricoli escludono
determinati elementi culturali, e sarà
necessaria una riflessione strutturale
sul curricolo per la formazione di
talenti in un aula ormai
multiculturale
Strategia mirata, attuata in presenzza
di alunni stranieri con particolari
necessità linguistiche, volta
all’insegnamento-apprendimento
della lingua e cultura italiana, poiché
l’acquisizione di una buona
competenza nell’italiano scritto e
parlato, nelle forme ricettive e
produttive, assicura uno dei
principali fattori di successo
scolastico e di inclusione sociale
Kit di materiali per l'educazione alla cittadinanza,
frutto delle esperienze pedagogiche in Italia delle
ONG di Volontari nel mondo – FOCSIV.
www.focsiv.org/impegno/globalkit/index.htm
Roma Multietnica – La guida all’intercultura nelle
biblioteche di Roma
http://www.romamultietnica.it/inside.asp?id=197
Complex Instruction in Italia
http://www.apprendimentocooperativo.it/cmz403120911651/Il_coop_learning/modelli/Complex_Instructi
on/a.html
Esercizi per spiazzare, decostruire, assumere il punto
di vista dell’altro
http://www.focsiv.org/impegno/globalkit/toolbox
/index.htm
Sito che intende costruire una storia delle migrazioni
attraverso i racconti dei migranti
www.storiemigranti.org
Riflessione Franco Cambi, IRRE: La storia a più punti
di vista
http://ospitiweb.indire.it/~fiir0001/cosmo/i_confini
_e_gli_scambi_cambi.rtf.
http://venus.unive.it/aliasve/index.php
ALIAS: Approccio alla Lingua Italiana per Allievi
Stranieri.
Materiali
per
la
formazione,
l'aggiornamento e l'intercultura. Presso l'Università
Ca' Foscari di Venezia.
www.elle2.it
Sito nato nel 2004 e curato da insegnanti esperti nella
didattica dell'italiano L2. Nell'area docenti una buona
sitografia.
www.italianoperstranieri.it/libri_saggi.htm
Sito di Marco Mezzadri, autore di numerosi libri per
la didattica dell'italiano come L2, con articoli e saggi
da scaricare liberamente
http://web.uvic.ca:80/hispanital/italian/italian100/
vocab/index.htm
Piccolo vocabolario interattivo della lingua italiana
24
Cfr. F.Susi, L’educazione interculturale fra teoria e prassi, in F. Susi (a cura di) L’interculturalità possibile:
l’inserimento scolastico degli stranieri, Anicia, Roma, 1995 pp.59-60
Juliana E. Raffaghelli
Università Ca’ Foscari di Venezia
43
Modulo di Pedagogia Interculturale – Master EUITM
Internazionalizzazione ed intercultura: linee per ripensare la pedagogia
A chiusura di questo capitolo, è bene sottolineare che la pedagogia interculturale non si
esaurisce nelle pratiche a scuola, sebbene in essa stiano nascendo le riflessioni più evolute,
dal semplice fatto che, come abbiamo reso noto nel primo capitolo, è il mondo che cozza
contro il sistema scolastico, è la comunità attorno alla scuola che impone ad essa dei ritmi,
delle pratiche, dei discorsi, mirati a risolvere la complessità della trama relazionale che si
viene a creare.
Per far capire quali gli spazi che sono inesorabilmente attraversati dall’entrata
dell’interculturalità, e più specificatamente, dalla necessità di una riflessione
pedagogica interculturale, ho voluto disegnare una mappa che diventa albero:
con un fusto grande, importante, che è quello della pedagogia interculturale
come asse di riflessione sulle prassi e progetti educativi lifelong learning. Con
un’area centrale dove partono i rami, rappresentata dalle diverse esperienze di
apprendimento e dai diversi contesti di apprendimento. E con una ricca fronda
rappresentata dalle pratiche ed aree di esperienza dove accade l’incontro
interculturale e dove compare con esso la necessità di un decentramento dei
modelli e contenuti insegnanti/erogati; della prevenzione degli stereotipi e dei
pregiudizi ; della promozione e il confronto delle culture ; di strategie di
accoglienza
ed
immissione
nella
lingua
e
cultura
locale.
Juliana E. Raffaghelli
Università Ca’ Foscari di Venezia
44
Modulo di Pedagogia Interculturale – Master EUITM
Internazionalizzazione ed intercultura: linee per ripensare la pedagogia
Schema
45
Trama Concettuale
e Fenomenologica
per pensare l’interculturalità
in ambito formativo/educativo
Qualità/Compatibilità
Internazionale
International
dell’Offerta Formativa Nazionale
Juliana E. Raffaghelli
Education
Università
Ca’
Foscari di Venezia
Educazione Comparata
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Internazionalizzazione ed intercultura: linee per ripensare la pedagogia
3. La professionalità del formatore nel contesto interculturale
In questa sezione miriamo a:




Riconoscere l’importanza data al ruolo dei formatori/insegnanti nella
società globale, come professionisti esperti per il cambiamento dei sistemi educativi
Evidenziare la problematica della distanza fra politiche e strategie di
programmazione e prassi quotidiana dell’insegnante, ruolo sociale che conosce oggi una
forte crisi d’identità professionale
Collegare la necessità di una profonda riflessione sull’insegnamento
l’introduzione dell’interculturalità in aula, con la necessità di un cambiamento nella
rappresentazione di professionalità docente nel contesto interculturale, di concezione
della propria disciplina e di pratica pedagogica.
Fornire strumenti per pensare il ruolo dell’insegnante/formatore come
ricercatore-etnografo attraverso una ricostruzione narrativa dell’incontro
interculturale nel contesto di apprendimento/insegnamento
Sul ruolo dei formatori nella società globale: formatori di qualità per la qualità educativa
Come indica Margiotta (1999), l’evoluzione del ruolo degli insegnanti richiede nuove
conoscenze e capacità. Considerate le profonde trasformazioni in atto nelle società, ci si
aspetta dagli insegnanti una padronanza di sistemi di conoscenze e di abilità che non si
esaurisce ai tradizionali ambiti didattici o metodologici ma che comprendono ad esempio
anche la comprensione dei problemi di personalità degli adolescenti e dei giovani, la
capacità di ascoltare la domanda formativa indiretta che proviene dalle famiglie, la
conoscenza dei metodi di gestione e di organizzazione propri dei servizi alla persona. E’
da notare peraltro che in un contesto organizzativo caratterizzato da crescente complessità
e da risorse in diminuzione tendenziale crescente, lavorare nella scuola significherà
sempre più confrontarsi (a livello individuale e collettivo) con i problemi e gli indicatori
tipici dei sistemi di controllo di qualità. Non è possibile nessuna definizione statica ed
uniforme di tale profilo. Ciò appare sempre più vitale e decisivo per la qualità
dell’istruzione nella società globale è costituito dalle capacità inventive e valoriali
dell’insegnante, e dal modo in cui comunità di insegnanti professionisti le investono nella
ricerca, nell’invenzione, nella gestione e nella diffusione delle soluzioni innovative
richieste dal continuo e obbligato ridislocarsi dell’istruzione della società complessa.
Oggi l’insegnante viene chiamato, in quanto esperto e professionista, ad assicurare la
formazione e lo sviluppo dei talenti negli allievi e nelle comunità di riferimento
territoriale. Le coordinate entro le quali si consuma la qualità del servizio diventano per
tanto le seguenti25:
Il lavoro in team, il lavorare in quanto appartenente ad una comunità esperta che non si
limita a consegnare il prodotto, ma che si assicura la soddisfazione del cliente come
principale parte di accreditamento e di legittimazione del proprio lavoro;
25
Margiotta, a cura di. L’insegnante di qualità. Valutazione e Performance. Collana innovazione e ricerca, Armando
Ed., Roma, 1999.
Juliana E. Raffaghelli
Università Ca’ Foscari di Venezia
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Internazionalizzazione ed intercultura: linee per ripensare la pedagogia
La capacità di leggere dentro lo sviluppo dei talenti e dei bisogni di crescita delle nuove
generazioni (diagnosi educativa), e di saperle motivare e orientare alla speranza;
La rivisitazione esperta e collegiale delle conoscenze e dei saperi tramandati dalla cultura,
con l’obiettivo di rigenerarli assieme ai propri allievi in vista delle sfide poste dalla
globalizzazione;
La qualità della relazione educativa che viene ad istituirsi dentro e intorno alle diverse
comunità scolastiche.
L’apprendimento organizzativo, come condizione essenziale per l’insegnante, di imparare
a cambiare e ad evolvere in sintonia con l’evoluzione della storia, della cultura, della
specificità dell’autonomia della comunità scolastica di cui è parte integrante.
La valorizzazione delle esperienze, apprendendo dai problemi che esse costantemente
generano.
Margiotta introduce inoltre le dimensioni operative per definire lo spazio formativo para
un profilo dell’insegnante di qualità:
Conoscenza e padronanza dello specifico metodologico ed epistemologico delle
conoscenze e del contenuto dei relativi programmi;
Conoscenza e padronanza dei principi e delle metodologie di analisi e sviluppo del
curricolo formativo, e capacità di governarlo in relazione allo sviluppo dei talenti negli
allievi;
Competenze didattiche, relative cioè alla padronanza di un repertorio di strategie
didattiche e capacità di applicarle in coerenza con l’impianto curricolare di riferimento;
Capacità di riflessione e di autocritica, assunte come carattere distintivo del lavoro
cooperativo dell’insegnante;
Empatia, intesa quale capacità di ascoltare e comprendere gli altri riconoscendone dignità
e talenti;
Competenza gestionale, intesa come capacità ad assumere ruoli ovvero di sviluppare
servizi nell’ambito del lavoro scolastico, diversi dall’insegnamento dentro e fuori dall’aula.
La qualità dell’insegnante, non può essere vista come una sommatoria di queste
competenze, come comportamenti misurabili e disgiunti, bensì come un concetto globale,
un insieme di qualità che esprime la combinazione di tutte le dimensioni appena
tratteggiate, per la costituzione del carattere distintivo del docente esperto.
Per integrare con una dimensione europea quanto prima riportato, e’ utile soffermarsi sul
documento elaborato della Commissione Europea nel luglio 2005, a conclusione del lavoro
svolto in oltre due anni da un gruppo di esperti a supporto del programma di lavoro
comune sulle possibilità di miglioramento e potenziamento della formazione di insegnanti
e formatori. Il documento, dal titolo “Principi comuni europei per le competenze e le qualifiche
degli insegnanti”26, sintetizza opportunamente il dibattito, declinando i principi comuni che
valgono come strumento di appoggio per l’elaborazione di politiche in materia di
formazione degli insegnanti in ambito europeo e per l’adozione di misure operative.
L’insegnamento è:
 una professione accreditata da un diploma di studi di livello universitario:
26
http://europa.eu.int/comm/education/policies/2010/doc/principles_en.pdf.
Juliana E. Raffaghelli
Università Ca’ Foscari di Venezia
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Internazionalizzazione ed intercultura: linee per ripensare la pedagogia
gli insegnanti devono essere formati a livello di istruzione superiore o a un livello
equivalente ed aver ottenuto quindi un diploma di livello universitario, garantendo in
questo modo una formazione pluridisciplinare (disciplina specifica, processi pedagogicididattici…). I programmi di formazione degli insegnanti dovrebbero adattarsi ai tre cicli di
livello universitario (3+2+3), per garantire la loro collocazione dentro allo spazio europeo
di istruzione superiore e promuovere l’offerta di mobilità nell’ambito professionale.
 una professione che si situa nel contesto del lifelong learning:
lo sviluppo professionale degli insegnanti deve collocarsi in un contesto di educazione e
formazione permanente, sostenuto da un sistema di offerte coerente a livello locale,
nazionale e europeo.

una professione mobile:
la mobilità è una componente centrale dei programmi di formazione iniziale e continua
per gli insegnanti, che sono incoraggiati a effettuare periodi di mobilità in altri paesi
europei. Da qui la necessità di sviluppare un sistema di riconoscimento reciproco delle
competenze e dei percorsi di formazione.
una professione basata sulla partnership tra attori della formazione:
gli istituti di formazione degli insegnanti devono realizzare forme di partnernariato con le
scuole, l’industria e il mondo professionale, in modo che gli insegnanti possano essere
sempre informati sugli sviluppi della ricerca e sulle innovazioni.

Gli insegnanti devono misurarsi con quattro competenze professionali chiave, che
dovranno sviluppare nell’arco della loro carriera:
 lavorare con l’informazione, le tecnologie e le conoscenze;
 lavorare in stretta collaborazione con studenti, colleghi e altri attori della
formazione;
 promuovere la mobilità e la cooperazione in Europa;
 lavorare in seno alla società dal livello locale fino al livello internazionale.
Il lavoro degli insegnanti si inserisce pertanto in un percorso di formazione permanente in
cui non si sentiranno mai completamente formati. La professione docente è infatti legata
strettamente all’innovazione e alla ricerca, e gli insegnanti, anche se non possono
considerarsi dei ricercatori, devono comunque essere in grado di fare propri i risultati
della ricerca e dell’innovazione e trasferirli nel loro lavoro in classe, sia in relazione
all’evoluzione dei saperi che insegnano sia in relazione ai progressi tecnologici e
metodologici in ambito educativo.
Per il 2007, in un recentissima Comunizazione Europea al Parlamento Europeo e al
Consiglio27, viene sottolineato che “i circa 6,25 milioni di insegnanti svolgono un ruolo cruciale
nell’aiutare i discenti a sviluppare pienamente le proprie capacità e potenzialità per la crescita ed il
benessere personali e nel fare in modo che acquisiscano tutta la complessa gamma di conoscenze di
cui avranno bisogno in quanto cittadini e lavoratori (…), mediatori fra un mondo in rapida
evoluzione.” E sebenne ci siano importanti progressi, quanto acquisito, seguendo
l’evoluzione dei numeri che gli indicatori promuovono, non è sufficiente per il
raggiungimento degli obiettivi di Lisbona.
27
COM (2007) 392 definitivo “Migliorare la qualità della formazione degli insegnanti”, Bruxelles, 3/8/2007
Juliana E. Raffaghelli
Università Ca’ Foscari di Venezia
48
Modulo di Pedagogia Interculturale – Master EUITM
Internazionalizzazione ed intercultura: linee per ripensare la pedagogia
Ci sono nuove esigenze quindi per la professione degli insegnanti che, come (in) qualsiasi
professione moderna, hanno anche responsabilità di ampliare i confini delle loro conoscenze
professionali attraverso una cultura della riflessione, attraverso attività di ricerca e un impegno
sistematico per lo sviluppo professionale continuo in tutto l’arco della carriera. I sistemi di
formazione e di istruzione destinati agli insegnanti devono fornire l’opportunità di realizzare
quanto indicato.
Il documento inoltre denuncia una carenza di competenze esistente, e una disponibilità
limitata di formazione. L’indagine OCSE del 200528 risulta che quasi tutti i paesi deplorano
lacune a livello delle competenze didattiche e difficoltà nell’aggiornamento di queste
ultime. Le lacune si riferiscono in maniera particolare alla mancanza delle competenze
necessarie per affrontare la nuova evoluzione dell’istruzione (ivi compreso
l’apprendimento individualizzato, la preparazione degli alunni all’apprendimento
autonomo, la capacità di gestire classi eterogenee, la preparazione dei discenti allo
sfruttamento ottimale delle TIC, ecc)
In molti stati esiste uno scarso coordinamento sistematico fra i vari elementi della
formazione degli insegnanti, il che comporta una mancanza di coerenza e di continuità, in
particolare fra l’istruzione professionale iniziale del docente e il successivo
perfezionamento professionale, la formazione continua e lo sviluppo professionale.
Considerando i principi comuni descritti nel documento del 2005 (cfr. sopra), due anni
dopo la Commissione ritiene che si debbano seguire alcune fasi strategiche per venire
incontro alle problematiche di opportunità di aggiornamento:
1. la formazione degli insegnanti trova nel sistema universitario il principale
ambiente formativo di riferimento ;
2. i diversi momenti di formazione degli insegnanti devono inquadrarsi in un
sistema internazionale di riconoscimento dei percorsi formativi ;
3. la formazione degli insegnanti deve essere intesa come un percorso continuo e
coerente che accompagna la carriera professionale del docente ;
4. gli insegnanti devono essere incoraggiati alla mobilità e alla condivisione delle
proprie esperienze professionali e formative con colleghi di altri paesi e altri attori del
mondo della formazione ;
5. gli insegnanti si devono inserire in un contesto di ricerca e innovazione da
trasferire nella loro pratica docente quotidiana.
E’ evidente che la professionalità dell’insegnante/formatore va spinta verso una
dimensione internazionale, europea, ma soprattutto aperta al cambiamento globale, in
un’ottica di complessità ed interdisciplina che richiedono l’allargamento dei contesti di
formazione dei formatori ed insegnanti per ripensarsi all’interno dei sistemi educativi.
Invece, per quanto sia sia stata rassicurata dai policy papers dell’UE la necessità di una
strategia di internazionalizzazione della formazione degli insegnanti in particolare e dei
formatori in generale, alcuni fatti particolari stanno ostacolando tale processo, ed è a
tutt’oggi critico lo stato di avanzamento. In effeti, i sistemi moderni di educazione
superiore, così come i sistemi educativi in generale, sono stati fortemente strutturati
seguendo le logiche nazionali, ovvero di conformazione degli stati nazionali, e
chiaramente, sebbene abbiano ricevuto gli influssi della globalizzazione come abbiamo
indicato sopra, essi sono nazionali prima ancora che universali. I problemi che gli insegnanti
28
Teachers Matter, OECD 2005
Juliana E. Raffaghelli
Università Ca’ Foscari di Venezia
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Modulo di Pedagogia Interculturale – Master EUITM
Internazionalizzazione ed intercultura: linee per ripensare la pedagogia
possono avere per vedersi riconoscere la propria professionalità in altri sistemi educativi,
risponde giustamente al carattere nazionale dei sistemi educativi, come principio che entra
in forte contraddizione con la dichiarata natura universale della conoscenza umana.
Questa contraddizione è sotto una accesa discussione nel periodo contemporaneo, e
l’entrata dell’interculturalità come dimensione nell’educazione fa riferimento a questo
dibattito.
Si può dire che la cooperazione educativa abbia una lunga tradizione nella formazione
superiore, e che la ricerca si sia costruita attraverso dinamiche di scambio internazionale.
Ma lo stesso non è applicabile per l’educazione in generale, che ha la valenza di istituzione
socializzante e come tale promuove valori nazionali. In mezzo a questo dilemma, troviamo
chiaramente gli insegnanti.
Europa è stata divisa per secoli, e da soltanto ’50 anni di storia tenta un processo di
“internazionalizzazione interna” ovvero una “europeanizzazione” (dall’inglese
europeanisation), termine che inizia a circolare già nel 1999 .
La domanda “What is an European Teacher”, come è stato indicato in una recente
indagine dell’ENTEP (European Network on Teacher Education Policies) 29 , ha avuto
come risposta un spesso il timore di creare un “insegnante” standard. La diversità –che ha
alla base la diversità culturale e linguistica europea- quindi viene messa oggi al centro
della discussione del processo di europeanisation, come ricchezza principale europea.
Preoccupa molto, seguendo la suindicata ricerca, l’incompatibilità dei sistemi e gli ostacoli
per una mutua comprensione e soprattuto per una fruizione di questa “ricchezza
europea”.
I sistemi di formazione iniziale degli insegnanti possono essere particolari indicatori di
aree di “riserva nazionale”. Tradizionalmente, la formazione degli insegnanti è stata più
vicina alle accademie militari o di polizia che dalle università: la formazione degli
insegnanti è stata percepita come una parte della “sovranità nazionale”. Soltanto la
tensione ad uno sviluppo più complesso delle società, come nel caso europeo, ha lasciata
aperta la porta per pensare ad una dimensione superiore della formazione degli
insegnanti, nelle competenze disciplinari, conoscenze psicopedagogiche e principalmente
nella cultura generale dell’insegnante. Ma man mano che le riforme avanzano nei diversi
paesi europei e non, la figura dell’insegnante continua ad essere ristretta nelle maglie della
normativa di accesso alla professionalità. Un insegnante lo è se all’interno de un sistema
nazionale (per esempio per quanto riguarda all’insegnamento dell’italiano, storia, identità
civica, scienze sperimentali), ma vi è una crescente necessità (negli stessi sistemi
nazionali), dinnanzi non soltanto all’apertura europea, ma anche alla problematica
dell’immigrazione, di colocarlo in un contesto Europeo, attraverso la mobilità e gli scambi
con reti di colleghi europei, la padronanza delle lingue, della visione interculturale della
storia, dell’interdisciplina, delle molteplici identità della cittadinanza europea). E questo
non vale soltanto per il contesto europeo: sicuramente, ha una valenza globale.
Potrei dire, seguendo questa linea di ragionamento, che il problema del dialogo glocal
nell’educazione, si cristallizza nella formazione degli insegnanti, nel problema della discussione di
quale professionalità, e quale percorso per una tale professionalità.
29
European Network on Teacher Education Policies, iniziativa lanciata dagli stati membro nel 1999. Fonte: www.pafeldkirch.ac.at/enterp
Juliana E. Raffaghelli
Università Ca’ Foscari di Venezia
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Modulo di Pedagogia Interculturale – Master EUITM
Internazionalizzazione ed intercultura: linee per ripensare la pedagogia
Mi concentrerò a questo punto su di una interessante esperienza, di diversi progetti di
formazione degli insegnanti di lingue straniere presso la SSIS del Veneto. Su tale
esperienza è stato organizzato un seminario di riflessione dell’indirizzo di Lingue
straniere “La dimensione Europea nella formazione iniziale degli insegnanti: esperienze della SSIS
Venento in Europa”, poi riportata in numero monografico della Rivista “Formazione &
Insegnamento”.
Vale la pena tracciare brevemente quelle che sono state le conclusioni portanti di questa
esperienza (Coonan, 2005).
La proposta, sviluppata dalla SSIS del Veneto, ha raccolto esperienze portate avanti in
partnership con l’università IVLOS di Utrecht, con la partecipazione di paesi come la
Spagna, Olanda, Norvegia, e Germania –elementi per la strutturazione
dell’apprendimento riflessivo nei programmi di formazione iniziale ed in servizio dei
docenti -; motivazioni della formazione europea dei futuri docenti di lingue straniere e la
formazione dei formatori –SSIS Veneto-; implementazione del Modello Riflessivo nel
tirocinio indiretto, alcune buone pratiche dall’europa viste in ambito locale; docenti
contatto e docenti accoglienti all’estero e in ambito locale; diario di bordo dell’accoglienza
di un gruppo di docenti stranieri; le problematiche di progettazione di un curricolo
europeo in Lingua e Letteratura, e in Fisica, Matematica, ed Informatica;
l’implementazione del portfolio del tirocinio all’estero, per la documentazione e la
valorizzazione delle esperienze europee all’estero.
La voce degli insegnanti e formatori partecipanti a questo percorso, nella trasmissione
delle proprie esperienze, sembra appassionata e descrive in modo vivo l’essenza di
un’esperienza di formazione iniziale che è stata arricchita dalla dimensione europea. Da
queste esperienze emerge nitidamente il valore aggiunto che va a corredare il curricolo di
una istituzione che integra e valorizza nel percorso di formazione iniziale esperienze
caratterizzate da una forte dimensione europea.
Tutto questo entusiasmo iniziale dell’esperienza, ciò nonostante, deve essere commisurato
con una certa regolarità degli interventi di formazione in mobilità e dell’internationalisation
at home: poiché si rischia di perdere di vista che non possono essere casi isolati, bensì una
pratica che si allarghi alla concezione della professionalità dell’insegnante.
Qui, la dimensione internazionale della professionalità dell’insegnante, è in tensione con la
generazione di spazi di valorizzazione della figura e ruolo docente. In effetti, come è stato
indicato in numerosi studi sulla formazione dell’identità professionale dell’insegnanti, chi
legato a modelli di trasmissione della disciplina e certezze date dal curricolo nazionale,
può, attraverso la autonomia e le successive riforme, entrare in crisi con risposte di difesa
che si dimostrano inadeguate sia per la motivazione professionale docente che per
l’efficacia del proprio compito (Botìa, Fernandez Cruz, Ruiz, 2004)
La conclusione su queste esperienze, è sicuramente che la possibilità di riflettere sulla
pratica, di pensarsi come nodo di una rete internazionale può generare processi di
filiazione istituzionale, di appartenenza e di valorizzazione del ruolo in un contesto di
internazionalizzazione dei sistemi dell’istruzione.
Riflessività del formatore e ricostruzione dell’identità professionale nel contesto globale
Juliana E. Raffaghelli
Università Ca’ Foscari di Venezia
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Modulo di Pedagogia Interculturale – Master EUITM
Internazionalizzazione ed intercultura: linee per ripensare la pedagogia
Nell’intervento educativo interculturale, al formatore viene affidato questo compito
essenziale di ascolto nella relazione interculturale, di conduzione di gruppi multiculturali
verso il dialogo, la tolleranza, l’esplorazione delle diverse culture presenti in un
determinato spazio formativo.
Per tale operazione di ascolto, il formatore deve, in primis, essere in grado di una propria
riflessività sulla pratica, di costruire e decostruire pregiudizi e storie personali che
configurano la propria costellazione culturale. Una tale riflessività sui propri discorsi,
concezioni e teorie della mente che viene reclamata nella relazione interculturale (delle folk
psychologies di qui il docente e discente sono portatori), non può pretendersi spontanea.
Essa risiede in uno sforzo consapevole di riposizionamento speculare del formatore che
guarda sé stesso nella propria cultura e dinnanzi alla cultura altrui, che interroga la
propria cultura per poi interrogare quella altrui. F. Gobbo30, che ha elaborato una linea di
ricerca relativa all'intervento dell'insegnante come etnografo nella classe multiculturale,
indica che il docente può cambiare lo sguardo ed atteggiamento nel confronto con la
diversità proprio attraverso un’attività di ricerca come osservatore partecipante, dei sensi
che motivano il comportamento diverso, delle strade da ripercorrere per attivare strategie
di insegnamento efficaci nel confronto del bambino straniero. Dice la Gobbo che un tale
processo riattiva gli effetti del processo di inculturazione: ovvero, porta a ripensare ciò che
è naturale, quelle attribuzioni di senso alla realtà ed al comportamento umano che abbiamo
ricevuto, come ogni persona umana, dalla nascita nell'ambiente culturale nel quale siamo
nati. Ed è possibile che in questa “acculturazione” al diverso, succeda che si decida di
abbandonare alcune abitudini, comportamenti e valori, nel capire comunque che la nuova
e la vecchia prospettiva sono semplicemente una delle tante possibili prospettive, delle
quali ci nutriamo per creare le teorie della mente e dell'apprendimento che fanno efficace o distruttivo- il processo di apprendimento.
A questo l'autrice lo chiama “vocazione interculturale ante-litteram”, e lo situa proprio
nella tradizione di ricerca antropologica, particolarmente con riguardo alla ricerca
etnografica, dato che in entrambe due vi è lo sforzo intenzionale d'incontro della diversità,
di assunzione speculare del punto di vista altrui, di comprensione, ma soprattutto, di
liberare la mente di chi fa ricerca dalle abitudini apprese, dai pregiudizi, ascoltando e interrogando
le proprie aspettative disattese e le emozioni impreviste che intervengono durante l'indagine
(Gobbo, 2004: 128).
Quindi vediamo che vi è un'operazione, uno sforzo consistente che il formatore è chiamato
a fare, quale responsabile di tessere la maglia fondamentale che sostiene chi apprende, chi
è, nonostante la valorizzazione della propria identità e conoscenza, nella posizione più
debole, che si muove ancora nella zona di sviluppo prossimale (Vigotskij, 1934). Un
operazione che reclama una concezione pedagogica interculturale.
Assumo che questa operazione non può essere compiuta se il formatore non è stato
adeguatamente preparato, come il ricercatore etnografo, ad avere i particolari elementi di
una metodologia, ma anche di un riposizionamento dei propri valori personali.
E' a questo punto che voglio rivalorizzare una pedagogia dello scambio: il valore di viaggio,
inteso nel senso più ampio della parola, ovvero un cammino di scoperta del sé nella
30
Gobbo, F. (2000), Pedagogia Interculturale. Il progetto educativo nelle società complesse, Roma: Carocci. Faccio
in questo punto particolarmente riferimento all'ultimo capitolo dell'opera, Prospettive di ricerca e di Intervento nella
classe multiculturale, dove l'autrice delinea per la prima volta la strategia di intervento dell'insegnante come
ricercatore etnografico, ovvero un osservatore partecipante che interpella sé stesso nella relazione con gli alunni
stranieri per trarre delle conclusioni che lo portano all'implementazione di una didattica mirata
Juliana E. Raffaghelli
Università Ca’ Foscari di Venezia
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Modulo di Pedagogia Interculturale – Master EUITM
Internazionalizzazione ed intercultura: linee per ripensare la pedagogia
situazione di scambio culturale sperimentata come momento formativo, e preparatoria a
mettere in atto strategie di educazione interculturale.
Il viaggio in senso metaforico, dunque, pensato da una narrativa della transizione, come
metodologia per formare all'intercultura.
Diversamente da quanto accade quanto è il formatore ad incontrare la diversità in aula, la
mia assunzione è che gli strumenti per poter affrontarla efficacemente, per poter attivare
un intervento educativo che ha alla base una pedagogia interculturale, si trovano
nell'esperienza dello scambio, in un modo di apprendimento esperienziale che possiamo
immaginare come percorso di cambio, di spostamento, di immissione in una situazione
culturale estranea, e per tanto di allargamento culturale dei contesti di apprendimento e
formazione dello stesso insegnante/formatore.
Una formazione che non può più essere intesa come “essere informato sulle diverse
culture” neppure come “voler lavorare con la diversità”; enunciati banali spesso indicati
da chi, davanti alla polisemia dei fenomeni che pone davanti l'interculturalità, crea nuove
etichette, che continua a separare e ad essere superficiale. Le pratiche di formazione che
emergono da questi posizionamenti potrebbero provocare piuttosto il rifiuto dell'altro in
situazione di apprendimento, ad allontanarlo poiché irrigidiscono una relazione
asimmetrica insegnante-allievo.
Si tratta dunque di esporsi ad esperienze d'immissione in un ambito culturale estraneo,
esperienza che mi piace chiamare il viaggio. Ovvero, l'apertura di spazi dove la propria
cultura viene messa in evidenza in modo critico per capirne le relazioni con le culture
altrui, e dove esistono elementi reali che creano lo spostamento del baricentro culturale,
l'incomodità ---non quella che annulla il partecipante, ma quella che riesce a metterlo in
una situazione di auto-interrogazione.
Quando il docente/insegnante/formatore, si confronta con un allievo straniero,
intraprende quindi un viaggio simile a quello del suo studente: si confronta con le stesse
paure, preoccupazioni e scelte.
Il viaggio è inoltre metafora di metodi d’insegnamento che cambiano: nella lezione
frontale, l’insegnante ed il formatore sono nella “terraferma” della propria concezione di
una problematica o disciplina.
La ricostruzione della tematica attraverso metodologie partecipative (quali,
fondamentalmente, il cooperative learning), con l’uso di nuove tecnologie (come per
esempio la multimedialità per spronare la conoscenza di suoni ed immagini da altre
culture) nonché la ricchezza di risorse, materiali e persone (contesti sociali di
apprendimento) consentono un percorso a varie tappe di costruzione congiunta della
conoscenza, di analisi critico dei diversi punti di vista.
Chiaramente, il registro e la riflessione di questo viaggio, il racconto, le conversazioni,
sono gli spazi di creazione di senso dove l’accoglienza si esprime veramente: accoglienza,
innanzitutto, nel consentire a chi viene da fuori di partecipare nella costruzione di una
memoria condivisa, la quale può anche fare propria.
Raccontare il viaggio, raccontarsi: valorizzazione dell'esperienza interculturale
Caminante, son tus huellas
el camino y nada más;
Juliana E. Raffaghelli
Università Ca’ Foscari di Venezia
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Modulo di Pedagogia Interculturale – Master EUITM
Internazionalizzazione ed intercultura: linee per ripensare la pedagogia
caminante, no hay camino,
se hace camino al andar.
Al andar se hace camino
y al volver la vista atrás
se ve la senda que nunca
se ha de volver a pisar.
Antonio Machado, Cantares (1932)
Il metodo scelto per creare questo spazio, non può essere altro che quello di una ricerca
qualitativa, di costruzione di senso, ed è in particolare quello della ricerca narrativa
(Connelly & Clandinin, 1999).
La narrazione, si ritiene un dispositivo conoscitivo ed ermeneutico che consente il
conferimento di un senso ed un significato a specifiche azioni compiute. Il soggetto,
attraverso la narrazione, si ri-connette con la propria storia, sperimenta o riscopre la
possibilità di confermare abitudini mentali, ipotesi,m valori, scelte, ma anche di formulare
altre e nuove supposizioni, punti di vista e interpretazioni sulla propria esistenza, sul
proprio processo di crescita e cambiamento.
Dice Demetrio (Demetrio, 2005), che il concetto di narrazione sembra essersi sostituito a
quello di educazione negli ultimi anni, contagiando tutte le scienze umane, poiché vi è una
fascinazione del sapere raccontato, che s'intreccia con gli obiettivi di base della pedagogia:
il racconto è sicuramente la base di ogni azione educativa.
E' possibile riconoscere a livello teorico e metodologico che, se educare è parola che rinvia
non ad un singolo atto, ma ad un insieme o sistema di eventi (l'incontro con conoscenze
socialmente utili, con norme di comportamento, con valori, ecc.) o all'allestimento di
stiuazioni favorevoli a ciò, le modalità narrative e discorsive erano senz'altro da
privilegiare in rapporto alla dimensione metodologica, al lavoro di comunicazione degli
educatori. Il narrare, già lo si era compreso, esprimerebbe infatti forme ed habitus
comunicativi connessi con le esigenze più semplici ed elementari di acquisizione delle
conoscenze e, per tale motivo, accessibili. Nella loro primordiale arcaicità, si presentano
connaturate all'uso pratico del linguaggio e non solo verbale. Così importanti da dover
essere favorite anche quando ci si occupi di veicolare insegnamenti che implicano
l'innovazione nel metodo e le pratiche.
Come i viaggiatori dell'antichità, il racconto si torna la risorsa strategica che guida il
viaggio, attraverso dell'osservazione attenta di ogni episodio, la raccolta di ogni novità. Il
viaggiatore sembra essere così consapevole di andare incontro a ciò che gli è estraneo, che
il raccontare sembra un modo per attutire l'impatto di ciò che è nuovo, e che per quanto
possa generare una sensazione di avventura, provoca anche una paura intima naturale
nell'uomo.
La scelta delle immagini e le parole: l'interpretazione demistificante di Ricoeur alla
base.
Ricoeur prende le mosse da Karl Jaspers e Edmund Husserl per analizzare la cruciale
tematica del linguaggio come luogo in cui si pone il problema del senso, e a cui è
strettamente connessa l’interpretazione, che è comunque interpretazione del mondo.
Juliana E. Raffaghelli
Università Ca’ Foscari di Venezia
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Modulo di Pedagogia Interculturale – Master EUITM
Internazionalizzazione ed intercultura: linee per ripensare la pedagogia
Interpretazione secondo due modi: il primo è quello dell’esegesi, il secondo l’ermeneutica
demistificante.
Questi due orientamenti sono propri della tensione della modernità, ovvero della tensione
tra volontà di sospetto e volontà di ascolto, che assieme animano l’Ermeneutica.
Ricoeur ritiene fondamentali i tre maestri del sospetto, Marx, Nietzsche e Freud, che
hanno definito come falsa scienza quella di origine cartesiano, proprio quella che avrebbe
dovuto invece fugare ogni dubbio. Questi tre maestri hanno mostrato che dietro alle
grandi certezze sussistono rispettivamente valori economico – sociali, la volontà di
potenza e l’inconscio.
Al centro della riflessione ermeneutica vi è il simbolo, valorizzato attraverso l’emblema del
sogno di provenienza freudiana, sogno che è “regione del senso duplice” e che dunque
chiama in causa l’interpretazione, poiché in ogni simbolo vi è un significato manifesto ed
uno latente. Interpretazione è il passaggio dall’uno all’altro.
Ricoeur distingue tra segni e simboli linguistici: i primi hanno funzione solo nel
linguaggio comunicativo, mentre i simboli permettono di esplorare il senso dell’esperienza
umana, hanno un senso figurato verso cui il senso manifesto costituisce comunque una via
d’accesso (come accade ad esempio nella metafora). La ricerca di questi sensi va effettuata,
ad esempio, nelle opere letterarie, cercando di coglierne il senso profondo e
l’intenzionalità da cui sono guidate.
Per questo motivo l'idea della scelta delle immagini, degli oggetti, nel senso che essi
possano rappresentare una realtà narrativa passibile di interpretazione, un processo di
ricostruzione intrapreso non soltanto dal formatore come ricercatore della esperienza
interculturale, ma anche dall’allievo stesso che partecipa dalla costruzione di un racconto
nuovo: quello che accade in aula.
Pedagogia Interculturale: un viaggio attraverso la relazione
formativa
Costrutti e Discorsi attorno alla Differenza nel processo di apprendimento
(Concetti, pratiche, costumi)
Disponibilità nel contesto di
apprendimento (classe, scuola,
comunità,
territorio)
per
interpretare,
legittimare/riconoscere la presenza
della diversità
Il viaggio: suoni,
immagini,
sensazioni, racconto
Confronto e Partecipazione
per la creazione di una
memoria congiunta –racconto
del viaggio- (classe, scuola,
comunità, territorio)
Juliana E. Raffaghelli
Università Ca’ Foscari di Venezia
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Modulo di Pedagogia Interculturale – Master EUITM
Internazionalizzazione ed intercultura: linee per ripensare la pedagogia
Conclusioni
In questo modulo ho fatto un breve ex-cursus su una tematica che ormai può annoverare
una quantità importantissima di contributi, esperienze e ricerche.
Nel scegliere alcune tematiche o voler focalizzare, ho rischiato di lasciare discussioni
attualissime con riguardo agli sviluppi concettuali ed esperimentali.
Invece, volendo andare a coprire un ampio raggio di aspetti della tematica, mi sono
confrontata con la mancanza di precisione per poter definire certi fenomeni che in questo
momento stanno suscitando accessi dibattiti nella comunità scientifica.
Nonostante queste mie difficoltà, spero vivamente di aver trasmesso un idea essenziale
sullo stato dell’arte, e principalmente sulla necessità di pensare la pedagogia
interculturale, ormai non più come un incidente estraneo al normale divenire dell’attività
in aula. Invece, il mio forte desiderio è stato quello di provocare a insegnanti e formatori a
ripensare la propria pratica alla luce di una riflessione che attraversa ogni singolo atto del
docente e dell’allievo, ovvero, l’essere prodotti da una cultura, e quindi, portatori di
messaggi, discorsi, narrative, che si confrontano, e che il docente –soltanto lui- deve
guidare, all’interno della propria responsabilità di conduzione pedagogica, verso nuovi
consensi, che diano spazio a costruzioni positive del sé degli studenti…stranieri e non…in
una società multiculturale e complessa.
Juliana E. Raffaghelli
Università Ca’ Foscari di Venezia
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Internazionalizzazione ed intercultura: linee per ripensare la pedagogia
Sitografia Ragionata
RIVISTE
Didattica & classe plurilingue
www.associazioni.comune.firenze.it/ilsa/dcp.htm
Quadrimestrale consultabile on-line a cura di ILSA (Insegnanti Italiano Lingua Seconda Associati).
Ciascun numero è composto da uno o più articoli, delle proposte di attività didattiche, report di
esperienze già fatte in classe, suggerimenti bibliografici e segnalazione di convegni o corsi sul tema della
formazione dei docenti di italiano L2.
Educazione interculturale. Culture, esperienze, progetti
http://www.erickson.it/erickson/contentRel.do?id_c=676&id=726
Quadrimestrale della Erickson che si pone da un lato come strumento di conoscenza, dall'altro come
laboratorio per l'elaborazione di percorsi di educazione interculturale. Si rivolge, oltre che a insegnanti e
dirigenti, anche a educatori, famiglie, operatori sociali e a chi è coinvolto in attività educative.
In.IT
www.initonline.it
Quadrimestrale di servizio per gli insegnanti di italiano come lingua straniera, diretto da Paolo Balboni.
È uno strumento di aggiornamento sui temi della glottodidattica dell'italiano come L2 e come LS, rivolto
a tutti i docenti che operano in ambito multiculturale. Spunti di riflessione teorica, segnalazioni di
progetti di ricerca, nuove pubblicazioni, offerte formative nel campo dell'insegnamento/apprendimento
linguistico dell'italiano lingua seconda, soprattutto dalle Università di Venezia e dalle Università per
Stranieri di Siena e Perugia.
TEACHING TOLERANCE
http://www.tolerance.org/teach/about/index.jsp
Semestrale che offre agli educatori materiali per favorire il rispetto delle diversità.
INTERCULTURA E MULTIMEDIALITA’
www.vbscuola.it/pagine/lingua_araba.htm
Sito dedicato all'uso attivo delle nuove tecnologie nell'educazione per lo scambio di esperienze e materiali
didattici senza fini commerciali. Contiene, tra l'altro, alcuni software scaricabili e utilizzabili liberamente
per l'insegnamento della lingua araba utilizzabili con bambini, ragazzi e adulti.
www.mondoacolori.rai.it
Sito della Rai con l'archivio dell'omonimo programma: inchieste, testimonianze e reportages; una sorta di
osservatorio permanente sulla convivenza di identità ed istanze culturali diverse.
www.educational.rai.it/corsiformazione/intercultura/default.htm
Progetto di ormazione a distanza RAI-MPI che ha portato alla realizzazione di numerosi materiali
suddivisi per nodi tematici.
www.crocusproject.net/
Servizi a distanza per scuole plurilingui e interculturali.
www.socrates-me-too.org/
Il progetto Me Too - Anch'io, la multimedialità per il plurilinguismo e l'interculturalità nelle scuole.
www.ilmondoascuola.rai.it
Sito del progetto Civis-il mondo a scuola, realizzato da RaiNet su indicazione del MPI
ISTITUZIONALE: MIUR E REGIONI (alcuni esempi)
www.interno.it/sezioni/attivita/stranieri/
Sito del Ministero dell'Interno sull'immigrazione (con news e normativa).
http://www.centrocome.it/indexflash4.html
Sito del Centro Come di Milano, con molti materiali interessanti: schede tradotte, percorsi da effettuare in
classe, ecc.
http://www.pavonerisorse.to.it/intercultura/
Sito della Direzione Didattica di Pavone Canavese, curata da Aluisi Tosolini.
Juliana E. Raffaghelli
Università Ca’ Foscari di Venezia
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Modulo di Pedagogia Interculturale – Master EUITM
Internazionalizzazione ed intercultura: linee per ripensare la pedagogia
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Sito di documentazione interculturale del comune di Bologna.
http://62.77.63.181/isn_istruzionesicilia_it/
Sito dell'Ufficio Scolastico Regionale di Sicilia contenente, tra l'altro, un'utile pubblicazione sulla scuola
italiana in lingua araba ed un manuale sulle tradizioni in Sicilia e in Kosovo.
EUROPA
www.eurydice.org
Sito di informazione sull'educazione in Europa con un confronto tra sistemi scolastici europei (in inglese,
francese e tedesco).
www.indire.it/eurydice/index.php
Unità italiana di Eurydice con informazioni, materiali e documenti relativi al mondo dell'insegnamento;
contiene una banca dati sui sistemi educativi europei.
www.training-youth.net/INTEGRATION/TY/Publications/T_Kits.html
On-line un manuale di educazione interculturale in varie lingue.
http://www.coe.int/t/dg4/intercultural/whitepaper_EN.asp
Libro Bianco del Consiglio d’Europa sull’Intercultura
http://www.coe.int/t/dg4/youth%5CCoe_youth%5CADAE_Campaign_en.asp
All Different, All Equal (campagna del Consiglio d’Europa per il dialogo e la tolleranza)
http://www.coe.int/t/dg4/youth/Resources/Documents/Bibliographies/Intercultural_education_en.a
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Elenco di pubblicazioni della Direzione della Gioventù in materia di Educazione Interculturale
Juliana E. Raffaghelli
Università Ca’ Foscari di Venezia
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