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Nella parte superiore è presente un piccolo taschino porta mp3, cellulare o accessori di piccole dimensioni. Prezzo: 35,90 euro. Info: 0321.864337 Investire nella Qualità della Vita ■ ■ ■ Salute Individuate le mutazioni genetiche responsabili della morte cardiaca improvvisa Il cuore non si arresta più Ora sono allo studio protocolli di screening più accurati per i soggetti a rischio di Elena Correggia U n test che può salvare la vita. La morte cardiaca improvvisa, principale singola causa di decesso nel mondo occidentale, ha una nuova spiegazione genetica, che definisce importanti prospettive per la diagnosi e la prevenzione. La scoperta è frutto dello studio internazionale pubblicato sulla rivista Circulation e svolto per l’Italia dal dottor Antonio Oliva, ricercatore dell’Istituto di medicina legale dell’università Cattolica di Roma, diretto dal professor Vincenzo Pascali. La disfunzionalità che porta alla morte cardiaca improvvisa è in molti casi dovuta a tachiaritmie ventricolari, originate cioè nella parte inferiore del cuore. «La ricerca ha comportato lo screening tramite elettrocardiogramma di 82 pazienti con diagnosi di sindrome di Brugada e del QT corto, ossia due patologie ereditarie che possono causare morte cardiaca improvvisa», spiega Oliva. «Successivamente si è eseguito uno screening genetico, effettuato con prelievo ematico, che in sette pazienti ha evidenziato una mutazione dei geni CACNA1C e CACNB2b che codificano per il canale del calcio». Questi canali, così come quelli del potassio e del sodio, sono formati da proteine presenti sulla membrana delle cellule muscolari cardiache. Esse in condizioni normali consentono agli ioni di ciascuna sostanza di passare da una parte all’altra della membrana, inducendo la scarica elettrica e quindi la contrazione muscolare alla base del battito regolare. I geni difettosi individuati nello studio producono una disfunzione del canale del calcio con riduzione del flusso di ioni calcio e un conseguente squilibrio elettrico che determina un ritmo cardiaco anormale. «La conoscenza della mutazione per il canale del calcio e di quelle relative ai canali sodio e potassio permette ora di definire protocolli di screening genetico più completi a cui sottoporre soggetti a rischio, cioè i componenti di famiglie in cui si sono già verificate una o più morti cardiache improvvise, evitando così altri decessi che possono colpire anche giovani adulti e bambini», continua Oliva. Nei soggetti portatori della mutazione genetica in questione che manifestano sintomi premonitori dell’arresto cardiaco improvviso quali sincope e fibrillazione ventricolare può risultare fondamentale procedere a uno studio elettrofisiologico approfondito del cuore se l’elettrocardiogramma rivela subito delle alterazioni. In pratica, si introduce un catetere attraverso la vena femorale fino alle cavità atriali e ventricolari del cuore. Il catetere è collegato a uno speciale elettrocardiografo che registra l’attività elettrica all’interno del cuore verificando l’esistenza di focus aritmogeni. Se si pensa che i farmaci possano regolarizzare le aritmie si procede alla somministrazione. Nei casi più gravi con soggetti a rischio di aritmie, che magari abbiano già accusato altri episodi, si può infine valutare la possibilità di inserimento di un defibrillatore fisso, impiantabile sottocute, in grado di attivarsi se si verifica fibrillazione ripristinando il corretto ritmo cardiaco. «Molti decessi determinati da questo tipo di sindromi venivano classificati come naturali», afferma Oliva. «Ora, invece, la possibilità di individuare la mutazione genetica anche in soggetti di cui non si ha a disposizione l’elettrocardiogramma permette al medico legale di fornire una risposta più accurata ai familiari, che potrebbero essere affetti dalla stessa malattia senza saperlo». (riproduzione riservata) ■ ■ Ambiente Per combattere la mortalità in Etiopia si abbatte drasticamente la riproduzione selvaggia Un allevamento di mosche sterili porterà all’estinzione della tse tse di Galeazzo Santini L a mosca tse tse costituisce un vero flagello per il continente africano, con 37 paesi e 60 milioni di persone esposte a una puntura che risulta mortale per 400 mila individui all’anno, oltre a provocare 100 mila casi di malattia del sonno. Denominata anche «mosca della povertà», questo insetto, secondo le stime della Fao (Fondo dell’Onu per l’alimentazione) causa anche una perdita nel settore agricolo pari a 4 miliardi di dollari per la moria del bestiame. Dall’inizio di febbraio per cercare di sradicare questo flagello si sta testando in Etiopia a Kaliti (a 14 chilometri dalla capitale Addis Abeba) una soluzione radicale: il primo allevamento al mondo di mosche tse tse sterili, un progetto finanziato dalla Fao e dalla Aiea (Agenzia internazionale per l’energia atomica). Il principio su cui si basa il progetto è molto semplice: produrre quantità massicce di maschi resi sterili, che una volta immessi nelle zone infestate dalla malattia, si accoppiano con le mosche selvagge femmine. Affinché il procedimento denominato Tia (Tecnica dell’insetto sterile) abbia successo, occorre che il numero dei maschi sterili sia dieci volte più elevato di quello dei maschi fecondi. A questo punto il tasso di riproduzione selvaggio diminuisce fino a estinguersi. Nel 1997 un progetto analogo finanziato dalla Aiea e dall’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) aveva permesso di sterminare il flagello della mosca tse tse sull’isola tanzaniana di Zanzibar. Per avviare l’esperimento etiopico è stata realizzata in Slovacchia una colonia di mosche all’istituto zoologico dell’Ac- cademia delle scienze di Bratislava. Questo centro accoglie studenti di Kenya, Tanzania ed Etiopia, ma si prevede che ne arriveranno presto anche da altri paesi africani. Il costo di questa tecnica non è più elevato di quello basato su metodi chimici, salvo che nella sua fase di lancio, con il vantaggio di una totale estinzione del flagello se il paese coopera. (riproduzione riservata) “ Lampi nel buio Non è che abbiamo perso la fede: l’abbiamo semplicemente trasferita da Dio alla professione medica Bernard Shaw ”