A12 260 In copertina: Andrea Chiesi, Fattore 33 (disorder), 2002. Arturo Cancrini Vittorio Capuzza Lezioni di Legislazione delle opere pubbliche Copyright © MMIX ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, 133 A/B 00173 Roma (06) 93781065 ISBN 978–88–548–xxx–x I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: ottobre 2009 Indice 11 Premessa Parte I La fase di gara ad evidenza pubblica Capitolo I Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06. Inquadramen to della disciplina giuridica 15 1. Il Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi, forniture: il quadro normativo di riferimento, 15 – 2. Gli interventi successivi, operanti nel d.lgs. 163/06, 19 – 3. I principi ispiratori del Codice. Definizioni e riflessioni sugli organismi di diritto pubblico, 49 – 4. Ambiti di giurisdizione ordinaria e amministrativa per i contratti pubblici, 50 – 5. Definizioni, 54 – 6. Inquadramento della normativa di riferimento per gli appalti sotto soglia comunitaria, 60 – 7. Il regolamento di esecuzione e i capitolati, 63 Capitolo II I soggetti ammessi alle gare 67 1. Principali aspetti relativi ai contratti pubblici di lavori, servizi, forniture nei settori ordinari. I soggetti a cui possono essere affidati i contratti pubblici, 67 – 2. I consorzi stabili di imprese e i raggruppamenti temporanei di imprese, 78 – 3. Il problema all’interno di un’A.T.I. della modificabilità in corso di esecuzione delle rispettive quote di partecipazione e di esecuzione dei lavori, 99 5 6 Indice 105 Capitolo III Le fasi della gara ad evidenza pubblica 1. Aspetti introduttivi, 105 – 2. La programmazione, 109 – 3. La progettazione, 116 – 3. 1. L’art. 90 del Codice, 116 – 3. 2. I livelli di progettazione, 122 – 3. 3. Il diritto d’autore del progetto, 127 – 4. Il bando di gara, 136 – 5. Le procedura di scelta del contraente: l’Appalto concorso, appalto integrato e appalto integrato misto, 141 – 5. 1. La procedura negoziata, 146 – 6. I criteri di aggiudicazione, 155 – 6. 1. Il prezzo più basso: la soglia di anomalia e la verifica di congruità, 155 – 6. 2. Il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, 158 – 6. 3. La Commissione ex art. 84 del Codice, 165 – 7. La disciplina giuridica dalla aggiudicazione alla stipulazione del contratto. Problematiche connesse con la consegna dei lavori, 172 183 Capitolo IV Requisiti generali e speciali 1. I requisiti generali, 183 – 2. I requisiti speciali: cenni sull’attestazione SOA, 214 219 Capitolo V Istituti 1. Il diritto d’accesso negli appalti pubblici, 219 – 2. Gli affidamenti “in house”, 223 – 3. L’istituto dell’avvalimento, 225 – 4. Il subappalto, 237 – 5. Il trasferimento d’azienda o di ramo d’azienda, 258 265 Capitolo VI Concessione dei lavori e project financing 1. La concessione di costruzione e gestione, 265 – 2. Aspetti giuridici rilevanti del nuovo Project financing, 271 – 2. 1. Cenni ai problemi di compatibilità tra diritto di prelazione e ordinamento comunitario, 283 7 Indice 279 Capitolo VII Le Opere di Urbanizzazione a scomputo dopo le modifiche operate al Codice De Lise dal d.lgs. 152/08 1. Nozione e disciplina giuridica nel tempo, 279 – 2. Il quadro giuridico nel d.lgs. 163/06 alla luce degli interventi correttivi, 296 – 3. Problematiche interpretative ed applicative dopo le modifiche operate dal III Decreto correttivo, 301 307 Capitolo VIII Inquadramento della normativa antimafia 311 Capitolo IX Il regime delle responsabilità nella fase di gara ad evidenza pubblica 1. Effetti del contatto a valle quando l’aggiudicazione è stata annullata dal giudice amministrativo, 311 – 2. La giurisdizione per la procedura ad evidenza pubblica degli appalti pubblici, 332 – 3. Tipi di responsabilità della P. A, 338 – 4. La responsabilità precontrattuale, 339 – 5. Ancora sulla responsabilità precontrattuale, 341 – 6. Natura della responsabilità dell’amministrazione: contrattuale da contatto ed extracontrattuale, 345 – 7. La responsabilità amministrativo – contabile, 351 Parte II L’esecuzione del contratto 357 Capitolo X Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche 1. Le situazioni giuridiche soggettive attive, 357 – 2. I diritti soggettivi, 358 3. Le obbligazioni 359 – 4. Gli interessi legittimi, 362 8 365 Indice Capitolo XI I soggetti 1. Il responsabile del procedimento e la direzione dei lavori, 365 373 Capitolo XII Le varianti 383 Capitolo XIII Termini di adempimento, penali, adeguamenti dei prezzi 393 Capitolo XIV La sospensione dei lavori 403 Capitolo XV Risoluzione del contratto. Recesso. Fallimento dell’appaltatore: questioni 41- Capitolo XVI Il collaudo dei lavori pubblici 427 Capitolo XVII Le Riserve e cenni al contenzioso 1. Le riserve: inquadramento generale, 427 – 2. Quadro normativo di riferimento, 431 – 3. Natura giuridica della riserva, 435 – 4. Causa petendi e petitum, 437 – 5. La transazione: art. 239 del Codice degli appalti, 440 – 6. L’accordo bonario: generalità e rapporto con la risoluzione in via amministrativa delle riserve, 443 – 7. Ambito e presupposti dell’accordo bonario, 445 – 8. Procedimento dell’accordo bonario: la soglia di importo, 447 – 9. Accordo bonario e responsabile del procedimento, 448 – 10. 9 Indice La procedura dell’accordo bonario, 450 – 11. Tempi del procedimento di accordo bonario, 454 Postfazione Riflessioni sull’Università. Ontologia e cronologia: il vero e il verosimile (Vittorio Capuzza) 457 Premessa La normativa che negli ultimi quindici anni ha modificato il volto degli appalti pubblici è caratterizzata da un lato dalla spinta provocata dalle Direttive dell’Unione Europea e dall’altro dal tentativo di rispondere alle diverse esigenze che l’economia presenta in tempi brevissimi. Dunque, il quadro complessivo della contrattualistica pubblica, nell’arco temporale suddetto, ha visto due incisivi interventi: la l. 109/94 (c.d. legge Merloni), modificata per ulteriori tre volte (fino al 2002); il d.lgs. 163/06 (Codice dei contratti pubblici), che ha subito ben tre interventi correttivi e ulteriori aggiunte operate da diverse leggi (di conversione di d.l. e finanziarie). Il tentativo di presentare i tratti di questa evoluzione in modo chiaro, sintetico ma approfondito, è l’obiettivo di questa pubblicazione: essa raccoglie le lezioni universitarie che, con il prof. Vittorio Capuzza, teniamo nella Facoltà di Ingegneria dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”. Pertanto, il libro è rivolto agli Studenti, per consentire loro anche di avere un manuale di studio sul quale trovare la materia esposta in modo organico e unitario. In attesa degli annunciati ulteriori cambiamenti della normativa (si attende infatti il nuovo regolamento ex art. 5 del Codice), abbiamo deciso di dare alle stampe la disciplina giuridica allo status quo, pronti a rivisitare questo scritto alla luce dei prossimi cambiamenti del volto degli appalti pubblici. Roma, 5 agosto 2009. Prof. Avv. Arturo Cancrini 11 Parte I La fase di gara ad evidenza pubblica Capitolo I Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06 Inquadramento della disciplina giuridica 1. Il Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi, forniture: il quadro normativo di riferimento Per meglio inquadrare il testo normativo contenuto nel d.lgs. 163/2006, concernente il Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi, forniture (c.d. Codice De Lise), occorre prendere le mosse, in breve, dalle principali novità in materia di procedure di gara per gli appalti pubblici introdotte già dalle direttive comunitarie n. 17 e n. 18 del 2004, delle quali il Codice è attuazione nell’ordinamento giuridico italiano1. 1. Sul tema trattato nel presente lavoro, cfr. A. Cancrini, La disciplina dei contratti e le modalità di adempimento, cap. VIII, in I Contratti con la Pubblica Amministrazione, a cura di C. Franchini, Trattato dei contratti, diretto da P. Rescigno e E. Gabrielli, UTET, I, 2007, pp. 419–579; A. Cancrini, P. Piselli, V. Capuzza, La nuova legge degli appalti pubblici. Commentario al Codice dei contratti pubblici, V edizione, IGOP, Roma 2008. Fra le più importanti Opere scritte in materia di contratti pubblici, vedi: A. Angeletti ed al. (a cura di), La riforma dei lavori pubblici. Commentario, 2000; A. Bargone, S. Richter (a cura di), Manuale del diritto dei lavori pubblici: la riforma e i procedimenti di attuazione, 2001; S. Cassese (a cura di), Trattato di diritto amministrativo; L. Carbone, F. Caringella, G. De Marzo (a cura di), L’attuazione della legge quadro sui lavori pubblici: il d.p.r. 21 dicembre 1999, n. 554; d.p.r. 25 gennaio 2000, n. 34 e d.m. 19 aprile 2000, n. 145. Commentario, 2000; F. Caringella, G. De Marzo, M. Bella (a cura di), La nuova disciplina dei lavori pubblici: dalla legge quadro alla Merloni–quater, le norme speciali e la nuova potestà regionale, 2003; A. Carullo, Lezioni di diritto pubblico dell’economia, 2005; A. Carullo, A. Clarizia, La legge quadro in materia di lavori pubblici, 2004; A. Carullo, G. Iudica, ed altri, Commentario breve alla legislazione sugli appalti pubblici e privati, 2009; V. Cerulli Irelli (a cura di), Verso il nuovo processo amministrativo. Commento alla l. 21 luglio 15 16 Capitolo I Con la pubblicazione delle nuove direttive — la 18/2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, e la 17/2004, che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali — è terminato definitivamente il lungo e complesso iter del pacchetto legislativo comunitario sugli appalti pubblici, iniziato nel maggio 2000 con la presentazione, da parte della Commissione europea, delle proposte distinte, rispettivamente, per i settori classici e per quelli speciali2. 2000, n. 205, 2000; M.P. Chiti, G. Greco (diretto da). Trattato di diritto amministrativo europeo, volumi II, parte generale e parte speciale; A. Cianflone, G. Giovannini, L’appalto di opere pubbliche, 2003; De Nictolis, I contratti pubblici di lavori, servizi e forniture,volumi III, 2007; L. Fiorentino, C. Lacava, Le nuove direttive europee sugli appalti pubblici, 2004; C. Franchini, I Contratti con la Pubblica Amministrazione, in Trattato dei contratti, diretto da P. Rescigno e E. Gabrielli, UTET, volumi II, 2007; F. Galgano (diretto da), Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia; R. Garofili, ed altri, La tutela in tema di appalti pubblici: il contenzioso alla luce del d.lgs. 163/2006, 2007; R. Garofoli, V. De Gioia, Codice degli appalti di lavori pubblici: annotato con giurisprudenza, determinazioni dell’autorità di vigilanza LL.PP. e riferimenti bibliografici, 2004; R. Garofoli, G. Ferrari, Codice degli appalti pubblici annotato con la dottrina, giurisprudenza e formule, 2009; R. Garofoli, M.A. Sandulli (a cura di), Il nuovo diritto degli appalti pubblici nella direttiva 2004/18/CE e nella legge comunitaria 62/2005, 2005; L. Giampaolino, M.A. Sandulli, G. Stancanelli (a cura di), Commento alla legge quadro sui lavori pubblici sino alla «Merloni–ter», 1999; L. Giampaolino, M.A. Sandulli, G. Stancanelli (a cura di), Commento al regolamento di attuazione della legge quadro sui lavori pubblici, 2001; M. S. Giannini, Diritto amministrativo, tomi 1–2, 1993; Giurdanella, Commento al Codice dei contratti pubblici, 2007; M. Greco, A. Massari, Il nuovo codice dei contratti pubblici, 2006; Id., Il secondo decreto correttivo al codice dei contratti pubblici. Commento al d.lgs. 31 luglio 2007, n. 113, 2007; M. Mazzone, C. Loria, Manuale di diritto dei lavori pubblici, 2005, M. Pallottino (a cura di), Saggi e materiali di diritto pubblico dell’economia, 2005; E. Picozza, Processo amministrativo e diritto comunitario, 1997; D. Rubino, L’appalto, in Trattato di diritto civile italiano, diretto da F. Vassalli, 1980; G.L. Rota, G. Rusconi (a cura di), Codice dei contratti pubblici, volumi II, 2007; F. Saitta (a cura di), Il nuovo codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, 2008; M. A. Sandulli, R. De Nictolis, R. Garofoli (diretta da), Trattato sui contratti pubblici, 2008; M. A. Sandulli, L’azione amministrativa: commento alla l. 7 agosto 1990, n. 241 modificata dalla L. 11 febbraio 2005, n. 15 e dal d.l. 14 marzo 2005, n. 35, 2005; M. Sanino, Commento al codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, 2006; G. Santaniello (diretto da), Trattato di diritto amministrativo, vol. VII, S. Buscema, A. Buscema, I contratti della pubblica amministrazione, 2008; F.G. Scoca (a cura di), Diritto amministrativo, 2008; R. Villata (a cura di) L’appalto di opere opubbliche, 2004; P. Virga, Diritto amministrativo, tomi 1–2, 2001; G. Zgagliardich, Subappalto e leggi antimafia nei lavori pubblici, 1996 2. GUCE l. 134 del 30 aprile 2004. Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06 17 Le due direttive dovevano essere recepite dai singoli Stati membri entro 21 mesi dalla loro pubblicazione (cioè entro 31 gennaio 2006): per l’Italia, la legge comunitaria 2004, cioè la l. 62/2005, all’art. 25, commi 1 e 2 (da leggere in combinato disposto con gli artt. 1 e 2), contiene la delega al Governo per il loro recepimento, da cui poi è nato il Codice De Lise, entrato in vigore il 1° luglio 2006. Per i settori classici, la novità principale della normativa europea consiste nella riduzione in un unico testo delle tre precedenti direttive sui lavori (Dir. 93/37), sulle forniture (Dir. 93/36) e servizi (Dir. 92/50), con una serie di conseguenze: la tendenziale spinta, talvolta, delle discipline dei servizi e delle forniture verso quella dei lavori; l’aumento delle soglie di valore; la previsione di centrali di committenza; le nuove norme in tema di pubblicità e utilizzo degli strumenti informatici anche per la pubblicazione di bandi e documentazione di gara; l’inserimento dei criteri sociali e ambientali nell’ambito di aggiudicazione degli appalti; le nuove cause di esclusione e la possibilità di provare i requisiti per relationem; la previsione della nuova procedura del dialogo competitivo; l’introduzione di “sistemi dinamici di acquisizione” e le “aste elettroniche”. Per i settori speciali, invece, le principali novità sono l’esonero delle telecomunicazioni e l’inclusione dei servizi postali; l’aumento delle soglie di valore; l’inserimento dei criteri sociali e ambientali nell’ambito di aggiudicazione dell’appalto; l’introduzione di “sistemi dinamici di acquisizione” e le “aste elettroniche”. È interessante rilevare che, nella Relazione illustrativa del Codice, Pasquale De Lise ha affermato quanto segue: Muovendo da queste premesse, e alla luce dei contenuti della delega di cui alla legge 62/2005, la Commissione ha pertanto cercato di recuperare l’obiettivo iniziale, già suggerito da Giannini, di riorganizzare la normativa italiana in materia di appalti. Occasione migliore non si poteva presentare: la scelta comunitaria di unificare le discipline in materia di appalti di lavori, di forniture e di servizi, oggetto di recepimento, che ha comportato anche il superamento delle disposizioni dettate in precedenti direttive, ha rappresentato il punto di riferimento più razionale. Di ciò il legislatore italiano è stato consapevole, 18 Capitolo I al momento di tracciare i limiti della delega. L’art. 25 della legge 62/2005 affida infatti al legislatore delegato il compito di compilare «un unico testo normativo recante le disposizioni legislative in materia di procedure di appalto disciplinate dalle due direttive coordinando anche le altre disposizioni in vigore nel rispetto dei princìpi del Trattato istitutivo dell’Unione europea» (lett. a). Altro compito che viene assegnato riguarda la «semplificazione delle procedure di affidamento che non costituiscono diretta applicazione delle normative comunitarie, finalizzata a favorire il contenimento dei tempi e la massima flessibilità degli strumenti giuridici» (lett. b). Non solo. Il lavoro deve prevedere anche il «conferimento all’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, in attuazione della normativa comunitaria, dei compiti di vigilanza nei settori oggetto della presente disciplina» (lett. c) e l’adeguamento della normativa «alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 7 ottobre 2004 nella causa C–247/02» (lett. d). Il testo approvato il 13 gennaio 2006 dal Consiglio dei Ministri rispetta perfettamente sia il contenuto che i limiti della delega. Non sembra contestabile infatti che il coordinamento di cui alla lett. a) della legge sia stato posto in essere, anche se in senso sostanziale, riproducendo all’interno del testo tutte le previsioni della legge Merloni, con la sola eliminazione di quelle incompatibili con le nuove direttive e con i criteri della delega. L’abrogazione della Merloni assume quindi solo carattere formale, rimanendo comunque vigenti la maggior parte delle sue disposizioni. Apro una parentesi proprio sulla legge Merloni, in particolare sulla “clausola di resistenza” di cui all’art. 1, laddove si stabilisce che le sue disposizioni possono essere abrogate solo con disposizioni espresse. Sul piano normativo e costituzionale la previsione è stata ampiamente rispettata. Tale norma impone la abrogazione espressa, ma non dice che tale abrogazione può avvenire solo con “legge”. Il decreto legislativo delegato è una fonte che ha la stessa forza e valore di una legge: pertanto il codice appalti, che è un decreto legislativo, ben può abrogare le norme della Merloni. È il caso di precisare che ci si sofferma sui lavori pubblici perché proprio in tale ambito si erano verificati, nel passato, significativi scostamenti dai dettami comunitari, non verificatisi invece nel campo dei servizi e delle forniture3. 3. Cfr. anche sul tema del codice, S. Cacace, (Consigliere di Stato), L’idoneità degli operatori economici alla esecuzione di lavori pubblici: un filo conduttore che lega istituti vecchi e nuovi del “Codice unificato degli appalti”; Studio per un Intervento avente ad oggetto il tema de “L’avvalimento e i suoi riflessi sul subappalto, sui raggruppamenti temporanei e sulla qualificazione” al convegno organizzato dall’IGI – Istituto Grandi Infrastrutture in Roma l’11 aprile 2006 su “Il codice unificato degli appalti: nuovi e vecchi istituti”; (aprile 2006). Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06 19 2. Gli interventi successivi, operanti nel d.lgs. 163/06 Ricostruiamo in breve il quadro del regime transitorio dall’entrata in vigore del Codice il 1° luglio 2006 sino all’attuale disciplina. È logicamente, quindi, una questione di diritto intertemporale quella che ora riguarda l’applicabilità del Codice De Lise: tutte le norme che l’originario contenuto dell’art. 257 prevedeva applicabili dopo la vacatio legis (id est: 1° luglio 2006) lo sono diventate, ma solamente per un breve momento (fino al 3 luglio, compreso). I segmenti normativi nuovi, applicati su alcuni sistemi divenuti già vecchi, iniziano con un primo innesto di diritto intertemporale operato, in questi casi, da un ermetico e complicato Legislatore: dal 4 luglio 2006 è entrato in vigore il Decreto legge 223/06, poi convertito in legge 248/06, e la disciplina del Codice già non è più interamente quella di tre giorni prima. In particolare, nella ratio di contrastare il lavoro nero e di garantire del rispetto della normativa sui riposi e sulle ferie nei cantieri edili, il cd. Decreto Bersani formula anche l’art. 35, il quale dal comma 28 al comma 34 regola vari aspetti: la responsabilità solidale tra appaltatore e subappaltatore (ed integra così il contenuto dell’art. 118 del Codice); l’obbligo nuovo per il committente, che previamente al pagamento del corrispettivo dell’appaltatore deve verificare il corretto assolvimento degli obblighi contributivi da parte dell’esecutore stesso e dei subappaltatori eventuali: viene anche estesa alla responsabilità solidale tra committente ed appaltatore quella responsabilità già prevista dall’art. 29, comma 2 del Decreto Biagi, cioè del d.lgs. 276/2003. In tema di responsabilità solidale nei contratti di subappalto va detto che la dettagliata e particolare disciplina nuova è dettata dai commi 28–31 dell’art. 35 della l. 248/06: tale responsabilità in solido riguarda gli obblighi contributivi e fiscali a cui si deve attenere il subappaltatore nei confronti dei propri lavoratori dipendenti, considerando quelli impegnati nell’esecuzione del contratto d’appalto specifico. I potenziali “aggressori” (erario ed enti previdenziali) potranno cioè agire nei confronti dell’appaltatore se il subappaltatore non effettui versamenti 20 Capitolo I delle ritenute fiscali o il pagamento dei contributi della previdenza e dei premi INAIL. Ma a tale solidarietà, la norma pone dei limiti quantitativi: l’appaltatore vede una sua solidarietà limitata al non superamento dell’ammontare previsto per il corrispettivo nel contratto di subappalto specifico. Inoltre, l’appaltatore ha una via esimente: se verifica, per mezzo della documentazione fornita dal subappaltatore (a pena di vedersi legittimamente sospeso il pagamento del corrispettivo), il rispetto di quegli obblighi da parte di quest’ultimo; ma la verifica deve essere effettuata prima di procedere al pagamento del corrispettivo del subappalto. Una precisazione d’ordine applicativo: le regole dell’art. 35 si applicano ai contratti d’appalto pubblico stipulati dopo l’entrata in vigore della legge 248/06: quanto a dire, dal 5 luglio 2006. L’art. 2 del Decreto Bersani da un lato abroga l’art. 92, comma 2, periodi secondo e terzo («2. Il Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, determina, con proprio decreto, le tabelle dei corrispettivi delle attività che possono essere espletate dai soggetti di cui al comma 1 dell’articolo 90, tenendo conto delle tariffe previste per le categorie professionali interessate. I corrispettivi sono minimi inderogabili ai sensi dell’ultimo comma dell’articolo unico della legge 4 marzo 1958, n. 143, introdotto dall’articolo unico della legge 5 maggio 1976, n. 340. Ogni patto contrario è nullo»), il comma 4 («4. I corrispettivi determinati ai sensi del comma 3, fatto salvo quanto previsto dal comma 12–bis dell’articolo 4 del Decreto Legge 2 marzo 1989, n. 65, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 1989, n. 155, sono minimi inderogabili ai sensi dell’ultimo comma dell’articolo unico della legge 4 marzo 1958, n. 143, introdotto dall’articolo unico della legge 5 maggio 1976, n. 340. Ogni patto contrario è nullo») e l’art. 164, comma 7 del Codice («7. Previa intesa con il Ministero della giustizia, fino alla revisione delle tariffe professionali per le attività di progettazione, necessaria a tener conto delle previsioni di cui al comma 1, ai fini della determinazione del corrispettivo per le attività di progettazione delle infrastrutture, redatte in conformità al presente articolo e relativo allegato tecnico di Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06 21 cui all’allegato XXI, i soggetti aggiudicatori aumentano del 100 per cento l’aliquota prevista per il progetto preliminare dalla tabella B del decreto 4 aprile 2001 del Ministro della giustizia, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 96 del 26 aprile 2001; le aliquote previste dalla citata tabella per il progetto definitivo ed esecutivo vengono ridotte corrispondentemente e proporzionalmente alle aliquote previste per il progetto definitivo ed esecutivo in modo che l’aliquota totale risulti sempre pari a 1»). D’altra parte integra implicitamente l’art. 64, comma 1, lett. c), n. 1), sub d) del d.p.r. 554/99, rendendo la formulazione finale del testo normativo così modificata: «Art. 64 (Modalità di svolgimento della gara). L’offerta è racchiusa in un plico che contiene: a) una busta contenente la documentazione amministrativa indicata nella lettera di invito e una dichiarazione presentata nelle forme previste dalla vigente legislazione circa la permanenza delle condizioni di cui agli articoli 51 e 52; b) una busta contenente l’offerta tecnica costituita: […] omissis; c) una busta contenente l’offerta economica costituita da: 1) ribasso percentuale da applicarsi: a) alla percentuale per rimborso spesa; b) alla percentuale per le prestazioni progettuali speciali di cui all’articolo 63, comma 1, lettera d); c) agli importi per le prestazioni accessorie di cui all’art. 63, comma 1, lettera e); d) all’importo delle prestazioni normali (secondo la vecchia formulazione: «alla riduzione percentuale prevista dalla legge per le prestazioni rese in favore di amministrazioni ed enti pubblici») omissis […]». Nel luglio 2006 il concatenarsi tra ius vetus e ius novum non ha segnato il passo: dal 12 luglio entra in vigore la legge 228/2006, che converte il Decreto legge 173/2006. Ed il Codice subisce ancora abrogazioni e sospensioni, stavolta ancora più tecniche. Vediamole. Innanzitutto, un’abrogazione: la caduta dell’art. 177, comma 4 lett. f) del Codice («4. L’aggiudicazione dei contratti di cui al comma 1 (cioè delle concessioni e degli affidamenti a contraente generale che avviene mediante procedura ristretta) avviene: al prezzo più basso ovvero all’offerta economicamente più vantaggiosa, individuata sulla base di 22 Capitolo I una pluralità di criteri fra i quali: […] f) la maggiore entità di lavori e servizi che il contraente generale si impegna ad affidare ad imprese nominate in sede di offerta, ai sensi dell’articolo 176, comma 7. Ai fini predetti rilevano esclusivamente gli affidamenti di lavori aventi singolarmente entità superiore al cinque per cento dell’importo di aggiudicazione della gara, gli affidamenti di opere specialistiche ai sensi dell’articolo 37, comma 11, aventi singolarmente entità superiore al tre per cento del predetto importo, nonché gli affidamenti di servizi di ingegneria, gestione, programmazione e controllo qualità, che il Contraente generale intende affidare a terzi») appare una scelta corretta; infatti, come di recente è stato affermato da Francesco Caringella: «La disponibilità all’esternalizzazione costituisce un elemento spurio in sede di valutazione del proprium della qualità e appetibilità dell’offerta. Ne deriva che l’introduzione di un fattore procompetitivo come criterio di valutazione finisce per contaminare la scelta con logiche estrinseche, per non dire eccentriche, rispetto alle valutazioni di merito tecnico–economico»4. Le altre previsioni, che regolano questioni di diritto intertemporale ed i conseguenti regimi normativi, suonano di un non consueto linguaggio ermetico del legislatore, spesso invece loquace, talvolta sino all’inverosimile: entrando in vigore interamente il Codice dal 1° luglio al 12 luglio 2006, si sarebbero potute applicare in quel breve periodo anche le normative in seguito sospese dal 13 luglio 2006 al 31 gennaio 2007. Ad esempio, nel primo segmento temporale (1° luglio /12 luglio 2006) sarebbe stato legittimo applicare la procedura negoziata secondo le disposizioni del Codice De Lise, oppure la procedura di cui all’art. 53, comma 2, lett. b) (appalto integrato senza le limitazioni della legge Merloni); nel secondo momento temporale (13 luglio 2006 /31 gennaio 2007) quelle norme non sono più applicabili tout court: lo dispone il comma 2 dell’art. 1–octies della l. 228/2006. 4. F. Caringella, Il congelamento al 1° febbraio 2007 non vale per le gare già avviate, in Guida al diritto, dossier n. 7 luglio 2006, p. 14. Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06 23 Infatti, stante alla lettera del suddetto comma 2, sarebbero dovute entrare in vigore dal 1° febbraio 2007 (id est: 1° agosto, per effetto del d.lgs. 6/2007) le norme del Codice che disciplinano rispettivamente: le centrali di committenza; l’avvalimento (limitatamente, però, al comma 10, poi interamente riformato con la previsione opposta — si può subappaltare all’ausiliaria — operata dal d.lgs. 6/07); l’accordo quadro; la procedura negoziata (previa e senza pubblicazione del bando) solo per i lavori e nei settori ordinari; l’appalto integrato ex art. 53, comma 2 lett. b) solo per i lavori e nei settori ordinari; la procedura di cui all’art. 53, comma 2 lett. c) solo per i lavori e nei settori ordinari (che, diversamente dall’abrogato appalto–concorso, prevede un meccanismo quasi di “appalto intergrato rafforzato”, cioè la progettazione definitiva come componente dell’offerta tecnica e la progettazione esecutiva come oggetto del contratto d’appalto accanto all’esecuzione effettiva). De converso, in tema di procedure per i lavori e nei settori ordinari, dovevano continuano ad applicarsi fino a quella data (01/02/07, poi prorogata al 01/08/07): l’art. 24 della legge 109/94 e s.m.i. per la trattativa privata; l’art. 19 della legge 109/94 e s.m.i. in tema di appalto integrato, con le limitazioni redivive per l’applicabilità di tale procedura contenute nel detto articolo. Successivamente, il panorama così si trasforma. Dal Legislatore delegato sono state annunciate e realizzate al 31 luglio 2007 due fasi per la formulazione e per l’emanazione dei cd. decreti correttivi al Codice De Lise, che già non è quello entrato in vigore il 1° luglio 2006. La prima di quelle due fasi è appunto il decreto legislativo 26 gennaio 2007, n. 6; la seconda, più sostanziale modifica, è il decreto legislativo 31 luglio 2007, n. 113, (Disposizioni correttive ed integrative del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante il codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, a norma dell’articolo 25, comma 3, della legge 18 aprile 2005, n. 62, legge comunitaria 2004) in GU 176 del 31 luglio 2007 — in vigore dal 1° agosto 2007. Ripercorriamo il quadro normativo della novella del d.lgs. 6/07. 24 Capitolo I Una prima nota procedurale: il testo del decreto pubblicato nella GU 25 del 31 gennaio 2007 era composto da quattro articoli, senza alcuna indicazione per l’entrata in vigore delle norme; è fatto noto che il silenzio in materia equivale all’annuncio della vacatio legis secondo i ritmi temporali ordinari, cioè 15 giorni dalla pubblicazione. Inutile dire circa l’inutilità di tali tempi, i quali avrebbero invece rappresentato il continuum della sinusoide della normativa applicabile, infatti cessante causa cessat effectus, cioè tolta la leva della sospensione in quei 15 giorni quegli istituti avrebbero respirato di risveglio, per poi ricadere in torpore fino all’estate. Pertanto, l’attento legislatore ha, come si usa nei libri, inserito un’errata corrige; ma essendo legislatore l’ha dovuta pubblicare in Gazzetta Ufficiale (la n. 26 del 1° febbraio 2007): l’errore corretto consiste in un articolo, il quinto, in forza del quale il Decreto legislativo del giorno prima entra in vigore proprio il 1° febbraio 2007. Insomma, una correzione d’errore, avente efficacia retroattiva (al 31 gennaio) che contiene un articolo con cui si dispone l’entrata in vigore al 1° febbraio. Primo aspetto nel merito: il d.lgs. 6/2007, con l’art. 1, opera sul tempo e sull’applicazione delle norme, infatti il diritto transitorio consiste nella proroga fino al 31 luglio 2007 delle sospensioni già azionate dall’art. 1–octies della l. 228/06. Fra le altre procedure di scelta del contraente, oltre all’appalto integrato ed alla trattativa privata, il I Decreto 6/07 stabiliva che fino al 31 luglio 2007 sarebbe dovute rimanere in vigore per i lavori nei settori ordinari anche l’appalto concorso. L’art. 2 è un annuncio del II decreto correttivo, che è il più sostanzioso: l’art. 2 si compone di undici lettere con cui si modificano talune parti del previdente Codice. Fra esse, rilevano in particolare le seguenti correzioni: 1) la possibilità per le Stazioni appaltanti, nell’ipotesi si verificasse una carenza di dipendenti di ruolo in possesso di professionalità adeguate, di nominare il responsabile del procedimento tra i propri dipendenti in servizio (art. 10, comma 5 così ampliato); Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06 25 2) l’iniziale divieto fissato nel comma 10 dell’art. 49 in tema di avvalimento è stato poi sospeso dalla l. 228/06 con l’art. 1–octies, comma 1 lett. c) che ha inserito all’art. 253 del Codice il comma 1–bis nella cui lett. b) viene operata la sospensione in parola; ora quel divieto sospeso viene trasformato in permissione: da un lato l’art. 2, c. 1 lett. d) stabilisce che al comma 10 dell’art. 49 debba essere inserita la previsione «l’impresa ausiliaria può assumere il ruolo di subappaltatore nei limiti dei requisiti prestati», d’altra parte — stavolta logicamente — l’art. 1, c. 1 lett. b) del d.lgs. 6/2007 sopprime del comma 1–bis dell’art. 253 del Codice la predetta lett. b). Così, fra problemi ermeneutici che verosimilmente sorgeranno rapportando questa norma con le previsioni dettate dall’art. 118 del Codice, si amplia il raggio d’azione del subappalto, che già l’art. 339 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, Allegato F sui lavori pubblici, pur in assenza di talune caratteristiche criminali del fenomeno mafioso, subordinava comunque, a pena di multa, all’approvazione dell’autorità competente. 3) per quanto riguarda il regime pubblicitario dei bandi per le gare di appalto comprese tra € 500.000,00 e la soglia comunitaria, l’opzione relativa alla pubblicazione degli estratti sui quotidiani nazionali o locali diviene un preciso obbligo di pubblicazione su entrambi (art. 122, comma 5 come modificato). Le modifiche e le disposizioni di coordinamento ex art. 3 del d.lgs. 6/2007 sono spesso rivolte a refusi della prima stesura normativa (basti pensare, ex multis, all’attributo “integrato” che seguiva fino al 1° febbraio scorso il sostantivo “appalto” negli artt. 164, c. 4, terzo periodo e 253, comma 27 lett. f) terzo periodo) oppure, talvolta, capaci di lasciare un po’ perplessi (si pensi all’inserimento, operato dall’art. 2 lett. m) del decreto 6/07, all’art. 216 del Codice: l’aggiunta consiste nel “comma 1–bis” — anziché del “comma 2” — nell’art. 216, il quale ab origine era composto da un solo comma). L’idea di miglioramento ulteriore anche della forma è stato proseguito dal d.lgs. 113/07, ad esempio con la correzione del precedente erroneo richiamo che 26 Capitolo I il comma 9 dell’art. 5 del Codice compiva al comma 7 anziché al comma 8. Il legislatore ermetico della l. 228/06 è divenuto ora loquace, ridondante e, soprattutto, frettoloso. *** Il quadro normativo in materia di contrattualistica pubblica è dinamico e gli effetti giuridici arrivano da più punti; infatti, mentre entra in vigore il d.lgs. 6/07, le precedenti norme correttive al Codice ed altre rinnovate discipline di altri settori dell’ordinamento producono le correlative conseguenze, continuando parallelamente a mutare il volto degli appalti pubblici. Fra le novità legislative appaiono ictu oculi importanti per i riflessi immediati sugli appalti pubblici: a) la riforma della legge fallimentare operata in due tempi, cioè dapprima con il d.l. 14 marzo 2005, n. 35, (convertito in l. 80/2005) e successivamente con il decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5, (pubblicato sulla GU del 16/1/2006) in attuazione della delega contenuta nella l. 80/05; b)il nuovo regolamento recante la disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi (d.p.r. 12 aprile 2006, n. 184, pubblicato sulla GU 114 del 18 maggio 2006); c) il comunicato pubblicato in GU del 26 gennaio 2007, n. 21, da parte dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, riguarda le nuove istruzioni relativamente ai contributi in sede di gara (sul tema, vedi anche il Comunicato dell’Autorità del 13 luglio 2006 – Nuove modalità di versamento, in GU 167 del 20 luglio 2006 e la deliberazione dell’Autorità del 26 gennaio 2006); d)con il DM della giustizia 13 dicembre 2006 (in GU 293 del 18 dicembre 2006) a decorrere dal 1° gennaio 2007 è stata istituita — su effetto della previsione dell’art. 253, comma 11 del Codice — la quinta serie speciale della GU, destinata alla pubblicazione di avvisi e bandi di gara aventi ad oggetto contratti pubblici di lavori, servizi e forniture; Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06 27 e) per le Regioni, ad esempio, in ambito Regione Sicilia, la Circolare prot. 45980/Gab. del 18 settembre 2006 dell’Assessorato dei Lavori Pubblici fissa alcuni criteri circa l’ambito di applicazione nella Regione siciliana del Codice De Lise; f) l’importante legge 27 dicembre 2006, n. 296, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007), (GU n. 299 del 27/12/2006 – Suppl. Ordinario n. 244) [Ultima modifica d.l. 27 dicembre 2006, n. 299, pubblicato nella GURI n. 300 del 28/12/2006], la quale con diversi commi dell’articolo 1 opera anche direttamente all’interno del Codice De Lise. Fra le novità di un certo rilievo, ad esempio, basti pensare al comma 907 della legge finanziaria 2007 (ora logicamente abrogato dal d.lgs. 113/07) ed al nuovo articolo 160–bis del Codice stesso introdotto dal d.lgs. 113/07 in tema di locazione finanziaria per la realizzazione, l’acquisizione ed il completamento di opere pubbliche o di pubblica utilità. Oppure, si pensi agli ancora vigenti interventi apportati dal comma 909 della l. 296/06 con l’introduzione nell’art. 86 del comma 3–bis e nell’art. 87 del comma 4–bis, oltre alle modificazioni apportate sempre all’interno dell’art. 87 del Codice. *** Il 1° agosto 2007 entra, come detto, in vigore il II Decreto correttivo del Codice De Lise. Per quanto riguarda l’applicabilità delle norme, compie un altro incisivo discrimen, che avvicina ma non realizza integralmente l’entrata in vigore di tutte le disposizioni contenute nel Codice. Vediamo tale operazione all’interno dell’art. 253 del d.lgs. 163/06. Prima di inserire due commi nuovi (1–quater e 1–quinquies), il II Decreto correttivo abroga dal comma 1–bis (inserito dalla l. 228/06 e che per effetto del d.lgs. 6/07 prorogava l’entrata in vigore degli istituti in esso indicati al 1° agosto 2007) la lett. c), cioè il riferimento all’art. 58 – Dialogo competitivo; estrae dal disposto del comma 1–ter diversi istituti che sarebbero entrati in vigore il 1° agosto 2007 (che 28 Capitolo I per gli appalti di lavori pubblici ordinari aveva posticipato al 1° agosto 2007 l’entrata in vigore delle norme relative alle nuove procedure di scelta del contraente previste nell’art. 53, commi 2 e 3, delle previsioni dell’art. 3, comma 7 e della nuova formulazione della procedura negoziata) ivi lasciando unicamente l’art. 56 – Procedura negoziata previa pubblicazione di un bando di gara, il quale disposto è entrato in vigore dal 1° agosto scorso con le modifiche ad apportate dall’art. 1, comma 1 lett. e) del d.lgs. 113/07 (cioè l’abrogazione delle lett. b) e c) del comma 1 dell’art. 56 del Codice). Per gli altri istituti rimasti sottratti dalle regole che ne prevedevano l’efficacia dopo il 31 luglio scorso, operano i nuovi commi 1–quater ed 1–quinquies dell’art. 253. E varia anche il dies a quo della loro entrata in vigore: non più una data prossimo–futura bensì un atto regolamentare, quello preannunciato e voluto dall’art. 5 del Codice. In particolare, per l’art. 58 – Dialogo competitivo (modificato dall’art. 1, comma 1 lett. g) del d.lgs. 113/07) il comma 1–quater, indistintamente per tutte le tipologie d’appalto pubblico e per i settori ordinario e speciale, dispone che si applica alle procedure i cui bandi o avvisi siano pubblicati successivamente alla data di entrata in vigore del regolamento di cui all’articolo 5. Stessa sorte per le nuove procedure di scelta del contraente. Infatti, il comma 1–quinquies, mantenendo l’ambito oggettivo della disposizione limitato agli appalti di lavori nei settori ordinari, dispone il medesimo dies a quo (l’entrata in vigore del regolamento) per riconoscere l’efficacia ed il vigore alle disposizioni di cui agli artt. 3, comma 7 e 53, commi 2 e 3, quest’ultimo articolo modificato dal d.lgs. 113/07 sia con le aggiunte operate dall’art. 1, comma 1 lett. c) e d), sia con la soppressione dell’ultimo periodo del comma 3 dell’art. 53 disposto dall’art. 2, comma 1 lett. n) del II Decreto correttivo. In altri termini, il quadro è così composto: per lavori nei settori ordinari rimangono in vigore fino all’entrata in vigore del regolamento dell’art. 5 del Codice l’appalto integrato e l’appalto concorso della l. 109/94 e s.m.i. Nei settori speciali, invece, per gli appalti di lavori è già applicabile la nuova formulazione dell’art. 53. Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06 29 Le due norme relative alla nuova procedura negoziata (artt. 56 e 57), così come modificate dal II Decreto correttivo, sono in vigore dal 1° agosto 2007. Dunque, la trattativa privata ex art. 24 della l. 109/94 e s.m.i., dopo la rinascita intertemporale, è definitivamente abrogata. L’appalto integrato (e l’appalto intergrato misto) secondo la disciplina del Codice erano stati sospesi anche dal d.lgs. 113/07 fino all’entrata in vigore del nuovo regolamento ex art. 5. Ebbene, in quella previsione normativa del II Decreto correttivo era mancata la disposizione normativa che sancisse l’applicabilità ancora dell’art. 19 (relativamente all’appalto integrato) della l. 109/94 in parte qua, durante munere della sospensione (ancora in atto anche con il d.lgs. 152/08). In via ermeneutica si sarebbe pur potuto sostenere che, in forza del disposto contenuto nell’art. 12 delle c.d. preleggi al codice civile, in assenza della vox legis garantisce riconoscimento della disciplina anche la ratio legis; e nel caso delle sospensioni del Codice operate in vista dell’emanazione regolamentare incaricata di maggior dettaglio, non sarebbe stato difficile individuare un perno su cui far riposare l’interpretazione favorevole alla applicabilità medio tempore della disciplina (comunque più rigorosa rispetto a quella liberale del Codice) contenuta dalla legge Merloni sull’appalto integrato. A garantire — in un certo qual senso — agli operatori l’applicabilità dell’art. 19 della l. 109/94 è intervenuta la Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri datata 24 settembre 2007 n. DAG2/15. 3. 16/2007/S, avente ad oggetto «Appalto di progettazione ed esecuzione – Regime transitorio – nota Ministero infrastrutture datata 19/9/2007». La problematica è stata superata dal d.lgs. 152/08, con cui è stato inserito un ultimo periodo al comma 1–quinquies dell’art. 253: fino all’entrata in vigore del nuovo regolamento continuano ad applicarsi le disposizioni del comma 1 dell’art. 256 riferite alle fattispecie sospese. Il 15 ottobre 2007 viene depositata la Determinazione dell’Autorità per la vigilanza n. 8 dell’11 ottobre 2007 riguardante il diritto di prelazione nelle procedure di project financing e la disciplina transitoria applicabile a sèguito del d.lgs. 113/07. 30 Capitolo I Con l’entrata in vigore del d.lgs. 152/08 bisognerà rivisitare l’intera argomentazione: il diritto di prelazione è stato riammesso dal legislatore nazionale, sebbene in una nuova disciplina dell’istituto. La Commissione UE e la Corte di Giustizia CE in merito all’adozione della prelazione nella normativa già si erano pronunciate negativamente. La Corte Costituzionale con sentenza 23 novembre 2007 n. 401, nell’ordinare la problematica che era sorta circa la competenza a legiferare in materia di appalti pubblici da parte delle Regioni, ha riconosciuto l’illegittimità di alcuni commi del Codice De Lise. Innanzitutto, ha ristabilito chiarezza agli ambiti di legislazione sulla attività contrattualistica pubblica, affermandone la competenza esclusiva dello Stato ex art. 117 Cost.; inoltre, ha dichiarato costituzionalmente illegittimi sia l’art. 84, commi 2, 3, 8 e 9 del Codice nel la parte in cui non indicano come suppletivo e cedevole il carattere della composizione della Commissione; sia l’art. 98, comma 2 del Codice nella parte in cui viene in esso sancita l’approvazione dei progetti definitivi da parte del Coniglio Comunale come equivalente a variante urbanistica. La materia è infatti concorrente. Il Consiglio dei Ministri, nella seduta del 21 dicembre 2007 aveva approvato in via definitiva, dopo anche aver ottenuto il Parere del Consiglio di Stato (sez. Consultiva per Atti normativi, Adunanza del 17 settembre 2007, n. Sez. prot. 3262/2007), il Regolamento di attuazione ed esecuzione del codice dei contratti pubblici relativi ai lavori, servizi e forniture, a norma dell’articolo 5 del d.lgs. 163/2006. Lo schema del regolamento l’8 febbraio 2008 è stato inviato alla Corte dei Conti per essere registrato: la Corte aveva 30 giorni di tempo (pur se non perentori). Ritirato il 27 marzo 2008 dal Governo, il testo con le modifiche e gli adeguamenti formali è stato rinviato alla delegazione della Corte dei Conti il 6 maggio 2008 per il relativo esame. Infine, nel giugno 2008 lo schema del Regolamento è stato ulteriormente rimandato dalla Corte dei Conti al Ministero: le censure riguardano soprattutto il mancato coordinamento con la recente Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06 31 normativa sulla sicurezza e sulla c.d. forcella nei servizi e forniture. E per il regolamento dunque c’è ancora da attendere. La legge 244 del 24 dicembre 2007 (Finanziaria per il 2008), con l’art. 3, commi 19–22, ha disposto l’abrogazione dell’arbitrato negli appalti pubblici: con l’art. 15 del c.d. Decreto mille proroghe (d. l 248/07, entrato in vigore un giorno prima della finanziaria, cioè il 31 dicembre 2007) è stato approvato poi l’emendamento al comma 21 dell’art. 3 della legge finanziaria e il termine per declinare la competenza arbitrale era stato spostato in avanti al 30 giugno 2008. Viene anche eliminato il termine del 30 settembre 2007 per la decadenza automatica degli ultimi collegi già formati. Con la legge 28 febbraio 2008, n. 31, (GU 51 del 29 febbraio 2008, suppl. ord. 47) viene confermato l’art. 15 del d. l 248/07, correggendo la formulazione contenuta nel decreto. In ogni modo, il termine del 30 settembre 2007 viene differito anch’esso al 30 giugno 2008. In ultimo va evidenziato che nella GU del 2/8/2008 è stata pubblicata la legge 2/8/2008 n. 129, (che ha convertito il d.l. 97 del 3 giugno 2008, il quale aveva recepito le norme contenute nel d.l. 113 del 30 giugno 2008 c.d. “secondo milleproroghe 2008” — e che non è stato convertito in legge nei 60 giorni). L’art. 4 bis, comma 12 della l. 129/08 ha prorogato ulteriormente al 31 dicembre 2008 il termine previsto dall’art. 15 della l. 31/2008, per l’entrata in vigore della norma della legge finanziaria 2008 con cui si vieta l’arbitrato privato nel Codice degli appalti. Il 10 gennaio 2008 l’Autorità per la vigilanza emana la Determinazione n. 1/2008 riguardante il Casellario informatico degli operatori economici esecutori dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture. Con il Comunicato del 4 aprile 2008 (GU 94 del 21 aprile 2008) l’Autorità delinea le modalità di comunicazione dei dati dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture – settori ordinari, speciali ed esclusi. Il d.lgs. 152/08 positivizza all’art. 6 comma 10 del Codice il Casellario anche per gli appalti di servizi e forniture. 32 Capitolo I L’Autorità emana la Deliberazione del 24 gennaio 2008 (GU 23 del 28 gennaio 2008) con cui stabilisce per l’anno 2008 il versamento del contributo (ex art. 1, commi 65 e 67 della l. 266/05). A livello giurisprudenziale, il TAR Lazio, Sez. III–ter, 5 febbraio 2008, n. 951, riconosce (sulla scia del TAR Lazio 27 dicembre 2007 n. 14081) due importanti regole applicative nell’ambito della procedura negoziata nei settori speciali: le operazioni di apertura dei plichi con la documentazione e l’offerta economica devono essere svolte in seduta pubblica. Il Consiglio di Stato, Sez VI 9 giugno 2005 n. 3030, aveva affermato il contrario. La Corte di Giustizia CE, Sez. IV, 15 maggio 2008, C–147/06 e C–148/06, ha aperto la strada alla modifica operata dal d.lgs. 152/08 negli art. 122, comma 9 e 124 comma 9 del Codice. Il d.m. Infrastrutture del 21/12/2007 n. 272, reca il «Regolamento recante norme per l’individuazione dei criteri, modalità e procedure per la verifica dei certificati dei lavori pubblici e delle fatture utilizzati ai fini delle attestazioni rilasciate dalle SOA dal 1° marzo 2000 alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, (1° luglio 2006)». Con il DM n. 272/2007 il Ministero delle Infrastrutture ha stabilito le modalità ed i tempi dei controlli su tutti gli attestati SOA. La fonte primaria è il comma 21 dell’art. 253 del Codice: un anno di tempo è il limite massimo stabilito dal Codice. Le verifiche stanno riguardando tutti i certificati e le fatture utilizzati dall’impresa per conseguire l’attestazione da parte della SOA. Ovviamente, i controlli riguardano tutte li imprese attestate fino al 1° luglio 2006. Sono circa 40mila le attestazioni da verificare e quindi circa sei milioni di informazioni da controllare. Con i Decreti Legislativi 26 marzo 2008, n. 62 e n. 63 sono state operate delle modifiche al d.lgs. 42/2004 (Codice del Beni culturali e del paesaggio). Con lettera di messa in mora datata 1° febbraio 2008 la Commissione UE ha giudicato come incompatibili con le direttive degli appalti pubblici alcune disposizioni contenute nel Codice De Lise. Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06 33 In particolare, sono state oggetto di rilievo in quanto contrarie alla Direttive: – l’art. 24, comma 1; – l’art. 34, comma 1, anche in combinato con l’art. 206, comma 1 e gli artt. 90 e 101 (anche in combinato con l’art. 237); – l’art. 37, comma 11; – gli artt. 41, comma 4 e 42, comma 4; l’art. 74, comma 6; – l’art. 45; – l’art. 49, commi 6 e 7; – l’art. 58, comma 13; – l’art. 79, comma 5; – l’art. 83, comma 4; – l’art. 140, comma 1, 2 e 3 lì ove si autorizza la procedura negoziata senza pubblicazione previa di bando; – alcune disposizioni sul project financing; – l’art. 172, comma 2; – l’art. 174, comma 5; – l’art. 179, comma 7. Segue l’elencazione di alcune omissioni o riferimenti incrociati erronei, nonché di disposizioni non trasposte. Il 2 agosto 2008 è stata pubblicata la l. 129/2008, che ha convertito il d.l. del 3 giugno 2008, n. 97, nel quale comunque erano state intanto operati interventi dal c.d. secondo milleproroghe, cioè il d.l. 113/2008 (non convertito in legge e quindi decaduto). La l. 129/08, avente ad oggetto la spesa pubblica, il fisco e la proroga dei termini, in materia di appalti ha operato indirettamente ma efficacemente: ha abrogato i commi da 29 a 34 dell’art. 35 della l. 248/2006 (di conversione del c.d. Decreto Bersani–Visco). La responsabilità solidale fra appaltatore e subappaltatore è così piena e senza alcuna deroga. In attuazione alla l. 123/2007 è stato emanato il nuovo T.U. in materiali sicurezza: Decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, «Attuazione dell’arti- 34 Capitolo I colo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro» (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 101 del 30 aprile 2008 – Supplemento Ordinario n. 108). Cambia la legislazione in materia anche per gli appalti pubblici: viene abrogato il d.lgs. 494/965. Nella GU del 2 ottobre 2008 (n. 231 – suppl. ord. 227/L) è stato pubblicato il III decreto correttivo del Codice: è il decreto legislativo 11 settembre 2008, n. 152. La vacatio legis è di 15 giorni. Come è noto, il decreto legislativo in parola nasce “in limine” costituzionale: infatti, l’interpretazione data dall’Esecutivo e confermata anche dal Consiglio di Stato in sede consultiva lo scorso luglio, si muove lungo la tesi per cui sarebbe legittimo l’esercizio della delega della legge quadro n. 62/2005 (art. 25) anche nella normazione avviata prima dello scadere dei due anni delegati (i.e. 30 giugno 2008). Al di là di questioni costituzionali, per le quali e sulla cui correttezza comunque si potrebbe discutere, le principali novità operate dal III Decreto correttivo possono essere riassunte nei seguenti aspetti e nei seguenti istituti. Della nuova normazione relativa alle opere di urbanizzazione a scomputo, specie per il sotto–soglia, e dello sdoppiamento dell’istituto del project financing si dirà più diffusamente più avanti. All’inizio occorre evidenziare le seguenti novità, in ampia panoramica: 1) art. 37, comma 11: lavori specialistici: se nell’oggetto dell’appalto rientrano opere di rilevante complessità tecnica, e se una di tali opere superi il 15% dell’importo totale del lavori, è esperibile il subappalto ex art. 118, c. 2 terzo periodo–limite al 30% e si lascia al regolamento ex art. 5 del Codice il compito di definire l’elenco delle opere. Pertanto, in forza del III Decreto 5. La l. 88/2009 (Legge comunitaria 2008) Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee, opera importanti modifiche al d.Lgs. 81/2008; in particolare, ottemperando alla sentenza della Corte di Giustizia C–504/06 del 25 luglio 2008 (procedura di infrazione n. 2005/2200), il Legislatore nazionale varia il comma 11 dell’art. 90 del T.U. Sicurezza; inoltre, la Legge opera un’aggiunta al comma 1 dell’art. 91 T.U. Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06 2) 3) 4) 5) 6) 35 correttivo per le categorie specialistiche (con il tetto minimo già previsto nella vecchia formulazione pari al 15%) è possibile il subappalto, invece dell’obbligatorietà di costituzione dell’ATI verticale (che era prevista nella vecchia disciplina); è sancito, in coerenza con l’art. 118 del Codice, il limite al subappalto del 30% dell’importo dell’opera stessa, evitando così l’aggiudicazione ad imprese che non rivestano qualifiche specialistiche e che poi affiderebbero in toto mediate il subappalto le stesse lavorazioni richieste dal bando; avvalimento: art. 49: in coerenza con quanto indicato dalla Commissione UE nella lettera di messa in mora del 1° febbraio 2008, è stato abrogato il comma 7 (limitazioni che il bando poteva prevedere) ed è stata operata la riformulazione del comma 6; in tale ultima ipotesi, per il lavori, il concorrente può avvalersi di una sola impresa ausiliaria per ciascun requisito o categoria, salvo che il bando preveda l’avvalimento di più ausiliarie e il divieto comunque di utilizzo frazionato per il singolo concorrente dei singoli requisiti; art. 79: nell’elenco delle informazioni d’ufficio, è stata inserita al comma 5 la lett. b–bis): bisognerà comunicare la decisione di non aggiudicare l’appalto, cioè i motivi per cui non s’è aggiudicato; art. 83: è soppresso il terzo periodo del comma 4, e quindi è stata abrogata la previsione cioè secondo cui la commissione prima dell’apertura delle buste fissa i criteri motivazionali cui si atterrà per attribuire il punteggio; art. 6, comma 10: è stato formalmente positivizzato il casellario informativo anche per servizi e forniture. Già l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici aveva emanato la Determinazione n. 1/2008 nella quale aveva già dettato la disciplina in materia; art. 36, comma 5: torna l’obbligo per i consorzi stabili di indicare in sede di offerta con quali consorziati concorra il consorzio stesso e compare la previsione della possibilità di compartecipazione di una consorziata, tranne che nelle gare 36 Capitolo I con la previsione dell’esclusione automatica delle offerte anormalmente basse; 7) dall’art. 38, lett. m–bis) non v’è più l’indicazione “da parte dell’autorità”; dunque, si parla di decadenza anche per ritiro da parte delle SOA; 8) art. 40, comma 9–ter, nuovo periodo: obbligo per le SOA di comunicare all’Autorità l’avvio del procedimento di verifica del possesso dei requisiti e l’esito; 9) lavori in economia: eliminazione del tetto dei 100mila euro per le manutenzioni, che saranno alzate a 200mila euro; 10)per la licitazione privata semplificata il limite è stato innalzato ad un milione; 11)i bandi dovranno tenere conto di nuovo tetti per l’esclusione automatica: sotto soglia la discrezionalità (che prevedeva la possibilità — se previsto nel bando — di escludere automaticamente le offerte anomale) è ora limitata: per i lavori l’esclusione automatica è ammessa solo per importi inferiori a 1 milione di euro (a 100mila euro per servizi e forniture). Comunque, il numero dei candidati minimo sale da cinque a dieci; 12)fra le cause di esclusione ex art. 38 del Codice è stata inserita la previsione che anche per il subappaltatore vige il divieto per un anno di partecipare e di stipulare i contratti d’appalti pubblici nel caso di false dichiarazioni; 13)importanti le modifiche operate in relazione alle Opere di Urbanizzazione; 14)per il project financing la riforma è addirittura sostanziale; 15)nelle gare con la c.d. forcella, in sede di gara devono essere verificati i requisiti, senza la possibilità di adottare controlli a campione ex art. 48; 16)anche per i lavori sono previste le regole dell’asta elettronica; 17)sino al 2010, ai fini della qualificazione dei progettisti, sono utilizzabili i requisiti conseguiti nei tre anni migliori nel quinquennio, o i cinque anni migliori del decennio; 18)è stata estesa anche per la cauzione definitiva relativa a servizi e Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06 37 forniture, la riduzione al 50% per coloro che sono in possesso della certificazione di qualità; 19)nei settori speciali, per i concorsi di progettazione non sono previste più deroghe alla disciplina; 20)l’avvalimento nei settori speciali non ha più la circoscrizione alle sole società in rapporto di controllo. *** Infine, altri importanti interventi normativi sono da evidenziare: a) la legge 22 dicembre 2008, n. 201 Conversione in legge del decreto–legge 23 ottobre 2008, n. 162, Interventi urgenti in materia di adeguamento dei prezzi di materiali da costruzione, di sostegno ai settori dell’autotrasporto, dell’agricoltura e della pesca professionale, nonché di finanziamento delle opere per il G8 e definizione degli adempimenti tributari per le regioni Marche ed Umbria, colpite dagli eventi sismici del 1997 (GU n. 292 del 22 dicembre 2008), in cui, fra l’altro, è stato disposto che: la normativa sulla revisione prezzi sia valida anche per i settori speciali; gli enti pubblici privatizzati non siano organismi di diritto pubblico, come invece sostenuto dalla giurisprudenza del TAR (TAR Lazio – Roma, sez. III ter, n. 4364/2005) e del Consiglio di Stato (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 182/2006) e che pertanto ad essi in materia di contratti pubblici si applichino del Codice De Lise solamente le norme sulla pubblicità; per i lavori di importo complessivo pari o superiore a 100.000 euro e inferiore a 500.000 euro possono essere affidati dalle stazioni appaltanti, a cura del responsabile del procedimento, nel rispetto dei principi di non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza, e secondo la procedura prevista dall’articolo 57, comma 6; l’invito è rivolto ad almeno cinque soggetti, se sussistono aspiranti idonei in tale numero (comma 7–bis dell’art. 122 del d.lgs. 163/06). b) la legge 28 gennaio 2009, n. 2, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto–legge 29 novembre 2008, n. 185, recante misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e 38 Capitolo I per ridisegnare in funzione anti–crisi il quadro strategico nazionale (GU n. 22 del 28 gennaio 2009), nella quale all’art. 206 sono state 6. Così, infatti, prescrive l’Art. 20. (Norme straordinarie per la velocizzazione delle procedure esecutive di progetti facenti parte del quadro strategico nazionale e simmetrica modifica del relativo regime di contenzioso amministrativo): 1) In considerazione delle particolari ragioni di urgenza connesse con la contingente situazione economico finanziaria del Paese ed al fine di sostenere e assistere la spesa per investimenti, compresi quelli necessari per la messa in sicurezza delle scuole, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro competente per materia di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono individuati gli investimenti pubblici di competenza statale, ivi inclusi quelli di pubblica utilità, con particolare riferimento agli interventi programmati nell’ambito del Quadro Strategico Nazionale programmazione nazionale, ritenuti prioritari per lo sviluppo economico del territorio nonché per le implicazioni occupazionali ed i connessi riflessi sociali, nel rispetto degli impegni assunti a livello internazionale. Il decreto di cui al presente comma è emanato di concerto anche con il Ministro dello sviluppo economico quando riguardi interventi programmati nei settori dell’energia e delle telecomunicazioni. Per quanto riguarda gli interventi di competenza regionale si provvede con decreto del Presidente della Giunta Regionale ovvero dei Presidenti delle province autonome di Trento e di Bolzano. 2) I decreti di cui al precedente comma 1 individuano i tempi di tutte le fasi di realizzazione dell’investimento e il quadro finanziario dello stesso. Sul rispetto dei suddetti tempi vigilano commissari straordinari delegati, nominati con i medesimi provvedimenti. 3) Il commissario nominato ai sensi del comma 2 monitora l’adozione degli atti e dei provvedimenti necessari per l’esecuzione dell’investimento; vigila sull’espletamento delle procedure realizzative e su quelle autorizzative, sulla stipula dei contratti e sulla cura delle attività occorrenti al finanziamento, utilizzando le risorse disponibili assegnate a tale fine. Esercita ogni potere di impulso, attraverso il più ampio coinvolgimento degli enti e dei soggetti coinvolti, per assicurare il coordinamento degli stessi ed il rispetto dei tempi. Può chiedere agli enti coinvolti ogni documento utile per l’esercizio dei propri compiti. Quando non sia rispettato o non sia possibile rispettare i tempi stabiliti dal cronoprogramma, il commissario comunica senza indugio le circostanze del ritardo al Ministro competente, ovvero al Presidente della Giunta regionale o ai Presidenti delle province autonome di Trento e di Bolzano. Qualora sopravvengano circostanze che impediscano la realizzazione totale o parziale dell’investimento, il commissario straordinario delegato propone al Ministro competente ovvero al Presidente della Giunta regionale o ai Presidenti delle province autonome di Trento e di Bolzano la revoca dell’assegnazione delle risorse. 4) Per l’espletamento dei compiti stabiliti al comma 3, il commissario ha, sin dal momento della nomina, con riferimento ad ogni fase dell’investimento e ad ogni atto necessario per la sua esecuzione, i poteri, anche sostitutivi, previsti dall’articolo 13 del decreto–legge 25 marzo 1997, n. 67, convertito dalla legge 23 maggio 1997, n. 135, comunque applicabile per gli interventi ivi contemplati. Resta fermo il rispetto delle disposizioni comunitarie, nonché di quanto disposto dall’articolo 8, comma 1, del decreto–legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133. 5) Per lo svolgimento dei compiti di cui al presente articolo, il commissario può avvalersi degli uffici delle amministrazioni interessate e del soggetto competente in via ordinaria per la realizzazione dell’intervento. Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06 39 dettate precise norme processuali che dimidiano e velocizzano i termini processuali in materia di appalti pubblici, relativamente alle grandi opere individuate dal DPCM 5 agosto 2009. 6) In ogni caso, i provvedimenti e le ordinanze emesse dal commissario non possono comportare oneri privi di copertura finanziaria in violazione dell’articolo 81 della Costituzione e determinare effetti peggiorativi sui saldi di finanza pubblica, in contrasto con gli obiettivi correlati con il patto di stabilità con l’Unione Europea. 7) Il Presidente del Consiglio dei Ministri delega il coordinamento e la vigilanza sui commissari al Ministro competente per materia che esplica le attività delegate avvalendosi delle strutture ministeriali vigenti, senza nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato. Per gli interventi di competenza regionale il Presidente della Giunta Regionale individua la competente struttura regionale. Le strutture di cui al presente comma segnalano alla Corte dei Conti ogni ritardo riscontrato nella realizzazione dell’investimento, ai fini dell’eventuale esercizio dell’azione di responsabilità di cui all’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20. Il termine per la presentazione del ricorso al competente Tribunale amministrativo regionale avverso i provvedimenti emanati ai sensi del presente articolo è di trenta giorni dalla comunicazione. Il ricorso principale va depositato presso il TAR entro cinque giorni dalla scadenza del termine di notificazione del ricorso; in luogo della prova della notifica può essere depositata attestazione dell’ufficiale giudiziario che il ricorso è stato consegnato per le notifiche; la prova delle eseguite notifiche va depositata entro cinque giorni da quando è disponibile. Le altre parti si costituiscono entro dieci giorni dalla notificazione del ricorso principale e entro lo stesso termine possono proporre ricorso incidentale; il ricorso incidentale va depositato con le modalità e termini previsti per il ricorso principale. I motivi aggiunti possono essere proposti entro dieci giorni dall’accesso agli atti e vanno notificati e depositati con le modalità previste per il ricorso principale. Il processo viene definito ad una udienza da fissarsi entro 15 giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente; il dispositivo della sentenza è pubblicato in udienza; la sentenza è redatta in forma semplificata, con i criteri di cui all’articolo 26, comma 4, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034. Le misure cautelari e l’annullamento dei provvedimenti impugnati non comportano, in alcun caso, la sospensione o la caducazione degli effetti del contratto già stipulato, e il Giudice che sospende o annulla detti provvedimenti dispone il risarcimento degli eventuali danni solo per equivalente. Il risarcimento per equivalente del danno comprovato non può comunque eccedere la misura di utile effettivo che il ricorrente avrebbe conseguito se fosse risultato aggiudicatario, desumibile dall’offerta economica presentata in gara. Per quanto non espressamente disposto dal presente articolo, si applica l’articolo 23–bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 e l’articolo 246 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 e successive modificazioni. Dall’attuazione del presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. 8) I provvedimenti adottati ai sensi del presente articolo sono comunicati agli interessati a mezzo fax o posta elettronica all’indirizzo da essi indicato.L’accesso agli atti del procedimento è consentito entro dieci giorni dall’invio della comunicazione del provvedimento.Il termine per la notificazione del ricorso al competente Tribunale amministrativo regionale avverso i provvedimenti emanati ai sensi del presente articolo è di trenta giorni dalla comunicazione o dell’avvenuta conoscenza, comunque acquisita. 40 Capitolo I Con riferimento a ciò, va precisato che il 14 ottobre 2009 nella GU n. 239 è stato pubblicato il Comunicato della Nomina dei commissari straIl ricorso principale va depositato presso il Tar entro cinque giorni dalla scadenza del termine di notificazione del ricorso; in luogo della prova della notifica può essere depositata attestazione dell’ufficiale giudiziario che il ricorso è stato consegnato per le notifiche; la prova delle eseguite notifiche va depositata entro cinque giorni da quando è disponibile. Le altre parti si costituiscono entro dieci giorni dalla notificazione del ricorso principale e entro lo stesso termine possono proporre ricorso incidentale; il ricorso incidentale va depositato con le modalità e termini previsti per il ricorso principale. I motivi aggiunti possono essere proposti entro dieci giorni dall’accesso agli atti e vanno notificati e depositati con le modalità previste per il ricorso principale. Il processo viene definito ad una udienza da fissarsi entro 15 giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente; il dispositivo della sentenza è pubblicato in udienza; la sentenza è redatta in forma semplificata, con i criteri di cui all’articolo 26, quarto comma, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034. Le misure cautelari e l’annullamento dei provvedimenti impugnati non possono comportare, in alcun caso, la sospensione o la caducazione degli effetti del contratto già stipulato, e, in caso di annullamento degli atti della procedura, il giudice può esclusivamente disporre il risarcimento degli eventuali danni, ove comprovati, solo per equivalente. Il risarcimento per equivalente del danno comprovato non può comunque eccedere la misura del decimo dell’importo delle opere che sarebbero state eseguite se il ricorrente fosse risultato aggiudicatario, in base all’offerta economica presentata in gara. Se la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave si applicano le disposizioni di cui all’articolo 96 del codice di procedura civile. Per quanto non espressamente disposto dal presente articolo, si applica l’articolo 23–bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 e l’articolo 246 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 e successive modificazioni. Dall’attuazione del presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. 8–bis. Per la stipulazione dei contratti ai sensi del presente articolo non si applica il termine di trenta giorni previsto dall’articolo 11, comma 10, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163. 9) Con decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro competente per materia in relazione alla tipologia degli interventi, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono stabiliti i criteri per la corresponsione dei compensi spettanti ai commissari straordinari delegati di cui al comma 2. Alla corrispondente spesa si farà fronte nell’ambito delle risorse assegnate per la realizzazione dell’intervento. Con esclusione dei casi di cui al comma 3, quarto e quinto periodo, il compenso non è erogato qualora non siano rispettati i termini per l’esecuzione dell’intervento. Per gli interventi di competenza regionale si provvede con decreti del Presidente della Giunta Regionale. 10) Per la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale si applica quanto specificamente previsto dalla Parte II, Titolo III, Capo IV, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163. Nella progettazione esecutiva relativa ai progetti definitivi di infrastrutture e insediamenti produttivi strategici di preminente interesse nazionale, di cui alla Parte II, Titolo III, Capo IV, del citato codice di cui al decreto legislativo 163/2006, approvati prima della data di entrata in vigore del d.p.r. 30 marzo 2004, n. 142, si applicano Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06 41 ordinari delegati, ai sensi dell’articolo 20, del decreto–legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito in legge 28 gennaio 2009, n. 2. (09A12082). i limiti acustici previsti nell’allegato 1 annesso al medesimo d.p.r. 142/2004; non si applica l’articolo 11, comma 2, del citato d.p.r. 142/2004. 10–bis. Il comma 4 dell’articolo 3 del regolamento di cui al d.p.r. 18 aprile 1994, n. 383, è sostituito dal seguente: «4. L’approvazione dei progetti, nei casi in cui la decisione sia adottata dalla conferenza di servizi, sostituisce ad ogni effetto gli atti di intesa, i pareri, le concessioni, anche edilizie, le autorizzazioni, le approvazioni, i nullaosta, previsti da leggi statali e regionali. Se una o più amministrazioni hanno espresso il proprio dissenso nell’ambito della conferenza di servizi, l’amministrazione statale procedente, d’intesa con la regione interessata, valutate le specifiche risultanze della conferenza di servizi e tenuto conto delle posizioni prevalenti espresse in detta sede, assume comunque la determinazione di conclusione del procedimento di localizzazione dell’opera. Nel caso in cui la determinazione di conclusione del procedimento di localizzazione dell’opera non si realizzi a causa del dissenso espresso da un’amministrazione dello Stato preposta alla tutela ambientale, paesaggistico– territoriale, del patrimonio storico–artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità ovvero dalla regione interessata, si applicano le disposizioni di cui all’articolo 81, quarto comma, del d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616». 10–ter. Al fine della sollecita progettazione e realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi di cui al comma 10 del presente articolo, per l’attività della struttura tecnica di missione prevista dall’articolo 163, comma 3, lettera a), del citato codice di cui al decreto legislativo n. 163/2006, è autorizzata l’ulteriore spesa di 1 milione di euro per ciascuno degli anni 2009 e 2010. Al relativo onere, pari a 1 milione di euro per ciascuno degli anni 2009 e 2010, si provvede mediante corrispondente riduzione dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 145, comma 40, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, e successive modificazioni. 10–quater. Al fine di accedere al finanziamento delle opere di cui al presente comma da parte della Banca europea per gli investimenti (BEI), il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti predispone forme appropriate di collaborazione con la BEI stessa. L’area di collaborazione con la BEI riguarda prioritariamente gli interventi relativi alle opere infrastrutturali identificate nel primo programma delle infrastrutture strategiche, approvato dal Comitato interministeriale per la programmazione economica con delibera n. 121 del 21 dicembre 2001, pubblicata nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 68 del 21 marzo 2002, e finanziato dalla legge 21 dicembre 2001, n. 443, ovvero identificate nella direttiva 2004/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa ai requisiti minimi di sicurezza per le gallerie della rete stradale transeuropea (TEN), e nella Parte II, Titolo III, Capo IV, del citato codice di cui al decreto legislativo 163/2006, nel rispetto dei requisiti e delle specifiche necessari per l’ammissibilità al finanziamento da parte della BEI e del principio di sussidiarietà al quale questa è tenuta statutariamente ad attenersi. 10–quinquies. Ai fini di cui al comma 10–quater, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti comunica ogni anno alla BEI una lista di progetti, tra quelli individuati dal Documento di programmazione economico–finanziaria ai sensi dell’articolo 1, comma 1, della legge 21 dicembre 2001, n. 443, e successive modificazioni, suscettibili di poter beneficiare di un finanziamento da parte della BEI stessa. 10–sexies. Al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 185, comma 1, dopo la lettera c), è aggiunta la seguente: «c–bis) il suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale escavato nel corso dell’attività di costruzione, ove sia certo che il materiale sarà utilizzato a fini di costruzione allo stato naturale nello stesso sito in cui è stato scavato»; 42 Capitolo I In particolare, con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 5 agosto 2009, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto col Ministro dell’economia e delle finanze sono stati individuati gli investimenti pubblici di competenza statale ritenuti prioritari per lo sviluppo economico del territorio (sono nr. 18 grandi opere) nonché per le implicazioni occupazionali ed i riflessi sociali e, contestualmente nominati i Commissari Straordinari Delegati (sono nr. 10 Commissari; altri decreti individueranno gli altri Commissari per le restanti opere individuate). c) Dopo essersi pronunciata sull’art. 153 del Codice dei contratti con le determinazioni 20 maggio 2009, n. 3 (Procedure di cui all’art. 153: linee guida per i documenti di gara) e n. 4 (Linee guida per l’utilizzo del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa nelle procedure previste dall’art. 153), l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici ha emanato le seguenti nuove Determinazioni: 1)21 maggio 2009, n. 5, Linee guida per l’applicazione dell’art. 48 del d.lgs. 163/2006; 2)8 luglio 2009, n. 6, Il procedimento di verifica delle offerte anormalmente basse, con particolare riferimento al criterio del prezzo più basso; 3)16 luglio 2009, n. 7, Problematiche applicative delle disposizioni in materia di opere a scomputo degli oneri di urbanizzazione dopo il terzo decreto correttivo del Codice dei Contratti. d)La legge 18 giugno 2009, n. 69 “Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile” (pubblicata in GU n. 140 del 19 giugno 2009): – con l’art. 17 ha abrogato i divieti contenuti nel comma 5 terzo periodo dell’art. 36 e del comma 7 terzo periodo dell’art. 37 del Codice degli appalti pubblici, relativi ai consorzi stabili (se ne parlerà diffusamente nell’apposito capitolo); b) all’articolo 186, comma 1, sono premesse le seguenti parole: «Fatto salvo quanto previsto dall’articolo 185». Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06 43 – dall’art. 7 all’art. 10 ha disposto una serie di modificazioni alla legge 241/1990 (già modificata con la legge 15 e la legge 80/2005), fra le quali è da evidenziare l’art. 2–bis: “«Art. 2–bis. (Conseguenze per il ritardo dell’amministrazione nella conclusione del procedimento); 1. le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’articolo 1, comma 1–ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento. 2. le controversie relative all’applicazione del presente articolo sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Il diritto al risarcimento del danno si prescrive in cinque anni»; – all’art. 33 ha delegato il Governo per la modifica del codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82; – all’art. 45 (“ Il Governo è delegato ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per il riassetto del processo avanti ai tribunali amministrativi regionali e al Consiglio di Stato, al fine di adeguare le norme vigenti alla giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori, di coordinarle con le norme del codice di procedura civile in quanto espressione di princìpi generali e di assicurare la concentrazione delle tutele”) ha delegato il Governo per il riassetto della disciplina del processo amministrativo (si tratta di modifiche processuali a cerchi concentrici: si pensi oltre a questa delega, anche a quelle riforme previste dalla l. 2/2009 (per cui si attende il DPCM in materia di contratti pubblici) e alla riforma da attuare in ottemperanza alla Legge Comunitaria 2008 (cioè la l. 88/09, di cui si dirà poco appresso); – dall’art. 46 in avanti ha disposto importanti modifiche al codice di procedura civile. 44 Capitolo I e) Con ritardo rispetto alla prassi adottata negli anni precedenti dal Parlamento, è stata pubblicata sulla GU n. 161 del 14 luglio 2009, la Legge 88/2009, c.d. Legge comunitaria 2008. In essa, l’art. 44 detta prescrizioni all’Esecutivo per l’adeguamento alla direttiva 2007/66/CE (c.d. direttiva ricorsi, che succede alle precedenti direttive 89/665 e 92/13). L’art. 20 della l. 2/2009 sembra in contrasto a tali previsioni comunitarie direttamente applicabili dal 20 dicembre 2009, per la non obbligatorietà dello stand–still (i 30 giorni di cui al comma 10 dell’art. 11 del Codice De Lise) e per la previsione del risarcimento solo per equivalente. La direttiva 66 sarà direttamente applicabile dal 20 dicembre prossimo. Fra le principali prescrizioni dettate dall’art. 44 e che il Governo dovrà dettagliare, vanno menzionate: – la Stazione appaltante va informata di un imminente proposizione del ricorso ed essa dovrà esplicitare se interverrà o meno in via di autotutela; – i termini di impugnazione non dovranno essere superiori a 30 giorni e gli altri termini processuali dovranno essere ulteriormente abbreviati; – i ricorsi riguardanti una medesima procedura di gara dovranno essere concentrati nel medesimo giudizio ovvero riuniti; – sia i ricorsi sia i provvedimenti del giudice avranno forma sintetica; – i termini per l’appello dell’istanza cautelare saranno di 15 giorni; – per effetto del ricorso con istanza cautelare, la Stazione appaltante dovrà sospendere la stipula del contratto sino alla pubblicazione del provvedimento cautelare “definitivo”; – lettera m) dell’art. 44: il Governo dovrà dettare regole di razionalizzazione dell’arbitrato, prevedendo quest’ultimo come “ordinario rimedio alternativo al giudizio civili”. La l. 244/07 (con termine differito al 31 dicembre 2009) aveva invece fat- Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06 45 to divieto alle amministrazioni di prevedere clausole compromissorie nei contratti d’appalto pubblici, a pena di nullità. – Le amministrazioni dovranno indicare già nel bando o nell’avviso se il futuro contratto conterrà o meno la clausola arbitrale: non sono ammesse tali pattuizioni ex post alla stipula del contratto medesimo. Questa disposizione è già attuativa con l’entrata in vigore della Legge 88/09, non essendo per essa necessario esercitare la delega da parte dell’Esecutivo. f) È stata pubblicata la legge che inserisce una nuova causa di esclusione all’articolo 38, comma 1, lettera m–ter), del Codice dei contratti: GU n. 170 del 24 luglio, legge 15 luglio 2009, n. 94: Disposizioni in materia di sicurezza pubblica. L’art. 2, comma 19 opera all’interno dell’art. 38 del Codice dei contratti pubblici. In particolare: – inserisce una nuova ipotesi al comma 1, la lettera m–ter): non possono partecipare alla gara i soggetti: di cui alla precedente lettera b) che, anche in assenza nei loro confronti di un procedimento per l’applicazione di una misura di prevenzione o di una causa ostativa ivi previste, pur essendo stati vittime dei reati previsti e puniti dagli articoli 317 e 629 del codice penale aggravati ai sensi dell’articolo 7 del decreto–legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, non risultino aver denunciato i fatti alla autorità giudiziaria, salvo che ricorrano i casi previsti dall’articolo 4, primo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689. La circostanza di cui al primo periodo deve emergere dagli indizi a base della richiesta di rinvio a giudizio formulata nei confronti dell’imputato nei tre anni antecedenti alla pubblicazione del bando e deve essere comunicata, unitamente alle generalità del soggetto che ha omesso la predetta denuncia, dal procuratore della Repubblica procedente all’Autorità di cui all’articolo 6, la quale cura la pubblicazione della comunicazione sul sito dell’Osservatorio; 46 Capitolo I – inserisce un nuovo comma, 1–bis: «1–bis. I casi di esclusione previsti dal presente articolo non si applicano alle aziende o società sottoposte a sequestro o confisca ai sensi dell’articolo 12–sexies del decreto–legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, o della legge 31 maggio 1965, n. 575, ed affidate ad un custode o amministratore giudiziario o finanziario». g) Ancora una modifica sostanziale nel quadro normativo: l’ambito è quello della Sicurezza sul lavoro: in GU n. 180 del 5 agosto 2009 è stato pubblicato il d.lgs. 3 agosto 2009, n. 106 Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Fra i diversi interventi, viene modificato anche l’art. 14 del T.U. n. 81/08 che prevede la sospensione dell’attività dell’impresa per cause diverse da quelle previste dall’art. 300 (omicidio e lesioni colpose, art. 25–septies del d.lgs. 231/01). Il legame di questa previsione con la causa di esclusione di cui all’art. 38, lett. m) è del tutto evidente. h)Le ulteriori modifiche al Codice dei contratti le ha operate la legge agosto 2009, n. 102 (Conversione del decreto–legge 1° luglio 2009, n. 78), recante provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini e della partecipazione italiana a missioni internazionali (in GU n. 179 del 4 agosto 2009). Oltre a quanto indicato nel comma 4–bis dell’art. 4, le altre principali modifiche sono previste nell’art. 4–quater e riguardano soprattutto l’abrogazione della previsione delle giustificazioni da presentare a corredo dell’offerta.7 7. Il testo dell’art. 4–quater della l. 102/2009 è il seguente: 1) Al codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 70, comma 11, lettera b), al primo periodo, dopo le parole: «a presentare offerte» sono aggiunte le seguenti: «, ovvero non inferiore a quarantacinque giorni se l’offerta ha per oggetto anche il progetto definitivo, decorrente dalla medesima data. Tale previsione non si applica nel caso di cui all’articolo 53, comma 2, lettera c)» e l’ultimo periodo è soppresso; Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06 47 i) Con il Decreto Legge 25 settembre 2009, n. 135 «Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee. (09G0145» (GU n. 223 del 25/9/2009), sono state inserite nell’art. 38, comma 1 del Codice De Lise la lettera m–quater) («Sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né b) c) d) all’articolo 86, il comma 5 è abrogato; all’articolo 87: 1. il comma 1 è sostituito dal seguente: «1. Quando un’offerta appaia anormalmente bassa, la stazione appaltante richiede all’offerente le giustificazioni relative alle voci di prezzo che concorrono a formare l’importo complessivo posto a base di gara, nonché, in caso di aggiudicazione con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, relative agli altri elementi di valutazione dell’offerta, procedendo ai sensi dell’articolo 88. All’esclusione può provvedersi solo all’esito dell’ulteriore verifica, in contraddittorio»; 2. al comma 2, alinea, le parole: «di cui all’articolo 86, comma 5 e di cui all’articolo 87, comma 1,» sono soppresse; all’articolo 88: 1. il comma 1 è sostituito dal seguente: «1. La stazione appaltante richiede, per iscritto, assegnando al concorrente un termine non inferiore a quindici giorni, la presentazione, per iscritto, delle giustificazioni»; 2. dopo il comma 1 è inserito il seguente: «1–bis. La stazione appaltante, ove lo ritenga opportuno, può istituire una commissione secondo i criteri stabiliti dal regolamento per esaminare le giustificazioni prodotte; ove non le ritenga sufficienti ad escludere l’incongruità dell’offerta, richiede per iscritto all’offerente le precisazioni ritenute pertinenti»; 3. al comma 2, le parole: «dieci giorni» sono sostituite dalle seguenti: «cinque giorni» e la parola: «giustificazioni» è sostituita dalla seguente: «precisazioni»; 4. il comma 3 è sostituito dal seguente: «3. La stazione appaltante, ovvero la commissione di cui al comma 1–bis, ove istituita, esamina gli elementi costitutivi dell’offerta tenendo conto delle precisazioni fornite»; 5. al comma 4, le parole: «cinque giorni» sono sostituite dalle seguenti: «tre giorni»; 6. al comma 7, dopo il primo periodo è inserito il seguente: «In alternativa, la stazione appaltante, purché si sia riservata tale facoltà nel bando di gara, nell’avviso di gara o nella lettera di invito, può procedere contemporaneamente alla verifica di anomalia delle migliori offerte, non oltre la quinta, fermo restando quanto previsto ai commi da 1 a 5» e, al secondo periodo, le parole: «dichiara l’aggiudicazione» sono sostituite dalle seguenti: «procede, nel rispetto delle disposizioni di cui agli articoli 11 e 12, all’aggiudicazione»;,e) all’articolo 122, comma 9, le parole: «l’articolo 86, comma 5» sono sostituite dalle seguenti: «l’articolo 87, comma 1»; 48 Capitolo I possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti: […] che si trovino, rispetto ad un altro partecipante alla medesima procedura di affidamento, in una situazione di controllo di cui all’articolo 2359 del codice civile o in una qualsiasi relazione, anche di fatto, se la situazione di controllo o la relazione comporti che le offerte sono imputabili ad un unico centro decisionale») e le seguenti previsioni nel comma 2: «Ai fini del comma 1, lettera m–quater), i concorrenti allegano, alternativamente: a) la dichiarazione di non essere in una situazione di controllo di cui all’articolo 2359 del codice civile con nessun partecipante alla medesima procedura; b)la dichiarazione di essere in una situazione di controllo di cui f) all’articolo 124, comma 8, le parole: «l’articolo 86, comma 5» sono sostituite dalle seguenti: «l’articolo 87, comma 1»; g) all’articolo 165, comma 4, al terzo periodo, le parole: «novanta giorni» sono sostituite dalle seguenti: «sessanta giorni» e, al quarto periodo, le parole: «sessanta giorni» sono sostituite dalle seguenti: «quarantacinque giorni»; h) all’articolo 166: 1. al comma 3, secondo periodo, le parole: «novanta giorni» sono sostituite dalle seguenti: «sessanta giorni»; 2. al comma 4, secondo periodo, le parole: «novanta giorni» sono sostituite dalle seguenti: «sessanta giorni». 2. Le disposizioni di cui al comma 1, lettere da a) a f), si applicano alle procedure i cui bandi o avvisi con cui si indice una gara siano pubblicati successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, nonché, in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o avvisi, alle procedure in cui, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, non siano ancora stati inviati gli inviti a presentare le offerte. 3. Le disposizioni di cui al comma 1, lettera g), si applicano ai progetti preliminari non ancora rimessi dai soggetti aggiudicatori al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. 4. Le disposizioni di cui al comma 1, lettera h), numero 1), si applicano ai progetti definitivi non ancora ricevuti dalle pubbliche amministrazioni competenti e dai gestori di opere interferenti alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. 5. Le disposizioni di cui al comma 1, lettera h), numero 2), si applicano alle conferenze di servizi non ancora concluse alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06 49 all’articolo 2359 del codice civile e di aver formulato autonomamente l’offerta, con indicazione del concorrente con cui sussiste tale situazione; tale dichiarazione è corredata dai documenti utili a dimostrare che la situazione di controllo non ha influito sulla formulazione dell’offerta, inseriti in separata busta chiusa. La stazione appaltante esclude i concorrenti per i quali accerta che le relative offerte sono imputabili ad un unico centro decisionale, sulla base di univoci elementi. La verifica e l’eventuale esclusione sono disposte dopo l’apertura delle buste contenenti l’offerta economica». Tali previsioni sono conseguenti alla Corte di Giustizia delle CE, sezione IV, 19 maggio 2009, C–538/07, in cui è affermata contraria al diritto comunitario la norma nazionale (nella specie l’art. 34, comma 2, del d.lgs. 163/2006) che stabilisca un divieto assoluto per gli operatori economici in situazioni di controllo o collegamento, di partecipare alla medesima gara d’appalto, senza che essi possano dimostrare la non influenza di quel rapporto e la genuinità dell’offerta. 3. I principi ispiratori del Codice. Definizioni e riflessioni sugli organismi di diritto pubblico I principi richiamati dall’art. 2 del Codice sono quelli già enucleati in tema di attività contrattuale sia dalla direttiva 2004/18 sia dal Trattato. Va precisato, però, che i principi ispiratori elencati nel comma 1 dell’art. 2 sono comunque presenti fra i principi generali dell’agire della pubblica amministrazione secondo le previsioni sia costituzionali (artt. 97, 2, 3 e 5), sia comunitarie, come ad esempio quelle della Carta dei diritti fondamentale dell’Unione europea e quelle del Trattato della Costituzione europea, che nell’art. 41 esprime chiaramente il principio del diritto alla buona amministrazione, spostando così l’asse della previsione nella sfera della situazione giuridica di ogni cittadino. 50 Capitolo I Si consideri pure che la legge 241/90, così come novellata dalla l. 15/2005 e richiamata dal comma 3 dell’art. 2, lega i principi dell’attività amministrativa espressamente anche ai principi dell’ordinamento comunitario. Dunque, anche per l’agire amministrativo si tratta di un chiaro quadro unitario fra principi di diritto europeo e nazionale. I commi 3 e 4 dell’art. 2 regolarizzano espressamente il rapporto fra le norme pubblicistiche e quelle civilistiche con riferimento agli appalti pubblici; questo rapporto, finora teorizzato da parte della dottrina in via, pertanto, ermeneutica8, è così autenticamente stabilizzato dal legislatore precisando il principio di specialità fra il codice degli appalti, la l. 241/90 (per le procedure di affidamento e le altre attività amministrative) e il codice civile (per l’attività contrattuale). In particolare, i suddetti commi stabiliscono che: Per quanto non espressamente previsto nel presente codice, le procedure di affidamento e le altre attività amministrative in materia di contratti pubblici si espletano nel rispetto delle disposizioni sul procedimento amministrativo di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni e integrazioni. Per quanto non espressamente previsto nel presente codice, l’attività contrattuale dei soggetti di cui all’articolo 1 si svolge nel rispetto, altresì, delle disposizioni stabilite dal codice civile. 4. Ambiti di giurisdizione ordinaria e amministrativa per i contratti pubblici Alla luce della “bifasicità” dell’intera gestione del contratto pubblico (fase dell’evidenza pubblica e fase della esecuzione del contratto), l’attuale disciplina giuridica circa le competenze giurisdizionali è così articolata: in materia di controversie relative agli appalti pubblici, il giudice amministrativo ha giurisdizione esclusiva, così come dispone l’art. 244 del d.lgs. 163/2006, in ordine alla fase pubblicistica che pre8. Cfr. V. Capuzza, Il principio di specialità nelle sue linee storiche e la differenza moderna fra appalto pubblico ed appalto di diritto civile, in «Riv. Trim. Appalti», n. 3/2005, p. 695 e ss. Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06 51 cede la stipula del contratto che va dalla determina a contrarre sino all’aggiudicazione definitiva. Ogni altra questione circa l’esecuzione del contratto, attenendo a vizi funzionali e genetici del rapporto contrattuale, è invece riservata alla cognizione del giudice ordinario” (TAR Lombardia Milano Sez. I, 08–05–2008, n. 1370). Infatti, come affermato anche dalla Corte di Cassazione: Il provvedimento di aggiudicazione dell’appalto segna il momento terminale dell’esercizio della fase pubblicistica devoluta dal legislatore alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e la fase successiva che ha inizio con la stipulazione del contratto resta attribuita alla giurisdizione ordinaria, nella quale rientrano non soltanto le vicende relative all’esecuzione dell’appalto ed al pagamento della prestazione dovuta — e quindi tutta quanta la disciplina positiva sui requisiti (art. 1325 c.c. e ss.) e sugli effetti (art. 1372 c.c. e ss.) del contratto — ma anche l’intero spettro delle patologie ed inefficacie negoziali, siano esse inerenti alla struttura del contratto, siano esse estranee e/o alla stessa sopravvenute e derivanti da irregolarità–illegittimità della procedura amministrativa a monte: perciò comprendenti sia le fattispecie di radicale mancanza del procedimento di evidenza pubblica (o di vizi che ne affliggono singoli atti), sia quella di successiva mancanza legale provocata dall’annullamento del provvedimento di aggiudicazione (Cass. civ. Sez. Unite, 18/07/2008, n. 19805). Come è stato riconosciuto dai giudici amministrativi ormai in modo pressoché uniforme, gli artt. 6 e 7 della l. 205/2000, nel devolvere alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie relative alle procedure di affidamento di appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, hanno riguardo alla sola fase pubblicistica dell’appalto (in essa compresi i provvedimenti di non ammissione alla gara o di esclusione dalla stessa), ma non si riferiscono alla successiva fase dell’esecuzione del rapporto, concernente i diritti e gli obblighi derivanti, per ciascuna delle parti, dal contratto stipulato successivamente 52 Capitolo I agli atti di evidenza pubblica. In questa seconda fase resta operante la giurisdizione del giudice ordinario9. Pertanto, la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo di tutte le controversie relative alle procedure di affidamento di appalti pubblici concerne la solo fase pubblicistica della gara, ivi compresi i provvedimenti di non ammissione alla gara o di esclusione dei concorrenti, ma non riguarda la fase relativa alla esecuzione del rapporto contrattuale10: del resto il sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo si giustifica logicamente solo in relazione alla fase pubblicistica delle procedure contrattuali ad evidenza pubblica, ma non anche in relazione a quella in cui, stipulato il contratto, si è in presenza di rapporti assolutamente paritetici in cui la posizione della pubblica amministrazione non differisce in alcun modo da quella di qualsiasi altra parte contrattuale11. In tal senso, la recente giurisprudenza amministrativa così si è espressa: Gli artt. 6 e 7 l. 21 luglio 2000, n. 205, nel devolvere alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie relative alle procedure di affidamento di appalti pubblici, si riferivano alla sola fase pubblicistica dell’appalto (compresi i provvedimenti di non ammissione alla gara o di esclusione dei concorrenti), ma non riguardavano anche la fase relativa all’esecuzione del rapporto, con la conseguenza che rientrava pertanto nella giurisdizione del giudice ordinario la cognizione della controversia sorta a seguito dell’impugnazione da parte dell’appaltatore della rescissione del contratto intimata dalla P.A. (TAR Veneto Venezia Sez. I, 12–02–2009, n. 346); In materia di appalti pubblici, gli articoli 6 e 7 della l. 205/2000 attribuiscono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie relative alla procedura di affidamento dell’appalto, mentre quelle concernenti la fase di esecuzione del contratto sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario, atteso che concernono diritti ed obblighi derivanti dal contratto stesso (TAR Umbria Perugia Sez. I Sent., 15–01–2009, n. 7); e 9. TAR Lazio Roma Sez. II ter Sent., 07–04–2008, n. 2913. 10. Come affermato anche dalla Cass. Civ. SS.UU. 18 aprile 2002 n. 5640 e Cass. Civ., SS. UU., 18 ottobre 2005, n. 20116. 11. TAR Veneto Venezia Sez. I Sent., 13–03–2009, n. 601. Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06 53 ancora: Gli artt. 6 e 7, l. 205/2000, nel devolvere alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie relative alle procedure di affidamento di appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, hanno riguardo alla sola fase pubblicistica dell’appalto (in essa compresi i provvedimenti di non ammissione alla gara e di esclusione dalla stessa), ma non si riferiscono alla successiva fase dell’esecuzione del rapporto, concernenti i diritti e gli obblighi derivanti, per ciascuna delle parti, dal contratto stipulato successivamente agli atti ad evidenza pubblica (TAR Lombardia Brescia Sez. I Sent., 27–11–2008, n. 1707). Del tutto specularmente, anche le pronunce dei giudici civilisti hanno in parte qua seguito la medesima linea interpretativa; in particolare, a cominciare dalla Suprema Corte, è stato così affermato: In tema di appalti pubblici, qualora nel corso dell’esecuzione dei lavori l’impresa aggiudicataria, previa autorizzazione della stazione appaltante, compia scelte tecniche comportanti l’acquisto di materiali diversi rispetto a quelli di progetto, rientra nella giurisdizione dell’A.G.O. la domanda con cui il produttore dei materiali originariamente previsti, che non ha concluso l’auspicato contratto di fornitura con l’aggiudicatario, chieda nei confronti di quest’ultimo e della stazione appaltante l’annullamento degli atti con cui sono state autorizzate le diverse scelte tecniche poi praticate. Ciò sia perché gli articoli 6 e 7 della legge 21 luglio 2000 n. 205, nel devolvere alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie relative alle procedure di affidamento di appalti pubblici, si riferiscono alla sola fase pubblicistica dell’appalto e non riguardano la fase relativa alla esecuzione del rapporto, per la quale opera la competenza giurisdizionale del giudice ordinario, come giudice dei diritti; sia perché il mancato fornitore — che non è destinatario dei provvedimenti amministrativi impugnati — non può vantare rispetto agli stessi neanche una posizione di interesse legittimo; sia, infine, perché il “petitum sostanziale”, identificato sulla base della “causa petendi”, si fonda sulla mancata conclusione di un contratto di diritto privato tra appaltatrice e fornitore per fatti dell’appaltante e della società appaltat ìrice. (Regola giurisdizione) (Cass. civ. Sez. Unite Ord., 19–12–2007, n. 26745 – rv. 601051)12. 12. Conformi a tale importante pronuncia, Cass. civ. Sez. Unite Ord., 07–03–2008, n. 6171 (rv. 602274); Cass. civ. Sez. Unite Ord., 27–02–2007, n. 4425 (rv. 595444); Cass. civ. Sez. Unite (Ord.), 18–10–2005, n. 20116 (rv. 583436); Cass. civ. Sez. Unite, 31–03–2005, n. 6743 (rv. 579975). 54 Capitolo I A tale importante sentenza, deve logicamente connettersi anche quanto era stato già in precedenza riconosciuto dalla stessa Corte di Cassazione, secondo la quale gli art. 6 e 7 l. 21 luglio 2000 n. 205, nel devolvere alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie relative alle procedure di affidamento di appalti pubblici, si riferiscono alla sola fase pubblicistica dell’appalto (compresi i provvedimenti di non ammissione alla gara o di esclusione dei concorrenti), ma non riguardano anche la fase relativa all’esecuzione del rapporto. Rientra pertanto nella giurisdizione del giudice ordinario la cognizione delle controversie inerenti ai diritti e agli obblighi scaturenti dal contratto di appalto di opere pubbliche, a nulla rilevando che l’amministrazione committente si sia avvalsa della facoltà di rescindere il rapporto con proprio atto amministrativo ai sensi dell’art. 340 l. 20 marzo 1865 n. 2248, all. F, data l’inidoneità di questo ad incidere sulle posizioni soggettive nascenti dal rapporto contrattuale ed aventi consistenza di diritti soggettivi, o che l’appaltatore abbia formalmente impugnato tale atto, atteso che la giurisdizione si determina in ragione dell’intrinseca consistenza della posizione soggettiva addotta in giudizio, rientrando, d’altra parte, nei poteri del giudice ordinario stabilire, verificando in via incidentale la legittimità dell’atto rescissorio, se l’amministrazione abbia violato le clausole contrattuali e vulnerato il diritto soggettivo dell’appaltatore a proseguire nel rapporto (Cass. civ. Sez. Unite (Ord.), 18–04–2002, n. 5640)13. 5. Definizioni La novità portata dall’art. 3 del Codice consiste nell’aver seguito la prassi ormai consolidata del legislatore comunitario di stabilire all’inizio della disciplina trattata dall’organon normativo una chiara definizione degli elementi e degli istituti propri della singola materia trattata: interpretazioni autentiche, insomma. Il Codice riflette fedelmente le definizioni dei temi già enucleate dall’art. 1 della direttiva 2004/17 e dall’art. 1 della direttiva 2004/18. 13. Conforme a tale pronuncia è Cass. civ. Sez. Unite (Ord.), 01–06–2006, n. 13033. Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06 55 In tal senso, due considerazioni debbono essere elaborate a proposito del concetto comunitario e ora anche nazionale di “contratto d’appalto di lavori”. La prima riguarda l’estensione del concetto anche all’appalto che abbia per oggetto sia l’esecuzione sia la progettazione dei lavori e, quindi, la caduta dell’uso terminologico dell’appalto integrato e dell’appalto concorso: va da sé che queste ipotesi, ora confluite nella figura complessa dell’appalto di lavori, siano state anche liberate dai vincoli normativi che relegavano l’uso di tali procedure d’appalto. La seconda riguarda l’inserimento di fatto nel solo concetto di contratto di lavori della cd. esecuzione con qualsiasi mezzo, però relativizzata e applicata alla figura del contraente generale, disciplinata nel capo relativo ai lavori di infrastrutture strategiche e insediamenti produttivi. Il contratto d’appalto pubblico di lavori è così definito dal comma 7 dell’art. 3: Sono appalti pubblici aventi per oggetto l’esecuzione o, congiuntamente, la progettazione esecutiva e l’esecuzione, ovvero, previa acquisizione in sede di offerta del progetto definitivo, la progettazione esecutiva e l’esecuzione, relativamente a lavori o opere rientranti nell’allegato I, oppure, limitatamente alle ipotesi di cui alla parte II, titolo III, capo IV, l’esecuzione, con qualsiasi mezzo, di un’opera rispondente alle esigenze specificate dalla stazione appaltante o dall’ente aggiudicatore, sulla base del progetto preliminare o definitivo posto a base di gara (il comma è stato così modificato dall’art. 2, comma 1, lettera a), d.lgs. 113/2007). Le “concessioni di lavori pubblici” sono contratti a titolo oneroso, conclusi in forma scritta, aventi ad oggetto, in conformità al presente codice, l’esecuzione, ovvero la progettazione esecutiva e l’esecuzione, ovvero la progettazione definitiva, la progettazione esecutiva e l’esecuzione di lavori pubblici o di pubblica utilità, e di lavori ad essi strutturalmente e direttamente collegati, nonché la loro gestione funzionale ed economica, che presentano le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di lavori, ad eccezione del fatto che il corrispettivo dei lavori consiste unicamente nel diritto di gestire l’opera o in tale diritto accompagnato da un prezzo, in conformità al codice (c. 11). 56 Capitolo I I commi 16 e 17 dell’art. 3 stabiliscono i caratteri dei contratti “di rilevanza comunitaria” (sono i contratti pubblici il cui valore stimato al netto dell’imposta sul valore aggiunto (i.v.a.) è pari o superiore alle soglie di cui agli articoli 28, 32, comma 1, lettera e), 91, 99, 196, 215, 235, e che non rientrino nel novero dei contratti esclusi) e dei contratti «sotto soglia» (sono i contratti pubblici il cui valore stimato al netto dell’imposta sul valore aggiunto (i.v.a.) è inferiore alle soglie di cui agli articoli 28, 32, comma 1, lettera e), 91, 99, 196, 215, 235, e che non rientrino nel novero dei contratti esclusi). Si è poi posto il problema di elaborare una nozione di amministrazione aggiudicatrice in termini sufficientemente ampi da comprendere soggetti non formalmente qualificabili come pubblici e, a tal fine, si è creata la categoria degli organismi di diritto pubblico, la cui originaria disciplina è di derivazione comunitaria. Nel campo dei lavori pubblici ciò si era tradotto in una indicazione analitica dei soggetti tenuti all’applicazione della l. 109/94, che ha portato all’equiparazione degli organismi di diritto pubblico alle amministrazioni pubbliche (ex art. 2, comma 2, lett. a) e alla sottoposizione ad un regime parzialmente derogatorio (ex art. 2, comma 2, lett. b) dei concessionari di lavori e di servizi pubblici, dei soggetti di cui al d.lgs. 158/1995, delle aziende speciali e dei consorzi di cui agli articoli 114, 2 e 31 e al d.lgs. 267/2000, delle società di cui agli artt. 113, 113–bis, 15 e 116 del citato d.lgs. 267/2000, nonché delle società con capitale pubblico, in misura non prevalente, che abbiano ad oggetto della propria attività la produzione di beni o servizi non destinati ad essere collocati sul mercato in regime di libera concorrenza. Quest’ultima categoria, essendo prevista in aggiunta alle società miste locali, assume un carattere residuale, nel senso che comprende tutte le società a partecipazione pubblica (che non operano in regime di concorrenza) diverse da quelle destinate alla gestione dei servizi pubblici locali. Allo stesso modo, nella categoria degli organismi di diritto pubblico rientrano tutti quei soggetti in possesso dei requisiti già previsti dalla legge (si ricordi l’art. 2, comma 7, della l. 109/94) che, da un lato, non Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06 57 appartengano alle categorie societarie sopra descritte e, dall’altro, non siano qualificabili come enti pubblici economici, essendo quest’ultima categoria espressamente prevista sempre nella lettera a). La classificazione di un soggetto in una o nell’altra categoria, data l’eterogeneità delle figure e la pochezza delle norme, non sempre è agevole; ciò nondimeno devono essere indicati quali siano i criteri guida per effettuare tale valutazione, seppur per somme linee. Al riguardo, deve innanzitutto premettersi che la previsione della categoria — di derivazione comunitaria — “organismo di diritto pubblico” è finalizzata al superamento della nozione di ente pubblico elaborata ai vari livelli nazionali, e mira alla valorizzazione della nozione di impresa aggiudicatrice, che è ben più estesa di quella di ente pubblico. Si comprendono in essa, infatti, sia soggetti pubblici sia soggetti formalmente privati individuati secondo criteri “sostanziali”, al fine di soddisfare l’esigenza di attrarre nell’evidenza pubblica, nell’ottica della tutela della concorrenza, tutte le attività con rilevanza economica gestite con una significativa partecipazione finanziaria o gestionale pubblica. In proposito, si è passati da una definizione di tipo chiuso e tassativo a una più elastica e sostanziale, nell’intento di evitare che attraverso l’impiego di figure soggettive che, per quanto a rilevanza pubblicistica, non fossero qualificabili a tutti gli effetti come enti o soggetti pubblici si legittimassero fenomeni di elusione dei principi comunitari e, in particolare, dell’evidenza pubblica. La figura dell’organismo di diritto pubblico, comunque, è al centro di un articolato dibattito dottrinario e giurisprudenziale discendendo dalla qualificazione in esso di un singolo ente la sua sottoposizione alle direttive comunitarie in materia di appalti e, in ultima analisi, il radicarsi della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Al riguardo, non può che constatarsi la similitudine fra l’attuale normativa ex art. 3, comma 26, del Codice e la definizione dell’art. 2, comma 7, della l. 109/94 e s.m.i., secondo cui si intende 58 Capitolo I Per organismi di diritto pubblico qualsiasi organismo con personalità giuridica, istituito per soddisfare specificatamente bisogni di interesse generale non aventi carattere industriale o commerciale e la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dalle regioni, dalle province autonome di Trento e Bolzano, dagli enti locali, da altri enti pubblici o da altri organismi di diritto pubblico, ovvero la cui gestione sia sottoposta al controllo di tali soggetti, ovvero i cui organismi di amministrazione, di direzione o di vigilanza siano costituiti in misura non inferiore alla metà da componenti designati dai medesimi soggetti. Tale definizione risulta confermata nelle Direttive comunitarie 2004/17 e 2004/18, che si discostano dal tenore letterale della l. 109/94 solamente per aver puntualizzato meglio che l’organismo di diritto pubblico è quello istituito per soddisfare “esigenze” (in luogo del termine “bisogni” utilizzato dalla legge Merloni) di interesse generale “aventi carattere non industriale o commerciale” (in luogo di interesse generale “non aventi carattere industriale o commerciale”, ai sensi della legge Merloni). E così il testo del Codice oggi si esprime nel comma 26. Sulla base di quest’ultimo disposto gli elementi strutturali e costituitivi della nozione di organismo di diritto pubblico sono tre e, secondo la costante giurisprudenza sia nazionale che comunitaria, debbono essere compresenti, sicché in mancanza di uno solo di essi, un soggetto non può e non deve essere considerato come organismo di diritto pubblico e, dunque, come amministrazione aggiudicatrice tenuta all’osservanza delle procedure dell’evidenza pubblica. È quindi necessario: che l’organismo sia in possesso di personalità giuridica; che il fine perseguito sia costituito dal soddisfacimento di bisogni (“esigenze”) di interesse generale non aventi carattere industriale o commerciale; che sia sottoposto all’influenza pubblica, la quale si ha — questa volta alternativamente e non cumulativamente — quando l’attività dell’organismo è finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti locali o da organismo di diritto pubblico, o quando la sua gestione è soggetta al controllo di questi ultimi, o quando l’organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza è costituito Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06 59 da membri più della metà dei quali è designata dallo Stato, dagli enti locali o dagli organismi di diritto pubblico. In relazione a questi aspetti, a seguito di diversi pronunciamenti della giurisprudenza comunitaria della Corte di Giustizia CE, va sottolineato che la riconducibilità all’alveo pubblicistico può essere sostenuta allorché alla partecipazione pubblica al capitale si accompagnino consistenti deroghe alla disciplina di diritto comune, suscettibili di attestare la strumentalità dell’organismo societario rispetto al perseguimento di finalità che non sono tipiche del modello societario, ma piuttosto proprie dell’ente pubblico e la sua soggezione al penetrante controllo dello stesso o di altri enti pubblici, superando la presunzione del suo carattere privato conseguente all’adozione del modello societario. Si tratta di verificare, quindi, anche la sostanza dei poteri attribuiti ai soggetti pubblici, prescindendo dall’entità della partecipazione al capitale e valorizzando, invece, la natura dei controlli e delle forme di ingerenza della pubblica amministrazione nella gestione e nello svolgimento dell’attività dell’organismo societario. L’attrazione dell’ente societario nell’alveo pubblicistico si manifesta anche nel minor grado di autonomia funzionale, conseguente a un regime giuridico caratterizzato da regole di organizzazione e funzionamento che si discostano, in una misura che esula quella tipica dell’autonomia contrattuale, del modello societario tipico prescelto. In questi casi, al di là del dato formale, la società rappresenta una struttura operativa di uno o più enti pubblici di cui gli stessi si avvalgono per lo svolgimento di propri compiti e funzioni istituzionali. Invece, nelle altre ipotesi, con lo strumento privatistico si realizza un’ordinaria attività di impresa, che i poteri pubblici sono legittimati anche a svolgere, con le adeguate modalità organizzative, e cioè un’attività economica in regime di diritto privato e soggetto alle ordinarie regole della libera concorrenza. La decisione pubblica di partecipare a iniziative imprenditoriali del genere viene a essere giustificata in base a un interesse pubblico, come in tutti i casi di utilizzazione di risorse finanziarie pubbliche. Tuttavia, i poteri pubblici si astengono dall’influenzare la gestione dell’impresa al di fuori dei limiti conseguenti alla 60 Capitolo I mera qualità di socio, per cui i caratteri privatistico–imprenditoriali dell’attività non subiscono alterazioni per l’intervento dei pubblici poteri. Ne consegue che il criterio per la configurazione di un ente costituito in forma societaria in termini di “organismo di diritto pubblico” non può essere diverso da quello valevole per enti costituiti in forma diversa, ma richiede unicamente una più attenta analisi degli indici rivelatori di tale natura previsti dalla legge. Nella relativa nozione vanno allora compresi quegli enti che, pur costituiti in forma societaria e pur esercitando se del caso anche un’attività di tipo commerciale, non agiscono nel mercato e secondo le regole del mercato, seguendo cioè criteri di attività strettamente imprenditoriali, e ciò a prescindere dall’entità della partecipazione pubblica al capitale societario. Ulteriore conseguenza è che un ente societario ha natura di organismo di diritto pubblico tutte le volte che, fermi restando gli altri requisiti previsti dalla legge, mira a curare bisogni non aventi carattere industriale o commerciale e con modalità tali da non soggiacere alle regole del mercato. L’attrazione nell’alveo pubblicistico, quindi, si basa sul presupposto dell’identificazione del requisito negativo del «carattere non industriale o commerciale», nella mancata soggezione alle regole del mercato e nella conseguente carenza di criteri strettamente imprenditoriali nello svolgimento dell’attività. 6. Inquadramento della normativa di riferimento per gli appalti sotto soglia comunitaria L’art. 121 è la prima norma riferita agli appalti di lavori, servizi e forniture aventi importi inferiori alla soglia comunitaria, fissata nell’art. 28 del Codice. Si tratta di una norma d’apertura intitolata «Disciplina comune applicabile ai contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, di importo inferiore alla soglia comunitaria» e al contempo è una regolamentazione degli ambiti legali del codice applicabili: la tecnica è quella del Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06 61 rinvio. Infatti, il comma 1 sancisce che per tali appalti si applicano le disposizioni della Parte I (i Titoli riguardano: Principi e disposizioni comuni; Contratti esclusi in tutto o in parte dall’ambito di applicazione del Codice), della Parte IV (Relativa al contenzioso) e alla Parte V (disposizioni di coordinamento, transitorie e finali–abrogazioni), nonché della Parte II non derogate dal Titolo sui contratti sotto soglia comunitaria. Pertanto, questo Titolo sugli appalti pubblici inferiori alla soglia è in rapporto di specialità (vedi commento all’art. 2) nei confronti delle norme non derogate contenute nella Parte II, che potremmo definire il fondamento dei contratti pubblici, relativamente ai settori ordinari. Il comma 2 fa riferimento al paradigma applicabile anche in tale ambito, cioè l’art. 29, comma 3 relativo al metodi di calcolo del valore stimato dei contratti pubblici: per gli appalti sotto la soglia la data di riferimento è quella di pubblicazione del bando nella Gazzetta Ufficiale Italiana (mentre per gli appalti con importo pari o superiore alla soglia comunitaria si fa riferimento alla data di invio del bando alla Commissione (art. 66, comma 1, a cui fa rinvio l’art. 29, comma 3). L’art. 122 è dedicato invece alla «Disciplina specifica per i contratti di lavori pubblici sotto soglia»; il comma 5 è stato modificato per quanto riguarda la pubblicità della gara, dal d.lgs. 6/2007, art. 2, comma 1 lett. f). Come è immediatamente verificabile dalla lettura dell’art. 122 del Codice, il legislatore nazionale ha inteso dettare per gli appalti di lavori (dalla rubrica legis è chiaro il riferimento limitato unicamente ai lavori) inferiori alla soglia comunitaria una regolamentazione parallela e quindi simmetrica a quella già formulata per gli appalti pari o superiori alla soglia; ovviamente, esistono delle differenti previsioni, secondo il principio derogatorio (norme che o hanno aggiunto o hanno disapplicato una norma), in tema di: pubblicità e termini (comma 1, che sancisce la disapplicazione di quelle norme codicistiche sul tema); offerte anomale; citazione privata semplificata, ora denominata procedura ristretta semplificata (vedi art. 123); trattativa privata, ora procedura negoziata (comma 7, che ha previsto un’aggiunta normati- 62 Capitolo I va); lavori in economia (vedi art. 125, che ha valore per tutte e tre le tipologie di appalti pubblici). Dunque, si può constatare come la ratio di queste disposizioni dettate per gli appalti sotto la soglia, oltre che proseguire l’obiettivo già intrapreso in precedenza dal legislatore nazionale, consista — in ottemperanza ai principi della legge delega —, nella riduzione dei tempi, nella semplificazione delle procedure di scelta, dei tempi e delle forme pubblicitarie, il tutto reso per di più flessibile; soprattutto quest’ultima caratteristica vede la sua possibilità di applicazione grazie alle previsioni che hanno naturalmente esteso dei mezzi flessibili propri degli appalti sopra la soglia comunitaria. In particolare, vanno segnalate: la possibilità di scelta per la stazione appaltante di adottare il criterio di valutazione, senza alcuna limitazione parametrica; la discrezionalità per la stazione appaltante in tema di individuazione della figura d’appalto che essa ritenga più appropriata e idonea al perseguimento dell’obiettivo; scelta sempre dell’amministrazione sulle imprese da invitare alla procedura negoziata; adozione di più ipotesi che consentano il ricorso alla procedura negoziata, in numero certamente superiore alla vecchia previsione dell’art. 24 della legge Merloni. L’art. 122 abroga la normativa sui termini per le richieste di invito e offerte negli appalti inferiori alla soglia14. Infatti, sul dato relativo ai termini, il comma 6 fissa, inoltre, delle regole sui termini; eccone le principali: a) procedure aperte, il termine minimo per la ricezione offerte è pari a 26 giorni (decorrenti diversamente a seconda della pubblicazione prevista per lavori pari/ sopra o sotto soglia di 500.000 euro); b) procedure ristrette, negoziate previo bando e dialogo competitivo, il termine minimo per la ricezione domande è pari a 15 giorni (decorrenti allo stesso modo delle procedure aperte); c) le medesime procedure vedono il termine minimo per la ricezione offerte pari a 20 giorni (decorrenti, logicamente, dalla data dell’invio dell’invito). Le lettere da d) a g) del com���. Cfr. art. 3 del d.p.c.m. 55/1991, artt. 77 e 81 del regolamento di attuazione della legge Merloni. Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06 63 ma 6 dell’art. 122 del Codice stabiliscono i termini per ipotesi ancora più dettagliate, completando così il quadro relativo alla disciplina dei termini inderogabili dettata specificamente per gli appalti di lavori inferiori alla soglia. 7. Il regolamento di esecuzione e i capitolati L’art. 5 del Codice opera un primo rinvio a un regolamento esecutivo della disciplina del Codice e un secondo rinvio a un diverso regolamento avente veste di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri è operato nell’art. 17, comma 8. La norma potrebbe suscitare meraviglia, in quanto il testo unico avrà bisogno di un ulteriore regolamento adottabile secondo le indicazioni di cui al comma 4. Dunque, c’è ancora da attendere per la realizzazione della delega della legge comunitaria 2004, secondo metodo — e non concetto teoretico — dei “cerchi concentrici”15: eppure, un testo unico dovrebbe in sé garantire completezza, unicità, uniformità, organicità, sintesi. Inoltre, appare quantomeno ibrida la figura di un testo unico che funga da “legge delega” ad altro regolamento: ma questo concede la delega ex art. 25 della l. 62/2005. Di conseguenza, torna la disciplina ex art. 3 della legge Merloni, estesa ovviamente dai lavori alle forniture e ai servizi e settori speciali. L’articolo, inoltre, negli ultimi tre commi (7, 8 e 9) disciplina anche i capitolati e ne distingue, semplificando notevolmente, le competenze con l’emanando regolamento d’esecuzione. Peraltro, per quanto attiene all’ultima parte del comma 7 va detto che i capitolati menzionati nel bando o nell’invito (per le procedure ristrette) costituiscano parte integrante del contratto è un concetto già precisato nel d.p.r. 554/99. La stessa espressione, poi, è contenuta nel comma 8, il quale si riferisce al capitolato generale da emanarsi nella forma del decreto ministeriale delle infrastrutture e dei trasporti. 15. Cfr. V. Capuzza, Il principio, op. cit. 64 Capitolo I Va precisato, in proposito, che il capitolato costituisce sempre parte integrante del contratto singolo anche se quest’ultimo non lo richiama espressamente: è contenuto naturale del contratto ciò che le norme prevedono ex se nel capitolato generale; infatti, oculatamente la norma del comma 8 precisa — anche se nel diritto opererebbe comunque l’inserimento — che «tale capitolato (generale), menzionato nel bando o nell’invito, costituisce parte integrante del contratto». Pertanto, il bando o l’invito devono menzionare il capitolato generale e quest’ultimo opera come parte integrante non se è stato richiamato, ma ex se: non va confuso l’obbligo di richiamo nei documenti di gara con il contenuto naturale del contratto. Anche questo aspetto era trattato dall’art. 110 del d.p.r. 554/99. Sempre il comma 7 prevede la possibilità che le stazioni appaltanti adottino i capitolati di dettaglio e tecnici riferiti o ai propri contratti intesi nella loro generalità (dunque, capitolati generali) ovvero a specifici contratti, uniti secondo settori. L’art. 253, che detta norme transitorie, stabilisce al comma 3 che fino all’entrata in vigore del regolamento continuano ad applicarsi, per le parti non diversamente disciplinate dal Codice, sia il d.p.r. 554/99 sia il d.p.r. 34/2000. A proposito del Capitolato generale, di cui ai commi 8 e 9 dell’art. 5, vanno fatte alcune precisazioni di natura sostanziale. Sembra che sia stata reintrodotta la distinzione tra il valore normativo del capitolato valevole per le amministrazioni aggiudicatici statali (comma 8) e il valore pattizio nei confronti degli enti locali territoriali (comma 9), così come già era disposto dal d.p.r. 1063/1962. Infatti, l’art. 1 del d.m.ll.pp. 145/2000, a differenza del d.p.r. 1063/1962 (il vecchio Capitolato generale), disponeva che: 1. Il capitolato generale d’appalto, in prosieguo denominato capitolato, contiene la disciplina regolamentare dei rapporti tra le amministrazioni aggiudicatrici e i soggetti affidatari di lavori pubblici. 2. Le disposizioni del capitolato devono essere espressamente richiamate nel contratto di appalto; esse si sostituiscono di diritto alle eventuali clausole difformi di contratto o Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06 65 di capitolato speciale, ove non diversamente disposto dalla legge o dal regolamento. Dunque, ai sensi del comma 2 vi era l’obbligo del richiamo del capitolato nel contratto d’appalto. Fra le amministrazioni aggiudicatici di cui all’art. 2 dell’abrogata legge Merloni rientravano anche gli enti territoriali, mentre in relazione alle regioni vi erano alcuni dubbi interpretativi e comunque per la gran parte si riteneva che il disposto del d.m. 145/00 non fosse vincolante per le regioni. Attualmente, con la disposizione del comma 9 dell’art. 5 sembra che si sia tornati al valore negoziale valevole per gli enti territoriali, ridimensionando il valore normativo delle disposizioni del Capitolato alle amministrazioni aggiudicatrici statali (comma 8): il tenore letterale conferma questa riflessione: «Il capitolato generale dei lavori pubblici di cui al comma 7 può essere richiamato nei bandi o negli inviti da parte delle stazioni appaltanti diverse dalle amministrazioni aggiudicatrici statali». Relativamente al diritto intertemporale, sembra (anche grazie al disposto del comma 3 dell’art. 253) già prevalere il Codice e, quindi, la parte del Capitolato che rimane in vigore dovrebbe avere valore pattizio per gli enti territoriali e valore normativo per le amministrazioni statali. Conseguentemente, in tutti i contratti pubblici stipulati prima dell’emanazione del nuovo Capitolato generale (di cui al comma 8 dell’art. 5), le amministrazioni aggiudicatici diverse da quelle statali, se non richiamassero esplicitamente il Capitolato d.m. 145/00, avrebbero come fonte normativa il codice civile; infatti, le disposizioni dello stesso d.m. 145/00, per tali amministrazioni non statali non vigono più operando di diritto, cioè non costituiscono più contenuto naturale del contratto. Capitolo II I soggetti ammessi alle gare 1. Principali aspetti relativi ai contratti pubblici di lavori, servizi, forniture nei settori ordinari. I soggetti a cui possono essere affidati i contratti pubblici Il comma 1 dell’art. 34 del Codice è il frutto di un’estensione, quanto più possibile, del contenuto dell’abrogato art. 10 della l. 109/90 e s.m.i. ai servizi, ai settori speciali e alle forniture, adattando di volta in volta taluni aspetti contenuti dalle lette da a) ad f). Dunque, gli articolo contenuti nelle normative per i diversi settori sono ora stati recepiti con modifiche nell’unico art. 34, comma 1, il quale così dispone: Sono ammessi a partecipare alle procedure di affidamento dei contratti pubblici i seguenti soggetti, salvo i limiti espressamente indicati: a) gli imprenditori individuali, anche artigiani, le società commerciali, le società cooperative; b)i consorzi fra società cooperative di produzione e lavoro costituiti a norma della legge 25 giugno 1909, n. 422, e successive modificazioni, e i consorzi tra imprese artigiane di cui alla legge 8 agosto 1985, n. 443; c) i consorzi stabili, costituiti anche in forma di società consortili ai sensi dell’articolo 2615–ter del codice civile, tra imprenditori individuali, anche artigiani, società commerciali, società coo67 68 Capitolo II perative di produzione e lavoro, secondo le disposizioni di cui all’articolo 36; d)i raggruppamenti temporanei di concorrenti, costituiti dai soggetti di cui alle lettere a), b) e c), i quali, prima della presentazione dell’offerta, abbiano conferito mandato collettivo speciale con rappresentanza ad uno di essi, qualificato mandatario, il quale esprime l’offerta in nome e per conto proprio e dei mandanti; si applicano al riguardo le disposizioni dell’articolo 37; e) i consorzi ordinari di concorrenti di cui all’articolo 2602 del codice civile, costituiti tra i soggetti di cui alle lettere a), b) e c) del presente comma, anche in forma di società ai sensi dell’articolo 2615–ter del codice civile; si applicano al riguardo le disposizioni dell’articolo 37; f) i soggetti che abbiano stipulato il contratto di gruppo europeo di interesse economico (GEIE) ai sensi del decreto legislativo 23 luglio 1991, n. 240; si applicano al riguardo le disposizioni dell’articolo 37. È importante inoltre evidenziare il divieto che, fino all’entrata in vigore del d.l. 135/09, il comma 2 dell’art. 34 affermava: Non possono partecipare alla medesima gara concorrenti che si trovino fra di loro in una delle situazioni di controllo di cui all’articolo 2359 del codice civile. Le stazioni appaltanti escludono altresì dalla gara i concorrenti per i quali accertano che le relative offerte sono imputabili ad un unico centro decisionale, sulla base di univoci elementi. Tale norma impositiva, nel disporre la medesima esclusione dalle gare già contenuta nell’art. 10, comma 1–bis della legge Merloni, compiva rispetto a quest’ultima norma una precisazione per la quale sembrava sanarsi una precedente questione interpretativa circa l’esatta portata ed estensione del cd. collegamento sostanziale1. 1. Sul tema cfr. infra V. Capuzza, Le cause d’esclusione dalle gare d’appalto pubblico, collana Quaderni IGOP, n. 01. I soggetti ammessi alle gare 69 Infatti, giova qui ricordare che l’art. 10 della l. 109/94 e s.m.i., al comma 1–bis introdotto dalla l. 415/98, stabiliva che: Non possono partecipare alla medesima gara imprese che si trovino tra loro in una delle situazioni di controllo di cui all’art. 2359 del codice civile. Le situazioni di controllo2 previste dall’art. 2359, commi 1 e 2 c.c., in particolare sono: «1) le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria; 2) le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria; 3) le società che sono sotto l’influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa. Ai fini dell’applicazione dei numeri 1) e 2) del primo comma si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta; non si computano i voti spettanti per conto di terzi». Sembra chiara l’importanza che la norma di cui all’art. 10, c. 1–bis della legge Merloni (era l’art. 34, comma 2 del Codice, articolo ora abrogato dal d.l. 135/09, art.3, comma 2) è venuta ad assumere, attesa innanzitutto la caratteristica proprio del mutato e dinamico assetto economico fra le imprese in forza del quale sono sempre più frequenti le forme di controllo societario; in secondo luogo, la rilevanza della norma su citata assurge anche in funzione della propria natura di divieto a carico delle società in situazioni di controllo di partecipare alla medesima gara che si aggiunge agli altri analoghi divieti che erano già previsti nella l. 109/94 per i consorzi stabili e loro partecipanti (art. 12, c. 5), per i raggruppamenti temporanei fra imprese (art. 13, c. 4) e per gli incarichi di progettazione a soggetti in parallela posizione di controllo (art. 17, c. 9). A livello civilistico, fermo restando il disposto dell’art. 2359 c.c., la configurabilità del controllo esterno di una società su un’altra per la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione: 2. Cfr. F. Buonanno, Partecipazione alle gare d’appalto delle società collegate. Il punto di vista dell’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, in Riv. Amm. Appalti, 2000, 87; Cons. di Stato, VI, 15 luglio 1998, n. 1093, in «Riv. Trim. Appalti», 1999, 321, con nota di D. Silvestris. 70 Capitolo II postula l’esistenza di determinati rapporti contrattuali la cui costituzione e il cui perdurare rappresentino la condizione di esistenza e di sopravvivenza della capacità di impresa della società controllata3. In tal quadro complessivo e fondato sui due dettati normativi sopra menzionati, va considerato anche che già in precedenza e in assenza di precisa disposizione legislativa in materia, la giurisprudenza amministrativa aveva considerata vietata nelle gare d’appalto pubblico la situazione in cui era configurabile tra due concorrenti una «situazione di intreccio degli organi amministrativi o di rappresentanza o tecnici»4. A fronte della precedente linea interpretativa al comma 1–bis dell’art. 10 della legge Merloni era stato attribuito — così come autorevole dottrina ha sostenuto5, un duplice scopo: disciplinare la materia che fino a quel momento non aveva normativa ad hoc; ricondurre la precedente linea interpretativa della giurisprudenza al «tecnicismo della nozione sistematica e tipizzata di situazioni di controllo». Sicché, nel 2001, il Consiglio di Stato, sez. IV, 27 dicembre, n. 6424, con una complessa pronuncia ha affrontato l’interpretazione del comma 1–bis dell’art. 10 della legge Merloni; al tale interpretazione si è allineata — ancor oggi — sia gran parte della successiva giurisprudenza amministrativa6 sia — ultimamente — l’Autorità di Vigilanza sui lavori pubblici7. Secondo tale linea ermeneutica Poiché il divieto normativo contenuto nell’art. 10, comma 1 bis, l. 11 febbraio 1994, n. 109, si basa, attraverso il richiamo dell’art. 2359 c.c., su di una presunzione, non può escludersi che possano esistere altre ipotesi di col3. Cass., 01/12094. 4. Cfr. ex multis Cons. Stato, sez. VI, 15 luglio 1998, n. 1093; TAR Campania, 26 settembre 1997, n. 2385; TAR Lazio, sez. III, 16 giugno 1998, n. 1393. 5. Cfr. in particolare, S. Baccarini, Il cd. collegamento sostanziale tra imprese nelle gare di appalto, tra diritto giudiziario e accertamenti indiziari, in Giustizia amministrativa, anno II – n. 1/2005, del 17/1/05. 6. Cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. IV n. 6367/04; sez. IV n. 6369/04; sez. VI, n. 5464/04; sez. IV, n. 5196/04, sez. V, n. 4789/04. 7. Cfr. deliberazione 101/2004. I soggetti ammessi alle gare 71 legamento o controllo societario atte ad alterare una gara di appalto, il che rende legittimo che l’amministrazione appaltante possa introdurre clausole di esclusione di gara in presenza di tali ulteriori ipotesi di fatto, con il limite della loro ragionevolezza e logicità rispetto alla tutela che intende perseguire e cioè la corretta individuazione del “giusto” contraente8. Dunque, il solo fatto che per la giurisprudenza stessa il rinvio alle situazioni di controllo operato dal comma 1–bis dell’art. 10 fosse basato su una presunzione assoluta di non segretezza delle offerte, avrebbe significato, per tale interpretazione maggioritaria, che le altre ipotesi di collegamento o controllo societario diverse ma comunque idonee ad inquinare la gara e la “giusta” aggiudicazione, potessero essere contemplate dalla Stazione appaltante nei relativi bandi di gara come cause escludenti. Quest’ultima possibilità significava prevedere l’esclusione dalla gara per il cd. collegamento sostanziale tra imprese, la cui prova — per presunzione assoluta appunto — poteva essere accertata mediante accertamento di indizi gravi, precisi e concordanti. Ovviamente, l’accertamento indiziario andava (oggi ancora và) svolto caso per caso, pur nella difficoltà insita nella stessa natura presuntiva di tale verifica; a tal proposito è stato affermato dalla giurisprudenza che Nel caso in cui una commissione di gara per l’affidamento di lavori pubblici individui preventivamente gli elementi oggettivi sui quali basarsi per ritenere provata la sussistenza di fenomeni di collegamento sostanziale tra imprese partecipanti alla gara, è illegittimo il provvedimento con cui la stessa commissione esclude taluni concorrenti dalla procedura sulla scorta di elementi in gran parte diversi da quelli predeterminati e, per il resto, soltanto ipotizzati, tenuto anche conto dell’inidoneità degli ulteriori elementi riscontrati (identità del notaio che ha rogitato la costituzione e la trasformazione di alcune soltanto delle imprese, rilascio dell’attestazione SOA e della certificazione della qualità aziendale da parte degli stessi soggetti abilitati e in sequenza temporale per gruppi, comunanza di residenza abitativa di alcuni tra i titolari delle stesse 8. Cons. Stato, 6424/2001. 72 Capitolo II imprese) ad assurgere pur nella loro valutazione congiunta al rango di indizi gravi, precisi e concordanti dell’esistenza di un accordo tra tutti i detti concorrenti volto ad alterare l’esito della gara, sia dell’irrilevanza della preesistenza di annotazioni nel Casellario informatico riguardanti l’esclusione per collegamento sostanziale degli stessi concorrenti da altre gare, poiché la verifica in questione è accertamento che va condotto di volta in volta9. In forza di questa consolidata giurisprudenza amministrativa, i bandi di gara prevedono — se ritenuto dalla Stazione appaltante — le clausole di esclusione per «collegamento sostanziale»10, con la conseguente presenza di provvedimenti di esclusione dalle gare d’appalto pubblico basate su accertamenti indiziari. Fra tali forme probanti a livello presuntivo, si possono in particolare segnalare: unioni personali nella titolarità di organi amministrativi o tecnici; rapporti di parentela fra soci o amministratori; stesso edificio delle sede; intrecci azionari; coincidenza del giorno di spedizione dei plichi, dell’ufficio postale e delle modalità dell’offerta; medesima compagnia assicurativa che ha rilasciato le polizze fideiussorie e della relativa agenzia. Si consideri, ancora più in particolare, che per giurisprudenza consolidata: Il collegamento tra imprese suscettibili di ricondurre due o più offerte ad un unico centro decisionale, con conseguente automatica violazione del principio di segretezza, si verifica nel caso in cui tra le imprese concorrenti sussista una situazione di influenza dominante perché esiste un controllo, ai sensi dell’art. 2359 c.c., oppure perché la comunanza di interessi è ravvisabile in una situazione di intreccio degli organi amministrativi e di rappresentanza, che faccia ritenere plausibile una reciproca conoscenza o condizionamento delle rispettive offerte; 9. TAR Lazio, sez. III, 10 gennaio 2005, n. 130. 10. Sulla non necessità di espresse previsioni nel bando di gara attraverso le quali venga disposta l’esclusione per collegamento sostanziale, cfr. da ultimo, come sintesi della linea interpretativa, Cons. Stato, sez. VI, n. 3094/2005. I soggetti ammessi alle gare 73 non è sufficiente ad integrare l’ipotesi del controllo della circostanza che più società partecipanti alla stessa gara abbiano soci in comune11. Ancora: Il collegamento tra imprese suscettibile di condurre due o più offerte in una gara d’appalto ad un unico centro decisionale — il che costituisce causa di esclusione delle offerte, per automatica violazione del principio di segretezza delle offerte stesse — si può verificare solo quando tra le imprese concorrenti vi sia una situazione di influenza dominante di una sull’altra o perché esiste un controllo, ai sensi dell’art. 2359 c.c., o perché la comunanza di interessi è ravvisabile in una situazione di intreccio degli organi amministrativi e di rappresentanza che faccia ritenere plausibili una reciproca conoscenza o un condizionamento delle rispettive offerte12. La conclusione a cui giunge la stessa giurisprudenza è che la presenza di vincoli di parentela può rappresentare elemento per verificare in potenza l’intreccio della cariche sociali e quindi una comunanza di interessi; infatti, spiega il TAR Piemonte: Il collegamento tra imprese partecipanti alla gara, in quanto suscettibile di ricondurre due o più offerte ad un unico centro decisionale, con conseguente violazione del principio di segretezza, si verifica tanto nel caso in cui tra le imprese stesse vi sia una situazione di influenza dominante, quanto in quello in cui la comunanza di interessi sia ravvisabile in un intreccio delle cariche sociali (nella specie: derivante da vincoli di parentela) tale da far ritenere plausibile una reciproca conoscenza o il condizionamento delle relative offerte13. Oltre alla nozione presuntiva di cui al comma 3 dell’art. 2359 c.c. (2 periodo), il collegamento societario che induca una influenza determinante o notevole è 11. TAR Sicilia Catania, sez. I, 7 novembre 2003, n. 1860. 12. TAR Lazio, sez. III, 30 marzo 2004, n. 2955. 13. TAR Piemonte, sez. II, 28 giugno 2003, n. 979. 74 Capitolo II avvertita, dalla giurisprudenza amministrativa, nelle ipotesi in cui due o più offerte siano riconducibili ad un unico centro decisionale, purché tra le imprese concorrenti vi sia una situazione di influenza dominante ex art. 2359 comma 1 c.c. oppure la comunanza di interessi sia ravvisabile in un intreccio degli organi amministrativi e di rappresentanza che faccia ritenere plausibile un reciproco condizionamento delle rispettive offerte14. A fronte di tale linea ermeneutica, che appare quella maggioritaria, si è sviluppato un altro filone interpretativo dei giudici amministrativi. In particolare, secondo quest’altra parte interpretativa: L’art. 10 comma 1 bis l. 11 febbraio 1994, n. 109, che vieta la partecipazione a gare d’appalto di lavori pubblici alle imprese che si trovino tra loro in una delle situazioni di controllo di cui all’art. 2359 c.c., va inteso in senso tecnico, come volontà di includere nel divieto le sole situazioni di controllo e di escluderne quelle di collegamento, e non è suscettibile di applicazione estensiva o analogica sia per l’insussistenza di una lacuna dell’ordinamento, emergente dal confronto con altre disposizioni della stessa legge, sia perché di stretta interpretazione, posto che il divieto costituisce un’eccezione ai principi costituzionali di libertà di iniziativa economica e di uguaglianza; pertanto, una stazione appaltante non può introdurre clausole di esclusione in presenza di ipotesi ulteriori rispetto a quelle di controllo previste dal comma 1 dell’art. 2359 c.c., quali il collegamento c.d. sostanziale, tenuto anche conto dell’indeterminatezza del relativo concetto, privo di una base di legge, e degli elementi sintomatici mediante i quali possa esserne accertata la ricorrenza15. Ancora, è stato chiarito che Il bando di concorso che prevede il divieto di partecipare ad una gara d’appalto per le imprese che si trovino tra loro in una situazione di collegamento diverso dal controllo di cui all’art. 2359 c.c. e ne stabilisce l’esclusione è illegittimo, atteso che il c.d. collegamento sostanziale non è previsto da alcuna norma e meno che mai dall’art. 2359 c.c. — norma di stretta interpretazione — come causa di esclusione dalle gare di appalto16. 14. TAR Campania Salerno, sez. I, 11 aprile 2003, n. 259. 15. TAR Lazio, sez. III, 25 maggio 2005, n. 4170. 16. TAR Lazio, sez. III, 25 maggio 2005, n. 4171. I soggetti ammessi alle gare 75 Anche in dottrina, aderendo a quest’ultima linea ermeneutica, è stato autorevolmente auspicato, a seguito di una logica e coerente analisi giuridica, una rimeditazione dell’orientamento giurisprudenziale in materia, alla luce del principio costituzionale di stretta legalità in materia penale e anche in base alla natura del fondamento dell’incapacità giuridica alla gara delle imprese indiziate di collegamento sostanziale, considerato appunto come posto su concetto indeterminato, desumibile da elementi indiziari indefiniti17. Per incidens, si consideri ancora che altra giurisprudenza ha sostenuto che l’esistenza di forme di collegamento tra le concorrenti ad una medesima gara non costituisce prova certa della violazione delle regole poste a tutela della correttezza della procedura in quanto perfino in presenza di un gruppo societario deve affermarsi l’indipendenza e l’autonomia sul piano giuridico di ciascuna società, poiché ogni impresa mantiene la sua soggettività e l’esistenza del gruppo non implica il formarsi di una soggettività distinta18. Comunque, in caso di appalto di fornitura, in assenza di una norma quale quella di cui all’art. 10 comma 1 bis l. 109/1994, e in assenza di una espressa estensione della previsione al collegamento, il riferimento operato dall’Amministrazione alle sole ipotesi di controllo societario di cui all’art. 2359 c.c. deve intendersi limitato alle ipotesi di cui all’art. 2359 comma 1 e 2 c.c.19. A completezza del complesso quadro interpretativo fino ad ora richiamato, c’è da precisare che a fronte dell’indirizzo ermeneutico sorto ultimamente, (secondo il quale il c.d. collegamento sostanziale non è previsto da alcuna norma e meno che mai dall’art. 2359 c.c. — norma di stretta interpretazione — come causa di esclusione dalle gare di appalto), il Consiglio di Stato, sez. VI, con Decisione del 01 marzo 2005, n. 3094, ha da ultimo ulteriormente aderito ai principi affermati dalla 17. S. Baccarini, Il cd. collegamento, op. cit. 18. TAR Lombardia Milano, sez. III, 29 settembre 2004, n. 4206. 19. TAR Liguria, sez. II, 19 marzo 2005, n. 362. 76 Capitolo II giurisprudenza dello stesso Consiglio di Stato in ordine alla corretta interpretazione dell’art. 10, comma 1–bis della legge 109/94 e s.m.i. In particolare, i giudici della Consulta hanno riaffermato, contrariamente all’altra linea interpretativa minoritaria, che: Deve quindi ritenersi che l’esclusione prevista dall’art. 10, comma 1 bis, della legge 109/1994, riguardi non solo le ipotesi di influenza dominante tipizzate dalle società dall’art. 2359 c.c., o le altre fattispecie di controllo societario, ma ogni caso di reciproca influenza tra le imprese partecipanti alla gara, idonea a violare il principio della par condicio e della segretezza delle offerte. Pertanto, prima ancora della vigenza dell’art. 34, comma 2 del Codice, la previsione di cui al citato art. 10, comma 1 bis (applicabile, come già detto, anche in assenza di specifiche previsioni nel bando) non era limitata alle ipotesi di controllo societario ex art. 2359 c.c., ma si estendeva a tutti quei casi in cui sussistano indizi chiari, gravi e concordanti, non previamente tipizzabili, della provenienza delle offerte da un unico centro decisionale. Limitare l’applicabilità della norma alle sole ipotesi di controllo societario tipizzate dall’art. 2359 c.c. significherebbe svuotarne il contenuto e consentirebbe di eludere facilmente la ratio del divieto. Benché sia preferibile che tale divieto venga rafforzato attraverso espresse clausole del bando di gara, anche in assenza di tali previsioni nella lex specialis la stazione appaltante deve comunque disporre l’esclusione di quelle offerte, contenenti i richiamati indizi di una concordata modalità di presentazione e formulazione, ovvero della provenienza da un unico centro decisionale”. Tutto ciò considerato, sembra opportuno sintetizzare il complesso quadro: a) da un lato, sulla base della linea interpretativa maggioritaria, la nozione civilistica indicata dall’art. 2359 c.c. basata sulla presunzione assoluta iuris et de iure e introdotta in materia di gare d’appalto pubblico dall’art. 10, c. 1–bis della legge Merloni, non escludeva già in quest’ultima materia amministrativistica che potessero esistere altre ipotesi di collegamento o controllo societario atte ad alterare le I soggetti ammessi alle gare 77 gare d’appalto per la corretta individuazione del “giusto” contraente; b) pertanto, pur considerando l’esattezza di alcune diverse valutazioni comprese in un altro filone minoritario della giurisprudenza amministrativa, appariva, già prima dell’art. 234, comma 2 del Codice, prudente aderire praticamente alla linea interpretativa consolidata dalla giurisprudenza amministrativa così come già esposto in riferimento al cd. “collegamento sostanziale”; c) il comma 2 dell’art. 34 del Codice veniva a sancire espressamente a livello di littera legis e quindi di interpretazione autentica, quell’indirizzo prevalente per la giurisprudenza in riferimento al più ampio concetto del collegamento sostanziale. Poteva anche sollevarsi qualche perplessità soprattutto in ordine ad eventuali illeciti penali che scaturirebbero a valle di questa previsione, se si pensa, ad esempio, al carattere di sufficiente determinatezza e di tassatività previsto a livello costituzionale per le fattispecie penali. d) Attualmente, con le nuove disposizioni dettate dal Decreto Legge 25 settembre 2009, n. 135 (che ha inserito inserite nell’art. 38, comma 1 del Codice De Lise la lettera m–quater), sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti i soggetti che si trovino, rispetto ad un altro partecipante alla medesima procedura di affidamento, in una situazione di controllo di cui all’articolo 2359 del codice civile o in una qualsiasi relazione, anche di fatto, ma solamente se la situazione di controllo o la relazione comporti che le offerte sono imputabili ad un unico centro decisionale. È per tale ragione che è ora previsto che i concorrenti alleghino alternativamente: la dichiarazione di non essere in una situazione di controllo di cui all’articolo 2359 del codice civile con nessun partecipante alla medesima procedura; ovvero, la dichiarazione di essere in una situazione di controllo di cui all’articolo 2359 del codice civile e di aver formulato autonomamente l’offerta, con indicazione del concorrente con cui sussiste tale situazione (vedi quanto già indicato nel capitolo I, infra paragrafo 2). La norma sopra citata è conseguenza della Sentenza della Corte di Giustizia delle C.E., sezione IV, 19 maggio 2009, C–538/07, in cui è stata riconosciuta come contraria al diritto comunitario la norma nazionale (nella specie l’art. 34, comma 2, del d.lgs. 163/2006, per 78 Capitolo II questo ora abrogato) che stabilisca un divieto assoluto per gli operatori economici in situazioni di controllo o collegamento, di partecipare alla medesima gara d’appalto, senza che essi possano dimostrare la non influenza di quel rapporto e la genuinità dell’offerta. 2. I consorzi stabili di imprese e i raggruppamenti temporanei di imprese La figura è stata estesa dai lavori anche ai servizi, alle forniture e a tutte le tipologie degli appalti pubblici nei settori speciali20. Nel trattare la materia dei consorzi stabili di imprese, sembra opportuno trattare alcuni fondamentali aspetti relativi alla natura giuridica sia dei consorzi stabili sia delle associazioni temporanee di imprese, per poi successivamente trattare disciplina della qualificazione di tali soggetti ai fini della partecipazione alle gare per l’aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici21. Proprio di recente, con determinazione n. 11/2004 datata 09 giugno 2004, il Consiglio dell’Autorità per la Vigilanza sui lavori pubblici ha fornito alcuni importanti indirizzi integrativi sulla natura e sulla qualificazione dei consorzi stabili. Ecco, allora, in breve gli aspetti rilevanti di tali soggetti. Il Legislatore, fra i soggetti ammessi alle gare d’appalto ex art. 10, c. 1 lett. c) della legge 109/94 e s.m.i., definiva la figura del consorzio stabile all’art. 12, c. 1 della stessa legge: “Si intendono per consorzi 20. Infatti, in precedenza esisteva per i servizi e le forniture nei settori esclusi disciplinati dal d.lgs. 158/95. 21. Cfr. sul tema F. Caringella, G. De Marzo, La nuova disciplina dei lavori pubblici, 2003; V. Capuzza, Profili giuridici e considerazioni applicative sui consorzi stabili di imprese e sui consorzi stabili di progettazione, collana Quaderni IGOP, n. 03, 2005; M. Mazzone, L. Loria, Manuale di diritto dei lavori pubblici, Jandi Sapi, 2000; M. Pallottino, Associazioni temporanee e consorzi di imprese nell’esecuzione delle opere pubbliche, in «Riv. Amm.r.i.», 1984, p. 487; Corapi, Le associazioni temporanee di impresa, 1983; Atti del convegno del Cerisop 8–9 giugno 1983 su Consorzi e Associazioni temporanee di imprese dopo il decreto legislativo 19 dicembre 1991, n. 406, in «Riv. Trim. Appalti»; Fabiano, Le associazioni temporanee di concorrenti nei pubblici appalti, in Nuova Rass., 1996, p. 1427; Tedeschi, Consorzi – Riunioni temporanee – Geie, Milano 2001. I soggetti ammessi alle gare 79 stabili quelli, in possesso, a norma dell’articolo 11, dei requisiti previsti dagli articoli 8 e 9 formati da non meno di tre consorziati che, con decisione assunta dai rispettivi organi deliberativi, abbiano stabilito di operare in modo congiunto nel settore dei lavori pubblici, per un periodo di tempo non inferiore a cinque anni, istituendo a tal fine una comune struttura di impresa”. Ora la definizione è riprodotta interamente, anche per le altre tipologie d’appalto pubblico, nel comma 1 dell’art. 36 del Codice e fa riferimento all’art. 34, comma 1 lett. c). Tale definizione viene così a delineare una delle diverse figure generali di consorzi; fra le altre figure, oltre appunto a tale tipo di consorzio stabile di cui all’art. 36 del Codice (l’abrogato art. 12 della legge Merloni), si possono individuare: i consorzi tra società cooperative di produzione e lavori di cui alla l. 422/1909; i consorzi tra società artigiane di cui alla l. 443/85; i consorzi disciplinati dal codice civile costituiti tra i soggetti elencati nell’art. 34, c. 1 lett. a), b) e c) del Codice; i consorzi occasionali. Dunque, ai sensi dell’abrogato art. 12 della legge e dell’art. 36 del Codice, sono consorzi stabili quelli: in possesso, a norma dell’art. 35, dei requisiti di cui all’art. 40; costituiti da non meno di tre consorziati; in cui i consorziati hanno deciso di operare in modo congiunto nel settore dei Ll. PP., dei servizi o delle forniture per non meno di cinque anni; che abbiano una comune struttura per svolgere quella attività suddetta. Il consorzio stabile, come le analoghe figure associative, è un contratto plurilaterale con comunione di scopo (art. 1420 c.c.) con finalità non lucrative bensì mutualistiche, pur se a tal proposito è da segnalare che l’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici ha recentemente previsto anche la costituzione dei consorzi stabili nelle forme delle società lucrative (cfr. Determinazione 11/2004). La stessa Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, con la Determinazione n. 11/2004, ha elencato gli elementi salienti del consorzio stabile, in particolare: la forma giuridica del consorzio; la sua struttura imprenditoriale; la natura imprenditoriale dei consorziati; il numero minimo dei consorziati; il possesso a parte dei consorziati delle attestazioni di qualificazione; la durata minima del consorzio; lo scopo dei 80 Capitolo II consorziati e quindi l’oggetto del consorzio stesso; i requisiti prescritti per il consorzio. La l. 415/98 (c.d. Merloni–ter) aveva già permesso ai singoli consorziati di svolgere la medesima attività, purché non in relazione alla stessa gara. L’art. 36, c. 4 del Codice stabilisce che ai consorzi stabili sono applicabili le disposizioni relative ai consorzi previsti dal codice civile (Capo II, Titolo X, Libro V), e con ciò la figura ex art. 36 può pertanto ben definirsi species del genus definito dal codice civile. Da quest’ultima considerazione discendono diversi importanti effetti giuridici, quali, ad esempio: la redazione del contratto di consorzio in forma scritta a pena di nullità, contenente gli elementi individuabili in oggetto, sede, obblighi assunti e contributi dovuti dai consorziati, e altri elementi ex art. 2603 c.c.; responsabilità del consorzio verso i consorziati è disciplinata dalle norme sul mandato (art. 2608 c.c.); nel caso di consorzio con attività esterna, cioè quando è costituito un ufficio destinato a svolgere l’attività esterna (ed in tale fattispecie è inquadrabile il consorzio costituito ex art. 36 del Codice) è indispensabile provvedere alla sua iscrizione nel registro delle imprese ex art. 2612 c.c. Fermo restando che i consorziati devono avere lo status di imprenditori in possesso di attestazione SOA, la stessa Autorità per i lavori pubblici nella Determinazione n. 11/2004, ha riconosciuto possibile la costituzione del consorzio stabile tra imprese di un unico tipo, oppure tra imprese appartenenti a tipi diversi, come, ad esempio, succederebbe se nel consorzio stabile partecipassero almeno una società commerciale e almeno altri due soggetti imprenditoriali di qualunque altro tipo tra quelli previsti. Passando ora all’analisi sintetica delle principali differenze del consorzio stabile con altre figure, occorre da subito precisare che rispetto alle Associazioni Temporanee d’Impresa il consorzio stabile non attua una semplice contitolarità del rapporto obbligatorio ma ha come scopo lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese consorziate mediante l’istituzione di un’organizzazione comune (art. 2602 c.c.); da I soggetti ammessi alle gare 81 ciò si può affermare che titolare del rapporto con la stazione appaltante è il consorzio stesso quale soggetto giuridico autonomo e distinto rispetto alle singole imprese consorziate,tanto che ai sensi dell’art. 2612 c.c. dovrà essere iscritto nel registro delle imprese. Dunque, è soggetto imprenditoriale autonomo, in rapporto agli altri soggetti che, ai sensi del Codice, possono partecipare agli appalti e alle concessioni. Inoltre: il consorzio ha un proprio fondo, consortile appunto, con il quale risponde in via sussidiaria — dopo cioè la responsabilità solidale ex art. 97 d.p.r. 554/99 — delle obbligazioni assunte ai sensi dell’art. 2615 c.c.; il consorzio è dotato i propri organi necessari e non solamente eventuali come per i Raggruppamenti Temporanei d’imprese; nel consorzio non esiste la distinzione interna fra mandante e mandataria, e quindi ogni attività del consorzio è imputabile direttamente agli organi consortili. Come è stato chiarito dalla giurisprudenza, richiamata fra l’altro dall’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici nella determinazione n. 11/2004, l’ATI non costituisce una particolare figura giuridica a se stante, né porta alla costituzione di un novo ente, ma si basa sul conferimento ad una delle imprese da parte delle altre di un mandato collettivo speciale, valevole specificatamente per l’opera da compiere22. Il consorzio stabile si differenzia anche dai consorzi di concorrenti; in particolare giova premettere che la figura del consorzio stabile viene alla luce anche in quanto organizzazione; la legge infatti stabilisce che il consorzio deve essere “dotato di una struttura di impresa”, dunque come struttura organizzativa finalizzata non solamente all’acquisizione del lavori, ma anche alla materiale attività costruttiva. Da qui la differenza primaria con il consorzio concorrente ex art. 2602 c.c. Inoltre, nel consorzio stabile le singole imprese hanno la facoltà di scegliere se partecipare alle gare d’appalto attraverso il consorzio stesso, come soggetto distinto di qualificazione che imputa a sé e direttamente l’attività svolta, anche per la fase esecutiva, oppure di scegliere per la partecipazione alla gara attraverso la qualificazione dei 22. Cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. V, 16/4/1987, n. 246. 82 Capitolo II singoli consorziati sul modello delle ATI (quindi come consorzi di concorrenti). Riguardo al sistema di qualificazione dei consorzi e dei partecipanti ai consorzi medesimi, è altresì importante inquadrare la disciplina, in quanto possibile, dell’art. 97 del Regolamento d.p.r. 554/99, soprattutto in tema di responsabilità e di qualificazione. Procediamo con ordine. Il detto articolo 97, al primo comma precisa quanto già qui esposto, cioè che i lavori eseguiti dai consorziati non costituiscono subappalto, pur restando ferma la responsabilità solidale nei confronti della Stazione appaltante. Da ciò conseguono diversi aspetti. Il disposto dell’art. 97 per cui è prevista la “facoltà del consorzio di eseguire i lavori anche tramite affidamento ai consorziati, fatta salva la responsabilità solidale degli stessi”, letto in combinato con l’art. 36, c. 2 del Codice, permette al consorzio di decidere ogni volta se seguire i lavori ex se oppure se eseguirli mediante uno o più consorziati. Ovviamente la responsabilità si diversificherà a seconda della scelta intrapresa: nell’ipotesi in cui vengano eseguiti i lavori in proprio da parte del consorzio stabile, questo sarà direttamente responsabile, mentre nella diversa ipotesi dell’esecuzione dei lavori per il tramite di singoli consorziati, quest’ultimi saranno responsabili in solido per mezzo del fondo consortile. Diversa ancora è la situazione nella quale si trovano i consorziati assegnatari dei lavori, infatti la loro responsabilità è configurata dall’art. 97, c. 1 del d.p.r. 554/99 come non soltanto solidale ma anche come sussidiaria. Ciò significa che nel caso di responsabilità solidale, la Stazione appaltante può agire indifferentemente nei confronti del consorzio o delle singole imprese consorziate (salva la possibilità per quest’ultime di agire mediante il fondo consortile in termini di capacità satisfattoria per la Stazione appaltante); nel caso di responsabilità sussidiaria, la Stazione appaltante potrà agire nei confronti dei singoli consorziati assegnatari dei lavori, solamente dopo aver escusso inutilmente il fondo consortile. I soggetti ammessi alle gare 83 In tema di qualificazione dei consorzi stabili occorre percorrere il quadro attualmente delineato dalle norme e dagli interventi dell’Autorità per i lavori pubblici. La concreta operatività del consorzio stabile è ovviamente subordinata all’ottenimento dell’attestazione SOA, come prescritto per tutti i soggetti esecutori a qualsiasi titolo di lavori pubblici. La regola è che il consorzio stabile è qualificato sulla base delle qualificazioni possedute dalle singole imprese consorziate (comma 7 dell’art. 36 del Codice). I consorzi — e qui la disciplina dell’art. 97, 2° c., si fa importante ai nostri fini — sono qualificati in base ai requisiti corrispondenti a quelli posseduti dalle singole imprese consorziate a seguito di verifica relativamente alla loro sussistenza; è tuttavia possibile la contemporanea qualificazione del consorzio stabile e delle singole imprese consorziate, purché il documento di qualificazione di quest’ultime segnali la partecipazione al consorzio e tutti i nomi degli altri partecipanti (art. 97, c. 3). Inoltre, il comma 4 stabilisce che i requisiti economici, finanziari, tecnici e organizzativi posseduti dalle singole imprese consorziate, dovranno venir sommati è ciò per i primi cinque anni di esistenza del consorzio. L’Autorità dei lavori pubblici ha in più occasioni ribadito i criteri cui devono attenersi le SOA nella loro attività di attestazione della qualificazione dei consorzi stabili; in particolare, l’Autorità dei lavori pubblici con Determinazione n. 6, del 08 febbraio 2001, ha precisato che: a) la l. 109/94 e s.m.i. e il d.p.r. 34/2000 hanno assimilato il consorzio stabile alle altre figure consortili (consorzi fra imprese cooperative e consorzi fra imprese artigiane), le quali hanno facoltà di assegnare materiale esecuzione delle lavorazioni alle imprese consorziate senza subordinarne l’esercizio alla previa verifica della loro qualificazione; b) la qualificazione dei suddetti consorzi stabili avviene sulla base dei requisiti posseduti dal consorzio stesso (art. 18, c. 3, 9 e 13 del d.p.r. 34/2000) (antecedentemente all’art. 8–ter della l. 166/2000 poteva avvenire anche sulla base delle qualificazioni possedute dai consorziati ex art. 20 del 34/2000). 84 Capitolo II A ciò, si aggiunga la disciplina già prevista nella l. 166/2002 (c.d. Merloni–quater), che all’art. 8–ter, nel disporre che il consorzio si qualifica sulla base delle qualificazioni possedute dalle singole consorziate sommate per classifica corrispondente all’opera generale o specializzata da eseguire, stabilisce più criteri interpretativi ora recepiti nel comma 7 dell’art. 36 del Codice: per quanto riguarda il caso delle qualifiche con importi illimitati, occorre che: almeno una delle imprese consorziate possieda già la classifica per importo illimitato; almeno una delle imprese consorziate possieda la classifica VII e almeno altre due possiedano la classifica V o superiore; almeno tre imprese consorziate possiedano la classifica VI. Se la somma delle classifiche delle imprese consorziate non coincida con una delle classifiche del regolamento (attualmente ancora l’art. 3 del d.p.r. 34/2000, la qualificazione del consorzio è acquisita dalla classifica immediatamente inferiore o in quella immediatamente superiore alla somma delle classifiche possedute dalle imprese consorziate, a seconda che tale somma si collochi rispettivamente al di sotto, ovvero al di sopra o alla pari della metà dell’intervallo tra le due classifiche. Da tali norme consegue la tacita abrogazione dell’art. 20 d.p.r. 34/2000. Alla luce del quadro ora delineato, occorre altresì inquadrare, in parallelo con la Determinazione n. 11/2004, dell’Autorità per i lavori pubblici e con le recenti pronunce giurisprudenziali, gli altri singoli aspetti interpretativi relativamente ai requisiti dei consorzi stabili ai fini partecipativi di gare d’appalto. Per le gare d’appalto d’importo superiore a 20. 658. 276 euro, per le quali l’offerente, oltre alla qualificazione conseguita nella classifica VIII, deve avere realizzato, nel quinquennio antecedente la data del bando, una cifra d’affari, ottenuta con lavori svolti mediante attività diretta e indiretta, non inferiore a tre volte l’importo a base di gara, è previsto un incremento premiante per i consorzi: la somma delle cifre d’affari in lavori realizzati da ciascuna impresa consorziata, nel quinquennio indicato è incrementata figurativamente di una percen- I soggetti ammessi alle gare 85 tuale della somma stessa; tale percentuale è pari al 20% per il primo anno, al 15% per il secondo anno, al 10% per il terzo anno fino al compimento del quinquennio23. Va precisato che per i consorzi stabili, per i consorzi di imprese cooperative e per i consorzi di imprese artigiane, nonostante la loro autonoma soggettività giuridica, possono cumularsi, come nelle associazioni temporanee di imprese, i requisiti tecnici, economici e finanziari delle varie imprese che ne fanno parte, ma non anche quelli d’idoneità morale, che debbono essere posseduti da tutte le imprese consorziate24. Anche per i consorzi stabili si applica l’articolo 37, comma 7, del Codice25, per cui essi devono rappresentare in sede d’offerta per quali consorziati il consorzio concorre; va precisato che a tali consorziati è fatto divieto di partecipare, in qualsiasi forma, alla medesima gara. Da ciò può valere, di contro, l’interpretazione secondo cui il divieto di partecipazione alla medesima gara non sussiste per i consorziati per conto dei quali il consorzio non ha dichiarato di voler partecipare. Il consorzio stabile per partecipare alle procedure di affidamento dei lavori deve essere in possesso dell’attestazione di qualificazione ai sensi della normativa sul sistema unico di qualificazione per gli esecutori di lavori pubblici, di cui al d.p.r. 34/2000. In particolare, l’art. 97, comma 2 del d.p.r. 554/99 prescrive i criteri per la qualificazione da parte del consorzio stabile: essi conseguono la qualificazione a séguito di verifica dell’effettiva sussistenza in capo alle singole consorziate dei corrispondenti requisiti. Il d.p.r. 554/99 precisa che ai fini della partecipazione alle gare, i requisiti di carattere economico–finanziario del consorzio sono dati dalla sommatoria dei corrispondenti requisiti delle imprese consorziate. Più in particolare, la Determinazione n. 11, del 9 giugno 2004, l’Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici, ha chiarito che 23. Determinazione A.V.LL.PP. 11/04. 24. Cons. St. Sez. V, 30 gennaio 2002, n. 507. 25. Era l’abrogato art. 13, comma 4 della legge Merloni. 86 Capitolo II il consorzio stabile […] è qualificato sulla base delle qualificazioni possedute dalle singole imprese consorziate. La qualificazione è acquisita, con riferimento ad una determinata categoria di opera generale o specializzata per la classifica d’importo corrispondente alla somma di quelle possedute dalle imprese consorziate. Per la qualificazione alla classifica d’importo illimitato, è in ogni caso necessario che almeno una delle imprese consorziate già possieda tale qualificazione, oppure che tra le imprese consorziate ve ne sia almeno una con qualificazione per classifica VII e almeno due con classifica V o superiore, oppure che tra le imprese consorziate ve ne siano almeno tre con qualificazione per classifica VI. Per la qualificazione per prestazioni di progettazione e costruzione e per la fruizione dei meccanismi premiali inerenti al possesso della qualità aziendale, è sufficiente che i relativi requisiti siano posseduti da una delle imprese consorziate. Nel caso la somma delle classifiche delle imprese consorziate non coincida con una delle previste classifiche, la qualificazione del consorzio è acquisita nella classifica immediatamente inferiore o in quella immediatamente superiore alla somma delle classifiche possedute dalle imprese consorziate, a seconda che la somma si collochi rispettivamente al di sotto, oppure al di sopra o alla pari della metà dell’intervallo tra le due classifiche. Per le gare d’appalto d’importo superiore a 40 miliardi di vecchie lire, 20. 658. 276 d’euro, per le quali l’offerente, oltre alla qualificazione conseguita nella classifica VIII, deve avere realizzato, nel quinquennio antecedente la data del bando, una cifra d’affari, ottenuta con lavori svolti mediante attività diretta e indiretta, non inferiore a tre volte l’importo a base di gara, è previsto un incremento premiante per i consorzi: la somma delle cifre d’affari in lavori realizzati da ciascun’impresa consorziata, nel quinquennio indicato è incrementata figurativamente di una percentuale della somma stessa; tale percentuale è pari al 20% per il primo anno, al 15% per il secondo anno, al 10% per il terzo anno fino al compimento del quinquennio. Va precisato che nonostante la loro autonoma soggettività giuridica, possono cumularsi, come nelle associazioni temporanee di imprese, i requisiti tecnici, economici e finanziari delle varie imprese che ne fanno parte, ma non anche quelli d’idoneità morale, che debbono essere posseduti da tutte le imprese consorziate26. Sulla base dell’art. 97, comma 3 del d.p.r. 554/99, il conseguimento della qualificazione da parte del consorzio stabile non pregiudica la 26. Cons. St. Sez. V, 30 gennaio 2002, n. 507. I soggetti ammessi alle gare 87 contemporanea qualificazione delle singole imprese consorziate. Per le imprese partecipanti ad un consorzio stabile sussiste l’obbligo di segnalazione nel documento di qualificazione, sia della partecipazione al consorzio stabile, sia dei nominativi di tutti gli altri soggetti partecipanti. Dunque, attraverso il meccanismo sommatorio previsto dall’art. 36, comma 727, i consorzi devono essere costituiti da tutti soggetti in possesso di attestazione di qualificazione rilasciata da una SOA28. Il d.p.r. 554/99 stabilisce, infine, i criteri di ripartizione dei requisiti maturati a favore del consorzio tra le singole imprese consorziate: il criterio indicato è quello proporzionale, avuto riguardo all’apporto reso dalle singole imprese consorziate nell’esecuzione dei lavori. Nelle associazioni temporanee di imprese i vari imprenditori mantengono la propria autonomia e indipendenza sia nell’esecuzione della parte di opera assunta in carico, sia nell’esercizio della loro attività imprenditoriale. Tale forma, a differenza del consorzio stabile, è caratterizzata dalla temporaneità e limitatezza all’acquisizione di un determinato appalto: l’associazione si costituisce in vista dell’aggiudicazione e dell’esecuzione di una singola opera o di un determinato gruppo di opere e deve poter cessare con la mancata aggiudicazione o con l’esecuzione dell’opera o di ciascun gruppo di opere. Va da sé che nel raggruppamento temporaneo la relativa costituzione non dà vita ad un nuovo soggetto dotato di personalità giuridica propria, quindi non diviene né centro di imputazione di rapporti distinto dalle singole imprese, né forma un patrimonio autonomo o fondo consortile. La costituzione del gruppo avviene mediante il conferimento ad una delle imprese di un mandato con rappresentanza a presentare offerta ad una determinata gara d’appalto. 27. Era l’abrogato art. 12, comma 8–ter legge 109/94 e s.m.i. 28. Cfr. anche Determinazione Autorità per la Vigilanza Ll. PP., n. 18 del 29 ottobre 2003. 88 Capitolo II Come è pur noto, le associazioni temporanee possono essere costituite in vista dell’aggiudicazione e dell’esecuzione congiunta di un’opera omogenea o quasi omogenea, e la relativa divisione dei lavori tra le imprese in ATI ha natura meramente o prevalentemente quantitativa (ATI di tipo orizzontale), ovvero per l’aggiudicazione e l’esecuzione coordinata di un’opera complessa, che richieda l’intervento di varie specializzazioni (ATI di tipo verticale). La definizione autentica dell’associazione temporanea verticale è contenuta nell’art. 37, comma 1 (per i lavori) e 2 (per servizi e forniture) del Codice29: si intende una riunione di concorrenti in possesso dei requisiti prescritti, nell’ambito della quale uno di essi (impresa mandataria) realizza i lavori della categoria prevalente (ovvero esegue le prestazioni di servizi o forniture indicati come principali), mentre gli altri (imprese mandanti) realizzano, ciascuno in base alla qualificazione posseduta, le opere scorporabili (ovvero quelle indicate come secondarie). Come già espresso, i consorzi stabili ai fini della partecipazione alle gare d’appalto devono possedere autonoma attestazione di qualificazione, mentre per le associazioni temporanee di imprese ciascuna delle relative imprese deve possedere la qualificazione nella categoria e classifica per le opere che deve eseguire. In particolare, nell’abrogato art. 13, comma 1, l. 109/94, era specificato che la partecipazione alle procedure di affidamento delle associazioni temporanee […] è ammessa a condizione che il mandatario o il capogruppo, nonché gli altri partecipanti, siano già in possesso dei requisiti di qualificazione, accertati e attestati ai sensi dell’art. 8, comma 2, per ciascuno di essi in conformità a quanto stabilito dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 gennaio 1991, n. 55. Attualmente, l’art. 37, al comma 3, riferito espressamente solo ai lavori, afferma lo stesso principio limitandosi a rinviare ai requisiti indicati nel regolamento. 29. Per i lavori era l’abrogato art. 13, comma 8 della l. 109/94 e s.m.i. I soggetti ammessi alle gare 89 L’art. 95, comma 2 del d.p.r. 554/99, prescrive che per le associazioni di imprese di tipo orizzontale i requisiti economico–finanziari e tecnico–organizzativi debbono essere posseduti dalla mandataria in misura maggioritaria e comunque non inferiore al 40%, mentre la restante percentuale deve essere posseduta cumulativamente dalle imprese mandanti, ciascuna nella misura del 10% di quanto richiesto all’intero raggruppamento. Per le associazioni di imprese di tipo verticale, il comma 3 dell’art. 95, d.p.r. 554/99 dispone che i requisiti economico–finanziari e tecnico–organizzativi devono essere posseduti dalla mandataria nella categoria prevalente, mentre nelle categorie scorporate ciascuna mandante possiede i requisiti previsti per l’importo dei lavori della categoria che intende assumere e nella misura indicata per l’impresa singola. Verificata la differenza sostanziale fra i consorzi stabili — figura nuova introdotta dalla legge Merloni — e le ATI, anche in tema di configurazione dei requisiti delle imprese che compongono le diverse compagini, si deve ora tenere conto di un altro aspetto. Nel consorzio stabile, che implica una struttura autonoma consortile, la natura del consorzio stesso è di soggetto giuridico distinto dalle imprese consorziate di cui coordina l’attività imprenditoriale; infatti, il consorzio stabile è dotato di un fondo proprio con il quale risponde direttamente delle obbligazioni assunte nei confronti della stazione appaltante. Il rapporto intercorrente tra consorzio e imprese consorziate può essere ricondotto al rapporto tra società commerciale e socio, analogamente a quanto avviene per i consorzi tra cooperative e imprese artigiane, ancorché quest’ultimi possano partecipare ad associazioni temporanee di impresa e a consorzi occasionali, ma mai possono far parte di consorzi stabili30. C’è da aggiungere, infine, che l’unica possibilità di variante al paradigma fissato dalle norme sui lavori pubblici è che i promotori di un consorzio stabile possano dare ad esso un assetto societario ex art. 2615–ter c.c. e che quindi lo scopo consortile (art. 2602 c.c.) possa 30. Cfr. Determinazione Autorità per la Vigilanza ll. pp., n. 9/2004. 90 Capitolo II essere assunto ad oggetto sociale dalle società lucrative di cui ai capi III ss. del Titolo V del cod. civ. Nei consorzi consortili stabili, vieppiù con le suddette vesti societarie, va da sé che debbano valere le necessarie differenziazioni fra le quote e i requisiti di qualificazione. Infatti, come è noto, le azioni sono le quote di partecipazione dei soci nella determinata società di capitali; le quote di partecipazione sono omogenee e standardizzate, trasferibili in modo libero e di regola rappresentate da documenti o titoli azionari, che circolano con la medesima disciplina dei titoli di credito. Tutto ciò sussiste in quanto nelle dette società il capitale sociale sottoscritto è diviso in un numero predeterminato di parti di identico ammontare; la singola azione rappresenta parallelamente sia l’unità minima di partecipazione al capitale sociale sia l’unità di misura dei diritti sociali. È evidente, dunque, la differenza sostanziale che esiste fra le quote — relative appunto alla partecipazione sociale come rappresentazione d’una identica frazione del capitale sociale nominale — e i requisiti di qualificazione, da intendersi, invece, come i requisiti di ordine generale nonché tecnico organizzativi ed economico–finanziari, i quali fungono da elementi di qualificazione dei soggetti esecutori di lavori pubblici e su cui deve vertere l’accertamento e l’attestazione d’esistenza da parte degli “Organismi di attestazione” (art. 2, c. 1 lett. i) del d.p.r. 34/2000. Oltre alla diversità di rationes che sussiste fra il concetto giuridico di quota e quello di requisito di qualificazione, si deve anche considerare l’assoluta assenza nell’ambito normativo sui lavori pubblici di una specifica norma ad hoc dalla quale sia deducibile l’obbligo di ripartire le quote di partecipazione del consorzio stabile in maniera proporzionale ai requisiti di ciascuno. Tutto ciò considerato, sembra potersi affermare che, sia dall’assenza di qualsiasi riferimento letterale o autentico ad hoc, sia a livello sistematico e interpretativo delle norme sulla base delle diverse nature giuridiche, in un consorzio stabile non sussiste obbligo di diretta proporzionalità fra quote di partecipazione e requisiti di qualificazione (rectius: qualificazione). I soggetti ammessi alle gare 91 *** a) I requisiti dei consorzi stabili ai fini partecipativi nelle gare d’appalto pubblico. Come è ormai noto, gli artt. 36 e 37 del Codice degli appalti regolano la materia relativa ai consorzi stabili di imprese, ai sensi dell’art. 34, comma 1 lett. c) dello stesso Codice. In tale contesto normativo, va innanzitutto precisato che per i consorzi stabili, per i consorzi di imprese cooperative e per i consorzi di imprese artigiane, nonostante la loro autonoma soggettività giuridica, possono cumularsi, come nelle associazioni temporanee di imprese, i requisiti tecnici, economici e finanziari delle varie imprese che ne fanno parte, ma non anche quelli d’idoneità morale, che debbono essere posseduti da tutte le imprese consorziate (Consiglio di Stato, Sez. V, 30 gennaio 2002, n. 507). In breve, qui di seguito occorre ripercorrere l’iter normativo, in cui si sono alternati divieti e aperture. 1) Quadro giuridico prima della riforma operata dal II Decreto correttivo (1° agosto 2007). Nella precedente disciplina anche per i consorzi stabili vigeva l’articolo 37, comma 7, del Codice (era l’abrogato art. 13, comma 4 della legge Merloni), per cui essi dovevano rappresentare in sede d’offerta per quali consorziati il consorzio intendesse concorrere; va precisato che a tali consorziati era fatto divieto di partecipare, in qualsiasi forma, alla medesima gara. Da ciò però parte minoritaria della giurisprudenza aveva posto dubbi interpretativi circa la portata di tale norma; infatti secondo questa linea giurisprudenziale il divieto di partecipazione alla medesima gara non sussisteva per i consorziati per conto dei quali il consorzio non avesse dichiarato di voler partecipare31. 31. Sul punto vedi V. Capuzza, Il consorzio stabile di imprese: la “vexata quaestio” della partecipazione alla medesima gara di una società consorziata, in Riv. Trim. appalti, n. 2/2007 92 Capitolo II Rimane fermo, comunque, che è ancora vietata ex articolo 36, comma 5 del Codice (era l’abrogato comma 5 dell’art. 12 della legge Merloni) la partecipazione contemporanea alla medesima gara del consorzio stabile e dei soggetti consorziati indicati come esecutori dei lavori; in caso di inosservanza del divieto, si configura l’ipotesi delittuosa della “turbativa d’asta”, di cui all’art. 353 del codice penale. Riamane altresì vietata la partecipazione a più di un consorzio stabile. 2) Quadro normativo fino al d.lgs. 152/08 (III Correttivo). Dopo l’intervento del Legislatore attuato mediante il II Decreto correttivo al Codice De Lise, cioè con il d.lgs. 113/07, anche il comma 7 dell’art. 37 ha subito radicali trasformazioni. In particolare, l’art. 2, comma 1 lett. i) del d.lgs. 113/07 si innesta in una problematica che ha investito la giurisprudenza in materia; in particolare, è stato modificato il comma 7 dell’art. 37, in cui scompare il riferimento all’art. 34, comma 1 lett. c) relativo appunto ai consorzi stabili: per essi, dunque, si applica per intero e solamente l’art. 36, comma 5 del Codice, che investe pertanto senza dubbi di sorta anche i consorziati per conto dei quali il consorzio non dichiari di voler partecipare. Pertanto, con la scomparsa nell’art. 37, comma 7 del suddetto riferimento ai consorzi stabili di imprese, letteralmente sembra che non si applichi più per i consorzi stabili l’obbligo di indicare, in sede di offerta, per quali consorziati il consorzio concorre. Tale linea interpretativa, fondata sulla recentissima modifica operata dal II Decreto correttivo, sembra trovare ulteriore conferma proprio dalla lettura che l’Autorità per la vigilanza aveva già svolto intorno alla precedente formulazione dell’art. 37, c. 7 del Codice; infatti, a parere dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici (che ovviamente s’era espressa sull’art. 13, comma 4 della legge Merloni) la portata di quella disposizione I soggetti ammessi alle gare 93 non può, però, essere intesa nel senso che i consorzi stabili in questione debbono necessariamente indicare, in sede di offerta, per quali consorziati concorrono, in quanto questi consorzi possono partecipare alla gara al fine di eseguire in proprio i lavori; deve essere invece intesa nel senso che è facoltà dei consorzi citati indicare per quali consorziati concorrono, ove non intendano eseguire direttamente i lavori (Determinazione n. 11/2004). Dunque, pur considerando l’assenza di pronunciamenti giurisprudenziali sul tema a causa della recentissima abrogazione di quel richiamo e fino all’intervento del III Correttivo, si poteva riconoscere a livello ermeneutico dottrinale che da un lato non sussisteva comunque l’obbligo per il consorzio stabile di indicare in sede di offerta attraverso quali consorziate avrebbe eseguito eventualmente i lavori appaltati, né la percentuale di partecipazione delle consorziate indicate come esecutrici dei lavori. 3) Quadro a sèguito dell’entrata in vigore del III Correttivo e fino al 3 luglio 2009. Notevole in tale scenario è stata la novella operata dal d.lgs. 152/08; in particolare, i consorzi stabili vedono ora l’obbligo espresso di indicare in sede di offerta per quali consorziati il consorzio concorre. a questi ultimi è fatto divieto di partecipare, in qualsiasi altra forma, alla medesima gara; in caso di violazione sono esclusi dalla gara sia il consorzio sia il consorziato; in caso di inosservanza di tale divieto si applica l’articolo 353 del codice penale. Inoltre, su tale presupposto, il Correttivo viene a fissare una apertura della disciplina, espressa sia nel comma 5 terzo periodo dell’art. 36, sia nel comma 7 terzo periodo dell’art. 37 del Codice. Nel comma 7, terzo periodo, dell’art. 37 viene previsto infatti che: Per i consorzi di cui all’articolo 34, comma 1, lettera b), qualora le stazioni appaltanti si avvalgano della facoltà di cui all’articolo 122, comma 9, e all’articolo 124, comma 8, è vietata la partecipazione alla 94 Capitolo II medesima procedura di affidamento del consorzio e dei consorziati; in caso di inosservanza di tale divieto si applica l’articolo 353 del codice penale. Parallelamente, al comma 5, terzo periodo, dell’art. 36 del Codice viene sancito che: Qualora le stazioni appaltanti si avvalgano della facoltà di cui all’articolo 122, comma 9, e all’articolo 124, comma 8, è vietata la partecipazione alla medesima procedura di affidamento del consorzio stabile e dei consorziati; in caso di inosservanza di tale divieto si applica l’articolo 353 del codice penale Il riferimento al comma 9 dell’art. 122 (per quanto riguarda i lavori) è alla possibilità riconosciuta dalla legge alle stazioni appaltanti di procedere con l’esclusione automatica delle offerte anormalmente basse, sempre che le amministrazioni abbiano indicato espressamente tale opzione — in luogo della verifica di congruità — nel bando di gara. È una facoltà tuttora vigente, ma anch’essa modificata nei presupposti dal d.lgs. 152/08, in forza del quale tale opzione è possibile per gli lavori aventi un importo inferiore a 1 milione di euro (e non più inferiore alla soglia comunitaria). Così il comma 9 dell’art. 122: Per lavori d’importo inferiore o pari a 1 milione di euro quando il criterio di aggiudicazione è quello del prezzo più basso, la stazione appaltante può prevedere nel bando l’esclusione automatica dalla gara delle offerte che presentano una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia individuata ai sensi dell’articolo 86; in tal caso non si applica l’articolo 86, comma 5. Comunque la facoltà di esclusione automatica non è esercitabile quando il numero delle offerte ammesse è inferiore a dieci; in tal caso si applica l’articolo 86, comma 3. Quindi, il quadro giuridico ammetteva ala possibilità di partecipazione alla medesima gara di imprese consorziate e del I soggetti ammessi alle gare 95 consorzio stabile, sempre quelle che non fossero imprese indicate come esecutrici dei lavori e che non fosse stato scelta dalla stazione appaltante la procedura dell’esclusione automatica delle offerte anomale. 4)Quadro normativo vigente dal 4 luglio 2009. L’art. 17 della legge 69/2009 modifica ancora una volta la disciplina della partecipazione congiunta di consorziate e del consorzio stabile alla medesima gara. Così prescrive: Al fine di fronteggiare la straordinaria situazione di crisi economica in atto e per incentivare l’accesso alle commesse pubbliche da parte delle piccole e medie imprese, a decorrere dal 1º luglio 2009, sono abrogate le disposizioni di cui all’articolo 36, comma 5, terzo periodo, nonché all’articolo 37, comma 7, terzo periodo, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni”. Dunque, attualmente, le imprese consorziate e non indicate come esecutrici dei lavori, possono sempre partecipare (anche quando la procedura prevede l’esclusione automatica delle offerte anomale) alla medesima gara in cui concorre il consorzio stabile. b) L’affidamento dei lavori in esecuzione ad una delle imprese consorziate e la questione de debba o meno essere circoscritto in rapporto ai limiti dei requisiti di qualificazione della consorziata32. Per completezza del quadro normativo di riferimento occorre precisare che il Consiglio dei Ministri, nella seduta del 21 dicembre u.s., ha approvato in via definitiva il «Regolamento di 32. Quanto qui scritto è in V. Capuzza, Questioni procedurali es esecutive sui consorzi stabili nella nuova normativa degli appalti pubblici, in ANIEM, n. 1/2008, pp. 25 e ss. 96 Capitolo II attuazione ed esecuzione del codice dei contratti pubblici relativi ai lavori, servizi e forniture, a norma dell’articolo 5 del d.lgs. 163/2006». Il testo entrerà in vigore, ai sensi dell’articolo 253, comma 2 del Codice dei contratti di cui al d.lgs. 163/2006, 180 giorni dopo la sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Nel nuovo regolamento l’art. 94 detterà le nuove norme esecutive relativamente ai Consorzi stabili di imprese. Con riferimento, invece, alla normativa contenuta dall’ancora vigente d.p.r. 554/99, riguardo all’interrogativo del presente paragrafo è possibile allo stato enucleare due principali linee ermeneutiche, rispettivamente: a) a favore della non necessaria coincidenza per una consorziata esecutrice dei lavori fra quota d’esecuzione stessa e la sua quota di qualificazione; b) contro la non necessaria coincidenza delle quote d’esecuzione e di qualificazione della consorziata. A favore della non necessaria corrispondenza fra le due quote d’esecuzione e di qualificazione giova innanzitutto richiamare il fatto che il consorzio stabile non attua — come le ATI — una semplice contitolarità del rapporto obbligatorio, ma è al contrario vero titolare del rapporto con la stazione appaltante quale soggetto giuridico autonomo e distinto rispetto alle singole imprese consorziate, tanto che nel consorzio stabile non esiste la distinzione interna fra mandante e mandataria. Quindi ogni attività del consorzio è imputabile direttamente agli organi consortili. Inoltre, il consorzio ai sensi dell’art. 36, comma 7 — richiamato dall’art. 81 del nuovo regolamento d’esecuzione e d’attuazione del Codice De Lise — si qualifica sulla base delle qualificazioni dalle singole consorziate sommate per classifica corrispondente all’opera generale e specializzata da eseguire. Proprio dal fatto che il consorzio stabile sia un autonomo soggetto giuridico che risponde solidalmente anche per la consorziata esecutrice dei lavori, sembra discendere il fatto che è il consorzio stabile in sé il soggetto con cui la Committente ha stipulato mediante il contratto obbligazioni e diritti di credito. I soggetti ammessi alle gare 97 A sostegno di tale tesi si veda anche il Parere dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici datato 08 novembre 2007, n. 87. Inoltre, a favore della fondatezza di questa prima tesi secondo la quale non è necessaria coincidenza fra le quote lavori e quelle di qualificazione delle consorziate, si può anche evidenziare il fatto che la disposizione di rinvio alla disciplina delle mandanti è contenuta all’interno del comma 4 dell’art. 97 del d.p.r. 554/99, il quale a ben vedere fa riferimento solo «ai fini della partecipazione del consorzio alle gare», e non anche ai fini della esecuzione dei lavori da parte della consorziata. Ma è pur vero che tale riferimento testuale alla partecipazione alle gare scomparirà nel nuovo regolamento d’esecuzione del Codice, in cui l’art. 94, al comma 4, compie tout court un generico e più ampio rimando: «Alle imprese consorziate si applicano le disposizioni previste dall’art. 37 del codice e dell’art. 91 del presente regolamento (id est: la revoca dell’attestazione di qualificazione) per le imprese mandanti dei raggruppamenti temporanei d’impresa». Infine, il comma 1 dell’art. 97 del d.p.r. 554/99, nel fare riferimento alla facoltà riconosciuta in capo al consorzio di fare eseguire i lavori alle proprie consorziate, non impone — come invece, ad esempio, è imposto nell’art. 118 in tema di subappalto — le relative qualificazioni in capo ai consorziati, né detta altre prescrizioni per l’esecuzione da parte delle consorziate. Sempre nella vigenza della normativa contenuta nel d.p.r. 554/99, in direzione opposta all’assunto della prima tesi interpretativa, sembrerebbe operare la norma contenuta nel comma 4 dell’art. 97 del d.p.r. 554/99, in cui viene stabilito che «alle singole imprese consorziate si applicano le disposizioni previste per le imprese mandanti dei raggruppamenti temporanei di imprese». È evidente che la reale portata della disposizione non è chiara: con essa il Legislatore può aver o richiamato l’intero regime giuridico riguardante le mandanti, o aver fatto riferimento al profilo solo della qualificazione, vista 98 Capitolo II soprattutto la collocazione della stessa norma. In questo secondo caso, la disposizione del comma 4 art. 97 del Regolamento dovrebbe necessariamente significare che le qualificazioni delle mandanti valgono ai fini della qualificazione del consorzio in riferimento alla categoria prevalente solo se raggiungano la soglia minima del 10% fissata dall’art. 95, comma 2 del d.p.r. 554/99, evitando in tal modo che la qualificazione del consorzio sia ottenuta mediante la sommatoria di valori troppo bassi. Lo scenario giuridico di riferimento che apporterà il nuovo regolamento d’esecuzione del Codice mediante la disposizione contenuta nell’art. 94, comma 4, in parte qua preciserà solamente che alle imprese consorziate si applicheranno le disposizioni dell’art. 37 del Codice per le imprese mandanti dei raggruppamenti temporanei d’impresa. Tornando al contenuto dell’art. 97, comma 4 del d.p.r. 554/99, va detto, infine, che da quest’ultima normativa scaturiscono, a loro volta, due possibili ulteriori linee di interpretazioni, fra l’altro già percorse da parte della dottrina. La prima lettura, definita “un po’ forzata”33, ma che invero tende a mostrare un’aporia della lettera della legge in materia, ritiene applicabile anche ai consorzi stabili il comma 4 dell’art. 93 del Regolamento con la conseguente possibilità di affidare alle singole imprese consorziate lavori in misura corrispondente alla propria quota di partecipazione al consorzio stesso, irrilevante restando la qualificazione in concreto posseduta da tale consorziata. Un’altra parallela linea interpretativa ha ritenuto che una consorziata non possa eseguire quelle quote di lavori che neanche una mandante a tutti gli effetti potrebbe eseguire all’interno di un’ATI in forza della qualificazione posseduta34. 33. In F. Caringella, G. De Marzo, La nuova disciplina dei lavori pubblici, 2003, p. 306. 34. vedi G. Stancanelli, Commento all’art. 97 del regolamento, in Commento al Regolamento di attuazione della legge Quadro sui Lavori Pubblici, Milano, p. 397. In piena adesione a tale ultima interpretazione va segnalata la sentenza del Consiglio di Stato, n. 1529/2006, sez. V. I soggetti ammessi alle gare 99 3. Il problema all’interno di un’A.T.I. della modificabilità in corso di esecuzione delle rispettive quote di partecipazione e di esecuzione dei lavori Un’altra importante questione da esaminare riguarda il fatto se all’interno di un’Associazione Temporanea di Imprese sia possibile o meno modificare in corso di esecuzione le rispettive quote di partecipazione e di esecuzione dei lavori previste ab origine35. Come è noto, l’art. 93, comma 4 del d.p.r. 554/99 impone che: «Le imprese riunite in associazione temporanea devono eseguire i lavori nella percentuale corrispondente alla quota di partecipazione al raggruppamento». L’art. 93, però, nulla dice riguardo al momento o l’atto in cui le imprese devono indicare tali percentuali. La giurisprudenza amministrativa da un lato ha precisato che l’omessa indicazione della percentuale di partecipazione di ciascuna impresa rende illegittima la partecipazione alla gara36, dall’altro ha anche affermato che per le imprese che partecipano alla procedura concorsuale come associazione da costituire all’atto dell’aggiudicazione deve escludersi l’obbligo d’indicare in sede di presentazione dell’offerta le quote di partecipazione al raggruppamento e quindi le diverse percentuali di partecipazione ai lavori, fermo restando che il primo elemento risulterà dall’atto costitutivo del raggruppamento e che a questo corrisponderà il secondo per espressa disposizione di legge (infatti, secondo l’art. 13 comma 5, l. quadro in materia di lavori pubblici 11 febbraio 1994, n. 109, e l’art. 93 comma 4, d.p.r. 21 dicembre 1999, n. 554, le imprese riunite in associazione temporanea 35. Vedi P. Carbone, La modificabilità della composizione delle imprese riunite e dei consorzi nel periodo tra la prequalificazione e l’aggiudicazione, in «Riv. Trim. Appalti», 1993, p. 275. In senso contrario, quindi per la modificabilità in tale sede vedi Travaglino, Le associazioni temporanee di imprese ed i consorzi nel decreto legislativo 19 dicembre 1991, n. 406, in «Riv. Trim. Appalti», 1994, p. 107. Cfr. da ultimo P. Piselli, I raggruppamenti temporanei fra le esigenze di tutela della concorrenza nelle pubbliche gare e la salvaguardia della libertà di iniziativa economica, in «Riv. Trim. Appalti», 2007, p. 133. 36. TAR Sicilia – Palermo 2726/04. 100 Capitolo II eseguono i lavori nella percentuale corrispondente alla quota di partecipazione al raggruppamento)37; con ciò, la giurisprudenza sembra attribuire all’Atto costitutivo rilievo fondamentale ai fini della ripartizione dei lavori tra le imprese associate. Tuttavia, il Consiglio di Stato, sez. VI, Decisione n. 1001 del 1° marzo 2007, ha chiaramente affermato che: Come già chiarito da questo Consiglio di Stato, la prima norma testè richiamata, introdotta dall’art. 9 della legge 415/1998, dopo la caduta del divieto originariamente previsto di costituire associazioni temporanee e consorzi concomitanti o successivi all’aggiudicazione di gara, non prevede espressamente il momento in cui la partecipante è tenuta a dichiarare l’importo dei lavori del raggruppamento in relazione alle singole compartecipazioni, ossia se sin dall’ammissione alla gara o successivamente all’aggiudicazione. Tuttavia lascia deporre a favore della necessità della dichiarazione (e del possesso dei requisiti) sin dall’ammissione alla gara il fatto che il legislatore, nel ridisciplinare l’art. 13 richiamato, non abbia modificato il primo comma, laddove subordina la partecipazione alla procedura concorsuale delle associazioni temporanee alla condizione che la mandataria e le altre imprese del raggruppamento siano già in possesso dei requisiti di qualificazione per la rispettiva quota percentuale, con ciò evidentemente riaffermando la necessità della previa indicazione delle quote di partecipazione. Infatti aver conservato tale norma anche nell’attuale sistema, dove è possibile costituire raggruppamenti, significa che il legislatore ha ritenuto necessaria la preventiva verifica dei requisiti in relazione alle singole quote di partecipazione anche nel nuovo regime. È tuttavia da rilevare che tale pronuncia aveva ad oggetto una questione attinente la fase di gara vera e propria (e, in particolare, la mancata indicazione sin dall’ammissione alla gara delle quote di partecipazione all’ATI delle varie associate “al fine della verifica dei requisiti”), non estensibile sic et simpliciter alla successiva fase esecutiva. 37. TAR Puglia Lecce, sez. II, 7 settembre 2002, n. 4301. I soggetti ammessi alle gare 101 In tale contesto, fermo restando che l’impegno assunto in sede di offerta deve trovare conferma nell’Atto costitutivo, deve riconoscersi proprio a tale atto la fondamentale funzione di delineare in modo preciso le specifiche attribuzioni e competenze delle imprese associate nell’esecuzione dell’appalto. Occorre dire, quindi, che il problema in generale riguarda piuttosto la possibilità o meno di poter modificare le percentuali relative all’esecuzione dei lavori (percentuali corrispondenti alla quota di partecipazione nell’ATI) in fase comunque successiva all’aggiudicazione (e quindi una volta terminata la fase di selezione dei concorrenti). A tale interrogativo può essere data risposta affermativa circa la possibilità di tale variazione in itinere, nei limiti in cui la variazione della percentuale di quota partecipativa (ed esecutiva) non comporti né problemi di qualificazione né modifiche soggettive dei partecipanti all’ATI con il conseguente riverbero sulla composizione del raggruppamento stesso (non essendo mai ammissibile né l’entrata di nuovi soggetti che non abbiano preso parte alla procedura concorsuale, né l’uscita di coloro che abbiano costituito l’ATI, salve le ipotesi eccezionali di cui all’art. 37, commi 18 e 19 del d.lgs. 163/06 e quelle della rinuncia nei termini di cui appresso). Quanto affermato sembra valere se si considera che dottrina e giurisprudenza38 hanno ritenuto che pur in assenza di un’espressa disciplina legislativa sia possibile all’interno di un’ATI il recesso dell’impresa mandante e la stessa rinunciabilità del mandato da parte della capogruppo mandataria39, ammettendo così di fatto anche l’inversione dei ruoli nell’ambito di una associazione temporanea di imprese, in quanto, appunto, le disposizioni al riguardo sanciscono solo che il mandato conferito alla capogruppo è irrevocabile (da parte delle mandanti, in quanto conferito anche nell’interesse della mandataria), ma non irrinunciabile (da parte della mandataria). 38. Cass. Civ., sez. I, 11. 5. 1998, n. 4728. 39. Parere dell’Avvocatura Generale dello Stato 1. 8. 1995, n. 092725. 102 Capitolo II Nello specifico, infatti, poiché né la legge Quadro (né attualmente il Codice De Lise di cui al d.lgs. 163/06), né il vigente Regolamento di attuazione — nelle disposizioni normative dedicate alle associazioni temporanee di imprese — disciplinano espressamente le ipotesi in discussione, si impone di risolvere la suddetta questione in via di logica interpretativa40. In tal senso, si è allora ritenuto che la tesi secondo cui la fattispecie della rinuncia deve trovare la propria disciplina nel disposto di cui all’art. 1727 cod. civ. appare quella maggiormente condivisibile. Vale, infatti, rilevare che, come accennato, la norma contenuta nell’art. 95, comma 5 d.p.r. 554/99, lungi dal derogare al principio di carattere generale dell’irrevocabilità del mandato in rem propriam, ne conferma l’operatività anche in materia di mandato conferito alla capogruppo mandataria di associazione temporanea di imprese costituita per l’esecuzione di opera pubblica. Ma, a fronte del generale principio dell’irrevocabilità del mandato in rem propriam, — di cui l’art. 95, comma 5 del d.p.r. 554/99 costituisce diretta applicazione — nessuna norma né del codice civile, né in materia di lavori pubblici, sancisce il principio dell’irrinunciabilità. Al contrario, il principio generale, valido anche in materia di mandato in rem propriam, è, come detto, quello, di cui al già menzionato art. 1727 cod. civ, della rinunciabilità. Non si comprende, dunque, per quale ragione il legislatore dell’art. 95, comma 5 del d.p.r. 554/99, nel confermare il generale principio della irrevocabilità del mandato in rem propriam avrebbe dovuto perciò anche intendere negare l’operatività dell’altrettanto principio generale della rinunciabilità del mandato stesso. In altri termini, non si può validamente sostenere che con l’art. 95 d.p.r. 554/99, il legislatore abbia inteso, da un lato, confermare un principio di legge e, cioè, quello dell’irrevocabilità del mandato conferito all’impresa capogruppo di un’associazione temporanea di imprese in quanto mandato in rem propriam ai sensi e per gli effetti 40. Vedi Consiglio di Stato, sez. IV, n. 4101/2007. I soggetti ammessi alle gare 103 dell’art. 1723 cod. civ.; dall’altro negare implicitamente l’operatività di altro principio di legge e, cioè, quello della rinunciabilità anche del mandato in rem propriam. Ove tale fosse stato l’intento del legislatore regolamentare dell’art. 95, comma 5, d.p.r. 554/99, e cioè negare l’operatività di un principio di legge, egli avrebbe dovuto quanto meno esplicitarlo attraverso una specifica disposizione. Alla luce di queste considerazioni, si può ben dedurre inoltre che, una volta ammessa la possibilità di rinuncia della mandataria, deve a maggior ragione ammettersi la mera invertibilità della posizione di mandante e mandataria, trattandosi di operazione che incide meno negativamente rispetto alla rinuncia. Lungo quest’ordine ermeneutico si può ben riconoscere, a maggior ragione, la legittimità di una mera variazione della quota di partecipazione all’ATI (e quindi delle rispettive quote di esecuzione dei lavori), considerando di quest’ultima modificazione la minor incidenza sul fenomeno associativo; infatti, in altri termini, la legittimità della mutazione delle sole quote partecipativo–esecutive è dimostrata dal fatto che essa rappresenta un aspetto ancora meno qualificato dell’inversione dei ruoli o della rinuncia della mandataria all’incarico. Da quanto finora esaminato è possibile affermare conclusivamente che, in forza della possibilità sia della rinuncia della mandataria sia della mera invertibilità della posizione di mandante e mandataria, appare a maggior ragione ammissibile la modificabilità della quote di esecuzione, intendendo con tale modificazione un riequilibrio delle quote stesse all’interno dell’ATI, per tenere conto, ad esempio, di fatti imprevisti ed imprevedibili sopraggiunti nel corso dell’esecuzione della commessa. Dunque, sembra valere la possibilità di una variazione solo delle quote di partecipazione/esecuzione lavori già fissate dal relativo contratto ed ove — si ribadisce — non venga generata alcuna modifica soggettiva dell’ATI, che continua a conservare la propria soggettiva fisionomia, con la presenza delle stesse identiche associate e purché, ovviamente, queste siano in possesso dei requisiti 104 Capitolo II di qualificazione proporzionati alla rispettiva quota lavori ancora da eseguire. Inoltre, va richiamato anche il fatto che nella legislazione esistente in materia non sussiste alcun divieto espresso di modificazione delle quote di partecipazione/esecuzione all’interno del Raggruppamento Temporaneo stesso, fermo restando ovviamente sia l’obbligo di mantenere però la corrispondenza fra le quote di partecipazione all’interno dell’ATI con le quote d’esecuzione degli stessi lavori (ex art. 93, comma 4 del d.p.r. 554/99), sia la sussistenza dei requisiti di qualificazione richiesti ai sensi del d.p.r. 34/00. In conclusione, si può affermare che, in via astratta ed alla luce della mancanza di più puntuali pronunciamenti giurisdizionali relativamente alla fase di esecuzione lavori, è ammissibile in un Raggruppamento Temporaneo d’Imprese la modificabilità delle quote d’esecuzione (la cui corrispondenza con le quote partecipative nell’ATI deve essere comunque mantenuta), sempre che l’amministrazione autorizzi espressamente tale operazione. Di conseguenza, la relativa fatturazione da parte delle Associate seguirà le nuove ripartizioni delle quote nell’ATI medesima. Capitolo III Le fasi della gara ad evidenza pubblica 1. Aspetti introduttivi L’appalto di opere pubbliche investe un arco giuridico complesso; potrebbe essere raffigurato attraverso due assi cartesiani: sull’asse delle ordinate avremo la prima fase, quella cioè relativa alla gara ad evidenza pubblica, che e a sua volta è composta da diverse fasi (di cui si dirà tra breve); la gara che si potrebbe individuare anche come un cono rovesciato, infatti i partecipanti sono i concorrenti e il loro numero si stringe tutto sino a una graduatoria e all’unico aggiudicatario. Da questo punto di incontro dei due assi (punto 0) sorge un altro momento dell’appalto: arrivati all’aggiudicazione della gara il soggetto aggiudicatario definitivo sarà colui che stipulerà il contratto. Le parti, cioè la committenza e l’appaltatore, in forza del contratto dovranno rispettare le proprie obbligazioni. Dal punto 0, cioè la stipulazione del contratto, nasce la seconda fase che è quella della esecuzione e della realizzazione dell’opera oggetto del bando di gara. Nella gara ad evidenza pubblica la stazione appaltante è autorità perché essa dovrà gestire la gara e sarà tenuta al rispetto delle norme d’azione, e al contempo sarà essa stessa ad individuare, tramite le varie procedure, l’aggiudicatario (la visione orizzontale del grafico ideale). Nel contratto, invece, l’amministrazione non si privatizza, ma non è nemmeno più autorità arbitro di gara, divenendo parte contrattuale e assumendo obbligazioni e diritti relativi di credito. 105 106 Capitolo III Torniamo alle fasi della gara ad evidenza pubblica. Essa è costituita da diverse fasi. 1) Programmazione e pubblicazione del bando: per prima cosa viene pubblicato un bando secondo determinate regole fissate dal Codice. II bando di gara subisce delle variazioni di tempi e di modi alla luce di una grande divisione: gli appalti pubblici di lavori si distinguono innanzitutto secondo l’importo a base di gara: –appalti di lavori pari o superi alla soglia comunitaria; –appalti di lavori inferiori alla soglia comunitaria. La soglia comunitaria dal 1° gennaio 2008 per i lavori è pari ad € 5.150.000. 2) Procedure di scelta del contraente: l’amministrazione nel bando individua: l’oggetto dell’appalto, la tipologia della costruzione, le categorie, i requisiti che servono e tutte le indicazioni per presentare le offerte. Nel bando è individuata la procedura di scelta mediante la quale l’amministrazione addiverrà all’aggiudicazione. Le procedure sono le seguenti: a) asta pubblica o pubblico incanto; b)licitazione privata; c) appalto concorso; d)trattativa privata; e) appalto integrato. Questa nomenclatura era quella indicata dal Legislatore nella legge Merloni; oggi si chiamano in modo diverse, la nuova nomenclatura è infatti europea: a) procedura aperta (asta pubblica); b)procedure ristrette (licitazione privata e appalto– concorso); c) procedura negoziata (trattativa privata). Le fasi della gara ad evidenza pubblica 107 L’appalto integrato si continua a chiamare nello stesso modo anche nel Codice. a) Procedura aperta. Come è evidente, la costruzione dell’opera pubblica si basa sul progetto esecutivo. La procedura in generale per arrivare ad un progetto, che sia idoneo ad essere oggetto per la costruzione di un opera, passa per tre fasi: si elabora un progetto preliminare dove vi sono le indicazioni di massima; si passa per un progetto definitive dove c’e un maggior dettaglio; infine viene redatto il progetto completo e pronto ad essere a base dell’opera, cioè il progetto esecutivo. Sono tre fasi l’una concentrica all’altra, cioè le fasi successive presuppongono la fase precedente ed il progetto esecutivo amplia il discorso specializzando al massimo. Di regole, a base di gara l’amministrazione appaltante pone già il progetto esecutivo. A questa regola generale ci saranno poi delle eccezioni, nel senso che talvolta l’amministrazione appaltante potrebbe porre a base di gara o il progetto definitivo o addirittura il progetto preliminare. La regola che invece non ha alcuna eccezione è quella secondo la quale i lavori (nella fase di esecuzione) possono iniziare obbligatoriamente solo con il progetto esecutivo. Nella procedura aperta a base di gara c’e il progetto esecutivo già completo. Le imprese che vogliono partecipare alla gara vi partecipano presentando assieme e nei modi previsti dal bando i requisiti (generali e speciali) e l’offerta. b)Procedura ristretta. Nella procedura ristretta invece la gara e divisa in due sub–fasi: la prima fase si chiama prequalifica, nella quale le imprese che sono concorrenti presentano solo i propri requisiti generali e speciali, oltre alla domanda di partecipazione alla gara. Questa prima fase termina con una verifica, in seduta riservata, da 108 Capitolo III parte dell’amministrazione, dei requisiti presentati dai singoli concorrenti: se la verifica accerterà il regolare possesso dei requisiti di legge e richiesti dal bando, allora il responsabile del procedimento invierà all’impresa interessata la Lettera d’invito a presentare l’offerta, aprendo così alla seconda sub–fase della procedura ristretta. In ambito europeo questa procedura ristretta nacque con un altro intendimento, che noi non abbiamo riconosciuto: l’amministrazione nella prequalifica, secondo la visione dell’Europa, avrebbe poteva anche in presenza del possesso di requisiti, non invitare l’impresa a presentare l’offerta alla luce di altre valutazioni discrezionali e motivate. Invece la giurisprudenza del Consiglio di Stato non ha mai riconosciuto la legittimità di tali ulteriori valutazioni nella fase della prequalifica, determinando di fatto come differenza tra le procedure aperta e ristretta solo la struttura (unica per l’asta, bifasica per la licitazione) e la tempistica (nei giorni minimi perentori). c) Tempi minimi perentori. Sono quei termini fissati dalla legge in modo non ordinatorio ma perentorio (cioè, la loro violazione comporterebbe un vizio di legittimità con consegue te annullamento della gara), sotto i quali un bando (lex specialis) non potrebbe scendere. Sono fissati dal d.lgs. 163/06 e si differenziano secondo i seguenti ambiti e criteri: – sopra o sotto soglia comunitario; – alla luce della procedura di scelta; – se d’urgenza (unicamente per procedure ristrette e d’urgenza, non per la procedura aperta). A tal proposito, ecco una tabella in cui sono individuati tempi minimi perentori (per gli approfondimenti, vedi anche il successivo paragrafo 4). 109 Le fasi della gara ad evidenza pubblica IMPORTO Importo superiore alla soglia comunitaria PROCEDURA Tempi minimi perentori APERTA 52gg. 37gg. (prequalifica) 15gg. (prequalifica) RISTRETTA 40gg. (invito) APERTA Importo inferiore alla soglia comunitaria Procedure di urgenza (invito) 26 gg. 15gg. (prequalifica) 15gg. (prequalifica) RISTRETTA 20gg. (invito) 10gg. (invito) 3)Criteri di aggiudicazione. 4)Aggiudicazione provvisoria, definitiva e definitiva–efficace; 5)Stipulazione del contratto. 2. La programmazione Dal testo dell’art. 128 del Codice viene tolta l’eccezione sancita per l’osservatorio in tema di pubblicità dei programmi riferiti ai lavori del 110 Capitolo III Ministero della difesa: lo stabiliva espressamente l’art. 14 della legge Merloni, al comma 11. Per il resto, l’articolo 128 si presenta come ricezione dell’abrogato art. 14 della legge Quadro. In particolare, l’importanza del programma triennale1 può essere individuata con riferimento, ad esempio, alla figura del Project Financing, disciplinato nel Capo III del Titolo III della Parte II del Codice2. Valgano, a tal proposito, le seguenti considerazioni. Negli ultimi anni si è verificato un intenso sviluppo normativo soprattutto in materia di opere pubbliche che ha permesso di modificare, e alcune volte anche di sostituire, le precedenti norme, portando all’attenzione degli operatori delle nuove possibilità, già sviluppate e affermate a livello comunitario, ma ancora sconosciute o quanto meno disapplicate in Italia. Tali novità legislative consentono di realizzare opere pubbliche senza che l’ente appaltante debba sostenere gli oneri, permettendo in questo modo di superare le difficoltà di ordine economico e finanziario in cui spesso versano gli enti pubblici. In particolare, è da segnalare (prima delle direttive nn. 17 e 18 del 2004) una complessiva riforma della legge quadro sui lavori pubblici (l. 109/94), che a seguito di varie modifiche normative, ha ridisegnato l’istituto del Project Financing. A differenza del sistema originario non è più l’amministrazione che decide se e quando dare avvio al procedimento: la nuova disciplina affida, infatti al privato il compito di identificare — pur se all’interno di strumenti programmatori — le opere pubbliche (o di pubblica utilità) che è disponibile a realizzare in corrispettivo della gestione delle stesse. Con l’introduzione di questa nuova disciplina, comunque, viene lasciata all’amministrazione il compito di decidere quali saranno le 1. Cfr. D. Senzani, La programmazione dei lavori pubblici dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 482/1995, in ««Riv. Trim. Appalti»», 1995, 139. 2. Cfr. M. Baldi, Programmazione amministrativa e project finacing nella disciplina dei lavori pubblici, in Urb. e appalti, 2001, 1049. Le fasi della gara ad evidenza pubblica 111 opere necessarie e quale sarà il tempo per procedere alla realizzazione delle stesse. La legge, infatti, consente di dare avvio alla procedura per l’affidamento al privato dell’opera pubblica da costruire e gestire solo a condizione che l’opera stessa risulti inserita nella programmazione triennale o negli altri strumenti di programmazione, formalmente approvati dall’amministrazione aggiudicatrice, previsti dalla normativa vigente. La normativa vigente quindi vuole che l’opera da realizzare e gestire risulti contemplata in quello strumento introdotto dall’art. 14 della l. 109/94 (ora l’art. 128 Codice), al quale è affidato il compito di identificare le opere pubbliche da attuare nel triennio distinguendo all’interno di esse quelle che l’amministrazione ipotizza di realizzare direttamente e quelle invece che provvederà a realizzare mediante l’ausilio di privati che cureranno, successivamente, la gestione dell’opera. L’art. 128 Codice prevede che tra le opere che andranno realizzate e che sono state inserite nel programma triennale, verrà data priorità di realizzazione, a quelle stesse che non comporteranno oneri per l’amministrazione poiché finanziate con capitale privato maggioritario. Tuttavia,tale ordine di programma non è caratterizzato da rigidità strutturale, infatti, l’eventuale collocazione nel programma triennale di opere indicate come realizzabili dalla mano pubblica (e non dal privato) non comporta l’impossibilità del ricorso ad interventi attuativi con l’ausilio del privato. In alternativa, è concesso di individuare la realizzazione di una determinata opera negli altri strumenti programmatori istituzionali — sempre provenienti dalla amministrazione aggiudicatrice — non enunciativi però (a differenza della programmazione triennale), dei tempi nei quali le opere stesse dovranno essere realizzate. È importante sottolineare come in tale materia sussista uno stretto legame tra la programmazione dei lavori pubblici e programmazione finanziaria. In questa materia è, ancora, di rilievo — in quanto applicabile — la normativa contenuta nel regolamento di attuazione d.p.r. 554/99 e 112 Capitolo III nel d.m. lavori pubblici del 21 giugno 2000 che ha definito gli schemi tipo del programma triennale, dei suoi aggiornamenti e dell’elenco annuale dei lavori. L’art. 128, comma 9 Codice dispone che l’elenco annuale deve essere approvato insieme al bilancio di previsione di cui costituisce parte integrante. Inoltre, il predetto regolamento dispone che il programma triennale dei lavori pubblici deve essere deliberato contestualmente al bilancio preventivo e al bilancio pluriennale ed è, a questi documenti, allegato insieme all’elenco dei lavori da iniziare nell’anno. Sempre sull’argomento assume un importante riferimento normativo il Decreto Ministeriale del 21 giugno 2000 “Modalità e schemi– tipo per la relazione del programma triennale, dei suoi aggiornamenti annuali e dell’elenco annuale dei lavori, ai sensi dell’art. 14, comma 1 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni”. Tale d.m. prevede che i soggetti individuati dall’art. 2, comma 2, lett. a) della l. 109/94 e s.m.i. 3 adottano il programma triennale dei lavori pubblici e gli elenchi dei lavori sulla base degli schemi tipo allegati a detto decreto. Il termine perentorio entro il quale detto schema programma, ovvero il suo aggiornamento, devono essere redatti è quello del 30 settembre di ogni anno. Nella redazione del programma triennale viene indicato un ordine di priorità in conformità dell’art. 128, comma 3 del Codice, che dovrà basarsi sulle categorie di lavori e sulla tipologia di intervento, tenendo presente che, come già detto precedentemente, saranno considerati prioritari quei lavori per i quali ricorre la possibilità di un finanziamento con capitale privato maggioritario. Si pone il problema di individuare in quale modo una amministrazione possa provvedere all’inclusione di lavori nuovi nell’elenco, già 3. Attualmente, l’art. 32, comma 1 in relazione, per il significato di amministrazioni aggiudicatici, all’art. 3, comma 25, che coincide con il contenuto, appunto, dell’art. 2, comma 2, lett. a) della legge Merloni. Le fasi della gara ad evidenza pubblica 113 predisposto delle attività da realizzare. Su tale questione è intervenuta anche l’allora Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici che con la Determinazione 2/2002 del 14 febbraio 2002 riguardante la “Programmazione delle opere pubbliche e frazionamento degli incarichi di progettazione” ha reputato che: occorre pertanto definire quali possano essere le integrazioni di carattere sostanziale tali da comportare la necessità di procedere alla loro pubblicità: si ritiene, a titolo esemplificativo, che non occorre riattivare il procedimento di programmazione nell’ipotesi di riduzione di opere pubbliche finanziate con mutui della Cassa Depositi e Prestiti a seguito di reperimento di fondi propri, trattandosi di mera variazione sul tipo di finanziamento non incidente sulla conformazione dell’intervento da eseguire. Altrettanto dicasi nel caso di modifica dei finanziamenti relativi ad opere pubbliche già inserite nei suddetti piani annuali e triennali. Non sembra invece corretto l’inserimento ex novo di altre opere, ancorché di modesto valore complessivo, senza riattivare la prescritta procedura e le relative misure di pubblicità, alla luce di quanto previsto dall’art. 14, comma 9, della l. 109/94 e s.m.i. secondo cui l’elenco annuale predisposto dalle amministrazioni aggiudicatici deve essere approvato unitamente al bilancio preventivo, di cui costituisce parte integrante, e deve contenere l’indicazione dei relativi mezzi finanziari dell’amministrazione al momento della formazione dell’elenco, fatta eccezione per le risorse disponibili a seguito di ribassi d’asta o di economie. L’art. 128, comma 10 Codice, nel rispetto delle risorse già previste tra i mezzi finanziari dell’amministrazione al momento della formazione dell’elenco annuale, prevede che: “I lavori non ricompresi nell’elenco annuale o non ricadenti nelle ipotesi di cui al comma 5, secondo periodo, non possono ricevere alcuna forma di finanziamento da parte di pubbliche amministrazioni”. Con l’art. 128, comma 5 Codice, infatti, il Legislatore, consapevole che in un lasso temporale possono emergere situazioni per cui si rende necessario una modifica dei programmi già predisposti per l’esecuzione di attività lavorativa ha stabilito che: 114 Capitolo III I soggetti di cui al comma 1 nel dare attuazione ai lavori previsti dal programma triennale devono rispettare le priorità ivi indicate. Sono fatti salvi gli interventi imposti da eventi imprevedibili o calamitosi, nonché le modifiche dipendenti da sopravvenute disposizioni di legge o regolamenti o calamitosi, nonché le modifiche dipendenti da sopravvenute disposizioni di legge o regolamentari ovvero da altri atti amministrativi adottati a livello statale o regionale. In conclusione, dal complesso normativo delle disposizioni qui sopra presentate emerge che il presupposto della programmazione debba essere tendenzialmente unitario, con possibilità derogatorie solo in presenza delle ipotesi rappresentate all’art. 128, comma 5 del Codice. Tale intendimento del Legislatore è stato recepito anche dall’allora Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici che ha determinato l’impossibilità di un inserimento ex novo di lavori, rispetto alla programmazione annuale e trimestrale stabilite dalle Amministrazioni. L’atteggiamento è qui teso a sottolineare proprio lo stretto legame che intercorre tra la programmazione dei lavori pubblici e la programmazione finanziaria delle Amministrazioni. Tuttavia, il Legislatore ha lasciato un certo margine interpretativo in ordine ai lavori che devono essere indicati all’interno del programma triennale, infatti, ha previsto che rientrano in tale categoria solo “gli interventi per i quali ricorra la possibilità di finanziamento con capitale privato maggioritario”(art. 128, comma 3 Codice). Con tale disposizione, quindi, non ha fornito chiarimenti in ordine a quei lavori che invece sono finanziati con capitale esclusivamente privato. A tale riguardo il Legislatore all’art. 128, comma 9, secondo periodo, del Codice, prevede che: Un lavoro non inserito nell’elenco annuale può essere realizzato solo sulla base di un autonomo piano finanziario che non utilizzi risorse già previste tra i mezzi finanziari dell’amministrazione al momento della formazione Le fasi della gara ad evidenza pubblica 115 dell’elenco, fatta eccezione per le risorse resesi disponibili a seguito di ribassi d’asta o di economie4. Pertanto, vista la precisa indicazione dell’obbligatorio inserimento nella programmazione triennale solo per quei lavori con capitale privato maggioritario, tralasciando quindi i lavori eseguibili con capitale esclusivamente privato, e vista l’interpretazione estensiva che può essere data all’art. 128, comma 9, (secondo periodo) Codice, sembrerebbe essere lasciato un certo margine di operatività alle Amministrazioni che — senza ricorrere alla modifica del piano finanziario già predisposto — volessero realizzare, con capitale interamente privato, nuovi lavori. Tale possibilità operativa, naturalmente, potrebbe essere realizzata solamente mediante il ricorso all’istituto del Project Financing, il quale tuttavia nella normativa di riferimento è strettamente connesso alla programmazione triennale come disciplinata dall’art. 128 del Codice. Pertanto, nel rispetto delle disposizioni normative sembrerebbe rilevabile l’impossibilità di un inserimento ex novo di lavori, all’interno della programmazione triennale e annuale, che importino un contributo anche parziale a carattere pubblico. Infine, si precisa che già con l’intervento della l. 166/2002, era stato novellato l’art. 14 in un’ottica di maggiore semplificazione e minori nuovi vincoli derivanti dalla programmazione triennale. Tra le novità introdotte, quella che maggiormente risulta interessante, attiene alla non obbligatorietà dell’inserimento nel programma triennale per quei lavori che sono di singolo importo o inferiore ad Euro 100.000 (l’attuale art. 128, comma 1 Codice). Pertanto, se i nuovi lavori che si intendessero in teoria realizzare rientrassero in tale importo, non sussisterebbero cause impeditive al loro svolgimento anche senza il loro inserimento nel programma triennale. 4. Riguardo alla c.d. permuta negli appalti pubblici, con riferimento particolare ai commi da 6 a 12 dell’art. 53 del Codice, confronta V. Capuzza, La permuta, in I Contratti con la Pubblica Amministrazione, a cura di C. Franchini, Trattato dei contratti, diretto da P. Rescigno e E. Gabrielli, UTET, II, pp. 1247–1274. 116 Capitolo III 3. La progettazione 3.1. L’art. 90 del Codice La disciplina contenuta nell’art. 90 del Codice riproduce l’art. 17 della legge Merloni, lasciando pertanto invariata quella disciplina; vi sono anche in questo articolo delle modifiche solo sul piano lessicale e nel comma 4 (che corrisponde al comma 2 dell’art. 17 della legge Merloni) non viene ovviamente riportato il secondo periodo della detta disposizione della legge Quadro, essendo quella una chiara norma transitoria. Il comma 5 compie un rinvio al regolamento di cui all’art. 5. Alla luce delle conferme della disciplina attuale rispetto a quella della l. 109/94 e s.m.i., occorre fissare in breve l’attenzione su alcuni aspetti, fra i più importanti. Innanzitutto, si può far riferimento alla natura giuridica dei consorzi stabili di società di professionisti, di cui al comma 1, lett. h). Relativamente alla figura del consorzio stabile per la progettazione, si deve innanzitutto evidenziare che, in presenza dei presupposti di cui all’articolo in esame, la redazione dei progetti può essere affidata, sulla base di quanto dispone l’art. 90, c. 1 lett. h), anche a consorzi stabili di società di professionisti e di società di ingegneria, anche in forma mista, formati da non meno di tre consorziati che abbiano operato congiuntamente nel settore dei servizi di ingegneria per un periodo di tempo non inferiore a cinque anni, e che abbiano deciso di operare in modo congiunto ai sensi dell’art. 36, comma 1 del Codice (ex art. 12, c. 1 della legge). Ai consorzi stabili di società di professionisti e di società di ingegneria si applicano anche le disposizioni di cui ai commi 4 e 5 del predetto art. 36 ed il comma 8 dell’art. 253 della Codice. In particolare, quindi, va ricordato che l’art. 36, c. 4 del Codice stabilisce che ai consorzi stabili sono applicabili le disposizioni relative ai consorzi previsti dal codice civile (Capo II, Titolo X, Libro V), nonché l’art. 118 del Codice. Le fasi della gara ad evidenza pubblica 117 È vietata ex articolo 36, comma 5 del Codice la partecipazione contemporanea alla medesima gara del consorzio stabile di società di professionisti o di ingegneria e dei soggetti consorziati; in caso di inosservanza del divieto, si configura l’ipotesi delittuosa di cui all’art. 353 del codice penale. La disciplina generale dei consorzi stabili contenuta nell’art. 36 del Codice si applica ai consorzi stabili di società di professionisti e di società di ingegneria anche relativamente al calcolo del fatturato globale in servizi di ingegneria e architettura operato da ciascuna società consorziata nel quinquennio o nel decennio precedente, ai fini della partecipazione alle gare per l’affidamento di incarichi di progettazione ed attività tecnico–amministrative ad essa connesse. A tal fine, il fatturato è incrementato, sulla base della disposizione contenuta nell’art. 36, comma 6 (che è l’abrogato art. 12, comma 8–bis, aggiunto dalla legge 166/2002), di una percentuale della somma stessa pari al 20% nel primo anno; al 15% nel secondo anno; al 10% nel terzo anno sino al compimento del quinquennio. Da precisare, in tema di responsabilità, che, nonostante le società di engineering offrano uno spettro di servizi molto più ampio di quello relativo alle fasi della progettazione, delle attività accessorie e della direzione dei lavori (cui è dedicato il Titolo IV del regolamento), vale anche per le società di ingegneria la chiara ripartizione fra progettazione e realizzazione dei lavori; infatti, l’art. 90 comma 8 del Codice (è l’abrogato art. 17, comma 9 della legge) stabilisce che nessuno dei soggetti elencati al comma 1 dello stesso articolo (quindi anche i consorzi stabili di società di ingegneria), può partecipare agli appalti, concessioni, subappalti o cottimi di lavori pubblici per i quali abbiano svolto attività di progettazione (principio della separazione). Per le ipotesi di collegamento vedi il commento all’art. 34 del Codice. Altro aspetto interessante potrebbe essere la rilevanza giuridica e la disciplina della coincidenza delle figure fra responsabile del procedimento (di cui all’art. 10 Codice) ed il progettista. L’art. 10, al comma 6 rinvia all’emanando regolamento la dettagliata disciplina, per la quale, al momento, si applica il d.p.r. 554/99. 118 Capitolo III Infatti, la disciplina sui lavori pubblici in generale e più in particolare l’art. 10 del Codice, come ha fatto l’art. 7 della legge 109/94, ha dato grande rilievo alla figura del responsabile del procedimento, facendogli sempre più assumere una posizione di rilievo nell’ambito dell’amministrazione committente. La necessità di individuare nominativamente il soggetto a cui è demandata la titolarità del singolo procedimento è dettata dall’esigenza di tutelare sempre più la trasparenza e l’efficacia dell’azione amministrativa. Ai sensi dell’art. 10, comma 7 del Codice (è l’art. 7, comma 5 della legge Merloni) il responsabile del procedimento deve essere un tecnico dipendente dall’amministrazione e solo ove venga dimostrata una carenza d’organico gli potranno essere affiancati professionisti aventi le necessarie competenze, selezionati con le forme e le modalità con le procedure del Codice in tema di affidamento di incarichi di servizi (il precedente rinvio nella Merloni era al decreto legislativo 157/95). Il responsabile del procedimento è la figura centrale del nuovo sistema di realizzazione dei lavori pubblici, particolarmente dopo le modifiche — introdotte dalla legge 415/98 — che hanno soppresso la figura del coordinatore unico ed hanno restituito al responsabile del procedimento la pienezza e la effettività dei compiti di un vero e proprio “project manager”. L’articolo 10 al comma 6, prevede altresì che è compito del regolamento di attuazione della legge quadro determinare l’importo massimo e la tipologia dei lavori per i quali il responsabile del procedimento può coincidere con il progettista o con il direttore dei lavori. Si applica la moneto il d.p.r. 554/99, e fino all’entrata in vigore del regolamento d’attuazione della legge Merloni tale facoltà poteva essere esercitata per i lavori di qualsiasi importo o tipologia. Le previsioni contenute nell’art. 7 del d.p.r. 554/99, seppure non introducono sul piano generale elementi concettuali nuovi, danno però concretezza all’istituto del responsabile del procedimento che già nella legge quadro era stato tratteggiato nei suoi aspetti essenziali. Infatti, la figura del responsabile del procedimento quale unico responsabile della sequenza procedimentale, relativa ad ogni singolo Le fasi della gara ad evidenza pubblica 119 intervento, era già stata delineata con compiutezza nell’assetto fissato nella legge quadro. L’art. 7, individua le fasi dell’intervento del responsabile del procedimento (programmazione, affidamento della progettazione, scelta del contraente, esecuzione del contratto e collaudo) e rende palese che in realtà nell’intera procedura volta alla realizzazione di lavori pubblici il responsabile del procedimento è il vero dominus, cioè il vero centro unitario d’imputazione delle funzioni di scelta, controllo e vigilanza. La previsione normativa, inoltre, ribadisce che il responsabile del procedimento — ancorché molte delle sue attività abbiano natura giuridica ed amministrativa — deve essere un tecnico, e, pertanto, individua i requisiti di professionalità che deve possedere. Adempiendo a quanto previsto dal comma 2 dell’art. 7 della legge 109/94 (ma è disciplina transitoria in attesa del regolamento di cui all’art. 5 del Codice, sulla base di quanto previsto dall’art. 10, comma 6 del Codice), il regolamento d’attuazione individua gli importi e la tipologia dei lavori in presenza dei quali si può ritenere possibile, anche in funzione delle esigenze di snellezza operativa ed economicità, che il responsabile del procedimento svolga anche le funzioni del progettista e del direttore dei lavori. L’art. 7, comma 4 del d.p.r. 554/99, specificatamente affronta la questione prevedendo che il responsabile del procedimento sia un tecnico in possesso di un titolo di studio adeguato alla natura dell’intervento da realizzare, abilitato all’esercizio della professione, o, quando l’abilitazione non sia prevista dalle norme vigenti, sia un funzionario con idonea professionalità, e con anzianità di servizio in ruolo non inferiore a cinque anni. Il responsabile del procedimento a norma del d.p.r. 554/99 art. 7 comma 4, può svolgere per uno o più interventi, nei limiti delle proprie competenze professionali, anche le funzioni di progettista o di direttore dei lavori. Tuttavia, affinché tale cumulo di funzioni possa aver luogo, dovrà tenersi conto delle specifiche competenze professionali possedute dal soggetto investito delle funzioni di responsabile del procedimento, 120 Capitolo III escludendo comunque tale possibilità quando si debba procedere con un progetto integrale, cioè con un progetto elaborato in forma completa e dettagliata in tutte le sue parti, architettoniche, strutturali ed impiantistiche secondo la definizione contenuta nella lettera i) dell’art. 2 del Regolamento, ovvero per opere ed impianti di speciale complessità o di particolare rilevanza sotto il profilo tecnologico, e purché non si tratti d’interventi superiori a 500.000 Euro. Questa deroga alla previsione generale è contenuta nell’ultima parte dell’art. 7, comma 4, del regolamento 554/99, dove specificatamente viene chiarito il rapporto tra il responsabile del procedimento ed il progettista: “Tali funzioni non possono coincidere nel caso d’interventi di cui all’articolo 2, comma 1, lettere h ed i), e di interventi d’importo superiore a 500.000 Euro”; tale importo deve essere calcolato in rapporto alla spesa globale necessaria per realizzare l’opera. Per quanto riguarda le procedure di affidamento per gli incarichi di progettazione, valga quanto segue. Innanzitutto, dispone l’art. 90 al comma 6 che le amministrazioni aggiudicatrici possono affidare la redazione del progetto preliminare, definitivo ed esecutivo, nonché lo svolgimento di attività tecnico– amministrative connesse alla progettazione, ai soggetti di cui al comma 1, lettere d), e), f), f–bis), g) e h), in caso di carenza in organico di personale tecnico, ovvero di «difficoltà di rispettare i tempi della programmazione dei lavori o di svolgere le funzioni di istituto» (c.d. urgenza), ovvero in caso di lavori di speciale complessità o di rilevanza architettonica o ambientale o in caso di necessità di predisporre progetti integrali, così come definiti dal regolamento, che richiedono l’apporto di una pluralità di competenze, casi che devono essere accertati e certificati dal responsabile del procedimento. Quindi, l’art. 91 del Codice stabilisce nei primi sei commi che: – per l’affidamento di incarichi di progettazione, di coordinamento della sicurezza in fase di progettazione, di direzione dei lavori, di coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione e di collaudo nel rispetto di quanto disposto all’articolo 120, comma Le fasi della gara ad evidenza pubblica – – – – 121 2–bis, di importo pari o superiore a 100.000 euro si applicano le disposizioni di cui alla parte II, titolo I e titolo II del codice, ovvero, per i soggetti operanti nei settori di cui alla parte III, le disposizioni ivi previste; gli incarichi di progettazione, di coordinamento della sicurezza in fase di progettazione, di direzione dei lavori, di coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione e di collaudo nel rispetto di quanto disposto all’articolo 120, comma 2–bis, di importo inferiore alla soglia di cui al comma 1 possono essere affidati dalle stazioni appaltanti, a cura del responsabile del procedimento, ai soggetti di cui al comma 1, lettere d), e), f), f–bis), g) e h) dell’articolo 90, nel rispetto dei principi di non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza, e secondo la procedura prevista dall’articolo 57, comma 6; l’invito è rivolto ad almeno cinque soggetti, se sussistono in tale numero aspiranti idonei; in tutti gli affidamenti di cui al presente articolo l’affidatario non può avvalersi del subappalto, (fatta eccezione per le attività relative alle indagini geologiche, geotecniche e sismiche, a sondaggi, a rilievi, a misurazioni e picchettazioni, alla predisposizione di elaborati specialistici e di dettaglio, con l’esclusione delle relazioni geologiche, nonché per la sola redazione grafica degli elaborati progettuali. Resta comunque impregiudicata la responsabilità del progettista); le progettazioni definitiva ed esecutiva sono di norma affidate al medesimo soggetto, pubblico o privato, salvo che in senso contrario sussistano particolari ragioni, accertate dal responsabile del procedimento. In tal caso occorre l’accettazione, da parte del nuovo progettista, dell’attività progettuale precedentemente svolta. L’affidamento può ricomprendere entrambi i livelli di progettazione, fermo restando che l’avvio di quello esecutivo resta sospensivamente condizionato alla determinazione delle stazioni appaltanti sulla progettazione definitiva; quando la prestazione riguardi la progettazione di lavori di particolare rilevanza sotto il profilo architettonico, ambientale, 122 Capitolo III storico–artistico e conservativo, nonché tecnologico, le stazioni appaltanti valutano in via prioritaria l’opportunità di applicare la procedura del concorso di progettazione o del concorso di idee; – nel caso in cui il valore delle attività di progettazione, coordinamento della sicurezza in fase di progettazione, direzione dei lavori e coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione superi complessivamente la soglia di applicazione della direttiva comunitaria in materia, l’affidamento diretto della direzione dei lavori e coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione al progettista è consentito soltanto ove espressamente previsto dal bando di gara della progettazione. Importante è sottolineare che la normativa contenuta nel Codice stabilisce all’art. 130 che anche per l’attività del Direttore dei Lavori, se le amministrazioni aggiudicatrici non la possano espletare nei casi di cui all’articolo 90, comma 6, tale attività è affidata nell’ordine ai seguenti soggetti: a) altre amministrazioni pubbliche, previa apposita intesa o convenzione di cui all’articolo 30 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267; b)il progettista incaricato ai sensi dell’articolo 90, comma 6; c) altri soggetti scelti con le procedure previste dal presente codice per l’affidamento degli incarichi di progettazione. 3.2. I livelli di progettazione La norma contenuta nell’art. 93 del Codice fa riferimento espresso agli appalti di lavori pubblici e per concessioni di lavori. L’art. 94, invece, fa riferimento ai agli appalti di servizi e forniture (anche per i requisiti dei progettisti) e consiste, al momento, in una mera norma di rinvio per la disciplina all’emanando regolamento ex art. 5; infatti, ovviamente, non può sostenersi — a pena d’assurdità — Le fasi della gara ad evidenza pubblica 123 l’applicabilità del Regolamento di cui al d.p.r. 554/99, il quale, come è nopto, riguarda solamente i lavori e le concessioni di lavori. Il livelli di progettazione sono confermati nei i tre livelli: preliminare (comma 3), definitivo (comma 4) ed esecutivo (comma 5). È altrettanto noto che la progettazione preliminare, che stabilisce i profili e le caratteristiche più significative degli elaborati dei successivi livelli di progettazione, in funzione delle dimensioni economiche e della tipologia e categoria dell’intervento, nel definire il quadro delle esigenze da soddisfare e delle specifiche prestazioni da fornire, deve inoltre consentire l’avvio dell’eventuale procedura espropriativa (art. 98, commi 3 del Codice). Il motivo di tali previsioni è nella garanzia voluta dal Legislatore consistente nel fatto che, al momento del completamento della progettazione, siano già avanziate le pratiche relative alla disponibilità dei terreni sui quali si intende costruire l’opera pubblica, nonché quelle per il rilascio delle autorizzazioni obbligatorie. Il progetto preliminare deve consentire l’avvio della procedura espropriativa, quindi dovrà contenere tutti gli elementi necessari di esproprio per la successiva dichiarazione di pubblica utilità. All’uopo, va altresì indicato che l’approvazione del progetto definitivo da parte dell’amministrazione aggiudicatrice, equivale negli effetti giuridici alla dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori, anche se parte della dottrina ha individuato nel solo progetto preliminare il fondamento dell’avvio della procedura espropriativa fino ad occupare su quella base i terreni interessati. Il progetto esecutivo, nell’attuale significato, deve comprendere tutti gli aspetti che sono necessari per la realizzazione dell’opera5. I livelli di progettazione, secondo il rinvio al Regolamento d.p.r. 554/99 (che era operato dal comma 6 dell’art. 16 della legge Merloni), sono sottoposti a procedimento di verifica, che nel dettaglio viene descritto solo in relazione al progetto preliminare dall’art. 46 del d.p.r. 554/99; alla verifica si affianca il procedimento di validazione del pro5. Cfr. anche Cassazione 3 novembre 1981, n. 5786, 2 febbraio 1980, n. 736, 2 aprile 1977, n. 1245, 10 marzo, n. 692, 5 settembre 1970, n. 1225. 124 Capitolo III getto esecutivo (art. 47), ovvero un procedimento di controllo antecedente all’approvazione e svolto anch’esso in contraddittorio; l’oggetto di tale altro controllo è l’accertamento della conformità del progetto esecutivo alla legge, nonché al documento preliminare all’avvio della progettazione. L’art. 48 del Regolamento demanda le verifiche anzidette al responsabile del procedimento, il quale o provvede direttamente con il supporto tecnico dei propri uffici, ovvero si avvale — solo nei casi di accertata carenza di adeguata professionalità — del supporto degli organismi di controllo di cui all’art. 112 del Codice (in riferimento all’abrogato 30, comma 6 della legge Merloni, recepito icon modifiche a proposito delle scansioni temporali — devi commento all’art. 112). L’art. 49 del Regolamento, a completezza di questa fase finale dell’attività di progettazione, stabilisce che l’eventuale conferenza dei servizi si svolga dopo l’acquisizione di tutti i pareri tecnici necessari alla definizione di ogni aspetto del progetto. Terminato il procedimento di validazione e svolta la conferenza dei servizi potrà poi procedersi all’approvazione del progetto, “secondo i modi e i tempi stabiliti dal proprio ordinamento” (art. 49, c. 2 del d.p.r. 554/99). Dunque, come precisato dall’Autorità di Vigilanza sui Lavori Pubblici nella Determinazione 4/2001, Tutta l’attività di progettazione — che di per sé costituisce un vero e proprio procedimento amministrativo a forte valenza tecnica e contemporaneamente si pone, rispetto alla complessa procedura di realizzazione delle opere pubbliche, come sub–procedimento, a cui è preposto il responsabile del procedimento — deve necessariamente osservare un percorso predeterminato dal legislatore ed ogni fase di approfondimento presuppone che sia esaurita la precedente in un contesto logico e temporale progressivamente ben cadenzato, dove le scelte e decisioni assunte non possono essere smentite nel livello successivo, tranne la (residuale) possibilità di rivedere sulla base di precise ed obiettive esigenze le scelte compiute nella fase progettuale precedente. Si può dunque ora affermare che l’attività di progettazione dei lavori pubblici si articola in un sistema tripartito in un quadro tendenzialmente rigido in cui la discrezionalità dell’amministrazione è ben delimitata e le stesse scelte Le fasi della gara ad evidenza pubblica 125 tecniche progettuali si collocano in ambiti precisati e si snodano all’interno di un percorso normativo che il legislatore ha tracciato sia nell’art. 16 più volte citato che in sede di delegificazione con l’approvazione del regolamento generale di cui al d.p.r. 554/99, dedicando l’intero Capo II del Titolo III, artt. 15–49, in vigore dal 28 luglio 2000. Da questo inquadramento generale, che va dall’avvio della progettazione alla sua approvazione, è possibile notare come le norme relative non fissano i tempi procedurali minimi da rispettarsi uniformemente da parte di ciascuna amministrazione aggiudicatrice, ma rapporta le dettagliate fasi dell’iter ai tempi stabiliti dall’ordinamento proprio dell’amministrazione che procede. Si basano su quest’ultima caratteristica delle norme, le rationes di alcuni elementi di flessibilità che alcune leggi regionali hanno introdotto nell’attività di progettazione e che la stessa Autorità di Vigilanza ha di recente richiamato nella Determinazione n. 9 del 23 novembre 2005. Infatti, il fatto che non si possa individuare per ogni fase del complesso iter una “scaletta dei tempi minimi e generali”, ma solo l’individuazione delle fasi, dei compiti, dei criteri e dei contenuti, spiega il motivo, ad esempio, per il quale si sia posto il problema operativo di ammettere o meno la concentrazione in unica fase dei tre livelli di progettazione, atteso che la legge non prescrive la redazione di tre distinti progetti, bensì di un solo progetto che necessariamente passa attraverso gradi successivi di approfondimento: Tale riduzione non va intesa nel senso di una soppressione sic et simpliciter di uno o più livelli di progettazione quanto, piuttosto, nel senso di una unificazione di più livelli, qualora ciò sia ritenuto dal RUP necessario, utile o strettamente opportuno in relazione alla tipologia e/o alla dimensione dei lavori. Questo criterio della unificazione di un livello progettuale con quello successivo è stato implicitamente ribadito da questa Autorità anche nella successiva deliberazione n. 311 del 26 settembre 2001, nella quale, a proposito della verifica da parte del RUP dell’avvenuta acquisizione dei prescritti pareri in sede di progetto definitivo, è stato affermato che nel caso in cui l’attività di progettazione dalla preliminare è passata direttamente alla esecutiva, i prescritti pareri devono essere acquisiti in relazione al progetto esecutivo”. I 126 Capitolo III contenuti tipici del progetto definitivo vengono quindi assorbiti dal progetto esecutivo. Negli anni recenti il giudice amministrativo si è pronunciato più volte sull’argomento recependo generalmente l’orientamento dell’Autorità. Il TAR Lombardia Brescia, con sentenza del 22 marzo 2004, n. 229, ha constatato che costituisce prassi diffusa a livello amministrativo l’elaborazione congiunta del progetto definitivo ed esecutivo, che vengono predisposti in un’unica soluzione dal tecnico incaricato dall’amministrazione per essere poi fatti propri da quest’ultima con un’approvazione unico actu. Anche il TAR Puglia Bari sez. II, ha manifestato valutazioni simili con due recenti sentenze del 17 febbraio 2005, n. 594, e del 16 giugno 2005, n. 2919, nelle quali si afferma che “in presenza di lavori di non rilevante complessità deve ritenersi possibile il coagularsi in un unico atto dell’approvazione della progettazione di dettaglio (definitiva ed esecutiva), quando questa risulti integrare quella completa, complessa operazione tecnico–amministrativa finalizzata al massimo livello di approfondimento possibile, che consenta, in definitiva, la definizione e l’identificazione di ogni elemento progettuale in forma, tipologia, dimensione, prezzo, qualità, comprendendo tutti gli aspetti necessari per la realizzazione dell’opera in conformità con il progetto preliminare”. Va altresì considerato che l’attività di progettazione ed il progetto, che di essa ne è il risultato, assumono nell’ordinamento dei lavori pubblici un’importanza ed una centralità assolutamente primaria, sia che si tratti di lavori “ordinari” sia che si tratti di grandi infrastrutture. Il progetto, infatti, “comporta elevati riflessi sotto molteplici profili: influenza il contenuto del bando di gara, la qualificazione dei concorrenti, i soggetti affidatari dei servizi di ingegneria, i sistemi di realizzazione dei lavori pubblici, i sistemi di scelta del contraente, i criteri di aggiudicazione, la composizione dei seggi di gara e delle commissioni giudicatrici, le varianti, il contenzioso nella fase esecutiva, i piani di sicurezza, il subappalto” (A.V.LL.PP., Determinazione 9/2005). Pertanto, l’inizio dell’attività progettuale delle opere pubbliche coincide necessariamente con la redazione del documento preliminare alla progettazione (art. 15, commi 4 e 5, del d.p.r. 554/99) a cui segue prima il progetto preliminare, e — dopo l’inserimento dell’opera nell’elenco annuale delle opere programmate — la progettazione di Le fasi della gara ad evidenza pubblica 127 dettaglio (definitiva ed esecutiva), e la stessa attività di progettazione configura una complessa operazione tecnico–amministrativa finalizzata al massimo livello di approfondimento possibile, in modo che sia definito ed identificato ogni elemento progettuale in forma, tipologia, dimensione, prezzo, qualità; alla luce di ciò, la legge stabilisce che tranne che per i lavori di manutenzione e per gli scavi archeologici, tutte le opere pubbliche non possono avere inizio se non quando sia stato redatto il progetto esecutivo e non sia intervenuta l’approvazione da parte dell’amministrazione. Da ciò, in considerazione del tenore del disposto di cui all’art. 112, commi 1, 2 e 3 del Codice, discende il principio secondo cui il progetto esecutivo è condizione indispensabile per l’esecuzione lavori (era la previsione dell’abrogato art. 19, comma 5 bis, della legge 109/94). Dunque, in relazione alla tempistica delle fasi nell’intero iter procedimentale (definito da taluni un sub–procedimento del più ampio procedimento della realizzazione dei lavori), che va dall’avvio dell’attività di progettazione alla pubblicazione del relativo bando di gara per l’appalto di opere pubbliche, si possono ricavare due aspetti interpretativi mediante il combinato disposto fra l’art. 49, c. 2 del d.p.r. 554/99 e l’art. 112 del Codice. In particolare, da un lato la dipendenza dell’avvio della procedura ad evidenza pubblica per i lavori dall’approvazione del progetto; approvazione che, d’altra parte, va rapportata — per espressa previsione di legge — al procedimento disciplinato secondo i modi e i tempi stabiliti dall’ordinamento di ciascuna amministrazione aggiudicatrice. 3.3. Il diritto d’autore del progetto Un aspetto di particolare interesse, in tema di progettazione, riguarda la disciplina giuridica del diritto d’autore circa la paternità di un progetto. Il diritto d’autore disciplinato dagli artt. 2575 ss. cod. civ. e tutelato da una disciplina ad hoc contenuta nella l. 633/1941 e successive modificazioni e integrazioni, è il diritto riconosciuto al soggetto che ab- 128 Capitolo III bia realizzato un’opera dell’ingegno o dell’arte ad essere riconosciuto autore dell’opera o dell’invenzione (c.d. diritto morale o alla paternità dell’opera), nonché a trarre profitto dalla utilizzazione economica dell’opera o dell’invenzione (diritto patrimoniale), in via esclusiva. L’oggetto del diritto d’autore è individuato dall’articolo 2575 cod. civ. nelle opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono alle scienze, alla letteratura, alla musica, alle arti, all’architettura, al teatro e alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma d’espressione. Tale elencazione — solo esemplificativa e cioè non tassativa — sul piano normativo è integrata dall’art. 2 della l. 633/1941 e s.m.i. Sia dal dettato normativo dell’art. 2575, sia dal disposto dell’art. 1 della l. 633/1941 si evince che per essere considerata frutto dell’ingegno l’opera deve essere creativa (anche se in misura modesta) e quindi rivestire i caratteri della originalità e della novità. Ai fini della tutela normativa del diritto d’autore, l’opera dell’ingegno deve, dunque, essere il risultato di una attività intellettuale avente carattere creativo, nel senso che l’opera deve rappresentare un qualcosa di innovativo e non meramente ripetitivo rispetto alla realtà preesistente; occorre, cioè, che sia diversa (originale) e nuova (creativa) rispetto all’esistente. Tali caratteristiche, che conferiscono all’opera autonoma capacità distintiva rispetto a quelle preesistenti, integrano una condizione imprescindibile ai fini della tutela del diritto d’autore. Peraltro, “originalità” e “creatività” non devono intendersi in senso esclusivamente sostanziale (cioè con riferimento al solo contenuto, tema o argomento), ma possono riguardare anche la forma dell’esposizione del lavoro intellettuale. Dunque, solo la creazione intellettuale originale e creativa (non importa se nella forma o nel contenuto) è definibile come opere dell’ingegno tutelata dalla legge. L’opera di ingegno ha valore in sé e per sé, con la conseguenza che l’acquisito del diritto d’autore è automatico e incondizionato. Il titolo originario dell’acquisito del diritto è, infatti, costituito dalla stessa creazione dell’opera, quale particolare espressione del lavoro intellettuale (art. 6 l. 633/1941 e s.m.i.). Le fasi della gara ad evidenza pubblica 129 Il diritto morale, così definito, poiché non ha come oggetto diretto gli interessi patrimoniali dell’autore, mira a tutelare, in via immediata la personalità dell’autore stesso e l’attività in cui si materializza la sua attività creativa, il suo estro, il suo modo di essere. Il diritto morale d’autore rientra tra i diritti della personalità ed ha contenuto plurimo, cioè, si specifica in una serie di facoltà, tutte a contenuto non patrimoniale. Una prima specificazione del diritto morale è il diritto di inedito che è un’articolazione della libertà di manifestazione del pensiero garantita dall’art. 21 Cost., che comprende anche la libertà di non manifestarlo. In tal senso il diritto di inedito attribuisce all’autore la facoltà di decidere quando rendere pubblica la sua opera, ovvero di non pubblicarla affatto, in tutto o in parte. Anche se non tutta la dottrina è concorde sul punto, l’orientamento prevalente è pacifica nel ritenere che si tratti di un diritto afferente alla personalità dell’autore (cioè alla sua libertà morale, all’onore, alla reputazione e alla riservatezza) che deve essere tenuto distinto dal diritto di pubblicazione dell’opera, il quale riveste invece carattere spiccatamente patrimoniale. L’autonomia tra i due diritti in questione è evidente ove si consideri che il diritto di inedito non si estingue neppure dopo la cessione del diritto di pubblicazione. Il diritto alla paternità dell’opera, altra specificazione del diritto morale d’autore, tutela il primario interesse dell’autore ad essere riconosciuto come il titolare della proprietà intellettuale di una data creazione e, cioè, di essere pubblicamente riconosciuto e indicato come l’artefice e, all’inverso, che non gli venga attribuita un’opera diversa da quella da lui creata. L’individuazione del soggetto titolare della proprietà intellettuale dà la principale sostanza al contenuto morale del diritto d’autore, che assolve così alla funzione di assicurare la libertà creativa, artistica ed espressiva. Anche il diritto alla paternità dell’opera appartiene alla sfera della personalità dell’autore e perciò è autonomo rispetto ai diritti di utilizzazione economica e non si perde per effetto della cessione dei diritti a contenuto patrimoniale. Anche attraverso il diritto alla paternità dell’opera sono tutelati il diritto all’onore, alla reputazione artistica, al nome, alla identità personale. 130 Capitolo III L’usurpazione della paternità dell’opera costituisce plagio, contro il quale il vero autore può difendersi, ottenendo per via giudiziale, se del caso, la distruzione dell’opera dell’usurpatore, oltre al risarcimento dei danni. L’autore, ha peraltro, diritto a rivelare la propria paternità dell’opera anche ove questa sia stata pubblicata anonima o pseudonima. Peraltro, il diritto di paternità, in quanto diritto della personalità può essere invocato sempre, salvo che l’autore abbia firmato l’opera con uno pseudonimo o l’abbia pubblicata anonima (in tal caso, infatti, la paternità può essere rivendicata solo se preceduta dalla rivelazione della identità); dal carattere di diritto della personalità, discende il diritto di paternità è imprescrittibile, irrinunciabile, intrasferibile (artt. 2577, comma 2, 2582 comma 2, 2589 cod. civ.). Il diritto morale alla paternità dell’opera tutela, inoltre, anche l’interesse pubblico garantendo la collettività da ogni forma di inganno o confusione nella attribuzione della paternità intellettuale. Altra specificazione del diritto morale d’autore è il diritto all’integrità dell’opera e cioè il diritto ad essere giudicato dal pubblico per l’opera così come egli l’ha concepita. Anche questo diritto protegge dunque la reputazione e l’immagine dell’autore. In virtù del diritto all’integrità dell’opera, l’autore può opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione o altra modificazione, ed a ogni atto a danno dell’opera stessa, che possano essere di pregiudizio alla sua reputazione. Dunque, il contenuto morale del diritto d’autore si traduce nella capacità giuridica di difendere la propria personalità, che si manifesta attraverso l’opera della quale si è autori e con la quale si rendono pubbliche e riconoscibili convinzioni ed idee proprie, qualità e competenze culturali, tecniche, professionali e scientifiche. La manipolazione di un’opera compiuta da persone diverse dell’autore e da questi non autorizzate potrebbe alterare l’idea che ha originato l’opera, snaturandone i contenuti e, perciò, inevitabilmente, finirebbe per compromettere la libertà creativa ed espressiva dell’autore. Per tali ragioni, come accennato, l’autore, infatti, anche dopo la cessione dei diritti di sfruttamento economico, può rivendicare la paternità dell’opera e può opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione Le fasi della gara ad evidenza pubblica 131 o altra modificazione dell’opera stessa, che possa essere di pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione (art. 2577, comma 2, cod. civ.). Come accennato, sussiste in capo all’autore anche il diritto patrimoniale di autore o di inventore, ossia il diritto di utilizzazione economica dell’opera. Tale diritto è concepito come un vero e proprio diritto di proprietà, avente ad oggetto il bene immateriale ed implicante la facoltà di goderne e di disporne in modo esclusivo (art. 832 c.p.c.); in tale senso, si parla di “proprietà artistica”, di “proprietà letteraria”, di “proprietà industriale”, etc. A differenza del diritto morale, il diritto patrimoniale di autore o di inventore è trasferibile (art. 2581, 2589 cod. civ.) sia mortis causa sia per atti inter vivos e può formare oggetto di contratti che, dunque, ferma restando la titolarità del diritto morale, consentono a terzi (cessionari) lo sfruttamento dell’opera o dell’invenzione. Il contenuto del diritto patrimoniale d’autore è definito dall’art. 2577, comma 1, cod. civ. secondo il quale: «l’autore ha il diritto esclusivo di pubblicare l’opera e di utilizzarla economicamente in ogni forma e modo, nei limiti e per gli effetti fissati dalla legge». La legge 633/1941, agli artt. 12 ss. elenca le facoltà ricomprese nell’ambito del diritto patrimoniale d’autore riconducendole sostanzialmente alla pubblicazione, riproduzione e smercio dell’opera. La riproduzione ha contenuto molto ampio in relazione alla possibile varietà dei mezzi utilizzabili; la pubblicazione è implicita nella cessione dei diritti di sfruttamento e si trasferisce mortis causa salvo che l’autore abbia l’abbia vietata (rientrando, come accennato, nell’ambito del diritto morale, il c.d. diritto di inedito); lo smercio riguarda la facoltà di mettere in commercio l’opera mediante alienazione del mezzo che la incorpora. La stessa legge speciale prevede alcuni contratti tipici di trasferimento del diritto patrimoniale, come il contratto di edizione, quello di rappresentazione, con ciò, peraltro, non escludendo l’utilizzabilità degli schemi codicistici, quali la compravendita, la donazione ed il negozio gratuito. Alla trasferibilità del diritto patrimoniale consegue che diritto morale e diritto patrimoniale possono avere — come normalmente accade per lo opere dell’ingegno — titolari diversi. 132 Capitolo III Infatti, il diritto d’autore è un diritto di proprietà “immateriale”, ben distinto dal possesso (od anche dalla proprietà) del mero supporto (cartaceo, fisico, meccanico ect.), sul quale l’opera è fruibile. Il supporto in quanto tale è infatti di proprietà di chi lo acquista (avendone pagato il prezzo per supporto e diritti), ma il diritto d’autore continua a sussistere, perciò il proprietario del supporto non ha facoltà illimitata di utilizzo, bensì solo quelle facoltà di utilizzo che residuano dal diritto immateriale spettante all’autore ex lege. Come accennato, il diritto nasce al momento della creazione dell’opera, che il nostro codice civile identifica, un po’ cripticamente, in una particolare espressione del lavoro intellettuale. Ciò significa che il deposito e la registrazione dell’opera — da effettuarsi presso il Registro pubblico generale delle opere protette, la Presidenza del Consiglio dei Ministri (o per le opere cinematografiche presso il registro speciale tenuto a cura della SIAE) — non hanno funzione costitutiva del diritto d’autore, bensì, il deposito ha generiche funzioni di controllo, mentre la registrazione fa fede fino a prova contraria dell’avvenuta pubblicazione dell’opera e della paternità dell’autore. Infatti, secondo quanto previsto dall’art. 103 della l. 633/1941, «la registrazione fa fede sino a prova contraria dell’esistenza dell’opera e del fatto della sua pubblicazione. Gli autori e i produttori indicati nel registro sono reputati, sino a prova contraria, autori o produttori delle opere che sono loro attribuite…». Posto quanto sopra, con specifico riferimento al quesito sottoposto, vale sottolineare che il diritto d’autore è tutelato anche relativamente ai progetti di lavori di ingegneria. Come è noto, infatti, l’art. 2578 cod. civ., nell’ambito del titolo nono relativo ai diritti sulle opere dell’ingegno e sulle invenzioni industriali dispone “all’autore di progetti di lavori di ingegneria, o altri lavori analoghi, che costituiscano soluzioni originali di problemi tecnici, compete, oltre al diritto esclusivo di riproduzione dei piani e disegni dei progetti medesimi, il diritto ad un equo compenso a carico di coloro che realizzano il progetto tecnico a scopo di lucro senza il suo consenso. ”; di identico tenore è il comma 1 dell’art. 99 della legge 22 aprile 1941, n. 633, Le fasi della gara ad evidenza pubblica 133 e s.m.i., mentre il comma 2 della disposizione da ultimo menzionata dispone: «Per esercitare il diritto al compenso l’autore deve inserire sopra il piano o disegno una dichiarazione di riserva ed eseguire il deposito del piano o disegni presso il Ministero della cultura popolare». Il concetto di “progetti di ingegneria” e quello di “altri lavori analoghi” è di vastissima portata, ricoprendendo in esso qualsivoglia lavoro svolto nell’esercizio dell’attività professionale dell’ingegneria o di attività similari. La disciplina ex art. 99 della l. 633/1941, pur essendo contenuta nella legge speciale sul diritto d’autore delle opere dell’ingegno, prevede, sulla falsariga piuttosto delle regole in materia di brevetti per invenzioni e modelli, una protezione non solo della espressione formale della idea (diritto esclusivo di riproduzione dei piani e dei disegni), ma anche del contenuto di essa. Come per l’art. 2 del r.d. 1127/1939 Testo delle disposizioni legislative in materia di brevetti per invenzioni industriali si ha riguardo all’attuazione dell’invenzione, cioè allo sfruttamento del contenuto dell’idea inventiva, così nell’art. 99 della legge sul diritto d’autore (e nell’art. 2578 cod. civ. alla esecuzione) si ha riguardo alla realizzazione in concreto, cioè all’attuazione nel campo economico tecnico delle trasformazioni materiali, della soluzione di un problema tecnico. Vi è attribuzione all’autore di un diritto di esclusiva, ma alla violazione di tale diritto consegue l’unico effetto dell’azionabilità della pretesa ad un equo compenso nei confronti dell’attuatore dell’idea; ma è certo che comunque si ha protezione dell’aspetto contenutistico dell’idea. In linea con il parziale parallelismo tra protezione dell’idea inventiva e protezione dei progetti di lavori di ingegneria, è necessario — come è logico — che il progetto rappresenti un’idea originale rispetto ad un problema tecnico. Occorre, cioè che davvero l’autore del progetto avesse da risolvere degli autentici problemi tecnici, non delle semplici difficoltà superabili mediante accorgimenti già noti e diffusi nella pratica: che vi sia stato, dunque, da parte dell’autore un apporto di nuove idee destinate a risolvere problemi prima non risolti o a risolverli in modo diverso da quelli già noti. 134 Capitolo III Condizione necessaria affinché il progettista diventi titolare del diritto d’autore è, dunque, che il progetto costituisca una soluzione originale di problemi tecnici, ovvero presenti elementi di novità da un punto di vista tecnico–formale. La sussistenza di tali caratteristiche nel progetto attribuisce all’autore il diritto esclusivo di riproduzione dei disegni e dei piani da lui realizzati ed il diritto di impedire a terzi di moltiplicare in copia gli stessi, ma non anche quello di vietarne la realizzazione da parte di terzi. Nella sostanza, sia l’art. 2578 del codice civile, sia l’art. 99 della l. 633/1941 sembrano accordare all’autore di progetti di lavori di ingegneria o di altri lavori analoghi che costituiscono soluzioni originali di problemi tecnici una tutela per così dire “ridotta”, consistente nel solo diritto di ottenere un equo compenso da coloro che eseguono il progetto tecnico a scopo di lucro senza il suo consenso, ma non ha il diritto di opporsi all’esecuzione. La legge, peraltro, specifica che il diritto al compenso si acquista soltanto a seguito del deposito del piano o del disegno presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, accompagnato da una dichiarazione di riserva di tale diritto. Dalla mancata previsione di azioni giudiziarie mirate all’impedimento della realizzazione del progetto da parte di altri soggetti, ovvero, dall’insussistenza di strumenti “inibitori” e/o di tutela cautelare del diritto all’integrità dell’opera (progetto) e del diritto di inedito, come si evince dagli articoli 2578 cod. civ. e 99 della l. 633/194, alcuna giurisprudenza ha desunto che relativamente ai progetti di lavori di ingegneria non possa configurarsi il diritto morale d’autore, che, appunto — come già rilevato –, si sostanzia, tra l’altro, nel diritto di vietare a terzi la qualsiasi modificazione dell’opera stessa. Più precisamente, al riguardo la stessa giurisprudenza ha ritenuto che “i progetti di lavori d’ingegneria, anche quando costituiscono soluzioni originali di problemi tecnici, non possono mai essere oggetto del cosiddetto diritto morale d’autore. È possibile introdurre varianti Le fasi della gara ad evidenza pubblica 135 ai progetti di ingegneria anche senza l’intervento del progettista ed addirittura contro la sua volontà” (cfr. Trib. Milano 13 luglio 1993). Tale impostazione appare condivisibile solo in parte. L’art. 99 della l. 633/1941 e l’art. 2578 del cod. civ. non negano la sussistenza del diritto morale d’autore in capo al progettista di un’opera ingegneristica e, dunque, non escludono, in via assoluta, che in capo al progettista di lavori di ingegneria sussista il diritto di inedito, del diritto alla paternità ed alla integrità dell’opera ma, come accennato, accordano a tali diritti una forma di tutela ridotta rispetto a quella riferita alle altre opere dell’ingegno. Più precisamente, se è vero che la violazione dei suddetti diritti non può essere impedita attraverso uno specifico strumento inibitorio e cautelare — come, invece, previsto per le altre opere dell’ingegno –, a tale violazione è comunque ricondotto un effetto, per così dire, “sanzionatorio” nei confronti del soggetto, che, in contrasto con la volontà dell’autore del progetto e nel perseguimento di un fine di lucro, realizza il progetto appartenente alla proprietà intellettuale altrui. Alla stregua delle delineate considerazioni, si è, pertanto dell’avviso che il diritto morale d’autore ed in particolare il diritto al riconoscimento della paternità del progetto, volto a soddisfare il primario interesse di essere riconosciuto come il titolare della proprietà intellettuale di una determinata “creazione”, sussista anche in capo all’autore di un progetto di opere di ingegneria, nel quale siano prospettate “soluzioni originali di problemi tecnici”. D’altro canto, deve ritenersi che l’adempimento dell’onere del deposito del piano o del disegno presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, accompagnato da una dichiarazione di riserva di tale diritto, abbia, quale precipua funzione, proprio quella di identificare l’autore e di attestare in capo allo stesso la titolarità della proprietà intellettuale della “creazione” e, dunque, quella di consentire l’azionabilità della tutela (ridotta) prevista dall’art. 2578 del codice civile e dall’art. 99 della l. 633/1941, per l’ipotesi di realizzazione del progetto per scopo di lucro da parte di un terzo non autorizzato dall’autore. 136 Capitolo III 4. Il bando di gara Le norme relative ai bandi di gara, agli avvisi ed agli inviti sono contenute negli artt. 63–76 del d.lgs. 163/06. In particolare, va precisato che, in genere, le parti con cui si compone un bando di gara (c.d. lex specialis) sono gli elementi indicati dall’allegato IXA al Codice (lo stabilisce il comma 4 dell’art. 64), si segnalano soprattutto i seguenti: – – – – – – – – indicazioni della amministrazione aggiudicatrice; procedura di aggiudicazione prescelta; forma dell’appalto. Luogo di esecuzione; natura ed entità dell’appalto; termine ultimo per la realizzazione dell’appalto; ammissione o divieto di varianti; eventuali condizioni particolari; indicazioni particolari a seconda della procedura di scelta individuata (forme di partecipazione, cauzioni, tempi di presentazione requisiti e offerte)6; – criterio di aggiudicazione; – condizioni per sopralluoghi e per richiesta chiarimenti vari; 6. Ai sensi dell’art. 67, comma 2 del Codice, nelle procedure ristrette, nel dialogo competitivo, nelle procedure negoziate con pubblicazione di un bando di gara, l’invito a presentare le offerte, a negoziare, a partecipare al dialogo competitivo contiene, oltre agli elementi specificamente previsti da norme del presente codice, e a quelli ritenuti utili dalle stazioni appaltanti, quanto meno i seguenti elementi: a) gli estremi del bando di gara pubblicato; b) il termine per la ricezione delle offerte, l’indirizzo al quale esse devono essere trasmesse e la lingua o le lingue, diverse da quella italiana, in cui possono essere redatte, fermo restando l’obbligo di redazione in lingua italiana e il rispetto delle norme sul bilinguismo nella Provincia autonoma di Bolzano; c) in caso di dialogo competitivo, la data stabilita e l’indirizzo per l’inizio della fase di consultazione, nonché le lingue obbligatoria e facoltativa, con le modalità di cui alla lettera b) del presente comma; d) l’indicazione dei documenti eventualmente da allegare a sostegno delle dichiarazioni verificabili prescritte dal bando o dall’invito, e secondo le stesse modalità stabilite dagli articoli 39, 40, 41 e 42; e) i criteri di selezione dell’offerta, se non figurano nel bando di gara; f) in caso di offerta economicamente più vantaggiosa, la ponderazione relativa degli elementi oppure l’ordine decrescente di importanza, se non figurano già nel bando di gara, nel capitolato d’oneri o nel documento descrittivo. Le fasi della gara ad evidenza pubblica 137 – nome del responsabile del procedimento; – data di spedizione e pubblicazione. Come già indicato nella tabella riportata nel paragrafo 1 di questo capitolo, per gli appalti aventi importo sopra soglia comunitario, l’art. 70 detta le seguenti prescrizioni, relative alla procedura di scelta individuata dalla Stazione appaltante: – nel fissare i termini per la ricezione delle offerte e delle domande di partecipazione, le stazioni appaltanti tengono conto della complessità della prestazione oggetto del contratto e del tempo ordinariamente necessario per preparare le offerte, e in ogni caso rispettano i termini minimi stabiliti dall’art. 70 (criterio della proporzionalità); – nelle procedure aperte: il termine per la ricezione delle offerte non può essere inferiore a 52 giorni decorrenti dalla data di trasmissione del bando di gara; – nelle procedure ristrette, nelle procedure negoziate con pubblicazione di un bando di gara, e nel dialogo competitivo, il termine per la ricezione delle domande di partecipazione non può essere inferiore a 37 giorni decorrenti dalla data di trasmissione del bando di gara; Sempre nelle procedure ristrette, il termine per la ricezione delle offerte non può essere inferiore a 40 giorni dalla data di invio dell’invito a presentare le offerte; – nelle procedure negoziate, con o senza bando, e nel dialogo competitivo, il termine per la ricezione delle offerte viene stabilito dalle stazioni appaltanti nel rispetto del comma 1 e, ove non vi siano specifiche ragioni di urgenza, non può essere inferiore a 20 giorni dalla data di invio dell’invito; – in tutte le procedure, quando il contratto ha per oggetto anche la progettazione esecutiva (appalto integrato e appalto integrato misto, art. 53, c. 2 lett. b) e c)), il termine per la ricezione delle offerte non può essere inferiore a 60 giorni dalla data di trasmissione del bando di gara o di invio dell’invito; quando il contratto 138 Capitolo III ha per oggetto anche la progettazione definitiva, il termine per la ricezione delle offerte non può essere inferiore a 80 giorni con le medesime decorrenze; – se i bandi sono redatti e trasmessi per via elettronica secondo il formato e le modalità di trasmissione precisati nell’allegato X, punto 3, i termini minimi per la ricezione delle offerte, di cui ai commi 2 e 7, nelle procedure aperte, e il termine minimo per la ricezione delle domande di partecipazione di cui al comma 3, nelle procedure ristrette, nelle procedure negoziate e nel dialogo competitivo, possono essere ridotti di 7 giorni; – nelle procedure ristrette e nelle procedure negoziate con pubblicazione di un bando di gara, quando l’urgenza rende impossibile rispettare i termini minimi previsti dal presente articolo, le stazioni appaltanti, purché indichino nel bando di gara le ragioni dell’urgenza, possono stabilire: a) un termine per la ricezione delle domande di partecipazione, non inferiore a 15 giorni dalla data di pubblicazione del bando di gara sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, successiva alla trasmissione del bando alla Commissione; b)e, nelle procedure ristrette, un termine per la ricezione delle offerte non inferiore a 10 giorni, ovvero non inferiore a 30 giorni se l’offerta ha per oggetto anche il progetto esecutivo, decorrente dalla data di invio dell’invito a presentare offerte. Tale previsione non si applica al termine per la ricezione delle offerte, se queste hanno per oggetto anche il progetto definitivo. Per gli appalti aventi importo inferiore alla soglia comunitaria, operano le disposizioni dettate dall’art. 122 del Codice; in particolare: – il comma 4 dispone che i bandi e gli inviti non contengono le indicazioni che attengono ad obblighi di pubblicità e di comunicazione in ambito sopranazionale; Le fasi della gara ad evidenza pubblica 139 – i bandi relativi a contratti di importo pari o superiore a cinquecentomila euro sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana — serie speciale — relativa ai contratti pubblici, sul “profilo di committente” della stazione appaltante, e, non oltre due giorni lavorativi dopo, sul sito informatico del Ministero delle infrastrutture di cui al decreto del Ministro dei lavori pubblici 6 aprile 2001, n. 20 e sul sito informatico presso l’Osservatorio, con l’indicazione degli estremi di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Gli avvisi e i bandi sono altresì pubblicati, non oltre cinque giorni lavorativi dopo la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, per estratto, a scelta della stazione appaltante, su almeno uno dei principali quotidiani a diffusione nazionale e su almeno uno dei quotidiani a maggiore diffusione locale nel luogo ove si eseguono i lavori. I bandi e gli avvisi di cui al comma 3 relativi a contratti di importo inferiore a cinquecentomila euro sono pubblicati nell’albo pretorio del Comune ove si eseguono i lavori e nell’albo della stazione appaltante; gli effetti giuridici connessi alla pubblicazione decorrono dalla pubblicazione nell’albo pretorio del Comune; – ai termini di ricezione delle domande di partecipazione e delle offerte, si applicano le seguenti regole: a) nelle procedure aperte, il termine per la ricezione delle offerte, decorrente dalla pubblicazione del bando sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana per i contratti di importo pari o superiore a cinquecentomila euro, e dalla pubblicazione del bando nell’albo pretorio del Comune in cui si esegue il contratto per i contratti di importo inferiore a cinquecentomila euro non può essere inferiore a 26 giorni; b)nelle procedure ristrette, nelle procedure negoziate previa pubblicazione di un bando di gara, e nel dialogo competitivo, il termine per la ricezione delle domande di partecipazione, avente la decorrenza di cui alla lettera a), non può essere inferiore a 15 giorni; nelle procedure ristrette, il termine per la 140 Capitolo III ricezione delle offerte, decorrente dalla data di invio dell’invito, non può essere inferiore a 20 giorni; d) nelle procedure negoziate, con o senza bando, e nel dialogo competitivo, il termine per la ricezione delle offerte viene stabilito dalle stazioni appaltanti nel rispetto del comma 1 dell’articolo 70 e, ove non vi siano specifiche ragioni di urgenza, non può essere inferiore a 10 giorni dalla data di invio dell’invito; e) in tutte le procedure, quando il contratto ha per oggetto anche la progettazione esecutiva, il termine per la ricezione delle offerte non può essere inferiore a 40 giorni dalla data di pubblicazione del bando di gara o di invio dell’invito; quando il contratto ha per oggetto anche la progettazione definitiva, il termine per la ricezione delle offerte non può essere inferiore a 60 giorni con le medesime decorrenze; f) nelle procedure ristrette e nelle procedure negoziate con pubblicazione di un bando di gara, quando l’urgenza rende impossibile rispettare i termini minimi previsti dal presente articolo, le stazioni appaltanti, purché indichino nel bando di gara le ragioni dell’urgenza, possono stabilire un termine per la ricezione delle domande di partecipazione, non inferiore a 15 giorni dalla data di pubblicazione del bando di gara nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana; e, nelle procedure ristrette, un termine per la ricezione delle offerte non inferiore a dieci giorni, ovvero non inferiore a 30 giorni se l’offerta ha per oggetto anche il progetto esecutivo, decorrente dalla data di invio dell’invito a presentare offerte. Tale previsione non si applica al termine per la ricezione delle offerte, se queste hanno per oggetto anche la progettazione definitiva7. 7. Con la Comunicazione IP/08/2040 del 19 dicembre 2008 la Commissione dell’UE ha previsto la riduzione dei termini nelle procedure ristrette per gli anni 2009 e 2010. In particolare, la Commissione ha riconosciuto che il carattere eccezionale della situazione economica attuale può giustificare l’uso della procedura accelerata di ridurre notevolmente il tempo limite della procedura da 77 giorni a 30 giorni. Ha precisato, quindi, che tale presunzione di emergenza dovrebbe essere applicata a tutti i principali progetti pubblici durante gli anni 2009 e 2010. Pertanto, lo scenario procedurale dei tempi si compone nel seguente modo: Le fasi della gara ad evidenza pubblica 141 5. Le procedura di scelta del contraente: l’appalto concorso, appalto integrato e appalto integrato misto Come è noto, l’art. 53, commi 2 e 3 del Codice ha introdotto due nuove figure di appalto integrato, la cui applicabilità ancora di fatto è sospesa, pur se si continua ad apportare loro modifiche in preparazione dell’entrata in vigore. La prima delle due forme di appalto integrato è invero la classica figura dell’appalto integrato prevista dalla l. 109/94 s.m.i., ma, a differenza di quest’ultima, la novella già voluta dal Codice nella stesura del 1° luglio 2006 ha liberalizzato tale procedura. Attualmente, le limitazioni sono rimaste per gli appalti integrati con importo sotto la soglia comunitaria, secondo le previsioni contenute nell’art. 122, comma 1 (che ha efficacia dall’entrata in vigore del regolamento) del Codice modificato dal d.lgs. 113/07. La seconda delle due forma d’appalto integrato, che già dai primi tempi d’entrata in vigore del Codicie fu definita da una parte della dottrina “appalto integrato complesso”, consiste nella redazione dal parte della Stazione appaltante del progetto preliminare da porre a base di gara e nella presentazione come offerta da parte dei concorrenti del progetto definitivo (oltre ovviamente al prezzo): solamente l’aggiudicatario dovrà redigere il progetto esecutivo e quindi poi eseguire i lavori dell’appalto. Tale figura prevista nella lett. c) del comma 1 dell’art. 53 — che potremmo anche denominare “appalto integrato misto” — presenta delle somiglianze con la procedura di scelta denominata “appalto– concorso” (vigente fino all’entrata in vigore del regolamento ex art. 5 del Codice) prevista dalla legge Merloni; la differenza però è duplice: rispetto ad essa, il nuovo “appalto integrato misto” prevede che nella procedura ristretta accelerata, la Commissione ha ritenuto che le parti possano ridurre a 10 giorni (invece di 37) il termine per le domande di partecipazione, se il bando di gara è stato inviato in via elettronica (on–line), mentre il termine ultimo per la presentazione delle offerte dei candidati può essere ridotto a 10 giorni (invece di 40). Il periodo di sospensione, invece, può essere fissato a 10 giorni, per cui la durata della procedura ristretta può essere ridotta a complessivi 30 giorni. 142 Capitolo III l’offerta tecnica del concorrente in sede di gara consista nel progetto definitivo, non già nel progetto esecutivo come invece avveniva per l’appalto–concorso classico; inoltre, quale seconda incisiva differenza, per il nuovo “appalto integrato misto” non sono previste “ab ovo” le limitazioni o condizioni necessarie alla sua legittima utilizzabilità come procedura di scelta, le quali prescrizioni invece vigevano per l’appalto–concorso della legge 109/94 e s.m.i.8 Alla nuova previsione contenuta nella lett. c) del comma 2 dell’art. 53, il d.lgs. 113/07 ha aggiunto (con l’art. 1, comma 1 lett. c) due periodi in cui, da un lato, è previsto che l’offerta economica in sede di gara deve esprimere distintamente il corrispettivo richiesto per la progettazione definitiva, per la progettazione esecutiva e per l’esecuzione dei lavori. Quindi, in altri termini, la stazione appaltante dovrà indicare nel bando di gara anche il costo anche del progetto definitivo. D’altro lato, è ora previsto nel novellato comma 2 lett. c) che, in fase di valutazione delle offerte, quindi sia di quella economica sia di quella relativa al progetto definitivo presentato appunto in fase di gara, si debbano da parte della stazione appaltante assegnare ai pesi o punteggi dei fattori ponderali, che il regolamento ex art. 5 dovrà disciplinare; questo al fine di valorizzare la qualità, il pregio tecnico, le caratteristiche estetiche e funzionali e la caratteristiche ambientali, quest’ultime giustamente oggetto di particolare attenzione del Legislatore (cfr. anche art. 83 del Codice). Tale previsione consente da una parte di limitare in materia l’ampiezza della discrezionalità della stazione appaltante e d’altra parte di offrire uno standard elevato di qualità e valorizzazione già nell’offerta9. Tale obiettivo di valorizzazione sta alla base anche della nuova norma introdotta dal d.lgs. 113/07 inserendo appunto il comma 3–bis all’art. 53 del codice. 8. Sull’intero tema cfr. R. Mangani, Tipologie, l’appalto integrato diventa libero e senza vincoli, in »Edilizia e Territorio», Speciale codice appalti, 17/2006, pp. 57 e ss. 9. Vedi a tal proposito, R. Mangani, Con il nuovo appalto integrato va pagata anche la progettazione definitiva, in »Edilizia e Territorio», XII, 31, p. 2. Le fasi della gara ad evidenza pubblica 143 La disposizione in parola innanzitutto va riferita ad entrambe le tipologie di appalto di cui alle lettere b) e c) del comma 2; essa, con il prevedere che la stazione appaltante può indicare nel bando di gara le modalità per la corresponsione diretta al progettista della quota del compenso corrispondente agli oneri di progettazione (al netto del ribasso d’asta, previa approvazione del progetto e previa presentazione dei relativi documenti fiscali del progettista) nell’ipotesi in cui (ai sensi del comma 3) l’appaltatore si avvalga di uno o più soggetti qualificati alla realizzazione del progetto, ha inteso evitare un rischio. Infatti, nel prevedere il rapporto diretto fra stazione appaltante e progettista nei pagamenti dei corrispettivi immediati spettanti a quest’ultimo, con l’evidente esclusione dell’appaltatore dal rapporto, la norma sembra tutelare la qualità dei progetti evitando che l’appaltatore stesso, come affermato già da autorevole dottrina10, possa comunque incidere sulla riduzione a suo interesse del corrispettivo da riconoscere al progettista. Un ultima novità va segnalata: come per le gare di progettazione, anche per le due tipologie di appalto integrato di cui alle lett. b) e c) il ribasso sulle prestazioni progettuali è divenuto libero, per effetto dell’eliminazione dell’ultima parte del comma 3 dell’art. 53 operata dall’art. 2, comma 1 lett. n) del d.lgs. 113/07. Ma queste disposizioni, come già evidenziato, per gli appalti di lavori pubblici di qualsiasi importo, nei settori ordinari, entreranno in vigore per le procedure i cui bandi saranno pubblicati successivamente alla data di entrata in vigore del regolamento di cui all’articolo 5. Fino ad allora, si applicano per i lavori — quindi anche per quelli sotto soglia — nei settori ordinari (per i settori speciali, si ripete, le suddette disposizioni sono già in vigore da tempo) le norme dettate in tema di appalto integrato e di appalto–concorso dalla l. 109/94 e s.m.i. “in parte qua” ancora in vigore. Vista in materia la vigenza normativa transeunte che cesserà con l’entrata in vigore del nuovo regolamento, sembra opportuno riper10. R. Mangani, Con il nuovo appalto intergrato, op. cit. 144 Capitolo III correre la procedura dell’appalto integrato classico e le caratteristiche principali della disciplina intermedia circoscritta alla legge Merloni11. Prima della modifica apportata dall’art. 7, comma 1 della legge 166/2002, la disciplina prevedeva due distinte ipotesi in cui l’appalto integrato era consentito, cioè quando i lavori comprendevano una componente impiantistica e tecnologica superiore al 50% del valore dell’opera stessa e quando i lavori erano di manutenzione, restauro o consistevano in scavi archeologici. Per effetto dapprima dell’art. 1–octies, comma 1 lett. c) (che ha inserito il comma 1–ter all’art. 253 del Codice) e comma 2 della l. 228/06, ed attualmente dell’art. 1, comma 1 lett. t n. 4) del d.lgs. 113/07 (che ha inserito il comma 1–quinquies), la disposizione di riferimento è ancora (e fino all’entrata in vigore del regolamento ex art. 5) l’art. 19, commi 1 lett. b) e 1–ter della legge 109/94, come modificata dalla l. 166/2002. Ai sensi di tale ultimo articolo, l’appalto integrato ha ad oggetto sia l’esecuzione dei lavori che la progettazione esecutiva ed è stato ora esteso anche ad ulteriori ipotesi rispetto a quelle sopra richiamate; in particolare, il primo criterio adottato dal legislatore è stato quello strettamente economico, pertanto è ammesso oggi l’utilizzo dell’appalto integrato anche per i lavori di importo inferiore a 200.000 euro come pure per i lavori di importo pari o superiore a 10 milioni di euro. Inoltre, l’appalto integrato relativo ai lavori con elevata componente impiantistica e tecnologica è applicabile, a differenza della precedente disciplina, quando la soglia dell’incidenza di tali componenti rispetto al valore dell’opera sia superiore al 60%. Come noto, l’appalto integrato è un appalto misto di lavori e progettazione; quindi occorre tenere conto anche della disciplina relativa all’affidamento degli incarichi di progettazione, in quanto l’impresa aggiudicataria non ha solo l’obbligo di eseguire i lavori ma anche compiti di progettazione. 11. Cfr. in materia, Caringella, De Marzo, La nuova disciplina dei lavori pubblici, 2003. Le fasi della gara ad evidenza pubblica 145 In tale contesto, occorre precisare che il legislatore ha previsto nel nuovo comma 1–ter dell’art. 19 della legge che l’appaltatore, il quale «partecipa ad un appalto integrato di cui al comma 1 lett. b, deve possedere i requisiti progettuali previsti dal bando o deve avvalersi di un progettista qualificato alla realizzazione del progetto esecutivo individuato in sede di offerta o eventualmente associato». Naturalmente, l’affidamento della progettazione esecutiva all’appaltatore comporta l’assunzione di ulteriori responsabilità, così come lo stesso comma 1–ter sancisce: l’appaltatore risponde infatti anche dei ritardi e degli oneri conseguenti alla necessità di introdurre varianti in corso d’opera a causa di carenze nel progetto esecutivo. L’Autorità dei lavori pubblici con determinazione n. 27 del 16/10/2002 ha precisato che le stazioni appaltanti devono evitare che lo strumento contrattuale dell’appalto integrato, soprattutto sotto la soglia dei 200.000 euro, possa privilegiare le esigenze della realizzazione delle opere e delle imprese costruttrici rispetto a quelle esigenze che sono tutelate con la progettazione; in particolare, l’Autorità ha ritenuto che, in base al combinato disposto dell’art. 3, commi 2 ed 8 del d.p.r. 34/2000 e dell’art. 19, comma 1–ter della legge 109/94 e s.m.i., per partecipare ad un appalto integrato, qualunque sia l’importo, i concorrenti possono essere in possesso sia dell’attestazione di qualificazione per progettazione e costruzione, sia di quella per sola costruzione. Nel primo caso è necessario che la relativa classifica sia sufficiente a coprire la somma degli importi dei lavori, della sicurezza e della progettazione e che l’impresa concorrente sia in possesso dei requisiti ex art. 63, comma 1 lett. o) (nel caso in cui l’importo della spese di progettazione sia compreso tra 100.000 euro e la soglia comunitaria) oppure ex art. 66 (nel caso in cui l’importo delle spese di progettazione sia pari o superiore alla soglia comunitaria) del d.p.r. 554/99. Nel caso di possesso dell’attestazione della sola costruzione oppure del possesso dell’attestazione di progettazione e costruzione senza 146 Capitolo III però i requisiti suddetti, è necessario che la classifica posseduta sia sufficiente a coprire la somma degli importi dei lavori e della sicurezza, e che il concorrente indichi o associ un progettista, il quale deve possedere i requisiti di cui all’art. 63, comma 1 lett. o) oppure dell’art. 66 del d.p.r. 554/99. Alla luce di quanto sinora espresso, nulla quaestio circa possibilità di attuare la procedura di scelta mediante appalto integrato per lavori il cui importo sia inferiore alla soglia comunitaria; infatti, la stessa lettera della norma all’art. 19, comma 1 lett. b), della l. 109/94 e s.m.i., permette comunque il ricorso all’appalto integrato sia per i lavori di importo inferiore a 200.000 euro ovvero pari o superiore a 10 milioni di euro, indipendentemente dalla natura e tipologia; sia, per qualsiasi importo, relativamente ai lavori la cui componente impiantistica o tecnologica incida per più del 60% del valore dell’opera oppure siano lavori di manutenzione, restauro e scavi archeologici. Ciò significa che laddove l’importo dell’appalto sia maggiore di 200.000 euro e minore di 10 milioni di euro è necessario che ricorra la tipologia di lavori indicata ai numeri 2) o 3) dell’art. 19, c. 1 lett. b). Non più la linea ermeneutica ma la disciplina dettata dall’art. 83 del Codice (disposizione nata già a livello comunitario, soprattutto alla luce della sentenza C–247/02 del 2004, della Corte di Giustizia della CE) ha risolto positivamente l’applicabilità del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa anche per le fattispecie suddette dell’appalto integrato. 5. 1. La procedura negoziata Per effetto delle disposizioni contenute nei commi 1–ter, così come modificato dall’art. 1, comma 1 lett. t) n. 3) del d.lgs. 113/07, l’art. 56 e l’art. 57 sono entrati in vigore dal 1° agosto 2007 anche per gli appalti di lavori pubblici di qualsiasi importo, nei settori ordinari. (Vedi commento all’art. 253). Le fasi della gara ad evidenza pubblica 147 Prima di questa data, per effetto sia della l. 228/06 sia del d.lgs. 6/07 era rimasto in vigore per i lavori ordinari l’art. 24 della l. 109/94 e s.m.i. Pertanto, la trattativa privata era stata ritenuta applicabile nel periodo transitorio secondo il contenuto dell’art. 24; ma tale interpretazione sistematica non era stata univocamente accettata dalla dottrina, infatti era stato posto qualche dubbio di applicabilità dell’art. 24 della Merloni vista la sua diversità con le previsioni sulla procedura negoziata contenute nella Direttiva 2004/18/CE, che è direttamente applicabile. In altri termini, nel periodo complessivamente compreso tra il 13 luglio 2006 ed il 31 luglio 2007, una Stazione appaltante avrebbe dovuto seguire il contenuto dell’art. 24 della legge 109/94 e s.m.i. oppure avrebbe dovuto attenersi “immediatamente” alle previsioni della Direttiva 2004/18/CE, artt. 30 e 31? Da un lato, se si considerano come stringenti le regole della diretta applicabilità delle norme Comunitarie chiare, incondizionate e scadute, il dubbio sulla applicabilità dell’art. 24 della legge Merloni appariva più consistente. D’altra parte, però, va tenuto in debito conto che tale normativa nazionale (cioè l’art. 24 della l. 109/94 e s.m.i.) sembrava chiaramente tutelare in modo maggiore la concorrenzialità rispetto alle previsioni letterali (cioè non adattate in ambito nazionale, come necessario) della Direttiva 2004/18; il grado di garanzia della concorrenza poteva essere inteso in tale caso come criterio per modulare il principio della diretta applicabilità della normativa comunitaria. Si era finito per aderendo a quest’ultima linea ermeneutica per la quale il regime normativo rimane nel periodo transitorio era quello dell’art. 24 della legge 109/94 e s.m.i. Ciò detto, e tornando al Codice De Lise, l’entrata in vigore degli artt. 56 e 57 (efficacia rispettivamente operante per le procedure i cui bandi siano pubblicati dopo il 1° agosto 2007 – art. 56 — ovvero per le procedure in cui l’invito a presentare l’offerta sia inviato successivamente al 1° agosto 2007 – art. 57), è avvenuta con le modifiche operate dal II Decreto correttivo. 148 Capitolo III Il comma 1 dell’art. 56 ed il comma e dell’art. 57 (che più si avvicina alla tradizionale trattativa provata dell’art. 24 della legge Merloni) recepiscono, con qualche minima diversità, le ipotesi tassative indicate dalla Direttiva 2004/18 in presenza delle quali è possibile ricorrere a tale tipologia di procedura. Non v’è dubbio che tale normativa in genere s’innesta in un processo espansivo — sebbene sempre e giustamente rigoroso, limitato e tassativo — che si era avviato con la c.d. legge Merloni–quater del 2002. Infatti, pur rimanendo il principio della eccezionalità del suddetto sistema di scelta del contraente negli appalti di lavori pubblici, che era stato chiaramente ribadito dall’art. 20 della abrogata legge 109/94 e s.m.i., nel sistema normativo nato con le modifiche introdotte dalla l. 166/2002 all’articolo 24 della legge Quadro in materia di appalti di lavori pubblici, l’ambito di legittimità del ricorso al sistema di scelta del contraente mediante trattativa privata è stato notevolmente esteso, risultando possibile esperire la trattativa privata ogniqualvolta l’importo complessivo dell’appalto non superi i 100.000 euro e in questo caso a prescindere da particolari ragioni o presupposti. Il legislatore della Merloni–quater, con la disposizione in esame aveva inteso operare un ampliamento della possibilità di ricorrere all’istituto della trattativa privata, considerandola esperibile sempre e comunque laddove l’importo dei lavori da affidare sia inferiore a 100.000 euro; il tutto senza neanche fissare ulteriori presupposti o limiti, riconoscendo così alle stazione appaltanti massima discrezionalità sul punto. L’unico limite invalicabile era, quindi, quello economico, nel senso che affinché la trattativa privata fosse legittima era necessario e sufficiente che l’importo dei lavori fosse inferiore a 100.000 euro. Attualmente, la medesima disposizione relativa alla legittimità della procedura negoziata per appalti il cui importo sia inferiore a 100.000 euro è rimasta in modo identico nell’art. 122, comma 7 del d.lgs. 163/07: oltre ai casi di cui agli artt. 56 e 57, la procedura negoziata — sembra potersi dire senza previo bando di gara, fatta salva ovviamente la discrezionalità dell’amministrazione — è ammessa anche per lavori di importo complessivo non superiore a centomila euro. Le fasi della gara ad evidenza pubblica 149 È cambiata la disposizione di tale previsione, non più evidentemente inserita negli articoli 56 e 57, proprio perché riguarda — per via dell’importo degli appalti considerati — il Titolo II della Parte II del Codice, dedicata appunto ai contratti sotto la soglia comunitaria. Per le rimanenti ipotesi contemplate tassativamente dagli artt. 56 e 57 si riduce notevolmente il numero (ma aumenta il quantum) delle soglie di importo che caratterizzavano la precedente disciplina dell’art. 24; ma sussistono anche oggi le situazioni, in parte mutate, che sole consentono il ricorso alla procedura negoziata. Ciò detto e venendo, in breve, all’analisi degli artt. 56 e 57 a sèguito delle modifiche apportate dal d.lgs. 113/07, va precisato che, in particolare, nell’art. 56 della vecchia formulazione sono stati soppressi due casi di ricorso alla procedura, indicati nelle lettere b) e c) del comma 1. Vediamo, perciò, le caratteristiche principali della procedura negoziata previa pubblicazione di un bando di gara. Nella lett. a) del comma 1 dell’art. 56, la cui applicabilità è limitata esclusivamente per gli affidamenti di lavori il cui importo sia inferiore ad un milione di euro, il riferimento è alle offerte o ai requisiti degli offerenti presentati nella precedente procedura aperta o ristretta o di dialogo competitivo, i quali siano risultati irregolari ovvero inammissibili. Ferma restando una situazione pregressa di esperimento di una delle suddette procedure e di presentazione di requisiti e offerte irregolari ovvero inammissibili, il secondo periodo della lett. a) consente alla stazione appaltante di omettere la pubblicazione del bando di gara nell’ipotesi in se essa invitasse alla procedura negoziata successiva tutti i concorrenti in possesso dei requisiti previsti dagli artt. 34–45 e “che, nella procedura precedente, hanno presentato offerte rispondenti ai requisiti formali della procedura medesima”. Da tale assunto, dovrebbe concludersi che l’irregolarità o l’inammissibilità delle offerte e dei requisiti precedentemente presentati, per poter consentire alla stazione appaltante l’omissione della pubblicazione del bando, debba attenere il loro profilo sostanziale12. 12. Cfr., R. Mangani, Procedura negoziata, maglie più larghe rispetto alla Merloni, in »Edilizia e Territorio», n. 17/2006, pp. 34 e 35. 150 Capitolo III In altri termini, la prima parte della lett. a) sembra configurare un’ipotesi più ampia rispetto alla specificazione compiuta dalla seconda parte della lett. a), la quale si riferisce all’ipotesi in cui la stazione appaltante inviti alla procedura negoziata tutti i concorrenti in possesso dei requisiti indicati e che abbiano partecipato alla procedura precedente presentando offerte rispondenti ai requisiti formali della procedura medesima: in tal caso opererebbe la facoltà di omettere la pubblicazione del bando e l’inammissibilità o l’irregolarità delle offerte e dei requisiti allora presentati attenga il profilo sostanziali degli stessi. Un’ultima precisazione: oltre al limite d’importo fissato dalla lettera a) per esperire la procedura in oggetto, la stessa disposizione sancisce un altro limite: nella procedura negoziata non possono essere modificate in modo sostanziale le condizioni iniziali del contratto. Le seguenti lettere b) e c) del comma 1 dell’art. 56 sono state, come detto poc’anzi, soppresse dal d.lgs. 113/07. Rimane la lett. d) del comma 1, in cui è descritta l’ipotesi di lavori realizzati unicamente a scopo di ricerca, sperimentazione e messa a punto: la particolarità di tali lavori è quella di essere sciolti da logica redditizia o comunque di mercato, così come la stessa lett. d) indica chiaramente. Occorre, ora, analizzare il disposto contenuto nell’art. 57, che come già evidenziato, è quello che più richiama alla memoria la trattativa privata della legge Merloni. Dal comma 6 dell’art. 57 si possono ricavare tre importanti vincoli posti dalla normativa per tutti i casi ivi indicati (tranne ovviamente e già in via astratta quelli della lett. b) del comma 2): a) il primo, piuttosto ovvio, consiste nel fatto che la stazione appaltante individua gli operatori economici sulla base di informazioni riguardanti le caratteristiche di qualificazione dedotte dal mercato; b)il secondo consiste nell’evitare che la stazione appaltante tratti sempre con i medesimi soggetti, imponendo così la norma il criterio della rotazione, che si unisce a quelli della trasparenza e della concorrenza; Le fasi della gara ad evidenza pubblica 151 c) il terzo riguarda il numero dei soggetti minimi da invitare: almeno tre, sempre che sussista un tal numero di operatori economici idonei. Tutto il comma 6, però, è animato da una relativizzazione di tali condizioni poste: infatti, a ben osservare, il tenore letterale del comma è basato sul “dovere” di rispettare i tre limiti ove ciò sia “possibile”. In altri termini, il ricorso a questa procedura dovrà necessariamente, a pena di illegittimità della scelta, essere spiegato e storicizzato esaurientemente e coerentemente dalla stazione appaltante nella motivazione del provvedimento, in cui manifesti l’attuazione della sua discrezionalità tutta innervata appunto nella relatività delle tre condizioni poste dal legislatore nel comma 6 dell’art. 57. Sempre il comma 6 individua altri doveri, stavolta non derogabili mai, da rispettare nella procedura: contemporaneità degli inviti a presentare l’offerta; per la scelta dell’affidatario, l’utilizzabilità sia del criterio del prezzo più basso sia dell’offerta economicamente più vantaggiosa. In breve, analizziamo alcune caratteristiche delle ipotesi che consentono il ricorso a tale procedura e contenute nel comma 2 dell’art. 57. La lettera a) fissa le medesime due limitazioni già viste nella lettera a), comma 1 dell’art. 56: il limite dell’importo (solo se inferiore a un milione di euro) ed il divieto di modificazione delle condizioni iniziali del contratto durante la procedura. L’ipotesi in essa prevista è quella in cui, in esito all’esperimento di una procedura aperta o ristretta, non siano state presentate offerte (c.d. gara andata deserta) ovvero nessuna offerta appropriata. Va comunque evidenziato che il concetto di offerta “non appropriata” sembra circoscrivere la sua portata alla sostanza dell’offerta stessa, a prescindere quindi dal suo profilo di rispondenza sul piano formale13, sembra una soluzione simmetricamente opposta a quella della lett. a comma 1 dell’art. 56. 13. Cfr. R. Mangani, La procedura, op. cit., p. 36. Sembra una soluzione simmetricamente opposta a quella della lett. a. 152 Capitolo III La lettera b) ovviamente osta intrinsecamente e quindi già per natura della fattispecie qui posta con l’obbligo di procedere alla selezione di almeno tre operatori economici. Da tale ipotesti va tenuta completamente distinta e non confusa la situazione, ben diversa, prevista invece dall’art. 68 del Codice, relativamente alle specifiche tecniche, le quali riguardano il bando di gara e la documentazione del contratto. Infatti, è da escludersi la sussistenza dei presupposti per procedere mediante affidamento diretto quando vi sia margine esclusivamente per una gara ad evidenza pubblica sulla base del fatto che, normativamente, v’è la previsione contenuta nell’art. 68, comma 13 (il quale richiama i commi 3 e 4 dello stesso articolo) del d.lgs. 163/06 L’art. 68 del citato decreto legislativo — che è applicabile soprasoglia ma anche per i contratti sotto soglia comunitaria14 — riguarda le specifiche tecniche, le quali attengono al contenuto ed alle modalità di redazione degli atti di gara; il comma 13 prevede in particolare la possibilità della menzione delle specifiche tecniche — in via d’eccezione — nel caso in cui la descrizione precisa non sia possibile sulla base di quanto detto nei commi 3 e 4 dello stesso articolo ed a condizione che venga utilizzata l’espressione “o equivalenti”. La lettera c) del comma 2 dell’art. 57 riguarda l’ipotesi classica della c.d. estrema urgenza; essa deve risultare da eventi imprevedibili e non imputabili alla stazione appaltante, per cui risulterebbe incompatibile quell’urgenza con i termini imposte per le altre procedure. Nell’art. 24 della l. 109/94 e s.m.i. era previsto che affinché la trattativa privata fosse legittima era necessario e sufficiente che l’importo dei lavori fosse inferiore a 100.000 euro (come attualmente è sancito nell’art. 122, comma 7 del Codice), mentre per importi di lavori superiori a tale cifra (e inferiori a 300.000 euro) era imprescindibile il rispetto dei presupposti tassativamente indicati dall’art. 41 del r.d. 827/1924. pertanto, vigeva nell’ar. t 24 della Merloni un generico rin- 14. Cfr. Circ. del Dipartimento per le Politiche Comunitarie datata 29/4/2004, in GU 12/7/2004 “Principi da applicare, da parte delle stazioni appaltanti, nell’indicazione delle specifiche tecniche degli appalti pubblici di forniture sotto soglia comunitaria”. Le fasi della gara ad evidenza pubblica 153 vio all’ar. 41 del r.d. 827. infatti, secondo l’art. 41, comma 1, n. 5), il ricorso alla trattativa privata è consentito “quando l’urgenza dei lavori …sia tale da non consentire l’indugio degli incanti o della licitazione”; mentre, ancor più in generale, secondo l’art. 41, comma 1, n. 6) può precedersi all’affidamento diretto «in genere in ogni altro caso in cui speciali ed eccezionali circostanze per le quali non possano essere utilmente seguite le forme degli artt. da 37 a 40 del presente regolamento» (si tratta delle cosiddette ipotesi di “prestatore determinato”, in cui cioè l’amministrazione non può che stipulare con un soggetto ad hoc, ipotesi che oltretutto specificano l’ambito di operatività del disposto generale di cui all’art. 6 della legge di contabilità (r.d. 18. 11. 1923, n. 2440) secondo il quale «qualora, per speciali ed eccezionali circostanze, che dovranno risultare dal decreto di approvazione del contratto, non possano esser utilmente seguite le forme indicate negli artt. 3 e 4, il contratto potrà essere concluso a trattativa privata». Secondo buona parte della dottrina, ricorreva tale ipotesi non soltanto nei casi di oggettiva impossibilità di esperimento di gara, ma anche quando della gara stessa non appaia la convenienza, non avendo altrimenti senso il termine “utilmente” utilizzato dal legislatore. A detta di tale dottrina, giustificavano il ricorso alla trattativa privata ad esempio: l’opportunità di evitare la coesistenza di due ditte sul medesimo luogo di lavoro o di eliminare interferenze con altre ditte; la indifferibilità degli interventi; l’indissociabilità degli ulteriori interventi rispetto a quelli di contratto; il vantaggio di assicurarsi la collaborazione della ditta per lo studio del progetto o delle varianti tecniche da apportarsi durante l’esecuzione dell’intervento e, in genere, l’irrinunciabile vantaggio dell’Amministrazione, e così via dicendo, data l’ampiezza della formula usata dal legislatore. Dunque, “le speciali ed eccezionali circostanze” potevano consistere anche in ragioni di opportunità serie e motivate, obiettivamente sussistenti. La riprova di ciò sembrava potersi dedurre dalla sentenza del TAR Lazio, (sez. I, 13. 2. 1993, n. 233) secondo cui «a norma dell’art. 41, r.d. 23. 5. 1924, n. 827, la trattativa privata è consentita soltanto in particolari situazioni specificate dalla norma medesima ovvero per 154 Capitolo III ragioni di urgenza o quando ricorrano speciali ed eccezionali circostanze»). Riguardo al n. 5 dell’art. 41 del r.d. 827/24, secondo la giurisprudenza, al fine di giustificare appunto il ricorso alla trattativa privata ex art. 41, n. 5, l’urgenza deve essere tale da potersi fondatamente ritenere che il rinvio dell’intervento per il tempo necessario allo svolgimento della gara comprometterebbe la tempestività dell’intervento stesso (Corte dei Conti, sez. contr. dello Stato, 23. 1. 1986, n. 1625 e 5. 12. 1985, n. 1604), deve inoltre essere caratterizzata dall’imprevedibilità dell’evento (Corte dei Conti, sez. contr. dello Stato, 3. 8. 1996, n. 117) e non deve derivare da ritardo imputabile all’amministrazione (Cons. Stato, V, 26. 6. 1996, n. 802; Corte dei Conti, sez. contr. dello Stato, 17. 3. 1993, n. 33). Pertanto, l’ipotesi in cui si pote(va) ricorrere alla trattativa privata prevista al punto 5 dell’art. 41, lascia(va) all’amministrazione un largo margine di discrezionalità, ma l’urgenza deve essere convenientemente dimostrata, deve essere imprevista e di carattere oggettivo. Sulla base di queste considerazioni, l’art. 57, comma 2 lett. c) recepisce le quattro caratteristiche dell’urgenza: estrema, imprevedibile, non imputabile alla stazione appaltante, tale da non essere compatibile con le altre procedure aperte o ristretta o dell’art. 56. D’altra parte, come maggiore apertura dell’ipotesi di ricorso della stessa, il legislatore del Codice ha qui tolto ogni limite di importo, cadendo dunque il riferimento per i soli lavori di importo inferiore a 300mila euro. Rimane fermo che, come per ogni altra ipotesi, l’affidamento mediante procedura negoziata deve essere adeguatamente motivato; la stessa giurisprudenza ha evidenziato — con riferimento logicamente all’allora art. 24, comma 1 lett. a) dell’abrogata legge Merloni — l’insindacabilità di tale scelta: “in materia di contratti della p.a. è insindacabile — in sede di legittimità — la scelta del sistema della trattativa privata, purché sia data motivazione della ricorrenza di una delle ipotesi che ai sensi dell’art. 41 r.d. 827/1924 giustificano la scelta medesima” (TAR Sicilia, sez. I, 31. 5. 1989, n. 425). Le fasi della gara ad evidenza pubblica 155 Infine, è da precisare che, come già s’è detto in precedenza, la legge 201/0815 ha inserito nell’art. 122 il comma 7–bis, nel quale si è disposto che I lavori di importo complessivo pari o superiore a 100.000 euro e inferiore a 500.000 euro possono essere affidati dalle stazioni appaltanti, a cura del responsabile del procedimento, nel rispetto dei principi di non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza, e secondo la procedura prevista dall’articolo 57, comma 6; l’invito è rivolto ad almeno cinque soggetti, se sussistono aspiranti idonei in tale numero. 6. I criteri di aggiudicazione 6.1. Il prezzo più basso: la soglia di anomalia e la verifica di congruità Nell’art. 81 del Codice viene prescritto che nei contratti pubblici la migliore offerta è selezionata con il criterio del prezzo più basso o con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Logicamente, le stazioni appaltanti scelgono tra i due suddetti criteri quello più adeguato in relazione alle caratteristiche dell’oggetto del contratto, e indicano nel bando di gara quale dei due criteri di cui al comma 1 sarà applicato per selezionare la migliore offerta. L’art. 86, comma 1 detta precise regole per calcolare la c.d. soglia di anomalia: infatti, non tutti i ribassi offerti sono ex se legittimi; più un’offerta è bassa e più sale il sospetto che possa esserci qualche meccanismo illegittimo e/o illecito che l’abbia determinata. Verificare se vi siano o meno tali illegittimità e/o illiceità è preciso dovere della stazione appaltante, la quale pertanto fisserà, mediante il calcolo che fra breve verrà indicato, la soglia al di sopra della quale eseguirà le opportune analisi (c.d. verifica di congruità dell’offerta anormalmente bassa), per poi procedere all’aggiudicazione provvisoria. 15. Con l’articolo 1, comma 10–quinquies. 156 Capitolo III Nell’art. 86, comma 1, pertanto, viene stabilito che quando il criterio di aggiudicazione è quello del prezzo più basso, le stazioni appaltanti valutano la congruità delle offerte che presentano un ribasso pari o superiore alla media aritmetica dei ribassi percentuali di tutte le offerte ammesse, con esclusione del dieci per cento, arrotondato all’unità superiore, rispettivamente delle offerte di maggior ribasso e di quelle di minor ribasso, incrementata dello scarto medio aritmetico dei ribassi percentuali che superano la predetta media. Dunque (tenendo presente che il ribasso è espresso in percentuale): – si calcola il 10% del numero delle offerte ammesse, e lo si arrotonda all’unità superiore (es. 32 offerte ammesse: 3,2 è il 10%, arrotondato a 4); – si escludono dal calcolo le quattro offerte che hanno presentato un ribasso più basso e le quattro offerte che ne hanno presentato uno più alto (rimanendo così nel calcolo 32 – 8 (4 + 4) = 14 ribassi offerti); – delle offerte rimaste si calcola la media aritmetica; – dei ribassi i cui scarti siano superiori alla media aritmetica ottenuta, viene calcolata autonoma media aritmetica (es. media di tutti i ribassi pari a 15; dei ribassi singoli che superino tale percentuale — es. 16, 17, 18 — a loro volta si calcola la media aritmetica: 1 + 2 + 3 = 2); – si sommano le due medie aritmetiche calcolate (es. 15 + 2) ottenendo così la soglia di anomalia (= 17%). Dopo aver calcolato la soglia di anomalia, si applica il procedimento descritto negli artt. 87 e 88 del Codice. In particolare, quando un’offerta appaia anormalmente bassa, la stazione appaltante richiede all’offerente le giustificazioni ritenute pertinenti in merito agli elementi costitutivi dell’offerta medesima. All’esclusione potrà provvedersi solo all’esito dell’ulteriore verifica, in contraddittorio. Va ancora detto che, ai sensi dell’art. 87 comma 2, le giustificazioni possono riguardare, a titolo esemplificativo: Le fasi della gara ad evidenza pubblica 157 a) l’economia del procedimento di costruzione, del processo di fabbricazione, del metodo di prestazione del servizio; b)le soluzioni tecniche adottate; c) le condizioni eccezionalmente favorevoli di cui dispone l’offerente per eseguire i lavori, per fornire i prodotti, o per prestare i servizi; d)l’originalità del progetto, dei lavori, delle forniture, dei servizi offerti; e) l’eventualità che l’offerente ottenga un aiuto di Stato; f) il costo del lavoro come determinato periodicamente in apposite tabelle dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sulla base dei valori economici previsti dalla contrattazione collettiva stipulata dai sindacati comparativamente più rappresentativi, delle norme in materia previdenziale e assistenziale, dei diversi settori merceologici e delle differenti aree territoriali; in mancanza di contratto collettivo applicabile, il costo del lavoro è determinato in relazione al contratto collettivo del settore merceologico più vicino a quello preso in considerazione. La procedura è indicata dall’art. 88 del Codice. Per quanto riguarda gli appalti aventi importo sotto la soglia comunitaria, vogono le seguenti prescrizioni che sono state da ultimo modificate dal d.lgs. 152/08; in particolare, se con la vigenza della legge Merloni si procedeva obbligatoriamente all’escluzione automatica delle offerte anormalmente basse (sempre per gli appalti sotto soglia comunitaria), con il Codice De Lise vige attualmente la prescrizione (art. 122, comma 9; parallelo per i servizi e le forniture, con altra indicazione di importo, ex art. 124, comma 8), secondo cui per lavori d’importo inferiore o pari a 1 milione di euro quando il criterio di aggiudicazione è quello del prezzo più basso, la stazione appaltante può prevedere nel bando l’esclusione automatica dalla gara delle offerte che presentano una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia individuata ai sensi dell’articolo 86; in tal caso non si applica l’articolo 87, comma 1. Comunque la facoltà di esclusione 158 Capitolo III automatica non è esercitabile quando il numero delle offerte ammesse è inferiore a dieci; in tal caso si applica l’articolo 86, comma 3. Tre importanti precisazioni: a) l’art. 86, comma 3–ter: il costo relativo alla sicurezza non può essere comunque soggetto a ribasso d’asta; b)stabilisce il comma 4 dell’art. 86 che il calcolo della soglia di anomalia non si applica quando il numero delle offerte ammesse sia inferiore a cinque. In tal caso le stazioni appaltanti procedono ai sensi del comma 3; c) ai sensi del comma 3 dell’art. 86, in ogni caso le stazioni appaltanti possono valutare la congruità di ogni altra offerta che, in base ad elementi specifici, appaia anormalmente bassa. 6.2. Il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa Le grandi novità dell’articolo sono: la possibilità per la stazione appaltante di prevedere tale criterio di valutazione dell’offerta migliore senza le limitazioni prima esistenti (art. 21, comma 1–ter della l. 109/94 e s.m.i.); rispetto l’art. 21, comma 2 della legge Merloni e dei corrispondenti articoli per le altre tipologie di appalto (vedi il d.lgs. 158/95), il comma 1 dell’art. 83 del Codice raccoglie gli elementi di valutazione, espressi a titolo indicativo, ed aggiunge le caratteristiche ambientali; il comma 3 dell’art. 83, recependo le indicazioni dell’art. 53 della Direttiva 18, precisa l’applicazione solo in via subordinata si applica il criterio dell’indicazione nel bando dell’ordine decrescente di importanza dei criteri; il comma 4 sancisce quello che prevedeva l’art. 91, comma 2 del d.p.r. 554/99, precisando a differenza che tale ulteriore indicazione avviene “se necessario”. La limitazione del comma 4 nasce verosimilmente sulla base della sentenza di condanna per l’Italia pronunciata dalla Corte di Giustizia CE su rinvio pregiudiziale del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 5033/2004. Le fasi della gara ad evidenza pubblica 159 A tal proposito il comma 5 contiene un rinvio all’emanando regolamento per la disciplina di dettaglio circa l’attuazione della ponderazione del punteggio a ciascun elemento dell’offerta. La più celebre novità della normativa ex art. 83 è quella di aver recepito sia la direttiva 18 (art. 53) sia l’indirizzo giurisprudenziale della Corte di Giustizia CE, specie nella Causa C–247/02. Ecco in breve gli aspetti giuridici di base16. Innanzitutto, occorre evidenziare che, nel sistema previdente, una delle innovazioni della legge Merloni è stata quella di aver introdotto (sebbene con particolari limitazioni) il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa anche per gli appalti sotto soglia comunitaria. Prima della l. 166/2002 l’utilizzo di tale criterio d’aggiudicazione era ammesso solo per le concessioni e per l’appalto–concorso, cioè per quelle procedure in cui risulta indispensabile l’apporto progettuale dei concorrenti, quale che fosse l’importo dei lavori. Con la Merloni–ter e la Merloni–quater il quadro era stato ulteriormente modificato ed ampliato; in particolare, la l. 415/98 aveva reso non tassativo l’elenco degli elementi di valutazione, mentre la l. 166/02 aveva ampliato la possibilità di utilizzo del criterio in oggetto. In particolare, ai sensi dell’attuale art. 21 della legge Quadro, comma 1–ter, aveva consentito l’utilizzo del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa anche per il pubblico incanto e per la licitazione privata, al ricorrere però dei seguenti presupposti: a) che si trattasse di appalti di importo superiore alla soglia comunitaria; b) che si trattasse di appalti in cui, per la prevalenza della componente tecnologica o per la particolare rilevanza tecnica delle possibili soluzioni progettuali, si ritenesse che la progettazione avrebbe potuto essere utilmente migliorata con integrazioni tecniche proposte dall’appaltatore. 16. Quanto segue è trattato da V. Capuzza, Profili giuridici su: la Commissione giudicatrice nell’appalto–concorso; il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Applicabilità all’asta pubblica ed alla licitazione privata alla luce della Sentenza della corte di giustizia CE C–247/02, collana Quaderni IGOP, n. 02, 2005. 160 Capitolo III Per le procedure di scelta mediante pubblico incanto o licitazione privata aventi i suddetti connotati, tale criterio di aggiudicazione rimaneva facoltativo in luogo di quello del prezzo più basso. In questi casi, inoltre, gli elementi da tenere da conto per la valutazione erano quelli espressi nell’art. 21, comma 2, cioè gli stessi elementi richiesti per le concessioni e per l’appalto–concorso. La dottrina, sempre in ordine all’ambito applicativo del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, aveva ritenuto che lo stesso doveva essere utilizzato anche nell’appalto integrato, anche se la legge Merloni non stabiliva nulla sul punto; la ragione di tale interpretazione dottrinale risiedeva nel fatto che nell’appalto integrato il concorrente assume anche l’incarico della progettazione esecutiva. La determinazione dei coefficienti per le voci indicate era lasciata (come attualmente rimane) alla discrezionalità dell’Amministrazione che indice la gara, in relazione ai lavori da eseguire. In questo caso, dunque, la ratio del Legislatore è quella di rendere insussistente il riconoscimento della necessaria prevalenza da attribuirsi all’elemento prezzo, privilegiando anche altre voci (tempo, valore tecnico, ecc.) e con esse la discrezionalità della P.A. L’aggiudicazione perciò non verrà determinata esclusivamente dal prezzo. Come detto, nell’aggiudicazione degli appalti mediante il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa alcuni degli elementi elencati hanno natura quantitativa (ad esempio, prezzo, tempo, impegno in materia di pezzi di ricambio), altri natura qualitativa (ad esempio, valore tecnico, valore estetico e funzionale), comportando per questi ultimi una problematica consistente nell’attribuire indici numerici alla qualità stessa; a tal proposito, va specificato altresì che la previa esplicitazione gerarchica degli elementi di valutazione da effettuarsi nel bando o nel capitolato d’oneri, pur dovendo palesare un’articolazione sufficiente a mostrare la volontà dell’amministrazione appaltante, non pare sia assoggettabile a particolari oneri di motivazione, in considerazione dell’amplissimo carattere discrezionale della stessa P.A. procedente. Le fasi della gara ad evidenza pubblica 161 In tal senso, è stato chiarito in giurisprudenza che in tema di contratti della p.a., allorché questa segua la procedura di scelta del contraente dell’offerta economicamente più vantaggiosa, il mero punteggio numerico (stabilito tra un minimo ed un massimo dati) può essere inteso come una sufficiente motivazione dei suoi apprezzamenti solo quando i criteri di valutazione prefissati erano adeguatamente dettagliati17, ed ancora che L’indicazione generica — contenuta nel bando di gara […] — di una pluralità di elementi in base ai quali individuare l’offerta economicamente più vantaggiosa, priva dei criteri di valutazione degli stessi secondo una scala di valori indicativa di un loro ordine di importanza, rende illegittima “ab origine” la disciplina di gara e, in via derivata, l’operato della commissione che, sopperendo in sede di gara alle lacune del bando, abbia proceduto alla gradazione dei fattori di valutazione, all’individuazione del punteggio massimo riconoscibile e alla suddivisione e distribuzione di quest’ultimo tra gli elementi fissati nel bando, con ciò effettuando scelte discrezionali di esclusiva pertinenza dell’amministrazione18. Inoltre, è stato chiarito dalla giurisprudenza, pressoché uniforme, che il criterio di aggiudicazione fondato sull’offerta economicamente più vantaggiosa (introdotto nell’ordinamento italiano dalla l. 584/1977 in ossequio alla direttiva della CEE n. 305/1971) si differenzia dagli altri utilizzati nella licitazione privata — ante Sentenza C–247/CE della Corte di Giustizia CE — (cioè massimo ribasso, offerta prezzi, media mediata, ecc.), proprio perché postula una maggiore discrezionalità in capo all’amministrazione; infatti l’aggiudicazione ha luogo non solo in ragione dell’offerta economica prodotta dal concorrente bensì in base alla considerazione congiunta di una pluralità di elementi di valutazione (ad es. valore tecnico dell’opera, tempo di esecuzione, prezzo complessivo, ecc.) che l’amministrazione deve specificare in sede di bando di gara indicandoli in ordine decrescente di importanza 17. Cfr. TAR Lombardia, 22/12/2003, n. 1783. 18. Cfr. TAR Lazio, 6/2/2004, n. 36. 162 Capitolo III disciplinando, poi, attraverso la lettera di invito, i criteri di attribuzione del punteggio relativo a ciascun elemento di valutazione)19. Ovviamente, non garantire mediante la formula applicativa quei criteri di attribuzione del punteggio, significa che di fatto l’amministrazione non ha esercitato correttamente il potere attribuitole e quindi ha determinato un atto illegittimo perché viziato da eccesso di potere e da violazione di legge. La sentenza della Corte di Giustizia della CE del 2004, C–247/02 ha interloquito sulla compatibilità della disciplina italiana della legge Merloni con il diritto comunitario, specie con l’art. 30 della Direttiva 93/37/CEE in tema di coordinamento delle procedure degli appalti pubblici di lavori. A tal riguardo giova ricordare che per il coordinamento delle procedure d’aggiudicazione di appalti pubblici di lavori, servizi, forniture è stata emanata la direttiva 2004/18/CE per la quale le legge Comunitaria 2004 ha delegato il Governo ad emanare uno o più Decreti Legislativi d’adeguamento. Nella Sentenza citata, i giudici della Corte di Giustizia (Seconda Sezione) hanno dichiarato che L’art. 30, n. 1, della direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/37/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici, dev’essere interpretato nel senso che osta ad una normativa nazionale la quale, ai fini dell’aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici mediante procedure di gara aperte o ristrette, imponga, in termini generali ed astratti, alle amministrazioni aggiudicatrici di ricorrere unicamente al criterio del prezzo più basso. È chiaro il riferimento all’art. 21, comma 1 della legge 109/94 e s.m.i., in cui era sancito che l’aggiudicazione mediante pubblico incanto o licitazione privata venga effettuata con il criterio del prezzo più basso. 19. TAR Calabria Catanzaro, 2 maggio 1991, n. 253. Le fasi della gara ad evidenza pubblica 163 Questa pronuncia va letta in seguito ed in perfetta congiunzione alla precedente Sentenza del 27/11/2001 Causa C–285/1999 sempre della Corte di Giustizia della CE, ove già l’art. 21 era stato dichiarato contrastante con la normativa Comunitaria; infatti, a seguito del dichiarato conflitto di norme, il legislatore nazionale aveva aggiunto il comma 1–ter all’art. 21 con la l. 166/2002. Ed è soprattutto quest’ultima aggiunta del comma 1–ter (riguardante, come già detto, la possibilità di aggiudicare mediante asta pubblica o licitazione privata con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, purché l’importo sia superiore alla soglia comunitaria) che si ritiene debba essere evidenziata alla luce del quadro di riferimento europeo, per il quale invece (come emerge anche dall’ultima sentenza C–247/02 del 2004) non doveva esserci limite per l’adozione del criterio suddetto, nemmeno per gli appalti di importo inferiore alla soglia comunitaria. Tutto ciò considerato, la Corte di Giustizia della CE, che ai sensi dell’art. 220 del Trattato assicura il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei Trattati e degli atti normativi derivati, ha appunto la funzione di fornire un’interpretazione uniforme delle norme di diritto comunitario, permettendone così l’applicazione negli Stati membri; in quest’ottica, se è vero, d’altra parte, che per i regolamenti comunitari ex lege (art. 249) vale la diretta applicabilità in ciascuno degli Stati membri, ed anche per le direttive comunitarie è ammessa la diretta applicabilità a condizione che essa sia chiara, incondizionata e scaduta20, tutto ciò comporta, d’altro canto, che anche per le sentenze della Corte di Giustizia vada verificata la sussistenza della caratteristica della loro diretta applicabilità negli Stati membri dell’UE 20. Cfr. in particolare, Corte di Giust., sent. 4 dicembre 1974, Yvionne Von Duyn c. Home Office – causa 41/74; sent. 5 aprile 1990, A. Foster e altri c. British Gas plc – causa 188/89; sent. 26 febbraio 1986, M.H. Marshall c. Southampton and South–West Hampshire Area Healt Authority – causa 152/84; sent. 10 aprile 1984, Von Kolson e Kamann c. Land Renania del Nord–Westfalia – causa 14/83; sent. 19 novembre 1991, Andrea Francovich e a. c. Repubblica italiana – cause riunite C–6/90 e C–9/90. 164 Capitolo III Vi è d’aggiungere inoltre che, sebbene la Corte Costituzionale con Sentenza 170/1984 (ed, a seguire, con le Sentenze 64/90 e 168/91) abbia ammesso la possibilità della diretta applicabilità delle direttive comunitarie all’interno degli Stati membri21, la stessa Consulta ha ben puntualizzato che l’evenienza richiede ulteriormente il riscontro di alcuni presupposti sostanziali: a) la prescrizione deve essere incondizionata e sufficientemente precisa; b) lo Stato destinatario deve risultare inadempiente per essere inutilmente decorso il termine di attuazione della direttiva (sul punto cfr. anche Cass. civ., Sez. I, 01/02/2000, n. 1099). Allo stesso modo, dopo alcune sentenze contrarie, la Corte Costituzionale ha iniziato a considerare, contemporaneamente al riconoscimento della superiorità del diritto comunitario, i principi interpretativi della Corte di Giustizia della CE come partecipanti allo stesso diritto comunitario, finanche ha cominciato a ritenere le sentenze della Corte di Giustizia come prevalenti sul diritto nazionale, divenendo così direttamente applicabili nei principi espressi, a condizione che questi fossero chiari, precisi e concordanti. Comunque, dopo l’emanazione della direttiva 2004/18/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio datata 31/3/2004 (relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi), il legislatore nazionale con la legge 18 aprile 2005, n. 62, Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle comunità europee. legge comunitaria 2004 (GU 96 del 27 aprile 2005, Supplemento ordinario n. 76), ha delegato nell’art. 1 il Governo all’adozione, entro il termine di diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della stessa legge, per l’emanazione di decreti legislativi recanti le norme occorrenti all’attuazione delle direttive indicate. In particolare, l’art. 25 della legge comunitaria, relativamente al recepimento della direttiva 2004/18, ha 21. Sulla scia di analoga estensione già operata dalla Corte Costituzionale con le pronunce 113/85 e 389/89 in riferimento alle sentenze interpretative della Corte di Giustizia della CE. Le fasi della gara ad evidenza pubblica 165 obbligato espressamente il Governo al rispetto dei principi e criteri direttivi esistenti ed in particolare alla compilazione di un unico testo normativo e soprattutto (art. 25, comma 1 lett. d) all’adeguamento della normativa proprio alla sentenza della Corte di Giustizia della CE datata 7/10/2004 C–247/02. Ecco come sono nati l’art. 81 e l’art. 83 del Codice. In particolare, le voci che la Stazione appaltante può indicare nel bando e alle quali debba attribuire un peso (la cui totalità sia pari a 100/100), sono espresse a titolo esemplificativo nell’art. 83 del Codice; fra queste compare il riferimento ambientale ed energetico. Per i metodi di calcolo del punteggio per ogni offerta presentata, la quale verrà dapprima valutata dalla Commissione nella compenente tecnica in seduta riservata e poi nell’elemento prezzo, sono indicati dettagliatamente nell’allegato B al d.p.r. 554/99 (metodo electre e metodo aggregativo–compensatore). Una precisazione: dispone l’art. 86, comma 2 che quando il criterio di aggiudicazione è quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa, le stazioni appaltanti valutano la congruità delle offerte in relazione alle quali sia i punti relativi al prezzo, sia la somma dei punti relativi agli altri elementi di valutazione, sono entrambi pari o superiori ai quattro quinti dei corrispondenti punti massimi previsti dal bando di gara. Rimane fermo che, anche in prsenza di un cosolo elemento pari o superiore ai 4/5 la Stazione appaltante può comunque valutare la congruità tale offerta poichè, in base ad elementi specifici, essa appare anormalmente bassa. 6.3. La Commissione ex art. 84 del Codice La condizione: se è adottato il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa la valutazione delle offerte è demandata alla Commissione. Per la sua composizione e per lo svolgimento dei suoi compiti opera l’articolo in esame. Vengono previste alcune novità rispetto l’art. 21 della legge Merloni e l’art. 92 del d.p.r. 554/99 (quest’ultimo 166 Capitolo III continua per ora ad essere vigente, tranne per i commi 1, 2 e 5): innanzitutto l’estensione delle regole alle Commissioni anche per appalti di servizi, forniture e settori speciali (cosa che prima da parte di alcuna dottrina veniva sostenuta in forza dell’analogia con la normativa dei lavori); i commi 4 e 5 fissano i casi d’obbligo di astensione dei commissari: il richiamo è all’art. 51 del codice di procedura civile, che sancisce i casi di astensione del giudice: 1) se ha interesse nella causa o in altra vertente su identica questione di diritto; 2) se egli stesso o la moglie è parente fino al quarto grado (74 ss.c.c.) o legato da vincoli di affiliazione (406 ss.c.c.), o è convivente o commensale abituale di una delle parti o di alcuno dei difensori; 3) se egli stesso o la moglie ha causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito con una delle parti o alcuno dei suoi difensori; 4) se ha dato consiglio o prestato patrocinio nella causa, o ha deposto in essa come testimone, oppure ne ha conosciuto come magistrato in altro grado del processo o come arbitro o vi ha prestato assistenza come consulente tecnico; 5) se è tutore, curatore, amministratore di sostegno, procuratore, agente o datore di lavoro di una delle parti; se, inoltre, è amministratore o gerente di un ente, di un’associazione anche non riconosciuta, di un comitato, di una società o stabilimento che ha interesse nella causa. [II]. In ogni altro caso in cui esistono gravi ragioni di convenienza, il giudice può richiedere al capo dell’ufficio l’autorizzazione ad astenersi; quando l’astensione riguarda il capo dell’ufficio, l’autorizzazione è chiesta al capo dell’ufficio superiore. Il comma 6 dell’art. 84 del Codice coincide con la previsione dell’ultima parte del comma 5 dell’art. 21 della legge Merloni. Il comma 8 non fa più riferimento al sorteggio dei componenti della Commissione, ma solamente alla rotazione degli appartenenti alle categorie classiche già individuate nella vecchia normativa in riferimento al sorteggio. Nell’ambito dell’iter qui brevemente richiamato, va evidenziato che ai fini dell’esplicazione del procedimento mediante il sistema di scelta in precedenza denominato “appalto–concorso”, per l’aggiudicazione la giurisprudenza non richiedeva la seduta pubblica22, infatti 22. Cfr. a tal proposito, Cons. di Stato, V, n. 2235/00; V, n. 576/97; TAR Sardegna, n. 11/99. Le fasi della gara ad evidenza pubblica 167 il procedimento per l’aggiudicazione mediante quel sistema di scelta presupponeva sia l’esercizio di poteri discrezionali sia l’analisi dei diversi progetti che sono stati presentati dai concorrenti. Sembra logico ritenere validi i principi ermeneutici elaborati in tal senso dalla giurisprudenza anche per la nuova tipologia d’appalto che ha, sostituendosi, modificato la denominazione dell’appalto concorso e le limitazioni attuative ma ne ha mantenuto i tratti costitutivi. Approfondiamo alcuni aspetti relativi alle principali differenza fra la vecchia e la nuova normativa. Relativamente alla Commissione incaricata dell’aggiudicazione mediante il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa sussiste una obiettiva differenza fra le previsioni normative contenute nell’art. 21 della l. 109/94 e s.m.i. (unitamente a quelle espresse nell’art. 92 del d.p.r. 554/99) e l’art. 84 del d.lgs. 163/06 e s.m.i. In particolare, l’art. 21 della legge Quadro, ai commi 5 e 6 stabiliva che: La commissione giudicatrice, nominata dall’organo competente ad effettuare la scelta dell’aggiudicatario od affidatario dei lavori oggetto della procedura, è composta da un numero dispari di componenti non superiore a cinque, esperti nella specifica materia cui si riferiscono i lavori. La commissione è presieduta da un dirigente dell’amministrazione aggiudicatrice o dell’ente aggiudicatore. I commissari non debbono aver svolto nè possono svolgere alcuna altra funzione od incarico tecnico od amministrativo relativamente ai lavori oggetto della procedura, e non possono far parte di organismi che abbiano funzioni di vigilanza o di controllo rispetto ai lavori medesimi. Coloro che nel quadriennio precedente hanno rivestito cariche di pubblico amministratore non possono essere nominati commissari relativamente ad appalti o concessioni aggiudicati dalle amministrazioni presso le quali hanno prestato servizio. Non possono essere nominati commissari coloro i quali abbiano già ricoperto tale incarico relativamente ad appalti o concessioni affidati nel medesimo territorio provinciale ove è affidato l’appalto o la concessione cui l’incarico fa riferimento, se non decorsi tre anni dalla data della precedente nomina. Sono esclusi da successivi incarichi coloro che, in qualità di membri delle commissioni aggiudicatrici, abbiano concorso, con dolo o colpa grave accertata in sede giurisdizionale, all’approvazione di atti dichiarati conseguentemente illegittimi. 168 Capitolo III 6. I commissari sono scelti mediante sorteggio tra gli appartenenti alle seguenti categorie: a) professionisti con almeno dieci anni di iscrizione nei rispettivi albi professionali, scelti nell’ambito di rose di candidati proposte dagli ordini professionali; b)professori universitari di ruolo, scelti nell’ambito di rose di candidati proposte dalle facoltà di appartenenza; c) funzionari tecnici delle amministrazioni appaltanti, scelti nell’ambito di rose di candidati proposte dalle amministrazioni medesime. Invece, l’art. 84 del Codice De Lise rispetto alla disciplina previgente ha operato diverse modifiche innovative, soprattutto nei commi 3, 4, 7, 8 e 9. Per completezza del quadro normativo di riferimento occorre precisare che il Consiglio dei Ministri, nella seduta del 21 dicembre u.s., ha approvato in via definitiva il «Regolamento di attuazione ed esecuzione del codice dei contratti pubblici relativi ai lavori, servizi e forniture, a norma dell’articolo 5 del d.lgs. 163/2006». In quello schema del regolamento l’art. 120 detta le nuove norme esecutive relativamente alla Commissione giudicatrice, in piena aderenza a quanto stabilito ora dall’art. 84 del Codice. Come è possibile verificare, relativamente alla nomina del Presidente della Commissione giudicatrice, va evidenziato che l’art. 21 della legge Merloni, al comma 5, sanciva due requisiti di legittimità ai fini della nomina, e cioè: – che tutti i membri della Commissione, senza esclusione di alcuno, dovessero essere esperti nella specifica materia cui si riferiscono i lavori; – che i commissari — quindi compreso il Presidente — non dovessero aver svolto né potessero svolgere alcuna altra funzione od incarico tecnico od amministrativo relativamente ai lavori oggetto della procedura. Le fasi della gara ad evidenza pubblica 169 Viceversa, il Codice De Lise, al comma 3 dell’art. 84, ha ridisegnato in modo più completo ed organico le modalità di nomina del Presidente, lasciando fermo il requisito tecnico dell’esperienza specifica nella materia a cui si riferiscono i lavori ma non richiedendo più l’ulteriore requisito di non aver svolto alcun’altra funzione relativamente al contratto in via di affidamento. Quest’ultimo requisito infatti è oggi richiesto dal comma 4 dell’art. 84 del Codice (diversamente dal previgente art. 21, comma 5 della legge Merloni) solo per i “commissari diversi dal presidente”. Dunque, alla luce dell’art. 84 del Codice si può affermare che l’unico soggetto per il quale è irrilevante l’avvenuta partecipazione alle funzioni relative al contratto oggetto dell’affidamento è il Presidente della Commissione, rimanendo invece tale situazione di incompatibilità per gli altri membri della Commissione. Peraltro, l’art. 84 del Codice nelle ipotesi in cui non vi sia nell’organico della stazione appaltante un dirigente qualificato, legittima espressamente a ricoprire il ruolo di Presidente della Commissione anche un soggetto che rivesta la carica di “funzionario incaricato di funzioni apicali” sempre che, ovviamente, sia esperto nella materia specifica dei lavori oggetto della gara. Solamente nell’ipotesi in cui, in estremo subordine, la stazione appaltante fosse sprovvista anche di siffatti funzionari, essa potrebbe ricorrere, in analogia a quanto già previsto per la nomina degli altri membri della Commissione, a personale di altre Amministrazioni statali con i criteri di cui al successivo comma 8 dell’art. 84. La possibilità di ricorrere (in tali casi e solo in essi) a dirigenti o funzionari esterni alla stazione appaltante sembrerebbe ricevere conferma dal fatto che il comma 3 dell’art. 84 del Codice De Lise prevede che “di norma” la Commissione è presieduta da un dirigente della stazione appaltante. L’art. 84 del Codice de Lise consente espressamente la nomina quale Presidente innanzitutto di un dirigente ovvero, in subordine, di un funzionario della stazione appaltante incaricato di funzioni apicali, a 170 Capitolo III nulla rilevando il fatto che abbia o non abbia svolto attività tecniche o amministrative relativamente all’appalto da affidare (fermo restando, in ogni caso, il requisito tecnico dell’esperienza). Pur nel silenzio del legislatore, si ritiene — ma solo in via ulteriormente subordinata (e cioè in assenza anche di un siffatto soggetto) — che sussisterebbe teoricamente la possibilità per la stazione appaltante di ricorrere a soggetti esterni di altra amministrazione. Con riferimento ai Commissari tout court (quindi sia per il Presidente che per gli altri membri), la maggior completezza della nuova disciplina contenuta nel Codice si manifesta anche mediante la previsione del comma 7 dell’art. 84 ove sono operate integrazione ed esplicazione dei casi di incompatibilità con la previsione delle cause di astensione di cui all’art. 51 c.p.c. Dal tenore letterale dell’art. 84, comma 7 del Codice sembra che il Legislatore abbia fatto riferimento ai commissari, senza specificare — come invece ha compiuto in altri commi — “diversi dal Presidente”, investendo così per le cause di incompatibilità ex art. 51 c.p.c. tutti i membri della commissione aggiudicatrice, nessuno escluso. L’art. 84 del Codice giunge opportunamente sia a colmare le lacune sia a modificare in melius lal. 109/94 in ordine alle modalità di formazione della Commissione giudicatrice. In ordine ai criteri di nomina dei membri della Commissione diversi dal Presidente, infatti, mentre la precedente normativa (art. 21 comma 6), optava per una scelta dei commissari attraverso sorteggio tra gli appartenenti a talune categorie quali professionisti, professori universitari e funzionari tecnici delle stazioni appaltanti, il criterio accolto dall’odierno legislatore è quello della selezione discrezionale mediante rotazione. La nuova legge prevede che i soggetti da sottoporre a selezione siano innanzitutto i funzionari della stazione appaltante (non trascurando, peraltro, l’ipotesi ben frequente, di accertata carenza in organico di adeguate professionalità, nonché negli altri casi previsti dal regolamento in cui ricorrono esigenze oggettive e comprovate); e, solo in via Le fasi della gara ad evidenza pubblica 171 subordinata, che i commissari diversi dal Presidente siano scelti tra funzionari delle amministrazioni aggiudicatrici di cui all’art. 3 comma 25, ovvero con un criterio di rotazione tra gli appartenenti alle residue categorie dei professionisti con esperienza ultradecennale e dei professori universitari in ruolo. L’odierna disciplina invece predilige l’applicazione di un criterio generale e cioè quello della selezione tra i funzionari della stazione appaltante, con la previsione, per l’ipotesi di non praticabilità di siffatta ipotesi, degli ulteriori criteri subordinati di cui al comma 8 dell’art. 84. La nuova normativa, prevede altresì un vincolo di aggiornamento almeno biennale delle categorie medesime (comma 9). Tanto premesso, in sintesi, si può affermare che: – i commissari diversi dal Presidente sono selezionati tra i funzionari della stazione appaltante; – solo in via subordinata, ossia solo nei casi di accertata carenza in organico di adeguate professionalità nonché negli altri casi che saranno previsti dal regolamento di attuazione ed esecuzione del Codice degli appalti, per quanto riguarda la scelta dei Commissari diversi dal Presidente il nuovo criterio di selezione è quello della nomina, senza sorteggio, fra i funzionari di amministrazioni aggiudicatrici di cui all’art. 3, comma 25 e, alternativamente (“ovvero” dice la legge), quello di rotazione tra gli appartenenti alle categorie di cui all’art. 84, comma 8, lettere a) e b). Essendo stato abrogato il sorteggio, in assenza di funzionari in organico della stazione appaltante si potrà avere il seguente quadro: – la scelta dei membri della Commissione giudicatrice diversi dal Presidente potrà legittimamente ricadere (secondo quanto disposto dall’art. 84 comma 8) su funzionari delle altre amministrazioni aggiudicatrici di cui all’art. 3 comma 25; – la stazione appaltante avrà altresì la facoltà di scelta tra i soggetti indicati nell’art. 84 comma 8 lett. a) e b), per entrambe le cate- 172 Capitolo III gorie, limitatamente però ai nominativi degli eventuali candidati suggeriti dall’Università e dagli Ordini professionali. 7. La disciplina giuridica dalla aggiudicazione alla stipulazione del contratto. Problematiche connesse con la consegna dei lavori Dovuto in parte dall’esigenza del legislatore comunitario e di quello nazionale di formare un unico corpus organico, l’art. 11 del Codice è il prodotto di sintesi fra diversi disposizioni già contenute nel r.d.n. 2440/1923 e dall’art. 109 del d.p.r. 554/9923. Quest’ultimo, in particolare, in maniera più dettagliata e più attuale era la norma che apriva con il Titolo VIII la disciplina dell’esecuzione del contratto d’appalto, regolando la stipulazione e l’approvazione. A tal proposito, venivano fissati termini precisi: entro 60 giorni dall’aggiudicazione doveva avvenire la stipulazione (entro 30 giorni dalla comunicazione di affidamento per la trattativa privata e il cottimo fiduciario di cui all’art. 142) e entro 60 giorni dalla stipulazione del contratto doveva seguire l’approvazione per gli appalti di competenza delle amministrazioni statali. Attualmente, il Codice regola con l’art. 11 le fasi delle procedure di affidamento (il termine “affidamento” fino ad oggi indicava il provvedimento con il quale l’amministrazione comunicava la scelta nelle ipotesi di trattativa privata e di cottimo fiduciario; ora invece è sinonimo del termine “aggiudicazione”) e con l’art. 12 la procedura di controllo unificata per lavori, servizi e forniture, relativamente all’approvazione e alla stipulazione dei contratti. In particolare: a) le procedure di affidamento selezionano la migliore offerta, mediante uno dei criteri previsti dal presente codice. Al termine della procedura è dichiarata l’aggiudicazione provvisoria a favore del miglior offerente; 23. Sulla stipulazione del contratto cfr. Carpentieri, (Consigliere TAR Campania), Aggiudicazione e contratto, 2003; Le fasi della gara ad evidenza pubblica 173 b)la stazione appaltante, previa verifica dell’aggiudicazione provvisoria ai sensi dell’articolo 12, comma 1, provvede all’aggiudicazione definitiva; c) l’aggiudicazione definitiva non equivale ad accettazione dell’offerta. L’offerta dell’aggiudicatario è irrevocabile fino al termine stabilito nel comma 9; d)l’aggiudicazione definitiva diventa efficace dopo la verifica del possesso dei prescritti requisiti. e) divenuta efficace l’aggiudicazione definitiva, e fatto salvo l’esercizio dei poteri di autotutela nei casi consentiti dalle norme vigenti, la stipulazione del contratto di appalto o di concessione ha luogo entro il termine di sessanta giorni, salvo diverso termine previsto nel bando o nell’invito ad offrire, ovvero l’ipotesi di differimento espressamente concordata con l’aggiudicatario. Se la stipulazione del contratto non avviene nel termine fissato, ovvero il controllo di cui all’articolo 12, comma 3, non avviene nel termine ivi previsto, l’aggiudicatario può, mediante atto notificato alla stazione appaltante, sciogliersi da ogni vincolo o recedere dal contratto. All’aggiudicatario non spetta alcun indennizzo, salvo il rimborso delle spese contrattuali documentate. Per gli appalti di lavori, se è intervenuta la consegna dei lavori in via di urgenza e nel caso di servizi e forniture, se si è dato avvio all’esecuzione del contratto in via d’urgenza, l’aggiudicatario ha diritto al rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione dei lavori ordinati dal direttore dei lavori, ivi comprese quelle per opere provvisionali. f) il contratto non può comunque essere stipulato prima di trenta giorni dalla comunicazione ai controinteressati del provvedimento di aggiudicazione, ai sensi dell’articolo 79 (comunicazioni ex officio), salvo motivate ragioni di particolare urgenza che non consentono all’amministrazione di attendere il decorso del predetto termine; g) il contratto è sottoposto alla condizione sospensiva dell’esito positivo dell’eventuale approvazione e degli altri controlli previsti 174 Capitolo III dalle norme proprie delle stazioni appaltanti o degli enti aggiudicatori. L’art. 11, invero, in buona parte dei commi che lo compongono appare quasi un massimario di giurisprudenza: utile, però, perché raccoglie, stavolta in modo vincolante, taluni fondamentali principi elaborati anche dal giudice amministrativo. L’art. 11 al comma 5 ripropone la competenza del dirigente ovvero, su sua delega, del responsabile del procedimento, per il provvedimento in via definitiva d’aggiudicazione. Il comma 6 fissa, nell’eventuale assenza di precisi termini nella lex specialis di gara, il tempo di vincolo dell’offerta presentata dal concorrente in 180 giorni, pur rimanendo in facoltà della pubblica amministrazione di chiedere il differimento, anche se il vuoto delle regole rimane: il differimento è in linea teorica usque placuit e questo la disciplina giuridica non sembra poterlo consentire. Infine, come ultimo richiamo occorre evidenziare il contenuto del comma 11, che pone il contratto sottoposto alla condizione sospensiva dell’esito positivo dell’approvazione e dei controlli all’uopo previsti: tale condizione, che nel diritto privato sostanzia la specialità di uno degli elementi accidentali del contratto, qui è operato sui generis, cioè non è contemplato dalle parti ma iussu legis. Un’ipotesi concettualmente parallela è nel diverso ambito che il vecchio art. 118 del d.p.r. 554/99 prevedeva e che nel Codice attualmente è filtrato nell’art. 135: l’ipotesi, ancora chiamata di risoluzione per reati accertati, invero una condizione risolutiva, l’atra forma della condizione, che la legge — e non le parti — pone. Nell’articolo 12 prosegue la ampliata disciplina prima contenuta soprattutto nei quattro commi dell’art. 109 del d.p.r. 554/99. In evidenza, per la regolamentazione a livello procedimentale, sono l’aggiudicazione (c. 1), la stipulazione (c. 2) e l’approvazione (c. 3). Il paradigma legale utilizzato dal legislatore nazionale è il medesimo nei quattro commi e a pedissequa ripetizione si legano a cascata i medesimi errori di natura formale e sostanziale: qui nei tre commi sembrano comparire tre espressioni (potremmo dire una espressione) dalla quale, pur Le fasi della gara ad evidenza pubblica 175 in presenza del delicato tema dei tempi, la natura logica della cose farebbe ermeneuticamente leggere come sospensione (cioè il tempo, al cessare della sospensione inizia nuovamente a decorrere in modo continuato da dove si era fermato). Invero, il legislatore nazionale usa dei termini come “interrotto” e “inizia nuovamente a decorrere” che spingono al rigore della interruzione in senso giuridico (i tempi ricominciano da zero a decorrere). Ma ancor più grave appare il fatto che il legislatore non potrebbe trovare esimente nell’error materialis della ripetizione qui compiuta per svista, come refuso tipografico, ma l’assoluta confusione appare chiaramente nell’art. 10–bis della l. 241/90 modif. dalla l. 15/2005 e a ritroso anche nell’art. 4, comma 6, del d.p.r. 352/92 in tema di accesso formale agli atti amministrativi. L’art. 12 riprende e amplia sistematicamente la disciplina in materia di controlli già contenuta in nuce nell’art. 3 della l. 20/1994. Il comma 4 ribadisce, così come lo farà ancora ed espressamente l’art. 247, la disciplina antimafia, in quanto la prevenzione da illeciti penali sembra ovviamente riferirsi a quella materia: ma, anche in questo ovvio ribadire, si scorge più un desiderio di dar conto alle raccomandazioni di coscienza, le quali mal si modellano nel facere del legislatore. Come è noto, il provvedimento di aggiudicazione24, oltre al suo valore di atto amministrativo, contiene anche la dichiarazione negoziale della pubblica amministrazione alla quale generalmente si ricollega come effetto quello della formazione del consenso e di determinazione del vincolo giuridico dell’appalto25. Tale conseguenza di diritto è prevista dall’art. 16, comma 4, del r.d. 2440/1923, il quale sancisce 24. Vedi Santoro, Il ritorno all’aggiudicazione provvisoria (atto secondo). Brevi considerazioni, in «Riv. Trim. Appalti», 2006, p. 841. 25. Secondo autorevole dottrina, il contratto già risulta dalla intervenuta aggiudicazione e la stipulazione formale successiva è invero la manifestazione del fenomeno giuridico sorto del diritto privato e noto come “ripetizione del negozio giuridico”, cioè una dichiarazione di volontà emessa dagli stessi soggetti. Cfr. Cianflone, Giovannini, L’appalto di opere pubbliche, XI, p. 605. Vedi poi sul tema: Corte di cassazione, sez. un., sentenza 29 luglio 1941, n. 2402; Cass. 16 gennaio 1987, n. 292; Cass. 18 marzo 1982, n. 1764; Cass. 29 ottobre 1981, n. 5702; Cass. 15 ottobre 1981, n. 5404; Cass. 8 giugno 1981, n. 3682. 176 Capitolo III che i processi verbali di aggiudicazione definitiva equivalgono ad ogni effetto legale al contratto. Nell’ambito dei lavori pubblici, il d.p.r. 554/99, all’art. 109, comma 1, è stato sostituito dall’art. 11 e dall’art. 12 del Codice26. Ove l’aggiudicatario entro il termine stabilito non si presti, anche se invitato, a stipulare il contratto ovvero non depositi, nel termine prescritto, la cauzione definitiva, il contratto formatosi con l’aggiudicazione si risolve, senza la necessità di intimare un formale atto di diffida e senza il diritto di risarcimento dei danni, salvo l’incameramento della cauzione provvisoria da parte della stazione appaltante. A proposito della rilevanza giuridica del rapporto fra verbale di aggiudicazione e perfezionamento del contratto d’appalto d’opere pubbliche, l’Autorità di vigilanza sui lavori pubblici con la determinazione n. 24/2002 del 2 ottobre 2002 ha stabilito una serie di criteri direttivi a cui si rinvia. A seguito di un ritardo imputabile alla pubblica amministrazione per la stipula rispetto ai termini di cui all’art. 11 del Codice, l’aggiudicatario matura il diritto di essere liberato dall’impegno contrattuale con la restituzione del deposito cauzionale e il rimborso delle spese contrattuali. Questo diritto è espressamente previsto dallo stesso art. 11, al comma 9, in cui si presenta la facoltà all’impresa aggiudicataria di sciogliersi da ogni impegno o di recedere dal contratto. Ipotizzando, dunque, un ritardo per fatto della pubblica autorità rispetto ai termini previsti non più dal regolamento ma dal Codice (art. 11, comma 9), si forma in capo all’aggiudicatario una facoltà di scelta: o attendere e stipulare in seguito il contratto senza alcun riconoscimento di indennizzo ovvero esercitare il diritto previsto dallo stesso art. 11, cioè la possibilità di sciogliersi da qualsiasi impegno 26. Per la precedente procedura e sui controlli vedi ex multis Santoro, Stipulazione e perfezionamento dei contratti pubblici dopo le riforme amministrative e contabili, in «Riv. Trim. Appalti», 1998, p. 310; Gabrieli, Aspetti privati e aspetti pubblicistici nei contratti con la P.A., in Riv. Dir. Pubb., 1942, I, 25; Giampaolino, I rimedi amministrativi nel settore dei lavori pubblici dopo gli ultimi interventi legislativi, in Riv. Corte Conti, 1996, p. 344; Vitta, Diritto amministrativo, II, p. 327. Le fasi della gara ad evidenza pubblica 177 o di recedere mediante notifica alla stazione appaltante del proprio intendimento e vedendo perfezionarsi a suo favore un rimborso delle spese contrattuali (cauzione e spese per la progettazione). Va ulteriormente evidenziato un altro aspetto, fermo restando quanto finora ribadito riguardo al fatto che per la giurisprudenza e per l’Autorità di vigilanza sui lavori pubblici con l’aggiudicazione definitiva non sorge alcun vincolo contrattuale fra le parti (atteso che questo sorge solamente con la stipulazione del contratto d’appalto). Nel caso di un immotivato rifiuto a stipulare da parte della stazione appaltante27, la giurisprudenza, non potendo individuare alcuna forma di responsabilità contrattuale appunto per l’assenza di vincoli giuridici prima della stipulazione, ha invece enucleato una speciale forma di responsabilità extracontrattuale, riconducibile appunto alla responsabilità precontrattuale28. E ancora, la giurisprudenza in tali ipotesi ha ammesso da ultimo anche una forma di risarcimento danni per cd. perdita di chance 29. Nell’ottica di questo complesso quadro normativo e giurisprudenziale, lo scenario della disciplina antecedente alla stipulazione del contratto si può così sintetizzare: se la condotta della pubblica amministrazione è causa di ritardo per la stipulazione, l’impresa interessata può o aspettare l’eventuale futura stipulazione del contratto senza poi poter pretendere alcuna forma d’indennizzo per l’attesa ovvero esercitare il diritto di recesso, con diritto anche al rimborso delle spese contrattuali (cauzione e progettazione); se, invece, la condotta della pubblica amministrazione è causa di rifiuto senza sufficiente motivazione o “recesso ingiustificato” da parte della stessa amministrazione, l’impresa interessata ha possibilità di promuovere apposita azione giudiziaria intesa all’ottenimento sia dell’indennizzo pari al rimbor27. Sulla questione avente ad oggetto la configurazione della culpa in contrahendo della P.A., cfr. il fondamentale studio di Giannini M.S., La responsabilità precontrattuale dell’Amministrazione pubblica, in Studi in onore di A.C. Jemolo, III. Vedi anche Vaiano, Problemi attuali, in Arb e app., 1974, p. 7; Cass. sez. un. 9 maggio 1983; Cass. 23 maggio 1981, n. 3383; cass. 23 maggio 1980, n. 3410. 28. Consiglio Stato, sez. VI, 1 marzo 2005, n. 816. 29. TAR Lazio, sez. I, 17 febbraio 2005, n. 1359. 178 Capitolo III so delle spese contrattuali, sia al risarcimento danni consistente nella diminuzione patrimoniale derivata dall’aver fatto affidamento sulla conclusione del contratto, e nei mancati guadagni correlativi alle altre occasioni contrattuali perdute (ma non anche nel mancato guadagno che il privato avrebbe potuto trarre dall’esecuzione del contratto cui l’aggiudicazione revocata si riferiva), e sotto questo secondo aspetto occorre di massima assumere come parametro di valutazione l’utile economico che sarebbe stato complessivamente realizzabile dal danneggiato, diminuito di un coefficiente di riduzione proporzionato al grado di possibilità di conseguirlo, salva la possibilità di un ricorso al criterio equitativo ex art. 1226 c.c.30. Rimane da considerare, a fronte delle due possibili strade percorribili, che per la dichiarazione di responsabilità precontrattuale da parte del giudice è necessario intentare una causa sul piano giurisdizionale, con la conseguente incertezza che una causa in re ipsa presenta e dovendosi, ancor prima, valutare le motivazioni eventualmente addotte dalla stazione appaltante per giustificare la mancata stipula del contratto. Tale carattere non è invece presente nell’ipotesi del recesso da parte dell’aggiudicatario, ai sensi dell’art. 11, comma 9, del Codice. Al contrario, diverse conseguenze sembrano affacciarsi se la stipulazione del contratto d’appalto sia avvenuta, ma la pubblica amministrazione non abbia ancora consegnato l’area dei lavori all’appaltatore. 30. Riguardo all’attività di controllo c’è da evidenziare quanto segue: dal lato del privato, la Cass. sez. un. 15 novembre 1960, n. 3402 ha affermato che «nelle more dell’approvazione del contratto il privato è vincolato nel negozio claudicante solo nel senso che non può recederne». In tal senso vedi pure Cass. 4 novembre 1980, n. 5912. per l’irrevocabilità del consenso prestato dal privato vedi Cass. 23 maggio 1981, n. 3383. La Cassazione sez. un. 26 luglio 1985, n. 4342 ha riconosciuto che prima dell’approvazione del verbale di aggiudicazione le posizioni del privato hanno natura e consistenza di interessi legittimi, con la conseguente competenza del giudice amministrativo sulle controversie per mancato perfezionamento del rapporto. Infine, la Cass. 4 marzo 1987, n. 2255 ha affermato che in pendenza dell’approvazione l’amministrazione è tenuta ad una condotta di buona fede contrattuale: nell’ipotesi in cui l’attività di controllo sia impedita da comportamenti dolosi o colposi l’amministrazione incorrerebbe in responsabilità in contrahendo di cui all’art. 1337 c.c., mentre non può trovare applicazione l’art. 1359 c.c. riguardante la condizione come requisito accidentale. Le fasi della gara ad evidenza pubblica 179 Innanzitutto, vanno in astratto considerate due ipotesi, a seconda che vi sia o meno la volontà di mantenere l’appalto. È noto che nell’art. 129 del regolamento, ai commi 8 e 9, si stabilisce che qualora la consegna avvenga in ritardo per fatto o colpa della stazione appaltante, l’appaltatore può chiedere di recedere dal contratto. Nel caso di accoglimento dell’istanza di recesso l’appaltatore ha diritto al rimborso di tutte le spese contrattuali nonché quelle effettivamente sostenute e documentate ma in misura non superiore ai limiti indicati nel capitolato generale. Ove l’istanza dell’impresa non sia accolta e si proceda tardivamente alla consegna, l’appaltatore ha diritto ad un compenso per i maggiori oneri dipendenti dal ritardo, le cui modalità di calcolo sono stabilite dal capitolato speciale. Pertanto, a fronte dell’eventuale richiesta di recesso da parte dell’appaltatore, la stessa normativa pone in capo alla stazione appaltante la facoltà di accogliere o meno tale istanza e quindi la richiesta eventualmente risarcitoria rimane legata alla richiesta di recesso accolta dalla committente. A ciò si aggiunga che la facoltà della stazione appaltante di non accogliere l’istanza di recesso dell’appaltatore «non può esercitarsi, con le conseguenze previste dal comma 8, qualora il ritardo nella consegna dei lavori superi la metà del termine utile contrattuale» (comma 9). Va da sé che, in linea teorica e astratta, l’appaltatore potrebbe fondatamente formulare l’istanza di recesso se il ritardo nella consegna dei lavori raggiungesse tale limite temporale e fosse di consistenza quantitativa elevata nell’alveo del quadro totale dei lavori. Nell’ipotesi in cui facesse l’istanza ed essa venisse accolta dall’ente appaltante l’unico risarcimento sarebbe costituito dalle spese di contratto così come stabilito dall’art. 9, comma 1, del d.m. 145/00. Infine, si tenga conto che il comma 11 dell’art. 129 del regolamento dispone che nelle ipotesi su richiamate il responsabile del procedi- 180 Capitolo III mento ha l’obbligo di informare l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici. Quindi, nel caso in cui l’appaltatore nel verbale di consegna dei lavori iscrivesse riserva per ritardata consegna dei lavori, presumibilmente nulla gli spetterebbe ai sensi appunto della disciplina contenuta nell’art. 129 del d.p.r. 554/99 in caso di mancata richiesta di recesso. Laddove, invece, iscrivesse nel suddetto verbale una riserva per ritardata consegna è presumibile che sarebbe dovuta una forma di indennità, un quantum risarcitorio solo ove abbia preliminarmente presentato istanza di recesso. In tal senso opererebbe l’art. 9 del c.g.a. (d.m. 145/00), il quale regola appunto il «riconoscimento a favore dell’appaltatore in caso di ritardata consegna dei lavori», circoscrivendo il risarcimento “all’interesse legale”. Ovviamente, a fronte di tutto ciò, in capo alla pubblica amministrazione è riconosciuta la facoltà di esercizio del disposto dell’art. 12 del d.p.r. 145/00: Indipendentemente dalle ipotesi previste dall’articolo 25 della legge, la stazione appaltante può sempre ordinare l’esecuzione dei lavori in misura inferiore rispetto a quanto previsto in capitolato speciale d’appalto, nel limite di un quinto dell’importo di contratto, come determinato ai sensi dell’articolo 10, comma 4, e senza che nulla spetti all’appaltatore a titolo di indennizzo. In genere, allora, la stazione appaltante per limitare il più possibile il quantum risarcitorio nei confronti dell’appaltatore dovrebbe considerare, per il caso di mancata presentazione dell’istanza di recesso per ritardo nella consegna, in via alternativa e ove abbia un interesse quantomeno limitato: primariamente la possibilità di utilizzare comunque e senza oneri la disposizione dell’art. 12 del d.p.r. 145/00, stralciando quindi parzialmente i lavori; l’ipotesi di un eventuale accordo con l’appaltatore, secondo il quale quest’ultimo, a fronte della prosecuzione delle opere, rinunci a qualsiasi pretesa ricollegata o ricollegabile al tempo trascorso dalla data di presentazione dell’offerta, confermando altresì la piena remuneratività del corrispettivo convenuto. Le fasi della gara ad evidenza pubblica 181 Nella diversa ipotesi in cui l’amministrazione non avesse più alcuna intenzione di proseguire l’appalto stipulato, invece, è prevista dalla normativa pubblicistica la particolare ipotesi di recesso ad nutum in capo all’amministrazione, recesso inteso come diritto potestativo di natura ricettizia; tale facoltà si sostanzia nella possibilità dell’amministrazione di recedere in qualsiasi momento dal contratto ex art. 134 del Codice31, con gli oneri nei confronti dell’appaltatore pari al dieci per cento dei quattro quinti del non eseguito — così come è fissato da detto articolo — oltre al pagamento delle eventuali opere già realizzate. 31. È l’abrogato art. 122 del d.p.r. 554/99. Capitolo IV Requisiti generali e speciali 1. I requisiti generali Una nuova disciplina quella adottata dal Legislatore nazionale nell’art. 38 del Codice in tema di “requisi generali”, che consiste nel ricalco quasi identico (tranne cioè qualche aggiunta di cui si dirà) dell’abrogato art. 75 del d.p.r. 554/99. In particolare, la Direttiva 2004/18 all’atrt. 45, aveva previsto al primo paragrafo le cause obbligatorie di esclusione dalle gare, consistenti in ipotesi delittuose veramente molto ampie (frode, corruzione, organizzazione criminale, ecc.); il paragrafo 2 invece la sciava la possibilità al legislatore nazionale di prevedere ipotesi facoltative di esclusione dalle procedure di gara: l’art. 38 del Codice, ricalcando tutte le ipotesi dell’art. 75 del regolamento d’attuazione alla legge merloni, lascia il medesimo obbligo per la stazione appaltante di escludere dalla gara i soggetti per i quali viga almeno una delle cause escludenti. Dunque, con il nuovo diritto rimane il vecchio disposto: in primis, rimane l’obbligo di esclusione per le amministrazioni appaltanti; al sussistere, cioè, delle condizioni espresse tassativamente, l’impresa colpita deve essere scusa e non può più stipulare il contratto. Vige ancora la norma imperativa che era già espressa nell’incipit del comma 1 dell’art. 75, la quale norma porta alla nullità i contratti per illiceità dell’oggetto. La facoltà propria della previsione dell’art. 45, paragrafo 2 della Direttiva 18, mentre è stata respinta dal Legislatore nazionale, rima183 184 Capitolo IV ne nell’art. 135 del Codice (che riporta con l’aggiunta in più di un comma il vecchio art. 118 del d.p.r. 554/99): ma in tale ultima ipotesi nel nostro ordinamento solo nella fase esecutiva del contratto, invece l’ambito applicativo previsto nel respinto ius superveniens della Direttiva 18 riguarda unicamente la procedura di gara. Il lunario degli appalti pubblici, certamente manifestato nelle precedenti divisioni e stratificazioni normative fra lavori, servizi e forniture, oggi fa apparire un’unica disciplina (come indica il comma 1 dell’art. 38 del Codice): nella statica uniformità confluiscono gli strati degli altri ambiti o livelli, ora abrogati in parte qua. Non occorre più ricercare fra le norme sparte quella giusta per mostrare il risultato dell’analisi basata sulla prontezza: non vigono allora più fra le varie tipologie di appalto pubblico, in tema di cause escludenti, le discrasie o le assenze ingiustificate di ipotesi, per le quali la giurisprudenza si è altrettanto prontamente dedicata alla ricerca della soluzione del test, ora estendendo per maglie di analogia le assenze per i servizi o peggio per le forniture alle più complete ipotesi di cause fissate per i lavori. Ora invece basta ancorarsi alla garanzia della tassatività, certamente non perfetta nemmeno nell’art. 38, ma almeno più completa nell’omogeneità; la tassatività,invero, si fonda sull’epigrafe: ubi voluti dixit. Occorre fissare alcuni aspetti pratici dell’argomento1. a) L’apparente formulazione pleonastica “e non possono stipulare i relativi contratti” può e deve essere posta in relazione con la problematica degli effetti sul contratto per l’annullamento dell’atto amministrativo di gara: dichiarato illegittimo l’atto di aggiudicazione (dunque, anche errores in iudicando per effetto diretto di vitia in procedendo, “errato” nel senso più tecnico di concatenamento e non nel senso di “discrezionalità” o di “me1. Sul tema, cfr. V. Capuzza, Le cause d’esclusione dalle gare d’appalto pubblico, collana Quaderni IGOP, n. 01, 2005; Id., Considerazioni di diritto penale in materia di appalti pubblici alla luce del d.lgs. 163/06, in Rassegna dell’Arma dei Carabinieri, n. 1/2007; Id., Figure di procedura penale negli appalti pubblici, in Rivista Amministrativa R. I., 3–4/2007. Requisiti generali e speciali 185 rito”), in ipotesi per assenza in capo all’impresa aggiudicataria di uno dei requisiti generali (quanto a dire: per la presenza di una delle cause di esclusione ex art. 38 Codice), quid iuris per il contratto d’appalto eventualmente in esecuzione ? Il tenore dell’espressione del comma 1 – prima parte – dell’art. 38 Codice è evidentemente un divieto di legge: le regole generali del contratto, relativamente alla causa ed all’oggetto, dispongono che il medesimo contratto sia nullo quando intende realizzare cioè che è vietato anche da norme imperative di legge. Logico corollario: gli effetti contrari allo stesso diritto non nascono né si riproducono; in ciò, per altro verso, consta il limite dell’autonomia privata. E le norme imperative sono quelle fissate dalla legge, sia civile sia penale sia amministrativa: nel casus in esame è il Codice a vietare espressamente alla P.A. la possibilità di stipulare contratti con soggetti i quali versino in una o più delle condizioni di diritto elencate nelle seguenti lettere del comma 1 art. 38. Dunque, appare chiara la possibilità di compiere questa applicazione: nell’alveo interpretativo formatosi intorno alla sorte del contratto d’appalto in esecuzione, quando a monte sia stato annullato un atto di gara o d’aggiudicazione, la questione relativa invece alla sussistenza di una delle cause di esecuzione dalla gara da cui sia scaturito l’annullamento del provvedimento di aggiudicazione, offre per mezzo della stessa vox legis del comma 1 dell’art. 38 Codice (espressione che appare ovvia, naturale, inutile o pleonastica) invero una semplice soluzione: quell’annullamento dell’atto renderebbe nullo il contratto eventualmente in esecuzione. b)Una apparente incongruenza però va segnalata in questa operazione di studio della norma: stranamente il caso su ipotizzato di annullamento dell’atto di gara, sembrerebbe assumere per il contratto a valle la natura di condizione risolutiva del contratto (art. 1353 c.c.) in forza della disciplina espressa dall’art. 135 del Codice (l’abrogato art. 118 d.p.r. 554/99), ove viene lasciata alla 186 Capitolo IV mera discrezionalità (diritto potestativo) alla Committente la valutazione di risolvere il contratto d’appalto se in fase esecutiva del contratto siano intervenute condanne penali in giudicato ovvero misure di prevenzione con provvedimento definitivo. La condizione risolutiva anzidetta è, a ben vedere, simile, non perfettamente coincidente, alla vera natura giuridica di della condizione espressa nell’art. 1353 c.c., in cui si sposta l’attenzione sulla volontà delle “parti” che possono prevedere nel contratto l’elemento accidentale: nella previsione dell’art. 135 Codice, invece, è la stessa legge ad operare quasi a livello di contenuto naturale l’inserimento della condizione a favore dell’Amministrazione, di una sua scelta, cioè, di convenienza relativizzata al casus de quo. Riecheggia, ancorché siamo in presenza di un’ipotesi di risoluzione, il paradigma astratto e logico del disposto dell’art. 1441 c.c., cioè «L’annullamento del contratto può essere domandato solo dalla parte nel cui interesse è stabilito dalla legge». Riassumiamo le apparenti ed immediate incongruenze del sistema: – la previsione dell’art. 135 del Codice come scelta per l’Amministrazione di risolvere il contratto (“l’opportunità di procedere alla risoluzione del contratto”) ed il divieto a monte per la stessa Amministrazione di stipulare contatti per le ipotesi ostative elencate nell’art. 38, comma 1 Codice (“e non possono stipulare i relativi contratti”); – l’art. 135 sembra avere natura di condizione risolutiva (elemento futuro ed incerto), cioè un elemento accidentale del contratto direttamente operato, però, dalla legge, quando invece lo stesso Codice all’art. 38, comma 1 pone un espresso divieto di stipulare i relativi contratti (“e non possono stipulare i relativi contratti”) — fissa cioè una norma imperativa inderogabile dalle parti contraenti a pena di nullità del contratto medesimo —, addirittura anche per le ipotesi di minore intensità non ri- Requisiti generali e speciali 187 comprese nel contenuto dell’art. 135 (risoluzione ad nutum a favore della P.A.). Si pensi, ad esempio, nell’art. 38 alla mera sottoposizione al procedimento finalizzato all’irrogazione di una misura di prevenzione (lett. b), oppure al contenuto più ampio e più grave della lett. c), a fronte della parallela dicitura per la fase esecutiva ex art. 135. Ancora più schematicamente: si assiste ad effetti negativi peggiori (nullità) per le ipotesi di minore intensità rispetto a quelle che consentono la scelta in capo alla P.A. di risolvere o meno il contratto; scelta questa da effettuarsi come unica via offerta alla P.A. — Committente in un contratto esecutivo. Una delle due disposizioni appare, logicamente ed a livello speculativo, di troppo; – incongruenza nell’art. 135 del Codice fra rubrica legis (alquanto scarna ed erronea — come era già quella dell’art. 118 del d.p.r. 554/99: si parla di reato e non di condanna irrevocabile!) e contenuto dell’articolo medesimo. In risposta a tutto questo e per tentare di dimostrare come le incongruenze mostrate siano apparenti, va precisato che le previsioni dell’art. 135 del Codice si riferiscono alle ipotesi in cui (cfr. la temporale dell’incipit della norma:” Qualora”) nei confronti dell’appaltatore siano intervenute una o più delle situazioni giuridiche elencate espressamente nel detto articolo. Ben altra ipotesi appare, invece, quella nella quale sia stato annullato il provvedimento di aggiudicazione per la sussistenza accertata di una delle cause di esclusione dalla gara e quindi l’eventuale contratto a valle, per effetto di quell’annullamento, debba in forza del divieto espresso nel comma 1 dell’art. 38 come norma imperativa, considerarsi nullo; in ciò, la violazione del disposto quale norma imperativa dell’art. 38, c. 1 è fondata e provata ex se dall’annullamento dell’atto amministrativo, perché contrario a norme di azione da parte della P.A.: si doveva escludere e non s’è fatto. 188 Capitolo IV c) Relativamente alla causa di cui al comma 1 lett. a), la ratio della norma è quella di evitare che l’esecuzione di lavori pubblici possa essere affidata ad un soggetto in condizioni economicamente precarie. Il r.d. 267/1942 (ed oggi la normativa che ha dettato la rifoma della materia fallimentare, il d.lgs. 5/2006), che disciplina il fallimento, il concordato preventivo e la liquidazione coatta amministrativa, all’art. 5 definisce lo stato di insolvenza tramite i suoi diretti effetti: esso «Si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrano che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni». La norma prevede l’esclusione dalle gare anche di coloro rispetto ai quali sia in corso una di dette procedure concorsuali: da un lato la giurisprudenza ha pressocché ritenuto (prima dell’entrata in vigore del d.p.r. 554/99, si consideri, però, che analoga causa d’esclusione sussisteva già nel d.lgs. 157/95 e nel d.lgs. 358/92) che la “mera pendenza” del ricorso per fallimento presentato dal creditore di un’impresa concorrente ad una gara d’appalto non possa cagionare tout court l’esclusione («La sola presentazione della richiesta di fallimento […] pur presupponendo la titolarità del credito rimane sul piano della sollecitazione dell’apertura della procedura»2); sembrerebbe allora necessario a tal fine e secondo questa linea interpretativa, l’intervento da parte dell’Autorità Giudiziaria almeno nella fase istruttoria3. D’altra parte, invece, va pur considerato che l’Autorità per la Vigilanza sui lavori pubblici nella più recente determinazione n. 13 del 15 luglio 2003 ha sostenuto che la procedura concorsuale possa considerarsi in corso «qualora vi sia stata presentazione di apposita istanza da parte del creditore». Sempre la medesima determinazione n. 13/2003 ha ritenuto che 2. cfr. Cass., sez. I, 22/10/1994, n. 8723. Cfr. anche Cons. Stato 8 giugno 1999, n. 516. 3. cfr. Carbone, Caringella, De Marzo, L’attuazione della legge quadro sui lavori pubblici, Commentario, p. 272. Requisiti generali e speciali 189 l’ipotesi di esclusione in parola sia da applicare anche nell’ipotesi di amministrazione straordinaria (d.lgs. 270/99), sulla base di quanto previsto dall’art. 24 della Direttiva 93/37/CE («[…] ogni altra situazione risultante da una procedura della stessa natura prevista dalle legislazioni e regolamenti nazionali»). Si considerino, infine, sia le modifiche apportate alla legge fallimentare dal “Decreto competitività” (in particolare, del r.d. 267/42 gli artt. 67, 70, 160, 161, 163, 177, 180, 181, 182–bis), sia la riforma del fallimento di cui al d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 6, (GU 16/01/2006, n. 12), che è attuazione della delega ex art. 1 della l. 80/2005. La quasi totalità di queste disposizioni nuove entra in vigore il 16 luglio 2006, mentre alcune sono già direttamente efficaci. d)Misure di prevenzione, sub art. 38, comma 1 lett. b). La lett. b) dell’art. 38 prevede che non possono partecipare alle gare né stipulare i relativi contratti i soggetti: nei cui confronti è pendente procedimento per l’applicazione di una delle misure di prevenzione di cui all’articolo 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423; il divieto opera se la pendenza del procedimento riguarda il titolare o il direttore tecnico, se si tratta di impresa individuale; il socio o il direttore tecnico se si tratta di società in nome collettivo o in accomandita semplice, gli amministratori muniti di poteri di rappresentanza o il direttore tecnico, se si tratta di altro tipo di società”. Le misure di prevenzione vanno distinte assolutamente dalle sanzioni penali; non presuppongono infatti né la commissione di un fatto reato né quindi la conclusione di un procedimento penale. Esse sono applicabili a soggetti che, pur non essendo condannati, imputati, indagati per uno specifico reato, risultano però pericolosi per la sicurezza pubblica (per la nozione di pericolosi comuni cfr. art. 1 della l. 1423/1956). Tali misure si dividono in personali (sorveglianza speciale di p.s. – cfr. art. 3 c. 1 l. 1423/56, art. 2 c. 1 l. 575/1965, art. 18 l. 152/1975 190 Capitolo IV –; sorveglianza speciale di p.s. con divieto di soggiorno; sorveglianza speciale di p.s. con obbligo di soggiorno; soggiorno cautelare) e patrimoniali (sospensione provvisoria dell’amministrazione dei beni personali; confisca; cauzione). Dall’art. 75, lett. b) vengono prese in considerazione solamente le misure di prevenzione personali (in corso di procedimento o irrogate): la dizione della norma, infatti, richiama unicamente l’art. 3 della legge 1423/56. I destinatari delle misure di prevenzione sono i “pericolosi comuni” (coloro che sulla base di elementi di fatto e del loro comportamento risultano: essere abitualmente dediti a traffici delittuosi; vivere, anche in parte, con i proventi delle attività delittuose; essere dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza, la pubblica tranquillità), i “pericolosi politici” (ex art. 18 l. 152/75), i “pericolosi mafiosi” (ex art. 1 l. 575/65), cioè gli indiziati di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso: ad esempio può rientrare tra quest’ultimi indiziati anche chi è stato assolto dal reato di cui all’art. 416–bis c.p.; Gli elementi raccolti a suo carico nel processo penale possono non essere stati così gravi, univoci e concludenti da imporre la condanna. Se essi non si concretano in semplici sospetti o congetture, possono però essere rilevanti e decisivi ai fini di un giudizio sulla pericolosità “mafiosa” del soggetto e cioè sul giudizio che è alla base della applicazione della misura di prevenzione. […] Tra il procedimento penale e il procedimento di prevenzione non esiste infatti un rapporto di dipendenza poiché, mentre il primo mira ad accertare la responsabilità di un soggetto in ordine a un fatto–reato, il secondo mira a dare dello stesso soggetto un “globale” giudizio di pericolosità che può dipendere da elementi di limitato rilievo ai fini della colpevolezza per il fatto specifico, ma indicativi, invece, della complessiva personalità del soggetto4. *** 4. 229. l. D’Ambrosio, Diritto penale per l’attività di polizia giudiziaria, Cedam, 1993, p. Requisiti generali e speciali 191 Occorre ora delineare un quadro unitario composta da: misure di prevenzione, normativa antimafia e cause d’esclusione negli appalti pubblici. Dapprima appare interessante un raffronto: fra le cause di esclusione previste nella vecchia normativa relativa agli appalti di servizi e per le forniture non compare la previsione relativa alle misure di prevenzione; le Direttive Comunitarie precedenti a base della legislazione dei servizi/forniture non conoscevano le misure di prevenzione, che hanno origine propria nel nostro Ordinamento giuridico, specie a far data dal 1956; neanche la stessa Direttiva 18 del 2004, infatti, non riporta nessuna ipotesi riguardante tali misure. Si tenga conto che talvolta solo per prassi nata dal passato, le misure di prevenzione sono ancora denominate misure di polizia. La loro contiguità con il diritto penale è indubbia, pur se la legislazione in parola risulta alquanto stratificata; fra i più significativi interventi si possono elencare: la l. 575/65 (cfr. per gli appalti gli artt. 10, 10–bis e 10–quinquies), la l. 152/75, il d.lgs. 629/82, la l. 646/82 (i cui artt. 21 e 22 sanciscono i reati per subappalto senza autorizzazione e per l’affidamento della custodia dei cantieri installati), la l. 327/88, la l. 55/90 (cfr. per gli appalti gli artt. 17, 18 e 19, così come modificati già dalla l. 415/98 e dalla l. 166/02 art. 7, c. 3, cd. Merloni–quater), il d.lgs. 152/91, il d.lgs. 345/91; il d.lgs. 419/91, il d.lgs. 306/92, la l. 256/93. Come appare evidente, esiste intima connessione fra le disposizioni riguardanti le misure di prevenzione — specie relative alla mafia — e le norme sui lavori pubblici, tanto che, ad esempio, la stessa l. 166/02 aggiunge un periodo al comma 9 dell’art. 18 l. 55/90. Alla luce di questo importante aspetto, faceva un po’ pensare il fatto che l’art. 45 della Direttiva 18 — riferita anche agli appalti di lavori — non menzionasse fra le cause di esclusione le misure di prevenzione: esse comunque sono state previste dall’art. 38 del Codice, il quale comunque all’art. 247 fa salva la legislazione 192 Capitolo IV antimafia anche per le parti modificate inserite dalla legge Merloni, nonostante l’abrogazione espressa della stessa legge Merloni compiuta dall’art. 256 del Codice (nel rispetto della previsione dell’art. 1, comma 4 della legge Merloni stessa). Un ulteriore accenno d’analisi porta la nostra attenzione al più ristretto, ma al contempo complesso, quadro delineato dalla normativa antimafia; si tratta qui di applicare alcuni dei concetti esaminati. Partiamo dall’art. 10 del d.p.r. 252/1998: al comma 1 è previsto come dovere, in deroga (ecco la riforma di quelle regole procedurali) alle disposizioni di cui all’art. 1 dello stesso Decreto ed all’art. 4 del d.lgs. 490/1994 — salvo il divieto di frazionamento previsto al comma 2 dello stesso art. 4 — per le pubbliche amministrazioni, gli enti pubblici e gli altri soggetti ex art. 1, di “acquisire le informazioni di cui al comma 2 del presente articolo, prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti, ovvero prima di rilasciare o consentire le concessioni o erogazioni indicati nell’art. 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575”. Tale dovere acquista rilievo giuridico quando i contratti, subcontratti o le concessioni abbiano valori pari o superiori alle soglie indicate nelle tre lettere successive. Le informazioni sono richieste dall’amministrazione interessata (art. 10, comma 3) ed anche, se intenda, dal soggetto privato interessato o da persona da questi specificamente delegata, previa comunicazione all’amministrazione destinataria (art. 10, comma 6). Un fondamentale aspetto: “Quando, a seguito delle verifiche disposte dal prefetto, emergono elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa nelle società o imprese interessate, le amministrazioni cui sono fornite le relative informazioni, non possono stipulare, approvare o autorizzare i contratti o subcontratti, né autorizzare, rilasciare o comunque consentire le concessioni e le erogazioni”, così sancisce l’art. 10, comma 2. Per conoscere le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa, ai fini del detto comma 2, l’art. 10, comma 7 fissa i pa- Requisiti generali e speciali 193 rametri da cui desumere tutto ciò; tra i parametri di induzione conoscitiva, nella lett. a) compaiono nella prima parte due precisi momenti procedural penali: si desume dai provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio, il che non significa tout court che a seguito di ordinanza cautelare o del decreto che dispone il giudizio (art. 429 c.p.p.) sia stata desunta la situazione di infiltrazione mafiosa. La lettera della legge indica chiaramente che la sedes materiae da cui poter ricavare, se ci sono, elementi inerenti infiltrazione mafiosa, sono l’ordinanza ed il decreto suddetti. Poi la lett. a) del comma 7 dell’art. 10 del d.p.r. 252/98, fa riferimento “generico” a condanne anche non definitive per taluno dei delitti ivi elencati. D’interesse allora è l’ampio genus di provvedimenti di condanna: d’altronde il fine è desumere eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa. Così anche la lett. b) indica più precisamente la desunzione dalla sussistenza del procedimento dalla proposta (e non come più ingenuamente si esprime l’art. 75, c. 1 lett. b del Regolamento: “è pendente procedimento per l’applicazione di una delle misure di prevenzione”) o dal provvedimento di applicazione delle misure di prevenzione, in tal caso solo quelle patrimoniali (sospensione provvisoria dall’amministrazione dei beni personali, la confisca, la cauzione). In conclusione: anche in tali casi, dunque, il divieto è preciso per la P.A. nei confronti dell’aggiudicatario pro–tempore; non possono essere stipulati i relativi contratti d’appalto’, possiamo noi qui specificare sul parallelo dell’art. 38, comma 1 del Codice; in caso di violazione del divieto: nullità del contratto, per illiceità della causa. Ed il sistema è formidabilmente chiuso nella sua coerenza, almeno in questo. Rimane da verificare, poi, la disposizione ex art. 12 dello stesso d.p.r. 252/98, che contiene prescrizioni relative al lavori pubblici, in particolare alle a.t.i. nell’ipotesi in cui per un’impresa 194 Capitolo IV diversa dalla mandataria sia dedotta taluna delle situazioni ex art. 10, comma 7. Un solo spunto di riflessione: nel comma 1 dell’art. 12 si dispone che non operano nei confronti delle altre imprese partecipanti, che abbiano entro 30 giorni sostituito o estromesso la predetta impresa in fumus, le cause di divieto o di sospensione ex art. 10 l. 575/65 e quelle di divieto ex art. 4, comma 6 del d.lgs. 490/94. Altrimenti, la garanzia della sicurezza e dell’ordine pubblico prevalgono su tutto il resto e si assiste ad un’estensione delle cause impeditive agli altri soggetti dell’a.t.i. Il relativo contratto sarebbe anche in questo caso illecito per violazione della norma imperativa ed i soggetti, de facto, non avrebbero — così come tutti gli esclusi dalle gare in genere — una situazione legittimante ed idonea alla formazione del rapporto giuridico: meglio ancora, però, è dire che i soggetti avrebbero, perciò, limitata la propria autonomia. e) Certificato giudiziale e certificato dei carichi pendenti. documentazione sulle misure di prevenzione. Ancora una serie di considerazioni deve essere trattata con riguardo alle situazioni aventi ad oggetto misure di prevenzione e la loro certificazione, soprattutto per la partecipazione alle gare d’appalto pubblico. Un primo aspetto: il d.p.r. 14 novembre 2002, n. 313 riforma l’intera materia relativa al casellario giudiziale ed al casellario dei carichi pendenti; questa normativa di riforma è il Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia, il quale disciplina l’iscrizione, l’eliminazione, la trasmissione e conservazione dei dati, i certificati, le funzioni degli uffici interessati (art. 1). In particolare, la stessa normativa all’art. 2, secondo l’impronta Comunitaria affezionata alle definizioni degli istituti, afferma che il casellario giudiziale è «l’insieme dei dati relativi a provvedimento giudiziari e amministrativi riferiti a soggetti determinati» (art. 2, comma 1, lett. a), mentre il casellario dei Requisiti generali e speciali 195 carichi pendenti è «l’insieme dei dati relativi a provvedimenti giudiziari riferiti a soggetti determinati che hanno la qualità di imputato» (art. 2, comma 1, lett. b). Più nel dettaglio, l’art. 3 elenca i provvedimenti iscrivibili nel casellario giudiziale, fra i quali provvedimenti, ai fini d’interesse per il contenuto dell’art. 38 Codice, vanno segnalati: – alla lett. m): i provvedimenti giudiziari concernenti la riabilitazione (art. 178 c.p.; cfr. art. 38, c. 1 lett. c) Codice); – alla lettera q): i provvedimenti giudiziari che dichiarano fallito l’imprenditore; quelli di omologazione del concordato fallimentare; quelli di chiusura del fallimento; quelli di riabilitazione del fallito; – alla lettera l): i provvedimenti giudiziari definitivi concernenti le misure di prevenzione della sorveglianza speciale semplice o con divieto o obbligo di soggiorno. Come appare ictu oculi, la menzione delle misure di prevenzione nel casellario giudiziale è riferita unicamente per “i provvedimenti giudiziari definitivi”, non già per i medesimi procedimenti in itinere, così come invece è previsto per le condizioni ostative di partecipazione alle gare ex art. 38 c. 1 lett. b) Codice. È altrettanto evidente che il certificato dei carichi pendenti, riportando le iscrizioni certificative relative a provvedimenti giudiziari riferiti a soggetti con la qualifica di imputato, non sia di alcuna importanza ai fini delle valutazioni da parte della Stazione appaltante, visto il tenore della lettera c) comma 1 art. 38 del Codice. Lo stesso art. 38, ai commi 2 e 3 specifica anche quanto era stato già elaborato a livello interpretativo. In tale contesto, va richiamata la chiara ed esaustiva sentenza del TAR Puglia – Lecce, Sez. II, del 19 marzo 2004, n. 2179. Tale provvedimento del giudice amministrativo va letto, però, secondo il principio del tempus regit actum, non vigendo al momento dei fatti de quibus l’art. 77–bis d.p.r. 445/2000 (Applicazioni di 196 Capitolo IV norme), inserito dall’art. 15 della l. 3/2003; infatti, grazie all’entrata in vigore di tale norma “le disposizioni in materia di documentazione amministrativa contenute nei capi II e III si applicano a tutte le fattispecie in cui sia prevista una certificazione o altra attestazione, ivi comprese quelle concernenti le procedure di aggiudicazione e affidamento di opere pubbliche o di pubblica utilità, di servizi e di forniture, ancorché regolate da norme speciali”, quanto a dire i commi 2 e 3 dell’art. 38 del Codice. f) La lett. c) dell’art. 38 del Codice. Aspetti rilevanti di procedura penale. Non possono partecipare alle gare né stipulare i contratti d’appalto relativi, i soggetti nei cui confronti è stata pronunciata sentenza penale di condanna passata in giudicato, oppure di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale, per reati che incidono sull’affidabilità morale e professionale. […] Resta salva in ogni caso l’applicazione dell’articolo 178 del codice penale e l’articolo 445, comma 2, del codice di procedura penale. Sentenza di condanna passata in giudicato, cioè la sentenza per cui sia trascorso il tempo previsto dalla legge e che quindi sia divenuta esecutiva (non sia stata impugnata ovvero siano esauriti i tre gradi di giudizio); patteggiamento (art. 444 c.p.p.): procedimento speciale per il quale l’imputato ed il pubblico ministero, d’accordo tra loro, richiedono al giudice l’applicazione di una sanzione: la pena, che non può superare i due anni di reclusione, non viene determinata dal giudice, ma concordata dalle parti. Riguardo al “patteggiamento” o per dire più correttamente “Applicazione della pena su richiesta” delle parti, ci sono alcuni aspetti che devono essere evidenziati. Primariamente perché nella lett. c) il Legislatore lo ha accomunato alle sentenze penali di condanna passate in giudicato; a tal proposito la giurisprudenza della Cassazione ha uniformemente interpretato che la sentenza ex art. 444 c.p.p. Requisiti generali e speciali 197 non è una vera e propria sentenza di condanna essendo a questa equiparata solo a determinati fini […]. La particolare natura delle sentenze […] comporta che ad essa non possa applicarsi integralmente il modello dell’art. 546 c.p.p. Se da un lato non è sufficiente che il giudice si limiti a dare atto di conformarsi alla richiesta delle parti, ma deve esporre concisamente i motivi della decisione, dall’altro egli non è tenuto ad indicare le prove poste a base della decisione né ad enunciare le ragioni per cui ritiene non attendibili le prove contrarie (Cass. Sez. Unite, 27/5/1992). Esiste il principio di innocenza o di non colpevolezza che la Costituzione stabilisce all’art. 27, comma 1: «L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva»; a tal proposito si consideri che l’art. 648 e l’art. 650 del codice di procedura penale stabiliscono i principi cardine a proposito del giudicato. Tali articoli, soprattutto l’art. 648, devono essere tenuti in debita considerazione da parte delle Stazioni appaltanti al fine di individuare della sussistenza o meno della causa di esclusione di cui alla lettera c); infatti l’art. 648 c.p.p. detta chiaramente e in modo sistematico le regole per definire le sentenze (ovviamente di condanna nel caso dell’art. 38 del Codice) irrevocabile. Così l’art. 648 c.p.p.: 1. Sono irrevocabili (rectius: passate in giudicato) le sentenze pronunciate in giudizio contro le quali non è ammessa impugnazione diversa dalla revisione. 2. Se l’impugnazione è ammessa, la sentenza è irrevocabile quando è inutilmente decorso il termine per proporla (si veda a tal proposito il contenuto dell’art. 585 c.p.p. “Termini per l’impugnazione”) o quello per impugnare l’ordinanza che la dichiara inammissibile. […] Il decreto penale di condanna (l’art. 459 c.p.p. fissa i casi di procedimento per decreto e l’art. 460 i requisiti del decreto stesso) è irrevocabile quando è inutilmente decorso il termine per proporre opposizione o quello per impugnare l’ordinanza che la dichiara inammissibile. 198 Capitolo IV Inoltre, va detto che il d.p.r. 313/2002 (Testo Unico in materia di casellario giudiziale e certificato carichi pendenti), all’art. 2, comma 1 lett. g) definisce il provvedimento giudiziario definitivo come «il provvedimento divenuto irrevocabile, passato in giudicato o, comunque, non più soggetto a impugnazione con strumenti diversi dalla revocazione». Un inciso: con riguardo al citato “decreto penale di condanna”, il TAR Liguria, II, 15/4/2002, n. 432 ha interpretato come illegittima l’ammissione a partecipare all’appalto mediante licitazione privata di forniture di pasti preconfezionati per reparti di degenza a mense per personale ASL, nei riguardi di una Ditta per la quale erano stati emanati tre decreti penali di condanna causati dalla violazione di igiene nella produzione e vendita delle sostanze alimentari. Da ciò, consegue che il decreto penale di condanna (per il caso di sola sanzione pecuniaria) anche se non è una sentenza strictu iure è comunque una decisione motivata assimilabile alla sentenza. Ma, a tal proposito deve, inoltre, considerarsi quanto espresso dall’Autorità per la Vigilanza sui lavori pubblici nella determinazione n. 13 del 15 luglio 2003: […] In conformità all’orientamento del giudice amministrativo di appello (Cons. di Stato, Sez. V, n. 5523/2002), le condanne che incidono sull’affidabilità morale e professionale, indipendentemente dalle modalità di irrogazione della sanzione, stante la formula generica adoperata dall’art. 75, consentono all’Amministrazione una lata valutazione discrezionale del caso concreto per stabilire la rilevanza o meno di una data condanna penale, ancorché questa sia estranea alla qualità dell’imprenditore. Dal che consegue l’obbligo del partecipante alle gare di dichiarare anche i decreti penali di condanna. Dell’esercizio da parte dell’Amministrazione del potere discrezionale di valutazione dei reati degli interessati, si deve dare contezza con idonea e congrua motivazione; motivazione ancor più puntuale nei casi di decreto penale di condanna ex art. 459 c.p.p., atteso che in tali ipotesi l’applicazione della Requisiti generali e speciali 199 pena avviene eccezionalmente per reati di particolare tenuità che comportano l’irrogazione di una pena pecuniaria, anche se inflitta in sostituzione di pena detentiva, per cui la condanna inflitta con il rito del decreto penale non fa emergere elementi particolarmente sintomatici di una scarsa moralità professionale (Cons. di Stato, Sez. V, n. 5517/2001). Tutto ciò considerato, appare allora chiaro che la condizione ostativa di cui al c. 1 dell’art. 38 del Codice si concretizza solamente in presenza di sentenze penali di condanna o di patteggiamento, divenuti irrevocabili. Perciò a nulla rileva la qualifica di imputato o la condizione di indagato relativamente al soggetto partecipante alla gara d’appalto. Appare utile, forse, a tal proposito evidenziare la differenza voluta dal legislatore fra procedimento e processo penale: con il termine processo si fa riferimento alla sola fase posteriore all’esercizio dell’azione penale, mentre con il termine procedimento si intende l’unità concettuale composta sia dalla fase processuale sia dalle indagini preliminari. Questo scenario è correlato al principio della separazione delle fasi, il quale sottolinea la separazione netta tra la fase in cui le prove vengono solamente cercate (indagini) da quella in cui esse vengono formate (dibattimento); a tale principio si aggiunge anche quello della non dispersione dei mezzi di prova (C. Cost. 3/6/1992, n. 255). Parallelamente, anche il termine imputato viene utilizzato per qualificare il soggetto nei confronti del quale l’azione penale è stata esercitata (art. 60 c.p.p.), mentre la locuzione di “persona sottoposta alle indagini” (indagato) indica il soggetto nei cui confronti vengono svolte le indagini, le investigazioni e che diviene tale dal momento dell’iscrizione del suo nome nel registro ex art. 335 c.p.p. In conclusione, allora, va ribadito come sia del tutto ininfluente ai fini della eventuale esclusione dalle gare d’appalto la qualifica di indagato o di imputato che i soggetti indicati nella lett. c) dell’art. 38 del Codice potrebbero rivestire al momento della partecipazione alla gara stessa. In passato, prima anche del Regolamento d’attuazione del 200 Capitolo IV 1999, talune sentenze del giudice amministrativo avevano considerato legittimi i provvedimenti con cui alcune stazioni appaltanti avevano escluso dalla gara dei concorrenti indagati dalla competente procura della repubblica; la giustificazione del riconoscimento della legittimità di quei provvedimenti era stata individuata dai giudici amministrativi sulla base della discrezionalità e della fiducia necessaria in un contratto d’appalto pubblico. Il problema interpretativo, per quanto discutibile a mio modo di vedere visto il disposto della Carta Costituzionale, comunque attualmente non sussiste più, giusta la previsione dell’art. 38, comma 1 lett. c). Ecco alcuni Cenni schematici sulle cause di estinzione del reato e cause d’estinzione della pena, utili a livello pratico. a) Le cause di estinzione del reato sono: morte del reo, amnistia, prescrizione, oblazione, remissione di querela, sospensione condizionale della pena; perdono giudiziale; sospensione del processo con messa alla prova; a queste si aggiunge come altra causa di estinzione del reato la previsione dell’art. 445 c.p.p. (richiamato dall’art. 38 c. 1 lett. c) del Codice), cioè il reato per il quale è intervenuta la condanna patteggiata si estingue se nel termine di 5 anni (per delitto) o di 2 anni (per contravvenzione) dalla sentenza emessa su “patteggiamento” (cfr. Cass. Penale, Sez. III, 6/7/2000, n. 2674), il condannato non commette un reato della stessa indole in relazione a quello patteggiato «La situazione di fatto da cui origina la suddetta causa di estinzione del reato — (ex 445 cp.p.) — per divenire condizione di diritto abbisogna, per espressa statuizione di legge, dell’intervento “ricognitivo” del giudice dell’esecuzione, il quale è tenuto […] ad emettere il relativo provvedimento[…]», cfr. infra Cass. Pen. Sez. IV, 27/2/2002, n. 11560). Inoltre, la Cassazione penale, Sez. I, 5/2/2004, n. 10028 ha precisato che la decisione per la riabilitazione sia di competenza del giudice dell’esecuzione (Tribunale – g.i.p.) in deroga all’art. 683 c.p.p., in quanto questo per l’attribuzione delle competenze del giudice di sorveglianza (Tribunale Requisiti generali e speciali 201 di Sorveglianza) fa riferimento alle “condanne”, mentre il patteggiamento è una pronuncia sui generis. b)Vi sono poi le cause di estinzione della pena (che comunque non incidono sulla potestà punitiva dello Stato, ma sulla pena già concretamente inflitta al soggetto con la sentenza definitiva di condanna); fra queste compare la Riabilitazione (art. 178 c.p., richiamato dalla lettera c) dell’art. 38 in esame): ha finalità di sottrarre il condannato, che si sia ravveduto, a quegli effetti penali che ne potrebbero pregiudicare il normale reinserimento nella società: è concessa quando siano trascorsi 5 anni dal giorno in cui la pena principale è stata eseguita o si sia estinta in altro modo. Le cause di estinzione della pena, oltre alla su menzionata riabilitazione, sono: la morte del reo dopo la condanna definitiva; l’amnistia impropria; l’estinzione della pena per decorso del tempo; l’indulto; la grazia; la non menzione della condanna definitiva nel certificato del casellario giudiziale; la liberazione condizionale. Facendo ora riferimento alla cd. riabilitazione, il codice di procedura penale all’art. 683 stabilisce che: «1. Il tribunale di sorveglianza, su richiesta dell’interessato, decide sulla riabilitazione, anche se relativa a condanne pronunciate da giudici speciali, quando la legge non dispone altrimenti. Decide altresì sulla revoca, qualora essa non sia stata disposta con la sentenza di condanna per altro reato. 2. Nella richiesta sono indicati gli elementi dai quali può desumersi la sussistenza delle condizioni previste dall’articolo 179 del codice penale. Il tribunale acquisisce la documentazione necessaria. 3. Se la richiesta è respinta per difetto del requisito della buona condotta, essa non può essere riproposta prima che siano decorsi due anni dal giorno in cui è divenuto irrevocabile il provvedimento di rigetto». Da un punto di vista sostanziale, l’art. 178 del codice penale stabilisce che: «La riabilitazione (di cui all’art. 683 c.p.p.) estingue le pene accessorie (di cui all’art. 19 c.p.) ed ogni altro effetto penale della condanna, salvo che la legge disponga altrimenti». 202 Capitolo IV A proposito degli effetti penali della riabilitazione e per comprenderne l’intensità, va detto che l’art. 106 c.p., al comma due vieta la possibilità che il giudice tenga conto, agli effetti della recidiva (art. 99 c. p) e della dichiarazione di abitualità (artt. 102–104 c.p.) o di professionalità nel reato (art. 105 c.p.), delle condanne per le quali è intervenuta la causa che estingue anche gli effetti penali, cioè la riabilitazione. Infine, l’art. 179 c.p. fissa le condizioni per la riabilitazione: [I] la riabilitazione è conceduta quando siano decorsi almeno tre anni dal giorno in cui la pena principale sia stata eseguita o siasi in altro modo estinta, e il condannato abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta(2); [II] il termine è di almeno otto anni se si tratta di recidivi, nei casi preveduti dai capoversi dell’articolo 99; [III] il termine è di dieci anni se si tratta di delinquenti abituali, professionali o per tendenza e decorre dal giorno in cui sia stato revocato l’ordine di assegnazione ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro; [IV] qualora sia stata concessa la sospensione condizionale della pena ai sensi dell’articolo 163, primo, secondo e terzo comma, il termine di cui al primo comma decorre dallo stesso momento dal quale decorre il termine di sospensione della pena; [V] qualora sia stata concessa la sospensione condizionale della pena ai sensi del quarto comma dell’articolo 163, la riabilitazione è concessa allo scadere del termine di un anno di cui al medesimo quarto comma, purché sussistano le altre condizioni previste dal presente articolo; [VI] La riabilitazione non può essere conceduta quando il condannato: 1) sia stato sottoposto a misura di sicurezza, tranne che si tratti di espulsione dello straniero dallo Stato ovvero di confisca, e il provvedimento non sia stato revocato; 2) non abbia adempiuto le obbligazioni civili derivanti dal reato, salvo che dimostri di trovarsi nella impossibilità di adempierle. Inoltre, occorre precisare che il d.p.r. 14 novembre 2002, n. 313 riforma l’intera materia relativa al casellario giudiziale ed al casellario dei carichi pendenti; questa normativa di riforma è il Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia, il quale disciplina Requisiti generali e speciali 203 l’iscrizione, l’eliminazione, la trasmissione e conservazione dei dati, i certificati, le funzioni degli uffici interessati (art. 1). In particolare, la stessa normativa all’art. 2, secondo l’impronta Comunitaria affezionata alle definizioni degli istituti, afferma che il casellario giudiziale è «l’insieme dei dati relativi a provvedimento giudiziari e amministrativi riferiti a soggetti determinati» (art. 2, comma 1, lett. a), mentre il casellario dei carichi pendenti è «l’insieme dei dati relativi a provvedimenti giudiziari riferiti a soggetti determinati che hanno la qualità di imputato» (art. 2, comma 1, lett. b). Più nel dettaglio, l’art. 3 alla lett. m), elenca i provvedimenti iscrivibili nel casellario giudiziale, fra i quali provvedimenti, ai fini d’interesse per il contenuto dell’art. 38 Codice, sono indicati anche i provvedimenti giudiziari concernenti la riabilitazione (art. 178 c.p.; cfr. art. 38, c. 1 lett. c) Codice). A tal proposito, la Corte di cassazione ha ultimamente affermato che: Tra le conseguenze della estinzione di ogni effetto penale della condanna a seguito di riabilitazione, non rientra la cancellazione dell’iscrizione della sentenza dal casellario, perché non prevista tra le cause di eliminazione dall’art. 687 c.p.p. e, inoltre, l’art. 686 c.p.p. stabilisce che il provvedimento di riabilitazione deve essere annotato nel casellario, ed, infine, l’art. 689 comma 2 n. 4 c.p.p., già prevede che i certificati penali rilasciati all’interessato non contengano le condanne per le quali è intervenuta riabilitazione (Cassazione penale, sez. III, 04 luglio 2003, n. 35078)5. Ciò detto con riguardo alle due norme che l’ultima parte della lett. c) del comma 1 dell’art. 38 del Codice indica espressamente, per offrire un quadro sintetico delle cause di estinzione della punibilità si può delineare quanto segue. Una prima distinzione nella generale classificazione si fonda sull’esistenza o meno della sentenza definitiva di condanna; su tale pre5. Cfr. per quanto sino ad ora detto, cfr. V. Capuzza, Figure di procedura penale per gli appalti pubblici, in «Rivista Amministrativa della Repubblica Italiana», 2007. 204 Capitolo IV supposto, allora, le cause estintive previste nel codice penale (e quella prevista nell’artt. 445, comma 2 del codice di procedura penale) si diversificano a seconda dell’alveo della propria incidenza: la pena ovvero il reato. Le cause estintive del reato sono quelle che estinguono la potestà statale di applicare la pena minacciata, la c.d. punibilità in astratto […], cioè la possibilità giuridica di applicare le conseguenze penali del reato o talune di esse. La cause estintive della pena estinguono, invece, la c.d. punibilità in concreto, cioè il concretizzatasi nella pena irrogata con la sentenza di condanna esecutiva. Nel primo caso lo Stato rinuncia ad applicare la sanzione penale minacciata dalla norma, nel secondo alla esecuzione della pena inflitta dal giudice6. Le caratteristiche generali e comuni ad entrambe le categorie di cause estintive della punibilità possono essere così riassunte7: – l’estinzione del reato o della pena non comporta l’estinzione delle obbligazioni civili derivanti dal reato, salvo le obbligazioni indicate negli articoli 196 e 197 c.p.; – sulla base degli arrt. 182 e 183 c.p., l’efficacia è personale; – in caso di concorso con una causa estintiva della pena, pur se intervenuta successivamente, sussiste la prevalenza della causa estintiva del reato; – è previsto il cumulo degli effetti estintivi, cioè nel caso avvenga un concorso in tempi diversi di cause estintive del reato o della pena, la causa antecedente estingue il reato o la pena e quella successiva agisce sugli eventuali effetti rimasti in via residuale; – nell’ipotesi di concorso contemporaneo fra più cause estintive, è prevista l’estinzione del reato o della pena per effetto della causa estintiva più favorevole (ad esempio, nell’ipotesi di concorso fra 6. 7. F. Mantovani, Diritto penale, 1992, p. 825. Cfr. Mantovani, op. cit., p. 826. Requisiti generali e speciali 205 amnistia e remissione di querela, la più favorevole è quest’ultima in quanto evita che il soggetto interessato sia sottoposto a procedimento penale); – la dichiarazione della causa estintiva (in specie, ovviamente, quella che estingue il reato) ha efficacia immediata, in qualsiasi grado e stato del procedimento (129 c.p.p.). Sul piano degli effetti penali della condanna, intendendo con essi «le conseguenze negative che derivano de jure dalla condanna stessa, diverse dalle pene principali, dalle pene accessorie e dalle misure di sicurezza»8, va precisato che, per parte della dottrina9 non ritiene, pur in presenza dell’art. 20 c.p., che tecnicamente le pene accessorie rientrino fra gli effetti penali della condanna, sostenendo che quest’ultimo sono una conseguenza della condanna e non coincidono con la pena. In ogni modo, sono compresi nell’ampia classificazione degli effetti penali: l’impossibilità di ottenere la sospensione condizionale per chi ha già riportato una certa condanna per altro reato; la qualifica di recidivo; la qualifica di delinquente abituale o professionale; l’impossibilità di partecipare a concorsi pubblici o ad esercitare determinate attività, come conseguenza di condanna penale. Tali effetti penali della condanna, in genere, non vengono meno con il verificarsi delle cause estintive del reato e della pena, ma solamente con la riabilitazione del condannato10 e per gli effetti definiti dall’art. 445, comma 2 c.p.p. come conseguenza del c.d. patteggiamento, in riferimento al quale “Vari gli incentivi all’autosottomissione: questo provvedimento esclude la condanna alle spese del procedimento, pene accessorie, misure di sicurezza (meno la confisca obbligatoria), purchè la pena detentiva non superi i due anni; in deroga agli artt. 651 e 654, non ha autorità extrapenale neppure quando risulti emesso a 8. Mantovani, op. cit., p. 806. 9. Cfr. sul punto Larizza, Effetti penali della sentenza penale di condanna, in Dig., IV, 1990. 10. Mantovani, op. cit., pp. 806–807. 206 Capitolo IV cognizione piena, dopo un dibattimento, ma costituisce giudicato in sede disciplinare (previsione interpolata dagli artt. 1 sg l. 27 marzo 2001 n. 97, negli artt. 455 comma 1 e 653, comma 1–bis, rectius 2). Non figura sul certificato del casellario richiesto dall’interessato (art. 689, comma 1 lett. e): se poi in dati termini […] la persona de qua non commette un reato della stessa indole, «il reato è estinto” e cade “ogni effetto penale”, alla predetta condizione, che la pena non superi i 2 anni. E applicate pene pecuniarie o sanzioni sostitutive, il precedente non osta alla sospensione della pena, nemmeno fosse stata concessa allora»11. Dunque, relativamente alla cessazione degli effetti penali della condanna rilevano, in genere, proprio i due articoli (178 c.p. e 445, comma 2 c.p.p.) che sono indicati espressamente nell’ultima parte della lett. c) del comma 1 dell’art. 38 del Codice de Lise. Alla luce di tale quadro, solo in forza una ratio coordinatrice ed uniformatrice sembra spiegarsi questa indicazione delle due suddette norme penali nella lett. c) c. 1 dell’art. 38: ognuna di esse, infatti, ex se opererebbe comunque anche nelle procedura di gara ad evidenza pubblica anche se il Legislatore in materia non le avesse richiamate. Di contro, se vi fossero in astratto altre cause per le quali anche gli effetti penali della condanna venissero meno, pure in tali ipotesi — è ragionevole affermarlo — opererebbero nell’ambito delle gare d’appalto a fronte della non indicazione nell’art. 38, c. 1 lett. c). Come conseguenza di quanto sino ad ora descritto, si ritiene utile trattare qualche altro aspetto della materia. Può risultare dal certificato del casellario giudiziale prodotto da un’impresa in sede di gara che sia stato concesso alla persona fisica interessata il beneficio della sospensione condizionale della pena ai sensi dell’art. 163 c.p.; tale sospensione, come già visto poco sopra, è una della cause di estinzione del reato previste nel codice penale e consiste nel sospendere l’esecuzione della pena inflitta dal giudice con la sentenza di condanna a condizione che, per un determinato perio11. F. Cordero, Procedura penale, VIII edizione, pp. 1048–1049. Requisiti generali e speciali 207 do di tempo (c.d. periodo di prova), il condannato non commetta altri reati12. La sospensione condizionale della pena produce come effetto la sospensione della esecuzione della pena per il termine di 5 anni se la condanna è per delitto e di 2 anni se per contravvenzione. Se il periodo di prova si conclude positivamente, il reato è estinto, mentre invece l’effetto sospensivo della esecuzione della pena cessa e la sospensione viene sottoposta a revoca se nei termini fissati (appunto, cinque anni per delitti e due per contravvenzioni) il soggetto incorre in nuove condanne. Anche in tal caso, va precisato che la sospensione condizionale comporta come effetti il beneficio della sospensione della pena principale per i termini suddetti riguardanti i delitti e le contravvenzioni (e si estende alle pene accessorie a sèguito della l. 19/90), ma non si estende invece agli altri effetti penali della condanna, fra i quali, come già detto, sono comprese l’impossibilità di partecipare a pubblici concorsi o ad esercitare determinate attività come conseguenza di condanna penale e l’iscrizione al casellario giudiziale. Da ciò si evince che la sospensione ex art. 163 c.p. non esclude l’applicabilità della lett. c) comma 1 dell’art. 38 Codice se i reati, per i quali sia stata inflitta la condanna penale passata in giudicato, incidano sulla moralità professionale dei soggetti indicati dalla stessa norma del Codice. E proprio su tale incidenza eventuale dei reati sulla moralità professionale occorrerà allora, in tale ipotesi, da parte della Stazione appaltante soffermare l’attenzione. A tale riguardo, ai fini cioè della valutazione dell’incidenza dei reati sulla moralità professionale appare anche utile continuare a riferirsi alle indicazioni esposte nella Circolare ministeriale 1/3/00 n. 182/400/93 e nelle Deliberazioni dell’Autorità di Vigilanza per i LL. PP. 47/00, 56/00 (relative ai requisiti generali per l’ottenimento dell’attestazione SOA), 13/0313. 12. Cfr. L. D’Ambrosio, Diritto penale, op. cit. 13. Sul tema che qui segue, cfr. ampiamente, V. Capuzza, Considerazioni di diritto penale nella materia degli appalti pubblici alla luce del d.lgs. 163/06, in Rassegna dell’Arma dei Carabinieri, n. 2/2007, p. 7 e ss. 208 Capitolo IV La prima Circolare chiarisce che, al fine di individuare i reati in questione, “può a titolo indicativo assumersi ad esempio l’elencazione delle tipologie di reato contenuta nell’art. 27, comma 2, lettera q) (del d.p.r. 34/00)”. Tale norma, a sua volta, fa riferimento ai reati contro la p.a., l’ordine pubblico, la fede pubblica e il patrimonio. L’Autorità di Vigilanza (Deliberazione n. 56/00, punto 3), in linea con la Circolare ministeriale, pur affermando che i reati che incidono sulla moralità professionale devono intendersi quelli contro la pubblica amministrazione, (libro secondo, titolo II, del codice penale), l’ordine pubblico (libro secondo, titolo V, del codice penale), la fede pubblica (libro secondo, titolo VI, del codice penale), il patrimonio (libro secondo, titolo XIII, del codice penale) aggiunge e, comunque, quelli relativi a fatti la cui natura e contenuto sono idonei ad incidere negativamente sul rapporto fiduciario con la stazione appaltante per la inerenza alla natura delle specifiche obbligazioni dedotte in contratto. In ambedue le circolari, si fa, dunque, riferimento a precise categorie di reati previste dal codice penale e, comunque, a quei reati per i quali venga specificamente provato (e, conseguentemente motivato da parte dell’Amministrazione), che si riferiscono a fatti il cui carattere e contenuto siano idonei a pregiudicare negativamente il rapporto fiduciario con la stazione appaltante, in quanto collegabili alla natura delle obbligazioni proprie dei contratti di appalto; l’incidenza delle condanne sull’elemento fiduciario deve essere apprezzato traendo elementi di valutazione dai concreti contenuti della fattispecie, dal tempo trascorso dalla condanna e da eventuali recidive (Autorità di Vigilanza, Determinazione n. 47/00, punti 6 e 7). Quanto ora esposto nelle Determinazioni citate, è stato ribadito dall’ultima Determinazione dell’Autorità, la n. 13 del 2003, in cui vie- Requisiti generali e speciali 209 ne ribadita la discrezionalità valutativa dell’amministrazione in ipotesi delittuose non elencate nel d.p.r. 34/2000, la quale scelta deve essere ispirata ai parametri dell’agire amministrativo e dell’interesse pubblico, esplicitati in idonea ed adeguata motivazione. In particolare, l’Autorità stabilisce che: va richiamata la determinazione dell’Autorità n. 56 del 13 dicembre 2000 che, concordando con le indicazioni di cui alla circolare del Ministero dei lavori pubblici del 1° marzo 2000, n. 182/400/93, ha ritenuto che influiscono sull’affidabilità morale e professionale del contraente i reati contro la pubblica amministrazione, l’ordine pubblico, la fede pubblica ed il patrimonio, se relativi a fatti la cui natura e contenuto siano idonei ad incidere negativamente sul rapporto fiduciario con le stazioni appaltanti per la loro inerenza alle specifiche obbligazioni dedotte in precedenti rapporti con le stesse. La mancanza, tuttavia, di parametri fissi e predeterminati e la genericità della prescrizione normativa lascia un ampio spazio di valutazione discrezionale per la stazione appaltante che consente alla stessa margini di flessibilità operativa al fine di un miglior apprezzamento delle singole concrete fattispecie, con considerazione di tutti gli elementi delle stesse che possono incidere sulla fiducia contrattuale, quali ad. es. l’elemento psicologico, la gravità del fatto, il tempo trascorso dalla condanna, le eventuali recidive. Siffatta discrezionalità è, tuttavia, limitata dalla previsione della norma secondo cui è fatta salva, in ogni caso, l’applicazione degli artt. 178 del codice penale e 445 del codice di procedura penale, riguardanti, rispettivamente, la riabilitazione e l’estinzione del reato per decorso del tempo nel caso di applicazione della pena patteggiata. Analogamente ed all’opposto, non potrà essere fatta alcuna valutazione discrezionale della concreta fattispecie, dovendosi automaticamente escludere il concorrente, nel caso di ricorrenza delle ipotesi di cui all’art. 32 quater codice penale (malversazione, corruzione, etc.), implicante una “incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione”, nonché di quella di irrogazione di sanzione interdittiva nei confronti della persona giuridica emessa ai sensi del d.lgs. 8 giugno 2001 n. 231 per reati contro la pubblica amministrazione o il patrimonio commessi nell’interesse o a vantaggio della persona giuridica medesima. Peraltro, trattandosi di classificazioni che incidono gravemente sul diritto di partecipazione alle gare pubbliche e di derivazione penali- 210 Capitolo IV stica esse sono di strettissima interpretazione, non essendo possibile ricorrere alla analogia. A seguito di tale analisi, va ancora precisato che, essendo vaga e generica la dizione di “reati che incidono sulla moralità professionale” di cui all’art. 38, lett. c) in commento, è indispensabile quantomeno che l’Amministrazione, laddove si determini a penalizzare specifici comportamenti che non rientrino nelle quattro categorie sopra evidenziate (reati contro la p.a., la fede pubblica, l’ordine pubblico, il patrimonio), stabilisca i criteri, mediante la loro evidenziazione in motivazione, in base ai quali effettuare tale selezione. La giurisprudenza, a tal proposito, è stata chiara nel censurare comportamenti dell’Amministrazione di mero rinvio al tipo ed al titolo di reato, senza ulteriore approfondimento e senza una motivazione dell’iter logico–giuridico seguito. Direttamente connessa alla necessità del «miglior apprezzamento delle singole concrete fattispecie, con considerazione di tutti gli elementi delle stesse che possono incidere sulla fiducia contrattuale» chiaramente affermata nella citata Determinazione n. 13/2003 dell’Autorità anche il Consiglio di Stato (Sez. V, 01 marzo 2003, n. 1145) ha affermato che: la Sezione ha di recente messo in luce al riguardo, seppur precipuamente in ordine a fattispecie relative ad appalti di lavori pubblici, come nella sua ampiezza ed elasticità il concetto di moralità professionale presupponga la realizzazione di un reato pienamente idoneo a manifestare una radicale e sicura contraddizione coi principi deontologici della professione, tenendo presente che la valutazione de qua non deve cristallizzarsi in criteri astratti e automatici, dovendosi invece essa adattare alle peculiarità del caso concreto, riferite tanto alle caratteristiche dell’appalto, quanto al tipo di condanna ed alle concrete modalità di commissione del reato (cfr. Cons. Stato, V, 18 ottobre 2001, n. 5517 e 25 novembre 2002, n. 6482) […]. Nella specie, la stazione appaltante, come può evincersi dalle stringata formula assunta a verbale, non ha dato in alcun modo conto della disamina di alcuni pur rilevanti connotati concreti della fattispecie penale chiamata in causa, circa, a titolo di esempio, la natura dei fatti addebitati, la natura contravvenzionale del reato, l’irrogazione di una pena solo pecuniaria di certo non particolarmente cospicua, le Requisiti generali e speciali 211 vicende relative al soggetto condannato, non da ultimo la rilevanza concreta del precedente penale sull’affidabilità del servizio del svolgere. Ma non risulta accettabile, data doverosa attenzione alle peculiari connotazioni della fattispecie in argomento, che l’esclusione dalla gara si sia basata solamente su un freddo e semplice richiamo del tipo di reato e della sua attinenza alla materia dell’appalto, senza dunque dare adeguata contezza di aver proceduto ad un prudente apprezzamento delle ragioni che, nel concreto, precludevano l’eventuale affidamento del servizio in ragione del “precedente penale” stesso. L’esclusione della reclamante doveva conseguire ad un esercizio minimo di autonoma valutazione del giudicato penale a carico e non, automaticamente, alla sua mera esistenza e classificazione, come risulta, invece, essere illegittimamente avvenuto alla stregua del verbale delle operazioni della Commissione di gara […]. I margini di insindacabilità attribuiti all’esercizio del potere discrezionale dell’Amministrazione appaltante di valutare una condanna penale ai fini dell’esclusione da una gara d’appalto, evidentemente ampliati dal mancato rinvenimento nella normativa vigente di parametri fissi e predeterminati ai quali attenersi ai fini di detta valutazione (cfr., in tema, Cons. Stato, VI, 30 gennaio 1998, n. 125), non consentono comunque al pubblico committente di prescindere dal dare contezza di aver effettuato la suddetta disamina e dal rendere conoscibili gli elementi posti alla base della eventuale definitiva determinazione espulsiva. […]. Anche in questo caso, in definitiva, pur dovendosi riconoscere la sussistenza di un legame oggettivo tra fattispecie penale e materia oggetto dell’appalto, non poteva accedersi ad una valutazione di compromissione della moralità professionale della società ricorrente postulata del tutto acriticamente (e immotivatamente) dalla stazione appaltante, senza che cioè si desse conto, nel dettaglio, della fattispecie punita, della sanzione irrogata e dell’atteggiamento soggettivo colposo che, come minimo, doveva aver contraddistinto la condotta realizzante la fattispecie contravvenzionale (art. 42, ultimo comma, cod. pen.). Fra le altre cause estintive che possono essere qui utilmente esaminate, non può tralasciarsi quella dell’indulto, non perché non configuri causa d’esclusione dalle gare ex art. 38, tutt’altro; ma perché può avere qualche rilevanza ai fini della possibilità di ottenimento della riabilitazione. In particolare, l’indulto (art. 174 c.p.) consiste nel condono di tutta la pena o di parte di essa (ma non delle pene accessorie) e per sua 212 Capitolo IV natura è diretto alla generalità dei condannati rientranti però nelle previsioni che il singolo provvedimento di indulto prevede14; esso è un altro modo di estinzione della pena ed opera (sempre che il soggetto interessato rientri nei canoni fissati dal singolo provvedimento di indulto) ai fini del calcolo temporale — come dies a quo — dei tre anni per eventuali provvedimenti di riabilitazione (art. 178 c.p.). Nelle previsioni del recente provvedimento di indulto operato con la l. 241/2006 è stabilito nell’art. 1, comma 1 che, fermo restando che le pene pecuniarie inflitte congiuntamente alla reclusione non siano state superiori a 10.000,00 euro, («è concesso indulto, per tutti i reati commessi fino a tutto il 2 maggio 2006, nella misura non superiore a tre anni per le pene detentive e non superiore a 10.000 euro per quelle pecuniarie sole o congiunte a pene detentive»). Come è noto, l’indulto trova la sua applicazione sia in riferimento a soggetti che abbiano riportato una sola condanna relativamente ad un solo reato, sia a soggetti che hanno riportato una o più condanne relativamente ad una pluralità di reati. In particolare, va detto che nell’ipotesi del concorso dei reati sono ricompresi tanto i casi di condanna per più reati con un’unica sentenza di condanna, sia i casi di concorso di pene inflitte con sentenze diverse secondo quanto dispone l’art. 80 del codice penale: «Le disposizioni degli articoli precedenti si applicano anche nel caso in cui, dopo una sentenza o un decreto di condanna, si deve giudicare la stessa persona per un altro reato commesso anteriormente o posteriormente alla condanna medesima, ovvero quando contro la stessa persona si debbono eseguire più sentenze o più decreti di condanna». Inoltre, l’art. 174, comma 2 del c.p. prevede il c.d. principio dell’applicazione unitaria dell’indulto, secondo il quale nel caso di concorso il beneficio dell’indulto si applica una sola volta dopo aver cumulato le pene secondo le norme concernenti il cumulo dei reati (e dopo aver scisso il cumulo giuridico nell’ipotesi di concorso di reati esclusi ex lege dall’applicazione dell’indulto; vedi Cass. Pen. Sez, I, n. 14. Cfr. L. D’Ambrosio, Diritto penale, op. cit. Requisiti generali e speciali 213 19339/2006); il fine della norma è quella di evitare il superamento dei limiti per l’applicazione del condono. L’art. 174, comma 2 del c.p. trova senza alcun dubbio anche in relazione all’indulto previsto con la l. 241/06, che nulla ha disposto sul punto. Il comma 2 dell’art. 38 del Codice De Lise, ovviamente recependo il contenuto dell’art. 77–bis del d.p.r. 445/00, stabilisce chiaramente che: “Il candidato o il concorrente attesta il possesso dei requisiti mediante dichiarazione sostitutiva in conformità alle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, in cui indica anche le eventuali condanne per le quali abbia beneficiato della non menzione”. Da tale formulazione letterale, inserita per la prima volta dal nuovo art. 38 del Codice De Lise, discende in materia di appalti pubblici un’importante considerazione, e cioè che dal dato positivo della suddetta norma (dal cui rispetto rigoroso e restrittivo può discendere per un concorrente la certezza di non incorrere in un provvedimento di esclusione dalla gara) risulta che a fronte di una sentenza di condanna per cui sia stato contestualmente concesso dal giudice a quo il beneficio della non menzione, sussista ancora in capo a quell’impresa concorrente il dovere di menzionare nell’autodichiarazione la condanna anche nell’ipotesi in cui sia intervenuto il provvedimento di riabilitazione. In forza dell’obbligo di dichiarazione delle condanne aventi il beneficio della non menzione, il concorrente, nel suo interesse, deve di conseguenza indicare anche l’eventuale riabilitazione, se successivamente intervenuta, che consente appunto la partecipazione alla gara d’appalto. Comunque, come già detto, tra le conseguenze della estinzione di ogni effetto penale della condanna a seguito di riabilitazione, non rientra la cancellazione dell’iscrizione della sentenza dal casellario, perché non prevista tra le cause di eliminazione dall’art. 687 c.p.p. e, inoltre, l’art. 686 c.p.p. 214 Capitolo IV 2. I requisiti speciali: cenni sull’attestazione SOA Come è noto, per l’esecuzione dei lavori è richiesta l’attestazione SOA relativa alle categorie delle lavorazioni e ai livelli di qualificazione indicati nel singolo bando di gara. Per un’impresa non in possesso dell’attestazione di qualificazione è vietata la partecipazione alle gare d’appalto per un duplice ordine di ragioni. Il primo divieto generale è sancito appunto dalla legge; da un punto di vista normativo va detto in proposito che il sistema di qualificazione degli esecutori dei lavori pubblici risulta attualmente ancora disciplinato dal d.p.r. 34 del 25/1/2000, più volte modificato. In particolare, l’art. 3 (Categorie e classifiche) al comma 2 stabilisce che: La qualificazione in una categoria abilita l’impresa a partecipare alle gare e ad eseguire i lavori nei limiti della propria classifica incrementata di un quinto; nel caso di imprese raggruppate o consorziate la medesima disposizione si applica con riferimento a ciascuna impresa raggruppata o consorziata, a condizione che essa sia qualificata per una classifica pari ad almeno un quinto dell’importo dei lavori a base di gara. Ai fine del rilascio dell’attestazione da parte delle SOA è noto che i requisiti generali (ex art. 17 del Regolamento n. 34/00) e i requisiti speciali (di cui all’art. 18 sempre del Regolamento Bargone) debbano essere verificati nel corso del procedimento istruttorio regolato dall’art. 15 del d.p.r. 34/00. In tale materia, ancora più approfonditamente, il quadro di riferimento è così composto. L’art. 40, comma 3 del Codice degli appalti stabilisce che: Il sistema di qualificazione è attuato da organismi di diritto privato di attestazione, appositamente autorizzati dall’Autorità, […]. L’attività di attestazione è esercitata nel rispetto del principio di indipendenza di giudizio, garantendo Requisiti generali e speciali 215 l’assenza di qualunque interesse commerciale o finanziario che possa determinare comportamenti non imparziali o discriminatori. Le SOA nell’esercizio dell’attività di attestazione per gli esecutori di lavori pubblici svolgono funzioni di natura pubblicistica, anche agli effetti dell’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20. In caso di false attestazioni dalle stesse rilasciate si applicano gli articoli 476 e 479 del codice penale. Prima del rilascio delle attestazioni, le SOA verificano tutti i requisiti dell’impresa richiedente. Agli organismi di attestazione è demandato il compito di attestare l’esistenza nei soggetti qualificati di: (alinea così modificato dall’art. 3, comma 1, lettera f), d.lgs. 113/2007): a) certificazione di sistema di qualità conforme alle norme europee della serie UNI EN ISO 9000 e alla vigente normativa nazionale, rilasciata da soggetti accreditati ai sensi delle norme europee della serie UNI CEI EN 45000 e della serie UNI CEI EN ISO/IEC 17000; b) requisiti di ordine generale nonché tecnico–organizzativi ed economico–finanziari conformi alle disposizioni comunitarie in materia di qualificazione. Tra i requisiti tecnico organizzativi rientrano i certificati rilasciati alle imprese esecutrici dei lavori pubblici da parte delle stazioni appaltanti. Gli organismi di attestazione acquisiscono detti certificati unicamente dall’Osservatorio, cui sono trasmessi, in copia, dalle stazioni appaltanti. Dunque, la normativa in materia di qualificazione è attualmente (in attesa dell’emanazione del nuovo regolamento ex art. 5 del Codice) quella contenuta nel d.p.r. 34/2000, il quale all’art. 15 regola appunto il procedimento istruttorio e di emanazione del provvedimento di attestazione da parte della SOA15. Il d.p.r. 34/00 prevede inoltre all’art. 27, comma 2 che nel casellario, fra i dati indicati, debbano essere inseriti in via informatica per ogni impresa qualificata r) eventuali provvedimenti di esclusione dalle gare ai sensi dell’articolo 8, comma 7, della legge adottati dalle stazioni appaltanti; 15. Inoltre, l’art. 18, comma 2, della l. 7 agosto 1990 n. 241, come sostituito dall’art. 3, comma 6–octies, del d.l. 14 marzo 2005 n. 35, precisa che «i documenti attestanti atti, fatti, qualità e stati soggettivi, necessari per l’istruttoria del procedimento sono acquisiti d’ufficio quando sono in possesso dell’amministrazione procedente, ovvero sono detenuti, istituzionalmente, da altre pubbliche amministrazioni». 216 Capitolo IV s) eventuali falsità nelle dichiarazioni rese in merito ai requisiti e alle condizioni rilevanti per la partecipazione alle procedure di gara, accertate in esito alla procedura di cui all’articolo 10, comma 1 quater, della legge; t) tutte le altre notizie riguardanti le imprese che, anche indipendentemente dall’esecuzione dei lavori, sono dall’Osservatorio ritenute utili ai fini della tenuta del casellario. A tal proposito, lo schema del nuovo regolamento d’esecuzione del Codice, detta le regole sull’inserimento dei dati nel Casellario nell’art. 8. In particolare, va anche precisato che l’Autorità per la vigilanza con la determinazione del 10 gennaio 2008 n. 1 ha enucleato la disciplina relativa al Casellario unitariamente per lavori, servizi e forniture. Infine, l’art. 27 del d.p.r. 34/00, ai commi 3–5 stabilisce che: 3. Le imprese sono tenute a comunicare all’Osservatorio, entro trenta giorni dal suo verificarsi, ogni variazione relativa ai requisiti di ordine generale previsti dall’articolo 17. 4. Le stazioni appaltanti inviano alla fine dei lavori una relazione dettagliata sul comportamento dell’impresa esecutrice, redatta secondo la scheda tipo definita dall’Autorità e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente Regolamento. 5. I dati del casellario di cui al comma 2 sono resi pubblici a cura dell’Osservatorio e sono a disposizione di tutte le stazioni appaltanti per l’individuazione delle imprese nei cui confronti sussistono cause di esclusione dalle procedure di affidamento di lavori pubblici. In definitiva, è evidente che in caso di mancato ottenimento dell’attestazione SOA o nelle more del procedimento di attestazione, non vi sono i presupposti per partecipare alle gare, mancando materialmente (e giuridicamente) un certificato SOA valido ed efficace. Una seconda ragione che vieta ad un’impresa di partecipare alle gare d’appalto pubblico senza una regolare attestazione rilasciata da una SOA è individuabile nella logica previsione contenuta in ogni bando di gara; le “Norme di partecipazione”, infatti, indicate nei bandi chiedono ai concorrenti di allegare le attestazioni, in corso di validità, rilasciate da società organismi di attestazione (SOA), regolarmente Requisiti generali e speciali 217 autorizzate ai sensi di quanto previsto dal codice dei contratti e dal d.p.r. 34/00, comprovanti il requisito della qualificazione in categorie e classifiche adeguate ai lavori da assumere. Da tutto quanto fino ad ora espresso, ne consegue logicamente che è vietata la partecipazione ad una gara da parte di un’impresa: a) se manca l’attestazione SOA; b)in caso di revoca dell’attestazione da parte della SOA, equivalendo la revoca al non possesso dell’attestazione; c) durante la successiva verifica ai fini del rilascio di una nuova attestazione (fino all’effettivo rilascio del documento abilitante). Pertanto, è proprio il dato incontestabile espresso sia dalla legge sia dalla singola lex specialis che attribuisce rilievo, ai fini dell’esclusione, al mancato possesso dei requisiti (a causa o della eventuale revoca o dell’eventuale istruttoria ancora non conclusa ex art. 15 del d.p.r. 34/00). In tal senso, il fatto che per un’impresa sia in corso il procedimento per l’ottenimento della nuova qualificazione, significa che per essa sia mancante di fatto e di diritto tale requisito speciale; tale mancanza non è assimilabile ad una semplice irregolarità formale e/o errore materiale nella presentazione del documento; dunque, tale situazione attualmente e fino all’emissione dell’attestato della SOA legittima sicuramente l’eventuale esclusione dalle gare, né potrebbe essere, d’altra parte, oggetto di chiarimenti e di integrazioni16, neppure ove l’attestazione sopravvenga nelle more della gara. 16. Per completezza va detto che in applicazione al principio d’integrazione dei documenti la giurisprudenza ha da tempo affermato che con la previsione della possibilità dell’amministrazione di richiedere integrazioni della carente documentazione presentata, il legislatore non ha inteso assegnare alle stesse una mera facoltà o un potere eventuale, ma ha piuttosto inteso codificare un ordinario modo di procedere, volto a far valere, entro certi limiti e nel rispetto della par condicio dei concorrenti, la sostanza sulla forma, orientando l’azione amministrativa sulla concreta verifica dei requisiti di partecipazione e della capacità tecnica ed economica, coerentemente con la disposizione di carattere generale contenuta nell’art. 6 della legge 7 agosto 1990 n. 241 (nuove norme) generale sul procedimento amministrativo (per tutte: Cons. Stato, Sez. V, n. 2725 del 4 maggio 2004, nonché, Cons. Stato, Sez. V, n. 1521 del 24 marzo 2006, e TAR Lazio, Sez. III, n. 2586 del 26 marzo 2007). 218 Capitolo IV Il divieto di cui qui si tratta, vige anche per l’eventuale affidamento di subappalti ad un’impresa ancora senza attestazione di qualificazione; ciò è vero in forza del seguente disposto di legge. L’art. 118, comma 2, n. 3) stabilisce infatti che: L’affidamento in subappalto o in cottimo è sottoposto alle seguenti condizioni: […] che al momento del deposito del contratto di subappalto presso la stazione appaltante l’affidatario trasmetta altresì la certificazione attestante il possesso da parte del subappaltatore dei requisiti di qualificazione prescritti dal presente codice in relazione alla prestazione subappaltata e la dichiarazione del subappaltatore attestante il possesso dei requisiti generali di cui all’articolo 38. Capitolo V Istituti 1. Il diritto d’accesso negli appalti pubblici Il richiamo espresso dall’articolo 13 in tema di accesso è alla l. 241/90, che nel Codice è più volte richiamata a differenza della precedente normativa stratificata nel tempo. La legge sul procedimento amministrativo è stata modificata anche per quanto riguarda l’accesso dalla l. 15/2005 e dalla l. 80/2005; in particolare, la legge 15 ha interamente rivisitato gli articoli 22, 23, 24 e 25, i quali appunto regolano l’accesso agli atti amministrativi da parte di soggetti interessati, cioè, secondo la lettera b) del comma 1 dell’art. 22 tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso. La stessa l. 241/90 nell’art. 22, comma 1 definisce il diritto di accesso come il diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi; i “controinteressati”, cioè tutti i soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza; il “documento amministrativo”, cioè ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attivi219 220 Capitolo V tà di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale. In tale ultima definizione di documento, ai fini di eventuale formazione della prova processuale, va anche compiuta la differenziazione fra funzioni narrative e funzioni critiche della stessa prova documentale. Inoltre, la stessa legge sul procedimento amministrativo disciplina il differimento e l’esclusione dall’accesso agli atti eventualmente richiesti per la visione; in specie, l’art. 24, al comma 4 delinea un rapporto di parallelismo fra il differimento e l’esclusione dell’accesso, il quale non può essere negato ove sia sufficiente fare ricorso al potere di differimento. Stabilisce l’art. 24, comma 1 lett. a) che il diritto di accesso è escluso per i documenti coperti da segreto di Stato e nei casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge, dal regolamento governativo di cui al comma 6 e dalle pubbliche amministrazioni ai sensi del comma 2 del presente articolo. In tal senso si comprende quanto affermato nel Codice all’incipit del comma 2 dell’art. 13. L’art. 25 della l. 241/90 disciplina, in armonia con il d.p.r. 184/2006, le modalità di esercizio del diritto d’accesso e i ricorsi, cioè il processo abbreviato dinnanzi il giudice amministrativo come actio ad exhibendum1, che può portare l’Amministrazione ad un facere: ecco il procedimento nel dettaglio descritto: Il rifiuto, il differimento e la limitazione dell’accesso sono ammessi nei casi e nei limiti stabiliti dall’articolo 24 e debbono essere motivati. Decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta, questa si intende respinta. In caso di diniego dell’accesso, espresso o tacito, o di differimento dello stesso ai sensi dell’art. 24, comma 4, il richiedente può presentare ricorso al tribunale am1. Sul tema, cfr. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, IV, p. 845. Per un approfondimento della tematica relativa alle azioni processuali, vedi Amorth, Il merito dell’atto amministrativo, Milano 1939; Baccarini, Giudice amministrativo e discrezionalità tecnica, in Dir. Proc. amm., 2001, p. 80; Benvenuti, voce Processo amministrativo, in Enc. del dir., XVIII, Milano 1969; Caringella, Protto, Il nuovo processo amministrativo dopo la legge 21 luglio 2000, n. 251, Milano 2001; Cassarino, Manuale di diritto processuale amministrativo, Milano, 1990; Cerulli Irelli, Verso il nuovo processo amministrativo, Torino 2000; Domenichelli, Il processo amministrativo, in Aa. Vv., Diritto amministrativo, a cura di Mazzarolli, Pericu, Romano, Roversi Monaco, Scoca, Bologna 1998; Nigro, Giustizia amministrativa, Bologna 1994. Istituti 221 ministrativo regionale ai sensi del comma 5, ovvero chiedere, nello stesso termine e nei confronti degli atti delle amministrazioni comunali, provinciali e regionali, al difensore civico competente per ambito territoriale, ove costituito, che sia riesaminata la suddetta determinazione. Qualora tale organo non sia stato istituito, la competenza è attribuita al difensore civico competente per l’ambito territoriale immediatamente superiore. Nei confronti degli atti delle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato tale richiesta è inoltrata presso la Commissione per l’accesso di cui all’art. 27. Il difensore civico o la Commissione per l’accesso si pronunciano entro trenta giorni dalla presentazione dell’istanza. Scaduto infruttuosamente tale termine, il ricorso si intende respinto. Se il difensore civico o la Commissione per l’accesso ritengono illegittimo il diniego o il differimento, ne informano il richiedente e lo comunicano all’autorità disponente. Se questa non emana il provvedimento confermativo motivato entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione del difensore civico o della Commissione, l’accesso è consentito. Qualora il richiedente l’accesso si sia rivolto al difensore civico o alla Commissione, il termine di cui al comma 5 decorre dalla data di ricevimento, da parte del richiedente, dell’esito della sua istanza al difensore civico o alla Commissione stessa. Se l’accesso è negato o differito per motivi inerenti ai dati personali che si riferiscono a soggetti terzi, la Commissione provvede, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, il quale si pronuncia entro il termine di dieci giorni dalla richiesta, decorso inutilmente il quale il parere si intende reso. Qualora un procedimento di cui alla sezione III del capo I del titolo I della parte III del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, […], relativo al trattamento pubblico di dati personali da parte di una pubblica amministrazione, interessi l’accesso ai documenti amministrativi, il Garante per la protezione dei dati personali chiede il parere, obbligatorio e non vincolante, della Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi. La richiesta di parere sospende il termine per la pronuncia del Garante sino all’acquisizione del parere, e comunque per non oltre quindici giorni. Decorso inutilmente detto termine, il Garante adotta la propria decisione. Contro le determinazioni amministrative concernenti il diritto di accesso e nei casi previsti dal comma 4 è dato ricorso, nel termine di trenta giorni, al tribunale amministrativo regionale, il quale decide in camera di consiglio entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso, uditi i difensori delle parti che ne abbiano fatto richiesta. In pendenza di un ricorso presentato ai sensi della n. 1034/1971, e successive modificazioni, il ricorso può essere proposto con istanza presentata al presidente e depositata presso la segreteria della sezione cui è assegnato il ricorso, previa notifica al- 222 Capitolo V l’amministrazione o ai controinteressati, e viene deciso con ordinanza istruttoria adottata in camera di consiglio. La decisione del tribunale è appellabile, entro trenta giorni dalla notifica della stessa, al Consiglio di Stato, il quale decide con le medesime modalità e negli stessi termini. Le controversie relative all’accesso ai documenti amministrativi sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Nei giudizi in materia di accesso, le parti possono stare in giudizio personalmente senza l’assistenza del difensore. L’amministrazione può essere rappresentata e difesa da un proprio dipendente, purché in possesso della qualifica di dirigente, autorizzato dal rappresentante legale dell’ente. Il giudice amministrativo, sussistendone i presupposti, ordina l’esibizione dei documenti richiesti. Oltre a quanto espresso nella normativa di riferimento sul procedimento amministrativo, la disciplina speciale per gli appalti pubblici2 che era contenuta nell’art. 22 della legge 109/94 e s.m.i. e dall’art. 10 del d.p.r. 554/99, si svolgeva espressamente come deroga alla regola generale della l. 241/90; si trattava di ipotesi, quelle dell’art. 22, comma 1 lett. a) e b), di differimento motivato dalla ratio di gara e dalla segretezza delle offerte dei concorrenti. Attualmente la disciplina diviene più corposa, distinguendo l’esclusione (comma 5) dal differimento (comma 2) ed estendendo il suo ambito d’applicazione (prima riferito solo alle opere) anche alle altre tipologia di appalti pubblici oltre ai lavori. Una disposizione superflua — cioè che nulla aggiunge a quanto già sarebbe applicabile — già contenuta nel comma 2 dell’art. 22 della legge Merloni viene ripetuta al comma 4 del Codice: un illecito penale si configura come tale solo se sussiste una norma penale che, nel rispetto dei principi dettati all’uopo dalla Costituzione, preveda quella fattispecie concreta come reato. Non spetta e non serve, invero, che una fattispecie astratta, per di più amministrativa, “avvisi” che un comportamento è sanzionato dalla legge penale. 2. Cfr. tale rapporto nell’art. 2 del Codice. Istituti 223 2. Gli affidamenti “in house” Relativamente a tale argomento, il Codice non ha recepito il criterio comunitario in tema di appalti misti: per poter individuare un contratto misto non viene cioè utilizzato come strumento ermeneutica il criterio della qualità e non già quello della quantità (fino ad oggi vigente a livello nazionale). Questo significa che non sarà l’oggetto principale del contratto ma il suo valore economico il discrimen per individuare la qualifica dell’appalto misto come di lavori, servizi o forniture. La tematica che tratta l’articolo è quella dei cd. affidamenti in house, cioè l’opposta situazione che avviene negli organismi di diritto pubblico, in tema di appalti pubblici e di procedure ad evidenza pubblica. In particolare, va qui precisato che nella disposizione in parola è stato generalizzato in veste di norma il principio enucleato nella ben nota ormai sentenza Teckal S.r.l. Come noto, l’espressione in house significa in genere l’assenza di terzietà rispetto all’affidante, da parte del soggetto affidatario dell’appalto, cioè in altre parole l’applicazione della normativa sugli appalti viene ad essere esclusa quando il soggetto affidatario non è terzo rispetto all’amministrazione, la quale con ciò viene a trovarsi di fronte ad una situazione del tutto analoga all’esercizio diretto dell’attività da parte dello stesso soggetto che affida. È per tale ragione che l’affidamento di un tale appalto pubblico cd. in house è invero un “in house providing”, cioè un approvvigionamento3. La locuzione in house compare per la prima volta nel Libro bianco del 1998, riferita appunto agli appalti pubblici4. 3. Vedi da ultimo Piazza, In house providing: assenza di terzietà e nuovi approcci interpretativi, in «Riv. Trim. Appalti», 2006, p. 531. 4. Cfr. COM – 98 – 148 def., 1. 3. 1998, punto 2. 1. 3, p. 11, nt. 10. 224 Capitolo V La sentenza Teckal (C– 197/98), sulla base di precedenti comunitari5, aveva precisato l’ambito di applicazione degli affidamenti in house; in particolare, viene, fra l’altro, stabilito che se un contratto sia stipulato tra un ente locale e una distinta persona giuridica, l’applicazione delle direttive comunitarie può escludersi qualora l’ente locale eserciti nei confronti della persona giuridica un “controllo analogo” a quello esercitato sui propri servizi e la persona giuridica esegua la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti locali che la controllano. Il “controllo analogo” viene definito come un rapporto equivalente in pratica ad una subordinazione gerarchica, quindi un controllo in capo all’amministrazione grazie al quale essa abbia un potere di direzione, coordinamento e controllo sull’attività del soggetto partecipato. Tali concetti erano stati già evidenziati nella sentenza “Truley”. Anche la giurisprudenza nazionale si era pronunciata sufficientemente in materia6. Attualmente, quegli indirizzi giurisprudenziali elaborati in assenza di una precisa normativa circa l’ambito di concreta applicabilità dell’istituto degli affidamenti in house in deroga all’evidenza pubblica, vengono a trovare precisa collocazione normativa nell’art. 15 del Codice, il quale, sulla base della sentenza Teckal S.r.l. fornisce i limiti e i due criteri cumulativi grazie ai quali, se in contemporanea sussistenza, è consentito di escludere dalle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici questi rapporti fra pubblica amministrazione ed ente soggetto all’influenza dominante di quest’ultima. Il limite posto dalla norma che solo in via di schema del Codice De Lise era stata scritta, consentiva la sottrazione dall’evidenza pubblica solo se in presenza della totalitaria partecipazione pubblica e se la società avesse realizzato la propria attività in modo esclusivo con le amministrazioni aggiudicatici. 5. Cfr. C–360/96 “Arnhem”; C–108/98 “RI. SAN”; C–26/03 Stadt Hallè; C–458/03 “Parking Brixen”; C–373/00 “Truley”. 6. Cfr. ad esempio: Consiglio di Stato, Sez. V, 18 settembre 2003, n. 5316; Cons. Stato, Sez. V, 30 giugno 2003, n. 3864; Cons. Stato, Sez. V, 6 maggio 2002, n. 2418; Cons. Stato, Sez. V, 30 aprile 2002, n. 2297, 2298 e 2300; Cons. Stato, Sez. V, 19 febbraio 1998, n. 192. 225 Istituti 3. L’istituto dell’avvalimento L’istituto dell’avvalimento è stato elaborato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, in sede di interpretazione di alcune norme delle direttive comunitarie appalti — che consentivano ai concorrenti di provare i requisiti di capacità economico–finanziaria richiesti mediante qualsiasi documento ritenuto idoneo dall’amministrazione aggiudicatrice7, e soprattutto di provare i requisiti di capacità tecnico–organizzativa «mediante l’indicazione dei tecnici e degli organismi tecnici, siano essi o meno parte integrante dell’impresa concorrente»8. Da tali norme la Corte di Giustizia ha tratto il principio generale secondo cui una impresa partecipante a una gara pubblica può dimostrare la propria capacità tecnica e/o finanziaria facendo riferimento a referenze (vale a dire a dotazioni organizzative, economiche, tecniche e di personale) relative ad altra impresa, in qualche modo legata a quella offerente (attraverso forme di controllo o di partecipazione, tipiche delle c.d. holding). Tale principio, dapprima, è stato affermato nell’ambito dei rapporti infragruppo, con particolare riferimento al rapporto tra holding (partecipante alla gara e priva ex se dei requisiti di capacità) e società controllate (non partecipanti alla gara e direttamente in possesso dei requisiti). A tale riguardo, la giurisprudenza comunitaria, più volte pronunziatasi sui principi applicativi dell’istituto dell’avvalimento, con riferimento agli appalti di lavori pubblici ha avuto modo di chiarire che: a) in caso di holding, e, cioè, di un collegamento tra un gruppo di imprese poste sotto l’influenza dominante di una società capogruppo che direttamente o indirettamente le controlla, qualora una della «consociate» partecipi a una gara pubblica, può 7. 8. Art. 31, n. 3, Direttiva 92/50/Cee e art. 26 Direttiva 93/37/Cee. Art. 32, n. 2, lett. “c”, Direttiva 92/50 Cee e art. 27 Direttiva 93/37/Cee. 226 Capitolo V attingere, al fine di dimostrare la propria capacità economica, finanziaria e tecnica, alle referenze delle imprese consociate; b)non è di ostacolo a tale conclusione il fatto che le imprese consociate, ai requisiti tecnici ed economico–finanziari delle quali si intenda fare riferimento, abbiano ciascuna una propria autonoma personalità giuridica; c) qualora, al fine di dimostrare le sue capacità tecniche, finanziarie ed economiche, una società produca referenze delle sue consociate (ipotesi, questa, frequente allorché la società offerente non possegga proprie referenze in grado di per sé stesse di soddisfare i criteri di selezione qualitativa), essa deve provare di potere effettivamente disporre dei mezzi di queste ultime necessari alla esecuzione degli appalti, spettando al giudice nazionale valutare gli elementi di diritto e di fatto sottopostigli, al fine di stabilire se detta prova sia stata raggiunta9. Alle posizioni espresse dall’organo di giustizia comunitaria — le cui statuizioni interpretative entrano a fare parte dell’ordinamento comunitario e sono direttamente applicabili negli Stati membri — si è allineata la giurisprudenza interna, ripercorrendo il tracciato argomentativo delineato dalle richiamate sentenze comunitarie10. In una fase successiva, la giurisprudenza ha esplicitamente generalizzato il principio dell’avvalimento, giungendo ad affermare che il concorrente, in sede di ammissione alla gara, può legittimamente fare riferimento alle capacità di altri soggetti «qualunque sia la natura 9. Cfr. ex multis, Corte di Giustizia, terza sezione del 18 dicembre 1997, Ballast Nedam Groep NV c/Stato Belga, proced. C–5/97, relativa a un appalto di lavori pubblici; Corte di Giustizia, quinta sezione del 2 dicembre 1999, Holst Italia c/Comune di Cagliari, causa C–176/98. 10. Si vedano ad es. TAR Sardegna n. 984 dell’8 novembre 2000 e TAR Lombardia, III Sez., ord. n. 1190 del 14 aprile 2000, sull’ammissibilità del riferimento, da parte di un’impresa fornitrice di servizi, a mezzi, strutture e altri requisiti di capacità tecnica e/o economico–finanziaria di altre imprese, a condizione che sussistano e siano dimostrati, tra la prima e le seconde, vincoli di partecipazione e controllo tali da comprovare la effettiva disponibilità, da parte dell’impresa offerente, dei predetti mezzi e strutture. Istituti 227 giuridica dei vincoli che ha con essi, a condizione che sia in grado di provare di disporre effettivamente dei mezzi di tali soggetti necessari all’esecuzione dell’appalto»11. Così formulata, la regola, sia pure di fonte giurisprudenziale, appariva già sufficientemente precisa. Per i legislatori, le amministrazioni e i giudici nazionali, residuavano margini di apprezzamento soltanto in ordine a standard, modalità e intensità della prova richiesta circa la disponibilità dei suddetti mezzi. In più recenti pronunzie, la giurisprudenza amministrativa, sempre recependo l’orientamento invalso nella giurisprudenza comunitaria, ha riconosciuto la legittimità del ricorso all’avvalimento a prescindere dallo specifico vincolo di controllo e/o di collegamento societario, esprimendo il principio secondo il quale Al fine di comprovare il possesso dei requisiti economici, finanziari e tecnici richiesti per l’ammissione ad una gara bandita per l’affidamento di un appalto di servizi, il partecipante può fare riferimento alla capacità di altri soggetti, qualunque sia la natura del vincolo giuridico tra essi esistente, a patto che egli sia in grado di dimostrare l’effettiva disponibilità delle risorse altrui; l’esigenza (di matrice comunitaria) di favorire la libera circolazione delle merci e dei servizi, nonché la libera concorrenza è in tal modo contemperata con quella della stazione appaltante alla buona esecuzione delle prestazioni contrattuali (il tribunale ha dichiarato illegittima l’esclusione dalla gara per l’affidamento del servizio raccolta e smaltimento RSU, di un consorzio che, in sede di offerta, aveva dichiarato di volersi avvalere della iscrizione posseduta da una consorziata delle cui capacità è risultata avere l’effettiva disponibilità)12. La Direttiva 18/2004/CE, in materia di appalti di lavori, servizi e forniture, ha codificato compiutamente il principio dell’avvalimento13, in termini sostanzialmente identici all’impostazione giurisprudenziale sopra riportata. 11. Corte di Giustizia, C–176/98, sent. 2. 12. 1999; TAR Lombardia III Sez., n. 195 del 26 gennaio 2001. 12. TAR Sardegna, 28 novembre 2003, n. 1548; TAR Friuli Venezia Giulia, 12 aprile 2005, n. 229. 13. Cfr. art. 47, commi 2 e 3. 228 Capitolo V La disposizione di cui all’articolo 47 della direttiva 2004/18 è costruita quale riconoscimento di facoltà per il concorrente, ma in realtà contiene un ordine positivo alle stazioni appaltanti (o, se si vuole, agli Stati membri perché lo impongano a loro volta alle proprie stazioni appaltanti), cioè di considerare soddisfatto il requisito della capacità economica e finanziaria facendo affidamento (ovvero avvalendosi, se si preferisce) sulle capacità di altri soggetti, precisando che sono del tutto ininfluenti gli eventuali legami esistenti con i soggetti avvalsi. L’interpretazione da dare, dunque, è che l’avvalimento può avvenire, e non può essere rifiutato dalla stazione appaltante, ove il concorrente lo ritenga necessario per integrare un requisito altrimenti carente. La norma, dunque, impone alle Stazioni appaltanti di accettare l’avvalimento operato dall’operatore economico partecipante nei confronti di altri soggetti a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi. L’ampiezza della norma induce, dunque, a ritenere che il legame non solo può essere di svariata natura (contrattuale, fattuale, di garanzia, di incrocio azionario senza caratteristiche di dominanza etc.), ma anche, a fortiori, può non esistere minimamente, ferma restando quale precisa e imprescindibile condizione affinché l’avvalimento debba essere accettato, che l’avvalente dimostri di disporre dei mezzi necessari, dando prova che l’avvalso possiede quei requisiti che gli sarebbero stati necessari per partecipare egli stesso alla gara e che quegli stessi mezzi sono posti a disposizione dell’avvalente stesso. La disponibilità dei mezzi, peraltro, in concreto può scaturire solo da un rapporto giuridico intercorrente tra l’avvalente e l’avvalso. e infatti, se è vero che, in linea astratta, non rileva la natura giuridica dei legami tra loro, in realtà un legame giuridico non può non esistere, intendendosi con questo termine un legame che produca effetti giuridici, i quali, nella specie, sono appunto quelli di garantire il creditore sotto il profilo finanziario e patrimoniale. In questo senso, dunque, il legame tra avvalente e avvalso può anche non sussistere, se lo si interpreta in termini economici, ma un Istituti 229 rapporto giuridico non può non esistere. e allo stesso modo, può sussistere un legame economico o fattuale, ma ciò che rileva è il rapporto giuridico che da ciò scaturisce. Ciò che vuole dire la norma, dunque, non è che i due soggetti possano essere del tutto svincolati l’uno dall’altro (il che farebbe venire meno la stessa messa a disposizione dei mezzi), ma che la stazione appaltante può solo pretendere la prova della esistenza del rapporto giuridico da cui deriva la disponibilità dei mezzi (la provvista del requisito, per così dire), disgiunto da un qualsiasi legame preesistente, o successivo, che non sia di mera natura obbligatoria funzionale all’avvalimento. Dunque l’avvalimento può avvenire con qualsiasi soggetto, anche se legato all’avvalente. Pertanto, a prescindere dai casi di avvalimento tra imprese dello stesso gruppo o legate da rapporti di controllo, è evidente che in qualsiasi altro caso l’avvalso, gioco forza, dovrà formalizzare in un negozio giuridico le garanzie che intende e può prestare, sotto la forma giuridica più idonea allo scopo. Identiche considerazioni valgono per l’avvalimento circa le capacità tecniche e professionali, disciplinato dall’articolo 48, paragrafo terzo della direttiva 2004/18. Questa disposizione è, infatti, praticamente, identica a quella di cui all’art. 47. Sia l’articolo 47 sia l’articolo 48 contengono, infine, un identico paragrafo il quale precisa che l’avvalimento deve essere permesso nella normativa statale anche agli operatori economici che facciano parte di un raggruppamento ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2 della direttiva stessa. I raggruppamenti, come è noto, sono quelle forme di cooperazione tra soggetti giuridici che si possono presentare con le più svariate forme di collegamento economico, finanziario, operativo, caratterizzate esclusivamente da un dato negativo, vale a dire quello di non essere persone giuridiche, cioè di non essere assurte alla qualità di titolare di un patrimonio autonomo, come, invece, le persone giuridiche. 230 Capitolo V La disciplina comunitaria in esame, dunque, impone di permettere l’avvalimento interno al raggruppamento, il che altro non significa che i requisiti economici, finanziari e tecnici devono potere essere posseduti anche con riferimento reciproco ai partecipanti al raggruppamento. Sarebbe quindi contraria alla direttiva una norma che imponesse alle imprese raggruppate di possedere i requisiti solo in proprio o al massimo con avvalimento esterno, mentre viceversa si deve permettere che ciascuna di esse faccia riferimento, per il raggiungimento dei minimi, anche alle società raggruppate i cui requisiti sovrabbondanti devono poter giovare a tutte le altre (ci si riferisce alle disposizioni di cui all’articolo 95 del d.p.r. 21 dicembre 1999, n. 554, che nell’individuare i requisiti economico finanziari e tecnico organizzativi minimi di ciascuna delle imprese raggruppate (sia nei raggruppamenti e nei consorzi di tipo orizzontale sia in quelli di tipo verticale) sembra impedire che al raggiungimento di essi contribuiscano i requisiti propri delle altre raggruppate — ove essi stessi superiori ai minimi — ovvero anche l’unico requisito totalitario di una sola di esse). Le richiamate disposizioni comunitarie in materia di avvalimento, sono state recepite nel nostro ordinamento dall’art. 49 del Codice. Dalla lettura della richiamata disposizione emerge innanzitutto che diversamente dal legislatore comunitario, il legislatore italiano ha tipizzato le modalità attraverso le quali è possibile dimostrare il possesso dei requisiti di un altro soggetto: 1) dichiarazione del concorrente 2) e dell’impresa ausiliaria sul possesso dei requisiti di ordine generale; 4) dichiarazione di non partecipare in gara in altre forme di avvalimento, ATI — o altra veste; 5) contratto tra concorrente — avvalso (o dichiarazione sostitutiva infragruppo). L’effetto naturale di tale tipizzazione è quello di restringere la libertà che il legislatore comunitario ha, invece, lasciato alle parti di scegliere i mezzi per dimostrare la concreta possibilità di fare affidamento sui requisiti di un terzo soggetto. Altro elemento di “distacco” della normativa di recepimento interno rispetto alla scelta del legislatore comunitario è il regime di responsabilità solidale tra impresa concorrente e impresa cd” ausiliaria”; la Direttiva, infatti, non prevede un tale regime di responsabilità solidale. Istituti 231 D’altro canto, alla legittimità dell’avvalimento interno non sembrerebbe frapporsi neanche la prescrizione di cui alla lett. e) dell’art. 49 che impone la dichiarazione sottoscritta dall’impresa ausiliaria con cui questa attesta “che non partecipa in proprio o associata o consorziata ai sensi dell’art. 34 né si trova in una situazione di cui all’art. 34, comma 2 con una delle altre imprese che partecipano alla gara”. Si deve infatti ritenere che la ratio di tale prescrizione è la stessa del divieto sancito dal comma 8 dell’art. 49, a mente del quale “in relazione a ciascuna gara non è consentito, a pena di esclusione, che della stessa impresa ausiliaria si avvalga più di un concorrente, e che partecipino sia l’impresa ausiliaria che quella che si avvale dei requisiti” nonché, del generale divieto per le imprese di partecipare ad una medesima gara sotto forme diverse e, cioè, in forma di impresa singola e in forma plurisoggettiva, ovvero in più di una struttura plurisoggettiva. Il divieto imposto all’impresa “ausiliaria” è infatti quello di partecipare alla gara in proprio ovvero in alcuna delle forme plurisoggettive in posizione di concorrenza con l’impresa cui “presta” i propri requisiti. Il relazione alla prova relativa alle capacità economiche (la disponibilità dei mezzi necessari), c’è da precisare che tale dimostrazione dovrà logicamente vertere sul fatto che l’impresa avvalsa possegga i requisiti che sarebbero ad essa stati necessari per partecipare da sola alla gara, e sul fatto che quei mezzi così mostrati sono posti a disposizione dell’impresa avvalente. Come già parte della dottrina14 ha indicato e analizzato specificamente dalle disposizioni comunitarie ora trattate si enucleano i seguenti aspetti fondamentali, utili per poi comprendere il tenore del disposto dell’art. 49 del Codice: l’avvalimento è espressione di una libera scelta dell’impresa concorrente (o del raggruppamento o del consorzio, come dispone il comma 1 dell’art. 49 del Codice); i soggetti avvalsi possono essere più di uno solo; tali soggetti non devono obbligatoriamente essere collegati all’avvalente da un legame economico o giuridico presistente, ma è possibile che essi siano in qualunque modo 14. Cfr. C. Zucchelli, L. Germani, Avvalimento dei requisiti di altre imprese, 2005. 232 Capitolo V collegati fra loro senza che ciò impedisca l’avvalimento; l’amministrazione aggiudicatrice deve chiedere (in quanto l’impresa che si avvale ha obbligo di dimostrazione) la dimostrazione della disponibilità dei mezzi necessari e può richiedere qualsiasi mezzo di prova. L’art. 49 del Codice nasce in questa cornice e fa riferimento a tutte le tipologie d’appalto pubblico; naturalmente il comma 2, ai fini dell’avvalimento, pone precisi obblighi di dimostrazione elencati nel dettaglio che l’operatore economico che concorre deve allegare, oltre all’eventuale attestazione SOA propria e dell’impresa ausiliaria (con i termini il legislatore nazionale ha già posto più precise indicazioni e concezioni in materia: impresa ausiliaria sembra temperare in fatto etimologico la rubrica “avvalimento”). Fra tali allegazioni, compaiono le dichiarazioni sia dell’avvalente che dell’avvalso circa il possesso dei requisiti di cui all’art. 38. Inoltre, fra le limitazioni poste ex art. 49, comma 2 c’è la dichiarazione dell’impresa ausiliaria che essa non si trovi in una situazione di controllo di cui all’art. 34, comma 2 con una delle imprese che partecipano alla gara: questo significa che razionalmente non sussiste problema alcuno, in pieno rispetto con le norme comunitarie suddette, se tra l’impresa concorrente e quella ausiliaria sussista una condizione di controllo ex art. 34, comma 2. Un effetto di eventuali false dichiarazioni, oltre a quello della lett. h) dell’art. 38 e oltre all’invio degli atti relativi alle false dichiarazioni alla Procura della Repubblica presso il Tribunale competente, comporta anche gli effetti descritti al comma 3 dell’art. 49: l’escussione della garanzia è l’aggiunta (l’esclusione dalla gara è già insita nella lett. h) dell’art. 38) unitamente alla segnalazione all’Autorità per le sanzioni ex art. 6, comma 11, oltre al normale inserimento nel casellario informatico. La normativa antimafia (cfr. art. 247) naturalmente si applica anche alle imprese ausiliarie, tenendo conto delle previsioni contenute nella normativa preventiva relativamente ai controlli in base all’importo dell’appalto a base di gara. Altri limiti che riguardano la procedura e che disciplinano in garanzia l’istituto dell’avvalimento sono contenuti nei commi dal 6 all’11: il d.lgs. 152/08 ha riferito ai soli lavori la limitazione per il concorrente Istituti 233 di potersi avvalere di una sola ausiliaria per ogni requisito o categoria (c. 6); è stata abrogata (sempre dal III Correttivo) la limitazione per cui il bando poteva ridurre la potenzialità dell’avvalimento o alle capacità economiche o a quelle tecniche, ovvero ad integrazione di requisiti economici o tecnici già posseduti in precedenza dall’avvalente (c. 7); una prescrizione negativa comporta l’impossibilità che in una gara la medesima impresa ausiliaria possa essere tale per più imprese concorrenti (c. 8), con una deroga in relazione a requisiti tecnici connessi con il possesso di particolari attrezzature, sempre che il bando lo disciplini (c. 9); l’impresa ausiliaria potrà divenire in fase d’esecuzione subappaltatore (c. 10); le dichiarazioni di avvalimento devono essere trasmesse dalla stazione appaltante all’Autorità e all’Osservatorio per la pubblicazione sul sito informatico (c. 11). Esaminando dapprima la sospensione operata dalla l. 228/06 al comma 10 dell’art. 49 Codice relativo all’avvalimento, la prima constatazione cade sulla scelta del Legislatore, comunque obbligata dalla previsione dell’istituto già dalla Direttiva 2004/18/CE, di mantenere in vigore l’avvalimento, peraltro non del tutto nuovo se si considera che esiste una vecchia normativa ancora applicabile che consente ad un consorzio di cooperative di presentarsi con le sue iscrizioni e che possano eseguire i lavori imprese che non sono state qualificate. Il comma 10 nella precedente formulazione prevedeva: “Il contratto è in ogni caso eseguito dall’impresa che partecipa alla gara, alla quale è rilasciato il certificato di esecuzione, e l’impresa ausiliaria non può assumere a qualsiasi titolo il ruolo di appaltatore, o di subappaltatore”. La sospensione operata dalla l. 228/06 è divenuta la nuova regola dettata espressamente dal legislatore del d.lgs. 6/2007, art. 2, comma 1 lett. d): «[…] l’impresa ausiliaria può assumere il ruolo di subappaltatore nei limiti dei requisiti prestati». Certo è che, attualmente, devono essere rispettate tutte le previsioni relative all’avvalimento, mentre in questo quadro di per sé complesso viene lasciata la possibilità che l’impresa ausiliaria possa anche assumere il ruolo di appaltatore o di subappaltatore, quindi che possa partecipare effettivamente e pienamente all’appalto. L’avvalimento, 234 Capitolo V pertanto, da istituto per la partecipazione a gare e irrilevante in fase esecutiva, diviene uno strumento dal contenuto variabile e misto: non più unicamente (per il momento) mezzo di ausilio relativo ai requisiti tecnico–organizzativi ed economico–finanziari, bensì anche paradigma nel quale tale ausilio si ripercuota pure nella fase di realizzazione lasciando aperta la possibilità che l’impresa prestante possa trasformarsi in appaltatore o in subappaltatore. Dunque, l’avvalimento diviene forma di garanzia anche in esecuzione, quindi totalmente. Questo nuovo assetto legislativo sembra ancora di più allontanare la forma dell’avvalimento contemplato nel nostro ordinamento rispetto a quello più ampio creato dalla normativa comunitaria: infatti, a ben vedere la scelta di campo effettuata dall’UE consisterebbe nel lasciare ampia facoltà di scelta di utilizzo di un’impresa ausiliaria proprio in ragione del fatto che tale accesso all’avvalimento dei requisiti sia sic et simpliciter possibile e legittimo. La normativa della Direttiva 2004/18 è perciò sintetica e senza alcuna limitazione di dettaglio. È pur vero che la normativa comunitaria, proprio in ragione della sua natura di norma sovranazionale, riguardante singoli ambiti di diversi ordinamenti giuridici, non possa dettare specificamente e dettagliatamente regole, che i singoli Stati Membri devono invece adattare nell’alveo giuridico particolare; ma d’altra parte, in relazione all’istituto dell’avvalimento, proprio perché figura comunque nuova in tema di appalti pubblici, sembra valere il brocardo ubi voluit, dixit. A parlare, in vece del legislatore Comunitario, nel nostro ordinamento è stato l’art. 49 Codice, che ha fissato una serie di norme procedurali e non, intese a garantire nelle gare d’appalto pubblico (quale terreno in cui devono trovare attuazione) i due principi fondamentali della massima concorrenza (principio Comunitario) e della libera iniziativa economica (art. 41 Costituzione). Comunque, maggiori ristrettezze in fatto d’applicabilità dell’avvalimento rispetto alle originarie previsioni della Direttiva sussistono per le imprese che intendano utilizzare legittimamente lo strumento giuridico in parola. Da un lato tali limitazioni risultano allentate con la nuova formulazione del comma 10 dell’art. 49 del Codice, ma d’altra parte la Istituti 235 figura originaria dell’avvalimento appare così in parte sbiadita nei suoi contorni quando la normativa nazionale, spostandosi fuori dalle regole di gara ad evidenza pubblica, consente che l’impresa ausiliaria possa divenire appaltatore o subappaltatore “a qualsiasi titolo”. Assistiamo, nel regime dell’art. 49 attualmente vigente del Codice ad un “chiasmo normativo”: a) il comma 4 rimane vigente nel prevedere — e questo doveva appunto rimanere, come principio proprio del nostro ordinamento — la responsabilità solidale tra impresa principale e impresa ausiliaria; b) l’impresa ausiliaria non è escluso che possa far traslare la titolarità del contratto stesso mediante l’assunzione da parte sua della qualifica di appaltatore o subappaltatore. Ora, applicando queste due regole accade che: 1)la responsabilità solidale dell’ausiliaria non si limita più alla garanzia per un ipotetico inadempimento dell’impresa ausiliata (rectius: unicamente appaltatrice nella originaria disposizione), bensì si estende anche nei confronti della stazione appaltante se l’impresa prestante sia divenuta intanto “appaltatore”; 2)inoltre, il più forte scontro tra contenuti normativi si configura in relazione alla qualifica di subappaltatore che l’impresa ausiliaria può ora assumere: il regime giuridico dettato dall’art. 118 del Codice (rimasto pressoché identico al precedente art. 18 della l. 55/90) ha natura rigorosa e limitativa; quello invece dell’avvalimento, nonostante le maggiori restrittezze apportate dall’art. 49 del Codice rispetto la normativa Comunitaria, comunque è animato da libertà economica. Inoltre, come sostenuto da autorevole dottrina: «la qualifica di subappaltatore dell’impresa ausiliaria mal si concilia con l’assunzione in capo alla stessa della responsabilità solidale rispetto all’insieme delle prestazioni oggetto del contratto d’appalto»15; 15. R. Mangani, Con la proroga del Codice cambiano i rapporti tra imprese in caso di avvalimento, in »Edilizia e Territorio», n. 30/2006, p. 9. Sull’intero argomento dell’avvalimento e della legge 228/06, cfr. ancora Mangani, Id., pp. 6 e ss. 236 Capitolo V 3) sempre in tema di subappalto ed avvalimento, come si coordinano da un lato la limitazione prevista dall’art. 118, comma 2 per la quale, nell’ambito dei lavori, è subappaltabile la categoria prevalente nella quota parte in ogni caso non superiore al 30% e, d’altra parte, la formulazione dell’art. 49, comma 10, in cui è previsto che l’impresa ausiliaria possa assumere il ruolo di subappaltatore nei limiti dei requisiti prestato? Sembra, infatti, che il subappaltatore nell’avvalimento non abbia limiti quantitativi come il subappaltatore sottoposto al regime dell’art. 118, comma 2; l’unica limitazione per il subappaltatore nell’avvalimento è circoscritta ai requisiti prestati, che materialmente possono essere anche superiori al 30% della categoria prevalente. In altri termini, in assenza di più chiare linee legislative ed ermeneutiche, il mancato coordinamento delle norme — sempre che si tratti di ciò e non di una indicazione voluta dalla legge, ma in tale ultimo caso sarebbe preferibile una esplicazione determinata e tassativa vista l’importanza della portata della norma qui in esame per cui è prevista una sanzione di natura penale! — ha portato alla configurazione di una figura speciale di subappalto, quello legato cioè all’avvalimento16. Con l’art. 50 il Codice detta una disciplina “quadro”, che rimanda ovviamente all’emanando regolamento ex art. 5 del Codice, e riguardante l’avvalimento nel caso di operatività di sistemi di attestazione o di sistemi di qualificazione. Già il legislatore comunitario aveva indicato fra le norme richiamate dal paragrafo 1 dell’art. 52 (cosa che comunque il comma 2 dell’art. 45 del Codice non potrà riportare, sussistendo appunto gli artt. 49 e 50) relativo all’iscrizione negli elenchi ufficiali o all’ottenimento della certificazione, i paragrafi dell’art. 47 e dell’art. 48 relativi appunto all’avvalimento: la conseguenza è che già per la direttiva 18 l’avvalimento per le attestazioni e le qualificazioni costituisce la riserva per 16. Cfr. sul tema R. Mangani, Nell’avvalimento, op. cit. Istituti 237 gli ordinamenti nazionali circa la possibilità e i modi per l’iscrizione all’albo o per la certificazione. Quindi, in esecuzione delle norme comunitarie, l’art. 50 disciplina ancora i principi quadro entro i quali l’emanando regolamento dovrà regolare la possibilità che, entro certi limiti, il Codice ha lasciato circa il conseguimento dell’attestazione SOA nel rispetto delle disposizioni ex art. 49; i principi sono elencati nel comma 1, alle lettere a), b e c). Il comma 3 prevede la responsabilità solidale fra impresa concorrente e ausiliaria nel caso di attestazione SOA mediante avvalimento. Il comma 4 dispone l’applicazione dell’art. 50, in attesa logicamente dell’emanazione del nuovo regolamento, solo in quanto compatibile con i sistemi legali vigenti. Ai fini della comprensione del tenore del comma 1, lett. a) può essere comunque utile richiamarsi a quanto commentato per l’art. 34, comma 2, pur se quest’ultimo si riferisce ad aspetti più ampi. 4. Il subappalto È un quadro coerente quello formato dall’art. 25 della Direttiva 18, dall’art. 37 della direttiva 17, dall’art. 18, comma 3 n. 1) della l. 55/1990 (“Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazioni di pericolosità sociale”); infatti, l’art. 118 del Codice, sulla base dal legame di dette norme, riporta per intero e solo con qualche cambiamento di natura meramente lessicale l’art. 18 della l. 55/90, già modificato dalla l. 415/98 e richiamato dall’art. 16 del d.lgs. 358/92, dall’art. 18 del d.lgs. 157/95 e dall’art. 21 del d.lgs. 158/9517. 17. Cfr. sul tema dell’evoluzione normativa A. Costantini, Il subappalto di opere pubbliche: riflessioni alla luce di una riforma annunciata, in «Riv. Trim. Appalti», 1994, 355; d. Vagnozzi, Il subappalto nei contratti pubblici, in Riv,. Trim. Appalti, 2001, 731; G. Zgagliardich, Subappalto e leggi antimafia nei lavori pubblici; I. Melis, Brevi note sulla discrezionalità 238 Capitolo V Il regolamento previsto dall’art. 18, comma 3 della l. 55/90, da emanarsi ai sensi dell’art. 17, comma 2 della l. 400/1988, viene in via astratta sostituito — secondo la previsione del comma 2 dell’art. 118 del Codice — dalle future disposizioni che dovrà contenere, fra l’altro, il regolamento di cui all’art. 5 del Codice. Il comma 2 espressamente si riferisce principalmente ai lavori, disponendo per le forniture e i servizi che la quota parte subappaltabile è riferita all’importo complessivo del contratto. Per quanto riguarda il subappalto, il quadro normativo nel suo complesso può essere indicato come segue. Analogamente a quanto previsto dall’art. 1656 cod. civ. relativamente all’appalto privato, anche per l’appalto di opere pubbliche, la possibilità per l’appaltatore di affidare a terzi l’esecuzione (totale o parziale) del contratto mediante la stipula di un contratto di subappalto è subordinata all’autorizzazione del committente. Tuttavia, nell’appalto di opere pubbliche, l’obbligo di acquisire preventivamente l’autorizzazione al subappalto, oltre che correlato — come nell’appalto privato — al carattere personale della prestazione, trae altresì origine dalla specifica esigenza di impedire che l’istituto del subappalto venga — come talvolta in passato —, impiegato quale via di accesso delle organizzazioni mafiose al settore degli appalti pubblici. L’importanza attribuita dal legislatore al rispetto del principio dell’autorizzazione al subappalto, quale strumento di prevenzione del fenomeno delle infiltrazioni mafiose negli appalti pubblici — in relazione alle inevitabili ripercussioni in termini di turbamento della libera concorrenza, correlate alla presenza di organizzazioni criminali —, è suggellata da una norma penale speciale che configura addirittura una fattispecie di reato (contravvenzione) c.d. di pericolo. della pubblica amministrazione appaltante in materia di autorizzazione al subappalto di opere pubbliche, in «Riv. Trim. Appalti», 1988, 923; V. Titinelli, Scelta del contraente ed esecuzione di appalti di opere pubbliche alla luce della legge 19 marzo 1990, n. 55, in «Riv. Amm. R.I.», 1991, 121; S. Bandini Zanigni, Il subappalto nei contratti di appalto di opere pubbliche, pubbliche forniture e servizi, in «Riv. Trim. Appalti», 1999, 412. Istituti 239 Si tratta dell’art. 21, comma 1 della legge 13 settembre 1982, n. 646, e s.m.i., secondo il quale: chiunque, avendo in appalto opere riguardanti la pubblica amministrazione, concede, anche di fatto, in subappalto o a cottimo, in tutto o in parte le opere stesse, senza l’autorizzazione dell’autorità competente, è punito con l’arresto da sei mesi ad un anno e con l’ammenda non inferiore ad un terzo del valore dell’opera concessa in subappalto o a cottimo e non superiore ad un terzo del valore complessivo dell’opera ricevuta in appalto. Nei confronti del subappaltatore e dell’affidatario del cottimo si applica la pena dell’arresto da sei mesi ad un anno e dell’ammenda pari ad un terzo del valore dell’opera ricevuta in subappalto o in cottimo. È data all’Amministrazione appaltante la facoltà di chiedere la risoluzione del contratto. La stessa disposizione, al comma 3, ultimo cpv., continua: «l’ulteriore prosecuzione dei rapporti stessi, in carenza del titolo autorizzatorio, è punita con le pene stabilite nel primo comma, ferma restando la facoltà dell’amministrazione appaltante di chiedere la risoluzione del contratto». La violazione del divieto di subappalto assume, dunque, specifica rilevanza sotto il profilo penale, integrando un reato contravvenzionale ai sensi del combinato disposto degli artt. 17 e 39 del cod. pen. La sanzione penale colpisce sia l’appaltatore, sia il subappaltatore. La stessa norma, inoltre, rimette alla valutazione discrezionale dell’amministrazione appaltante la facoltà di chiedere la risoluzione contrattuale nei confronti dell’appaltatore. In tale contesto, si rinviene il fondamento del rigoroso regime normativo delineato dalle “Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale”, di cui alla legge 19 marzo 1990 n. 55, dalle specifiche disposizioni del Codice sugli appalti pubblici (art. 118 Codice appalti)) ed, attualmente, del d.p.r. 21 dicembre 1999 n. 554, che impone quale principio fondamentale quello secondo il quale l’affidamento in subappalto deve essere preventivamente autorizzato dall’amministrazione appaltante. 240 Capitolo V Inoltre, anche in tale contesto si tenga presente che Il divieto di affidare senza autorizzazione della p.a., in tutto o in parte, lavori in subappalto o a cottimo, cui fa riferimento l’art. 21 l. 646 del 1982, si riferisce non solo ai contratti tipici ma anche a quelle forme contrattuali atipiche o derivate, con le quali sotto diverso nome si realizza lo stesso risultato del subappalto o del cottimo(nella specie, la Corte Cassazione penale, sez. III, 29 novembre 2005, n. 792 ha ritenuto configurabile la contravvenzione anche nel caso di cosiddetto “nolo a caldo. E sempre ai fini delle responsabilità sul piano penale, va altresì evidenziato che relativamente alle ipotesi di subappalto e delle altre figure ad essa assimilabili e comunque rientranti nell’ambito di applicazione della normativa prevista nell’art. 118 del Codice, è vietato, a pena di responsabilità penali, dissimulare il subappalto mediante fittizie contrattazioni di nolo a freddo. In tal senso, ex multis, si è espressa la Cassazione penale sez. I, 06 ottobre 1995, n. 11862, nella cui sentenza, dopo aver ripercorso la motivazione di condanna dei giudici di secondo grado («La sentenza di secondo grado, sulla scorta delle deposizioni testimoniali rese da taluni operai occupati nell’esecuzione dei lavori, di dati contabili, di risultanze documentali e di argomenti logici desunti da emergenze processuali, riteneva che la realtà effettuale costituita dal rapporto di sub appalto fosse stata dissimulata attraverso la conclusione di fittizi contratti di c.d. “nolo a freddo” tra la ditta appaltatrice “S.” e le ditte “s.r.l. T.” e “B.L.”, che avevano, di fatto, eseguito i lavori appaltati, quantomeno relativamente alle previste opere di scavo, nonché mediante la fittizia assunzione, da parte della “S.”, di lavoratori in realtà dipendenti dalla “s.r.l. T.”»), ha delineato anche il momento perfezionativo del reato in oggetto: trattasi di reato istantaneo, il cui momento consumativo coincide con la concessione di subappalto e, dunque, nella specie, con la conclusione dei contratti di “nolo a freddo” dissimulanti il contestato subappalto. Istituti 241 Per quanto riguarda il richiamo all’art. 2359 c.c. che è stato operato dall’art. 118, comma 8, d.lgs. 163/06, occorre preliminarmente evidenziare che la disposizione da ultimo citata è anch’essa identica al previgente contenuto dell’art. 18, l. 55/90. Pertanto, la dichiarazione richiesta all’affidatario del contratto pubblico (di trovarsi o meno in rapporto di controllo o collegamento con il subappaltatore) deve ritenersi necessaria esclusivamente per consentire l’avvio e la positiva conclusione del procedimento volto ad autorizzare il subappalto, in quanto la legge non vieta che un vincolo del genere vi sia tra appaltatore e subappaltatore, ma solo impone che l’esistenza di siffatto vincolo non sia nascosta18. Dunque, in nessun modo è possibile sovrapporre tale disposizione a quella (perciò, solo apparentemente simile) contenuta nell’art. 34, comma 2 del Codice, che invece rende legittima l’adozione di un provvedimento di esclusione dalla gara a carico dell’impresa che dovesse trovarsi in una delle suddette situazioni contrarie al contenuto precettivo, il quale si estende anche oltre le ipotesi elencate nell’art. 2359 c.c. Alla luce di tali analisi sul dato normativo, secondo i principi che informano l’attività amministrativa, si è del parere che, ove l’istanza dell’affidatario volta ad ottenere autorizzazione al subappalto dovesse difettare della dichiarazione prescritta dall’art. 118, comma 8, Codice dei Contratti pubblici, nulla vieta — anzi sembra essere in tal senso doveroso — che la stazione appaltante solleciti il perfezionamento della domanda anziché immediatamente adottare un provvedimento di diniego. Posta la natura e la rilevanza penale del subappalto non autorizzato19, ci si deve domandare quali conseguenze sul piano civilistico si possono porre in concreto qualora sia stato “stipulato” un contratto di subappalto non autorizzato. Su tale argomento, occorre riportare 18. in questo senso, cfr. Zgargliardich, Subappalto e leggi antimafia nei lavori pubblici, 1996, p. 550. 19. sul tema e per l’approfondimento, cfr. A. Areddu, M. Mancini, (Ulteriori) profili penali del nuovo “Codice dei contratti pubblici”. Subappalto, disciplina antimafia, consorzi stabili, in www. penale. it diritto, procedura e pratica penale, novembre 2006. 242 Capitolo V l’interessantissima, completa e ricca di logica Sentenza del Tribunale di Nola, 22 marzo 2005, G.I. dott. R. Califano: A tal proposito deve ricordarsi come l’originario art. 339 della legge sui lavori pubblici già vietava il subappalto prevedendo la rescissione del contratto di appalto, e ciò a salvaguardia del principio della conduzione personale dei lavori, ma pur sempre a protezione di interessi prevalentemente contrattuali della pubblica amministrazione. La menzionata norma è stata poi sostituita da quella dell’art. 21 della legge 646/1982, la quale esclude la possibilità di subappalto di opere pubbliche senza l’autorizzazione della pubblica amministrazione appaltante. La norma in esame vieta all’appaltatore di opera pubblica di cedere in subappalto o a cottimo l’esecuzione delle opere stesse, o di una loro parte, senza l’autorizzazione dell’«autorità competente», prevedendo, a carico del subcommittente e del subappaltatore, le sanzioni penali dell’arresto e dell’ammenda. La disposizione, inserita in una legge contenente anche norme di prevenzione di carattere patrimoniale per la lotta contro la criminalità organizzata e mafiosa, è chiaramente in funzione di tutela preventiva della collettività dalla ingerenza mafiosa (e della criminalità organizzata in genere) nella esecuzione di opere pubbliche. Lo scopo è quello di assicurare il controllo anteriore alla stipulazione del subappalto dell’identità e della qualità dei soggetti che si interpongono nell’esecuzione dei lavori pubblici nonché sulla destinazione del denaro pubblico, al fine di evitare manovre speculative di accaparramento degli appalti. La nullità dei contratti di subappalto di opere pubbliche non autorizzati dalla pubblica amministrazione, è pressoché indiscussa. Essa è stata ribadita in più occasioni sia dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 18. 11. 1997 n. 11450 e Cass. 16/7/2003 n. 11131), sia da quella di merito (Trib. Napoli 21 giugno 1985, in Giust. Civ. 1985, I, 2329; Trib. Napoli 20/5/2002, n. 6761 inedita, Trib. Napoli 8 giugno 2004, in Giur. merito 2004, 2364 e Trib. Nocera Inferiore 5 novembre 1997, in Giur. merito, 1999, 889). Dal canto suo, la dottrina non ha mancato di rilevare che, avendo il legislatore accomunato nella sanzione penale sia il subcommittente che il subappaltatore, ed essendo la fattispecie penale integrata dalla stessa conclusione del contratto di subappalto, ci si trova di fronte ad una fattispecie di cosiddetto reato–contratto, in cui è la stessa conclusione del contratto a subire il giudizio di riprovevolezza (nella forma più intensa, quella penale) dell’ordinamento, e nel quale è di conseguenza innegabile la contrarietà dell’accordo ad una norma imperativa, e quindi la nullità, ex art. 1418 comma 1 c.c., del medesimo. Istituti 243 Trattasi della cosiddetta nullità virtuale, tipica dei contratti contrari a norme imperative. Dalla nullità dei contratti in esame discende l’infondatezza delle domande subordinate degli attori, non avendo gli stessi titolo alcuno per pretendere il pagamento di corrispettivi, per i quali mancano delle valide cause giustificative sul piano sinallagmatico. Vanno ora esaminate le domande, proposte in via principale, con le quali vengono richiesti dagli attori gli indennizzi a titolo di arricchimento senza causa. Anche relativamente alle domande in parola si impone però, un giudizio di infondatezza. A riguardo occorre rilevare che la giurisprudenza di merito che si è occupata della materia (in gran parte richiamata dai convenuti negli scritti conclusionali) ha negato al subappaltatore tanto il corrispettivo contrattuale quanto l’azione di cui all’art. 2041 c.c. (così Trib. Napoli 21 giugno 1985, cit., Trib. Napoli 20 maggio 2002 cit., Trib. Napoli 8 giugno 2004, cit. e Tribunale Nocera Inferiore 5 novembre 1997, cit.). La conclusione ha trovato una, sia pure indiretta, conferma anche nella giurisprudenza di legittimità. Ed invero, la Suprema Corte con la sentenza n. 11131 del 16 luglio 2003, in conseguenza della nullità del contratto di subappalto, ha negato all’appaltatore la possibilità di richiedere alla pubblica amministrazione committente il compenso per i lavori che erano stati affidati in subappalto, osservando che diversamente opinando si vanificherebbero le esigenze alla cui tutela è stata preposta la nullità in esame. La rilevanza penale di una stipulazione contrattuale, invero, è abitualmente ritenuta indicativa di una valutazione negativa della convenzione anche sotto il profilo etico e sociale, atteso che, com’è noto, la nozione dei negozi contrari al buon costume si intende non limitata ai soli negozi contrari alle regole del pudore sessuale e della decenza, ma estesa fino a comprendere i negozi contrari a quei principi ed esigenze della coscienza collettiva che costituiscono la morale sociale, cui si uniforma il comportamento della generalità delle persone corrette e di buona fede in un determinato momento ed in un dato ambiente. Com’è noto, la qualificazione di immoralità di un contratto integrante una fattispecie di reato ha gravi risvolti in materia di ripetizione di indebito. L’art. 2035 c.c., prevede, infatti, che «chi ha eseguito una prestazione per uno scopo che, anche da parte sua, costituisca offesa al buon costume non può ripetere quanto ha pagato». La norma, che costituisce limite legale all’applicabilità del precedente art. 2033 c.c., impone al giudice di procedere, sulla 244 Capitolo V base delle risultanze acquisite, alla ulteriore valutazione del contratto, di cui abbia già ravvisato l’illegalità, sul diverso piano della sua contrarietà al buon costume in relazione al momento in cui il negozio è stato compiuto (cfr. Cass. ss. uu. 7. 7. 1981, n. 4414). In sostanza, l’accertamento della nullità di un contratto per contrarietà a norme imperative impone un’ulteriore valutazione dell’atto, onde accertare una sua eventuale immoralità. E ciò in quanto proprio dal principio che trova espressione nell’art. 2035 c.c. si ricava che le prestazioni fatte per uno scopo contrario al buon costume non sono ripetibili; mentre quelle fatte in esecuzione di un qualsiasi altro negozio illegale per contrarietà a norme imperative, ma non immorale, lo sono. È da ritenere che il principio in parola riverberi i suoi effetti anche nel campo dell’azione generale di indebito arricchimento, della quale, peraltro, le azioni di ripetizione di indebito non sono altro che specificazioni tipizzate dal legislatore. Tanto è stato ritenuto dalla stessa Suprema Corte (sent. 21. 7. 1979, 4398) la quale ha osservato proprio che «la norma contenuta nell’art. 2035 c.c. è tale da paralizzare persino l’azione generale di arricchimento, che pure costituisce lo strumento più idoneo, quando manchi qualunque altra azione, per farsi indennizzare il pregiudizio sofferto a causa della nullità di un contratto stipulato contra legem» (Cfr. Cass. 18. 10. 1982, n. 5408). Orbene, ad avviso del Tribunale deve quindi ritenersi che, affermata l’insanabile nullità dei contratti stipulati in violazione di precetti penali, le parti debbano ritenersi prive non solo di azione contrattuale, ma pure di azione di indebito arricchimento. Tale azione, avendo funzione integratrice e sussidiaria, non può invero ambire allo sconcertante risultato di assicurare la conservazione dei risultati economici di prestazioni eseguite in adempimento di contratti invalidi e sanzionati penalmente (cosiddetti reati–contratto) e che si vogliono eliminare proprio tramite la declaratoria di nullità. Opinando in tal modo, il principio dell’arricchimento senza causa si presterebbe surrettiziamente ad aggirare pure le norme imperative di carattere penale, finendo per perseguire finalità contrarie a quelle perseguite dalla legislazione penale mediante la incriminazione della conclusione contrattuale, vista quale concreta modalità esecutiva del reato. Tale conclusione è stata altresì affermata dalla Suprema Corte in un precedente di qualche anno or sono, relativo ad una nullità per violazione di norme valutarie, in cui venne appunto respinta la possibilità di accogliere la subordinata domanda di arricchimento senza causa (Cass. 13. 12. 1984, n. 6537). Ad analoga conclusione, presidiata dalla medesima ratio, la giurisprudenza di legittimità è giunta in fattispecie diversa che però presenta diverse e signi- Istituti 245 ficative analogie con quella che ci occupa. In particolare, la Suprema Corte (sentenza 17/5/2001, n. 6777) ha statuito che nelle controversie riconducibili alle fattispecie regolate dagli artt. 1150 e 936 c.c. nessun indennizzo a carico del proprietario del fondo può essere preteso dal terzo costruttore che abbia realizzato l’opera in violazione della normativa edilizia, autonomamente commettendo o concorrendo nel commetterli, i reati previsti e puniti dagli artt. 31 e 41 della legge 1150 /1942 e 10 e 13 della legge 765/1967, e ciò non tanto perché possano essere poste in dubbio la sussistenza o l’entità della locupletazione del proprietario del fondo nella prospettiva di un ordine di demolizione da parte della pubblica amministrazione competente, quanto piuttosto perché è da ritenere in contrasto con i principi generali dell’ordinamento ed in particolare con la funzione dell’amministrazione della giustizia che possa l’agente conseguire indirettamente, ma pur sempre per via giudiziaria, quel vantaggio che si era ripromesso di ottenere nel porre in essere l’attività penalmente illecita e che in via diretta gli è precluso dagli artt. 1346 e 1418 c.c. (nel medesimo senso Cass. 26. 1. 1998, n. 713; Cass. 10. 9. 1997, n. 8834 e Cass. 29. 1. 1997, n. 888). Ed invero, sebbene in via di principio appaia possibile proporre l’azione ex art. 2041 c.c. per l’ipotesi di nullità del contratto intercorso tra le parti (si veda soprattutto in caso di rapporti con la pubblica amministrazione le nullità di carattere formale dei contratti conclusi in forma orale, laddove era imposta la forma scritta ad substantiam), laddove la ragione della nullità sia il contrasto con norme imperative, occorre, tuttavia, evitare che con l’azione di arricchimento si aggiri o si frodi la legge (art. 1344 c.c.). Di conseguenza, anche il principio di sussidiarietà che presiede all’azione de qua deve essere interpretato in maniera tale da assicurare la tutela delle preminenti esigenze presidiate dalle norme imperative di particolare rilevanza ritenendosi la norma di cui all’art. 1344 c.c., in combinazione con quella di cui all’art. 2042 c.c., valido strumento idoneo a scongiurare l’aggiramento o l’elusione delle norme imperative suddette (cfr. in tal senso Cass. 21. 11. 1996 n. 10251, che in tema di medici delle USL che abbiano prestato assistenza ad un numero di pazienti superiore a quello massimo previsto dalla legge, ha negato la possibilità di richiedere un ulteriore compenso a titolo di arricchimento senza causa). Nella fattispecie, aderendo peraltro alla tesi giurisprudenziale oramai prevalente che ritiene che nell’arricchimento senza causa possa farsi rientrare anche l’utile di impresa, ove si ammettesse il ricorso all’azione ex art. 2041 c.c., i subappaltatori riceverebbero i medesimi compensi che avrebbero ottenuto, qualora i subappalti, anziché posti in violazione delle ricordate norme im- 246 Capitolo V perative, fossero stati sottoposti alle normali procedure finalizzate al rilascio delle autorizzazioni presidio, conseguenza queste che appaiono assolutamente inconciliabili con la ratio che ha spinto il legislatore a configurare come reato la conclusione del subappalto non autorizzato. Ciò posto, attesa la nullità virtuale del contratto di subappalto non autorizzato e la responsabilità penale a carico sia dell’appaltatore sia del subappaltatore, una delle possibili conseguenze sul piano processuale potrebbe consistere nel sequestro penale dell’eventuale parte di lavori realizzata in tale circostanza di reato, con l’eventuale poi messa a disposizione dei lavori eseguiti alla stazione appaltante. Quest’ultima nei confronti dell’appaltatore potrebbe poi risolvere il contratto e in forza dell’art. 135 del Codice (ma in esso si presuppone il passaggio in giudicato delle sentenze di condanna), o, attesa la natura di tutela preventiva dall’infiltrazione mafiosa che spiega la norma penale in parola, potrebbe operare l’art. 11, comma 3 del d.p.r. 252/98: Le facoltà di revoca e di recesso di cui al comma 2 si applicano anche quando gli elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa siano accertati successivamente alla stipula del contratto, alla concessione dei lavori o all’autorizzazione del subcontratto. *** Come è noto, secondo l’attuale formulazione dell’art. 118 del Codice (è l’abrogato art. 34 della legge Merloni) e secondo quanto previsto dall’art. 141, comma 1 del d.p.r. 554/99, i lavori della categoria prevalente sono subappaltabili nella misura massima del trenta per cento, mentre, per quanto riguarda le altre categorie di lavoro diverse da quella prevalente — e cioè categorie scorporate di carattere specialistico — e indicate nel bando dall’amministrazione appaltante, non sussistono limiti al subappalto, salvo diverse specifiche disposizioni di legge. È opportuno ricordare che, a norma dell’articolo 30 del d.p.r. 34/2000, ancora vigente, per “categoria prevalente” si intende la categoria di importo più elevato fra quelle costituenti l’intervento e che le “ulteriori categorie”, che, insieme alle categoria prevalente, devo- Istituti 247 no obbligatoriamente essere indicate nel bando, sono quelle di valore singolarmente superiore al dieci per cento dell’importo complessivo dell’opera o del lavoro, ovvero di importo superiore a 150.000 Euro. Vale, peraltro ricordare che, qualora nell’oggetto dell’appalto (o della concessione) rientrino, oltre ai lavori prevalenti, opere per le quali siano necessari lavori o componenti di notevole contenuto tecnologico o di rilevante complessità tecnica, quali strutture, impianti e opere speciali, esse non possono essere affidate in subappalto ma debbono essere eseguite esclusivamente dai soggetti affidatari, eventualmente tramite la costituzione di una associazione temporanea di imprese di tipo “verticale” se detti lavori superino in valore il quindici per cento dell’importo totale. Occorre ora delineare alcuni aspetti rilevanti della disciplina contenuta nell’art. 118. L’art. 118 c. 2 n. 1) del Codice, impone, quale condizione preliminare cui è subordinata la concessione dell’autorizzazione al subappalto, l’indicazione da parte dell’appaltatore — all’atto dell’offerta — dei lavori o delle parti di opere che esso intenda subappaltare o concedere in cottimo. Più specificatamente, la predetta norma, nell’imporre all’appaltatore l’onere di dichiarare già in sede di gara i lavori che intende appaltare quale condicio sine qua non ai fini dell’acquisizione dell’autorizzazione da parte della stazione appaltante, tutelerebbe l’appaltatore stesso — ancorché solo indirettamente — da eventuali intimidazioni da parte delle organizzazioni mafiose, nella misura in cui la preclusione al subappalto, in assenza della suddetta dichiarazione, non sia riconducibile alla sua volontà, ma alla volontà della legge. Come è noto, antecedentemente alle modifiche apportate dall’art. 9 della l. 15/98, era previsto che, all’atto dell’offerta, i concorrenti indicassero non solo i lavori che intendevano subappaltare, ma anche il nominativo delle imprese subappaltatrici (in numero da uno a sei). Peraltro, la pratica applicazione di tale norma si è mostrata di fatto estremamente gravosa, al limite dell’inattuabile, a causa del costante 248 Capitolo V mancato rispetto delle offerte rimesse dai subappaltatori e/o subfornitori contrattate e allegate alla documentazione di gara. Infatti, i subappaltatori e/o subfornitori indicati in sede di gara, sia a causa della loro situazione di privilegio — in quanto nominati — sia a causa dell’abnorme tempo che normalmente trascorre tra la gara e l’effettivo inizio dei lavori, ritenendosi senza concorrenza, producevano richieste di revisione in aumento delle loro offerte, incongrue sia con le condizioni economiche stabilite nella gara d’appalto, sia con le condizioni economiche generali di mercato. L’onere di preventiva indicazione dei subappaltatori e/o subfornitori in sede di gara è venuto meno a seguito delle modifiche conseguenti alla l. 415/98, che ha limitato l’obbligo dell’appaltatore alla sola indicazione delle opere da subappaltare, lasciando libero l’appaltatore stesso di scegliere il subappaltatore in qualunque tempo fino al deposito del contratto derivato. Con riferimento alle modifiche introdotte dall’art. 9 della l. 415/98 all’art. 18, comma 9, l. 55/90 e in particolare all’eliminazione dell’onere di preventiva indicazione dei nominativi dei subappaltatori in sede di offerta, l’Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici nella Determinazione n. 5 del 4 novembre 1999, ha avuto modo di precisare che la normativa sopravvenuta che innova un procedimento amministrativo si applica ai procedimenti in corso, cioè ad essa occorre riferirsi per le fasi che intervengono dopo la sua entrata in vigore e che sono innovativamente disciplinate. L’appaltatore dovrà quindi depositare il contratto di subappalto e documentare il possesso nel subappaltatore dei requisiti presenti sia che si tratti di subappaltatore già nominativamente indicato, in sede di gara, sia di soggetto diverso. Né occorre la dimostrazione della impossibilità a contrarre con i soggetti in sede di gara. Anche il Ministero dei Lavori Pubblici con circolare 22 dicembre 1998 n. 2100 – UL ha posto in rilievo la natura procedurale e non sostanziale delle innovazioni di cui trattasi e ha ritenuto l’immediata applicabilità della nuova disciplina a tutti i contratti in corso d’esecuzione. L’autorizzazione al contratto derivato, pertanto, deve essere anche per tutti i contratti in corso rilasciata dalla stazione appaltante, come previsto dall’art. 18, c. 9 legge 55/1990, modificata dall’art. 9, c. 69 della legge 415/98. Istituti 249 In altri termini, con la menzionata Determinazione, l’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici è intervenuta a chiarire definitivamente l’operatività dell’innovazione normativa in questione anche relativamente agli appalti già stipulati al momento dell’entrata in vigore della l. 415/98, con la conseguenza che negli appalti in corso di esecuzione l’appaltatore ai fini dell’affidamento in subappalto non era più vincolato alla scelta dei soli soggetti indicati in sede di offerta. Per quanto riguarda le ulteriori condizioni cui è subordinato il rilascio dell’autorizzazione al subappalto, le vigenti disposizioni normative e in particolare l’art. 18, comma 3, l. 55/90, come richiamato dall’art. 141, comma 3 del d.p.r. 554/99, prevedono che l’autorizzazione al subappalto può essere concessa allorché dagli accertamenti compiuti presso gli organi competenti (Camera di Commercio e Prefettura) risulti l’insussistenza a carico del subappaltatore di misure di prevenzione e/o l’insussistenza di procedimenti in corso per l’applicazione delle stesse20. Ulteriore fondamentale condizione necessaria al conseguimento dell’autorizzazione è l’accertamento del possesso, da parte del subappaltatore, dei requisiti di idoneità di cui al d.p.r. 34/2000 in relazione all’entità e alla tipologia dei lavori da affidare in subappalto. Alla verifica — a cura dell’amministrazione appaltante — della sussistenza dei suddetti requisiti in capo al subappaltatore (come indicati al punto 4), comma 3 dello stesso art. 18), è finalizzata la disposizione di cui al comma 3, punto 3) dell’art. 18 in esame, che impone infatti all’appaltatore di trasmettere, “al momento del deposito del contratto di subappalto” (in sede di istanza di autorizzazione), la certificazione comprovante il possesso da parte del subappaltatore dei requisiti di idoneità di cui al d.p.r. 34/2000, corrispondenti al valore dei lavori da subappaltare, «salvo i casi in cui, secondo la legislazione vigente, è sufficiente per eseguire i lavori pubblici l’iscrizione alla camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura». 20. Cfr. art. 141, comma 3, d.p.r. 554/99 in combinato disposto con l’art. 18, comma 9, l. 55/90 e s.m.i. e art. 10, comma 5 – bis l. 575/1965. 250 Capitolo V Vale evidenziare che, in esito all’introduzione del d.p.r. 34/2000, il controllo dei requisiti di idoneità a cura delle amministrazioni appaltanti, avviene sulla base delle attestazioni (SOA) rilasciate alle imprese che, a tal fine, devono produrre la documentazione di cui all’art. 17 del d.p.r. 34/2000 (afferente i requisiti di ordine generale) e la documentazione prescritta dall’art. 18 (requisiti di ordine speciale) ai fini della dimostrazione: a) dell’adeguata capacità economica e finanziaria; b) dell’adeguata idoneità tecnica e organizzativa; c) dell’adeguata dotazione di attrezzature; d) dell’adeguato organico medio annuo. I documenti idonei a dimostrare il possesso dei requisiti di ordine speciale ai fini dell’attestazione da parte delle SOA, sono indicati dallo stesso articolo 18 del d.p.r. 34/2000, che, con specifico riferimento all’adeguata attrezzatura tecnica stabilisce che tale requisito consiste nella dotazione stabile di attrezzature, mezzi d’opera ed equipaggiamento tecnico, in proprietà o comunque nel possesso e/o nella disponibilità dell’impresa (in virtù ad es. di contratti di noleggio e, dunque anche di comodato). Secondo quanto, ancora previsto dal comma 3 dell’art. 141 del d.p.r. 554/99, oltre alla documentazione comprovante il possesso da parte del subappaltatore dei requisiti di idoneità di cui al d.p.r. 34/2000 corrispondenti ai lavori da subappaltare, l’appaltatore in sede di presentazione dell’istanza di autorizzazione al subappalto, deve produrre “la documentazione prevista dall’art. 18, commi 3 e 9 della legge 19 marzo 1990, n. 55” e, dunque: copia autentica del contratto di subappalto, con allegata la dichiarazione circa la sussistenza o meno di forme di controllo o di collegamento tra appaltatore e subappaltatore, di cui all’art. 2359 cod. civ.; certificazione attestante l’insussistenza di misure antimafia. Quanto all’obbligo di produrre copia del contratto di subappalto, autorevole dottrina ha rilevato: non si comprende il senso della prescrizione, considerato che in sede di istanza di autorizzazione evidentemente il contratto non è stato ancora concluso, attendendosi ragionevolmente per il suo perfezionamento la concessione dell’autorizzazione. La norma, perciò può trovare applicazione soltanto attraverso l’artificio di stipulare, prima dell’inoltro dell’istanza, un contratto di 251 Istituti sub–appalto contenente la condizione risolutiva consistente nell’evento della mancata concessione dell’autorizzazione21. Dal poco chiaro combinato disposto dell’art. 18, comma 3, punto 2) l. 55/90 e s.m.i. con la disposizione di cui al comma 3 dell’art. 141 del d.p.r. 554/99, sembrerebbe, peraltro, potersi evincere che il deposito della copia autentica del contratto d’appalto, debba essere effettuato due volte: una prima volta, in sede di presentazione dell’istanza di autorizzazione, una seconda volta, nei venti giorni prima della data di effettivo inizio dei lavori e cioè, ad autorizzazione intervenuta. Quanto al deposito del contratto di subappalto, da effettuarsi nei venti giorni prima dell’inizio dei lavori, la normativa non prevede conseguenze sanzionatorie nell’ipotesi di mancato rispetto del suddetto termine. Detto termine, infatti, non ha carattere perentorio, bensì sollecitatorio. Più specificatamente, l’obbligo dell’invio del contratto di subappalto entro i venti giorni è correlato alla sola finalità di consentire alla stazione appaltante di verificare se, in sede di sub–contratto, sia stata data puntuale osservanza alle disposizioni di cui al comma 4 dell’articolo 118 del Codice, secondo cui “l’impresa aggiudicataria deve praticare, per i lavori e le opere affidate in subappalto, gli stessi prezzi unitari risultanti dall’aggiudicazione, con ribasso non superiore al venti per cento”. In tale contesto, si comprende come il legislatore non abbia previsto alcuna conseguenza, sul piano sanzionatorio, in ipotesi di ritardata trasmissione del contratto. In virtù di quanto sancito dal comma 8 dell’art. 118, inoltrata l’istanza di autorizzazione con l’allegata documentazione (secondo le prescrizioni dell’art. 141, comma 3): la stazione appaltante provvede al rilascio dell’autorizzazione entro trenta giorni dalla relativa richiesta […]. Trascorso tale termine senza che si sia provveduto, l’autorizzazione si intende concessa. 21. Cfr. M. Mazzone, C. Loria, Manuale di diritto dei lavori pubblici. 252 Capitolo V Come specificato dalla disposizione, il dies a quo ai fini del computo del termine dei trenta giorni per il c.d. silenzio–assenso in merito all’autorizzazione, decorre dalla data di ricevimento dell’istanza. È appena il caso di precisare che, ai fini della relativa legittimità e validità, una autorizzazione assentita tacitamente — non diversamente da un’autorizzazione rilasciata — implica comunque la sussistenza dei requisiti soggettivi e oggettivi che ne permettono il rilascio in termini di legge. Secondo autorevole dottrina, il meccanismo del silenzio assenso, è stato introdotto dal legislatore nell’intento di evitare l’eccessiva dilatazione dei tempi che la pubblica amministrazione impiega per l’esame delle domande di autorizzazione ai subappalti, a scapito di un proficuo e lineare andamento dei lavori. Rispetto all’art. 21 della l. 646/1982, il silenzio assenso produce quale effetto di non poco rilievo, l’esenzione dell’appaltatore, del subappaltatore e del cottimista, che pongano in essere «contratti derivati» dopo 30 giorni, dalla presentazione dell’istanza di autorizzazione, senza ottenere risposta. Quanto all’obbligo di produrre la dichiarazione circa la sussistenza o meno di eventuali forme di collegamento ex art. 2359 cod. civ. tra l’appaltatore e il subappaltatore, a tal fine il legislatore considera rilevante sia la situazione di controllo che quella di collegamento, prendendo come parametro di riferimento il disposto di cui alla disposizione codicistica sopra menzionata. Come è noto, l’art. 2359 cod. civ., definisce come «società controllate»: a) le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti aziendali nell’assemblea ordinaria (controllo di diritto); b) le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria (controllo ordinario); c) le società che sono sotto l’influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa (controllo indiretto). Sono, invece, definite come “società collegate” le società nelle quali un’altra società esercita un’influenza notevole, la quale si presume allorché, Istituti 253 nell’assemblea ordinaria, può essere esercitato almeno 1/5 dei voti ovvero 1/10 se la società ha azioni quotate in borsa. *** Posto quanto sopra, vale ricordare che, come è noto, il rigoroso regime imposto dalla disciplina in materia di subappalto nei lavori pubblici è esteso anche ai sub–affidamenti aventi ad oggetto prestazioni non qualificabili in termini di lavori in quanto non rientranti in alcuna delle tipologie di prestazioni definite dal d.p.r. 34/2000. L’equiparazione di tali fattispecie sub–contrattuali al subappalto è operata dall’art. 118, comma 11 del Codice De Lise: Ai fini del presente articolo è considerato subappalto qualsiasi contratto avente ad oggetto attività ovunque espletate che richiedono l’impiego di manodopera, quali le forniture con posa in opera e i noli a caldo, se singolarmente di importo superiore al 2 per cento dell’importo delle prestazioni affidate o di importo superiore a 100.000 euro e qualora l’incidenza del costo della manodopera e del personale sia superiore al 50 per cento dell’importo del contratto da affidare. Il subappaltatore non può subappaltare a sua volta le prestazioni salvo che per la fornitura con posa in opera di impianti e di strutture speciali da individuare con il regolamento; in tali casi il fornitore o subappaltatore, per la posa in opera o il montaggio, può avvalersi di imprese di propria fiducia per le quali non sussista alcuno dei divieti di cui al comma 2, numero 4). È fatto obbligo all’affidatario di comunicare alla stazione appaltante, per tutti i sub–contratti stipulati per l’esecuzione dell’appalto, il nome del sub–contraente, l’importo del contratto, l’oggetto del lavoro, servizio o fornitura affidati. Dal tenore letterale della disposizione in parola si evince, dunque che, l’assoggettamento al regime autorizzatorio del subappalto è previsto per tutti quei subaffidamenti (compresi noli a caldo e le forniture con posa in opera) in cui concorrono tra loro il requisito dell’importo inferiore al 2% dell’importo del contratto d’appalto (o dell’importo inferiore a 100mila euro) e il requisito dell’incidenza della manodopera inferiore al 50%, con la conseguenza che in mancanza di uno dei suddetti requisiti il subaffidamento non necessita dell’autorizzazione al subappalto. 254 Capitolo V Come commentato da autorevole dottrina «l’ingenuo redattore della norma non ha tenuto nel debito conto che nella stragrande maggioranza dei lavori pubblici l’incidenza del costo della manodopera è inferiore al 50% dell’importo complessivo…», con la conseguenza che “una larghissima parte dei lavori non dovrebbero essere considerati subappalti e sfuggirebbero perciò alla relativa disciplina22. In sintesi, l’assoggettabilità dei subaffidamenti alle cogenti disposizioni di cui all’art. 118 del d.lgs. 163/06 e s.m.i., deve essere ricavata dall’applicazione del duplice criterio: a) tali sub–affidamenti devono avere ad oggetto qualsiasi attività richiedente comunque l’impiego di manodopera, ovunque espletata, singolarmente di importo superiore al 2% dell’importo dei lavori affidati o comunque di importo superiore a 100mila euro; b)l’incidenza del costo della manodopera e del personale in misura superiore al 50% dell’importo del contratto da affidare. In altri termini, ai fini delle disposizioni che subordinano i subaffidamenti all’autorizzazione ed alle altre condizioni, sono considerati subappalti soltanto quelli aventi le due suddette caratteristiche concorrenti tra loro, con la conseguenza che sfuggono alla disciplina del subappalto quegli affidamenti di importo inferiore al 2% dell’appalto e comunque non superiore a 100mila euro, così come, agli stessi effetti, non devono essere considerati subappalti quegli affidamenti nei quali l’incidenza del costo della manodopera è inferiore al 50% dell’importo complessivo. Vale, peraltro, ricordare, come anche rilevato dall’Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici nella determinazione n. 6 del 2003, che la formulazione del comma 11, art. 118 del Codice (era l’abrogato art. 18, comma 12 della l. 55/90) — evidentemente poco chiara nonostante le conseguenze penali correlate alla sua violazione — si è prestata, 22. Cfr. Mazzone, Loria, Manuale di Diritto dei Lavori Pubblici, ed. Jandi, Sapi, 2005. Istituti 255 nel corso degli anni passati, a diverse interpretazioni per quanto concerne l’ambito applicativo. Solo in esito all’intervento del legislatore della l. 166/02 nell’allora vigente legge Merloni (n. 109/94), è risultato che l’ambito di applicazione del disposto attualmente nel c. 11 dell’art. 118 del Codice è limitato ai subcontratti che non sono qualificabili in termini di lavori e cioè, alle forniture con posa in opera ed ai noli a caldo23. A tal fine occorre fare riferimento alle definizioni elaborate dalla dottrina e dalla giurisprudenza posto che, come è noto, le fattispecie contrattuali del nolo a caldo e della fornitura con posa in opera, diversamente dal contratto di appalto, non trovano specifica definizione e disciplina nel nostro codice civile. Secondo le definizioni delineate dalla dottrina e dalla giurisprudenza, per “nolo a caldo” si intende «un contratto di locazione cui accede una prestazione d’opera: i lavori vengono eseguiti con macchine prese a nolo ed utilizzate da personale messo a disposizione dalla stessa impresa noleggiatrice»24. Per “fornitura con posa in opera” si intende “un contratto di vendita in cui, oltre ad un “dare”, è prevista un’attività dell’Impresa fornitrice attraverso l’impiego di manodopera o maestranze in genere, per l’utilizzo dei materiali forniti”, talché, sempre in linea generale, può affermarsi che si è in presenza di un contratto di fornitura con posa in opera piuttosto che di un contratto d’appalto tutte le tutte le volte in cui la componente lavori sia di fatto accessoria e per contro sia prevalente l’attività di “dare” rispetto a quella di “facere”. In ogni caso, la distinzione tra fattispecie contrattuali “assimilate” 23. Vale, ancora, sottolineare che, come si evince dal tenore letterale della norma in esame, l’indicazione delle suddette fattispecie contrattuali atipiche è effettuata a titolo meramente esemplificativo, dovendosi senz’altro ritenere che il legislatore, nell’intento di rimuovere qualsiasi dubbio interpretativo sul punto, ha definitivamente esteso le prescrizioni afferenti la preventiva autorizzazione da parte dell’amministrazione appaltante a qualsiasi sub–contratto e non solo alle forniture con posa in opera ed ai noli a caldo, sempre che, ovviamente, si ricada in toto nell’art. 118, comma 11 del d.lgs. 163/06. 24. Cfr. Cianflone, Giovannini, L’Appalto di Opere Pubbliche, 2003. 256 Capitolo V ai sensi dell’art. 118, comma 11 del d.lgs. 163/06 e s.m.i. rispetto al contratto di subappalto deve essere effettuata avendo riguardo alla specifica tipologia di intervento dedotta nella fattispecie contrattuale concreta. Vale, peraltro, sottolineare che anche alla luce dei delineati criteri discretivi, permane la difficoltà per gli stessi operatori del diritto di distinguere nel caso concreto fattispecie subcontrattuali relative a prestazioni che non sono lavori ma che prevedono l’impiego di mano d’opera (come nel caso della fornitura con posa in opera e del nolo a caldo) dal subappalto. L’incertezza interpretativa, determinata sia dalla complessità del sistema normativo in materia, sia dall’implicazione di valutazioni di carattere prettamente ingeneristico ha indotto l’Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici a pronunciarsi espressamente sia pure con riferimento ad alcune specifiche figure subcontrattuali (cfr. determinazioni 22 maggio 2001, n. 12; 20 dicembre 2001, n. 25; 16 ottobre 2002, n. 27; 18 dicembre 2002, n. 31; 27 febbraio 2003, n. 6). Nelle suddette determinazioni, l’Autorità per la Vigilanza sui Lavori pubblici ha avuto modo di enunciare il criterio di massima secondo il quale in ogni caso in cui è configurabile un’attività prevista dalle declaratorie dell’allegato A al d.p.r. 34/2000 (concernente, appunto, la qualificazione dei soggetti esecutori dei Lavori pubblici) la funzione caratterizzante da riconoscere al contratto è da individuare nella realizzazione dell’opera o del lavoro che costituiscono, quindi, l’oggetto principale del contratto anche se le descrizioni fanno riferimento a forniture e posa in opera (cfr. determinazione 12/2001) ed ha altresì chiarito che le attività indicate nelle categorie di cui all’Allegato A al regolamento di qualificazione si riferiscono certamente a lavori, qualunque sia la relativa specificazione contenuta nella corrispondente declaratoria. Esse non possono infatti che rapportarsi alla disposizione (articolo 3 del d.p.r. 34/2000) che fa riferimento all’esecuzione di opere generali e di opere specializzate che vanno intese come risultato dei lavori e non di semplici forniture e posa in opera di beni e di noli a caldo ancorché le declaratorie (allegato A al d.p.r. 34/2000) facciano riferimento a tali tipi di prestazioni(Determinazione n. 25/2001). Istituti 257 Occorre precisare che l’Autorità per la vigilanza ha compiuto tale metodo di rinvio all’All. A del regolamento Bargone, per la ragione di offrire il criterio di massima di configurazione in concreto dei contratti d’appalto di lavori rispetto alle altre figure di sub–contratti (quali anche il nolo a caldo e la fornitura con posa in opera), e non per individuare le ipotesi in cui il fornitore potesse impiegare imprese di fiducia per le operazioni di posa o di montaggio (facoltà che rimane prevista nell’art. 141, c. 2 del d.p.r. 554/99 in cui viene stabilito che: «Il subappaltatore può subappaltare la posa in opera di strutture e di impianti e opere speciali di cui all’articolo 72, comma 4, lettere c), d) ed l)», e cioè in particolare dell’art. 72, c. 4 reg.: lett. c) l’installazione, la gestione e la manutenzione di impianti trasportatori, ascensori, scale mobili, di sollevamento e di trasporto; d) l’installazione, gestione e manutenzione di impianti pneumatici, di impianti antintrusione; l) la fornitura e posa in opera di strutture e di elementi prefabbricati prodotti industrialmente). Così, quel rinvio servì all’Autorità per enucleare il principio secondo cui in talune ipotesi il legislatore del regolamento n. 34/00, prescindendo dalla natura giuridica, ha inteso ricondurre al concetto di “lavorazioni” alcune prestazioni di fornitura con posa in opera, provvedendo alla relativa espressa descrizione delle stesse in alcune declaratorie dell’allegato A del regolamento Bargone. In ogni caso, la necessità di procedere ad una valutazione relativa alla fattispecie negoziale concreta — ai fini della qualificazione di un dato contratto in termini di subappalto o meno — si prospetta per tutte le ipotesi di contratti aventi ad oggetto oltre che prestazioni di mera fornitura anche prestazioni implicanti l’impiego di manodopera (quali quelle della posa in opera e del nolo a caldo) non riconducibili ad alcuna delle categorie individuate dall’Allegato A del d.p.r. 34/2000. In altri termini, per tutte le suddette attività non espressamente descritte dal d.p.r. 34/2000, si ripropone il problema di verificare se si tratti di attività riconducibili o meno a quelle tipiche del contratto di fornitura con posa in opera o di nolo a caldo, piuttosto che ad un contratto di appalto. Tale evenienza è, peraltro, piuttosto frequente, ove 258 Capitolo V si consideri che normalmente, l’esecuzione delle lavorazioni descritte dalle categorie di opere (generali e speciali) di cui al d.p.r. 34/2000, implicano l’esecuzione di prestazioni caratterizzate dalla compresenza della fornitura (o della locazione) e dell’impiego della manodopera. 5. Il trasferimento d’azienda o di ramo d’azienda Un primo aspetto giuridicamente rilevante consiste nella differenza esistente fra i termini “azienda” ed “impresa”, che spesso vengono invece utilizzati come sinonimi. In particolare, per impresa in diritto si intende “un’attività”: l’art. 2082 c.c. la definisce così “attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi”; per “azienda” si intende “un complesso di beni” ex art. 2555 c.c. L’art. 2555 cod. civ. definisce l’azienda come “[…] il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa” e cioè il complesso strumentale di cui l’imprenditore si avvale per svolgere la propria attività. L’azienda è oggetto di diritti: essa si può configurare come un bene distinto da annoverarsi tra i beni mobili; è formata a sua volta da un complesso di beni che possono essere mobili, immobili e crediti, mentre il suo valore è strettamente legato a quell’entità che è l’avviamento, frutto dell’attività dell’imprenditore, e che è tanto importante, come qualità stessa dell’azienda secondo alcuni dottori, o come bene a sé stante secondo altri25. Tali beni aziendali, che per essere tali devono essere, ovviamente, collegati in via funzionale tra loro, possono essere anche distinti in materiali (locali, macchinari, attrezzature) ed immateriali (brevetti, licenze, marchi, know how, etc.). L’imprenditore non deve essere obbligatoriamente proprietario degli strumenti della produzione, ma egli è necessariamente colui che utilizza 25. A. Trabucchi, Istituzioni di diritto civile, XXXVIII, p. 345. Istituti 259 a proprio rischio quegli strumenti della produzione, propria o del capitalista. Dunque, è possibile una dissociazione fra titolarità dell’impresa e proprietà degli strumenti di produzione; tale dissociazione si riflette nella nozione giuridica di azienda: questa è formata, secondo l’art. 2555, non dai beni dell’imprenditore, ma dai beni “organizzati dell’imprenditore”. La qualificazione di un bene come “bene aziendale” dipende, esclusivamente, dalla destinazione data al bene dall’imprenditore; la considerazione giuridica di una pluralità di beni come componenti, unitariamente, una “azienda” dipende dal fatto che si tratta di beni utilizzati da un medesimo imprenditore per l’esercizio di una medesima impresa. […]. Può accadere che l’imprenditore sia proprietario di alcuni beni aziendali e che disponga, invece, degli altri beni in virtù di un titolo obbligatorio; ma può, al limite, accadere che egli non sia proprietario di alcun bene aziendale. Anche in questo caso si è in presenza di una “azienda” nel senso dell’art. 2555 c.c.26 Una precisazione che F. Galgano ha richiamato27 fa riferimento al concetto linguistico per il quale la costruzione giuridica dell’azienda come “bene immateriale” che si identifichi nella “organizzazione” è una “ipostasi”, cioè la trasformazione di una qualità in una sostanza: la qualità dei beni di essere organizzati per l’esercizio dell’impresa diviene sostanza assoluta, un bene distinto. H. Kelsen critica spesso tale metodologia dell’ipostasi nella sua “Teoria generale del diritto e dello Stato” e Ascarelli28 ha messo in evidenza il pericolo di concepire lungo tale linea interpretativa l’idea d’organizzazione immateriale come ascrivibile nella tutela delle opere di ingegno. Il codice civile nel libro V, titolo VIII, capo I, prende soprattutto in considerazione l’azienda per la sua circolazione; essa può circolare con diverse modalità di trasferimento: può essere oggetto di atti cessione, di conferimento societario o anche di donazione. Non solo: sulla azienda possono essere costituiti diritti reali (come l’usufrutto) o personali (come l’affitto) di godimento a favore di terzi. 26. 27. 28. F. Galgano, Diritto commerciale. L’imprenditore, IV ed., Zanichelli, pp. 65 e 66. in Dir. Comm., op. cit., pp. 67 e 68, nt. 6. in Saggi di diritto commerciale, citazione in nota 6 di Galgano, op. e loc. cit. 260 Capitolo V Dunque, l’imprenditore può cedere ad altri l’azienda, ovvero può darla in usufrutto o in affitto. Va precisato che cessione, usufrutto ed affitto sono le ipotesi alle quali si riferisce l’art. 2556 c.c.: Per le imprese soggette a registrazione i contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o il godimento dell’azienda devono essere provati per iscritto, salva l’osservanza delle forme stabilite dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che compongono l’azienda o per la particolare natura del contratto. La forma scritta, pertanto, è richiesta solo per la prova del contratto e non per la sua validità. Definiamo in breve tali contratti. La “cessione” è il contratto mediante il quale il cedente trasferisce al cessionario la titolarità dell’azienda a fronte del pagamento di un corrispettivo. Con l’“usufrutto” il proprietario conferisce all’usufruttuario il diritto (ius) di utilizzare (utendi) e di godere (fruendi) dell’azienda (alienis rebus) per un periodo di tempo determinato, senza modificarne la destinazione (salva rerum substantia) ed a fronte del pagamento di un corrispettivo. L’“affitto” d’azienda è il contratto con il quale il concedente trasferisce all’affittuario il godimento dell’azienda dietro il pagamento di un canone periodico e per un periodo di tempo che spesso è determinato. La locazione di un immobile è un contratto che ha per oggetto l’immobile in quanto tale, mentre nell’affitto d’azienda il contratto ha ad oggetto un “complesso di beni organizzati”, in cui — come sì è detto — possono essere ricompresi gli immobili. Il contratto di locazione quando riguarda la materiale struttura involucro dell’azienda, appartiene alla specie dei c.d. “contratti di impresa” che unitamente ai c.d. “contratti aziendali” compongono la categoria dei «contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda», di cui si dirà poco più avanti nel commento29. 29. Cfr. F. Galgano, Dir. Comm., op. cit. pp. 70 e 71. Istituti 261 L’affitto d’azienda è disciplinato dall’art. 2562 c.c., in cui viene operato un rinvio alle norme in materia di cessione e di usufrutto. Nel contratto d’affitto d’azienda la struttura è la seguente: l’affittuario diviene imprenditore che svolge un’attività — che è appunto l’impresa — utilizzando il complesso di beni organizzato per l’esercizio dell’attività (azienda), la cui titolarità è di un soggetto diverso (il concedente, appunto). Una novità: in materia di fallimento, il d.lgs. 5/06 Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell’articolo 1, comma 5, della l. 14 maggio 2005, n. 80 (pubblicato nella Gazz. Uff. 16 gennaio 2006, n. 12, S.O.), fra le integrazioni al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, con l’art. 67 ha operato nelle legge Fallimentare l’inserimento dell’art. 80–bis in cui viene disciplinato il rapporto tra il contratto d’affitto d’azienda ed il fallimento; così sancisce il suddetto art. 67: Il fallimento non è causa di scioglimento del contratto di affitto d’azienda, ma entrambe le parti possono recedere entro sessanta giorni, corrispondendo alla controparte un equo indennizzo, che, nel dissenso tra le parti, è determinato dal giudice delegato, sentiti gli interessati. L’indennizzo dovuto dalla curatela è regolato dall’articolo 111, primo comma, n. 1). Il contratto di affitto non comporta il trasferimento della titolarità dei beni presenti nel complesso dell’azienda (come avviene invece nella cessione) e non comporta nemmeno la costituzione di un diritto reale (come accade nell’usufrutto); ma, come la cessione e come l’usufrutto, anche l’affitto causa la sostituzione di un soggetto (affittuario) rispetto ad un altro (proprietario) nella gestione del complesso aziendale stesso: questo significa che avviene un passaggio, una sostituzione da un soggetto ad un altro della titolarità dell’esercizio dell’impresa. In tale sostituzione sussiste più in generale il concetto di trasferimento. L’art. 2112 c.c. (modificato dal d.lgs. 18/01, che attua la Direttiva n. 98/50/CE), nel comma 5 definisce il trasferimento di come: 262 Capitolo V qualsiasi operazione che comporti il mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, al fine della produzione e dello scambio di beni o di servizi, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dal carattere negoziale o dal provvedimento nella base dei quali il trasferimento è attuato, ivi compreso l’usufrutto o l’affitto d’azienda. Alla luce di ciò, più in generale, va sottolineato, allora, che per trasferimento o concessione in godimento dell’azienda si intende giuridicamente “trasferire o concedere in godimento una somma di beni”30; a monte, va detto che l’azienda non ha una sua autonoma modalità di circolazione, ma — come si è visto — essa circola secondo le forme di circolazione dei singoli beni che la compongono: il termine azienda indica una pluralità di beni31. Trasferire l’azienda quindi significa che il trasferimento della pluralità di beni produttivi nel suo complesso «possa essere, di per sé solo, idoneo ad un esercizio di impresa»32. In tal senso, la giurisprudenza della Cassazione (sent. 1416/67) ha evidenziato che l’affitto d’azienda: “può aversi ancorché non concorrano tutti gli elementi che normalmente ne integrano il concetto, ben potendo alcuni di essi mancare, purché dal loro difetto non risulti compromessa l’unità economica aziendale”. D’altra parte, se il contratto d’affitto avesse ad oggetto beni che non risultassero idonei all’esercizio dell’impresa e che non fossero organizzati così, si configurerebbe un contratto che, a seconda dei casi, sarebbe da inquadrare diversamente in altre e distinte fattispecie codicistiche. Per “ramo di azienda”, si intende una struttura articolata, particolare, autonoma e facente parte dell’intera azienda nel suo complesso; tale struttura particolare deve possedere una propria consistenza economica ed organizzativa che rimanga tale al trasferimento e conservi anche dopo tale fisionomia e tale realtà. 30. 31. 32. p. 68. Cfr. F. Galgano, Dir. Comm., op. cit., p. 67. F. Galgano, Dir. Comm., op. cit., p. 67. Pettiti, Studi per Ascarelli, III, p. 1576; citazione in F. Galgano, Dir. Comm., op. cit., 263 Istituti Dunque, negozi di disposizione dell’azienda per i quali essa stessa circoli possono riguardare anche solo uno specifico settore o ambito strutturale dell’azienda (del concedente), dotato di propria autonoma funzionalità che consenta appunto l’esercizio dell’attività. Questo giuridicamente configura l’affitto di ramo di azienda. Infine, proprio con riguardo al “trasferimento di ramo di azienda” la Determinazione n. 11/2002 dell’Autorità di vigilanza ha evidenziato che: Per aversi un effettivo trasferimento di ramo di azienda, dunque, dall’azienda originaria dovrà essere stata enucleata quella sotto–organizzazione che, pur costituendone una parte, abbia una composizione, un’organicità, una qualità e un’efficienza tali da poterla rendere, anche in tale sua nuova configurazione, un complesso dei nei organizzati […] per l’esercizio di un’impresa, di cui alla norma del codice civile. Tornando in generale ai contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda, una importante distinzione riguarda i c.d. “contratti aziendali” ed i c.d. “contratti di impresa”: i primi sono quelli «che hanno per oggetto il godimento, da parte dell’imprenditore, di beni aziendali non suoi»33, i secondi invece «sono i contratti che attengono ai rapporti fra l’imprenditore e i fornitori, come i contratti di somministrazioni delle materie prime; quelli, inoltre, che riguardano i suoi rapporti con gli utenti dell’impresa, come ad esempio per le imprese assicuratrici, i contratti di assicurazione o, per le imprese di costruzione, i contratti di appalto; i contratti, infine, che riguardano l’organizzazione dell’attività di impresa, come i contratti con gli agenti di commercio, i commissionari, i concessionari ecc.»34. Infine, alcuni aspetti utili35: 1) con il trasferimento dell’azienda, ai sensi dell’art. 2112 c.c. il lavoratore conserva tutti i diritti che derivano dal rapporto di lavoro, che a sua volta continua con l’acquirente; 33. 34. 35. F. Galgano, Dir. Comm., op. cit., p. 70. F. Galgano, Dir. Comm., op. cit., pp. 70–71. Cfr. A. Trabucchi, Istituzioni di diritto civile, XXXVIII, pp. 345 e 346. 264 Capitolo V 2) per chi aliena l’azienda è posto il c.d. divieto di concorrenza per un periodo di cinque anni (art. 2557 c.c.); 3) di massima, chi acquista l’azienda subentra nei contratti — che non abbiano carattere personale — stipulati per l’esercizio della stessa (art. 2558 c.c.). *** Oltre alle disposizioni di cui all’articolo 116 del Codice, che disciplina evidentemente gli effetti delle vicende negoziali sui contratti d’appalto in corso, in materia di lavori pubblici vige pro tempore — fino a che cioè non sia emanato il nuovo regolamento ex art. 5 del Codice — anche l’articolo 15, comma 9 del d.p.r. 34/2000, che sancisce la possibilità per il nuovo soggetto di avvalersi, ai fini della qualificazione, dei requisiti del soggetto cedente: “In caso di fusione o di altra operazione che comporti il trasferimento di azienda o di un suo ramo, il nuovo soggetto può avvalersi per la qualificazione dei requisiti posseduti dalle imprese che ad esso hanno dato origine”. A tal proposito, si richiamano: il Comunicato n. 13/2001 dell’Autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici; la Determinazione n. 11/2002 e la Determinazione n. 5/2003 (in cui l’Autorità per la vigilanza ha indicato i relativi criteri e le procedure che le SOA debbono seguire). Capitolo VI Concessione dei lavori e project financing 1. La concessione di costruzione e gestione In relazione a tale forma contrattuale, si osserva che l’art. 142 del Codice De Lise apre il Capo II relativo appunto alle concessioni di lavori pubblici. L’art. 142 poneva da subito una differenziazione per quanto riguardava l’applicabilità delle norme contenute nel medesimo Capo e tale distinzione era operata sulla base della soglia comunitaria, fissata dall’art. 28, comma 1 lett. c) (il quale menziona accanto ai lavori anche le concessioni) e calcolata come indicato nell’art. 29: se il valore delle concessioni fosse stato pari o superiore alla soglia (attualmente pari a 5. 150.000 euro) si sarebbe applicato il regime di applicazione per le concessioni di lavori. Ma tale distinzione sull’applicabilità del Capo II suddetto è venuta meno per effetto del d.lgs. 113/07, che, con l’art. 2, c. 1 lett. ff), n. 1), ha soppresso la seconda parte del comma 1 dell’art. 142. Il quadro relativo alle concessioni si apre con la prima grande distinzione: accanto alle concessioni di lavori pubblici tout court si presenta il regime per gli appalti di lavori indetti dal concessionario. L’art. 142, infatti, recepisce la Direttiva comunitaria 2004/18, e distingue: l’affidamento delle concessioni; gli appalti di lavori affidati a terzi dal concessionario che a sua volta è un’amministrazione aggiudicatrice; appalti di lavori affidati a terzi dal concessionario che a sua volta non sia un’amministrazione aggiudicatrice. 265 266 Capitolo VI Certo è che nei primi due casi, per disposizione espressa nel comma 3 dell’art. 142 si applicano per intero, in quanto non derogate dal Capo II stesso, le norme contenute nel Codice e che hanno pressoché recepito quelle della Direttiva 18. Nel terzo caso, il comma 4 stabilisce che il concessionario affidante i lavori a terzi deve rispettare la Sezione IV relativa appunto ai concessionari che non sono amministrazioni aggiudicatici (artt. 149–151): si torna alla regola di cui all’incipit dell’articolo 142, dettata nel comma 1, così come novellato con la estensione anche al di sotto della soglia comunitaria, e con l’aggiunta (di cui all’ultima parte del comma 4), di alcune parti del Codice (che prima non comparivano nell’art. 2 della legge Merloni). Coerentemente, la novella del d.lgs. 113/07 indica anche il Titolo II della Parte II, relativo ai contratti sotto soglia. L’art. 143 del Codice è dedicato invece alle caratteristiche della concessione sui lavori pubblici; in particolare con i commi 1 a 5 si riproduce, solo con qualche modifica lessicale e sintattica, la disposizione contenuta nell’art. 19, comma 19 della l. 109/94 e s.m.i. Con la concessione di costruzione e gestione l’amministrazione sostituisce a sé il terzo nella cura di un interesse di carattere pubblico, compreso quello relativo alla costruzione (diretta o indiretta) dell’opera, che rientra tra le sue funzioni. Il concessionario è dunque un sostituto dell’amministrazione che agisce in nome proprio nel perseguimento di un proprio fine di lucro, attuando, nel contempo, un interesse dell’amministrazione. Con tale tipo di concessione un ente pubblico concede ad altro soggetto pubblico o privato, che rimane al di fuori della sua organizzazione e che perciò non diventa suo organo, l’esecuzione dei lavori e la loro relativa gestione. Il concessionario, pertanto, compie gli studi, compila il progetto delle opere necessarie a propria cura e spese provvede all’esecuzione dei lavori direttamente o mediante appalto e, successivamente, assume la gestione del servizio, il tutto sotto la vigilanza dell’Amministrazione che autorizza gli studi, approva il progetto e le eventuali varianti ed esegue il collaudo dell’opera. Concessione dei lavori e project financing 267 La differenza tra la concessione di costruzione e l’appalto consiste, dunque, proprio in ciò: l’obbligazione dell’appaltatore nei confronti dell’amministrazione consiste nell’esecuzione dell’opera ed è perciò un mero esecutore, mentre il concessionario è un ausiliare dell’amministrazione che, anche nei confronti dei terzi, svolge un’attività in sostituzione dell’amministrazione. In tal senso l’art. 3, comma 11 del Codice definisce la concessioni di lavori pubblici come: contratti a titolo oneroso, conclusi in forma scritta, aventi ad oggetto, in conformità al presente codice, l’esecuzione, ovvero la progettazione esecutiva e l’esecuzione, ovvero la progettazione definitiva, la progettazione esecutiva e l’esecuzione di lavori pubblici o di pubblica utilità, e di lavori ad essi strutturalmente e direttamente collegati, nonché la loro gestione funzionale ed economica, che presentano le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di lavori, ad eccezione del fatto che il corrispettivo dei lavori consiste unicamente nel diritto di gestire l’opera o in tale diritto accompagnato da un prezzo, in conformità al presente codice. Nella concessione di costruzione e gestione, il concessionario non acquista solo la facoltà, ma assume altresì l’obbligo di esercitare un servizio pubblico e, quindi, anche l’obbligo di costruire o far costruire le opere all’uopo necessarie. Il comma 7 dell’art. 143 (per il quale l’art. 1, comma 1, lett. q) del d.lgs. 113/07 ha sancito anche la previsione di un corrispettivo per il valore residuo eventuale dell’investimento non ammortizzato al termine della concessione) coordina l’abrogato art. 19–bis, ultimo periodo della legge Merloni con l’abrogato art. 87, comma 2 del regolamento del 1999; tutta la parte prima dell’art. 19–bis della l. 109/94 e s.m.i. invece è contenuta nel comma 8 dell’articolo in esame. Il comma 8, particolare, riconosce la facoltà in capo alla stazione appaltante di stabilire che la concessione, al fine di assicurare il perseguimento dell’equilibrio economico–finanziario degli investimenti del concessionario, abbia una durata superiore a trenta anni, tenendo conto del rendimento della concessione, della percentuale del prezzo di cui ai commi 4 e 5 rispetto all’importo totale dei lavori, e dei rischi 268 Capitolo VI connessi alle modifiche delle condizioni di mercato. Inoltre, l’ultima parte del comma 8 stabilisce che: I presupposti e le condizioni di base che determinano l’equilibrio economico–finanziario degli investimenti e della connessa gestione, da richiamare nelle premesse del contratto, ne costituiscono parte integrante. Le variazioni apportate dalla stazione appaltante a detti presupposti o condizioni di base, nonché le norme legislative e regolamentari che stabiliscano nuovi meccanismi tariffari o nuove condizioni per l’esercizio delle attività previste nella concessione, quando determinano una modifica dell’equilibrio del piano, comportano la sua necessaria revisione, da attuare mediante rideterminazione delle nuove condizioni di equilibrio, anche tramite la proroga del termine di scadenza delle concessioni. In mancanza della predetta revisione il concessionario può recedere dal contratto. Nel caso in cui le variazioni apportate o le nuove condizioni introdotte risultino più favorevoli delle precedenti per il concessionario, la revisione del piano dovrà essere effettuata a favore del concedente. Il comma 9 dell’art. 143 del Codice afferma la possibilità che le amministrazioni aggiudicatrici affidino in concessione opere destinate alla utilizzazione diretta della pubblica amministrazione, in quanto funzionali alla gestione di servizi pubblici, a condizione che resti a carico del concessionario l’alea economico–finanziaria della gestione dell’opera. Infine, il comma 10 riconosce al concessionario il diritto di partecipare alla conferenza di servizi finalizzata all’esame e all’approvazione dei progetti di loro competenza (senza diritto di voto), secondo la procedura contenuta nell’articolo 14–quinquies della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni. L’art. 144 del Codice disciplina le procedure di affidamento e pubblicazione del bando relativo alle concessioni di lavori pubblici. Per l’affidamento della concessione di costruzione e gestione l’art. 21, comma 2 lett. b) della l. 109/94 e s.m.i. nonché l’art. 84, comma 1 del d.p.r. 554/99, prevedevano l’esperimento della procedura della licitazione privata; invece, attualmente, il comma 1 dell’art. 144 lascia la facoltà alla stazione appaltante di scegliere la procedura di scelta Concessione dei lavori e project financing 269 aperta o ristretta, purché, naturalmente, il criterio di valutazione sia quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa (criterio che era già stato reso obbligatorio dall’art. 20 della legge Merloni e dall’art. 84 del d.p.r. 554/99). Il comma 2 dell’art. 144 detta una regola superflua: la ratio della pubblicazione del bando risiede appunto nell’informazione nel senso più completo. Pertanto, l’art. 144 formula il medesimo contenuto dell’art. 58 della Direttiva. In relazione al bando, in precedenza l’art. 85 del d.p.r. 554/99 disciplinava il contenuto dei bandi di gara per l’affidamento delle concessioni di costruzione e gestione prevedendo: “il bando di gara per l’affidamento della concessione specifica le modalità con le quali i partecipanti alla gara dimostrano la disponibilità delle risorse finanziarie necessarie a coprire il costo dell’investimento. Il bando di gara, sulla base dei dati del piano economico–finanziario compreso nel progetto preliminare, indica: a) l’eventuale prezzo massimo che l’amministrazione aggiudicatrice intende corrispondere; b)l’eventuale prezzo minimo che il concessionario è tenuto a corrispondere per la costituzione o il trasferimento di diritti; c) l’eventuale canone da corrispondere all’amministrazione aggiudicatrice; d)la percentuale, apri o superiore al quaranta per cento dei lavori da appaltare obbligatoriamente a terzi secondo le modalità e le condizioni fissate dall’articolo 2, comma 4, della legge; e) il tempo massimo previsto per l’esecuzione dei lavori e per l’avvio della gestione; f) la durata massima della concessione; g) il livello minimo della qualità di gestione del servizio, nonché delle relative modalità; h)il livello iniziale massimo e la struttura delle tariffe da praticare all’utenza e la metodologia del loro adeguamento nel tempo; 270 Capitolo VI i) eventuali ulteriori elementi specifici che saranno inseriti nel contratto; j) la facoltà o l’obbligo per il concessionario di costituire la società di progetto prevista dall’abrogato articolo 37 quinquies della legge. Le amministrazioni aggiudicatici possono prevedere la facoltà per i concorrenti di inserire nell’offerta la proposta di varianti al progetto posto a base di gara, indicando quali parti dell’opera o del lavoro è possibile variare e a quali condizioni”. Attualmente, invece, l’art. 144 del Codice, al comma 3 disciplina il nuovo contenuto dei bandi mediante rinvio alle altre norme del Codice, all’Allegato IXB (che peraltro riproduce sostanzialmente le stesse ipotesi di cui all’art. 85 del d.p.r. 554/99) e ai formulari adottati dalla Commissione. Anche per la pubblicità del bando di gara il Codice detta nuove regole. Si ricorda che la pubblicazione del bando di gara è il primo atto a rilevanza esterna della gara d’appalto. La funzione della pubblicazione del bando consiste, infatti, nel portare legalmente a conoscenza degli interessati, ponendoli in condizione di valutare secondo precise indicazioni i lavori da eseguire, la possibilità, offerta dall’amministrazione, di partecipare alla gara di appalto. In tale contesto, la mancata pubblicazione del bando costituisce violazione di legge e come tale rende nulla l’aggiudicazione. Con specifico riferimento alle forme di pubblicazione dei bandi di gara per l’affidamento delle concessioni di costruzione e gestione, disponeva l’art. 84, comma 2 del d.p.r. 554/99, un rinvio alle disposizioni di cui all’art. 80 del d.p.r. 554/99 che prevedeva varie forme di pubblicità del bando a seconda dell’importo dei lavori da eseguire. Oggi invece l’art. 66 del Codice, secondo il rinvio operato dal comma 4 dell’art. 144, abroga le precedenti norme in materia e rimane l’unica regola per la pubblicità del bando. Il d.lgs. 113/07, coerentemente rispetto all’estensione operata, indica (sempre al comma 4) dell’art. 144) anche la disciplina specifica per la pubblicità dettata dall’art. 122 per i contratti sotto la soglia comunitaria. Concessione dei lavori e project financing 271 Infine, va precisato che il concessionario, nelle procedure d’appalto e nei rapporti con i propri appaltatori, ha come regolamentazione applicabile esclusivamente quella degli artt. 146–151, che riguardano i lavori affidati dai concessionari di cui al Capo II del Titolo III della Parte II. Da queste norme risulta che gli appalti di lavori e le relative procedure di affidamento si atteggiano diversamente a seconda che siano affidati da concessionari che “sono amministrazioni aggiudicatrici” (art. 148) o da concessionari che “non sono amministrazioni aggiudicatrici” (artt. 149–151). Solamente per i primi, sono interamente applicabile le disposizioni dettate dal Codice per l’affidamento e l’esecuzione dei lavori pubblici, in relazione ai lavori che sono eseguiti da terzi, con conseguente applicazione piena delle procedure di gara ad evidenza pubblica disciplinate dal Codice. Per i secondi, invece, si applicano solamente le norme in materia di pubblicità e, peraltro, solo nei limiti in cui si tratti di affidamenti a terzi di importo “comunitario”. Resta altresì fermo che ai sensi dell’art. 146 del Codice non è la legge che impone al concessionario (sempre e comunque) l’affidamento a terzi di una percentuale non inferiore al 30% del valore globale dei lavori oggetto della concessione, bensì “può” essere la stazione appaltante (e, quindi, il bando di affidamento della concessione stessa) ad “imporre” tale obbligo al concessionario (lett. a), ovvero ad “invitare” i candidati concessionari a dichiarare nelle loro offerte la percentuale “ove sussista”, del valore globale dei lavori oggetto della concessione che intendono appaltare a terzi. 2. Aspetti giuridici rilevanti del nuovo project financing All’interno delle modifiche operate dal d.lgs. 152/08, la principale appare senza dubbio la novella della disciplina dell’istituto del project financing1. 1. Cfr. Cancrini, Il project financing, in www. treccani. it, 2009. Sulle considerazioni dottrinali formulate sulla natura del project financing, ex multis, cfr. in particolare: Baldi, De Marzo, Il project financing nei lavori pubblici, Ipsoa, Milano 2001; Cianflone, Giovannini, L’appalto di opere pubbliche, Giuffrè, 2003; Mazzone, Loria, Manuale di diritto dei lavori pubblici, Jandi Sapi, Roma, II edizione, 2005; Gatti S., Manuale del project finance, Bancaria ed., 272 Capitolo VI Come noto, attraverso il meccanismo del project la PA riesce a fornire un servizio alla collettività senza dover sostenere i relativi oneri economici; tale istituto è, infatti, connotato dalla presenza, totalmente o parzialmente, di capitali privati per il finanziamento di quelle opere pubbliche che abbiano il requisito della redditività (c.d. opere calde); il recupero del capitale privato investito avviene poi in fase gestionale, mediante un corrispettivo derivante dall’erogazione dei servizi pubblici connessi all’opera pubblica costruita. Occorre innanzitutto precisare che con l’intervento del d.lgs. 113/07, la disciplina del Promotore finanziario era stata modificata rispetto a quella contenuta negli artt. che andavano dal 37–bis al 37–nonies della legge Merloni. Significativa, a tal proprosito, è stata l’abolizione ad opera del c.d. II Correttivo del c.d. diritto di prelazione in capo al promotore il quale, nell’ambito della procedura negoziata di cui all’art. 155 (è l’abrogato art. 37 quater), poteva adeguare la propria offerta a quella migliore presentata dai concorrenti e con ciò acquisire comunque la concessione. Ma ancora più importante è precisare da subito che il d.lgs. 152/08 ha reinserito il diritto di prelazione, così contravvenendo agli indirizzi comunitari, in forza dei quali già era stata avviata nei confronti dell’Italia una procedura di infrazione. Negli ultimi anni si è avuto un intenso sviluppo normativo soprattutto in materia di opere pubbliche e di project financing in particolare; le novità legislative introdotte hanno consentito infatti di realizzare opere pubbliche senza che l’ente appaltante dovesse sostenerne gli Roma 1999; Monti E., Manuale di finanza per l’impresa, UTET, Torino 1998; Chiti M.P., Il partenariato pubblico–privato, profili di diritto amministrativo e di scienza dell’amministrazione, Bononia University Press, Bologna 2005; Lugaresi, Concessione di costruzione e gestione e e project financing: problemi applicativi nella scelta del promotore e del concessionario, in «Riv. Trim. Appalti», 2001, pp. 648 e ss.; Cerulli A., L’utilizzo degli strumenti finanziari per la realizzazione di opere pubbliche. Il confronto tra il project financing ed il leasing immobiliare, 2001, in www. analisiaziendale. it; Picozza, La finanza di progetto nel sistema dell’attività contrattuale privata e pubblica, in Consiglio di Stato, II, 2002; Cancrini, Piselli, Capuzza, La nuova legge degli appalti pubblici, op. cit. Concessione dei lavori e project financing 273 oneri, permettendo in questo modo di superare in molti casi le difficoltà di ordine economico e finanziario in cui spesso versavano e versano gli enti pubblici. Per chiarezza espositiva si rappresenta che la normativa di riferimento che regolava l’istituto della finanza di progetto era quella dettata dall’art. 153 all’art. 160 del Codice (sono gli artt. 37 bis, ter, quater, quinquies, sexies, septies, octies, nonies della legge 11 febbraio 1994, n. 109 e s.m.i.), nonché dagli articoli 84, 85, 86, 87, 98 e 99 del d.p.r. 554/99, in quanto ancora applicabile. Attualmente, dopo l’entrata in vigore del III Correttivo la materia del project è contenuta nell’art. 153 e gli artt. 154 e 155 sono stati abrogati2. 2. Ecco uno schema della ormai superata disciplina. 1) La prima fase che contraddistingueva il project financing era quella che può essere definita fase “ideativa”; durante tale fase i soggetti promotori presentavano alle amministrazioni aggiudicatici proposte di lavori pubblici o di pubblica utilità inseriti negli strumenti di programmazione dell’ente (art. 128 Codice; è l’abrogato art. 14 della l. 109/94), da realizzare in regime di concessione, con risorse totalmente o parzialmente a carico dei promotori stessi. Per poter essere prese in considerazione, le proposte dovevano essere corredate da una serie di documentazione (ad esempio, uno studio di fattibilità, che sia in sintonia con quello che l’amministrazione ha predisposto per l’inserimento nel programma triennale; un progetto preliminare; una bozza di convenzione; un piano economico–finanziario asseverato da un istituto di credito, ecc.). La capacità del promotore e (se diverso) del concessionario andava valutata secondo tutti gli aspetti in cui si estrinseca la sua attività (ad esempio, di finanziamento) 2) I soggetti “promotori” potevano presentare alle amministrazioni aggiudicatrici proposte di lavori pubblici o di pubblica utilità inseriti negli strumenti di programmazione dell’ente, da realizzare in regime di concessione. Il nuovo testo del Codice prevedeva la possibilità di presentare proposte di project financing entro l’unico termine di 180 giorni dalla pubblicazione dell’avviso indicativo di cui al comma 3. Il duplice termine di scadenza sulla presentazione delle proposte da parte dei promotori, era da correlarsi con gli obblighi anche di pubblicità, posti a carico delle amministrazioni. In particolare, dalla data di redazione dei programmi di realizzazione di lavori pubblici decorreva il termine di 90 giorni per pubblicizzare l’esistenza di interventi da realizzare con l’utilizzo di capitali privati. L’avviso doveva essere affisso presso le sedi dell’amministrazione per almeno 60 giorni consecutivi e, se istituito, va pubblicato sul sito informatico di cui all’art. 66, comma 7 e sul profilo del committente (l’art. 37–bis prevedeva la pubblicazione sul sito individuato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri ai sensi dell’art. 24 della l. 24 novembre 2000,n. 340, e se istituito 274 Capitolo VI Il III Correttivo detta, infine, la disciplina transitoria: la nuova disciplina si applica per le procedure i cui bandi siano stati pubblicati dopo l’entrata in vigore del III correttivo; il termine di sei mesi decorre dalla data di approvazione del programma triennale 2009–11. sul sito della stessa stazione appaltante). Un termine invece di quindici giorni, decorrente dalla ricezione delle proposte, era stato introdotto per la nomina del responsabile del procedimento e relativa comunicazione al promotore, nonché per la verifica della completezza della documentazione prodotta ed eventuale correlata richiesta di integrazione della stessa. Inoltre, dalla pronuncia sulla fattibilità del progetto doveva seguire un ulteriore termine di tre mesi per la successiva pubblicazione del bando e, quindi, per l’indizione della gara. 3) Come già accennato precedentemente, entro 90 giorni dall’avvenuto inserimento nei programmi triennali o negli strumenti di programmazione adottati dalle amministrazioni, gli interventi realizzabili con capitali privati erano pubblicizzati mediante un avviso indicativo, nel rispetto delle modalità previste dal Codice. Altra novità rilevante era già costituita dalla possibilità per i soggetti promotori di presentare alle amministrazioni aggiudicatrici proposte di intervento anche nell’ambito della fase di programmazione dei lavori pubblici, ed in particolare di pianificazione del programma triennale delle attività di realizzazione di lavori pubblici e dei relativi aggiornamenti annuali. Infine, si può dire che nell’arco di quattro mesi, che decorrevano decorrere dalla ricezione della proposta del promotore, la proposta presentata dal promotore era valutata dall’amministrazione. A questo punto, se la proposta era stata positivamente valutata, si dava avvio alla fase di selezione e affidamento in concessione. 4) La procedura d’affidamento della concessione prevedeva lo sviluppo in due fasi di gara; infatti, l’art. 155 (che era l’abrogato art. 37 quater) stabiliva che entro tre mesi dalla pronuncia di cui all’art. 154 (l’abrogato art. 37 ter) di ogni anno le amministrazioni aggiudicatrici, qualora fra le proposte presentate ne avessero individuate alcune di pubblico interesse, applicavano le disposizioni di cui al d.p.r. 327/2001 “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità” e, procedevano per ogni proposta individuata: a) ad indire un gara da svolgere con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. b) ad aggiudicare la concessione mediante una procedura negoziata da svolgere fra il promotore ed i soggetti presentatori delle due migliori offerte nella gara di cui alla lettera a). A seguito dell’esperimento della procedura venivano individuati i soggetti con le due migliori offerte, che successivamente erano posti a confronto con il promotore. Individuati i concorrenti, si procedeva ad esperire un’ulteriore procedura di gara, ristretta questa volta ai due migliori offerenti ed al soggetto promotore; la proposta del promotore era per lo stesso vincolante, qualora non vi fossero state altre offerte nella gara. La stessa era garantita dalla cauzione provvisoria e da un’ulteriore cauzione pari all’importo di cui all’art. 153, comma 1, Concessione dei lavori e project financing 275 L’attuale disciplina sul project operata dal III Decreto correttivo è del tutto innovativa e presenta solo alcuni aspetti simili alla precedente procedura. A seguito della predetta modifica, per i lavori suscettibili di realizzazione mediante project financing risulta inapplicabile la regola generale (di cui all’art. 128, comma 6) secondo cui nessuna opera può essere inserita nell’elenco annuale se non è corredata del progetto preliminare, dato che l’inserimento di opere attuate attraverso la finanza di progetto può avvenire anche senza progetto preliminare, essendo sufficiente lo studio di fattibilità. Sotto un profilo più generale l’espressione project financing non indica più una procedura di affidamento, ma un risultato (la realizzazione di opere pubbliche con il concorso di capitali privati), che può essere raggiunto, oggi, con molteplici procedure. Infatti, nella nuova disciplina3, è prevista una pluralità di procedure finalizzate a stimolare il concorso di capitali privati alla realizzazione di opere pubbliche. Innanzitutto i requisiti e le garanzie richiesti al promotore sono rispettivamente e sin dalla presentazione della proposta i requisiti del concessionario — dalla norma la deroga è per la terza procedura, fuori dalla programmazione —, e in aggiunta alla cauzione definitiva è ora prevista la garanzia per le penali dovute ad inadempimenti degli quinto periodo (non superiore al 2,5% dell’importo dell’investimento, calcolato sulla base del piano economico–finanziario) “da versare, su richiesta dell’amministrazione aggiudicatrice, prima dell’indizione del bando di gara”; medesima cauzione è presentata anche dagli altri soggetti partecipanti alla gara. Nel caso in cui nella procedura negoziata, il promotore non risultava aggiudicatario entro un congruo termine fissato dall’amministrazione nel bando di gara, il soggetto promotore della proposta aveva il diritto al pagamento, a carico dell’aggiudicatario, dell’importo del 2,5% del valore dell’investimento. Nel caso in cui nella procedura negoziata il promotore fosse risultato aggiudicatario, lo stesso era tenuto a versare all’altro soggetto, ovvero agli altri due soggetti che avevano partecipato alla procedura una somma pari all’importo del 2,5% del valore dell’investimento. 3. Per una analisi del nuovo istituto del project, cfr. C. Pluchino, Project financing e general contractor, Dike giuridica Editore, Roma 2008. 276 Capitolo VI obblighi con decorrenza dall’inizio della gestione delle lavorazioni d’opera. Tale garanzia è fissata al 10% del costo annuale operativo dell’esercizio. Lo schema dei tre sistemi è il seguente4. Se nella vecchia disciplina si potevano individuare tre fasi del project, nel terzo decreto sono invece previsti tre sistemi alternativi e paralleli5. 1)Il primo sistema (commi 1–14 dell’art. 153, nuova formulazione) consiste nell’individuazione del concessionario mediante unica gara; la P.A. pubblica il bando e pone a base lo studio di fattibilità. Le offerte, come nella precedente disciplina, hanno il progetto preliminare e il piano economico asseverato da banca. Dopo la gara l’amministrazione nomina il promotore mediante il criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa e approva il preliminare offerto. Se si presentasse la necessità di modifiche progettuali ai fini dell’approvazione, spetta al promotore operare le variazioni indicate. In tal caso, solo successivamente il promotore può stipulare il contratto di affidamento della concessione; se invece non accetta le modifiche, la concessione è aggiudicata mediante scorrimento della graduatoria, alle stesse condizioni presentate dal promotore iniziale; rimane fermo che in quest’ultima ipotesi al promotore rimarrebbe il titolo per ricevere il pagamento dell’importo delle spese sostenute per la predisposizione dell’offerta. La correlativa obbligazione è prevista a carico dell’aggiudicatario. 4. Per un primo esame, cfr. M. Giustiniani, Dal 17 ottobre la riforma del project financing. Alla P.A. la scelta sulla doppia via, in «Edilizia e Territorio», n. 39/08, pp. 6 e ss. 5. Sul tema, l’Autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici ha emanato la Determinazione n. 1 del 14/01/2009 Linee guida sulla finanza di progetto dopo l’entrata in vigore del c.d. “terzo correttivo” (d.lgs. 11 settembre 2008, n. 152). In ultimo, sempre l’Autorità ha emanato le determinazioni 20 maggio 2009, n. 3 (Linee guida per l’utilizzo del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa nelle procedure previste dall’art. 153) e n. 4 (Procedure di cui all’art. 153: linee guida per i documenti di gara). Concessione dei lavori e project financing 277 Dunque, in sintesi: la nuova procedura prevede l’indizione di un’unica gara per l’affidamento di una concessione, con le modalità di cui all’art. 66 o 122 (secondo l’importo dei lavori). A base di gara viene posto lo studio di fattibilità ed il promotore viene individuato attraverso il criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Ove risultassero necessarie modifiche al progetto preliminare presentato dal concorrente, esse spetteranno al promotore. Si tratta, pertanto, di una concessione ove la progettazione risulta integralmente affidata al concessionario: quest’ultimo, infatti, dovrà provvedere non solo alla progettazione definitiva ed esecutiva, ma anche a quella preliminare. Ove si utilizzi tale procedura, la concessione non potrà, però, essere stipulata con il promotore prescelto se non dopo l’approvazione del progetto preliminare e l’accettazione da parte del promotore delle eventuali modifiche da apportare al progetto preliminare. 2)La seconda procedura alternativa è prevista dal comma 15 dell’art. 153 del Codice. Essa può essere definita “doppia gara”, infatti con essa, l’amministrazione mediante una procedura selettiva individua il promotore da cui avere il progetto preliminare; con altra distinta procedura individua l’affidatario del concessionario. È qui è di nuovo affiorata la previsione positiva secondo cui spetta al promotore la prelazione promotore (mentre, del tutto illogicamente e asimmetricamente, il legislatore ha abrogato la prelazione per il promotore nelle opere di urbanizzazione a scomputo sopra — soglia, e lasciato la gara informale a cinque per quelle sotto–soglia). Dopo la prima gara si approva il progetto offerto dal promotore, che viene posto a base della seconda gara. Il promotore ha, dunque, diritto ad essere preferito al miglior offerente individuato nella seconda gara, nel caso in cui il primo intenda adeguare la propria offerta a quella risultata più vantaggiosa. In particolare, quindi, la seconda procedura, articolata in due gare, si caratterizza per la previsione del diritto di prelazione e si svolge come segue: 278 Capitolo VI a) l’amministrazione pubblica un bando precisando che la procedura non comporta l’aggiudicazione al promotore prescelto, bensì l’attribuzione allo stesso del diritto di essere preferito al migliore offerente, ove il promotore intenda adeguare la propria offerta a quella ritenuta più vantaggiosa; b)successivamente l’amministrazione provvede all’approvazione del progetto preliminare in conformità al comma 10, lett. c) dell’art 153; c) viene, dunque, bandita una nuova procedura selettiva, ponendo a base di gara il progetto preliminare approvato e le condizioni economiche e contrattuali offerte dal promotore, con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa; d)ove non siano state presentate offerte valutate economicamente più vantaggiose rispetto a quella del promotore, il contratto è aggiudicato a quest’ultimo mentre ove, al contrario, siano state presentate una o più offerte valutate economicamente più vantaggiose di quella del promotore posta a base di gara, quest’ultimo può, entro quarantacinque giorni dalla comunicazione dell’amministrazione aggiudicatrice, adeguare la propria proposta a quella del migliore offerente, aggiudicandosi il contratto. In questo caso l’amministrazione aggiudicatrice rimborsa al migliore offerente, a spese del promotore, le spese sostenute per la partecipazione alla gara, nella misura massima di cui al comma 9, terzo periodo; e) ove il promotore non adegui nel termine indicato la propria proposta a quella del miglior offerente individuato in gara, quest’ultimo è aggiudicatario del contratto e l’amministrazione aggiudicatrice rimborsa al promotore, a spese dell’aggiudicatario, le spese sostenute nella misura massima di cui al comma 9, terzo periodo (art. 153, comma 15). 3)La terza procedura presenta un carattere residuale e, come novità di rilievo, consente di presentare le proposte anche fuori dalla programmazione; infatti il comma 16 della nuova formulazione dell’art. 153 del Codice stabilisce che tale iter è attivato su ini- Concessione dei lavori e project financing 279 ziativa del soggetto privato per i lavori per i quali le amministrazioni aggiudicatrici non abbiano però pubblicato i bandi nei sei mesi dall’approvazione dell’elenco annuale del Ll. PP. Decorso tale termine, i privati presentato progetto preliminare nei successivi quattro mesi; la P.A. pubblica un avviso con i criteri ai fini della valutazione; valuta le proposte e le altre eventualmente pervenute nei sei mesi dalla pubblicazione dell’avviso. Poi l’amministrazione interessata individua le proposte di pubblico interesse, per le quali può indire diverse procedure selettive: dialogo competitivo; concessione ex art. 143; ovvero procedura selettiva descritta nel comma 15 dello stesso art. 153, e quindi logicamente con il diritto di prelazione a favore del promotore. In conclusione, si può evidenziare che il terzo tipo di procedura è stato disegnato, invece, al fine di far fronte alla possibile inerzia delle amministrazioni nel pubblicare i bandi per l’affidamento della concessione e riveste un carattere residuale. In tale ipotesi, viene previsto che, in relazione a ciascun lavoro inserito nell’elenco annuale, per il quale le amministrazioni aggiudicatrici non provvedano alla pubblicazione dei bandi entro sei mesi dall’approvazione dello stesso elenco, i soggetti in possesso dei requisiti possono presentare, entro e non oltre quattro mesi dal decorso di detto termine, una proposta avente il contenuto dell’offerta di cui al comma 9. L’amministrazione aggiudicatrice provvede, quindi, a pubblicare un avviso con le modalità di cui all’art. 66 ovvero di cui all’art. 122 (a seconda dell’importo dei lavori), contenente i criteri in base ai quali si procede alla valutazione delle proposte. Le eventuali proposte rielaborate e le nuove proposte sono presentate entro novanta giorni dalla pubblicazione di detto avviso; le amministrazioni aggiudicatrici esaminano dette proposte, unitamente alle proposte già presentate e non rielaborate, entro sei mesi dalla scadenza di detto termine e, quindi, individuano la proposta ritenuta di pubblico interesse, procedendo poi in via alternativa a: 280 Capitolo VI a) se il progetto preliminare necessita di modifiche, qualora ricorrano le condizioni di cui all’art. 58, comma 2, indire un dialogo competitivo ponendo a base di esso il progetto preliminare e la proposta (ove il promotore che non risulti aggiudicatario ha diritto al rimborso, con onere a carico dell’affidatario, delle spese sostenute); b)se il progetto preliminare non necessita di modifiche, previa approvazione del progetto preliminare presentato, bandire una concessione ai sensi dell’art. 143, ponendo lo stesso progetto a base di gara ed invitando alla gara il promotore; c) se il progetto preliminare non necessita di modifiche, previa approvazione del progetto preliminare presentato dal promotore, procedere ai sensi del comma 15, lett. c), d), e), f), ponendo lo stesso progetto a base di gara e invitando alla gara il promotore (art. 153, comma 16). Se il soggetto che ha presentato la proposta prescelta non partecipa alle gare suddette, l’amministrazione aggiudicatrice incamera la garanzia di cui all’art. 75. Nel caso di ricorso alla procedura di cui al comma 15, qualora il promotore non risulti aggiudicatario potrà far valere il diritto di prelazione suesposto. Infine i commi 19 e ss. dell’art. 153 disciplinano l’ipotesi in cui il lavoro pubblico non sia stato inserito neanche negli strumenti di programmazione (triennale e non). L’autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, con la determinazione n. 1 del 14 gennaio 2009, ha elaborato le linee guida per il project financing alla luce delle importanti innovazioni operate dal III Decreto correttivo. Oltre agli aspetti fondamentali che riguardano l’immodificabilità del progetto del vincitore nell’ipotesi di gara unica e la prelazione che, come detto nell’ipotesi di doppia gara, rimane in capo al promotore, si segnalano inoltre i seguenti profili: Concessione dei lavori e project financing 281 a) il primo paragrafo della determinazione 1/09 tratta del regime transitorio: viene chiarito che, in base all’articolo 1, comma 2 del d.lgs. 152/08 le nuove disposizioni si applicano alle procedure i cui bandi sono stati pubblicati prima del 17 ottobre 2008 e per le quali i relativi studi di fattibilità siano stati già inseriti in programmazione e nell’elenco annuale. Per gli avvisi di sollecitazione delle proposte private già pubblicati alla data del 17 ottobre 2008, anche se non sono ancora arrivate le offerte da parte dei concorrenti privati, continua ad applicarsi la disciplina precedente al III Correttivo; b) interpretazione della nuova norma sul “subentro”. In particolare, con l’art. 159 di nuova formulazione viene introdotta una previsione maggiormente flessibile: non viene infatti stabilito in generale il termine per l’indicazione del soggetto subentrante da parte degli enti finanziatori, bensì viene stabilito che l’individuazione deve avvenire entro il termine fissato nel contratto o, in mancanza, assegnato dall’amministrazione nella comunicazione scritta agli enti. In riferimento al subentro, il III Correttivo aveva introdotto una norma transitoria nell’art. 253, lettera vv) in cui era affermato che la definizione delle modalità di subentro è rimessa all’autonomia negoziale delle parti in attesa dell’emanazione di un decreto ministeriale (previsto già nell’art. 159 Codice). L’Autorità interpreta le due disposizioni richiamate nella determinazione 1/09 affermando che, anche ove il contratto di concessione risultasse già stipulato al momento dall’entrata in vigore del III Decreto Correttivo (17/10/08), le parti avrebbero comunque la facoltà di prevedere le modalità di attuazione del subentro, stabilendo un termine diverso dai 90 giorni che era stabilito nella precedente formulazione dell’art. 159 del Codice; c) l’art. 160 del Codice, così come modificato dal d.lgs. 152/08, ha stabilito — senza indicare i termini temporali per il regime transitorio — che i soggetti che finanziano la realizzazione dei lavori pubblici hanno il privilegio di cui all’art. 2745 c.c. non solo sui beni mobili del concessionario, bensì pure su quelli delle società 282 Capitolo VI di progetto concessionarie. La determina n. 1/09 circa i tempi per l’applicazione di tale nuova previsione, indica che, in caso di costituzione di una società di progetto, il privilegio dei finanziatori sia da ritenersi esteso anche ai beni mobili della società di progetto pur nel caso di rapporti instauratisi prima dell’entrata in vigore del III Correttivo; d)la nuova disciplina prevede l’obbligo per le amministrazioni di valutare le proposte dei privati entro sei mesi. Tale termine viene definito dall’Autorità come “sollecitatorio”, ma in relazione a quanto disposto dall’articolo 2 della legge 241/90 sul procedimento amministrativo le linee guida affermano che: “appare sussistente un obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso” dal momento che esiste una “istanza privata” da valutare. La determina 1/09 riconosce che anche che nel caso in cui siano presentati dai privati più studi di fattibilità, essi dovranno essere valutati utilizzando metodologie “multicriteri o multi obiettivi” come previsto dall’articolo 15, comma 12 del d.p.r. 554/99; e) la determina prevede che le amministrazioni, “considerato che il concessionario dovrà sviluppare i successivi livelli di progettazione”, possano stabilire di valutare, nell’ambito dell’applicazione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, anche la “professionalità” progettuale del concorrente. Per il termine di presentazione delle offerte, mancando una indicazione nella legge, l’Autorità richiama quelli minimi di cui agli articoli 70 e 145 del Codice e suggerisce alle amministrazioni di considerare anche la complessità dell’intervento; f) in relazione alla doppia gara, l’Autorità, per la seconda fase (che è relativa all’offerta), indica alle amministrazioni di vietare la presentazione modifiche rilevanti al progetto presentato dal promotore prescelto, in forza del fatto che il progetto è stato già sottoposto ad approvazione; g) la determinazione afferma che nell’asseverazione non rientra la valutazione della correttezza dei dati utilizzati per il piano eco- Concessione dei lavori e project financing 283 nomico–finanziario ed essa non costituisce un impegno per la banca al successivo finanziamento del promotore; h)lo studio di fattibilità, da inserire in programmazione e da porre a base di gara, deve «contenere anche tutte le informazioni essenziali per consentire l’individuazione dei requisiti dei concorrenti, nonché dei criteri di valutazione delle proposte e della loro ponderazione». Lo studio deve essere predisposto dagli uffici tecnici delle amministrazioni aggiudicatrici e il ricorso a professionalità esterne è possibile solo in caso di carenze dell’organico. Il costo di uno studio, a differenza delle progettazioni, è riferibile solo in parte all’importo dei lavori; il criterio per fissare il corrispettivo dovrebbe essere basato «sul tempo necessario alla prestazione ovvero calcolato sulla base del numero di giornate–uomo necessarie per il loro espletamento, all’interno, comunque, di un range di valore proporzionale all’importo di investimento». 2.1. Cenni ai problemi di compatibilità tra diritto di prelazione e ordinamento comunitario È ormai noto che il d.lgs. 152/08, seppur nella variata disciplina del project, ha reintrodotto il c.d. diritto di prelazione in favore del promotore, ossia il diritto per quest’ultimo di adeguare la propria proposta a quella giudicata dall’amministrazione più conveniente, aggiudicandosi in tal caso la concessione. Prima di giungere alla attuale previsione normativa che favorisce nuovamente la prelazione (già prevista nella prima stesura del Codice nel 1° luglio 2006, in seguito abrogata dal II Correttivo, dal 1° agosto 2007), la Sezione Consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato aveva in due momenti espresso il proprio parere contrario al diritto di cui si discute. In particolare, con parere reso sulla bozza di quello che sarebbe poi divenuto il d.lgs. 113/076, 6. Parere n. 1750 del 6/6/2007. 284 Capitolo VI aveva già “caldeggiato” l’abrogazione del diritto di prelazione, rilevando che essa anche sul piano sostanziale è inopportuna perché rende poco appetibile la partecipazione alla gara e rischia così di sottrarre di fatto alla concorrenza questo importante istituto7. In sèguito, la medesima Sezione Consultiva nel luglio 20088, nonostante avesse evidenziato che il diritto di prelazione non configurerebbe una violazione al principio della par condicio ma una posizione qualificata9, aveva però considerato che comunque l’istituto non è previ7. Del resto, anche l’VIII Commissione Ambiente, Territorio, Lavori Pubblici della Camera dei Deputati aveva espresso nel luglio 2007 (per il II Correttivo) parere favorevole per l’abrogazione del diritto di prelazione. Tale Commissione, «esaminato lo schema di decreto legislativo concernente modifiche al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante il codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/ CE e 2004/18/CE, […]» ha quindi espresso «parere favorevole, con le seguenti condizioni: […] j) anche in considerazione dell’esplicito richiamo contenuto nel parere del Consiglio di Stato, siano apportate le necessarie modifiche alla disciplina del project financing, al fine di superare i rilievi mossi dalla Commissione europea (causa C–412/04), eliminando in particolare la previsione — contenuta negli ultimi due periodi dell’articolo 154, comma 1, del codice — del diritto di prelazione a favore del promotore, nel caso di adeguamento della relativa proposta a quella giudicata dall’amministrazione più conveniente, e, conseguentemente, sopprimendo la previsione, contenuta nell’articolo 153, comma 3, ultimo periodo, del codice, secondo la quale l’avviso deve indicare espressamente la sussistenza di tale diritto»; […] e con le seguenti osservazioni: «16) come già evidenziato nel parere reso dalla VIII Commissione in occasione dell’esame dello schema del primo decreto correttivo, si raccomanda al Governo di apportare opportune modifiche alla normativa in tema di appalti di lavori pubblici in relazione alle ulteriori questioni problematiche aperte in sede di contenzioso comunitario, con specifico riferimento alla procedura di infrazione che oppone, per talune delle disposizioni introdotte con la legge 166/2002 (in parte già modificate dal codice stesso), la Commissione europea all’Italia — e che è già in fase avanzata di contenzioso innanzi alla Corte di giustizia europea — nel cui ambito sono state sollevate precise questioni, oltre che in relazione al diritto di prelazione in favore del promotore, anche per la materia dei contratti misti, della realizzazione a scomputo dei lavori di urbanizzazione, dell’affidamento della “direzione lavori” e del collaudo». 8. Con il parere n. 2357 del 14/7/2008 –Sezione Consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato, reso sullo schema di decreto legislativo di modifica del d.lgs. 163/06 (Decreto correttivo III). 9. «Come affermato dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee, il riconoscimento di un diritto di prelazione a favore del promotore, lungi dal poter essere considerato in violazione del principio di par condicio, costituisce piuttosto il formale riconoscimento dell’esistenza di una posizione oggettivamente e ragionevolmente differenziata». Concessione dei lavori e project financing 285 sto nelle direttive comunitarie e per questo aveva invitato il Governo a prendere seriamente in considerazione la possibilità di sopprimerlo10. Ma, pur in presenza di queste coerenti linee interpretative rese nelle sedi di approvazione degli ultimi due decreti correttivi, il legislatore delegato ha optato per il reinserimento del diritto di prelazione. Appare allora chiaro che anche l’attuale prelazione contrasti con i principi comunitari. Esso, in effetti, sembra violare il principio di parità di trattamento e il principio di trasparenza, sotto un duplice profilo: a) perché consente al promotore di aggiudicarsi la concessione mediante il semplice adeguamento dell’offerta a quella del concorrente risultato vittorioso; b)perché ammette il promotore alla procedura negoziata (= seconda fase di gara) a prescindere da ogni comparazione tra la sua offerta e quelle presentate dai partecipanti nella prima fase di gara. Non pare, quindi, che la reintroduzione del diritto di prelazione — intervenuta nell’ambito della più generale riconsiderazione dell’istituto del project financing ad opera del d.lgs. 152/2008 —, sia suscettibile di superare i rilievi suddetti, alimentando anzi non pochi dubbi in ordine alla piena conformità di tale istituto rispetto al diritto comunitario. Va detto, anzi, in questo senso, che il su evidenziato comportamento ondivago e contraddittorio del nostro legislatore, che ha dapprima introdotto il diritto di prelazione, per poi sopprimerlo (con d.lgs. 113/2007), per poi di nuovo reintrodurlo (con d.lgs. 10. Se a ciò si aggiunge che tale valutazione era stata resa su un primo schema del III Correttivo che non prevedeva il diritto di prelazione, introdotto invero solo successivamente in una ulteriore versione non sottoposta nuovamente alla valutazione della Sezione Consultiva stessa, se ne ricavano ulteriori dubbi, quanto meno in ordine alla legittimità dell’iter di approvazione del Decreto Correttivo III, peraltro già evidenziati in sede dottrinale. 286 Capitolo VI 152/2008, seppure con taluni temperamenti, attraverso la previsione di una procedura alternativa alla gara unica bifasica, che non prevede l’applicazione del diritto di prelazione), costituisce un indice sintomatico della dubbia conformità di tale istituto rispetto al diritto comunitario. Da ultimo va precisato, de iure condendum, che la Corte di Giustizia nel 2007 ha affermato che: Il giudice nazionale è tenuto a dare a una disposizione di diritto interno, avvalendosi per intero del margine di discrezionalità consentitogli dal suo ordinamento nazionale, un’interpretazione ed un’applicazione conformi alle prescrizioni del diritto comunitario. Se una siffatta applicazione conforme non è possibile, il giudice nazionale ha l’obbligo di applicare integralmente il diritto comunitario e di tutelare i diritti che quest’ultimo conferisce ai singoli, disapplicando, se necessario, qualsiasi contraria disposizione del diritto interno11. Un’ultima considerazione. L’UE con procedura di infrazione n. 2007/2309 ex art. 226 CEE (avviata dalla Commissione Europea nei confronti dell’Italia e comunicata con lettera di costituzione in mora C(2008)0108 del 30/01/2008), facendo riferimento al testo del d.lgs. 163/06 come modificato dal d.lgs. 113/07, aveva sottolineato che, pur se a seguito delle modifiche introdotte dal II Correttivo gli articoli 153 e 154 del Codice non prevedevano più il diritto di prelazione in favore del promotore, tuttavia le disposizioni previste dal Codice non sembravano per ciò solo eliminare tutti i problemi di compatibilità con il diritto comunitario. Infatti, il rispetto delle regole della direttiva 2004/18/CE e del principio di parità di trattamento — continuava la Commissione — non sarebbe stato garantito dalle norme del Codice, in ragione dell’assenza di pubblicità a livello comunitario degli avvisi diretti a scegliere il promotore ed il concessionario nonché dalla posizione di vantaggio di cui il promotore continuava a beneficiare, anche dopo la soppressione 11. Corte di Giustizia CE, 18 dicembre 2007 – procedimento C – 357/06. Concessione dei lavori e project financing 287 del diritto di prelazione12. A sèguito della novella correttiva operata dal d.lgs. 152/08, i problemi di compatibilità tra diritto di prelazione e ordinamento comunitario non sembrano di certo essere stati risolti; infatti, l’emanazione del III decreto correttivo, da un lato ha l’unico merito di aver previsto la pubblicità a livello comunitario degli avvisi, ma d’altro lato non ha posto riparo al vantaggio concesso al promotore di partecipare ad una procedura negoziata con i soggetti che hanno presentato le due migliori offerte nella gara precedente, e ha anzi reintrodotto il diritto di prelazione, considerato alle stregua di un vantaggio per il promotore, per ciò solo incompatibile con il diritto comunitario, la cui soppressione era stata valutata con favore dalla Commissione Europea. 12. Così testualmente nel citato documento che «la Commissione rileva che le disposizioni del Codice in materia di promotore ricalcano in gran parte la disciplina della “finanza di progetto” contenuta negli articoli 37–bis e seguenti della legge 109/94 (legge quadro in materia di lavori pubblici), che è stata abrogata a seguito dell’entrata in vigore del Codice. Come noto, tali disposizioni della legge 109/94 hanno formato oggetto di un ricorso per inadempimento dinnanzi alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee, proposto dalla Commissione contro l’Italia, e la causa è tuttora pendente (causa C–412/04). La Commissione prende atto che, a seguito delle modifiche introdotte dal decreto legislativo n. 113/07, gli articoli 153 e 154 del Codice non prevedono più il diritto di prelazione in favore del promotore (ossia il diritto di adeguare la propria proposta a quella giudicata dall’amministrazione più conveniente aggiudicandosi in tal caso la concessione) che era previsto dalla precedente disciplina. Uno dei vantaggi in favore del promotore contemplati dalla disciplina contestata con il ricordato ricorso per inadempimento è stato quindi soppresso. Tuttavia, con riserva di conoscere la valutazione della Corte di Giustizia sulle disposizioni in questione, la Commissione segnala che le disposizioni previste dal Codice non sembrerebbero eliminare tutti i problemi di compatibilità con il diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni che essa aveva indicato nel ricorso per inadempimento. In particolare, il rispetto delle regole della direttiva 2004/18/CE in materia di attribuzione delle concessioni di lavori e del principio di parità di trattamento non sarebbe garantito dalle suddette disposizioni del Codice, in ragione dell’assenza di pubblicità a livello comunitario degli avvisi diretti a scegliere il promotore ed il concessionario nonché dalla posizione di vantaggio di cui il promotore continua a beneficiare, anche dopo la soppressione del diritto di prelazione. Nel corso della procedura di attribuzione della concessione, infatti, il promotore non è su un piede di parità con gli altri operatori potenzialmente interessati in quanto ha il vantaggio di partecipare ad una procedura negoziata (fase 2 della procedura di attribuzione) nella quale deve confrontarsi unicamente con i soggetti che hanno presentato le 2 migliori offerte nella gara precedente (fase 1), indetta sulla base della sua proposta». Capitolo VII Le Opere di Urbanizzazione a scomputo dopo le modifiche operate al Codice De Lise dal d.lgs. 152/08 1. Nozione e disciplina giuridica nel tempo Oggetto della modifica riguarda i lavori pubblici di opere di urbanizzazione a scomputo, cioè la possibilità per i titolari privati di un permesso di costruire che a scomputo totale o parziale della contribuzione dovuta per il rilascio del permesso assumono l’obbligazione per l’esecuzione delle opere di urbanizzazione1. La legislazione in materia risale al 1977, con la legge 28 gennaio, n. 102, Norme per la edificabilità dei suoli. L’art. 10 disciplinava la “Concessione relativa ad opere o impianti non destinati alla residenza” e stabiliva che: [La concessione relativa a costruzioni o impianti destinati ad attività industriali o artigianali dirette alla trasformazione di beni ed alla presentazione di servizi comporta la corresponsione di un contributo pari alla incidenza delle opere di urbanizzazione, di quelle necessarie al trattamento e allo smaltimento dei rifiuti solidi, liquidi e gassosi e di quelle necessarie alla sistemazione dei luoghi ove ne siano alterate le caratteristiche. La incidenza di tali opere è 1. Per quanto qui trattato, Cfr. A. Cancrini, P. Piselli, V. Capuzza, La nuova legge degli appalti pubblici. Commentario al codice dei contratti pubblici, op. cit. 2. In Gazz. Uff., 29 gennaio, n. 27. 289 290 Capitolo VII stabilita con deliberazione del consiglio comunale in base a parametri che la regione definisce con i criteri di cui alle lettere a) e b) del precedente art. 5, nonché in relazione ai tipi di attività produttiva. La concessione relativa a costruzioni o impianti destinati ad attività turistiche, commerciali e direzionali comporta la corresponsione di un contributo pari all’incidenza delle opere di urbanizzazione, determinata ai sensi del precedente articolo 5, nonché una quota non superiore al 10 per cento del costo documentato di costruzione da stabilirsi, in relazione ai diversi tipi di attività, con deliberazione del consiglio comunale. Qualora la destinazione d’uso delle opere indicate nei commi precedenti, nonché di quelle nelle zone agricole previste dal precedente articolo 9, venga comunque modificata nei dieci anni successivi all’ultimazione dei lavori, il contributo per la concessione è dovuto nella misura massima corrispondente alla nuova destinazione, determinata con riferimento al momento della intervenuta variazione]. L’articolo è stato poi abrogato dall’art. 136, comma 2, d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380, a decorrere dal 30 giugno 2003, ai sensi dell’art. 3, d.l. 20 giugno 2002, n. 122, conv., con modificazioni, in l. 1° agosto 2002, n. 185. Il Decreto n. 380/013, “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia”, a sua volta nell’art. 16 (inserito nella Parte I Attività edilizia, Titolo II Titoli abilitativi, Capo II Permesso di costruire, sez. II Contributo di costruzione), all’articolo 16 «Contributo per il rilascio del permesso di costruire» stabilisce che: 1. salvo quanto disposto dall’articolo 17, comma 3, il rilascio del permesso di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione, secondo le modalità indicate nel presente articolo; 2. la quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta al comune all’atto del rilascio del permesso di costruire e, su richiesta dell’interessato, può essere rateizzata. A scomputo totale o parziale della quota dovuta, il titolare del permesso può obbligarsi a realizzare direttamente le opere di urbanizzazione, nel rispetto dell’articolo 2, comma 5, 3. in Suppl. ordinario n. 239 alla Gazz. Uff., 20 ottobre, n. 245. Le Opere di Urbanizzazione 3. 4. 5. 6. 7. 8. 291 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni, con le modalità e le garanzie stabilite dal comune, con conseguente acquisizione delle opere realizzate al patrimonio indisponibile del comune (Lettera integrata dall’articolo 1 del d.lgs. 27 dicembre 2002, n. 301); la quota di contributo relativa al costo di costruzione, determinata all’atto del rilascio, è corrisposta in corso d’opera, con le modalità e le garanzie stabilite dal comune, non oltre sessanta giorni dalla ultimazione della costruzione; l’incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria è stabilita con deliberazione del consiglio comunale in base alle tabelle parametriche che la regione definisce per classi di comuni in relazione: a) all’ampiezza ed all’andamento demografico dei comuni; b) alle caratteristiche geografiche dei comuni; c) alle destinazioni di zona previste negli strumenti urbanistici vigenti; d) ai limiti e rapporti minimi inderogabili fissati in applicazione dall’articolo 41–quinquies, penultimo e ultimo comma, della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modifiche e integrazioni, nonché delle leggi regionali. nel caso di mancata definizione delle tabelle parametriche da parte della regione e fino alla definizione delle tabelle stesse, i comuni provvedono, in via provvisoria, con deliberazione del consiglio comunale; ogni cinque anni i comuni provvedono ad aggiornare gli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, in conformità alle relative disposizioni regionali, in relazione ai riscontri e prevedibili costi delle opere di urbanizzazione primaria, secondaria e generale. gli oneri di urbanizzazione primaria sono relativi ai seguenti interventi: strade residenziali, spazi di sosta o di parcheggio, fognature, rete idrica, rete di distribuzione dell’energia elettrica e del gas, pubblica illuminazione, spazi di verde attrezzato; 7–bis. Tra gli interventi di urbanizzazione primaria di cui al comma 7 rientrano i cavedi multiservizi e i cavidotti per il passaggio di reti di telecomunicazioni, salvo nelle aree individuate dai comuni sulla base dei criteri definiti dalle regioni. (Comma aggiunto dall’articolo 40 della legge 1° agosto 2002, n. 166) gli oneri di urbanizzazione secondaria sono relativi ai seguenti interventi: asili nido e scuole materne, scuole dell’obbligo nonché strutture e complessi per l’istruzione superiore all’obbligo, mercati di quartiere, delegazioni comunali, chiese e altri edifici religiosi, impianti sportivi di quartiere, aree verdi di quartiere, centri sociali e attrezzature culturali e sanitarie. 292 Capitolo VII Nelle attrezzature sanitarie sono ricomprese le opere, le costruzioni e gli impianti destinati allo smaltimento, al riciclaggio o alla distruzione dei rifiuti urbani, speciali, pericolosi, solidi e liquidi, alla bonifica di aree inquinate; 9. il costo di costruzione per i nuovi edifici è determinato periodicamente dalle regioni con riferimento ai costi massimi ammissibili per l’edilizia agevolata, definiti dalle stesse regioni a norma della lettera g) del primo comma dell’articolo 4 della legge 5 agosto 1978, n. 457. Con lo stesso provvedimento le regioni identificano classi di edifici con caratteristiche superiori a quelle considerate nelle vigenti disposizioni di legge per l’edilizia agevolata, per le quali sono determinate maggiorazioni del detto costo di costruzione in misura non superiore al 50 per cento. Nei periodi intercorrenti tra le determinazioni regionali, ovvero in eventuale assenza di tali determinazioni, il costo di costruzione è adeguato annualmente, ed autonomamente, in ragione dell’intervenuta variazione dei costi di costruzione accertata dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT). Il contributo afferente al permesso di costruire comprende una quota di detto costo, variabile dal 5 per cento al 20 per cento, che viene determinata dalle regioni in funzione delle caratteristiche e delle tipologie delle costruzioni e della loro destinazione ed ubicazione; 10.nel caso di interventi su edifici esistenti il costo di costruzione è determinato in relazione al costo degli interventi stessi, così come individuati dal comune in base ai progetti presentati per ottenere il permesso di costruire. Al fine di incentivare il recupero del patrimonio edilizio esistente, per gli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all’articolo 3, comma 1, lettera d), i comuni hanno comunque la facoltà di deliberare che i costi di costruzione ad essi relativi non superino i valori determinati per le nuove costruzioni ai sensi del comma 6 (Vedi deroga di cui all’articolo unico dell’ordinanza 13 dicembre 2005). Da tali previsioni normative era evidente che il privato soggetto titolare del permesso di costruire poteva eseguire direttamente le opere di urbanizzazione a scomputo del contributo. Sul punto e al fine di sottoporre tale esecuzione alle regole dell’evidenza pubblica, si già era pronunciata la Corte di Giustizia CE – Sez. VI, il 12 luglio 2001, nella Causa C – 399/1998 avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma dell’art. 177 del Trattato CE (divenuto art. 234 CE), dal Tribunale Le Opere di Urbanizzazione 293 amministrativo regionale per la Lombardia nella causa dinanzi ad esso pendente tra Ordine degli Architetti delle Province di Milano e Lodi, e il Comune di Milano; domanda vertente sull’interpretazione della direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/37/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori (GU L 199, p. 54). Occorre ripercorrere l’iter di quella sentenza innovativa in materia di opere d’urbanizzazione. La Corte, dopo aver precisato in particolare che la suddetta direttiva, aveva disposto che: a) le “attività di cui all’allegato II”, menzionate all’art. 1, lett. a), della direttiva, sono le attività di edilizia e di genio civile corrispondenti alla classe 50 della nomenclatura generale delle attività economiche nelle Comunità europee (in prosieguo: la “NACE”). Nel novero di tali attività compare espressamente la categoria relativa alla costruzione di immobili; b)gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché i concessionari di lavori pubblici, diversi dalle amministrazioni aggiudicatrici, applichino le regole di pubblicità definite all’articolo 11, paragrafi 4, 6, 7 e da 9 a 13 ed all’articolo 16, per gli appalti che essi concludono con terzi, se il valore di tali appalti è pari o superiore alla soglia comunitaria; c) per quanto riguarda le procedure di attribuzione degli appalti pubblici di lavori, l’art. 7 della direttiva stabilisce, ai nn. 2 e 3, i casi in cui le amministrazioni aggiudicatrici possono ricorrere alla procedura negoziata; d)in tutti gli altri casi, le amministrazioni aggiudicatrici attribuiscono gli appalti di lavori mediante la procedura aperta o la procedura ristretta. e che nella normativa italiana in materia urbanistica: a) L’attività edificatoria è soggetta al controllo delle pubbliche autorità. Ai sensi dell’art. 1 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, «[o] 294 Capitolo VII gni attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale partecipa agli oneri ad essa relativi e la esecuzione delle opere è subordinata a concessione da parte del sindaco». b)Ai sensi dell’art. 3 della medesima legge, intitolato “Contributo per il rilascio della concessione”, “[l]a concessione comporta la corresponsione di un contributo commisurato all’incidenza delle spese di urbanizzazione nonché al costo di costruzione” (in prosieguo: il “contributo per gli oneri di urbanizzazione”). Il contributo per gli oneri di urbanizzazione viene corrisposto al Comune all’atto del rilascio della concessione. Tuttavia, ai sensi dell’art. 11, primo comma, della legge 10/77, “a scomputo totale o parziale della quota dovuta, il concessionario può obbligarsi a realizzare direttamente le opere di urbanizzazione con le modalità e le garanzie stabilite dal Comune”. c) A norma dell’art. 4, primo comma, della legge 29 settembre 1964, n. 847, intitolata Autorizzazione ai Comuni e loro consorzi a contrarre mutui per l’acquisizione delle aree ai sensi della legge 18 aprile 1962, n. 167, come modificata dall’art. 44 della legge 22 gennaio 1971, n. 865, e dall’art. 17 della legge 11 marzo 1988, n. 67 (in prosieguo: la “legge 847/64”), costituiscono opere di urbanizzazione primaria le strade residenziali, gli spazi di sosta o di parcheggio, le fognature, le reti idriche, le reti di distribuzione dell’energia elettrica e del gas, l’illuminazione pubblica, nonché gli spazi di verde attrezzato. A norma dell’art. 4, secondo comma, della medesima legge, costituiscono opere di urbanizzazione secondaria gli asili nido e le scuole materne, le scuole dell’obbligo nonché le strutture e i complessi per l’istruzione superiore all’obbligo, i mercati di quartiere, le delegazioni comunali, le chiese e gli altri edifici religiosi, gli impianti sportivi di quartiere, i centri sociali e le attrezzature culturali e sanitarie, nonché le aree verdi di quartiere. d)Per quanto più specificamente attiene alla realizzazione coordinata di un complesso di opere mediante un piano di lottizza- Le Opere di Urbanizzazione 295 zione, ipotesi questa corrispondente alla fattispecie della causa principale portata all’attenzione della Corte di Giustizia, l’art. 28, quinto comma, della legge 1150/42 prevede a questo proposito: «L’autorizzazione comunale è subordinata alla stipula di una convenzione, da trascriversi a cura del proprietario, che preveda: 1)[…] omissis […] la cessione gratuita delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione secondaria nei limiti di cui al successivo n. 2; 2)l’assunzione, a carico del proprietario, degli oneri relativi alle opere di urbanizzazione primaria e di una quota parte delle opere di urbanizzazione secondaria relative alla lottizzazione o di quelle opere che siano necessarie per allacciare la zona ai pubblici servizi; la quota è determinata in proporzione all’entità e alle caratteristiche degli insediamenti delle lottizzazioni; 3)i termini non superiori ai dieci anni entro i quali deve essere ultimata la esecuzione delle opere di cui al precedente paragrafo; […] omissis […] L’art. 28, nono comma, della medesima legge stabilisce che «[i]l termine per l’esecuzione di opere di urbanizzazione poste a carico del proprietario è stabilito in dieci anni». Ciò premesso, la Corte con stringente logica verifica se la realizzazione diretta di un’opera di urbanizzazione costituisca un appalto pubblico di lavori ai sensi dell’art. 1, lett. a), della direttiva; l’analisi la svolge Quanto all’elemento relativo alla qualità di amministrazione aggiudicatrice, quanto all’elemento relativo all’esistenza di un contratto, quanto all’elemento relativo al carattere oneroso del contratto, quanto all’elemento relativo alla qualità di imprenditore, e dichiarando infine che: 296 Capitolo VII La direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/37/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, osta ad una normativa nazionale in materia urbanistica che, al di fuori delle procedure previste da tale direttiva, consenta al titolare di una concessione edilizia o di un piano di lottizzazione approvato la realizzazione diretta di un’opera di urbanizzazione a scomputo totale o parziale del contributo dovuto per il rilascio della concessione, nel caso in cui il valore di tale opera eguagli o superi la soglia fissata dalla direttiva di cui trattasi. 2. Il quadro giuridico nel d.lgs. 163/06 alla luce degli interventi correttivi Non poteva non avere effetto nel nostro ordinamento un pronunciamento di tale portata; infatti, conseguentemente a tale pronuncia, l’art. 2, comma 5 della l. 109/94 veniva così modificato dalla l. 166/2002: Le disposizioni della presente legge non si applicano agli interventi eseguiti direttamente dai privati a scomputo di contributi connessi ad atti abilitanti all’attività edilizia o conseguenti agli obblighi di cui al quinto comma dell’articolo 28 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modificazioni, o di quanto agli interventi assimilabile; per le singole opere d’importo superiore alla soglia comunitaria i soggetti privati sono tenuti ad affidare le stesse nel rispetto delle procedure di gara previste dalla citata direttiva 93/37/CEE. In altri termini, il soggetto titolare del permesso di costruire che avesse assunto direttamente l’obbligo di realizzare opere d’urbanizzazione, avrebbe dovuto affidare a terzi, mediante evidenza pubblica (ma se il privato avesse potuto esperire la gara era dibattuto), le opere d’urbanizzazione solamente nell’ipotesi di importi superiori alla soglia comunitaria. Rimaneva il problema del sotto soglia comunitario e cioè dell’affidamento diretto senza evidenza pubblica delle relative opere d’urbanizzazione. Il Codice De Lise, fino alle modifiche innovative operate dal terzo decreto correttivo, non aveva risolto la questione e lasciava pressoché Le Opere di Urbanizzazione 297 inalterato il precetto base della legge Merloni nella lett. g) del comma 1 dell’art. 32. Inoltre, il Codice aveva positivizzato l’applicazione in tale materia dell’istituto del project financing; vediamo lo schema che vigeva: il soggetto privato titolare del permesso di costruire rivestiva la qualifica di promotore e aveva, al termine della gara bandita dall’amministrazione, il relativo diritto di prelazione per l’affidamento dell’opera medesima. Con il d.lgs. 113/07 il diritto di prelazione, come è noto, scomparve dalla norma. Per il sotto–soglia invece il quadro era frazionato: l’art. 122 disegnava la relativa disciplina. Per le opere di urbanizzazione primaria (di cui ai commi 7 e 7–bis dell’art. 16 del d.lgs. 378/01 erano affidabili direttamente da parte del soggetto privato titolate del permesso di costruire4, mentre per le opere di urbanizzazione secondaria di cui al comma 8 dell’art. 16 dello stesso decreto legislativo n. 378 vigeva il rispetto generale dei principi concorrenziali. Il problema per le opere di urbanizzazione primaria di importo inferiore alla soglia comunitaria, nonostante il II Decreto correttivo dell’agosto 2007, era rimasto vivo e la prevista derogabilità delle regole della concorrenza comunque era già stata oggetto di un’ulteriore pronunzia della Corte di Giustizia CE, oltre che di segnalazioni in senso contrario da parte della dottrina. In particolare, i giudici europei nella Sentenza 21 febbraio 2008 nella causa C–412/04 avevano evidenziato che: La Commissione sostiene, da un lato, che le disposizioni della legge 109/1994, in combinato disposto con le disposizioni pertinenti delle leggi n. 1150/1942 e n. 10/1977, consentono l’affidamento diretto dei lavori o di un’opera che costituiscono appalti pubblici di lavori ai sensi dell’art. 1, lett. a), della direttiva 93/37 al titolare di una convenzione edilizia o di un piano di lottizzazione approvato, senza garantire, con disposizioni esplicite, l’applicazione dei principi di trasparenza e di parità di trattamento sanciti dal Trattato CE, che 4. cfr. art. 122, comma 8 del Codice – ante III Decreto correttivo —, che fa espresso riferimento alle opere di urbanizzazione primaria. 298 Capitolo VII devono essere rispettati anche se l’importo valutato è inferiore alla soglia di applicazione di tale direttiva (punto56). […] Secondo la Repubblica italiana, per quanto riguarda, in primo luogo, le opere di urbanizzazione di un valore inferiore alla soglia di applicazione della normativa comunitaria e eseguite dal titolare di una concessione edilizia o di un piano di lottizzazione approvato, non è necessario, nella fase del recepimento, richiamare specificamente le norme del Trattato in materia di pubblicità e di concorrenza nonché le relative interpretazioni giurisprudenziali della Corte (punto 58). […]70 In secondo luogo, riguardo al campo di applicazione dell’art. 2, comma 5, della legge 109/1994, in relazione a quanto disposto dalla direttiva 93/37, occorre anzitutto ricordare che, secondo la giurisprudenza della Corte, il fatto che una disposizione di diritto nazionale che prevede la realizzazione diretta di un’opera di urbanizzazione da parte del titolare di una concessione edilizia o di un piano di lottizzazione approvato, a scomputo totale o parziale del contributo dovuto per il rilascio della concessione, faccia parte di un complesso di norme in materia urbanistica dotate di caratteristiche proprie e dirette al raggiungimento di specifici obiettivi, distinti da quelli della direttiva 93/37, non è sufficiente a escludere la realizzazione diretta dall’ambito di applicazione di quest’ultima, qualora risultino soddisfatti tutti gli elementi necessari affinché essa vi rientri (v. sentenza Ordine degli Architetti e a., cit., punto 66). 71. Questa realizzazione deve pertanto essere assoggettata alle procedure previste dalla direttiva 93/37 allorché soddisfa le condizioni indicate da quest’ultima perché sussista un appalto pubblico di lavori e, in particolare, allorché è presente l’elemento contrattuale richiesto dall’art. 1, lett. a), di tale direttiva e il valore dell’opera è pari o superiore alla soglia fissata all’art. 6, n. 1, della stessa. 72. Inoltre, dall’art. 6, n. 3, della direttiva 93/37 risulta che, quando un’opera è ripartita in più lotti ciascuno dei quali forma l’oggetto di un appalto, deve essere preso in considerazione il valore di ciascun lotto per valutare l’importo di cui al n. 1 dello stesso articolo, che determinerà se tale direttiva si applichi o meno a tutti i lotti. Peraltro, in applicazione dell’art. 6, n. 4, della stessa, nessuna opera e nessun appalto possono essere scissi al fine di sottrarsi all’applicazione della direttiva 93/37. 73. Di conseguenza, come ha rilevato l’avvocato generale al paragrafo 88 delle sue conclusioni, qualora la convenzione stipulata tra un singolo, proprietario di suoli edificatori, e l’amministrazione comunale risponda ai criteri di definizione della nozione di «appalti pubblici di lavori» ai sensi dell’art. 1, lett. a), della direttiva 93/37, richiamati al punto 45 della presen- Le Opere di Urbanizzazione 299 te sentenza, l’importo di stima che in via di principio deve essere preso in considerazione al fine di verificare se la soglia stabilita da tale direttiva sia raggiunta, e se, di conseguenza, l’attribuzione dell’appalto debba rispettare le norme di pubblicità poste dalla stessa, può essere determinato solo in relazione al valore globale dei differenti lavori ed opere, sommando i valori dei differenti lotti. 74. Prevedendo una procedura di attribuzione conforme a quanto disposto dalla direttiva 93/37 unicamente nell’ipotesi in cui l’importo di stima di ciascuno di questi lotti, considerato individualmente, supera la soglia di applicazione della stessa, la normativa italiana è incompatibile con tale direttiva. 75. Da quanto precede risulta che l’art. 2, comma 5, della legge 109/1994 viola le disposizioni della direttiva 93/37 limitando indebitamente il ricorso alle procedure che questa istituisce. Lungo tale linea interpretativa, il 1° febbraio 2008 la Commissione UE, avviata la procedura di infrazione comunitaria n. 2007/2309 con la lettera di messa in mora indirizzata all’Italia relativamente ai profili di incompatibilità del d.lgs. 163/06 con le Direttive 18 e 17/2004, a p. 12 evidenziava nel Codice (secondo la versione operata dal II Decreto correttivo) le seguenti censure: a) la lett. g) del comma 1 dell’art. 32 permette al titolare del permesso di costruire di presentare una proposta per la realizzazione di tali opere in qualità di promotore; alla luce di ciò l’amministrazione che rilascia il permesso bandisce una gara sulla base della proposta pervenuta. In quella gara il promotore ha il beneficio della prelazione, potendo perciò aggiudicarsi l’appalto a fronte della corresponsione del 3% del valore dell’appalto stesso al precedente aggiudicatario; b)a fronte di tali previsioni nazionali, la Commissione ha fatto presente che tali regole applicabili alle opere di urbanizzazione a scomputo non sono armoniche con la costante giurisprudenza comunitari esistente in materia, specialmente nella conferma del diritto di prelazione. 300 Capitolo VII Il Consiglio di Stato–Sezione consultiva per gli atti normativi, nel parere reso nell’Adunanza del 14 luglio 2008, prot. 2357/08, ha espresso la seguente considerazione: 2.1. La modifica f) riguarda l’articolo 32, comma 1, lettera g) ed è tesa a recepire le osservazioni della Commissione europea relativamente alla realizzazione di opere di urbanizzazione a scomputo. Secondo la Commissione l’articolo attualmente in vigore risulta in contrasto con le regole di cui alla direttiva 2004/18/ CE, laddove viene conservato il diritto di prelazione in favore del promotore individuato unicamente il titolare del permesso di costruire. La Sezione osserva che la modifica proposta è conforme ai principi comunitari e quindi va condivisa. Tuttavia, come osserva anche la Conferenza unificata, non sembra corretto il riferimento alla figura del promotore, in quanto la fattispecie non riguarda il contratto di concessione di lavori. Anzi le opere di urbanizzazione sono interamente finanziate mediante gli oneri di concessione non corrisposti dal titolare del permesso di costruire; e quindi in sostanza con risorse pubbliche. Sicché il richiamo all’articolo 153 del Codice non appare pertinente. Quindi l’indizione della gara da parte dell’amministrazione deve avvenire con le modalità previste dall’articolo 55 del Codice medesimo. Inoltre sembra maggiormente aderente allo spirito della normativa comunitaria e alla logica di questo istituto il ricorso all’appalto di progettazione e esecuzione. In armonia con quanto riconosciuto a livello Comunitario, dal parere del Consiglio di Stato e dal parere dell’VIII Commissione Senato (29 luglio 2008), il III Decreto correttivo ha operato in due sensi: a) per gli importi sopra–soglia, ha finalmente abrogato il diritto di prelazione dall’art. 32, comma 1 lett. g); b)per gli importi sotto–soglia: – ha riformulato il comma 8 dell’art. 122, prevedendo per l’affidamento delle opere d’urbanizzazione l’applicazione delle regole della gara informale già previste dall’art. 57 del Codice (c.d. gara a cinque); – ha tolto il riferimento alle sole opere di urbanizzazione primaria, disciplinando così congiuntamente anche le opere di urbanizzazione primaria e secondaria. Le Opere di Urbanizzazione 301 Una questione rimane comunque aperta: la terza novella al Codice ha, antiteticamente e contravvenendo alle regole comunitarie, reinserito nell’istituto del project financing il diritto di prelazione del promotore finanziario (vedi commento all’art. 153). Così, la materia che ricade sotto le previsione dell’art. 32, comma 1 lett. g) se poteva finalmente trovare completa coerenza normativa, così vede ancora una volta una nuova contraddizione nel sistema, che dovrà essere sistemata. In ultimo, se non si interverrà prima nell’ambito nazionale (di certo non più mediante la legge delega, ormai caduta sotto il segno del tempo), ci penserà l’Unione Europea a dettare per l’ennesima volta la giusta regola. 3. Problematiche interpretative ed applicative dopo le modifiche operate dal III Decreto correttivo Alla luce di tutto questo, il tema merita un’ulteriore e approfondita analisi; in tal senso, appare utile inquadrare ancora meglio le principali caratteristiche — di cui in parte fin qui s’è detto — della normativa susseguitasi nel tempo, dalla prima versione dell’art. 32 del Codice De Lise a quella oggi operata dal d.lgs. 152/08. La prima formulazione della lett. g) del comma 1 dell’art. 32 (dal 1° luglio 2006) stabiliva che «all’esito della gara bandita dal promotore sulla baase della progettazione» preliminare presentata all’amministrazione che rilascia il permesso di costruire, «il promotore può esercitare, purché espressamente previsto nel bando di gara, il diritto di prelazione nei confronti dell’aggiudicatario». Per il sotto–soglia l’art. 122 comma 8 prevedeva la non applicazione dell’art. 32 alle opere di urbanizzazione primaria; per quelle opere di urbanizzazione secondaria vigeva la norma transitoria ex art. 253, comma 8 del Codice. Dal 1° agosto 2007, in forza del d.lgs. 113/07, la lett. g) dell’art. 32 veniva modificata in tal senso: 302 Capitolo VII – il riconoscimento all’amministrazione titolare del rilascio del permesso di costruire, e non più al promotore privato, di bandire la gara sulla base della progettazione preliminare presentata da quest’ultimo; – per il promotore titolare del permesso di costruire vigeva l’obbligo del possesso dei relativi requisiti di qualificazione previsti e disciplinato dall’art. 40 del Codice. Per il sotto–soglia il II Correttivo aveva modificato il comma 8 dell’art. 122: le opere di urbanizzazione primaria possono anche essere solo funzionalmente connesse allo stesso intervento edilizio. Il d.lgs. 152/08 rinnova sostanzialmente il quadro della disciplina. a) abroga la figura del promotore per il titolare del permesso di costruire; b)viene abrogato il diritto di prelazione per l’autore del progetto preliminare; c) l’amministrazione indice una procedura aperta o ristretta, ponendo a base di gara la progettazione preliminare (presentato già da chi ha diritto di chiedere il permesso di costruire, assieme a tale richiesta); d) la gara si svolge con la presentazione da parte dei concorrenti del progetto definitivo in sede di offerta e con la presentazione dell’esecutivo (come oggetto del contratto) unicamente dall’aggiudicatario; e) il titolare del permesso di costruire, abrogata la prelazione, può solo partecipare alla gara d’appalto. Non v’è dubbio alcuno che la procedura di gara prevista dalla nuova formulazione della lett. g) del comma 1 dell’art. 32 del Codice sia la medesima procedura delineata dall’art. 53, comma 2 lett. c): il c.d. appalto integrato misto (o complesso), la cui operatività, però, per i lavori nei settori ordinari di qualsiasi importo è stata sospesa — ex art. 253 comma 1–quinquies — fino all’entrata in vigore del nuovo regolamento ex art. 5 (vedi i commenti all’art. 53 e all’art. 253). Le Opere di Urbanizzazione 303 Come è stato efficacemente rappresentato da Roberto Travaglini5: L’appalto integrato introdotto dal terzo Decreto correttivo per l’affidamento delle opere di urbanizzazione “a scomputo” d’importo superiore alla soglia comunitaria è soggetto al medesimo differimento temporale che riguarda in via generale tutto l’istituto? La risposta affermativa sembra preferibile, anche se sul punto la nuova disposizione non è affatto chiara, non avendo operato un esplicito richiamo all’art. 53, comma 2 (che avrebbe, ovviamente, comportato il pacifico differimento della sua applicazione), ma avendone solo parafrasato il contenuto. Ne dovrebbe conseguire che, fino all’entrata in vigore del regolamento attuativo del Codice, l’affidamento delle opere di urbanizzazione mediante gara esperita dal Comune sulla base del progetto preliminare presentato dall’avente diritto al rilascio del permesso di costruire debba avvenire con la procedura dell’appalto concorso (ex art. 253, comma 1–quinquies, secondo periodo, inserito dall’art. 2, comma 1, lett. vv), n. 1, del terzo Decreto correttivo, codificando l’indirizzo interpretativo elaborato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri–Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi, prot. n. 15.3.16/2007/5, del 24 settembre 2007, in vigenza del secondo Decreto correttivo). Non sembra, infatti, possibile applicare nel caso di specie l’art. 19, comma 1, lett. b), unitamente al comma 1–ter, della legge 109/1994 e s.m., in quanto detta norma — che disciplinava nella legge Quadro sui lavori pubblici l’appalto integrato — presuppone che la gara venga indetta ponendo a base un progetto definitivo, mentre l’art. 32, comma 1, lett. g), del d.lgs. 163/2006 configura una gara basata sul solo progetto preliminare presentato al Comune dall’avente diritto al rilascio del permesso di costruire. Ma stante la sospensione dell’appalto integrato misto, in relazione alla soluzione proposta di applicabilità in tale ambito dell’appalto– concorso, andrebbe considerato anche un ulteriore aspetto più rigorista, che mostra tutto il limite dell’odierna disposizione normativa: la lettera della legge sembra “vincolare” la procedura allo schema dell’appalto integrato “misto” e non lascia spazio ad altre applicazioni. 5. R. Travaglini, relazione “Le opere di urbanizzazione a scomputo alla luce del terzo Decreto correttivo del Codice dei contratti pubblici”, 2008, p. 4, nt. 4. Sulle altre considerazioni che seguono cfr. A. Cancrini, P. Piselli, V. Capuzza, La nuova legge, op. cit., sub commento all’art. 32. 304 Capitolo VII Ne consegue, che l’appalto concorso, ben applicabile ad altre tipologie di appalti, nell’ambito della lett. g) dell’art. 32 non trovi spazi positivi, essendo nella norma de qua stabilito che i concorrenti presentino un progetto definitivo come offerta e che l’aggiudicatario abbia come obbligazioni sia le lavorazioni che la presentazione dell’esecutivo, mentre l’appalto–concorso porta al contratto inquadrabile nella lett. a) del comma 2 dell’art. 53 avente l’oggetto, cioè, di sola esecuzione lavori. Potrebbe concludersi, in modo alquanto rigoroso e paradossale per i risolti che avrebbe nella prassi, che allo stato e fino all’entrata in vigore del nuovo regolamento si possano applicare le altre due tipologie di procedure deducibili dall’attuale formulazione della norma contenuta nell’art. 32, c. 1 lett. g) dopo il III Correttivo. E qui si apre lo scenario ad un delicato e attualissimo problema vivo tra operatori nel sistema della contrattualistica pubblica. Come autorevolmente evidenziato da R. Travaglini nella citata relazione6, dalla collocazione della previsione contenuta nella lett. g) nell’art. 32, che è rubricato come “Amministrazioni aggiudicatrici e altri soggetti aggiudicatori”, si può dedurre che i soggetti privati titolari del permesso di costruire che assumono in via diretta l’esecuzione delle opere di urbanizzazione siano proprio gli “altri soggetti aggiudicatori” (ex art. 3, comma 31). Dopo una verifica sintattica della norma in esame, Travaglini afferma conclusivamente che: Pertanto, dal primo periodo dell’art. 32, comma 1, lett. g), si può ricavare una titolarità “diretta” della funzione di stazione appaltante in capo al privato titolare del permesso di costruire (ovvero titolare del piano di lottizzazione o di altro strumento urbanistico attuativo contemplante l’esecuzione di opere di urbanizzazione), in tal modo disattendendo l’interpretazione più diffusa in proposito, che vede in tale privato la veste di “mandatario” del Comune e, in quanto tale, tenuto ad applicarne le regole di condotta nell’affidamento dei lavori pubblici. 6. R. Travaglini, relazione Le opere di urbanizzazione a scomputo alla luce del terzo Decreto correttivo del Codice dei contratti pubblici, 2008, pp. 26 e ss. Le Opere di Urbanizzazione 305 Tesi, quella del privato titolare di un mandato espresso conferitogli dall’amministrazione comunale, che come si è visto nei paragrafi precedenti ha preso avvio con la sentenza della Corte di Giustizia 12 luglio 2001, causa C–399/98, è stata ripresa dalla Corte costituzionale (sentenze 28 marzo 2006, n. 129 e 13 luglio 2007, n. 269) ed è stata impiegata dall’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici nella determinazione 2 aprile 2008, n. 47. La teoria del mandato espresso conferito al privato dall’amministrazione comunale non è stata però accettata di recente in una circolare dall’Assessorato all’Urbanistica e alla programmazione e pianificazione del territorio del Comunq di Roma, datata 1° luglio 2008 avente prot. n. 14640, ove, a p. 3, si afferma che, in relazione al privato in prima persona stazione appaltante: Si è affacciata talvolta la tesi per cui il privato stesso andrebbe considerato come mandatario dell’Amministrazione […]. L’opinione tuttavia non tiene conto del fatto che l’art. 33 del codice dei contratti […] vieta espressamente l’affidamento a terzi (c.d. “concessione di committenza”) delle funzioni di stazione appaltante, nonché del fatto che è la legge ad individuare l’esecutore delle opere a scomputo quale diretto destinatario […] della normativa sulle gare. Sembra quindi più corretto ritenere che non vi sia nella fattispecie un’attività svolta in nome e per conto, né solamente per conto, della amministrazione pubblica, e che il titolare del permesso di costruire, debitore in via alternativa della prestazione di urbanizzazione, allorché scelga l’esecuzione diretta delle opere, sia titolare in via propria della veste di stazione appaltante, con tutti i riflessi che ne derivano sul piano del riparto delle funzioni e delle responsabilità con l’Amministrazione comunale. Oltre all’ipotesi del privato che agisce come stazione appaltante, altre due sono le procedure alternative in materia di opere d’urbanizzazione a scomputo. Dal capoverso della lett. g) dell’art. 32 viene prevista la procedura di cui s’è detto: presentazione del privato titolare del permesso di costruire, del progetto preliminare all’amministrazione; gara indetta dall’amministrazione con la procedura di scelta dell’appalto integrato “misto”. 7. R. Travaglini, relazione Le opere di urbanizzazione a scomputo alla luce del terzo Decreto correttivo del Codice dei contratti pubblici, 2008, pp. 27. 306 Capitolo VII La terza procedura non è prevista nell’art. 32 del Codice: si tratta di una gara ad evidenza pubblica secondo le regole del Codice De Lise (ma non quelle dell’art. 32, c. 1 lett. g), che l’amministrazione comunque può esperire sulla base della progettazione preliminare predisposta da essa stessa. Per le ultime due ipotesi, il titolare del permesso deve comunque possedere i requisiti ex art. 40. Per la prima ipotesi, la gara esperita dallo stesso soggetto titolare del permesso deve seguire le regole del Codice, tranne le norme espressamente indicate nel comma 2 dell’art. 32. Per il sotto–soglia, il d.lgs. 122, comma 8, come si è visto poco sopra nel commento, il d.lgs. 152/08 ha esteso il riferimento normativo anche alle opere di urbanizzazione secondaria e per entrambe le opere (sia primarie che secondarie) non prevede più la possibilità di un affidamento diretto, bensì un affidamento solo mediante procedura negoziata senza la prevista pubblicazione del bando (art. 57, comma 6). Appare logico concludere che le due ipotesi procedurali contenute nella formulazione della lett. g) dell’art. 32, co. 1, (cioè la gara indetta dal titolare del permesso di costruire che opera come stazione appaltante e l’amministrazione stessa che cura l’affidamento) se riferite a lavori sotto–soglia devono indistintamente seguire le regole della gara informale secondo le previsioni della procedura negoziata. Ma un dubbio rimane: quella del comma 8 dell’art. 122 non è forse un’ipotesi di procedura negoziata non prevista nelle Direttive Comunitarie? In tal senso, allora anche tale norma dovrebbe cade nella censura Europea, così come il reinserimento della prelazione nel project financing. Capitolo VIII Inquadramento della normativa antimafia La disciplina contenuta nel d.p.r. 252/1998 riguarda la semplificazione dei procedimenti relativi al rilascio delle comunicazioni ed alle informazioni antimafia1. In particolare, la normativa disciplina le modalità con le quali le pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici possono acquisire la documentazione circa la sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, divieto o sospensione di cui all’art. 10 della legge 31 maggio 1965 n. 575 e dei tentativi di infiltrazione mafiosa di cui all’art. 4 del d.lgs. 490/94. La documentazione richiesta per le società di capitali (dunque, anche delle società a responsabilità limitata) riguarda i soggetti indicati nell’art. 2, comma 2 lett. b) del d.p.r. 252/98. Il suddetto regolamento stabilisce nell’art. 3, comma 1, lett. b), che la richiesta della documentazione anzidetta, che viene soddisfatta mediante comunicazione scritta della prefettura della provincia in cui 1. Sul tema, cfr.: V. Capuzza, Figure di procedura penale, op. cit.; Id., Itinerari nella normativa antimafia per gli appalti pubblici. Autorizzazione al subappalto e attesa dell’informativa prefettizia: silenzio assenso e questioni sulla proroga o sulla sospensione dei tempi; in ANIEM, 2009; Id., Itinerari nella normativa antimafia per gli appalti pubblici. Le esenzioni antimafia: la questione dei subcontratti inferiori a 300 milioni di lire e i rapporti con la disciplina dei subappalti, di prossima pubblicazione in ANIEM; Id., Doveri dell’Amministrazione ed esenzioni nel quadro normativo antimafia per gli appalti pubblici, in Una nuova pubblica amministrazione: aspetti problematici e prospettive di riforma dell’attività contrattuale (a cura di C. Franceschini e F. Tedeschini, Torino 2009. 307 308 Capitolo VIII l’amministrazione richiedente ha sede, può essere inoltrata solamente se «Il certificato rilasciato dalla camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura, è privo della dicitura antimafia di cui all’art. 9». L’articolo 9, a sua volta, stabilisce che «Le certificazioni delle camere di commercio sono equiparate alle comunicazioni qualora riportino in calce la seguente dicitura: “Nulla osta ai fini dell’articolo 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni. La presente certificazione è emessa dalla C.C.I.A.A. utilizzando il collegamento telematico con il sistema informativo utilizzato dalla prefettura di Roma”». Infine, quando il certificato suddetto reca la dicitura antimafia, l’art. 6 equipara a tutti gli effetti i certificati stessi con le comunicazioni delle prefetture: 1. Le certificazioni o attestazioni delle camere di commercio, industria e artigianato, d’ora in avanti indicate come camere di commercio, recanti la dicitura di cui all’articolo 9, sono equiparate, a tutti gli effetti, alle comunicazioni delle prefetture che attestano l’insussistenza delle cause di decadenza, divieto o sospensione di cui all’articolo 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575. Tutto ciò considerato, va anche detto che le cd. Informazioni del prefetto, regolate dai successivi artt. 10 e ss del d.p.r. 252/98, configurano un diverso istituto, mediante il quale è disposto chiaramente che le amministrazioni devono acquisire le informazioni in oggetto prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti; non va omesso di precisare che, ai sensi dell’art. 10, comma 1, lett. a), b) e c), vige tale dovere in capo all’amministrazione appaltante nei confronti dell’aggiudicatario di una gara d’appalto, solamente quando il valore dell’opera sia: a) pari o superiore a quello determinato dalla legge in attuazione delle direttive comunitarie in materia di opere e lavori pubblici, servizi pubblici e pubbliche forniture, indipendentemente dai casi di esclusione ivi indicati; b) superiore a 300 milioni di lire per le concessioni di acque pubbliche o di beni demaniali per lo svolgimento di attività imprenditoriali, ovvero Inquadramento della normativa antimafia 309 per la concessione di contributi, finanziamenti e agevolazioni su mutuo o altre erogazioni dello stesso tipo per lo svolgimento di attività imprenditoriali; c) superiore a 300 milioni di lire per l’autorizzazione di subcontratti, cessioni o cottimi, concernenti la realizzazione di opere o lavori pubblici o la prestazione di servizi o forniture pubbliche. Pertanto, da un lato la comunicazione del prefetto può essere richiesta (tranne i casi di esenzione di cui all’art. 1, comma 2 del regolamento, ed i casi in cui si possa procedere all’autocertificazione) solo quando i certificati della camera di commercio siano privi della dicitura antimafia sopra riportata; fuori da tal caso, la richiesta di comunicazione prefettizia appare ictu oculi in contrasto con la ratio di semplificazione che anima il d.p.r. 252/98 e configura un ingiustificato aggravamento del procedimento, in contrasto perciò con l’art. 1, comma 2 della l. 241/90. D’altro lato, il ricorso all’informazione del prefetto, assume la natura di obbligo di procedere che vige in capo all’amministrazione solo se si configura una della condizioni stabilite nelle lettere a), b) e c) dell’art. 10, comma 1 del d.p.r. 252/98. Un richiamo: l’art. 49 del Codice, in riferimento all’avvalimento, al comma 5 stabilisce che gli obblighi previsti dalla normativa antimafia a carico del concorrente si applicano anche nei confronti del soggetto ausiliario, in ragione dell’importo dell’appalto posto a base di gara. Il comma 1 dell’artt. 10 del d.p.r. 252/98 espressamente prevede gli effetti civilistici di nullità del contratto nel caso si proceda comunque alla stipula del contratto pubblico in assenza di informativa antimafia ovvero nei casi in cui con la stessa si sia accertata infiltrazione mafiosa nell’impresa interessata (comma 2). Alla stessa stregua, la nullità sussisterebbe anche nelle ipotesi di stipulazione del contratto di subappalto non autorizzato. Si è visto che inoltre in caso di violazione del precetto per cui non possono essere stipulati subappalti non autorizzati, la normativa prevede l’ipotesi contravvenzionale del reato di subappalto non autorizzato. Anche nel caso in cui si provveda alla stipulazione senza le previste informative prefettizie sussisterebbe un’apposita san- 310 Capitolo VIII zione penale delittuosa, e quindi ben più grave del subappalto non autorizzato. Infatti, l’art. 10–quinquies della legge 575/1965 prevede la seguente ipotesi delittuosa: Il pubblico amministratore, il funzionario o il dipendente dello Stato o di altro ente pubblico ovvero il concessionario di opere e di servizi pubblici che consente alla conclusione di contratti o subcontratti in violazione dei divieti previsti dall’articolo 10, è punito con la reclusione da due a quattro anni. Se il fatto è commesso per colpa la pena è della reclusione da tre mesi ad un anno. Capitolo IX Il regime delle responsabilità nella fase di gara ad evidenza pubblica 1. Effetti del contatto a valle quando l’aggiudicazione è stata annullata dal giudice amministrativo Come si è già visto trattando della giurisdizione ordinaria e amministrativa negli appalti pubblici, la Corte di Cassazione anche nella Sent., 28–12–2007, n. 27169 delle Sez. Unite ha riaffermato l’ambito oggettivo degli artt. 6 e 7 della legge 205/00 riconoscendo che tutte le controversie relative alle procedure di affidamento degli appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, con riguardo alla sola fase pubblicistica e di conseguenza, rimane la competenza esclusiva del giudice ordinario in merito alla fase dell’esecuzione di tali contratti. Ma v’è da dire che tale pronuncia affronta la questione innestandola nel più ampio e gravoso scenario della questione giuridica degli effetti dell’annullamento giurisdizionale di un provvedimento d’aggiudicazione in rapporto all’esecuzione dell’appalto in cui i lavori siano ormai iniziati, sembra opportuno formulare qualche considerazione in relazione agli effetti dell’annullamento giurisdizionale di un provvedimento d’aggiudicazione in rapporto all’esecuzione dell’appalto in cui i lavori siano ormai iniziati. 311 312 Capitolo IX 1.1. Premessa1 Il diritto amministrativo è un diritto giurisprudenziale: la sua origine lo prova inconfondibilmente, pur se il legislatore della novella l. 15/2005 sembra averlo dimenticato: basti, al riguardo, leggere l’art. 21–octies della l. 241/90, introdotto appunto dalla novella del 2005. Mai come nella vexata quaestio che è solo richiamata nella presente riflessione, il diritto amministrativo afferente agli appalti pubblici mostra tutta la sua natura pretoria. L’argomento dell’annullamento dell’aggiudicazione operato dal giudice amministrativo e dei consequenziali effetti giuridici nei riguardi del contratto d’appalto pubblico stipulato a valle della gara, sottende il particolare rapporto d’innesto esistente fra il procedimento amministrativo speciale e il diritto comune, quanto a dire fra la gara ad evidenza pubblica e l’esecuzione del contratto pubblico. 1.2. Rapporto verticistico fra norme Tale rapporto è una particolarissima forma che contiene una sostanza non solita nel mondo del diritto; infatti, a monte va evidenziato il contenuto dell’art. 2 del d.lgs. 163/06, in cui ai commi 3 e 4 è previsto: 3. Per quanto non espressamente previsto nel presente codice, le procedure di affidamento e le altre attività amministrative in materia di contratti pubblici si espletano nel rispetto delle disposizioni sul procedimento amministrativo di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni e integrazioni. 4. Per quanto non espressamente previsto nel presente codice, l’attività contrattuale dei soggetti di cui all’articolo 1 si svolge nel rispetto, altresì, delle disposizioni stabilite dal codice civile. 1. Per quanto qui di seguito scritto, vedi V. Capuzza, Effetti giuridici sul contratto d’appalto a sèguito dell’annullamento dell’aggiudicazione, in ANIEM, n. 2/2008, pp. 20 e ss. Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche 313 Finalmente, in materia di contrattualistica pubblica il Legislatore ha interpretato in via autentica il rapporto esistente fra le norme pubblicistiche e quelle civilistiche, confermando quanto finora parte della dottrina2 aveva teorizzato con il principio di specialità fra il codice degli appalti, la l. 241/90 (per le procedure di affidamento e le altre attività amministrative) ed il codice civile (per l’attività contrattuale). Dunque, un rapporto verticalmente inteso, di cerchi concentrici. 1.3. Visione orizzontale: gli effetti giuridici fra gara ed esecuzione del contratto d’appalto pubblico Nell’ambito di queste due specialità, sempre in materia di contrattualistica pubblica viene a formarsi la problematica degli effetti giuridici trasmigranti, in forza dell’innesto, fra i due momenti (gara ed esecuzione) intesi orizzontalmente. Già nel Codice De Lise il Legislatore aveva tentato di arginare il verificarsi della problematica, introducendo, ad esempio, l’art. 79, comma 5. La ratio dell’introduzione della procedura di comunicazione ex officio si basa fondamentalmente sì sul rispetto dei principi che regolano l’agire della pubblica amministrazione, secondo il Trattato dell’UE, la Costituzione Italiana e l’art. 1 della l. 241/90 e s.m.i., ma va pur detto che tale previsione consente sia al concorrente risultato non aggiudicatario sia all’escluso di poter esperire le impugnazioni eventuali con decorrenza dei termini anticipata per ciascuno di essi e quindi di permettere, al contempo, all’amministrazione che abbia escluso o aggiudicato di non veder gli effetti di eventuali ricorsi giurisdizionali a distanza di tempo, durante la piena fase dell’esecuzione del contratto3. 2. Cfr. V. Capuzza, Il principio di specialità, op. cit. 3. Nelle osservazioni recentemente inviate dall’UE al Governo Italiano relativamente alle “Disposizioni del Codice che sollevano problemi di compatibilità con le direttive appalti pubblici”, a proposito dell’art. 79, ultimo comma del Codice viene osservato che: «Tale disposizione non include tra le informazioni che la stazione appaltante è tenuta a comunicare, la decisione di non aggiudicare l’appalto. […] La disposizione sopra citata del Codice non appare conforme ai suddetti articoli delle direttive appalti [art. 41, par. 1 della direttiva 2004/18/CE e art. 49, par. 1 della direttiva 2004/17/CE] nella misura in cui essa non assicura la comunicazione 314 Capitolo IX In relazione agli effetti dell’annullamento giurisdizionale di un provvedimento d’aggiudicazione in rapporto all’esecuzione dell’appalto in cui i lavori siano ormai iniziati, sembra opportuno formulare a margine qualche considerazione, a mò di glossa. Si tratta di un vasto problema che apre lo scenario a fenomeni giuridici di sistema ancora più difficili, basati unicamente su termini interpretativi e in parte richiamati anche da norme positive, come ad esempio avvenne con il comma 12–quater dell’art. 5 del Decreto competitività (di cui alla legge 80/2005), che operava un rinvio all’art. 14, comma 2 del d.lgs. 190/2002, ora abrogato e sostituito dall’art. 246 del Codice4. 1.4. Linee interpretative Il quadro di riferimento5 si risolve in ultima analisi nell’accertamento o nella declaratoria giudiziale della inefficacia o della nullità o dell’annullamento civilistico del contratto per l’affidamento dei lavori, a séguito dell’annullamento giurisdizionale in sede amministrativa del provvedimento d’aggiudicazione e/o di altri atti di gara. Il Consiglio di Stato, Sez. V, Decisione del 28 maggio 2004, n. 3465, aveva chiamato “complessa” la questione: esistono attualmente quattro indirizzi giurisprudenziali. 1.4.1. Nullità In particolare, la prima tesi afferma la nullità con riferimento all’art. 1418 c.c., essendo stato il contratto stipulato contrariamendi tutte le decisioni prese, e segnatamente dei motivi della decisione di rinunciare all’aggiudicazione dell’appalto». 4. Il d.lgs. 190/2002, emanato a sèguito della l. 443/2001, è stato abrogato dal d.lgs. 163/06, il quale al Capo IV, Tit. III, Parte II, detta la disciplina relativa ai “Lavori relativi a infrastrutture strategiche e insediamenti produttivi”. 5. Sul tema, cfr. A. Cancrini, Risoluzione del contratto di appalto e giudizi arbitrali dopo la l. 80/2005, in Urbanistica e Appalti, 9/2005, pp. 997 e ss.; V. Capuzza, Le cause di esclusione dalle gare d’appalto pubblico, collana Quaderni IGOP, n. 01, 2005, pp. 2 e ss.; A. Cancrini, P. Piselli, V. Capuzza, La nuova legge degli appalti pubblici. Commentario al codice dei contratti pubblici, IGOP, V, 2008, sub artt. 38, 79 e 140. Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche 315 te a norme imperative di legge (Cass. 193/2002; Cons. di Stato, Sez. V, n. 1218/2003; Id., Sez. V, 13/11/02, n. 6281; Id., TAR Calabria, 26/11/02, n. 2031; TAR Campania, Napoli, 29/5/02, n. 3177). Tale nullità è qualificabile anche come nullità assoluta del vincolo negoziale, con conseguente soggezione dello stesso vincolo al regime sancito dagli artt. 1421 e ss. c.c. (cd. nullità virtuale o extratestuale). Per quanto riguarda la nullità giova richiamare il contenuto dell’art. 1418 del codice civile, che indica le cause di nullità del contratto: Il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente. Producono nullità del contratto la mancanza di uno dei requisiti indicati dall’articolo 1325, l’illiceità della causa, l’illiceità dei motivi nel caso indicato dall’articolo 1345 e la mancanza nell’oggetto dei requisiti stabiliti dall’articolo 1346. Il contratto è altresì nullo negli altri casi stabiliti dalla legge. Proprio in relazione alla causa di nullità per contrarietà a norme imperative si suole distinguere la c.d. nullità testuale, che si configura quando la norma imperativa è espressa dal dettato positivo della legge, e la c.d. nullità virtuale — su richiamata –, la quale si ha quando la contrarietà a norma imperativa è ricavabile e deducibile dal sistema ordinamentale stesso. Un esempio in materia di contratti pubblici della nullità testuale potrebbe essere il disposto del comma 1 dell’art. 38 del Codice, che detta i requisiti generali (non più denominati solamente come cause di esclusione dalle gare); in esso viene dettata una norma imperativa: oltre a stabilire che i soggetti i quali si trovano in una delle situazioni espresse nelle lettere successive sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, il comma 1 sancisce che essi non «possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti». Analoga nullità si avrebbe se fosse stipulato un contratto pubblico in violazione del disposto contenuto nell’art. 10, comma 2 del d.p.r. 252/1998 in materia di antimafia, fermo però restando quanto dispo- 316 Capitolo IX sto — del tutto illogicamente e infondatamente6 — dal successivo art. 11, commi 2 e 3. Importante è richiamare le caratteristiche della nullità: 1) il contratto nullo non produce gli effetti; 2) ai sensi dell’art. 1421 c.c. la nullità può essere rilevabile d’ufficio dal giudice ed è assoluta, in quanto «può essere fatta valere da chiunque vi ha interesse; dunque, in materia di appalti pubblici può essere fatta valere anche dall’eventuale vincitore in sede di giurisdizione amministrativa, in cui il giudice amministrativo abbia annullato l’aggiudicazione della gara; 3) in base all’art. 1422 c.c. «L’azione per far dichiarare la nullità non è soggetta a prescrizione, salvi gli effetti dell’usucapione e della prescrizione delle azioni di ripetizione»; in tal senso la nullità è insanabile; 4) essa è altresì insanabile anche perché non ammette la convalida (come invece può avvenire per l’annullamento civilistico); 5) la sentenza giudiziale è di natura dichiarativa. Fra le parti contrattuali, come conseguenza del fatto che il contratto nullo è improduttivo di effetti, la prestazione del contratto già eseguita sembra doversi considerare — se ne ricorrono i presupposti fissati nella norma — come indebito oggettivo ai sensi dell’art. 2033 c.c.: Chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato. Ha inoltre diritto ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda. Anche nei confronti di terzi, la nullità opera allo stesso modo. 1.4.2. Annullabilità civilistica Tornando alla questione qui in esame, la seconda tesi giurisprudenziale sostiene che il contratto sarebbe annullabile ex art. 1441 c.c. 6. Sul tema cfr. V. Capuzza, Considerazioni di diritto penale nella materia degli appalti pubblici alla luce del d.lgs. 163/07, in Rassegna dell’Arma dei Carabinieri, n. 2/2007; V. Capuzza, Figure di procedura penale per gli appalti pubblici, in «Rivista Amministrativa della Repubblica Italiana», 2007. Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche 317 (Cass.11247/2002; Id., 17/11/2000, n. 14901; Id. 28/3/1996, n. 2842; Consiglio di Stato, Sez. VI, 1/2/2002, n. 570; TAR Puglia, Lecce, 28/2/2001, n. 746; TAR Lombardia, Brescia, 9/5/2002, n. 823; TAR Lombardia, Milano, 23/12/1999, n. 5049; TAR Lombardia, Milano, 11/12/00, n. 7702; TAR Campania, Napoli, 20/10/00, n. 3890). Tale linea interpretativa, però, nelle conseguenze esplica la propria limitatezza: «L’annullamento del contratto può essere domandato solo dalla parte nel cui interesse è stabilito dalla legge» (art. 1441, comma 1 c.c.). Dunque, nessuna effettiva garanzia sussisterebbe in capo all’impresa destinataria del giudicato amministrativo ad essa favorevole. Occorre un ulteriore e breve approfondimento del tema dell’annullamento civilistico. L’annullabilità, le cui cause sono disciplinate in particolare negli artt. 1425 e 1427 del codice civile, ha caratteri ed effetti diversi da quelli della nullità. In particolare: 1) il contratto comunque dispiega i suoi effetti fino a quando viene accolta dal giudice l’azione di annullamento del contratto stesso; 2) è sempre necessaria l’azione della parte contrattuale per la sentenza del giudice (che in tal caso sarà di natura costitutiva); 3) ai sensi dell’art. 1442 c.c.: L’azione di annullamento si prescrive in cinque anni. Quando l’annullabilità dipende da vizio del consenso o da incapacità legale, il termine decorre dal giorno in cui è cessata la violenza, è stato scoperto l’errore [pertanto, dal giudicato amministrativo che abbia annullato amministrativamente per vizi di legittimità il provvedimento d’aggiudicazione della gara. n.d.a.] o il dolo, è cessato lo stato d’interdizione o d’inabilitazione, ovvero il minore ha raggiunto la maggiore età. Negli altri casi il termine decorre dal giorno della conclusione del contratto. Va precisato che nel codice civile, all’art. 1444, è dettata la specifica disciplina della convalida espressa o tacita del contratto annullabile; così è infatti stabilito dalla legge: Il contratto annullabile può essere convalidato dal contraente al quale spetta l’azione di annullamento, mediante un atto che contenga la menzione del 318 Capitolo IX contratto e del motivo di annullabilità, e la dichiarazione che s’intende convalidarlo. Il contratto è pure convalidato, se il contraente al quale spettava l’azione di annullamento vi ha dato volontariamente esecuzione conoscendo il motivo di annullabilità. L’annullabilità del contratto ha come effetto, valevole sia per le parti contraenti sia per i terzi, quello di riportare con efficacia retroattiva (ex tunc) la situazione che esisteva prima della stipula del contratto annullato: dunque, è applicabile anche in tal caso l’art. 2033 c.c. Infine, va precisato che oltre alla restitutio in integrum di quanto eseguito, la nullità e l’annullamento civilistico hanno in comune anche l’effetto della responsabilità del contraente che non è stato diligente nell’individuazione delle cause di invalidità del contratto. 1.4.3. Inefficacia Il terzo indirizzo giurisprudenziale si basa sull’affermazione secondo la quale l’annullamento dell’aggiudicazione comporterebbe un “effetto claudicante automatico” (cd. caducazione automatica ad effetto domino). Infine, la quarta linea ermeneutica, seguìta dal Consiglio di Stato nella importante Decisione del 28 maggio 2004, n. 3465, sostiene che l’annullamento dell’aggiudicazione comporti l’inefficacia del vincolo negoziale: è la cd. caducazione automatica successiva per mancanza di effetti del contratto, ma fatti salvi i diritti acquisiti da terzi in buona fede. L’inefficacia comporta che un soggetto non sia legittimato a porre in essere un contratto7. L’inefficacia in senso stretto non è categoria prevista dalle norme positive e tale termine designa un vizio che «può trovarsi in particolari presupposti necessari per l’efficacia dell’atto»”, quindi «non è detto che lo strumento in sé buono sia atto a produrre gli effetti voluti»8. 7. 8. Cfr. A. Trabucchi, Istituzioni di diritto civile, ed. XXXVIII, p. 184. A. Trabucchi, Istituzioni, op. cit., p. 182. Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche 319 Così il Consiglio di Stato nella Decisione n. 3465/2004 indica le caratteristiche dell’inefficacia: La tesi dell’inefficacia è stata recentemente sostenuta dalla decisione Cons. Stato 6666/2003, secondo cui la caducazione, in sede giurisdizionale o amministrativa, di atti della fase della formazione, attraverso i quali si è formata in concreto la volontà contrattuale dell’Amministrazione, dà luogo alla conseguenza di privare l’Amministrazione stessa, con efficacia ex tunc, della legittimazione a negoziare; in sostanza, l’organo amministrativo che ha stipulato il contratto, una volta che viene a cadere, con effetto ex tunc, uno degli atti del procedimento costitutivo della volontà dell’Amministrazione, come la deliberazione di contrattare, il bando o l’aggiudicazione, si trova nella condizione di aver stipulato privo della legittimazione che gli è stata conferita dai precedenti atti amministrativi (cfr. Cass., 20 novembre 1985, n. 5712): «la categoria che viene in gioco in tal caso non è l’annullabilità, ma l’inefficacia. E, infatti, nei contratti ad evidenza pubblica gli atti della serie pubblicistica e quelli della serie privatistica sono indipendenti quanto alla validità; i primi condizionano, però, l’efficacia dei secondi, di modo che il contratto diviene ab origine inefficace se uno degli atti del procedimento viene meno per una qualsiasi causa (cfr. Cass., 5 aprile 1976, n. 1197)». Secondo tale impostazione l’inefficacia sopravvenuta derivante dall’annullamento degli atti di gara ovvero del provvedimento di aggiudicazione (in sede giurisdizionale, amministrativa o in via di autotutela) è relativa e può essere fatta valere solo dalla parte che abbia ottenuto l’annullamento dell’aggiudicazione. Per il Collegio della decisione riportata «più problematica appare, invece, la posizione dell’Amministrazione. Di regola il contratto rimane vincolante inter partes, nonostante l’intervenuto annullamento dell’aggiudicazione in sede giurisdizionale, fino all’adozione di apposite iniziative da parte degli interessati. Tuttavia, appare meritevole di protezione anche l’interesse dell’Amministrazione a rimuovere gli effetti di situazioni ormai riconosciute illegittime. In tale eventualità, tuttavia, la P.A. può determinare l’inefficacia del contratto, ma attraverso il procedimento di annullamento degli atti di gara in via di autotutela, applicando i principi garantistici in materia (avviso di avvio del procedimento; congrua motivazione; adeguata valutazione dell’interesse pubblico e dell’affidamento del contraente). Per quanto, più in particolare, riguarda la tutela dei soggetti che abbiano ottenuto ragione dinanzi al giudice amministrativo tramite l’annullamento dell’atto di aggiudicazione, nei casi in cui il contratto sia già stato concluso, ritiene il Collegio preferibile la posizione dottrinale orientata nel senso dell’applica- 320 Capitolo IX zione della normativa dettata dal codice civile a proposito delle associazioni e fondazioni, in quanto esprimente principi generali, applicabili anche alla Pubblica amministrazione, quale persona giuridica ex art. 11 c.c., soggetta, quindi, oltre che alle norme di diritto pubblico, anche alle norme civilistiche essenziali che disciplinano le persone giuridiche (cfr., in tal senso, anche se nell’ambito della teoria della inefficacia del contratto per difetto di un presupposto o di una condizione di efficacia del contratto, Cons. St., Sez. VI, n. 2992 del 2003 cit.). Secondo tali principi, l’annullamento della deliberazione formativa della volontà contrattuale dell’ente “non pregiudica i diritti acquistati dai terzi di buona fede in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione medesima” (art. 23 e 25 c.c.). Questo criterio, invero, consente di tutelare la posizione del contraente di buona fede, ma allo stesso tempo consente di dare pieno riconoscimento alle ragioni di colui che abbia ottenuto l’annullamento di atti della fase di formazione (e segnatamente, dell’aggiudicazione) laddove possa essere esclusa la buona fede del contraente, travolgendo in tal caso detto annullamento la fattispecie contrattuale nella sua interezza». Tutto ciò detto, con riferimento alla problematica in oggetto del presente lavoro, sull’ultima linea ermeneutica incentrata nell’inefficacia del contratto a valle di un’aggiudicazione annullata in via amministrativa, occorre fermare l’attenzione, specie nei corollari logici seguiti nella Decisione del Consiglio di Stato n. 3465/04. 1.5. La Decisione del Consiglio di Stato n. 3465/2004 e l’art. 246 del Codice: un’inversione di scelta Per sostenere tale ultima linea interpretativa, che appare la più completa ed anche in concreto la più equa, il Consiglio di Stato ha ripercorso in modo analitico proprio l’art. 14 del d.lgs. 190/2002, cioè l’articolo richiamato dall’art. 5, comma 12–quater, ultimo periodo, della l. 80/2005. Il Consiglio di Stato, in particolare, a favore della tesi dell’inefficacia sopravvenuta ha considerato che se il legislatore, in applicazione di una facoltà riconosciuta dalla direttiva 89/665 (art. 2, par. 5 e 6) — che postula il principio in forza del quale, di Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche 321 regola, la stipulazione del contratto non preclude affatto la reintegrazione in forma specifica, anche se gli Stati membri potrebbero introdurre norme interne con tale contenuto — ha avvertito la necessità di stabilire una apposita norma derogatoria di tale principio in un particolare settore, allora significa che, in linea generale, la stipulazione del contratto non è di ostacolo alla tutela in forma specifica della parte interessata, assicurata attraverso la verificazione del contratto e la conseguente possibilità di subentro. D’altronde, il riferimento del legislatore delegato (anche se per escluderla) alla risoluzione del contratto conseguente per annullamento della procedura sembra far propendere per il rifiuto della categoria dell’invalidità e per l’adesione a quella della perdita di efficacia del contratto. Il quadro complessivo rimane con il Codice: basti far riferimento all’art. 140 comma 4 a all’art. 246, commi 4 e 5. Ma non si tratta di una mera trasposizione nel Codice delle norme già esistenti: può sfuggire la impercettibile ma consistente variazione normativa operata nel maremagnum del d.lgs. 163/06. Infatti, nel comma 4 dell’art. 246 (invero esteso dal comma 5 anche alle controversie relative alle procedure di cui all’articolo 140) stabilisce che: La sospensione o l’annullamento dell’affidamento non comporta la caducazione del contratto già stipulato, e il risarcimento del danno eventualmente dovuto avviene solo per equivalente. Come è possibile notare, dal legislatore non viene più esclusa la “risoluzione” (id est: invalidità), ma la “caducazione” (id est: inefficacia). Come effetto logico conseguente sembra così da invertito sul piano ermeneutico il ragionamento percorso efficacemente dal Consiglio di Stato nella Decisione n. 3465/2004: la norma attualmente rifiuta la categoria della perdita dell’efficacia del contratto stipulato, a favore della categoria tradizionale dell’invalidità. 322 Capitolo IX 1.6. La Sentenza della Cassazione n. 27169/2007 e l’indifferenza al problema posto dal Codice dei contratti pubblici Si doveva attendere pertanto, prima o poi, una nuova sentenza del giudice ordinario: la Suprema Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, non ha mancato l’appuntamento in tal senso; però lo ha fatto solo apparentemente, emanando la Sentenza n. 27169 del 28 dicembre 2007. La Sentenza, invero, nasce dal problema annoso della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, anche alla recente luce dell’art. 244 del Codice De Lise. Dunque, la questione lì nasce non sulle posizioni interpretative relative al contratto stipulato a valle di un atto d’aggiudicazione valutato illegittimo, bensì sulla competenza del giudice ordinario a giudicare in materia, invece che del giudice amministrativo in via esclusiva. Lo “spartiacque”, come lo definisce la Cassazione nella Sentenza de qua, fra le due giurisdizioni è rappresentato da un preciso momento che separa la gara dall’esecuzione del contratto, cioè quello della costituzione del rapporto giuridico di diritto comune tramite l’incontro delle volontà delle parti per la stipulazione del contratto. Simmetricamente a tale questione sta quella che qui si sta esaminando. Così la Cassazione: Sicché è proprio la costituzione di detto rapporto giuridico di diritto comune a divenire l’altro spartiacque fra le due giurisdizioni, quale primo atto appartenente a quella ordinaria, nel cui ambito rientra con la disciplina posta dagli art. 1321 e segg. cod. civ.; e che perciò, comprende non soltanto quella positiva sui requisiti (art. 1325 e segg.) e gli effetti (art. 1372 e ss.), ma anche l’intero spettro delle patologie ed inefficacie negoziali, siano esse inerenti alla struttura del contratto, siano esse estranee e/o alla stessa sopravvenute: come si verifica appunto nelle fattispecie prospettate dalla sentenza impugnata in cui viene a mancare uno degli atti del procedimento costitutivo della volontà dell’amministrazione (deliberazione di contrarre, bando, aggiudicazione). E trova giustificazione il principio da decenni enunciato da dottrina e giurisprudenza, che seppure gli atti della serie pubblicistica e quelli della serie privatistica sono indipendenti quanto alla validità i primi condizionano l’efficacia dei secondi, di modo che il Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche 323 contratto diviene inefficace se uno degli atti del procedimento viene meno per una qualsiasi causa (Cass. 5 aprile 1976 n. 1197 e succ.). Nella seconda parte, la Sentenza della Cassazione affronta da vicino, anche se per accidens rispetto al vero oggetto della questione che è appunto la competenza giurisdizionale, la problematica relativa alle “variegate posizioni” — così le definisce — della giurisprudenza in ordine al rapporto fra contratto a valle di provvedimento amministrativo annullato, e ripercorre il quadro di sintesi: nullità assoluta, mera annullabilità civilistica; caducazione automatica per il venir meno, con efficacia ex tunc, del requisito della legittimazione a contrarre o di uno dei presupposti di efficacia del negozio: Cons. St. V, 41/2007; IV, 6666/2 003; VI, 2992/2 003; Cass. 12629/2006), oppure alla inefficacia (sopravvenuta) del contratto, a sua volta giustificata in base ad istituti diversi (Cons. St. VI, 4295/2006; V, 6759/2005; 3463/2004; Cass. 6450/2004), che ora comportano il travolgimento dei diritti acquisiti dai terzi per effetto dell’atto negoziale, ora consentono la salvezza di quelli acquistati in buona fede (Cfr. Cons. St. V,1591/2006; 5194/2005; 7346/2004; 3465/2004). E qui si innesta una nervatura. Inquadriamola. La Cassazione nella Sentenza n. 27169/07 riunisce le “variegate posizioni” ermeneutiche con il seguente argomento, che riecheggia del paradigma dell’elaborazione logico–deduttiva del Consiglio di Stato nella citata Decisione n. 3465/2004: tutte le interpretazioni plasmate dai giudici in materia hanno tutte quale presupposto comune una vicenda propria dell’atto negoziale rientrante nel sistema delle inefficacie–invalidità (significativamente) disciplinate dal codice civile: in forza delle quali non se ne producono gli effetti perseguiti, o questi vengono a cessare. Anche nell’opzione prescelta dalla decisione impugnata, la condizione di inefficacia e l’effetto costitutivo della caducazione del contratto (perciò stesso non assimilabile ad un mero atto di ritiro) non discendono dalla statuizione di annullamento adottata dal giudice amministrativo (che pur ne costituisce il presupposto necessario), ma derivano direttamente dalla legge (cosi come 324 Capitolo IX avviene per le patologie del contratto dovute a peculiari vizi genetici, e riconosce lo stesso Consiglio di Stato invocando i principi civilistici sui negozi collegati). La quale, d’altra parte, ben può escluderla come ha fatto l’art. 14 d.lgs. 190 /2002 per le procedure di progettazione, approvazione e realizzazione delle infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale: disponendo che l’annullamento giurisdizionale della aggiudicazione di prestazioni pertinenti alle infrastrutture non determina la risoluzione del contratto eventualmente già stipulato dai soggetti aggiudicatori; e che in tal caso il risarcimento degli interessi o diritti lesi avviene per equivalente, con esclusione della reintegrazione in forma specifica. Il riferimento alla possibilità che il Legislatore ha di escludere la caducazione (rectius, inefficacia) del contratto, suona di vecchio: non s’avvede la Cassazione che il Legislatore ha sì operato quanto in rebus ipsis ovviamente è in suo potere, ma che lo ha fatto di recente nel d.lgs. 163/06, art. 246 comma 4, in cui rifiuta la categoria proprio della caducazione a favore (implicito e perciò deducibile chiaramente in quanto tertium non datur) dell’invalidità. D’altra parte, l’aver operato (il Codice) una inversione dei termini proprio quando il Consiglio di Stato aveva interpretato la stessa norma nel senso su esposto, fa chiaramente propendere per una diversa scelta del Legislatore: come effetto di una mutazione della vox legis, la tendenza va a favore di una opposta ratio legis rispetto a quella seguita dal Consiglio di Stato nel 2004 per fondare la teoria dell’inefficacia. E che ciò non valga più solo per gli appalti relativi alle grandi infrastrutture ed agli insediamenti produttivi lo attesta il comma 5 dell’art. 246 del Codice, ove è stata estesa la linea a favore della categoria dell’invalidità del contratto stipulato a valle, anche per tutti i contratti pubblici (art. 140 del Codice). Così, il Legislatore del Codice dei contratti pubblici aveva operato — anche qui — proprio l’opposto di quanto la Cassazione ha di recente affermato nella conduzione — pur giusta e rigorosa — della sua motivazione nella sentenza del 28 dicembre scorso9. 9. Però, a margine, è da dirsi che l’inversione legale di fatto operata dal Codice De Lise rispetto alla Decisione n. 3465/04 del Consiglio di Stato è intervenuta in seguito alla pronuncia dei giudici di Palazzo Spada. Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche 325 La Cassazione anche conclusivamente mostra di non avvedersi dell’intervento a favore della tesi dell’invalidità del contratto, che in un certo senso avrebbe ulteriormente confermato e rinforzato la propria competenza giurisdizionale; infatti, la Suprema Corte chiaramente conclude che: spetta al giudice ordinario la giurisdizione sulla domanda volta ad ottenere tanto la dichiarazione di nullità quanto quella di inefficacia o 1’annullamento del contratto di appalto, a seguito dell’annullamento della delibera di scelta dell’altro contraente, adottata all’esito di una procedura ad evidenza pubblica: posto che in ciascuno di questi casi la controversia, non ha ad oggetto i provvedimenti riguardanti la scelta suddetta, ma il successivo rapporto di esecuzione che si concreta nella stipulazione del contratto di appalto, del quale i soggetti interessati chiedono di accertare un aspetto patologico, al fine di impedirne 1’adempimento; che le situazioni giuridiche soggettive delle quali si chiede l’accertamento negativo hanno consistenza di diritti soggettivi pieni; e che il giudice è comunque chiamato a verificare la conformità alla normativa positiva delle regole attraverso cui l’atto negoziale è sorto, ovvero è destinato a produrre i suoi effetti tipici. Questo risultato non è contraddetto dalla recente decisione 24658/2007 delle Sezioni Unite, che in una controversia in cui il giudice amministrativo aveva annullato l’aggiudicazione di un appalto relativo alla progettazione di un complesso polifunzionale, ha recepito la tesi della caducazione automatica del successivo contratto stipulato con l’impresa vincitrice della gara in quanto nella fattispecie esaminata, la sentenza del Consiglio di Stato gravata dal ricorso, si era limitata ad annullare il provvedimento di aggiudicazione senza emettere alcuna statuizione in ordine alla successiva vicenda contrattuale. Ab ovo non appare un problema di competenza fra giurisdizioni: quello che nella Sentenza n. 27169/2007 della Cassazione doveva essere detto — anche se per accidens — è stato taciuto mediante la conferma di una posizione non più suffragata dalla littera legis: la tesi della caducazione automatica è stata respinta dal Legislatore nel Codice degli appalti, il quale, essendo legge, travalica i limiti di conoscibilità che sono da non confondere con i limiti di cognizione giurisdizionale. Da ultimo, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato Consiglio di Stato, 30 luglio 2008, n. 9, nell’aderire alla tesi della competenza giuri- 326 Capitolo IX sdizionale seguito dalla Corte di cassazione nel dicembre 2007, ha però precisato altri importanti aspetti consequenziali nel giruidizio di ottemperanza al giudicato amministrativo. Così i giudici di Palazzo Spada: 6) l’Adunanza Plenaria ritiene di non doversi discostare dal delineato orientamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, secondo cui sussistente la giurisdizione civile sulla domanda volta ad ottenere, con efficacia di giudicato, l’accertamento dell’inefficacia del contratto, la cui aggiudicazione sia stata annullata dal giudice amministrativo. Nel vigente sistema, infatti, non sussiste una espressa previsione normativa di carattere generale sulla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in ordine alle controversie riguardanti la fase dell’esecuzione del contratto d’appalto: pertanto, nel caso di una specifica domanda intentata da chi abbia chiesto ed ottenuto dal giudice amministrativo l’annullamento della aggiudicazione, ovvero in presenza di una domanda di una delle parti del contratto pubblico d’appalto stipulato medio tempore, sussiste la giurisdizione civile quando si intendano far accertare — con efficacia di giudicato — le conseguenze che la medesima sentenza ha prodotto sul contratto. Resta in tal modo estranea alla cognizione del giudice amministrativo la domanda di reintegrazione in forma specifica, pure prevista insieme al risarcimento per equivalente dall’articolo 35 del d.lgs. 80/1998, come sostituito dall’articolo 7 della legge 205/2000: infatti, posto che nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo fissata dall’art. 244 del d.lgs. 163/2006 rientrano le sole controversie inerenti le procedure di affidamento di lavori, servizi e forniture, con esclusione di ogni domanda che concerna la fase dell’esecuzione dei relativi contratti, alla richiesta di annullamento dell’aggiudicazione può conseguire solo il risarcimento del danno per equivalente, ma non anche la reintegrazione in forma specifica che, incidendo necessariamente sul contratto e quindi sulla fase negoziale e sui diritti soggettivi, esula dai poteri giurisdizionali amministrativi. 6.1) tali conclusioni tuttavia non comportano sul piano del sistema della giustizia amministrativa — con specifico riferimento si principi sanciti dagli articoli 24 e 113 della Costituzione — una diminuzione della tutela del soggetto che abbia ottenuto l’annullamento giurisdizionale dell’aggiudicazione. 6.1.1) innanzitutto, la sentenza di annullamento della aggiudicazione determina in capo all’amministrazione soccombente l’obbligo di conformarsi alle relative statuizioni, nell’ambito degli ulteriori provvedimenti che ri- Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche 327 mangono salvi ai sensi dell’art. 26 della legge 1034/1971: in altri termini, l’annullamento dell’aggiudicazione è costitutivo di un vincolo permanente e puntuale sulla successiva attività dell’amministrazione (Cons. Stato, Ad. Plen. 19 marzo 1984, n. 6), il cui contenuto non può prescindere dall’effetto caducatorio del contratto stipulato. In sede di esecuzione della sentenza, pertanto, l’amministrazione non può non rilevare la sopravvenuta caducazione del contratto conseguente all’annullamento dell’aggiudicazione (secondo quanto, del resto, ribadito dalla Corte di Cassazione, sez. I, 15 aprile 2008, n. 9906), similmente a quanto avviene nel caso di annullamento di una graduatoria di un pubblico concorso che comporta la caducazione degli effetti del contratto di lavoro su di essa fondato, ovvero di annullamento di una concessione di un bene o di un servizio pubblico che comporta la caducazione degli effetti dell’accordo accessivo. Anche nell’emanare i provveedimenti ulteriori che conseguono all’effetto caducatorio dell’annullamento dell’aggiudicazione della gara, l’amministrazione deve tenere conto dei principi enunciati nella sentenza di annullamento e delle conseguenze giuridiche determinate dal suo contenuto ed orientare conseguentemente la sua ulteriore azione. Rispetto a tali provvedimenti, il sindacato del giudice amministrativo è pieno e completo, investendo situazioni che restano esclusivamente nel campo del diritto pubblico e che non si intersecano mai con il piano dei diritti soggettivi sorti dal vincolo contrattuale imperniato sull’aggiudicazione annullata. 6.1.2) ove poi l’amministrazione non si conformi puntualmente ai principi contenuti nella sentenza oppure non constati le conseguenze giuridiche che da essa discendono, ovvero ancora nel caso di successiva sua inerzia, l’interessato può instaurare il giudizio di ottemperanza, nel quale il giudice amministrativo — nell’esercizio della sua giurisdizione di merito — ben può sindacare in modo pieno e completo (e satisfattivo per il ricorrente) l’attività posta in essere dall’amministrazione o anche il suo comportamento omissivo, adottando tutte le misure (direttamente o per il tramite di un commissario) necessarie ed opportune per dare esatta ed integrale esecuzione alla sentenza e per consentire una corretta riedizione del potere amministrativo. In tal modo, il giudice amministrativo può realizzare il contenuto conformativo della sentenza, di per sé riferibile alla fase pubblicistica successiva all’annullamento ed emanare tutti i provvedimenti idonei ad assicurare al ricorrente vittorioso il bene della vita effettivamente perseguito attraverso 328 Capitolo IX il giudizio di legittimità e reintegrarlo pienamente nella situazione concreta che avrebbe dovuto già conseguire qualora l’amministrazione non avesse adottato l’atto di aggiudicazione illegittimo: ciò perché la funzione del giudice dell’ottemperanza è proprio quella di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto nascente dal giudicato, nell’esercizio della potestà di riformare l’atto illegittimo o sostituirlo, espressamente conferitagli dall’art. 26 della legge 1034/1971. 6.1.3) la separazione imposta dall’art. 103, co. 1, cost. tra il piano negoziale e quello procedimentale, se preclude ogni pronunzia da parte del giudice amministrativo sul regolamento dei rapporti con l’aggiudicatario connessi all’annullamento dell’atto illegittimo (Cass. SS. UU. 28 dicembre 2007, n. 27169), non incide in alcun modo sulla realizzazione in concreto dell’effetto conformativo sia da parte dell’amministrazione, nell’esecuzione spontanea del giudicato, sia da parte del giudice dell’ottemperanza, nell’eventuale fase dell’esecuzione. La sostituzione dell’aggiudicatario, quale “reintegrazione in forma specifica” del soggetto che ha ottenuto la statuizione di annullamento, appartiene, invero, agli ulteriori provvedimenti dell’amministrazione che rimangono comunque salvi dopo la pronunzia emanata nel giudizio di legittimità. Di questi provvedimenti, il giudice amministrativo conosce nella sede dell’ottemperanza perché appartengono alle condotte materiali e all’adeguamento della situazione di fatto a quella di diritto, che l’amministrazione è tenuta a realizzare nel dare esecuzione al giudicato e ripristinare le ragioni del ricorrente in conformità alle statuizioni dell’annullamento. Non è pertanto escluso che nel quadro della verifica della corretta conformazione alla sentenza da eseguire, il giudice amministrativo, per effetto dei suoi ampi poteri derivanti proprio dall’esercizio della giurisdizione di merito, possa effettivamente reintegrare in forma specifica la parte vittoriosa nei diritti connessi al giudicato e quindi, eventualmente, nella sua posizione di aggiudicatario della gara, in luogo del contraente nei cui confronti l’aggiudicazione è stata impugnata. Un ultimo aspetto va considerato. La seconda parte del comma 4 dell’art. 246 del Codice stabilisce che, in caso di sospensione o l’annullamento dell’affidamento (per cui non vi è la caducazione del contratto già stipulato), “il risarcimento del danno eventualmente dovuto avviene solo per equivalente”. Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche 329 Secondo la divisione delle forme del risarcimento, la forma equivalente corrisponde ad una percentuale monetaria stabilita dal giudice da corrispondere al ricorrente vincitore; la forma specifica si concretizzerebbe nel subentro del nuovo aggiudicatario al contratto d’appalto in esecuzione. Tale portata dell’art. 246 sembrerebbe vanificare tutto quanto fino ad ora esaminato, ma che tale nervatura in verità non sussiste lo dimostra proprio il fatto che ancora oggi tale problematica giuridica è vivissima. Quale è il motivo? In ambito UE è stata emanata la c.d. Direttiva ricorsi (2007/66/ CE), in vigore nel nostro ordinamento dal 20 dicembre 2009. In essa, fra l’altro, viene ad essere previsto in modo espresso l’obbligo che il risarcimento avvenga sempre in forma specifica nei casi in cui l’annullamento della aggiudicazione sia determinato dal mancato rispetto delle norme di pubblicità previste per il bando ovvero nei casi in cui non venga rispettato il c.d. stand still, cioè il termine di trenta giorni prima dei quali non è possibile stipulare il contratto d’appalto: lo prescrive l’art. 11, comma 9 e comma 10: 9. Divenuta efficace l’aggiudicazione definitiva, e fatto salvo l’esercizio dei poteri di autotutela nei casi consentiti dalle norme vigenti, la stipulazione del contratto di appalto o di concessione ha luogo entro il termine di sessanta giorni, salvo diverso termine previsto nel bando o nell’invito ad offrire, ovvero l’ipotesi di differimento espressamente concordata con l’aggiudicatario. […]. 10. Il contratto non può comunque essere stipulato prima di trenta giorni dalla comunicazione ai controinteressati del provvedimento di aggiudicazione, ai sensi dell’articolo 79, salvo motivate ragioni di particolare urgenza che non consentono all’amministrazione di attendere il decorso del predetto termine. Infine, a proposito del risarcimento del danno in tale scenario di annullamento d’aggiudicazione, occorre segnalare un’importante pronuncia del Consiglio di Stato, sez. VI, 25 gennaio 2008, n. 213, in cui i giudici hanno anche esaminato la domanda risarcitoria per il danno derivante dalla mancata aggiudicazione della gara, precisando tali aspetti giuridici: 330 Capitolo IX Tale danno si pone in rapporto di diretta causalità con illegittima mancata esclusione dell’ATI aggiudicataria e, anche sotto il profilo soggettivo, non può che rilevarsi la sussistenza della colpa dell’amministrazione appellante, con conseguente reiezione del relativo motivo di appello proposto dall’Ente […]. Al riguardo, si ricorda che, secondo l’orientamento prevalente, al privato non è chiesto un particolare sforzo probatorio per dimostrare la colpa della p.a.: può invocare l’illegittimità del provvedimento quale presunzione (semplice) della colpa o anche allegare circostanze ulteriori, idonee a dimostrare che non si è trattato di un errore non scusabile. Spetterà a quel punto all’amministrazione dimostrare che si è trattato di un errore scusabile, configurabile in caso di contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di rilevante complessità del fatto, di influenza determinante di comportamenti di altri soggetti, di illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata (Cons. St., sez. VI, 3 giugno 2006 n. 3981; 9 marzo 2007 n. 1114). Nessuna di tali circostanze idonee ad integrare l’errore scusabile è presente nel caso di specie, dove anzi l’ente appellante si è reso responsabile quanto meno di una grave negligenza in sede di formazione degli atti di gara, oltre ad aver valutato in modo superficiale la sussistenza del requisito del fatturato in capo alla ATI aggiudicataria. Con riferimento al rapporto tra l’azione risarcitoria e gli effetti conformativi dell’annullamento dell’aggiudicazione si rileva il contratto stipulato con l’aggiudicataria è stato (certamente almeno in parte) eseguito e che per la parte già eseguita non può che residuare la tutela risarcitoria, secondo i criteri che saranno di seguito indicati ai sensi dell’art. 35, comma 2, del d.lgs. 80/1998. La possibilità di indicare i criteri del risarcimento consente di prescindere dall’accertamento dell’esatto stato di esecuzione del contratto. Tenuto conto che secondo la prevalente giurisprudenza la stipula del contratto non è di ostacolo al subentro del ricorrente in caso di annullamento dell’aggiudicazione (v., da ultimo, Cons. Stato, VI, n. 1523/2007 e Cass. Civ., I, n. 7481/2007) e non essendo rilevante in questa sede approfondire la questione del tipo di vizio da cui è affetto il contratto, né quella di giurisdizione connessa, spetterà alla ricorrente l. scegliere se procedere al subentro nel contratto, qualora questo non sia stato ancora interamente eseguito, o se optare per il risarcimento del danno anche in relazione alla parte del contratto non eseguita. Infatti, questa Sezione ha già affermato che spetta al ricorrente la scelta tra il conseguimento degli effetti della tutela demolitorio–conformativa e la tutela Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche 331 risarcitoria, nel caso, che qui ricorre, in cui comunque il bene della vita controverso è ormai conseguibile solo in parte (Cons. Stato, VI, 10 novembre 2004, n. 7256). Infatti, mentre l’interesse originario della impresa è indirizzato all’esecuzione dell’appalto per il suo complessivo valore, quale identificato dal bando di gara, la prestazione del servizio per un periodo di limitata durata introduce, invece, condizioni nuove negli aspetti economici ed organizzativi, che l’impresa può valutare con la più ampia sfera di autonomia con riguardo sia al diverso impegno di mezzi ed attrezzature, sia al mutato livello di remunerazione che ne può conseguire in relazione all’offerta presentata in sede di gara. Del resto, la possibilità di optare per il risarcimento per equivalente e di rifiutare l’esecuzione, ormai solo parziale, del giudicato deriva anche dall’applicazione del principio di carattere generale, desumibile dall’art. 1181 c.c., secondo cui il creditore può sempre rifiutare l’offerta di un adempimento parziale rispetto all’originaria configurazione del rapporto obbligatorio (ad un adempimento parziale è equiparabile la possibilità di consentire l’esecuzione solo parziale del contratto). Deve, quindi, riconoscersi la possibilità per la ricorrente l. di optare per il solo risarcimento del danno, rinunciando ad avvalersi degli effetti conformativi del giudicato, non essendo l’esecuzione del giudicato più possibile in modo pieno. Sulla base di tali ponderazioni questi sono i criteri, in base ai quali, l’ente appellante dovrà effettuare, entro il termine di 30 giorni dalla comunicazione della presente decisione, la proposta di pagamento alla società l. a titolo risarcitorio: a) nel caso in cui la società l. opti per il subentro nel contratto, dovrà essere corrisposta una somma pari al 10% del valore della parte di contratto già eseguita, calcolata in base all’offerta presentata in sede di gara dalla ricorrente; b) nel caso, invece, che la ricorrente scelga il solo risarcimento del danno, la suddetta percentuale del 10% dovrà essere rapportata all’intero valore del contratto, come determinato alla luce dell’offerta presentata in sede di gara dalla stessa ricorrente. La percentuale del 10% si giustifica quale utile presuntivo dell’utile economico che sarebbe derivato all’impresa dall’esecuzione dell’appalto (Cons. Stato, IV, 6 luglio 2004 n. 5012), non ricorrendo, in considerazione della 332 Capitolo IX peculiarità della fattispecie, i presupposti che hanno condotto questa Sezione in altre occasioni a ridurre tale percentuale (Cons. Stato, sez. VI, 9 novembre 2006 n. 6607). Tenuto conto del riconoscimento della percentuale “piena” del 10%, l’importo dovrà ritenersi comprensivo di ogni voce di danno (compresa la lamentata mancata acquisizione dei requisiti di qualificazione e di valutazione invocabili in successive gare) e già attualizzato alla data di pubblicazione della sentenza e su tale importo dovranno essere riconosciuti gli interessi legali da tale data di pubblicazione fino all’effettivo soddisfo. 2. La giurisdizione per la procedura ad evidenza pubblica degli appalti pubblici Oltre a quanto già espresso nel Capitolo I, paragrafo 4 di questo libro, è importante ai fini della presente trattazione il disposto dell’art. 244 del Codice De Lise, il quale, come è noto, dedica la Parte IV interamente al contenzioso (amministrativo e civile) relativo agli appalti pubblici di lavori, servizi e forniture10. L’art. 244 afferma: 1. sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie, ivi incluse quelle risarcitorie, relative a procedure di affidamento di lavori, servizi, forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale; 2. sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative ai provvedimenti sanzionatori emessi dall’Autorità; 3. sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative al divieto di rinnovo tacito dei contratti, quelle relative alla clausola di revisione del prezzo e al relativo provvedimento applicativo nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, nell’ipotesi 10. Cfr. per quanto segue A. Cancrini, La responsabilità nella fase dell’affidamento, in Codice dei contratti pubblici, a cura di Rota, Rusconi, UTET, 2007, II, pp. 1215–1239. Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche 333 di cui all’articolo 115, nonché quelle relative ai provvedimenti applicativi dell’adeguamento dei prezzi ai sensi dell’articolo 133 commi 3 e 4 Qualche considerazione. Nell’importante articolo qui richiamato vengono compiute previsioni sull’ambito giurisdizionale del giudice amministrativo: infatti, come è noto, la sua giurisdizione ha tre ambiti, quello della legittimità (le cui caratteristiche sono la generalità, la tutela degli interessi legittimi quali situazioni giuridiche soggettive attive, il potere di annullamento dell’atto amministrativo viziato, di conoscere le «questioni relative all’eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e gli altri diritti patrimoniali consequenziali», art. 7 della l. 1034/71 così come modificata dalla l. 205/2000), quello della giurisdizione esclusiva (è l’eccezione per mezzo della quale il giudice amministrativo conosce nelle tassative e determinate materia anche i diritti soggettivi: la deroga — art. 103 Cost. — è al riparto di competenze basato sulla natura delle situazioni giuridiche soggettive lese) e quello della giurisdizione di merito (sono i casi tassativi anch’essi di superamento del limite esterno concesso al giudice amministrativo, il quale così si porta a sindacare l’opportunità delle scelte dell’amministrazione). In riferimento alla giurisdizione esclusiva, l’art. 244, comma 1 riproduce l’art. 6 comma 1 della l. 205/00 (pur tenendo necessariamente conto dei recenti interventi giurisprudenziali secondo i quali le controversie in tema risarcitorio relative alla fase di affidamento entrino nella giurisdizione esclusiva, come corollario del principio più ampio affermato dalla Corte Costituzionale n. 204/04 e dalla Cass. Civ., sez. unite, ord. 6745/2005) e l’art. 4, comma 7 della legge Merloni. La previsione della seconda parte del comma 1 è di estrema importanza ed interviene come interpretazione autentica rispetto a fluttuanti linee ermeneutiche seguite ultimamente; in particolare, il Consiglio di Stato (sez. V, n. 7554/2004) ed il TAR Puglia–Bari (sez. I, n. 1899/2005) hanno interpretato fuori dalla giurisdizione del giudice amministrativo ex art. 6 della l. 205/00, le controversie eventualmente sorte in procedure d’appalto sotto soglia per le quali i soggetti pubblici siano tenuti 334 Capitolo IX ad osservare solo i principi del Trattato e non già le regole dell’evidenza pubblica. Così, infatti, il Consiglio di Stato, sez. V, n. 7554/2004: Occorre peraltro precisare che l’espressione “soggetto comunque tenuto nella scelta del contraente all’applicazione della normativa comunitaria” (o “delle norme comunitarie”) va strettamente collegata alle controversie relative alle procedure di affidamento di lavori, servizi o forniture, per cui la giurisdizione amministrativa presuppone una controversia su una procedura di evidenza pubblica specificamente disciplinata dalla normativa comunitaria, in analogia a quanto prescritto dall’ultima parte dell’art. 6, 1° comma. l. 205/2000 che si riferisce appunto «al rispetto dei procedimenti ad evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale». In altri termini, per radicare la giurisdizione amministrativa non è sufficiente che una Stazione appaltante sia tenuta, anche per gli appalti sotto soglia, ad osservare i principi fondamentali del Trattato CE (che in materia sono quelli della libera circolazione delle merci, della libertà e della libera prestazione dei servizi, nonché dei consequenziali principi di parità di trattamento, non discriminazione, di riconoscimento reciproco, di proporzionalità e trasparenza (secondo quanto precisato nel secondo “considerando” della Direttiva CEE n. 2004/18 del 31/3/2004, la cui attuazione è prevista per gli Stati membri per il 31/1/2006), occorrendo invece l’obbligo di osservare le specifiche procedure ad evidenza pubblica previste dalla normativa comunitaria. D’altra parte, a fronte dei menzionati principi fondamentali del Trattato CE la posizione della Stazione appaltante è di soggezione, mentre la correlativa posizione del soggetto privato che ne lamenta la violazione è di diritto soggettivo, non avendo la stazione appaltante alcun potere autoritativo di disciplina di dette situazioni soggettive. Per cui non vi è alcuna ragione per ritenere che la giurisdizione sulle relative controversie spetti al giudice amministrativo, anche in considerazione di quanto recentemente precisato dalla Corte costituzionale (sentenza n. 204 del 6/7/2004) che ha escluso che sia sufficiente, nel vigente assetto costituzionale, il generico coinvolgimento di un pubblico interesse nella controversia per poterla devolvere in via esclusiva al giudice amministrativo, dovendo essere particolari le materie da attribuire a tale giudice, nel senso che, in assenza della specifica previsione legislativa, contemplerebbero pur sempre, in quanto vi opera la pubblica amministrazione come autorità, la giurisdizione generale di legittimità. La formulazione del comma 1 attualmente risolve la questione prevedendo la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche 335 amministrativo tutte le controversie relative anche “all’applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica”. La ratio risiede nel fatto che anche per l’obbligo del rispetto dei soli principi del Trattato, comunque per quei tipi di appalto sotto soglia si devono seguire particolari procedure di scelta del contraente. In riferimento alle sanzioni emesse dall’Autorità, rispetto all’art. 4, comma 7 della legge Merloni, il termine per il ricorso è attualmente quello ordinario di 60 giorni e non più di 30, come era per la precedente normativa (il comma 2 dell’art. 244 non ha riportato l’indicazione dei 30 giorni): la riduzione dei termini, infatti, è solo di natura eccezionale, a pena della sua incostituzionalità. L’art. 6, comma 19 della l. 537/93 è nell’attuale comma 3. Utile appare richiamare qui ed in breve, il concetto di tacito rinnovo e di proroga dei contratti d’appalto. Occorre preliminarmente ripercorrere la variegata fisionomia normativa degli ultimi anni. Lì dove nei contratti d’appalto di servizi fosse stato previsto, accanto alla durata, che contratto stesso non sarebbe stato rinnovato o prorogato tacitamente, nulla vietava comunque la possibilità di rinnovare in modo espresso il contratto con il contraente, lasciando così all’Amministrazione un’ampia facoltà di rinnovare o prorogare il contratto una volta ravvisate motivate ragioni di convenienza ed opportunità. Da ciò scaturiva un’ulteriore interpretazione, sorta dalla lettura dell’art. 44 della legge 23 dicembre 1994 n. 724, (che ha sostituito l’art. 6 della legge 24 dicembre 1993 n. 537) da cui si evinceva la possibilità per legge di procedere ad un rinnovo o proroga espliciti del contratto con il medesimo contraente alla scadenza contrattuale, possibilità che peraltro trovava espressa e reiterata conferma anche in giurisprudenza (Cons. Stato, Sez. VI, 20 febbraio 1998, n. 371Cons. Stato, Sez. II, 30 aprile 1997, n. 978;) ed ancora ai sensi dell’art. 44 l. 23. 12. 1994, n. 724, che ha sostituito l’art. 6 della l. 24. 12. 1993, n. 537, è vietato il rinnovo tacito dei contratti delle Pubbliche 336 Capitolo IX amministrazioni per la fornitura di beni e servizi, essendo invece consentita la loro rinnovazione, entro tre mesi dalla scadenza, fermo restando l’accertamento della sussistenza di ragioni di convenienza e di pubblico interesse per la detta rinnovazione (TAR Sardegna, 19. 2. 1998, n. 138); e ancora, la facoltà di rinnovo degli appalti di servizi della p.a. deve essere vagliata “ex post”, in base ai presupposti esistenti e alla luce delle ragioni di convenienza e di pubblico interesse esistenti in quel momento, entro 3 mesi dalla relativa scadenza” (Cons. Stato, Sez. III, 4 marzo 1997, n. 269; Cons. Stato, Sez. III, 27 febbraio 1997, n. 2187). A tale indirizzo si contrappose un’altra linea ermeneutica elaborata dal Consiglio di Stato: in particolare, il Consiglio di Stato con la sentenza n. 921/2003 del 19/2/2003 aveva espressamente statuito, in ragione della riforma attuata con la l. 488/1999 e, in particolare, con gli artt. 26 e 27, che ormai deve ritenersi implicitamente abrogato per incompatibilità l’art. 44 l. 724/94 nella parte in cui aveva previsto, alle condizioni ivi stabilite, la facoltà di rinnovare in modo espresso i contratti per la fornitura di beni e servizi anche per tutte le amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2 d.lgs. 29/93, e successive modificazioni. Non potevasi disconoscere la portata innovatrice ricavabile da tale sentenza, che superava di fatto il precedente orientamento giurisprudenziale secondo cui era pacificamente ammissibile il rinnovo espresso dei contratti di servizi ai sensi dell’art. 44 sopra citato. Comunque, la possibilità per l’Amministrazione di concedere una proroga del contratto rimaneva concessa a norma dell’art. 4, comma 76 della legge 24 dicembre 2003, n. 350 «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato», dove appunto veniva sancita la possibilità di prorogare le convenzioni stipulate, anche in deroga alla normativa vigente relativa ai lavori socialmente utili, direttamente con i Comuni, per lo svolgimento di Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche 337 attività socialmente utili (Asu) e per l’attuazione, nel limite complessivo di 20,937 milioni di euro, di misure di politica attiva del lavoro, riferite a lavoratori impiegati in Asu nelle disponibilità degli stessi Comuni da almeno un triennio, nonché ai soggetti provenienti dal medesimo bacino, utilizzati attraverso convenzioni già stipulate in vigenza dell’articolo 10, comma 3, del decreto legislativo 1° dicembre 1997, n. 468, per un periodo che, eventualmente prorogato, non ecceda i sessanta mesi complessivi, al fine di una definitiva stabilizzazione occupazionale. Attualmente, il dettato normativo risulta chiaramente cambiato, infatti già la stessa legge 18 aprile 2005, n. 25 «Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. legge comunitaria 2004» (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale il 27 aprile 2005, n. 96, s.o.), prevede nell’art. 23 (Disposizioni in materia di rinnovo dei contratti delle pubbliche amministrazioni per la fornitura di beni e servizi), che 1. L’ultimo periodo dell’articolo 6, comma 2, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, e successive modificazioni, è soppresso. 2. I contratti per acquisti e forniture di beni e servizi, già scaduti o che vengano a scadere nei sei mesi successivi alla data di entrata in vigore della presente legge, possono essere prorogati per il tempo necessario alla stipula dei nuovi contratti a seguito di espletamento di gare ad evidenza pubblica a condizione che la proroga non superi comunque i sei mesi e che il bando di gara venga pubblicato entro e non oltre novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge. 3. I contratti che hanno ad oggetto lo svolgimento di funzioni e servizi pubblici non ricadenti nell’ambito di applicazione dell’articolo 113 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, in scadenza entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, possono essere prorogati per una sola volta per un periodo di tempo non superiore alla metà della originaria durata contrattuale, a condizione che venga concordata una riduzione del corrispettivo di almeno il 5 per cento. Resta fermo che la durata dei contratti prorogati ai sensi del presente comma in ogni caso non può superare la data del 31 dicembre 2008. Dunque, non sembra possibile alcuna proroga ad un contratto attualmente vigente e/o di prossima scadenza, avendo già la nuova legge 338 Capitolo IX comunitaria 2004 così disciplinato la proroga dei contratti, escludendola cioè per i casi diversi da quelli elencati nell’art. 23. Una precisazione: già la stessa legge non sembra impedire il rinnovo dei contratti, come già è stato sostenuto da parte della dottrina sulla base di decisioni del Consiglio di Stato che si basano sulla chiara ed indiscutibile differenza sostanziale fra proroga e rinnovo (cfr. sez. V, n. 2961/2004; sez. V, n. 9302/2003; sez. VI, n. 1767/2003; sez. VI, n. 1767/2002). 3. Tipi di responsabilità della P.A. Quanto ora richiamato in tema di giurisdizione apre lo scenario alla trattazione proprio della natura della responsabilità della pubblica amministrazione lì ove la stessa abbia non rispettato norme di azione, così causando una lesione all’interesse legittimo del privato destinatario del provvedimento illegittimo. Pertanto, ferma restando la risarcibilità del danno per lesione da interesse legittimo (art. 35 della l. 205/00), occorre domandarsi che natura giuridica abbia questa responsabilità. A monte occorre precisare che l’amministrazione pubblica può incorrere, a seconda del suo comportamento e della fase nella quale essa lo realizzi, in responsabilità precontrattuale e contrattuale (si pensi, all’immotivato rifiuto di stipulare un contratto d’appalto da parte della stessa P.A., ovvero agli inadempimenti contrattuali nel caso di danno da parte di un medico di una struttura sanitaria pubblica); per quanto riguarda invece la lesione di interesse legittimo mediante provvedimento emanato in fase di procedimento ad evidenza pubblica (ad esempio, l’esclusione da una gara d’appalto pubblico ai sensi dell’art. 38 del Codice), la natura di tale responsabilità oscilla per la giurisprudenza fra quella di tipo contrattuale e quella propria della responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c. Procediamo con ordine. Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche 339 4. La responsabilità precontrattuale Una fattispecie concreata potrebbe essere inquadrata nella responsabilità precontrattuale della Pubblica Amministrazione, ai sensi degli articoli 1337–1338 del codice civile che impongono alle parti contraenti di assumere, ciascuna nei confronti dell’altra, una condotta improntata a buona fede e, cioè, di attivarsi ciascuna per salvaguardare l’utilità dell’altra nei limiti di un apprezzabile sacrificio sia “nello svolgimento delle trattative” che “nella formazione del contratto”. Invero, un provvedimento di revoca da parte di un amministrazione aggiudicatrice in ambito di appalti pubblici, il quale sia privo di motivazione configura, ad esempio, un ingiustificato recesso dalle trattative negoziali riconducibile, appunto, nell’alveo della responsabilità precontrattuale (ex multis, Cassazione civile, sez. III, 5 agosto 2004, n. 15040). Tali norme tutelano il contraente di buona fede che è stato, senza sua colpa, tratto in inganno o favorito da una situazione apparente, non conforme a quella vera sono ormai da tempo riconosciuti pienamente applicabili anche nei confronti della pubblica amministrazione; è noto infatti il principio secondo il quale la responsabilità precontrattuale, nella misura in cui si fonda su una condotta ritenuta non conforme al precetto della buona fede e nella misura in cui tutela in generale il corretto svolgimento della libertà contrattuale, richiama obblighi comportamentali validi erga omnes ed incombenti perciò anche sulla p.a., la quale, vertendosi in ambito del tutto paritetico e non provvedimentale, non potrebbe al riguardo vantare alcuno statuto particolare. (ex multis, Consiglio Stato, sez. IV, 7 marzo 2005, n. 920; Consiglio Stato, sez. VI, 19 novembre 2003, n. 7473). Ed allora, se la violazione di dette regole si traduce, in primo luogo, nell’illegittimità dell’atto, esprime anche l’indice presuntivo della colpa del soggetto pubblico; infatti “il contatto” procedimentale, una volta innestato nell’ambito del rapporto amministrativo (caratterizzato da sviluppi istruttori e da un’ampia dialettica tra le parti sostanziali), impone al soggetto pubblico un preciso onere di diligenza che 340 Capitolo IX lo rende garante del corretto sviluppo del procedimento e della sua legittima conclusione. Inoltre, il riconoscimento della responsabilità precontrattuale ben può prescindere dall’annullamento degli atti eventualmente impugnati dai ricorrenti, nel momento in cui sia comunque dimostrata una condotta dell’Amministrazione contraria ai canoni di correttezza e buona fede, quali cause effettive del danno lamentato. Quella che infatti viene in rilievo è l’antigiuridicità della condotta, la quale viene oramai dalla costante giurisprudenza riconosciuta anche nel contesto dell’adozione di provvedimenti amministrativi “legittimi” (cfr. Consiglio di Stato, n. 920/2005). Infatti, una cosa è il provvedimento emanato, che ben può essere immune da qualsiasi vizio di legittimità e diretto alla migliore realizzazione del pubblico interesse, un’altra è il comportamento tenuto dall’amministrazione nell’esercizio del potere, che ben può essere fonte di danno a causa delle modalità poco protettive con le quali la P.A. sia pervenuta ad adottare il detto provvedimento. Ebbene, la valutazione della colpa dovrà quindi riferirsi ai parametri di negligenza o imperizia della PA intesa come apparato, che sarà configurabile nel caso in cui l’adozione e l’esecuzione del provvedimento amministrativo (per ipotesi legittimo) sia accompagnato da una condotta contraria o non conforme al precetto di buona fede, come canone generale posto a tutela del corretto svolgimento della libertà contrattuale. Ed allora ciò che viene in rilievo è esclusivamente il diritto dell’impresa a pretendere dall’Autorità Pubblica un comportamento in contrahendo ispirato a quel canone di buona fede già prefissato dall’art. 1337 c.c. indipendentemente dalla sorte dell’atto amministrativo di recesso il quale si colloca su un piano diverso, come insegnato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, che distingue i doveri del buon amministratore dagli obblighi del buon contraente (cfr. Consiglio di Stato, n. 920/2005). In tal senso, il danno non è conseguenza immediata e diretta dell’attività provvedimentale in sé, ma delle modalità con le quali essa è stata Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche 341 realizzata: conseguentemente la misura riparatoria ben può avere una vita autonoma rispetto alle vicende che riguardano l’attività amministrativa, non essendo alle stesse minimamente correlata. Alla luce di quanto ora richiamato a proposito della responsabilità precontrattuale dell’amministrazione, si rinvia a quanto già esaminato in relazione agli artt. 11 e 12 del Codice per la sua rilevanza in tema di appalti pubblici. 5. Ancora sulla responsabilità precontrattuale Per meglio comprendere la valenza giuridica della c.d. responsabilità precontrattuale o culpa in contrahendo, occorre approfondire ulteriormente la tematica; a tal fine possono essere utili le ulteriori e seguenti brevi considerazioni. L’art. 1337 c.c. regola le trattative e la responsabilità precontrattuale: “Le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede” La responsabilità esiste solo se l’altra parte abbia confidato senza sua colpa nella validità del contratto: lo prescrive l’art. 1338 – Conoscenza delle cause d’invalidità: “La parte che, conoscendo o dovendo conoscere l’esistenza di una causa d’invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all’altra parte è tenuta a risarcire il danno da questa risentito per avere confidato, senza sua colpa, nella validità del contratto”. Sotto un profilo strettamente letterale, nella disposizione contenuta nell’art. 1337 c.c. la condotta regolata dalla buona fede è dovuta sia “nello svolgimento delle trattative” sia “nella formazione del contratto”. La sussistenza di una differenza fra i due momenti espressi dalla norma in parola rende pertanto possibile giuridicamente di configurare una responsabilità per lesione dell’altrui diritto anche nella fase antecedente a quella in cui la progressiva formazione del contratto si sia invece già manifestata e concretizzata mediante contatti protesi ormai strettamente al prossimo accordo. 342 Capitolo IX Più in particolare, la responsabilità si configura a carico della parte che durante le trattative, tali ormai da far sussistere il ragionevole affidamento sul perfezionamento del contratto (Cass. civ., n. 11438/04) senza giustificato motivo le interrompa; ovvero si configura nel caso in cui sia stata svolta attività dal contraente con il miraggio causatogli dall’altra parte di una contrattazione, ovvero nel caso dell’inefficacia del contratto che mai sarebbe stato concluso da una parte se l’altro contraente avesse usato la correttezza dovuta11. In tal senso, la giurisprudenza ha precisato che, “in tema di responsabilità precontrattuale, ai sensi dell’art. 1337 c.c., se lo svolgimento delle trattative è, per serietà e concludenza, tale da determinare un affidamento nella stipulazione del contratto, la parte che ne receda senza giusta causa, violando volontariamente l’obbligo di comportarsi secondo buona fede, è tenuta al risarcimento dei danni nei limiti dell’interesse negativo” (Cassazione civile, sez. III, 18 luglio 2003, n. 11243); ed ancora: Perché possa ritenersi integrata la responsabilità precontrattuale, è necessario che tra le parti siano in corso trattative; che le trattative siano giunte ad uno stadio idoneo a far sorgere nella parte che invoca l’altrui responsabilità il ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto; che la controparte, cui si addebita la responsabilità, interrompa le trattative senza un giustificato motivo; che, infine, pur nell’ordinaria diligenza della parte che invoca la responsabilità, non sussistano fatti idonei ad escludere il suo ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto (Cassazione civile, sez. lav., 18 giugno 2004, n. 11438; vedi anche Cassazione civile, sez. III, 10 agosto 2002, n. 12147). Importante è sottolineare che l’art. 1337 c.c. “costituisce applicazione specifica del più generale principio di correttezza che è diretto a improntare dello spirito di buona fede tutto il campo delle obbligazioni (art. 1175)” (A. Trabucchi, Istituzioni di diritto civile, XXXVIII, p. 652). L’art. 1337 c.c. è dunque una norma mediante la quale vengono legate fra loro la violazione della buona fede e la responsabilità: A. Tra11. A. Trabucchi, Istituzioni di diritto civile, XXXVIII, p. 653 Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche 343 bucchi aveva già scritto che «dottrina e giurisprudenza stanno prendendo coscienza del giusto valore di questa norma, che è destinata ad una vastissima applicazione»12. E proprio alla luce del fatto che, oltre alle ipotesi espressamente previste dalla legge, le altre rientrano vieppiù nella generale previsione ex art. 1337 c.c., sia la dottrina sia la giurisprudenza hanno individuato in sede interpretativa una serie di ipotesi concrete di responsabilità precontrattuale. Ma non solo. Infatti, la dottrina, oltre ad una ermeneutica minoritaria secondo la quale la natura della responsabilità precontrattuale consiste in quella “contrattuale” ex art. 1218 c.c. (le trattative farebbero sorgere una relazione giuridicamente rilevante tra le parti e pertanto la violazione non ricadrebbe nell’ipotesi della responsabilità extracontrattuale, ex art. 2043 c.c., che sussiste invece fra soggetti non legati prima dell’illecito da rapporto), ha vieppiù letto la natura della responsabilità precontrattuale come species della responsabilità extracontrattuale (o “aquiliana”) ex art. 2043 c.c.: perché essa trova il suo fondamento nella violazione di un generale dovere di condotta, indipendentemente dalla preesistenza di una specifica obbligazione da adempiere nei confronti di una controparte13. In tal senso, si è qui del parere che tale secondo orientamento abbia elementi di maggior correttezza rispetto a quello basato sulla natura contrattuale. Anche la giurisprudenza ha affermato che “la responsabilità precontrattuale, configurabile per violazione del precetto posto dall’art. 1337 c.c. — a norma del quale le parti, nello svolgimento delle trattative contrattuali, debbono comportarsi secondo buona fede — costituisce una forma di responsabilità extracontrattuale, che si collega alla violazione della regola di condotta stabilita a tutela del corretto 12. 13. Istituzioni, op. cit., p. 652. A. Trabucchi, Istituzioni, op. cit., p. 653. 344 Capitolo IX svolgimento dell’”iter” di formazione del contratto, sicché la sua sussistenza, la risarcibilità del danno e la valutazione di quest’ultimo debbono essere vagliati alla stregua degli art. 2043 e 2056 c.c., tenendo peraltro conto delle caratteristiche tipiche dell’illecito in questione” (Cassazione civile, Sez. Un., 16 luglio 2001, n. 9645). Tali distinzioni circa la riconoscibilità dell’una o dell’altra natura giuridica della responsabilità precontrattuale non sono meramente astratte o accademiche, infatti dall’una o dall’altra configurazioni discendono opposte conseguenze, soprattutto in termini di prescrizione (quinquennale ex art. 2947 c.c. per l’art. 2043 c.c.) e di inversione dell’onere probatorio. In riferimento al risarcimento del danno subìto dal contraente, esso viene limitato al c.d. interesse negativo, cioè “id quod interest contractum initum non fuisse” che è pari alla diminuzione patrimoniale a sèguito della contrattazione o dell’affidamento alle trattative (danno emergente) e al vantaggio che la parte lesa avrebbe comunque ottenuto con altro contratto (lucro cessante)14. In giurisprudenza è stato affermato chiaramente che: “in tema di responsabilità ex art. 1337 c.c., l’ammontare del danno va determinato tenendo conto della peculiarità dell’illecito e delle caratteristiche della responsabilità stessa, la quale, nel caso d’ingiustificato recesso dalle trattative, postula il coordinamento tra il principio secondo il quale il vincolo negoziale sorge solo con la stipulazione del contratto e l’altro secondo il quale le trattative debbono svolgersi correttamente. Ne consegue che nelle ipotesi di culpa in contrahendo il danno risarcibile non comprende quanto la parte avrebbe ricavato dalla stipula del contratto, ma è rappresentato unicamente dalle perdite che sono derivate dall’aver fatto affidamento nella conclusione del contratto e nei mancati guadagni verificatisi in conseguenza delle altre occasioni contrattuali perdute (il cosiddetto “interesse negativo”)” (Cassazione civile, sez. III, 10 giugno 2005, n. 12313); ed ancora: “in tema di responsabilità precontrattuale la liquidazione del danno va operata applicando l’art. 1223 c.c., 14. Cfr. A. Trabucchi, Istituzioni, op. cit. p. 653. Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche 345 essendo pertanto riconoscibili sia il danno emergente, sia quello da lucro cessante. La liquidazione deve, peraltro, avvenire tenendo conto delle caratteristiche di detta responsabilità, onde non possono essere risarciti i danni che sarebbero derivati dall’inadempimento del contratto, atteso che quest’ultimo non si è concluso e che l’interesse leso — cioè l’affidamento — consiste nel cosiddetto “interesse negativo”. Il danno per lucro cessante può essere costituito anche dal pregiudizio economico derivante dalla rinunzia alla stipulazione di un contratto avente contenuto diverso rispetto a quello per cui si sono svolte le trattative, tenuto conto che l’art. 1337 c.c. tutela non tanto l’interesse a perfezionare la trattativa quanto quello a non averla iniziata, con conseguente perdita di occasioni favorevoli” (Cassazione civile, sez. III, 23 febbraio 2005, n. 3746). 6. Natura della responsabilità dell’amministrazione: contrattuale da contatto ed extracontrattuale Come già anticipato, la responsabilità dell’amministrazione in fase di procedimenti concorsuali, come quello delle procedure ad evidenza pubblica in materia di appalti di lavori, servizi e forniture può assumere due parallele vesti interpretative, a seconda della tesi che si intenda seguire e dalla quale scaturiscono importanti conseguenze sul piano strettamente processuale (si pensi alla prescrizione ed all’inversione dell’onere probatorio che sussistono nel confronto fra l’art. 1218 c.c. e l’art. 2043 c.c.). Infatti, prendendo le mosse dalla nota Decisione del Consiglio di Stato, sez. VI n. 1945/2002, ampiamente commentata dalla dottrina15, si può ripercorrere l’iter ermeneutico in materia: 15. V. Capuzza, Natura giuridica della responsabilità della pubblica amministrazione fra interpretazione del diritto e filologia. Risarcimento del danno ed invalidità dell’atto come poli dialettici della questione, in «Rivista Amministrativa della Repubblica Italiana», 9/2003, pp. 973–989. 346 Capitolo IX Giova premettere che la individuazione del danno ristorabile è destinata ad essere consistentemente condizionata dall’approccio che si ritiene di dover seguire con riguardo al complesso tema della natura giuridica della responsabilità dell’amministrazione. Diverso, infatti, può essere il danno risarcibile e il concreto procedimento da seguire per il suo accertamento a seconda che si qualifichi la responsabilità dell’amministrazione come aquiliana, contrattuale da contatto o, ancora, precontrattuale. La prima soluzione è quella accolta nella sentenza n. 500/99 con la quale le Sezioni Unite di Cassazione, rilevato che “la lesione dell’interesse legittimo è condizione necessaria, ma non sufficiente, per accedere alla tutela risarcitoria ex art. 2043 c.c.”, attesa la necessità che risulti leso, per effetto dell’attività illegittima e colpevole della P.A., l’interesse “al bene della vita al quale l’interesse legittimo si correla, e che il detto interesse al bene risulti meritevole di tutela alla luce dell’ordinamento positivo”, hanno ritenuto di dover distinguere tra interessi oppositivi, incondizionatamente risarcibili, ed interessi pretensivi, in relazione ai quali, invece, hanno preteso il giudizio prognostico sulla spettanza del bene della vita invano chiesto all’amministrazione. Si tratta di opzione ricostruttiva di recente rimeditata dalla stessa Corte di Cassazione con sentenza 10 gennaio 2003, n. 157, pronunciata nella causa Vitali c. Comune di Fiesole, nel corso della quale era già intervenuta, in sede di regolamento di giurisdizione, la citata sentenza n. 500 del 1999. Nel prendere le distanze dalla pronuncia n. 500 del 1999, la prima Sezione della Corte di Cassazione osserva che “nel dibattito sull’eterno problema del risarcimento da lesione dell’interesse legittimo s’insinua probabilmente oggi, a differenza che in passato, il disagio di misurare il contatto dei pubblici poteri con il cittadino secondo i canoni del principio di autorità, della presunzione di legittimità dell’atto amministrativo, e in definitiva emerge l’inadeguatezza del paradigma della responsabilità aquiliana. In particolare, soggiunge la Corte di Cassazione, il contatto del cittadino con l’Amministrazione è oggi caratterizzato da uno specifico dovere di comportamento nell’ambito di un rapporto che in virtù delle garanzie che assistono l’interlocutore dell’attività procedimentale, diviene specifico e differenziato. Tali interessi, di partecipare al procedimento, di vederlo concluso tempestivamente e senza aggravamenti, di poter accedere ai documenti in possesso Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche 347 dell’Amministrazione, di vedere prese in esame le osservazioni presentate, di veder motivata la decisione che vanifica l’aspettativa, costituirebbero, secondo una lettura estrema, veri e propri diritti soggettivi, tutelati in quanto tali, e non situazioni strumentali alla soddisfazione di un interesse materiale che verrebbe quindi protetto sub specie di interesse legittimo. Da qui la conclusione secondo cui il fenomeno, tradizionalmente noto come lesione dell’interesse legittimo, costituisce in realtà inadempimento alle regole di svolgimento dell’azione amministrativa, ed integra una responsabilità che è molto più vicina alla responsabilità contrattuale nella misura in cui si rivela insoddisfacente, e inadatto a risolvere con coerenza i problemi applicativi dopo la sentenza Cassazione 500/99/SU, il modello, finora utilizzato, che fa capo all’articolo 2043 cod. civ.: con le relative conseguenze di accertamento della colpa. I Giudici della prima Sezione concludono, quindi, per la risarcibilità del danno a prescindere dalla spettanza del bene della vita osservando che, l’interesse al rispetto di queste regole, che costituisce la vera essenza dell’interesse legittimo, assume un carattere del tutto autonomo rispetto all’interesse al bene della vita: l’interesse legittimo si riferisce a fatti procedimentali. Questi a loro volta investono il bene della vita, che resta però ai margini, come punto di riferimento storico. La Corte di Cassazione pare aderire, quindi, alla tesi dottrinale che qualifica la responsabilità dell’Amministrazione per attività provvedimentale come responsabilità contrattuale nascente dall’inadempimento di una obbligazione senza prestazione, comunque non ricollegata alla lesione dell’utilità finale cui aspira il privato ma derivante dalla sola violazione di quei particolari obblighi stabiliti ex lege ed il cui rispetto è funzionale alla garanzia dell’affidamento del privato sulla legittimità dell’azione amministrativa. Tesi, per vero, già presa in considerazione dalla giurisprudenza amministrativa e da questa stessa Sezione, che pure hanno talvolta ricollegato la responsabilità dell’Amministrazione alla sola violazione degli obblighi di correttezza comportamentale sulla stessa gravanti, ed alla compromissione, quindi, della situazione soggettiva di affidamento vantata dal privato. In particolare, con decisione 8 luglio 2002, n. 3796, la quinta Sezione, pronunciandosi su domanda di risarcimento del danno asseritamente subito per 348 Capitolo IX effetto dell’aggiudicazione di un contratto di appalto a diversa impresa (aggiudicazione successivamente riconosciuta illegittima con sentenza passata in giudicato), ha riconosciuto che la responsabilità della p.a. presenta profili sui generis che ne consentirebbero, in taluni casi, l’accostamento alla responsabilità per inadempimento contrattuale. Ciò in quanto, la responsabilità aquiliana presuppone, di regola, una lesione dall’esterno della posizione giuridica della parte interessata, ossia derivante da condotte di soggetti non legati da una precedente relazione giuridica, mentre la vicenda procedimentale destinata a concludersi con il provvedimento che amplia la sfera giuridica del privato è caratterizzata dallo svolgimento di un complesso rapporto amministrativo, nel quale sono individuabili particolari obblighi di comportamento del soggetto pubblico. Ancora, più di recente, con decisione 20 gennaio 2003, n. 204, la sesta Sezione, chiamata a pronunciarsi su una domanda di risarcimento del danno provocato dalla Soprintendenza per i beni ambientali che aveva annullato, per vizi di merito, il nulla–osta paesistico rilasciato dalla Regione, ha rilevato che allorché il privato sia titolare di un interesse legittimo di natura pretensiva, il contatto che si stabilisce fra lui e l’Amministrazione dà vita ad una relazione giuridica di tipo relativo, nel cui ambito il diritto al risarcimento del danno ingiusto, derivante dall’adozione di provvedimenti illegittimi presenta una fisionomia sui generis, non riducibile al modello aquiliano dell’articolo 2043 del codice civile, in quanto, al contrario, caratterizzata da alcuni tratti della responsabilità precontrattuale e di quella per inadempimento delle obbligazioni. La questione, come è noto, non è stata risolta dalla recente pronuncia dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 14 febbraio 2003, n. 2, che ha respinto l’appello proposto senza affrontare il tema relativo alla natura della responsabilità della p.a. L’adesione all’una o all’altra impostazione teorica è foriera, peraltro, di consistenti implicazioni di tipo applicativo. Nel dettaglio, l’accoglimento della tesi favorevole ad inferire la responsabilità dalla sola violazione dell’obbligo di correttezza ed, in specie di quella che la qualifica come contrattuale, ha molteplici conseguenze con Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche 349 riferimento, in particolare, alla distribuzione tra le parti dall’onere di provare la colpa, al termine di prescrizione, al calcolo di interessi e rivalutazione, nonché, per quel che in questa sede più conta, alla possibilità di concedere il risarcimento anche a prescindere dal giudizio prognostico sulla spettanza del bene della vita. A quest’ultimo riguardo, in particolare, una volta ammesso che la responsabilità sanzioni l’inadempimento di quel generico dovere sorto in relazione al “contatto procedimentale”, il danno finisce per essere individuato nelle perdite economiche subite in conseguenza dell’illegittimità, e, più in generale, della scorrettezza a prescindere dalla spettanza del bene della vita. Mutano, di conseguenza, i presupposti necessari affinché venga concessa tutela risarcitoria: il danno non consiste più, come affermato la Cassazione nella sentenza n. 500/1999, nella lesione dell’interesse a un bene della vita, meritevole di tutela, al quale l’interesse legittimo si correla, ma nell’inadempimento degli obblighi sorti da un “contatto amministrativo” qualificato, tale, cioè, da ingenerare nel privato un obiettivo affidamento. L’incertezza circa la spettanza del bene della vita, che nella concezione accolta dalla sentenza n. 500 preclude il risarcimento, perde quindi, almeno in parte, il suo originario rilievo: il danno ristorabile, infatti, non è più ricondotto alla sola perdita dell’utilità sostanziale cui il privato aspira, ma, prima ancora, all’inadempimento del rapporto che si genera in relazione all’obbligo imposto dalla norma. Ciò posto, non può essere obliterato che, non di rado, la pretesa risarcitoria, in specie quando azionata da soggetti che entrano in contatto con l’Amministrazione in quanto portatori di interessi economici di rilievo, non ha ad oggetto il mero pregiudizio derivante dalla violazione dell’obbligo di comportamento imposto all’amministrazione, a prescindere quindi dalla soddisfazione dell’interesse finale, ma, al contrario, proprio il pregiudizio connesso alla preclusione dall’Amministrazione frapposta alla realizzazione del bene finale anelato. In ipotesi siffatte, al Giudice non è consentito eludere la domanda, pena un’inammissibile vanificazione del principio di responsabilità dell’Amministrazione e un’inaccettabile banalizzazione della tutela risarcitoria; con maggiore impegno esplicativo, la ricostruzione della responsabilità dell’Amministrazione in termini di responsabilità derivante dalla mera violazione degli obblighi imposti a presidio dell’affidamento del privato, meritoria laddove consente di ristorare in via equitativa il pregiudizio anche nelle ipotesi in cui non si riesca a comprovare la spettanza dell’utilità finale, non può certo condurre ad un abbattimento della portata rimediale della tutela ristorato- 350 Capitolo IX ria, precludendo al privato di invocare, dimostrandolo anche con riguardo al quantum, il risarcimento del danno pieno, subito per effetto del mancato conseguimento del bene della vita. In queste ipotesi il giudice non può né eludere la domanda, né tanto meno accoglierla a prescindere dalla formulazione di un giudizio, laddove possibile, sulla certa o statisticamente probabile spettanza del bene dell’utilità finale. Al più può sostenersi che siffatto giudizio finisca per attenere più direttamente alla quantificazione del danno ristorabile. Ciò posto, ed in attesa di verificare i futuri approdi interpretativi ed applicativi dell’odierno Giudice del risarcimento, la Sezione ritiene che debba tenersi conto della specificità del caso di specie nel quale l’appellante incidentale chiede il ristoro del danno inteso nella sua pienezza. Proprio recentemente, il TAR Lazio– Latina, con la sentenza del 24 aprile 2007, n. 291 ha espresso un altro importante punto in relazione alla rilevanza della domanda; infatti, il giudice amministrativo dapprima hanno ribadito la sussistenza delle due vie percorribili per definire la natura della responsabilità della P.A., nel senso che la responsabilità dell’amministrazione conseguente alla emanazione di un atto illegittimo può essere ricostruita sia come violazione dei doveri connessi al “contatto procedimentale” con il privato (con conseguente identificazione del danno con i pregiudizi economici conseguenti alla illegittimità e a prescindere dalla “utilità finale” desiderata) che come responsabilità aquiliana conseguente alla lesione dell’interesse legittimo cui si correla la utilità finale — è evidente che le voci di danno richieste e cumulate dalla ricorrente scontano una commistione tra questi due approcci. Quindi il TAR ha concluso che: Se ci si pone nella prospettiva della responsabilità per violazione dei doveri connessi al contatto procedimentale, il danno risarcibile (secondo lo schema del cd. interesse negativo tipico della responsabilità precontrattuale) sarebbe costituito dalle spese sopportate nell’ambito del procedimento (danno emergente) e dalla perdita di altre possibili opportunità di guadagno (lucro cessante); se invece ci si colloca nella prospettiva della responsabilità aquiliana per lesione dell’interesse legittimo e perdita della utilità finale, a parte la Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche 351 esigenza — allorchè vengano in rilievo interessi di tipo pretensivo — di un giudizio prognostico in ordine alla effettiva spettanza della utilità finale, il danno risarcibile sarebbe costituito dalla perdita dei guadagni che sarebbero derivati dal conseguimento della utilità medesima al netto dei relativi costi. In forza di tali considerazioni, poi, il TAR Lazio ha concluso che: Se si qualifica come reintegrazione in forma specifica anche la rinnovazione dei provvedimenti annullati, si deve concludere che il giudicato demolitorio–conformativo soddisfa direttamente e pienamente l’interesse azionato e preclude l’esercizio della pretesa risarcitoria generica, quando il provvedimento controverso non ha prodotto effetti irreversibili ed intangibili ed è, quindi, ancora possibile l’assegnazione al ricorrente (per via amministrativa) dell’utilità giuridica od economica alla quale egli aspira; al contrario, quando il conseguimento del bene della vita è divenuto ormai impossibile resta riservata all’iniziativa del danneggiato la scelta tra il risarcimento per equivalente e la reintegrazione in forma specifica — la quale, tuttavia, sarà di difficile configurazione ed attuazione — senza che l’omessa richiesta della tutela reintegratoria implichi una preclusione nella concessione del risarcimento per equivalente. 7. La responsabilità amministrativo–contabile Infine, considerato quanto ora detto appare utile qualche accenno relativamente al profilo delle eventuali responsabilità dei dipendenti pubblici, fornendo il quadro normativo attuale in materia. Innanzitutto, c’è da precisare che a seguito delle innovazioni legislative intervenute in tema di responsabilità amministrativo–contabile è stato chiaramente stabilito che l’accertamento di tale responsabilità, sottoposto alla giurisdizione della Corte dei Conti, è limitato ai fatti commessi con dolo o colpa grave e che pertanto tali profili soggettivi devono essere valutati di volta in volta e nella loro concreta e precisa manifestazione. Il Legislatore, pertanto, con l’innalzamento della soglia di rilevanza dell’elemento psicologico mediante l’espressa previsione 352 Capitolo IX contenuta nell’art. 3 del d. l 543/1996, ha fatto sì che il comportamento tenuto dal pubblico dipendente debba sostanziarsi in un palese distacco o in una sprezzante trascuratezza delle regole amministrative; quindi, soltanto in tali termini viene a concretarsi un comportamento giuridicamente perseguibile a livello amministrativo. L’evoluzione del concetto di responsabilità ha così determinato che la condotta cui è riconducibile l’evento dannoso per l’erario, debba potersi qualificare come “gravemente colposa”. Inoltre, il concetto di responsabilità amministrativa negli ultimi anni ha visto accentuarsi il rilievo del “nesso di causalità”, di derivazione penalistica (artt. 41 e 42 del codice penale), ed anche legato all’art. 1223 codice civile. Si tratta di verificare, di volta in volta, il rapporto di causa ed effetto che intercorre tra la colpa grave (elemento soggettivo), le modalità di comportamento, azione od omissione ed il danno subito dall’amministrazione (elemento oggettivo). Il rapporto causale, dunque, consiste nel legame sussistente fra la condotta tenuta dall’indagato e l’evento; in particolare, l’attore del fatto da cui si genera la responsabilità amministrativa del funzionario o del dipendente pubblico sarà appunto responsabile solamente se la condotta da lui tenuta ha causato l’evento da cui sia scaturito il danno all’erario. In molti casi risulta difficoltoso stabilire la sussistenza del nesso causale. Per la configurazione della responsabilità amministrativa, occorre sia l’inadempimento di obblighi di servizio, fondati appunto nel rapporto di servizio (cfr. anche l’allargamento ex art. 1, comma 4 della l. 20/94), sia il danno erariale, cioè il deterioramento o la perdita di denaro o altri beni (danno emergente), oppure nella mancato incremento patrimoniale che l’ente avrebbe ottenuto (lucro cessante). Interessante in questo contesto è considerare il contenuto del recente disposto dell’art. 2–bis inseriro dalla l. 69/09 alla l. 241/90 (c.d. legge sul procedimento amministrativo): Conseguenze per il ritardo dell’amministrazione nella conclusione del procedimento) Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche 353 1. Le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’articolo 1, comma 1–ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento. 2. Le controversie relative all’applicazione del presente articolo sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Il diritto al risarcimento del danno si prescrive in cinque anni. Come è evidente, si tratta del paradigma legale della c.d. responsabilità aquiliana (ex art. 2043 del codice civile): danno ingiusto; dolo o colpa; inosservanza della disposizione del termine di conclusione del procedimento (ex art. 2 legge 241/90 così come modificato dalla l. 69/09); prescrizione quinquennale. Parte II L’esecuzione del contratto Capitolo X Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche 1. Le situazioni giuridiche soggettive attive Le norme giuridiche dettate dal Legislatore1 per disciplinare i rapporti tra i privati, sono contenute nel codice civile e nelle leggi speciali afferenti la materia privatistica. È bene però anche precisare che nel settore pubblicistico, talvolta, si assiste ad una mutuazione di forme già esistenti nel diritto privato, trasformate nei contenuti per meglio adattare il paradigma legale alla ratio legis pubblicistica; un esempio è possibile individuarlo nella figura di appalto pubblico, il quale nasce quasi come forma speciale, sub alterum graduum, dell’appalto civilistico. Ma a questo punto bisogna compiere alcune considerazioni sempre più specifiche. Cominciamo con il dire che non tutte le situazioni che avvengono naturalmente, sono oggetto di interesse del diritto, infatti il camminare lungo una strada, il discorrere con alcune persone amiche, il guardare il cielo sono sì delle situazioni naturali ma non situazioni giuridiche, cioè giuridicamente rilevanti. Dunque, tutte le situazioni giuridiche sono anche situazioni naturali, ma non tutte le situazioni naturali sono pure situazioni giuridiche. Definiremo, pertanto, rapporto giuridico quella situazione rilevan1. Per quanto qui segue, cfr. V. Capuzza, Appunti di dirtto amministrativo. Lezioni agli Studenti, Scuola IaD, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, IV edizione, 2009. 357 358 Capitolo X te per il diritto, in cui si instaura una relazione fra due o più soggetti o fra un soggetto ed una cosa. Consideriamo ora nel maggior dettaglio le situazioni giuridiche e poi il concetto giuridico di soggetto (tratteremo insieme gli aspetti giuridici di persona fisica e di persona giuridica). Le situazioni giuridiche sono sempre soggettive, cioè fanno capo alle persone fisiche o giuridiche; esse possono distinguersi in un lato attivo (cioè di diritti e altre situazioni di vantaggio) ed in un lato passivo (cioè di doveri o di altre situazioni di subjectione). Fra le situazioni giuridiche soggettive attive ci sono: a) diritti soggettivi; b)interessi legittimi. 2. I diritti soggettivi La norma è un precetto, è quindi diritto oggettivo (norma agendi); invece, quando si è nella dimensione soggettiva, cioè del ius est facultas agendi, siamo dinnanzi i diritti soggettivi. Essi si possono definire come quelle situazioni giuridiche soggettive attive in cui vi è la «signoria del volere, il potere di agire (agere licere) per il soddisfacimento del proprio interesse, protetto dall’ordinamento giuridico»2. La natura di tali diritti, che hanno origine secolare e che sono il motivo generale di tutte le norme giuridiche per cui si stabilisce l’equilibrio (o equità) nel riconoscere ove esista diritto e ove esista un dovere in capo ad un altro consociato, è complessa e così in sintesi strutturata. I diritti soggettivi si possono distinguere in base a tre generali caratteristiche dalle quali scaturiscono altre classificazioni; essi possono essere: 2. cfr. Torrente, Schlesinger, Manuale di diritto privato, ed. Giuffrè, XV, p. 63. Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche 359 a) patrimoniali e non patrimoniali; 1) nei diritti soggettivi patrimoniali, cioè suscettibili di valutazione economica, troviamo: – i diritti reali: si riferiscono a situazioni di vantaggio su cosa propria (ad esempio la proprietà) o altrui (ad esempio, usufrutto, servitù); – i diritti di credito: sono quelle situazioni nelle quali un soggetto (creditore) ha la pretesa giuridicamente vincolante nei confronti di un altro soggetto (debitore) acché quest’ultimo assuma un determinato comportamento (prestazione) ad esclusivo vantaggio del creditore. Dal lato passivo, questa relazione diviene obbligazione per il debitore, ma su questo bisognerà tornare; b)assoluti e relativi: assoluti significa che i diritti soggettivi valgono come tali nei confronti di tutti (erga omnes), mentre quelli relativi fanno riferimento solo ad alcuni soggetti. Basta riflettere un po’ per individuare subito nei diritti assoluti quelli reali; mentre fra i diritti relativi si individueranno i diritti di credito (infatti il debitore ha obbligazione unicamente nei confronti di quel creditore e non con altri per la medesima prestazione in oggetto); c) trasmissibili ed intrasmissibili: nella prima categoria rientrano ovviamente i diritti patrimoniali, nella seconda i diritti non patrimoniali. 3. Le obbligazioni L’obbligazione è il vincolo da parte di un soggetto (debitore) di compiere una determinata prestazione di natura patrimoniale a vantaggio di un altro soggetto (creditore). La materia è disciplinata dal codice civile che stabilisce la patrimonialità dell’obbligazione, cioè la sua natura sempre economicamente valutabile; ma questo concetto non appare completamente nuovo, atteso che poc’anzi abbiamo 360 Capitolo X esaminato la patrimonialità dei diritto soggettivi di credito, i quali altro non sono che il medesimo concetto giuridico visto però dalla visuale della situazione giuridica soggettiva attiva (diritto soggettivo, di credito), mentre l’obbligazione è la visuale dal lato della prestazione (/o delle prestazioni) da adempiere per parte del debitore (/o dei debitori). Come si forma l’obbligazione? Come nasce? Quali sono le sue fonti? Il codice civile stabilisce che l’obbligazione può nascere da: 1. fatto illecito; 2. contratto; 3. ogni altro atto o fatto giuridico che l’ordinamento giuridico riconosce come idonei a creare obbligazioni. Occorre fissare l’attenzione al contratto anche con la considerazione della mutuabilità che la materia pubblicistica ha, soprattutto in questi ultimi tempi, attuato con il desumere modelli tradizionalmente civilistici per porli, con contenuti di specialità, a paradigma di alcuni istituti pubblici (si pensi alla figura del contratto d’appalto). L’art. 1321 c.c. definisce il contratto come l’accordo di due o più parti finalizzato a costituire, a regolare o ad estinguere un determinato rapporto giuridico patrimoniale. Ci sono determinati elementi previsti dalla legge, che formano il contratto e senza i quali si avrebbe come effetto la patologia della nullità del contratto stesso. Tali elementi cosiddetti essenziali sono: 1. l’accordo delle parti; 2. la causa; 3. l’oggetto; 4. la forma. 1. l’accordo delle parti è la manifestazione del consenso delle parti finalizzato a concludere (cioè perfezionare, quindi a dare inizio) il contratto. Sul concetto del reciproco riconoscimento delle vo- Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche 361 lontà delle parti contraenti si fondano molte considerazioni, le quali hanno interessato nel tempo giuristi e filosofi del diritto; 2. la causa è la funzione sociale ed economica del contratto, cioè lo scopo oggettivo che la legge ha fissato; pertanto la causa deve essere tipica e lecita (cioè non contraria a norme imperative). La causa va tenuta nettamente distinta dai motivi, che sono gli scopi soggettivi e quindi molteplici per i quali ciascuna persona assume quel determinato comportamento, il quale pertanto è irrilevante in sé a livello giuridico. Ad esempio: in un contratto di lavoro subordinato la causa tipica è la determinata attività del lavoratore retribuita da parte del datore; invece i motivi possono essere diversi (quelli del lavoratore possono essere il guadagno, la carriera, ecc.); 3. l’oggetto è il contenuto del contratto ed anch’esso deve avere tre caratteristiche: lecito, possibile, determinato o determinabile. Esiste anche un contenuto cosiddetto naturale, cioè quello che opera direttamente dalla legge (ope legis) anche quando le parti non lo esprimono direttamente; 4. la forma è la manifestazione all’esterno dell’accordo delle parti. Nel diritto privato, così come nel diritto amministrativo per quanto riguarda l’atto della Pubblica Amministrazione (che pertanto possiede i medesimi elementi essenziali — ed anche accidentali — del contratto !) vige il principio della libertà delle forme, cioè il contratto non deve avere obbligatoriamente la forma scritta, eccetto però per quei contratti cosiddetti a forma vincolata, che obbligatoriamente devono essere conclusi in forma scritta: ad esempio, la compravendita di beni immobili; il contratto d’affitto di abitazione ad uso privato, dopo l’entrata in vigore della legge 431/98. Questi elementi essenziali sono previsti dall’art. 1325 c.c. Esistono anche i cosiddetti elementi accidentali del contratto (o clausole accidentali), che sono quegli elementi che le parti possono prevedere per meglio far aderire lo scopo del contratto alla propria volontà. Tali elementi sono tre: 362 Capitolo X 1. condizione; 2. termine; 3. modo. Esaminiamoli brevemente. 1. la condizione è un elemento futuro ed incerto, al verificarsi del quale o scaturiscono degli effetti giuridici (sospensiva) o quest’ultimi cessano (risolutiva); 2. il temine è un elemento futuro e certo nel suo termine iniziale e nel suo termine finale; ad esempio, il contratto d’assicurazione, che ha efficacia a far data dal 1° gennaio fino al 31 dicembre. 3. il modo è una limitazione, nel senso che è un onere (come si è già detto, non una delle situazioni giuridiche soggettive passive!) facente capo al beneficiario in un atto unilaterale a titolo gratuito; ad esempio, Tizio dona il proprio terreno al comune con l’onere di costruzione di un parco giochi. 4. Gli interessi legittimi Esistono tre distinti ambiti in cui ricondurre la violazione attuata dalla P.A. con l’emanazione di un provvedimento. Il provvedimento può violare: 1. norme attributive di potere in astratto, cioè nella fattispecie astratta la legge non ha mai considerato l’attribuzione di un determinato potere in capo ad un singolo settore della P.A.; 2. norme attributive di potere in concreto, cioè la legge ha in astratto considerato quel tipo di potere in capo a quel settore dell’amministrazione, ma in concreto, per una serie di circostanze di non ottemperanza, quel potere non può essere attuabile dalla P.A.; 3. norme di azione, che disciplinano cioè l’esercizio del potere. Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche 363 I primi due ambiti sono violazioni di norme di relazione, di norme quindi che attribuiscono espressamente potere alla P.A. Commentiamone alcune caratteristiche, seguendo l’indice di violazioni appena esposto. 1. in tal caso il provvedimento è nullo; l’atto infatti è stato emanato in carenza di potere (senza la causa). Si tratta di rari casi, ma possibili comunque; l’esempio tipico è quello del provvedimento emanato avente un oggetto impossibile. 2. qui il potere non manca nella sua totalità, perché in astratto sussiste; ma non c’è il rispetto di ultronee norme, le quali pongono limite all’esercizio e non si riconducono comunque a norme di azione. Quindi si tratta di un tertium genus, sempre attinente alle norme di relazione; infatti anche se male esercitato il potere astratto, viene prodotto comunque un effetto: ad esempio, il decreto di espropriazione emanato dopo la scadenza temporale prevista da legge nella dichiarazione di pubblica utilità, viola una norma di relazione. Anche in tal caso l’atto è nullo. 3. la pubblica amministrazione ha potere in astratto ed in concreto, ma assume un comportamento non corretto, cioè non rispettoso delle norme poste per regolare l’esercizio di quel potere attribuito totalmente. L’atto è annullabile, perché illegittimo. In tale contesto si inserisce il concetto di interesse legittimo come situazione giuridica soggettiva attiva, che si sostanzia in una pretesa riconosciuta in capo al privato acché la Pubblica Amministrazione svolga correttamente il suo esercizio per il quale le è stato attribuito dalla legge il potere. Elio Casetta, nel relativo Manuale, presenta una schematica ed utilissima proporzione matematica: la disapplicazione sta all’atto illecito come l’annullamento sta all’atto illegittimo. Dunque, quando si parla di illegittimità, si intende l’atto della P.A. emanato in difformità alle norme di azione, ma nel rispetto di quelle attributive del potere (norme di relazione). Concludendo. 364 Capitolo X Nell’ambito degli appalti pubblici la fase della gara è caratterizzata dalla sfera pubblicistica: la stazione appaltante produce provvedimenti amministrativi ed in capo alle imprese concorrenti si sostanziano situazioni giuridiche denominate interessi legittimi; nella fase dell’esecuzione, la Committenza ha stipulato il relativo contratto con l’appaltatore ed in capo ai due soggetti si sono formati diritto soggettivi relativi di credito (sinnallagmatici). Ne consegue che nella fase della gara la competenza giurisdizionale per dirimere eventuali controversie è attribuita al giudice amministrativo (Tar e Consiglio di Stato), mentre per la fase dell’esecuzione — per quanto attiene al contratto — la giurisdizione è quella del giudice ordinario in sede civile. Ma anche se si è nella fase dell’esecuzione del contratto, gli eventuali provvedimento amministrativi che sorgono rimangono di competenza del giudice ordinario (ad esempio, il provvedimento con cui il RUP, nell’ambito dello svolgimento di un contratto d’appalto, dichiara che nell’organico della Committente non vi siano professionisti che possano svolgere l’attività di collaudatore; provvedimento di autorità terze che determinano la sospensione per forza maggiore dei lavori). Capitolo XI I soggetti 1. Il responsabile del procedimento e la direzione dei lavori Il Responsabile del procedimento è una figura di vertice dal lato della Committenza pubblica. L’articolo 10 del Codice compie un rinvio alla l. 241/90 e s.m.i. In questa normativa, infatti, la figura del responsabile del procedimento trova piena e nuova rilevanza nell’ambito dell’attività amministrativa. La figura del Responsabile del procedimento amministrativo da individuare, come persona fisica che in concreto dovrà agire, da parte della stessa Amministrazione competente nella cosiddetta Unità Organizzativa per l’istruttoria ed ogni altro onere relativo al procedimento (art. 4). In particolare, l’art. 6 della l. 241/90 stabilisce che il responsabile del procedimento: a) valuta, ai fini istruttori, le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione ed i presupposti che siano rilevanti per l’emanazione di provvedimento; b)accerta di ufficio i fatti, disponendo il compimento degli atti all’uopo necessari, e adotta ogni misura per l’adeguato e sollecito svolgimento dell’istruttoria. In particolare, può chiedere il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete e può esperire accertamenti tecnici ed ispezioni ed ordinare esibizioni documentali; 365 366 Capitolo XI c) propone l’indizione o, avendone la competenza, indìce le conferenze di servizi di cui all’art. 14; d)cura le comunicazioni, le pubblicazioni e le modificazioni previste dalle leggi e dai regolamenti; e) adotta, ove ne abbia la competenza, il provvedimento finale, ovvero trasmette gli atti all’organo competente per l’adozione. Il Codice degli appalti pubblici, invero, si rapporta alla normativa degenerale del procedimento amministrativo derogando, sulla base del già espresso principio di specialità, per quanto riguarda le specificazioni contenute specialmente nel comma 3. importante è far rilevare come la figura del responsabile del procedimento nell’ambito degli appalti pubblici non operi solo in materia di procedimento amministrativo di gara, ma anche nella fase precipuamente civilistica dell’esecuzione del contratto, svolgendo egli funzioni di vigilanza, controllo, valutazione e proposta (si pensi, ad esempio, in tema di risoluzione del contratto negli ex artt. 135 e 136 del Codice). Il Codice nell’art. 10 riflette quanto già contenuto nell’art. 7 della legge 109/94 e s.m.i., estendendone la disciplina anche alle altre tipologie di appalti. Il comma 6, compiendo rinvio alla materia regolamentare, pone il limite a quest’ultima del rispetto dell’art. 136 in tema di direzione dell’esecuzione del contratto. Sul contenuto del comma 9 occorre in breve precisare che esso stabilisce per iscritto a livello normativo ed in riferimento — ovviamente — alle sole stazioni appaltanti un principio già contenuto nella l. 241/90 ma da questa fino alla riforma del 2005 evincibile per via ermeneutica; infatti, la l. 15/2005 ha inserito il comma 1–ter nell’art. 1 ed inoltre ha precisato espressamente la possibilità di nominare diversi responsabili per le diverse fasi del procedimento purché si rispetti il disposto dell’art. 6, comma 1 lett. e): l’organo competente per l’adozione del provvedimento finale, ove diverso dal responsabile del procedimento, non può discostarsi dalle risultanze dell’istruttoria I soggetti 367 condotta dal responsabile del procedimento se non indicandone la motivazione nel provvedimento finale. Il Codice, in questa comma 9 dell’art. 10 si muove lungo una direttrice comune agli aspetti ora evidenziati della l. 241/90, infatti il Codice così precisa: «individuano […] uno o più soggetti cui affidare i compiti propri del responsabile del procedimento». Il Responsabile del procedimento è una figura di assoluto rilievo anche nella fase di esecuzione del contratto; infatti, fungendo da organo di vertice per la Committenza pubblica, assume diversi doveri: ad esempio, dispone la sospensione dei lavori discrezionale per pubblico interesse; approva la perizia di variante;L dirime le controversie che eventualmente insorgono fra diretto dei lavori e appaltatore in tema di esecuzione delle lavorazioni; propone la risoluzione del contratto per gravi reati accertati (art. 135 del Codice). Per quanto riguarda il Direttore dei lavori, la norma dettata nell’art. 130 del Codice riporta il contenuto dell’art. 27 della legge Merloni. Si riferisce naturalmente ai soli appalti di lavori pubblici1. L’attuale normativa di riferimento, come già ha operato l’art. 27 della l. 109/94 e s.m.i., dopo aver imposto alle amministrazioni aggiudicatrici di istituire per ogni appalto un ufficio di direzione dei lavori costituito da un direttore dei lavori ed eventualmente da assistenti, ha espressamente stabilito che “qualora le amministrazioni aggiudicatici non possano espletare, nei casi di cui all’articolo 90, comma 6 (era il comma 4 dell’articolo 17 della legge Merloni), l’attività di direzione dei lavori, essa è affidata nell’ordine ai seguenti soggetti: a) altre amministrazioni pubbliche, previa apposita intesa o convenzione di cui all’art. 30 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (la l. 109/94 e s.m.i. citava, naturalmente, l’art. 24 della legge 8 giugno 1990, n. 142); 1. Sulla figura del direttore dei lavori vedi: Favara, Il direttore dei lavori negli appalti pubblici e privati, in Arb. e app., 1963; Miccoli, voce Appalto pubblico, in Enc. del dir., p. 706; Bertuzzi, Il direttore dei lavori nei pubblici appalti, in «Riv. Trim. Appalti», 1987, p. 729; Azzarelli, La direzione lavori nelle costruzioni edilizie, Milano 1970; Agliata, La direzione dei lavorio nel suo aspetto tecnico–amministrativo, in «Riv. Trim. Appalti», 1991, p. 195; D’Ambrosio, Responsabile unico e direzione lavori nell’appalto di opere pubbliche, Milano 2001; Grassi, Russo, Direzione dei lavori, III ed., Roma, 2006. 368 Capitolo XI b) il progettista incaricato ai sensi dell’articolo 90, comma 6; c) altri soggetti scelti con le procedure previste da presente codice per l’affidamento degli incarichi di progettazione (la Merloni faceva riferimento alle procedure previste dalla normativa nazionale di recepimento delle disposizioni comunitarie in materia)”. Tale disposto evidenzia l’intenzione del legislatore di privilegiare il cumulo delle funzioni di progettista e direttore dei lavori, laddove l’Amministrazione si sia comunque determinata a ricorrere a professionisti esterni per ricoprire le funzioni di direttore lavori. Ciò trova giustificazione nella consapevolezza che le mansioni qualificanti del direttore dei lavori sono quelle di costante verifica dei lavori affinché gli stessi siano eseguiti dall’appaltatore a regola d’arte e, soprattutto, in conformità al progetto da eseguire. Da qui, l’ulteriore consapevolezza che il soggetto che può maggiormente garantire tale finalità è proprio il progettista dell’opera, che, in quanto autore del progetto, conosce perfettamente e meglio di chiunque altro gli elementi di criticità dell’opera e della sua traduzione progettuale. A tale esigenza “tecnica” — di per sé pienamente condivisibile — se ne affianca anche una più prettamente “economica”, derivante dal fatto che il cumulo delle funzioni di progettista e direttore dei lavori comporta un indubbio vantaggio economico per le stazioni appaltanti, che in tal modo possono usufruire del trattamento di favore riservato dall’art. 15 della legge 2. 3. 1949, n. 143; tale norma stabilisce infatti che quando per l’esecuzione di una delle opere indicate nel precedente prospetto il professionista presta la sua assistenza all’intero svolgimento dell’opera — dalla compilazione del progetto alla direzione dei lavori, al collaudo e alla liquidazione — le sue competenze sono calcolate in base alla percentuale del consuntivo lordo dell’opera indicata alla tabella A; viceversa, laddove non vi sia il suddetto cumulo di funzioni, viene in rilievo il diverso disposto di cui all’art. 18 della medesima legge professionale, secondo cui I soggetti 369 quando le prestazioni del professionista non seguono lo sviluppo completo dell’opera, come si è detto sopra, ma si limitano ad alcune funzioni parziali, alle quali fu limitato l’incarico originario, la valutazione dei compensi a percentuale è fatta sulla base delle aliquote specificate nell’allegata tabella B aumentata del 25 per cento. Il combinato disposto di tali articoli mostra in modo evidente la “convenienza economica” di un affidamento cumulativo delle due funzioni in capo al medesimo soggetto. Ciò posto, si tratta di verificare fino a che punto possa essere privilegiato questo cumulo e, soprattutto, quando debba essere effettuata la scelta di fondo di far coincidere il progettista con il direttore dei lavori. Occorre quindi chiedersi se la suddetta scelta debba essere effettuata ab origine, ossia già nel momento in cui si seleziona il progettista esterno cui affidare l’incarico professionale, ovvero se possa anche essere posticipata rispetto all’indizione della gara per l’individuazione del progettista. Iniziando dal primo profilo, si segnala che la normativa oggi vigente — ossia l’art. 130 del Codice — privilegia, sulla scia della legge Merloni, il cumulo delle due funzioni in capo al medesimo professionista esterno al ricorrere di una condizione, ossia quando l’Amministrazione, per una delle ragioni espresse nel comma 6 dell’articolo 90, si sia determinata a ricorrere a professionisti esterni per svolgere l’incarico di direzione dei lavori; in tal caso, il soggetto incaricato della progettazione è certamente da preferire rispetto ad altri professionisti sempre esterni. Ove, invece, l’Amministrazione possa o ritenga di affidare la direzione lavori internamente o ad altre amministrazioni (previa intesa) ai sensi dell’art. 130, comma 2, lett. a) del Codice, non vi è alcuno spazio per privilegiare il progettista esterno e per un affidamento diretto della direzione lavori a tale soggetto. In altri termini, la preferenza accordata al progettista incaricato vale, quindi, solo nei confronti degli altri professionisti esterni. Esaurito il primo aspetto, occorre verificare “quando” debba essere effettuata l’opzione di cumulare in un unico soggetto i due ruoli. In linea astratta, si contendono il campo due ipotesi. 370 Capitolo XI Da un lato, si può sostenere che la suddetta scelta debba obbligatoriamente essere effettuata ab origine, in occasione, cioè, dell’individuazione del progettista esterno, restando così precluso l’ulteriore affidamento del ruolo di direttore dei lavori una volta che sia stato già selezionato il progettista e nel relativo bando non sia stata prevista la possibilità del cumulo. Dall’altro lato, si può sostenere che in mancanza di una chiara e inequivoca previsione in tal senso, l’Amministrazione — anche a distanza di tempo dall’affidamento dell’incarico di progettazione — può decidere di affidare al progettista incaricato il ruolo di direttore dei lavori, essendo questi da privilegiare rispetto ad altri professionisti esterni. A dirimere la questione è intervenuta efficacemente l’allora Autorità di Vigilanza sui lavori pubblici che con la determinazione n. 10/2000 del 17/2/2000 ha definitivamente chiarito che nella vigenza della l. 109/94 e s.m.i. “all’affidamento diretto” della direzione lavori al progettista incaricato «si può procedere soltanto nell’ipotesi in cui lo stesso sia stato esplicitamente previsto nel bando di gara di progettazione». Detto altrimenti, l’Autorità di Vigilanza ha giustamente ritenuto che a partire dall’entrata in vigore della l. 109/94 l’affidamento diretto della direzione lavori al progettista privato, disciplinato dalla richiamata lett. b) dell’art. 27 (oggi la lett. b) dell’art. 130), può aversi solo nel caso in cui il bando di gara di progettazione abbia previsto sin dall’inizio l’affidamento diretto della direzione lavori al medesimo professionista. Se il bando, invece, nulla ha previsto al riguardo, è successivamente preclusa all’Amministrazione la via dell’affidamento postumo della direzione lavori a quel progettista; in tal caso, rimarrà unicamente la via della gara per la scelta del direttore lavori, sempreché come è ovvio, l’Amministrazione abbia deciso di avvalersi di professionisti esterni a scapito delle strutture interne o di altre amministrazioni. Tra l’altro, l’allora Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici chiamata ad esprimersi proprio sulla legittimità dell’affidamento dell’incarico di d.l. al progettista dell’opera, ha in effetti confermato con nota prot. 61913/03/SEGR del 21/11/2003 che I soggetti 371 l’elencazione contenuta nell’articolo 27, comma 2, della legge 109/94 e s. m., in base alla quale l’Amministrazione, in carenza di organico, può rivolgersi a professionisti esterni per l’espletamento della d.l. deve essere seguita “nell’ordine” individuato dal medesimo articolo, che riveste carattere tassativo, senza ambito di discrezionalità amministrativa. Nel caso in cui non si possa procedere all’affidamento al progettista esterno, non è ammesso l’affidamento in via fiduciaria ma si dovranno espletare le procedure ad evidenza pubblica. Dunque, va preso atto che il legislatore con l’art. 130 del Codice ha comunque stabilito l’obbligo per l’Amministrazione di dare priorità al progettista incaricato nel caso di affidamento a terzi della direzione dei lavori. Capitolo XII Le varianti Dalla lettura dell’art. 132 emerge chiaramente che si tratta pressoché di modificazioni letterali e sistematiche qui operate dal Codice; iniziamo dalla letterale: il comma b–bis) dell’art. 25 della legge 109/94 e s.m.i. è divenuto ora la lett. c) nell’articolo in esame, adeguandosi con le altre lettere sempre nel comma 1 dell’art. 132. La modifica sistematica è rappresentata dal comma 2, ultima parte dell’art. 134: è esattamente la previsione prima contenuta nell’art. 19, comma 1–ter al terzo periodo, della legge Merloni. Veniamo al contenuto dell’articolo 132. Il Legislatore ha disciplinato la materia prevedendo la possibilità per l’Amministrazione appaltante di apportare variazioni e addizioni all’opera, cui corrisponde l’obbligo per l’appaltatore di eseguirle purché siano contenute entro determinati limiti e siano disposte con determinate forme. In tema di varianti, occorre premettere che non ogni modificazione può ritenersi espressione della naturale esecuzione dell’appalto, con conseguente applicazione dei criteri già previsti contrattualmente per la disciplina del rapporto. La variante, infatti, ha come necessario punto di riferimento e parametro di raffronto il progetto: le modifiche non possono, quindi, essere tali da snaturarlo1. 1. Determinazione dell’Autorità di Vigilanza sui Contratti pubblici n. 1 dell’11 gennaio 2001. 373 374 Capitolo XII La disciplina che si è succeduta in questa delicata materia è contenuta negli artt. 343 e 344 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, negli artt. 13 e 14 del cap. generale Min. ll. pp. di cui al d.p.r. 16 luglio 1962, n. 1063, nell’art. 20 del reg. 25 maggio 1895, n. 350 e, soprattutto, nell’art. 25 della legge 109/1994 (così come modificata dalla l. 216/95, dalla l. 415/1998, e dalla l. 166/00), nell’art. 134 del d.p.r. 21 dicembre 1999, n. 554 e, infine, nell’art. 10 del d.m. ll. pp. 19 aprile 2000, n. 45. Tale ultime disposizioni hanno abrogato la maggior parte delle prescrizioni ante l. 109/94 e non hanno subito modificazioni da parte della recentissima l. 166/02. Ciò premesso, per meglio comprendere l’attuale regime normativo dell’art. 132 del Codice, appare preferibile esaminare tale istituto così come disciplinato all’art. 25 della legge Merloni nel sistema previgente all’entrata in vigore della legge 18 novembre 1998, n. 415, per poi verificare come il nuovo disposto normativo e le nuove norme regolamentari abbiano inciso sul regime delle varianti. Innanzitutto, è noto che in tema di varianti vige una disciplina alquanto differenziata a seconda che la variazione superi o meno il limite del sesto quinto. Nel caso in cui l’esercizio dello ius variandi comporti un aumento (ovvero una diminuzione) dei lavori non superiore al quinto dell’importo complessivo dell’appalto sull’appaltatore incombe un vero e proprio obbligo di eseguire le variazioni disposte dalla stazione committente. Peraltro, l’appaltatore è tenuto ad eseguire non solo le varianti ordinate dall’Amministrazione che rientrino nei limiti quantitativi (quinto dell’importo contrattuale), ma anche tutte quelle varianti che non superino i limiti qualitativi prescritti dalla suddetta normativa. Per quanto concerne invece le varianti oltre il sesto quinto, l’appaltatore, ai sensi dell’art. 344 l. 2248/1865 All. F e dell’art. 14, comma 2, d.p.r. 1063/1962, può recedere dal contratto col solo pagamento dei lavori eseguiti, valutati ai prezzi contrattuali, ovvero può proseguire i lavori, indicando a quali diverse condizioni intende farlo. Tale assetto è stato oggi sostanzialmente mantenuto (pur con qualche innovazio- Le varianti 375 ne) da parte dell’art. 10 del d.m. 145/2000, anche se è stata prevista, ai sensi del comma 3, una procedura ad hoc per determinare le nuove e diverse condizioni di esecuzione. Sempre con riguardo al quadro normativo vigente prima dell’entrata in vigore della legge 415/1998, si evidenzia, innanzitutto, che nel testo originario della legge sulle Opere Pubbliche (legge 11. 2. 1994, n. 109), la disciplina contenuta nell’art. 25 riduceva drasticamente le possibilità di apportare varianti progettuali in corso d’opera, prevedendosi, inoltre, la risoluzione del contratto e l’indizione di una nuova gara in tutti i casi di superamento del limite del sesto quinto dell’importo contrattuale. La successiva disciplina introdotta si è, invece, caratterizzata per una maggiore elasticità, sia per quanto riguarda le ipotesi in cui è ammesso il ricorso alle varianti, sia per quanto concerne le conseguenze dell’eventuale superamento del limite del sesto quinto, fermo restando comunque che, rispetto alla disciplina ante l. 109/94, essa ha presentato un maggiore rigore. In particolare, il regime delle varianti delineato dall’art. 25 della l. 109/94 così come innovato, ha modificato profondamente la regolamentazione recata negli artt. 343 e 344 legge fondamentale sui lavori pubblici legge 20 marzo 1865 n. 2248 All. F), nell’art. 20 del r.d. 25 maggio 1895 n. 350 e negli artt. 13 e 14 del d.p.r. 1063/1962. E tale resta anche nell’art. 132 del Codice cd. De Lise. Ferma restando la sussistenza del diritto potestativo alla variazione in corso d’opera da parte del committente, la suddetta facoltà di disporre variazioni, in aumento o in diminuzione, al programma contrattuale è stata sottoposta già dalla l. 109/94, a dei stringenti limiti, che sussistono ancora nel Codice; il legislatore ha individuato, cioè, le ipotesi tassative in presenza delle quali il progetto può subire variazioni in corso d’opera, mentre, come è noto, la normativa previgente alla legge–quadro si asteneva dallo specificare i presupposti legittimanti il ricorso alle varianti (ossia i “motivi”), preoccupandosi soltanto di precisare, ad integrazione di quanto disposto dal Codice Civile, i limiti quantitativi e qualitativi allo ius variandi dell’amministrazione. 376 Capitolo XII Ai sensi della ultime modifiche apportate alla l. 109/94 e riprodotte nell’art. 132 del Codice, invece, l’amministrazione può apportare variazioni al progetto originario solo nei casi espressamente previsti dall’art. 132 Codice (l’ex art. 25). Le varianti, dunque, sono state considerate ammissibili solo ed esclusivamente, sulla base dell’art. 132, comma 1 (l’abrogato art. 25, comma 1 della l. 109/94 e s.m.i.: a) per esigenze derivanti da sopravvenute disposizioni legislative e regolamentari; b) per cause impreviste e imprevedibili accertate nei modi stabiliti dal regolamento di attuazione o per l’intervenuta possibilità di utilizzare materiali, componenti e tecnologie non esistenti al momento della progettazione che possono determinare, senza aumento di costo, significativi miglioramenti nella qualità dell’opera o di sue parti, sempre che non alterino l’impostazione progettuale; c) (è il previdente b–bis) dell’art. 25, comma 1 della legge Merloni) per la presenza di eventi inerenti la natura e specificità dei beni sui quali si interviene verificatisi in corso d’opera, o di rinvenimenti imprevisti o non prevedibili nella fase progettuale; d) nei casi previsti dall’art. 1664 secondo comma del Codice Civile (la cd. sorpresa geologica e cause affini); e) per il manifestarsi di errori o di omissioni del progetto esecutivo che pregiudichino, in tutto o in parte, la realizzazione dell’opera ovvero la sua utilizzazione; in tal caso il responsabile del procedimento ne dà immediato comunicazione all’Osservatorio e al progettista. L’art. 132, comma 1, lett. c), in particolare, ritiene legittime tutte quelle varianti che si rendano necessarie «per la presenza di eventi inerenti la natura e specificità dei beni sui quali si interviene in corso d’opera, o di rinvenimenti imprevisti o non prevedibili nella fase progettuale». Il motivo di ammissibilità delle varianti ex lett. c), in parte, si riconnette a quanto previsto dalla norma sub lettera b) dell’art. 132, in materia di cause impreviste e imprevedibili e in parte a quanto stabilito dalla lettera d), in materia di sorpresa geologica. Nel caso introdotto con il punto c) viene, infatti, messo in risalto il problema delle variazioni contrattuali che si rendano necessarie a Le varianti 377 seguito del verificarsi di due situazioni diverse tra loro, gli “eventi” e i “rinvenimenti”. Il termine “evento” evoca un avvenimento o una circostanza che va ad interessare il bene, incidendo su quest’ultimo a causa della sua natura e specificità. Si può pensare, per fare un esempio scolastico, ad un restauro su un bene culturale sul quale venga ad incidere un fatto imprevedibile. Anche qui il legislatore, riferendosi a non meglio specificati “eventi” ha utilizzato una formula generica che si presta quindi a interpretazioni anche più ampie di quella fornita. Considerato, infatti, che la norma non identifica gli eventi a seguito dei quali potrà farsi ricorso alla variante, si ritiene che qualunque accadimento non ascrivibile alle cause impreviste e imprevedibili di cui all’art. 132, comma 1, lett. b), ovvero alla sorpresa geologica di cui alla successiva lett. d) può essere preso a presupposto per giustificare la variazione progettuale. La seconda situazione, concernente i “rinvenimenti”, ha ad oggetto fattispecie simili alla sorpresa geologica, con la differenza che in tale ipotesi esse sarebbero determinate da cause diverse da quelle geologiche, idriche e simili. Si tratta, cioè, di rinvenimenti che non sono da assimilarsi alla categoria dei vizi occulti, ma piuttosto alla possibilità della scoperta nel corso dei lavori, ad esempio, di beni di interesse culturale, artistico o archeologico, o di una loro diversa consistenza, che, richiedendo l’utilizzo di particolari tecniche e interventi per la loro salvaguardia e conservazione, imponga quindi la necessità di varianti alla progettazione. Ci si riferisce, cioè, a qualcosa che esisteva ma che, con tutta la diligenza, il progettista non poteva supporre che esistesse. Comunque, anche il termine “rinvenimenti” è assai generico e, dunque, può comprendere una categoria di situazioni ancora più ampia di quella sopra esposta. In ogni caso — ha precisato il terzo comma dell’art. 132 — non sono considerate varianti ai sensi del primo comma gli interventi disposti dal direttore dei lavori per risolvere aspetti di dettaglio, che siano contenuti entro un importo non superiore al 5% delle 378 Capitolo XII categorie di lavoro dell’appalto e che non comportino aumenti di spesa. Sono inoltre ammesse quelle varianti che sono finalizzate al miglioramento dell’opera e della sua funzionalità, se non comportino modifiche sostanziali e siano motivate da obiettive esigenze derivanti da circostanze sopravvenute e imprevedibili al momento della stipula del contratto. L’importo in aumento relativo a tali varianti non può superare il 5% dell’importo originario del contratto e deve trovare copertura nella somma stanziata per l’esecuzione dell’opera. Ciò detto, occorre puntualizzare che, rispettati i limiti di cui all’art. 132 del Codice, presupposto perché l’adozione della variante sia legittima è solo ed esclusivamente la sussistenza dell’interesse pubblico a introdurre tale variazione, ossia la sussistenza di un effettivo e accertato bisogno; in questo senso si esprimeva anche l’art. 343 della legge fondamentale, il quale afferma che verificandosi il bisogno d’introdurre in un progetto già in corso di eseguimento variazioni od aggiunte le quali non siano previste dal contratto […]; e così pure l’art. 344 della stessa legge stabilisce che “occorrendo in corso di esecuzione un aumento o una diminuzione di opere, l’appaltatore è obbligato ad assoggettarsi. La ragione giustificatrice di tale ius variandi è, infatti, da rinvenire nella circostanza che l’appalto è un contratto cd. di durata, trovando esso il suo svolgimento naturale in un arco di tempo più o meno prolungato, durante il trascorrere del quale possono manifestarsi bisogni o esigenze od opportunità prima non palesate o sopravvenute. Come è stato già evidenziato precedentemente, le lettere b), c) e d) prevedono rispettivamente che le varianti in corso d’opera possono essere ammesse “per cause impreviste e imprevedibili”, “per la presenza di eventi inerenti la natura e specificità dei beni sui quali si interviene” e “nei casi previsti dall’articolo 1664, secondo comma del codice civile” (sorpresa geologica e cause affini). Appare quindi necessario comprendere innanzitutto che cosa il legislatore intenda per cause impreviste e imprevedibili. Le varianti 379 L’idea insita nell’“imprevedere” rimanda all’identificazione di un fatto sopravvenuto consistente nel trovarsi davanti ad un qualcosa che non era stato “pre–visto”; infatti, l’intento del legislatore è quello di non farvi rientrare, in questa accezione, quegli eventi che già esistevano ma che non erano stati previsti con la dovuta diligenza. La nuova previsione normativa sostituisce quella contemplata dall’originario testo dell’abrogato art. 25, lett. b) della l. 109/94, che faceva riferimento alle cause di forza maggiore. La nuova formula, tuttavia, non sembra che comporti il riferimento ad un’area concettuale sostanzialmente diversa dalla precedente, in quanto anch’essa si riferisce a fenomeni naturali (e non), considerati non suscettibili di previsione secondo criteri di ragionevolezza e anche considerando le professionalità delle parti del rapporto; inoltre, la natura di tali eventi deve essere tale da impedire l’esecuzione dei lavori così come originariamente concepiti. Nel caso dell’applicabilità dell’art. 132, comma 1 lett. b) del Codice, il responsabile del procedimento, su proposta del direttore dei lavori, descriverà la situazione di fatto, e dovrà accertare che l’evento verificatosi non sia imputabile alla stazione appaltante; inoltre, dovrà anche assicurare la sua non imputabilità al momento della redazione del progetto o della consegna dei lavori, e dovrà precisare le ragioni per cui si renda necessaria la variazione. Per quanto attiene, invece, alla relazione tra la previsione normativa dell’art. 132, comma 1, lett. b) e la lett. c), si può affermare che quest’ultima ipotesi (aggiunta all’art. 25 della legge Merloni dall’art. 9, comma 41, della l. 415/98) si riferisce alla presenza di eventi inerenti la natura e la specificità dei beni sui quali si interviene verificatesi in corso d’opera, o di rinvenimenti imprevisti o non prevedibili nella fase progettuale. La prima parte della norma, sembra, seppure non necessariamente, voler ampliare le ipotesi di ammissibilità di varianti già previste dalla precedente lett. b), consentendole anche nel caso in cui si siano verificati eventi sopravvenuti successivamente all’inizio dei lavori e che essi abbiano inciso su beni di natura peculiare interessati dall’intervento in corso. 380 Capitolo XII A speciale salvaguardia di simili beni peculiari, la norma, inoltre, sembra voler ammettere le varianti anche indipendentemente da ogni ulteriore qualificazione dell’evento come imprevisto, imprevedibile o altro. Per le ipotesi rientranti nell’art. 132, comma 1, lett. c) del Codice la descrizione del responsabile del procedimento avrà ad oggetto la verifica delle caratteristiche dell’evento in relazione alla specificità del bene, o della prevedibilità o meno del rinvenimento. Nell’ipotesi contemplata appunto dalla lettera d) dell’art. 132, come detto, disciplina la cosiddetta sorpresa geologica e affini di cui all’art. 1664, secondo comma del codice civile. Quest’ultimo disposto permette di ritenere legittime tutte quelle varianti che si rendano necessarie per superare le “difficoltà di esecuzione derivanti da cause geologiche, idriche e simili, non previste dalle parti”. Per cercare di dare una definizione quanto più precisa di sorpresa geologica può essere utile considerare le seguenti pronunce giurisprudenziali, che, interpretando anche in modo estensivo il disposto di cui all’art. 1664, 2° comma, hanno indicato i parametri di riferimento da tenere presenti nella qualificazione di un evento come sorpresa geologica. La sorpresa geologica deve intendersi come il manifestarsi di una causa obbiettiva, non prevista né prevedibile dalle parti al momento della stipulazione dell’appalto (art. 1664, 2° comma c.c.)2. La formula esemplificativa adottata dall’art. 1664 2° comma c.c. […] consente di ritenere comprese […] tutte le cause naturali che producano tale effetto e in special modo quelle inerenti alle caratteristiche del terreno3. Rientra nella previsione di cui all’art. 1664, 2° comma, c.c. ogni sopravvenienza oggettiva che alteri la preesistente situazione dei luoghi tenuta presente dalle parti4. Un’ulteriore considerazione va fatta sotto il profilo quantitativo in relazione alle ipotesi di cui al comma 1 dell’art. 132, disciplina questa che investe ovviamente anche la cd. sorpresa geologica. 2. 3. 4. Coll. Arbitrale, 24 maggio 1979. Coll. Arbitrale, 13 febbraio 1988. Coll. Arbitrale, 14 maggio 1990. Le varianti 381 Come già detto, ai sensi del Codice, l’amministrazione può apportare variazioni al progetto originario solo nei casi espressamente previsti dall’art. 132. Lo scopo dell’innovazione operativo già con la l. 109/94 e s.m.i. all’art. 25, è stato ed è evidentemente quello di ridurre la sfera di discrezionalità delle stazioni appaltanti, in modo da impedire il ripetersi dei fenomeni degenerativi del recente passato, quando, anche in ragione dell’approssimatività dei progetti, venivano apportate varianti artificiose volte a favorire la lievitazione del prezzo complessivo dell’opera. La precisa indicazione dei casi in cui sono ammesse le varianti è risultata, dunque, in linea con la filosofia di fondo alla base della complessiva l. 109/94 e attualmente del Codice De Lise. Essa è inoltre apparsa coerente con la nuova più rigorosa disciplina della progettazione prevista sempre dal codice e già dalla l. 109/94, che, imponendo l’adozione di progetti realmente esecutivi, definiti in ogni dettaglio, ha considerato la variante un’eccezione alla regola, ammissibile soltanto in presenza di particolari condizioni. Rispetto al testo originario della l. 109/94, il testo dell’art. 25 (ora l’art. 132 Codice), ha presentato però una sostanziale differenza: l’ampliamento dei casi tipici in cui è consentito apportare variazioni al progetto. Le varianti, dunque, sono state considerate ammissibili solo ed esclusivamente nelle ipotesi dell’ex art. 25, 1° comma l. 109/94 (ora l’art. 132, comma 1 del Codice) nei casi ivi previsti. Ne deriva che, qualora siano ricompresi nei limiti tipologici di cui al comma 1, tali interventi in variante possono essere disposti liberamente dal soggetto committente, anche al di fuori delle ipotesi in cui erano tradizionalmente ammesse le varianti. In conclusione, si può riassumere il quadro affermando che secondo il testo vigente, alla risoluzione si procede soltanto quando le varianti eccedenti il quinto d’obbligo dipendano da errori di progettazione (art. 132, comma 4 del Codice). In tal caso, l’appaltatore che subisce la risoluzione ha diritto non solo al pagamento dei lavori ese- 382 Capitolo XII guiti e dei materiali utili (come prevedeva il vecchio testo), ma anche al pagamento del 10% dei lavori non eseguiti, fino a 4/5 dell’importo del contratto (art. 132, comma 5 del Codice). Negli altri casi di cui alle lettere a), b), c), d) ed e) del comma 1), sotto il profilo quantitativo l’eventuale superamento del limite del quinto d’obbligo non è stato considerato più dal legislatore come causa di risoluzione del contratto — salva l’ipotesi, affatto diversa, di recesso dell’appaltatore — ed è stato quindi ritenuto pienamente legittimo. Il diverso regime delle conseguenze del superamento del limite del quinto d’obbligo, è stato giustificato in ragione del fatto che queste ultime ipotesi costituiscono circostanze esterne alla sfera di controllo e di conoscibilità da parte dell’appaltatore, per cui sarebbe stato ingiustificato penalizzare quest’ultimo con la risoluzione del contratto, mentre nel caso di variante dovuta ad errore di progettazione è ravvisabile una qualche responsabilità dell’appaltatore, al quale può forse imputarsi di non aver rilevato, in sede di esame del progetto a base di gara, l’esistenza di carenze od errori progettuali, da lui ravvisabili in ragione delle proprie conoscenze professionali. Capitolo XIII Termini di adempimento, penali, adeguamenti dei prezzi L’art. 133 del Codice riproduce il contenuto dell’art. 26 della l. 109/94 e s.m.i. L’abrogazione espressa dell’art. 33 della l. 41/1986, che il comma 2 dell’art. 26 della Merloni esprimeva, compare nel Codice all’art. 256. Nel presentare un breve excursus1 fino alla disciplina dell’art. 26 della legge Merloni e quindi dell’art. 133 del Codice De Lise, occorre prima di tutto far riferimento all’art. 33,comma 4, della legge 28. 2. 1986, n. 41, che per la prima volta introduceva il “prezzo chiuso” come metodo di indicizzazione del corrispettivo dell’appalto cui la Pubblica amministrazione aveva facoltà di ricorrere in alternativa alla revisione dei prezzi. La giurisprudenza nell’analizzare l’istituto aveva chiarito che: “Il contratto “a prezzo chiuso”, previsto dall’art. 33 comma 4 l. 28 febbraio 1986 n. 41, costituisce un istituto applicabile solo ai contratti (di qualsiasi natura e indipendentemente dalle modalità di formazione) di durata superiore all’anno, distinto e alternativo all’istituto della revisione prezzi, dal quale non può mutare criteri e parametri di applicazione: conseguentemente, ai fini del computo dell’aumento annuale spettante all’appaltatore, non deve tenersi conto nell’anticipazione da questi ricevuta, né può operare il “congelamento” del primo anno dei lavori”2. 1. Cfr. A. Cancrini, Commento alla Circolare del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti 4 agosto 2005, n. 871, in Urb. e Appalti, 1/2006, pp. 21 e ss. 2. Corte dei Conti del 9. 7. 1987, n. 1812. 383 384 Capitolo XIII L’art. 33 della legge 41/86, nel delineare i confini di un istituto alternativo e sostitutivo della revisione prezzi, trovava la sua ratio nel tentativo di risolvere il problema degli aumenti di costo delle opere pubbliche mediante l’eliminazione dei sintomi del fenomeno, senza tentare di incidere sulle sue cause effettive e sostanziali. In effetti, a livello operativo il compenso aggiuntivo previsto dal “prezzo chiuso” doveva essere corrisposto nella misura pattuita sia che l’aumento non sopraggiunga, sia che sopraggiunga in misura inferiore alla percentuale di aumento pattuito, sia che sopraggiunga in misura superiore. La Corte dei Conti intervenuta sull’argomento aveva perciò ritenuto che il “prezzo chiuso” consisteva in ben altra cosa rispetto alla revisione dei prezzi. A ciò va aggiunto che, mentre la revisione operava sul concreto (la percentuale in aumento viene cioè corrisposta su quanto effettivamente l’appaltatore ha speso) l’istituto del “prezzo chiuso” operava aumentando di anno in anno, in percentuale, le somme che ancora devono essere corrisposte all’appaltatore. Alla luce di ciò, quindi, non solo sussisteva uno svincolo dall’andamento del mercato, ma il “prezzo chiuso” sembrava essere svincolato anche dall’andamento dei lavori; pertanto l’introduzione di un meccanismo come quello del prezzo chiuso rendeva il contratto di appalto sempre soggetto ad un margine di aleatorietà, dal momento che l’incremento del 5% per ogni anno di durata del contratto prescinde dal verificarsi di eventi economici incidenti sul costo delle prestazioni. Successivamente il Legislatore, con l’art. 26 della legge 109/94 è intervenuto nuovamente nell’ambito della revisione prezzi e del prezzo chiuso statuendo perentoriamente che non si può più procedere ad alcuna forma di revisione dei prezzi e abrogando l’art. 33 della legge 41/86. Pertanto, a seguito dell’entrata in vigore della legge Merloni per i lavori pubblici affidati dalle amministrazioni aggiudicatrici e dagli altri enti aggiudicatori o realizzatori è stato vietato il ricorso all’istituto della revisione prezzi e sancita l’inapplicabilità del primo comma dell’art. 1664 del codice civile. Termini di adempimento, penali, adeguamenti dei prezzi 385 L’istituto della revisione prezzi che per la stessa giurisprudenza aveva una funzione di garanzia circa il mantenimento dell’equilibrio del sinallagma contrattuale3 è stato quindi definitivamente soppresso dalla norma in esame. L’articolo 26 ha, altresì, disposto che per i lavori pubblici affidati dalle amministrazioni aggiudicatrici e dagli altri enti aggiudicatori o realizzatori si applica un nuovo sistema denominato sempre “prezzo chiuso”, ma che, oltre alla vecchia denominazione espressamente attribuitagli dal Legislatore, nella sua riedizione ha poco o nulla a che fare con l’omonimo istituto a suo tempo introdotto dall’art. 33 della l. 41/86. In particolare, il comma 4 dell’art. 26, in sostituzione della revisione prezzi, ha quindi previsto, come meccanismo di mantenimento dell’equilibrio delle contrapposte prestazioni, il cd. “prezzo chiuso”, che consiste nel prezzo dei lavori al netto del ribasso d’asta, aumentato di una percentuale da applicarsi, nel caso in cui la differenza tra il tasso di inflazione reale e il tasso di inflazione programmata nell’anno precedente sia superiore al 2%, all’importo dei lavori ancora da eseguire per ogni anno intero previsto per l’ultimazione dei lavori stessi. La suddetta percentuale è fissata con decreto del ministro dei lavori pubblici da emanarsi entro il 30 giugno di ogni anno nella misura eccedente la predetta percentuale del 2%. Senonché, per come configurato l’istituto del prezzo chiuso, esso non ha rappresentato un vero e proprio meccanismo di indicizzazione del corrispettivo dell’appalto, né ha garantito in effetti il mantenimento dell’equilibrio delle contrapposte prestazioni, neppure in presenza di fenomeni di manifesto ed eccezionale incremento di alcuni fattori di produzione. Ciò ha reso indispensabile una rivisitazione della l. 109/94 anche per evitare il costante ricorso da parte degli appaltatori all’istituto della risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta di cui all’art. 1467 del codice civile. 3. Cons. Stato, sez. IV, 10 gennaio 1990, n. 7. 386 Capitolo XIII Tale rivisitazione è intervenuta ad opera della finanziaria per il 2005 (legge 30/12/2004, n. 311). L’art. 1, comma 550, della legge 311 del 30/12/2004 (legge Finanziaria) ha aggiunto all’art. 26 della l. 109/1994 i commi dal 4–bis al 4–septies, che modificano la previgente disciplina reintroducendo un meccanismo analogo alla revisione dei prezzi. Il comma 4–bis dispone infatti una deroga al divieto di operare la revisione prezzi, ammettendo che possa procedersi a “compensazioni” nel caso in cui si registrino variazioni in aumento o in diminuzione del prezzo di singoli materiali da costruzione (non già della manodopera). L’operatività dell’istituto della “compensazione” è subordinata a due condizioni: a) che la variazione sia dovuta a circostanze eccezionali; b)che la variazione del prezzo dei materiali espressa in percentuale sia superiore ad una determinata soglia di rilevanza. Per quanto riguarda il carattere eccezionale delle circostanze che hanno determinato la variazione dei prezzi dei singoli materiali, deve ritenersi che esse ricorrano ogni qual volta gli aumenti o le diminuzioni dipendano da cause non riconducibili a situazioni di normalità o stabilità. Con riferimento alla soglia percentuale di rilevanza, si dà luogo alla compensazione solamente qualora la variazione in aumento o in diminuzione del prezzo dei singoli materiali sia superiore al 10 per cento rispetto al prezzo corrente nell’anno di presentazione dell’offerta, come rilevato dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. A tal fine, il meccanismo introdotto dall’art. 1, comma 550 della l. 311/2004 prevede che il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, con decreto da emettere entro il 30 giugno di ogni anno, rilevi le variazioni percentuali annuali dei singoli prezzi dei materiali da costruzione più significativi. Termini di adempimento, penali, adeguamenti dei prezzi 387 Ove siano soddisfatte le predette condizioni di operatività dell’istituto, si compie la compensazione (in aumento o in diminuzione) per la percentuale eccedente il 10 per cento. La misura della compensazione viene, quindi, determinata applicando la percentuale di variazione che eccede il 10 per cento al prezzo dei singoli materiali da costruzione impiegati nelle lavorazioni contabilizzate nell’anno solare precedente all’emissione del suddetto decreto ministeriale, nelle quantità accertate dal Direttore dei Lavori. Il meccanismo revisionale introdotto dall’art. 1, comma 550 della l. 311/2004 trova applicazione esclusivamente per i lavori eseguiti e contabilizzati a partire dal 1° gennaio 2004. A tal fine, il primo decreto ministeriale (che era stato previsto per il 30 giugno 2005) ha rilevato anche i prezzi dei materiali da costruzione più significativi per l’anno 2003. Per i lavori aggiudicati sulla base di offerte anteriori al 1° gennaio 2003 il meccanismo revisionale trova comunque applicazione, ma è previsto che si faccia riferimento ai prezzi rilevati dal Ministero per l’anno 2003. La nuova normativa prevede inoltre che le amministrazioni aggiudicatrici e gli altri enti aggiudicatori o realizzatori debbano provvedere ad aggiornare annualmente i propri prezzari, con particolare riferimento alle voci di elenco correlate a quei prodotti destinati alle costruzioni, che siano stati soggetti a significative variazioni di prezzo legate a particolari condizioni di mercato. Tali prezzari in ogni caso cessano di avere validità il 31 dicembre di ogni anno e possono essere transitoriamente utilizzati fino al 30 giugno dell’anno successivo solo per i progetti a base di gara la cui approvazione sia intervenuta entro tale data. Ove le amministrazioni aggiudicatrici e gli altri enti aggiudicatori o realizzatori non adempiano puntualmente all’obbligo, i prezzari possono essere aggiornati dalle competenti articolazioni territoriali del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con le Regioni interessate. Risulta, pertanto, che l’art. 1, comma 550 della l. 311/2004, derogando al divieto di portata generale di cui all’art. 26, comma 3, l. 388 Capitolo XIII 109/1994, abbia sostanzialmente reintrodotto, seppure in ordine a presupposti ben più specifici, un meccanismo revisionale di applicazione generale. Attualmente, la disciplina ultima dell’art. 26 della legge Merloni viene ad essere il contenuto dell’art. 133 del nuovo Codice. A proposito della Circolare, a cui fa espressa menzione l’art. 133, comma 3 Codice, per l’anno 2005 e stata emanata dal Ministero delle Infrastrutture e Trasporti 4 agosto 2005, n. 8714. La Circolare menzionata reca l’intitolazione “Modalità operative per l’applicazione delle nuove disposizioni relative alla disciplina economica dell’esecuzione dei lavori pubblici a seguito dell’emanazione del decreto ministeriale di cui all’art. 26, commi 4–bis, 4–quater e 4–quinquies, della legge 109/1994, e successive modifiche e integrazioni”. Il Decreto in riferimento è quello del 30 giugno 2005, pubblicato in gazzetta Ufficiale n. 154 del 5 luglio 2005. Pertanto, una volta completato il quadro normativo di riferimento — e che in questa sede si è inteso sintetizzare nei suoi necessari riferimenti — a livello applicativo di dettaglio e quindi per garantire, nel rispetto della gerarchia delle fonti ordinamentale, uniformità e omogeneità di comportamenti5 il Ministero competente ha inteso emanare la disciplina contenuta nella Circolare in trattazione. Essa si compone di tre articoli, rispettivamente: una premessa contenente i richiami legislativi sin qui operati; la previsione di modalità operative e infine un esempio pratico, applicativo dei principi espressi. Quindi, appare logico, che l’articolo 2 sia quello di maggior interesse e quasi il motivo stesso della Circolare n. 871/05. In particolare, possiamo schematizzare i seguenti punti ritenuti fondamentali e contenuti nell’art. 2 della Circolare. Punto centrale da cui partire: qualora il decreto ministeriale annuo rilevi variazioni in 4. 5. In GU 186 dell’11 agosto 2005. Cfr. Circolare, in premessa, 1. 2. Termini di adempimento, penali, adeguamenti dei prezzi 389 aumento o diminuzione (quale effetto di circostanze eccezionali) dei materiali da costruzione, si fa luogo alla compensazione nelle quantità accertate dal direttore dei lavori. a) rimanendo, pertanto, fissi i due parametri già indicati dalla legge (circostanze eccezionali, percentuale del 10%), la Circolare chiarisce che nel decreto ministeriale annuale il singolo prezzo del materiale di costruzione è rilevato come prezzo medio annuale: va da sé che debbano essere esclusi dalla compensazione sia i lavori contabilizzati nell’anno solare di presentazione dell’offerta, sia i lavori contabilizzati in un periodo di tempo inferiore all’anno solare (diversi da quelli contabilizzati nell’anno solare di presentazione dell’offerta, si applica per intero la variazione del prezzo di cui al decreto ministeriale. Ad esempio, possiamo dire che nell’ipotesi di un’offerta presentata nel gennaio 2003, con inizio lavori aprile 2003 e ultimazione dei lavori 2004, per i lavori contabilizzati nel corso del 2003 non opererà la compensazione, che invece opererà per i lavori contabilizzati nel 2004. Una prima conclusione: i momenti da tenere i considerazione sono quelli della presentazione delle offerte e della contabilizzazione, indipendentemente dalla momento esecutivo dei lavori; b)la compensazione, qualora il decreto ministeriale annuale rilevi le suddette variazioni, va calcolata innanzitutto sulle quantità accertate dal direttore dei lavori e deve essere determinata: — dal decreto ministeriale si rileva la variazione in percentuale eccedente il 10% del singolo materiale da costruzione nell’anno solare di presentazione dell’offerta e la si applica al prezzo; — la variazione del prezzo unitario così determinata va applicata alle quantità del singolo materiale da costruzione contabilizzate nell’anno solare precedente al decreto ministeriale annuale, per effetto del quale è risultata la variazione in parola. L’esempio a tal proposito contenuto nell’art. 3 della Circolare appare chiaro ed eloquente. Certo è che i prezzi riportati nel decreto ministe- 390 Capitolo XIII riale annuo hanno valore unicamente di parametro e non interferiscono assolutamente con i prezzi contrattuali dei singoli appalti; c) il comma 2 dell’art. 2 della circolare 871/05 disciplina la determinazione delle quantità del singolo materiale da costruzione, per il quale va applicata la variazione di prezzo unitario e la relativa compensazione; pertanto, quest’ultima riguarda sia opere contabilizzate a misura sia opere contabilizzate a corpo. La determinazione è effettuata dal Direttore dei lavori, il quale, se il singolo materiale da costruzione risulti presente come tale in contabilità, deve individuarne da registro di contabilità le quantità contabilizzate (per le opere contabilizzate a misura), ovvero le percentuali di avanzamento cui corrispondono le quantità determinate sulla base delle previsioni progettuali (per le opere contabilizzate a corpo). Inoltre, nell’ipotesi in cui il singolo materiale da costruire fosse compreso in lavorazione più ampia, il Direttore del lavori dovrà ricostruirne la relativa incidenza quantitativa sulla base della documentazione progettuale e degli allegati elaborati grafici; d)all’eventuale compensazione non si applica l’istituto della riserva: la compensazione, ove ne ricorrono i presupposti, è un diritto riconosciuto ex lege (art. 2, comma 4); e) gli ultimi commi dell’art. 2, disciplinano la procedura da seguire, secondo regole fissate nella maggior snellezza possibile. In particolare: – avvio su richiesta dell’appaltatore alla stazione appaltante, successivamente all’emanazione del decreto ministeriale annuale; indicazione nell’istanza dei materiali da costruzione per i quali si ritiene siano dovute compensazioni; – onere per la stazione appaltante di verificare, tramite il Direttore dei lavori, l’eventuale maggiore onerosità subita dall’istante, provata con adeguata documentazione, dichiarazioni di fornitori o subcontraenti o con altri idonei mezzi di prova relativi al prezzo pagato dall’appaltatore rispetto a Termini di adempimento, penali, adeguamenti dei prezzi – – – – 391 quello documentato dallo stesso con riferimento al momento dell’offerta; una deroga a quanto ora espresso: in presenza di materiali da costruzione che hanno subìto variazioni in diminuzione, la procedura è avviata d’ufficio dalla stazione appaltante entro 90 giorni dall’emanazione del decreto ministeriale annuale. In tale ipotesi entra in gioco anche la figura del Responsabile del procedimento, che accerta il credito della stazione appaltante e lo attesta mediante proprio provvedimento, procedendo poi al recupero; la variazione percentuale relativa alla maggiore onerosità documentata dall’appaltatore è il discrimine e cambia la compensazione. Infatti, se quella sia inferiore alla rilevazione del decreto, la compensazione è riconosciuta limitatamente alla predetta variazione inferiore per la parte eccedente al 10%; se la variazione fosse superiore, la compensazione risulterebbe riconosciuta nel limite massimo della variazione per la parte eccedente al 10%; ancora un termine temporale paro a 90 giorni, suddiviso in due fasi: nei 45 giorni dal ricevimento dell’istanza, il Direttore dei lavori effettua i conteggi per le compensazioni e li presenta poi alla stazione appaltante; negli altri 45 giorni, che decorrono da quest’ultima presentazione dei conteggi, il Responsabile del procedimento verifica la eventuale disponibilità delle somme nel quadro economico di ogni singolo intervento e segue la procedura ex art. 26, comma 4–sexties, ult. periodo, l. 109/94 e s.m.i. In tale termine ultimo, il Responsabile del procedimento, verificati e convalidati i conteggi, provvede all’emissione del certificato di pagamento, dall’emissione del quale si applica quanto contenuto dall’art. 29, comma 1 del d.m. 145/2000; ove sussista la disponibilità finanziaria della stazione appaltante e questa non abbia provveduto all’emissione del relativo certificato pagamento risulta essere causa imputabile alla 392 Capitolo XIII stazione appaltante stessa e pertanto relativamente agli interessi per ritardato pagamento si applicherà l’art. 30, commi 1 e 2 del d.m. 145/2000; – se il Direttore dei lavori riscontri un ritardo addebitabile all’appaltatore relativamente all’andamento dei lavori rispetto al cronoprogramma, ritardo questo relativo a lavorazioni direttamente incidenti su materiali oggetto di compensazione, non si applicano le compensazioni in aumento dovute al protrarsi dei lavori oltre l’anno solare entro il quale erano stati previsti nel predetto cronoprogramma Pertanto, gli elementi necessari al fine di effettuare la suddetta comparazione con i valori riportati dal decreto ministeriale annuale devono essere solamente il prezzo offerto dall’appaltatore e il costo effettivamente sostenuto da quest’ultimo. Capitolo XIV La sospensione dei lavori Come è noto, l’eventuale sospensione dei lavori1 può avvenire, in astratto, tanto per iniziativa dell’appaltatore quanto per iniziativa dell’amministrazione appaltante, fermo restando che il legittimo potere di disporre la sospensione compete solo all’amministrazione appaltante, in quanto l’appaltatore per nessun motivo può interrompere l’esecuzione dell’opera o rallentarne l’andamento, sussistendo in capo allo stesso l’obbligo generale di eseguire i lavori in via continuativa fino alla relativa ultimazione. La sospensione è legittima o illegittima a seconda della causa che ne sta alla base. In particolare, secondo la normativa generale in materia di lavori pubblici, due sono le ipotesi di legittima sospensione: 1) per circostanze speciali quali la forza maggiore e le condizioni climatologiche (ex art. 30, comma 1 del d.p.r. 16 luglio 1962, n. 1063 e, ai sensi dell’attuale normativa, ex art. 133, comma 1 del d.p.r. 554/99), che consistono appunto in speciali fattori esterni che impediscono l’esecuzione o la realizzazione delle opere a regola d’arte; 2) per ragioni di pubblico interesse e necessità (ex art. 30, comma 2 del d.p.r. 16 luglio 1962, n. 1063 e, ai sensi dell’attuale normativa, ex art. 133, comma 2 del d.p.r. 554/99). 1. Cfr. sul tema Cianflone, Giovannini, L’Appalto, op. cit. pp. 853 e ss.; P. Carbone, La disciplina della sospensione dei lavori nel d.p.r. 21 dicembre 1999, n. 554 e nel d.m. 19 aprile 2000, n, 145, in «Riv. Trim. Appalti», 2002, 413; M. Mazzone, L. Loria, Manuale, op. cit., pp. 550 e ss. 393 394 Capitolo XIV Al di fuori delle ipotesi sopra indicate la sospensione è illegittima (art. 25, comma 1 del d.m. 145/2000). La sospensione è illegittima e dà luogo comunque al diritto dell’appaltatore al risarcimento del danno ove si dimostri o sia certo che la stessa sospensione dipende da fatto imputabile a colpa dell’amministrazione. La legittimità o meno della sospensione deve essere accertata sulla base di una valutazione delle cause che obiettivamente l’hanno determinata, a nulla rilevando la motivazione formale addotta dall’amministrazione al relativo provvedimento. In altri termini, l’amministrazione non può dissimulare le proprie inadempienze adducendo sic et simpliciter la sussistenza di una causa di forza maggiore o di pubblico interesse. In tutte le ipotesi in cui la sospensione è determinata da responsabilità della stazione appaltante, essa è illegittima ab origine e determina il diritto dell’appaltatore al risarcimento del danno dal momento in cui ha avuto inizio. Tornando alle ipotesi di sospensione legittima, si è detto che esse sono quelle determinate: 1) da cause di forza maggiore; 2) da ragioni di pubblico interesse o necessità. In linea generale, le ipotesi di cui al punto 1) sono tutte riconducibili al concetto di matrice civilistica di “forza maggiore”, in quanto deve trattarsi di circostanze di carattere oggettivo, nel senso che prescindono dalla responsabilità della stazione appaltante (o dell’appaltatore), impreviste e imprevedibili e comunque inevitabili anche con la dovuta diligenza professionale. Nella vigente normativa di cui all’art. 24, comma 1 del d.m. 145/2000 è anche precisato che tra le circostanze speciali che legittimano la sospensione dei lavori è altresì inclusa l’ipotesi in cui la relativa esigenza sia determinata dalla necessità di redigere una perizia di variante per i motivi di carattere oggettivo di cui all’art. 132, c. 1 lett. a), b), c), d) del Codice (è l’abrogato art. 25, c. 1 lett. a), b), b–bis) e c) della l. 109/94 e s.m.i. (sopravvenute disposizioni legislative, cause imprevedibili sopravvenute, possibilità di utilizzare — senza maggiore La sospensione dei lavori 395 spesa — materiali migliori o nuove tecnologie, cause di natura geologica, idrica e simili non prevedibili al momento del contratto). Deve dunque trattarsi di varianti originate da eventi imprevedibili, posto che, al contrario, sussisterebbe l’ipotesi di errore progettuale e, quindi, la sospensione sarebbe illegittima. Peraltro, allorché l’amministrazione, nella redazione e nell’approvazione della perizia, superi i tempi tecnici ragionevolmente necessari, la sospensione, originariamente legittima — in quanto riconducibile a causa di forza maggiore — diverrebbe illegittima. In presenza delle circostanze di carattere speciale come sopra definite, la sospensione dei lavori costituisce un obbligo della stazione appaltante e determina il diritto dell’appaltatore al differimento del termine contrattuale per un periodo corrispondente al ritardo prodotto dalla causa a lui non imputabile. Per converso, secondo quanto previsto dall’art. 30, comma 3 del d.p.r. 16 luglio 1962, n. 1063 e, oggi, dall’art. 24, comma 5 del d.m. 145/2000 per la sospensione dei lavori legittima, in quanto fondata su causa di forza maggiore e dunque per fatto non riconducibile a colpa della stazione appaltante, all’appaltatore non compete alcun compenso o indennizzo. Peraltro, in linea di principio, in presenza di una sospensione legittima, l’appaltatore resta vincolato al contratto nel senso che deve necessariamente attendere la cessazione della causa di forza maggiore e, dunque, la ripresa dei lavori. Per quanto concerne la sospensione dei lavori per ragioni di pubblico interesse o necessità, si osserva che tale ipotesi, a differenza di quella determinata da forza maggiore, non si ricollega all’obiettiva impossibilità di eseguire le opere, bensì alla valutazione discrezionale del responsabile del procedimento della maggiore convenienza, in termini di pubblico interesse o necessità, di sospendere i lavori piuttosto che di proseguirli. Resta fermo che, in tal caso, la legittimità della sospensione è strettamente correlata al corretto esercizio del potere discrezionale da parte della pubblica amministrazione. Dunque, la sospensione per “pub- 396 Capitolo XIV blico interesse” è un provvedimento discrezionale del responsabile del procedimento, soggetto ad impugnazione (per vizi di legittimità) da parte dell’appaltatore. Per quanto riguarda la durata della sospensione, esiste una disciplina diversa a seconda che la causa sia: di forza maggiore ovvero di pubblico interesse o necessità. Come è noto, mentre la sospensione per cause di forza maggiore può avere durata indeterminata — per tutto il tempo cioè in cui permangono le cause ostative alla ripresa — e non dà luogo al diritto dell’appaltatore di recedere dal contratto o ad indennizzi o compensi di sorta, fatto salvo quanto previsto oggi dall’art. 24, comma 3 del d.m. 145/2000, la sospensione dei lavori per pubblico interesse è soggetta a limiti temporali prefissati, superati i quali l’appaltatore ha facoltà di chiedere all’amministrazione l’assenso alla risoluzione consensuale del contratto. Tale principio, come accennato, è sancito dall’art. 24, comma 4 del d.m. 145/2000 (che in ciò ricalca esattamente quanto disposto dall’art. 30, comma 2 secondo periodo del d.p.r. 1063/1962) secondo cui, qualora la sospensione o, se più di una, le sospensioni complessivamente considerate superino sei mesi o comunque un quarto del tempo contrattuale, l’appaltatore può chiedere la risoluzione del contratto. Come accennato, l’assenso dell’amministrazione alla risoluzione contrattuale esclude il diritto dell’appaltatore a qualsiasi forma di risarcimento del danno. Al contrario, se l’amministrazione nega il suo assenso, l’appaltatore avrà diritto al ristoro dei maggiori oneri e danni per il periodo eccedente i suddetti termini. Il risarcimento spettante all’appaltatore in siffatta ipotesi, secondo quanto espressamente previsto dalla disposizione in parola, include solo il ristoro dei maggiori oneri (spese generali variabili, spese per il personale, mancato ammortamento, premi fideiussori ecc.). La richiesta di risoluzione del contratto sembrerebbe integrare una vera e propria condizione per la sussistenza del diritto dell’appaltatore al ristoro dei maggiori oneri. La sospensione dei lavori 397 Peraltro, la disposizione in parola, nel subordinare alla suddetta condizione il diritto dell’appaltatore al ristoro dei danni, integra una norma di carattere eccezionale, che dunque non è suscettibile di applicazione in via analogica o estensiva al diverso caso di sospensione originata da cause di forza maggiore. Per quanto riguarda, invece, l’ipotesi di sospensione per forza maggiore che si protragga oltre il tempo strettamente necessario, va rilevata una diversa regolamentazione di ciò nel d.p.r. 1063/1962 rispetto a quanto previsto nel d.m. 145/2000. Secondo quest’ultima normativa, la sospensione dei lavori da originariamente legittima (in quanto causata da forza maggiore) può divenire illegittima a seguito di comportamenti colpevoli dell’amministrazione, quali la mancata disposizione della ripresa dei lavori nonostante la cessazione della causa di forza maggiore ovvero la eccessiva durata della sospensione disposta per l’adozione di una variante il cui iter si sia prolungato oltre i tempi tecnici necessari. Nell’ipotesi in cui la stazione appaltante, pur essendo cessate le cause di forza maggiore legittimanti la sospensione, non disponga la ripresa dei lavori, l’impresa esecutrice (ex art. 24, comma 3 del d.m. 145/2000) può diffidare la stazione appaltante alla ripresa e chiedere il risarcimento dei danni da sospensione per il periodo intercorrente tra la cessazione della causa della sospensione stessa e il verbale di ripresa. In tale ultima ipotesi, il diritto al ristoro del danno subito, secondo quanto previsto espressamente dall’art. 24, comma 3, del d.m. 145/2000 è subordinato alla duplice condizione che l’appaltatore abbia diffidato formalmente la stazione appaltante alla ripresa dei lavori e abbia, poi, iscritto relativa riserva sul verbale di ripresa. Lo stesso dicasi nell’ipotesi in cui la durata oltre i tempi tecnici della sospensione disposta per la necessità di adottare una variante sia correlata al comportamento negligente della stazione appaltante. L’articolo 30 del d.p.r. 16 luglio 1962 n. 1063 nulla prevedeva né in relazione all’ipotesi di protrazione della sospensione oltre la data di cessazione delle cause di forza maggiore, né in relazione alla protra- 398 Capitolo XIV zione della sospensione oltre i tempi tecnici per l’adozione di varianti progettuali. Come evidenziato, sia nel caso di sospensione determinata da causa di forza maggiore, sia nel caso di sospensione determinata da fatto imputabile alla stazione appaltante, la stessa stazione appaltante deve, senza alcuna possibilità di apprezzamento discrezionale, concedere un termine suppletivo commisurato al ritardo. Sul piano normativo tale principio è sancito dall’art. 24, comma 6 del d.m. ll. pp. 145/2000 che, appunto, prevede: in ogni caso, e salvo che la sospensione non sia dovuta a cause attribuibili all’appaltatore, la sua durata non è calcolata nel tempo fissato dal contratto per l’esecuzione dei lavori. Dalla stessa disposizione, peraltro, si evince che in ipotesi di sospensione totale, il termine suppletivo da concedere all’appaltatore deve essere pari al numero dei giorni residui alla scadenza del termine contrattualmente previsto per l’ultimazione dei lavori, al momento della sospensione. In altri termini, la sospensione dei lavori, sotto il profilo temporale, implica semplicemente la sospensione del termine per l’ultimazione dei lavori fissato nel contratto d’appalto, termine che, dunque, riprenderà a decorrere dal momento della ripresa dei lavori. Per quanto concerne l’ipotesi di sospensione parziale dei lavori, il successivo comma 7 della stessa disposizione di cui all’art. 24 del d.m. ll. pp. 145/2000 indica il criterio da seguire ai fini del computo del termine suppletivo da concedere all’appaltatore, disponendo: alla sospensione parziale dei lavori ai sensi dell’articolo 133, comma 7, del regolamento, si applicano i commi 1, 2 e 5; essa determina altresì il differimento dei termini contrattuali pari ad un numero di giorni determinato dal prodotto dei giorni di sospensione per il rapporto tra ammontare dei lavori non eseguiti per effetto della sospensione parziale e l’importo totale dei lavori previsto nello stesso periodo secondo il programma dei lavori redatto dall’impresa. La sospensione dei lavori 399 Dunque, nell’ipotesi di sospensione parziale, il calcolo del termine suppletivo deve comunque fare riferimento alla tempistica preventivata dall’appaltatore relativamente alle specifiche lavorazioni interessate dalla sospensione e cioè al c.d. cronoprogramma. Secondo i generali principi, quindi, dall’eventuale illegittimità di una sospensione disposta deriverebbe non solo il diritto dell’appaltatore al ristoro delle voci di danno, come specificamente individuate dall’art. 25, comma 2 del d.m. ll. pp. 145/2000 (spese generali infruttifere, mancato utile, mancato ammortamento dei macchinari etc.), nonché di quelle “ulteriori voci di danno solo se documentate e strettamente connesse alla sospensione dei lavori” (art. 25, comma 3 d.m. 145/2000), ma anche il diritto alla ridefinizione dei tempi esecutivi dell’appalto e, cioè, alla proroga del termine contrattuale per l’ultimazione dei lavori. Pertanto, si ritiene che l’appaltatore, in quell’ipotesi, abbia diritto al ristoro dei maggiori oneri patiti in rapporto a tutto il periodo di sospensione dei lavori, trattandosi di sospensione illegittima ab origine senza alcuna franchigia temporale e a prescindere dal fatto che la durata della sospensione si sia protratta oltre i limiti temporali stabiliti dalla legge e senza che fosse necessario diffidare la stazione appaltante e/o avvalersi della facoltà di domandare lo scioglimento dal contratto ex art. 24, comma 4 del d.m. 145/2000. È, peraltro, appena il caso di ricordare che l’azionabilità delle pretese risarcitorie da parte dell’appaltatore è comunque subordinata alla tempestiva e rituale iscrizione della relativa riserva nel verbale di sospensione, di ripresa e in contabilità. Ciò posto, appare utile verificare quali siano in concreto le voci di danno ristorabili. Al riguardo, come anticipato, è il legislatore stesso che predetermina e fissa le modalità di calcolo dei danni da risarcire all’appaltatore in caso di sospensione illegittima (ovvero di sospensione divenuta illegittima), prevedendo all’art. 25, comma 2 del d.m. 145/2000, lettera a), b), c) e d) i relativi criteri e voci e stabilendo al successivo comma 3 la risarcibilità del danno ulteriore “se documentato e strettamente connesso alla sospensione”. 400 Capitolo XIV Con quest’ultima disposizione, si è riconosciuto che l’appaltatore può ottenere il risarcimento di ulteriori voci di danno diverse da quelle indicate nel comma 2 con l’unico limite che sia in grado di fornirne prova documentale, il che consente di riconoscergli, ad esempio, i maggiori premi pagati per fideiussioni e assicurazioni nel periodo di sospensione come pure il lucro cessante, ossia l’utile che avrebbe potuto realizzare in altri cantieri ove non fosse stato vincolato all’appalto sospeso, ma sempreché sia nelle condizioni di provare per iscritto di aver dovuto rinunciare ad altre occasioni di lavoro; nonché i noli di mezzi d’opera, se dimostri per iscritto di aver dovuto corrispondere i canoni di noleggio anche nel periodo di sospensione e così via dicendo. Più difficile è ipotizzare che l’aggiornamento dei prezzi per il lungo tempo trascorso possa trovare ingresso per tale via, non trattandosi di voce di danno dimostrabile con “prova documentale” analoga a quella delle fideiussioni, noleggi, assicurazioni o perdita di chance. Semmai, laddove il sinallagma contrattuale risulti definitivamente compromesso dal perdurare della illegittima sospensione dei lavori, l’appaltatore sarebbe legittimato a chiedere la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta ex art. 1467 del codice civile, il cui effetto, peraltro, potrebbe essere evitato dall’Amministrazione con la cosiddetta offerta di reductio ad aequitatem, di cui al comma 3 dell’art. 1467 secondo cui “la parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto”. In conclusione, all’appaltatore che abbia iscritto tempestiva riserva compete senza dubbio: 1) il risarcimento dei danni per la sospensione illegittima come quantificati dall’art. 25, comma 2 del d.m. 145/2000, più le voci ulteriori comprovabili “documentalmente”; 2) la proroga del termine contrattuale previsto per l’ultimazione dei lavori. Infine, laddove a prescindere dal ristoro delle voci di danno, il sinallagma contrattuale sia stato definitivamente compromesso in danno dell’appaltatore, questi può chiedere la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta ex art. 1467 c.c., a sua volta evitabile dall’Amministrazione attraverso una proposta di riconduzione La sospensione dei lavori 401 ad equità del contratto, che può passare anche attraverso un aggiornamento dei prezzi di contratto. Il tutto senza dimenticare che in presenza di ulteriori profili di grave inadempimento da parte della stazione appaltante, l’appaltatore ha sempre la possibilità di chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento della P.A. e in tale sede chiedere il risarcimento pieno del danno. L’interrogativo, infine, che si potrebbe porre consisterebbe nel verificare se e secondo quali modalità possano essere fatte valere le eventuali numerose sospensioni dei lavori che possono verificarsi nel corso di un appalto, mai formalmente disposte dalla stazione appaltante, anche al fine di ottenere una proroga del termine per l’ultimazione dell’opera. Alla luce delle delineate considerazioni, appare evidente come, sia il diritto ad ottenere una proroga dei termini contrattuali, che il diritto dell’Impresa ad ottenere il risarcimento dei danni, sia condizionato dalla legittimità o meno delle cause che hanno determinato le sospensioni. In particolare, in ogni ipotizzabile fattispecie, occorre in primo luogo appurare se per contratto l’onere di rimuovere gli ostacoli in generale che hanno determinato le eventuali sospensioni verificatesi nel corso dell’esecuzione dei lavori fosse a carico della stazione appaltante, ovvero a carico della stessa Impresa esecutrice. Una volta accertato che tale onere fosse previsto a carico della stazione appaltante, le sospensioni, sia pure mai formalizzate dalla stazione appaltante, risulterebbero senz’altro illegittime e perciò tali da costituire il fondamento di istanze risarcitorie da parte dell’Impresa esecutrice, da far valere mediante iscrizione di apposita riserva. Tuttavia, alla formalizzazione di sospensioni parziali o totali imputabili alla stazione appaltante non potrebbe provvedersi nell’ipotesi in cui si tratti di sospensioni risalenti nel tempo ed eventualmente superate dal venir meno della relativa causa. Più precisamente, con riferimento a tali ultime sospensioni, l’amministrazione non potrebbe procedere “ora per allora” all’emanazione di un formale provvedimento di sospensione. 402 Capitolo XIV In tal caso, comunque, le istanze risarcitorie potrebbero essere accolte dalla stazione appaltante, in sede di eventuale accordo bonario ex articolo 240 del Codice (è l’abrogato art. 31 bis l. 109/94), laddove per ipotesi la stessa stazione appaltante riconoscesse l’imputabilità a proprio carico delle cause delle sospensioni pregresse. Diverso è il discorso per quel che concerne un’eventuale sospensione in corso. In tal caso, l’amministrazione potrebbe disporre un formale provvedimento di sospensione, mediante apposito verbale, specificando le ragioni che ne determinano la necessità e specificando che in relazione alla durata e alla natura totale o parziale della sospensione stessa, sarà concesso all’Impresa un congruo termine di proroga per l’ultimazione dei lavori. È appena il caso di precisare che, in ogni caso, il predetto verbale dovrà essere sottoscritto con riserva dall’Impresa, al fine del successivo verbale di ripresa. Capitolo XV Risoluzione del contratto. Recesso Fallimento dell’appaltatore: questioni In generale, nelle previsioni conteute nel codicie civile, un contratto può sciogliersi per le seguenti ragioni: perché le prestazioni sono regolarmente cessate (ad esempio, l’appaltatore ha terminato le lavorazioni e dopo il collaudo l’amministrazione ha accettato definitivamente l’opera); per mutuo consenso delle parti; per risoluzione causata dall’inadempimento di una parte (art. 1453 cod. civ.); per eccessiva onerosità della prestazione (art. 1467 cod. civ.); per impossibilità sopravvenuta (art. 1463 cod. civ). La risoluzione segna un momento patologico del contratto, fino a determinarne lo scioglimento. Nell’ambito degli appalti di lavori pubblici le caratteristiche della risoluzione, in coerenza con il c.d. principio di specialità di cui s’è detto, sono espressamente previste dal Codice De Lise, agli artt. 135 e 136. Dato il rilievo attribuibile all’atto di risoluzione di un contratto d’appalto, il legislatore ha dettato, infatti, per la materia dei lavori pubblici una attenta disciplina al fine di individuare le cause che possono legittimamente determinare la fine di un rapporto contrattuale di lavori pubblici. A tale riguardo, occorre premettere che uno dei principi fondamentali del diritto privato è costituito dal c.d. divieto dell’autotutela. Questo divieto agisce nel senso che, tra i privati, il titolare di una pre403 404 Capitolo XV tesa non può conseguire la sua realizzazione se non dopo averla fatta riconoscere dall’autorità giudiziaria e nel senso che, ove si tratti di una prestazione di carattere materiale, egli non può agire direttamente per la esecuzione coattiva, ma deve procedervi solo a mezzo degli organi a ciò preposti e previa sentenza di condanna. Sennonché, nel settore dei lavori pubblici dapprima gli artt. 118 e 119 del d.p.r. 554/99, poi gli artt. 135 e 136 del Codice sono intervenuti sull’argomento disciplinando in modo autonomo le ipotesi (di reati accertati, grave inadempimento, grave irregolarità o grave ritardo) che possono condurre alla risoluzione del contratto per fatto imputabile all’appaltatore, e le stesse modalità con cui agire per la risoluzione del contratto. La pronuncia di risoluzione, l’esecuzione di ufficio, il riappalto in danno rappresentano tutte forme di autotutela, di che, alcune, in via dichiarativa e, altre, in via di esecuzione coattiva, incidono su di un rapporto di diritto privato e ciò in deroga al divieto di autotutela che in linea generale varrebbe anche per la pubblica amministrazione. Il principio di autotutela è infatti connaturale alla pubblica amministrazione solo rispetto ai rapporti di diritto pubblico, mentre, rispetto ai rapporti di diritto privato, è inteso come mezzo eccezionale e soltanto un’espressa norma di legge, come nel caso specie, può accordarlo e prevederlo. Più nello specifico, la risoluzione prevista dall’art. 135 del Codice si pone in linea con quelli che erano già gli elementi delineati precedentemente con l’art. 340 della l. 2248/1865. Tale norma è stata intesa dal legislatore come diretta ad individuare e tipizzare le fattispecie sulla base delle quali il responsabile del procedimento possa valutare discrezionalmente l’opportunità di procedere alla risoluzione del contratto. Il presupposto per tale valutazione deve essere necessariamente l’emanazione di un provvedimento definitivo che dispone l’applicazione di una misura di prevenzione nei confronti di quei soggetti che possono essere definiti pericolosi per la sicurezza e per la pubblica moralità ex art. 3 della l. 1423/1956, o per il passaggio in giudicato di Risoluzione del contratto. Recesso. Fallimento dell’appaltatore: questioni 405 una sentenza di condanna per frodi nei riguardi dei soggetti coinvolti direttamente nei lavori o dei soggetti comunque interessati ai lavori o per violazione degli obblighi attinenti alla sicurezza sul lavoro. Riguardo alla disciplina previgente si può notare come la volontà del legislatore sia stata quella di restringere quello che era il precedente ambito applicativo dell’istituto; infatti considerando la previgente disciplina, era sufficiente per poter ricadere in tale ipotesi normativa il fatto che sussistesse un evento che potesse semplicemente dar luogo ad un procedimento per frode; cosa che si differenzia profondamente rispetto alle attuali previsioni normative secondo cui invece è assolutamente necessario che «sia intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato». Pertanto, come chiaramente emerge dall’attuale disciplina, il legislatore ha inteso posticipare il momento di tutela imponendo che si possa procedere con la risoluzione del contratto ex art. 135 cit. soltanto nell’ipotesi in cui sussista un reato già definitivamente accertato, con sentenza passata in giudicato. Ma è bene scendere un pò di più nel particolare della prescrizione contenuta nell’art. 135. È un articolo che rispetto all’abrogato art. 118 del d.p.r. 554/99 presenta modifiche che lo rendono più preciso ed aggiunte che lo rendono più ampio. Il d.lgs. 113/07 opera due in due tempi gli interventi modificativi sul testo dell’articolo. Con l’art. 1, comma 1 lett. p) restringe la valutazione del responsabile del procedimento: l’attuale formulazione stabilisce che egli “propone” (indicativo che, come è noto, in legge vale imperativo) alla stazione appaltante di procedere alla risoluzione, qualora avvenga una delle situazioni descritte nel comma 1 dell’art. 135. Ma, come dato che di poco fa spostare la facoltà in obbligo, rimane l’espressione “in relazione allo stato dei lavori e alle eventuali conseguenze nei riguardi delle finalità dell’intervento”. Pertanto, si assiste con la novella qui operata dal II Decreto correttivo al restringimento della «valutazione dell’“opportunità”» all’«obbligo di proporre» la risoluzione se si è in presenza di una delle 406 Capitolo XV situazioni indicate dal comma 1, fermo restando, però, che il tutto deve sempre essere preventivamente giudicato dal responsabile del procedimento in relazione allo stato dei lavori ed alle conseguenze eventuali. Solo a sèguito di tale giudizio, sembra allora potersi affermare che il responsabile del procedimento “dovrà” (e non più “potrà”) proporre la risoluzione alla stazione appaltante. Il secondo intervento del d.lgs. 113/07 sull’art. 135 del Codice è operato dall’art. 3, comma 1 lett. i), ove al n. 2) è previsto l’inserimento oltre alle misure di prevenzione personali indicate dalla l. 1423/56 all’art. 3, anche le misure previste dalla legge 575/1965, agli artt. 2 e seguenti. Con tale modifica vengono a rilevare ai fini di quanto sancito nell’art. 135 del Codice anche quelle misure che, in materia di antimafia (e limitatamente a quelle previste negli artt. 2–bis, 2–ter, 3–bis e 3–ter della l. 575/65), possono essere poste a base dell’informativa prefettizia come documenti da cui desumere tentativi di infiltrazione mafiosa (d.p.r. 252/1998, art. 10, comma 7 lett. b). Il n. 1) della lett. i), comma 3 del d.lgs. 113/07 modifica, ampliandola, la rubrica dell’art. 135: si aggiunge l’intitolazione in forza della nuova previsione contenuta nel comma 1–bis (inserito dal n. 3) della lett. i) dell’art. 3 del II Decreto correttivo). Fra le ipotesi di risoluzione — stavolta ex opere operato, cioè la risoluzione avviene senza dubbio al verificarsi di quanto espresso da comma 1–bis — viene ad essere prevista espressamente quella in cui sia intervenuta a monte la revoca — risultante dal casellario informatico — dell’attestazione di qualificazione per aver prodotto falsa documentazione o aver dichiarato con mendacio. Il riferimento alla revoca dell’attestazione è all’art. 40, comma 9–ter così come novellato dal d.lgs. 113/07. È quanto meno singolare che il Legislatore, una volta rivisitato od ampliato il contenuto dell’art. 135, abbia ancora mantenuto la dizione di “Risoluzione del contratto per reati accertati” nella prima parte della rubrica, intitolazione che già era parziale e limitata nella vecchia formulazione dell’abrogato art. 118 del d.p.r. 554/99 eppoi dell’art. 135, prima della novella suddetta. A fronte della rubrica relativa a Risoluzione del contratto. Recesso. Fallimento dell’appaltatore: questioni 407 reati accertati il contenuto della disposizione del comma 1 si apre anche alle ipotesi di applicazione di una o più misure di prevenzione ed alla violazione degli obblighi attinenti alla sicurezza sul lavoro, a cui giustamente il d.lgs. 113/07 dedica massima attenzione dettando nuove regole (la mancanza dei piani di sicurezza, invece, ab origine è causa di nullità del contratto per espressa previsione dell’art. 131, comma 5). *** Il successivo art. 136 del Codice, che disciplina l’ipotesi di risoluzione del contratto per grave inadempimento, grave irregolarità e grave ritardo, deve essere considerato come uno strumento di autotutela disposto a favore della Pubblica Amministrazione, in aggiunta agli ordinari poteri previsti dalla disciplina privatistica. Tale disposizione normativa prevede, come presupposto, il fatto che sia individuato un grave inadempimento idoneo a “compromettere la buona riuscita dell’opera”. L’art. 136 del Codice sotto il profilo procedurale prevede che il direttore dei lavori, che abbia accertato un grave inadempimento dell’appaltatore capace di compromettere la buona riuscita dei lavori, dovrà inviare al responsabile del procedimento una relazione particolareggiata corredata dei documenti necessari, indicando la stima dei lavori eseguiti regolarmente e che devono essere accreditati all’appaltatore. La norma in esame è diretta a mettere il responsabile del procedimento in condizione di effettuare l’analisi dei costi–benefici per decidere se promuovere o meno la risoluzione del contratto. Nelle ipotesi indicate dalla normativa in esame emerge come il legislatore abbia voluto che fosse eseguita, in materia di appalti pubblici, una valutazione ex ante e in astratto sull’interesse all’adempimento, visto che il fine ultimo dei contratti di lavori pubblici è quello di assicurare la “buona riuscita dei lavori”. La disciplina, tuttavia, pur nella genericità espositiva sulla definizione di “inadempimento grave”, ha altresì stabilito che deve necessariamente sussistere uno stretto legame tra quello che è il concetto 408 Capitolo XV di gravità e quello dell’idoneità a compromettere la buona riuscita dei lavori. Pur nell’ampiezza del valore interpretativo che si può attribuire al termine “inadempimento” — il quale può comprendere un numero piuttosto ampio di ipotesi identificative — esso va inteso nell’accezione più restrittiva derivante dall’aggiunta dell’aggettivo “grave”. *** Diverso istituto rispetto alla risoluzione è il recesso in forza del quale si ha comunque lo scioglimento del contratto. Anche in tema di recesso, rimane la medesima normativa dell’art. 122 del Regolamento d’attuazione della legge Merloni e dell’art. 345 della legge del 1865. Il recesso ha natura eccezionale nel quadro della suddette cause di scioglimento del contratto: il recesso è infatti deroga ai principi generali ricavabili dai modi per i quali un contratto può sciogliersi. Il recesso è esercizio di un diritto potestativo (che una delle situazioni giuridiche soggettive attive) ed è un atto negoziale avente natura ricettizia in quanto produce i suopi effetti da quando l’appaltatore è portato a conoscenza. Il ristoro dovuto all’appaltatore, a differenza di quano avviene per l’appalto di diritto civile ex art. 1671 cod. civ., è determinato preventivamente dalla legge (l’art. 134, comma 1 del codice, appunto). Per gli appalti pubblici la normativa è speciale e prevede (all’art. 134 del Codice) che la stazione appaltante ha il diritto di recedere in qualunque tempo dal contratto previo il pagamento dei lavori eseguiti e del valore dei materiali utili esistenti in cantiere, oltre al decimo dell’importo delle opere non eseguite. Il decimo dell’importo delle opere non eseguite è calcolato sulla differenza tra l’importo dei quattro quinti del prezzo posto a base di gara, depurato del ribasso d’asta, e l’ammontare netto dei lavori eseguiti. La ratio di tale dispozione sui 4/5 è da rinvenirsi nella speculare previsione contenuta nell’art. 12, comma 1 del d.m. 145/00, in cui è previsto che, indipendentemente dalle ipotesi previste dall’articolo 132 del Codice (cioè le varianti), la stazione appaltante può sempre ordinare l’esecuzio- Risoluzione del contratto. Recesso. Fallimento dell’appaltatore: questioni 409 ne dei lavori in misura inferiore rispetto a quanto previsto in capitolato speciale d’appalto, nel limite di 1/5 dell’importo di contratto e senza che nulla spetti all’appaltatore a titolo di indennizzo. L’esercizio del diritto di recesso è preceduto da formale comunicazione all’appaltatore da darsi con un preavviso non inferiore a venti giorni, decorsi i quali la stazione appaltante prende in consegna i lavori ed effettua il collaudo definitivo (art. 134, comma 3). Tale termine minimo di venti giorni, se non rispettato, non sembra avere la forza giuridica per inficiare il recesso, considerata appunto la ratio della comunicazione preventiva: consentire all’appaltatore di realizzare nel tempo a disposizione tutte le operazioni necessarie per consentire all’amministrazione committente di prendere in consegna la parte di lavori effettuata e collaudarla. I materiali il cui valore è riconosciuto dalla stazione appaltante a norma del comma 1 sono soltanto quelli già accettati dal direttore dei lavori prima della comunicazione del preavviso di cui al comma 3. La stazione appaltante può trattenere le opere provvisionali e gli impianti che non siano in tutto o in parte asportabili ove li ritenga ancora utilizzabili. In tal caso essa corrisponde all’appaltatore, per il valore delle opere e degli impianti non ammortizzato nel corso dei lavori eseguiti, un compenso da determinare nella minor somma fra il costo di costruzione e il valore delle opere e degli impianti al momento dello scioglimento del contratto. L’appaltatore deve rimuovere dai magazzini e dai cantieri i materiali non accettati dal direttore dei lavori e deve mettere i predetti magazzini e cantieri a disposizione della stazione appaltante nel termine stabilito; in caso contrario lo sgombero è effettuato d’ufficio e a sue spese. L’amministrazione può recedere dal contratto anche a sèguito della diffida ad adempiere eventualmente presentata dall’appaltatore per la risoluzione di diritto: ma, in tal caso, l’appaltatore può richiedere un risarcimento danni in misura superiore al 10% fissato dal comma 1 dell’art. 1341. *** 1. Cfr. Mazzone, Loria, Manule, op. cit., 2005, pp. 677 e ss. 410 Capitolo XV Tra le cause di scioglimento del contratto d’appalto, il nostro ordinamento prevede all’art. 81 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (c.d. legge fallimentare, ora modificata con il d.lgs. 5/06), il fallimento dell’appaltatore e infatti, tale disposizione normativa prevede che Il contratto di appalto si scioglie per il fallimento di una delle parti, se il curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori non dichiara di voler subentrare nel rapporto dandone comunicazione all’altra parte nel termine di giorni sessanta dalla dichiarazione di fallimento ed offrendo idonee garanzie. Il richiamo dell’art. 81, l.f., alle norme in materia di opere pubbliche si riferiva all’art. 10, comma 1 ter della l. 109/94 s.m.i. e attualmente all’art. 140 del Codice. In tal caso, la stazione appaltante stipulerebbe, dunque, un nuovo contratto d’appalto con il secondo classificato in sede di gara al prezzo offerto da quest’ultimo. Peraltro, con riferimento a tale disposizione di legge (ovviamente all’art. 10, comma 1–ter della legge Merloni, ora abrogata) la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che l’art. 10 comma 1 ter, l. 11 febbraio 1994 n. 109 (che) prevede la possibilità di stipula del contratto con il secondo classificato in una gara per l’aggiudicazione di lavori, è norma di stretta interpretazione, poiché costituisce eccezione ai fondamentali principi in materia di contratti della p.a., dell’affidamento dell’appalto al vincitore della gara; pertanto, il ricorrere della detta possibilità è subordinato all’esistenza di situazioni oggettive e soggettive, che denotino una peculiare situazione di urgenza, che ricorrono nel caso in cui i lavori, di cui all’appalto, siano già iniziati e si verifichi il fallimento o la risoluzione del contratto per grave inadempimento dell’originario appaltatore2. Si ricorda, peraltro, per completezza, che una disciplina diversa è prevista dall’art. 37, commi 18 e 19 del Codice e dall’art. 94 del d.p.r. 554/99, per l’ipotesi specifica, di “fallimento della mandataria o di un’impresa mandante”. Dall’attuale 140 del Codice si desume il principio generale — cui fanno eccezione le fattispecie di cui all’art. 37 del Codice e dell’art. 2. TAR Campania Salerno, sez. I, 28 novembre 2001, n. 1503. Risoluzione del contratto. Recesso. Fallimento dell’appaltatore: questioni 411 94 d.p.r. 554/99 — secondo il quale, in ogni caso, «il contratto di appalto di opere pubbliche si scioglie ope legis per effetto del fallimento dell’appaltatore»3. Più precisamente, la stessa giurisprudenza ha chiarito che nel contratto di appalto di opere pubbliche la prosecuzione del rapporto non è consentita in caso di fallimento dell’appaltatore sia perché trattasi di contratto “intuitus personae”, in cui costituisce motivo determinante la persona dell’appaltatore, sia perché il sub–ingresso del curatore è generalmente vietato dalla legge4. Alla luce della considerazioni che precedono non v’è dubbio che in ipotesi di fallimento dell’impresa appaltatrice, il contratto d’appalto (contratto base) si scioglierà di diritto e così, automaticamente, anche il contratto di subappalto e, più in generale, tutti gli eventuali altri subcontratti (non solo, dunque i subappalti di lavorazioni, ma anche, ad es., le subforniture, i noli a caldo etc.). Il contratto di subappalto verrebbe dunque travolto dalla caducazione del contratto d’appalto quale conseguenza legale del fallimento del subappaltatore. Quanto agli effetti del fallimento sulle polizze stipulate dall’appaltatore v’è subito da dire come tale evento non legittimi in alcun in modo la stazione appaltante alla relativa escussione. Come è noto, la cauzione definitiva di cui all’art. 129 del Codice5 e all’art. 101 del d.p.r. 554/99 assolve alla funzione di garantire l’adempimento dell’appaltatore a tutte le obbligazioni nascenti dal contratto d’appalto e di coprire gli oneri per il mancato o inesatto adempimento. Più precisamente, l’art. 101, commi 2 e 3 del d.p.r. 554/99 dispone: la cauzione viene prestata a garanzia dell’adempimento di tutte le obbligazioni del contratto e del risarcimento dei danni derivanti dall’eventuale ina- 3. 4. 5. Tribunale Roma, 19 maggio 2002. Tribunale Roma, 14 maggio 2002. Era l’abrogato art. 30 della l. 109/94 e s.m.i. 412 Capitolo XV dempimento delle obbligazioni stesse, nonché a garanzia del rimborso delle somme pagate in più all’appaltatore rispetto alle risultanze della liquidazione finale, salva comunque la risarcibilità del maggior danno. Le stazioni appaltanti hanno il diritto di valersi della cauzione per l’eventuale spesa sostenuta per il completamento dei lavori nel caso di risoluzione del contratto disposta in danno dell’appaltatore. Le stazioni appaltanti hanno il diritto di valersi della cauzione per provvedere al pagamento di quanto dovuto dall’appaltatore per le inadempienze derivanti dall’inosservanza di norme e prescrizioni dei contratti collettivi, delle leggi e dei regolamenti sulla tutela, protezione, assicurazione, assistenza e sicurezza fisica dei lavoratori comunque presenti in cantiere. Tale essendo la funzione che la legge in materia di lavori pubblici attribuisce alla cauzione definitiva, ne discende che la legittimità di procedere al relativo incameramento da parte della stazione appaltante è strettamente correlata alla sussistenza di fatti e circostanze qualificabili in termini di inadempimento contrattuale dell’appaltatore ad alcuni obblighi derivanti dal contratto d’appalto. Il fallimento, dal punto di vista del diritto materiale è certamente un avvenimento o fatto giuridico che determina una situazione giuridica estremamente complessa. In termini estremamente sintetici — non essendo questa la sede per accingersi ad una definizione della natura giuridica del fallimento, questione questa assai dibattuta dalla dottrina — può senz’altro dirsi che il fallimento è una situazione di insolvenza dell’imprenditore che si manifesta con fatti esteriori che dimostrano che l’imprenditore–debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. Certo è che il fallimento dell’appaltatore, intervenuto nel corso di un appalto, non integra di per sé un’ipotesi di inadempimento contrattuale e come tale non vale di per sé a determinare il diritto al risarcimento del danno da inadempimento. In altri termini, nello stato di insolvenza e perciò nella situazione di fallimento dell’imprenditore può semmai essere ravvisata la causa di un eventuale inadempimento contrattuale, e non già un’ipotesi che di per sé integra inadempimento contrattuale. Risoluzione del contratto. Recesso. Fallimento dell’appaltatore: questioni 413 In tale contesto la giurisprudenza ha più volte avuto modo di esprimersi, affermando che il fallimento di uno dei contraenti determina ex art. 81 l. fall. lo scioglimento del contratto di appalto ed esclude di conseguenza la configurabilità di un inadempimento6. In tal senso si è espressa la stessa giurisprudenza: il fallimento determina la scioglimento del contratto di appalto ex nunc e non ex tunc e non può essere fatto valere come ipotesi di inadempimento del debitore fallito. Ne consegue che se non esistono cause di inadempimento fatte valere prima del fallimento non può farsi luogo ad alcuna azione risarcitoria nei confronti della curatela fallimentare né analogamente potrebbe sorgere il diritto all’azione dopo la chiusura del fallimento nei confronti del fallito tornato in bonis, per la mancata integrale esecuzione delle opere commesse7. Ancora, a tale riguardo, secondo la giurisprudenza, lo scioglimento del contratto di appalto, a seguito della dichiarazione di fallimento di una delle parti, presuppone la pendenza del rapporto negoziale e costituisce fenomeno diverso dalla risoluzione; non è fondato sull’inadempimento, è previsto a favore del committente (che potrebbe non avere interesse alla prosecuzione del rapporto), opera con effetti ex nunc e non fa sorgere alcuna pretesa di danno8. A conferma dei delineati principi, come già evidenziato, nell’ipotesi di fallimento dell’impresa mandataria di un’associazione temporanea di imprese — la cui disciplina si rinviene nell’art. 37 del Codice — non si prevede il diritto della stazione appaltante di risolvere il contratto in via di autotutela e cioè di adottare il provvedimento di risoluzione 6. Cfr. Tribunale di Milano, 2 aprile 2002, n. 281; Tribunale Bari, 10 dicembre 2004; Tribunale Milano, 11 dicembre 2000; Cassazione civile, sez. I, 11 ottobre 1994, n. 8295. 7. Tribunale di Milano, 2 aprile 2002, n. 281. 8. Cfr. Tribunale di Milano, 11 dicembre 2000; Tribunale Bari, 10 dicembre 2004. 414 Capitolo XV per grave inadempimento, ai sensi dell’art. 136 del Codice9, bensì di recedere dal rapporto di appalto (art. 134 del Codice). Più precisamente, secondo quanto stabilito dalla menzionata disposizione normativa, in siffatta ipotesi, il soggetto appaltante, sulla base di proprie insindacabili valutazioni, ha la possibilità di recedere dall’appalto, oppure di proseguire lo stesso ove, in sostituzione della mandataria fallita subentri altra impresa cui venga conferito mandato ai sensi dell’art. 93 del d.p.r. 554/99, purché l’impresa subentrante possegga i requisiti di idoneità per l’esecuzione dei lavori ancora da eseguire. Ciò significa che in caso di ATI, sussiste in capo alla stazione appaltante la massima libertà di decisione sulla opportunità di proseguire ovvero di recedere dall’appalto, ma ciò significa, anche e soprattutto che l’ipotesi di fallimento della mandataria non integra di per sé alcun inadempimento contrattuale, altrimenti, la stazione appaltante sarebbe legittimata all’adozione del provvedimento di risoluzione in danno. Alla luce delle delineate considerazioni, risulta dimostrato il corollario dal quale si è partiti e cioè, quello secondo il quale l’ipotesi di scioglimento del contratto per fallimento dell’appaltatore, non legittima in alcun modo la stazione appaltante all’incameramento della cauzione definitiva, la cui funzione, come detto, è quella di garantire l’esatto adempimento degli obblighi derivanti dal contratto di appalto. Naturalmente, dallo scioglimento del contratto d’appalto quale effetto ex lege del fallimento dell’appaltatore discende l’estinzione delle polizze fideiussorie «non potendo il rapporto di garanzia perdurare al venir meno del suo fondamento casuale ed essendo nulla, a norma dell’art. 1418 c.c., una eventuale pattuizione contraria»10; in altri termini, il rapporto di garanzia non può sopravvivere al venir meno del suo fondamento causale. Infatti, il contratto autonomo di garanzia dà luogo alla costituzione fra le parti di rapporti giuridici autonomi e distinti tra di loro, ma che hanno pur sempre 9. 10. È l’abrogato art. 119 del d.p.r. 554/99. Cassazione civile, sez. I, 20 gennaio 1994, n. 518. Risoluzione del contratto. Recesso. Fallimento dell’appaltatore: questioni 415 un collegamento teleologico e funzionale con il rapporto di base e un effetto unitario che attiene però (quasi) esclusivamente al profilo economico11. Diverse sarebbero le sorti del contratto d’appalto e, dunque, dei contratti da esso derivati e ad esso funzionalmente collegati (quali quelli costituitivi di garanzie fideiussorie), nell’ipotesi in cui prima della dichiarazione di fallimento, l’appaltatore trasferisse ad altro soggetto il ramo d’azienda cui fa capo lo stesso contratto di appalto. Infatti, anche in materia di appalti pubblici, l’affitto di un ramo d’azienda da un’impresa concessionaria ad un’altra, paragonabile alla cessione, comporta il subentro di quest’ultima nei contratti di appalto stipulati dalla prima, fermo restando che — secondo quanto disposto dall’art. 35 comma 1 l. 11 febbraio 1994 n. 109 — la sua efficacia è condizionata, nei confronti dell’amministrazione aggiudicatrice, ad apposita comunicazione e alla documentazione del possesso dei necessari requisiti in capo all’affittuaria, ma tali adempimenti costituiscono vera e propria condicio juris idonea a sospendere a tempo indefinito l’efficacia della cessione rispetto all’amministrazione12. Più precisamente, la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che il quadro normativo stabilito dall’art. 18 comma 2 l. 55 del 199013, risulta modificato dal testo vigente dell’art. 35 l. 109 del 1994, che non esclude in radice la possibilità di subentro di altro soggetto nel contratto di appalto di opere pubbliche, ma dispone che le cessioni di azienda e gli atti di trasformazione, fusione e scissione relativi ad imprese che eseguono opere pubbliche non hanno singolarmente effetto nei confronti di ciascuna amministrazione aggiudicatrice fino a che il cessionario, ovvero il soggetto risultante dall’avvenuta trasformazione, fusione o scissione, non abbia proceduto nei confronti di essa alle comunicazioni previste dall’art. 1 d.p.c.m. 11 maggio 1991 n. 187, e non abbia documentato il possesso dei requisiti previsti dagli art. 8 e 9 della 11. 12. 13. Cassazione civile, sez. III, 11 febbraio 1998, n. 1420. Consiglio Stato, sez. IV, 29 agosto 2002, n. 4360. nel testo modificato dall’art. 22 l. 12 luglio 1991 n. 203. 416 Capitolo XV suddetta legge (comma 1), consentendo alla stazione appaltante di esercitare, nei sessanta giorni successivi, la facoltà di opporsi al subentro, con effetti risolutivi sulla situazione in essere, laddove, in relazione alle comunicazioni di cui al comma 1, non risultino sussistere i requisiti di cui all’art. 10 sexies l. 31 maggio 1965 n. 57514; e ancora, l’art. 35 l. 11 febbraio 1994 n. 109 che, con riguardo alla materia dell’appalto di opere pubbliche, ammette la cessione del contratto per effetto della cessione di azienda o di atti di trasformazione, fusione o scissione della società appaltatrice, ferma restando la facoltà dell’amministrazione appaltante di opporsi al subentro del nuovo soggetto nella titolarità del contratto con effetti risolutivi della situazione in essere, riveste carattere di norma di principio, come tale applicabile in via analogica ad altri contratti dell’amministrazione, diversi da quello per l’appalto di opere pubbliche, e consente il subingresso del cessionario non solo nei contratti già stipulati, ma anche nelle situazione soggettive inerenti alla gara ancora in corso15. Alla stregua delle delineate premesse, dunque, il contratto d’appalto potrebbe “sopravvivere” al fallimento dell’appaltatore, laddove prima che intervenga il fallimento — e, dunque, lo scioglimento del rapporto contrattuale con la stazione appaltante — l’appaltatore stesso trasferisce il ramo d’azienda cui fa capo il contratto d’appalto. Infatti, alle condizioni e nei limiti di cui all’art. 116 del Codice16 — che è applicabile non più per via analogica ma per estensione espressa normativamente dell’art. 116 Codice anche ai contratti pubblici diversi da quelli di lavori — il cessionario/affittuario dell’azienda o del ramo d’azienda subentra al proprio dante causa anche nei rapporti contrattuali d’appalto. Anche le polizze a garanzia dell’appalto stipulate dal precedente appaltatore potrebbero sopravvivere in esito alla cessione/affitto del ramo d’azienda, ferma restando la facoltà di recesso ai sensi dell’art. 2558, comma 2 cod. civ. in capo al fideiussore/garante. Sicché, nell’ipotesi in cui l’impresa subappaltatrice stipulasse un contratto d’affitto del ramo d’azienda di altra impresa N, la stessa su14. Consiglio Stato, sez. VI, 11 luglio 2003, n. 4151 Consiglio Stato, sez. IV, 29 agosto 2002, n. 4360. 15. TAR Puglia Lecce, sez. I, 2 settembre 2004, n. 6093. 16. recepisce anche l’abrogato art. 35 legge 109/94 s.m.i. Risoluzione del contratto. Recesso. Fallimento dell’appaltatore: questioni 417 bappaltatrice subentrerebbe all’Impresa N nella titolarità dell’appalto, a meno che la stazione appaltante non si opponga ai sensi dell’art. 116, comma 2 del Codice: nei sessanta giorni successivi […] con effetti risolutivi sulla situazione in essere, laddove, in relazione alle comunicazioni di cui al comma 1, non risultino sussistere i requisiti di cui all’art. 10–sexies della legge 31 maggio 1965, n. 575 e successive modificazioni e cioè, laddove, il cessionario e/o l’affittuario siano privi dei requisiti di cui alla ridetta l. 575/1965 contenente le “Disposizioni antimafia”. Nell’ipotesi di cessione/affitto di azienda, il cessionario/affittuario subentrando all’originario appaltatore nel rapporto contrattuale in essere con la stazione appaltante e, dunque, nella sostanza, proseguendo l’originario rapporto contrattuale, eseguirà le relative prestazioni ai medesimi patti e condizioni e, in particolare, al medesimo prezzo pattuito dall’originario appaltatore. Per quanto concerne l’ipotesi che i suddetti canoni d’affitto possano essere commutati come anticipo per un eventuale acquisto di ramo d’azienda, di cui il contratto d’affitto preveda un diritto di prelazione, va detto da subito che nell’esercizio dell’autonomia contrattuale sancita dall’art. 1325, «le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge. Le parti possono anche concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico»; sicché, nulla osterebbe alla conclusione di un contratto di affitto di azienda munito di una clausola che preveda l’esercizio del diritto di opzione per l’acquisto in favore del conduttore e la conversione — nell’ipotesi di esercizio di tale opzione — dei canoni di affitto in acconti/rate sul prezzo di acquisto. È altresì noto come secondo l’art. 80 della r.d. 267/1942 — che è rimasto nella nuova normativa —, «il fallimento del locatore, salvo patto contrario, non scioglie il contratto di locazione d’immobili, ma il 418 Capitolo XV curatore subentra nel contratto». Secondo la giurisprudenza è questa la disposizione che trova applicazione con riferimento ai contratti di affitto di azienda in ipotesi di fallimento del locatore17. 17. arg. ex, Cassazione civile, sez. I, 11 febbraio 2004, n. 2576. Capitolo XVI Il collaudo dei lavori pubblici Il collaudo è definito dall’art. 187, commi 1 e 2 del d.p.r. 554/99 come: 1. il collaudo ha lo scopo di verificare e certificare che l’opera o il lavoro sono stati eseguiti a regola d’arte e secondo le prescrizioni tecniche prestabilite, in conformità del contratto, delle varianti e dei conseguenti atti di sottomissione o aggiuntivi debitamente approvati. Il collaudo ha altresì lo scopo di verificare che i dati risultanti dalla contabilità e dai documenti giustificativi corrispondono fra loro e con le risultanze di fatto, non solo per dimensioni, forma e quantità, ma anche per qualità dei materiali, dei componenti e delle provviste, e che le procedure espropriative poste a carico dell’appaltatore siano state espletate tempestivamente e diligentemente. Il collaudo comprende altresì tutte le verifiche tecniche previste dalle leggi di settore; 2. il collaudo comprende anche l’esame delle riserve dell’appaltatore, sulle quali non sia già intervenuta una risoluzione definitiva in via amministrativa, se iscritte nel registro di contabilità e nel conto finale nei termini e nei modi stabiliti dal presente regolamento. Dunque, è possibile individuare nell’attività del collaudatore1: – un giudizio di conformità al progetto approvato, al fine di verificare se sussistono o meno difformità fra il progetto e l’esecuzione svolta; 1. cfr. sul tema, Mazzone Loria, Manuale di diritto dei lavori pubblici, ed. 2005., pp. 635 e ss. 419 420 Capitolo XVI – un giudizio tecnico se l’opera è stata eseguita a regola d’arte; l’ampiezza di tali prove è rimessa all’apprezzamento tecnico del collaudatore, in forza del disposto dell’art. 192, commi 2 e 3 regolamento; – una verifica sotto il profilo contabile se, cioè, i dati della contabilità corrispondono a quanto in pratica eseguito dall’appaltatore: Come è noto, il collaudo è attualmente disciplinato nel d.lgs. 163/06 e s.m.i. negli artt. 120 (collaudo per i contratti relativi a servizi e forniture) e nell’art. 141 (per i lavori). Dopo il Codice De Lise ed in attesa del nuovo regolamento ex art. 5 dello stesso Codice, la disciplina vigente in materia di collaudo è quella dettata dal d.p.r. 554/99. Come già detto l’art. 24, comma 8 della legge 62/2005 (in sintonia con quanto la Corte Costituzionale aveva già operato con la Sentenza n. 302/2003) ha abrogato i commi 8, 9, 10 e 11 dell’art. 188 del d.p.r. 554/99 e non già l’intero articolo. A sèguito di tali abrogazioni, per la nomina del collaudatore, però, il comma 13 dell’art. 188 del d.p.r. 554/99 doveva essere reinterpretato; l’Autorità per la vigilanza nella Deliberazione n. 82 del 27 marzo 2007 si era così pronunciata sui criteri d’affidamento. In particolare il Consiglio aveva rilevato: che le attività di collaudo rientrano tra i servizi assoggettati alla disciplina del Codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. 163/2006 e pertanto sono appaltabili con le comuni regole per l’affidamento dei servizi elencati nell’allegato IIA del predetto Codice, non esclusa la possibilità, peraltro residuale, del ricorso all’affidamento in economia di cui all’art. 125 del Codice, purché nel rigoroso rispetto dei limiti fissati da detta disposizione e, al momento, dal d.p.r. 384/2001, ex art. 253, comma 22: tra detti limiti, spicca la necessità dell’adozione da parte del committente del regolamento interno sull’attività contrattuale in economia. Attualmente, il d.lgs. 152/2008 ha inserito all’art. 120 (quindi anche per i servizi e le forniture) il comma 2–bis nel quale viene stabilito positivamente che nelle ipotesi di carenza d’organico e nelle altre ipo- Il collaudo dei lavori pubblici 421 tesi previste la stazione appaltante affida l’incarico di collaudatore a soggetti esterni scelti secondo le modalità prevsitse pe rl’affidamento di srevizi. Per il collaudo dei lavori l’incarico al soggetto esterno avviene (come per la nomina del d.l. e l’incarico di progettazione) sulla base dell’art. 91 del Codice. Dunque gli incarichi di collaudo sono stati valutati dal Legislatore come appalti di servizi e non come collaborazioni ex art. 7, comma 6 del d.lgs. 165/00. Vedi anche l’Allegato IIA, punto 12. Tornando allo schema della procedura del collaudo, occorre precisare che dopo l’ultimazione dei lavori, al fine proprio di consentire il collaudo, devono essere eseguite le seguenti attività: – redazione del conto finale e relazione del direttore dei lavori; – trasmissione di tali atti al RUP; – sottoscrizione dell’appaltatore del conto finale su invito del RUP; – redazione del RUP della relazione riservata sulle riserve dell’impresa; – trasmissione degli atti su menzionati e di quelli indicati nell’art. 190 del d.p.r. 554/99 dal RUP al collaudatore. La verifica dell’opera da parte del collaudatore, a sua volta, si articola in tre attività: – la visita del collaudo; – la relazione di collaudo, la quale contiene il giudizio analitico e motivato del collaudatore sia contrattuale, sia contabile, sia tecnico. È un atto interno. Le relazioni riservate del collaudatore (così in parallelo quelle del d.l.) sono sottratte al diritto d’accesso ex Lege n. 241/1990, e s.m.i.: lo ha stabilito il Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 13 settembre 2007, n. 11; – il certificato di collaudo: esso, come disposto dall’art. 192, comma 1 del d.p.r. 554/99, deve essere emesso entro sei mesi dall’ultimazione dei lavori e solamente a sèguito di tale adempimento 422 Capitolo XVI ha luogo lo svincolo della cauzione, in forza del disposto dell’art. 205 del regolamento. Il certificato deve essere inviato all’appaltatore, il quale deve sottoscriverlo nel termine di 20 giorni dalla sua ricezione (in caso di rifiuto da parte dell’appaltatore alla firma, vige il disposto dell’art. 165 del regolamento). Dall’emissione del certificato dipendono come conseguenze: presa in consegna dell’opera, svincolo della cauzione definitiva, pagamento della rata di saldo. Nell’ipotesi in cui si verifichi la sua mancata emissione; in tal caso, a fronte del termine dei sei masi indicato dall’art. 192 del regolamento, si producono in capo all’appaltatore danni consistenti: Comunque, sulla base di quanto disposto dall’art. 37, comma 1 del DM n. 145/00, alla scadenza dei sei mesi dall’ultimazione dei lavori l’appaltatore ha titolo per chiedere il termine delle garanzie fideiussorie di cui all’art. 113 del Codice. Approvazione del collaudo: il certificato di collaudo ha carattere provvisorio e diviene definitivo o perché è approvato dall’amministrazione o perché sono decorsi due anni dalla data della sua emissione oppure siano decorsi due anni dalla scadenza di sei mesi se l’emissione del certificato di collaudo è avvenuta dopo il termine fissato dalla legge. A fronte di tale quadro normativo, sembra del tutto illegittimo il comportamento eventuale della stazione appaltante che ritardi o ometta ingiustificatamente di produrre in sede di collaudo il certificato di collaudo provvisorio; infatti, sembra logico potersi concludere che tale comportamento della committenza configurerebbe ex se un fatto colposo e quindi ad essa addebitabile. D’altra parte, a conferma del dovere comunque di procedere che vige in capo alla committenza, la stessa giurisprudenza ha riconosciuto che quest’ultima: Ove […] sia a conoscenza dell’omesso collaudo di un’opera, ovvero del mancato rilascio del certificato di regolare esecuzione dei lavori, ha l’obbligo di Il collaudo dei lavori pubblici 423 un’assidua vigilanza e di un attento controllo della stessa fino a quando non sia adempiuto a quanto prescritto, attivandosi affinché detti atti vengano compiuti nel più breve tempo possibile (Cass. pen, Sez. III, sent. n. 4759 del 18–04–2000, ud. del 22–03–2000), Boccardo – rv 216344). Ed ancora, la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, in relazione al diritto dell’appaltatore ad ottenere una pronuncia sul collaudo, ha anche affermato che: In materia di appalto di opere pubbliche, l’appaltatore, […] può agire per far valere il suo diritto al saldo finale, allo svincolo della cauzione e ad eventuali compensi aggiuntivi, o comunque a tutela delle proprie ragioni, solo dopo che l’Amministrazione, a norma dell’art. 109 del r.d. 25 maggio 1895 n. 350, abbia deliberato sull’approvazione del collaudo e sulle domande dell’appaltatore con provvedimento che deve essere posto in essere in un arco di tempo compreso nei limiti della tollerabilità e delle normali esigenze di definire il rapporto senza ritardi ingiustificati, tenuto conto della natura del rapporto medesimo, dell’economia generale del contratto e del rispettivo interesse delle parti. Di conseguenza, ove l’Amministrazione abbia omesso di adottare e comunicare le sue determinazioni in congruo periodo di tempo, tale comportamento omissivo denuncia di per sé il rifiuto dell’Amministratore ed il suo inadempimento, e l’appaltatore può allora far valere direttamente i suoi diritti, in via giudiziaria o arbitrale, senza necessità di dover mettere preliminarmente in mora l’Amministrazione o di assegnarle un termine, e tanto meno di sperimentare il procedimento di cui all’art. 1183 del cod. civ., realizzandosi in tal modo anche le condizioni perché, a norma dell’art. 2935 del cod. civ., incomincia a decorrere il termine di prescrizione del suo diritto, a nulla rilevando che il momento iniziale di tale termine non sia stato preventivamente e precisamente determinato, essendo esso determinabile e individuabile in base ai suddetti oggettivi criteri di valutazione (Cassazione Civile, Sez. I, sent. n. 5530 del 08 settembre 1983, Di Summo c. Consorzio di bonifica del Bradano e del Metaponto – rv 430470). Per cui, alla luce di quanto detto, l’appaltatore (che subisce i danni da oneri di custodia e manutenzione; per i premi di mantenimento della cauzione e da interessi per ritardato pagamento della rata di saldo), potrebbe perciò stesso chiedere alla committente il relativo 424 Capitolo XVI risarcimento, calcolabile nell’arco temporale determinato finché quest’ultima non emetta il relativo certificato di collaudo provvisorio, per poi approvarlo. Tra l’altro, tra i siffatti danni potrebbe anche annoverarsi l’esecuzione delle lavorazioni di fatto stralciate (in occasione dell’emissione del certificato di ultimazione) a condizioni economiche diverse da quelle attuali. L’articolo 141 del Codice riproduce l’art. 28 della legge Merloni, il quale, pertanto, è stato abrogato. A livello testuale, la differenza fra il comma 4 dell’art. 141 Codice e il comma 4 della legge Quadro consiste nell’abrogazione che la Merloni sancisce (“È abrogata ogni diversa disposizione, anche di natura regolamentare”) e che il Codice, invece riporta nell’articolo relativo alle disposizioni abrogate. I relazione ai commi 4 e 5 riguardanti la figura del collaudatore, va precisato che, stante la disposizione dell’art. 120, coma 2 del Codice, che rinvia all’emanando regolamento la disciplina dettagliata al collaudo per i contratti relativi ai lavori, si applicano ancora le previsioni del d.p.r. 554/99 non derogate in materia. Come espresso da recente giurisprudenza, il certificato di collaudo dell’opera pubblica, realizzata in esecuzione di contratto di appalto, è un mero atto giuridico contenente un accertamento tecnico di parte non vincolante per l’altra, inidoneo a costituire fonte obiettiva di riconoscimento della responsabilità per vizi e difformità dell’opera stessa a carico dell’appaltatore2. L’art. 188 del d.p.r. 554/99 disciplina nel dettaglio la nomina del collaudatore, operando una disciplina per i soggetti sia interni all’amministrazione sia esterni ad essa; in relazione a quest’ultimi prescriveva l’istituzione di elenchi di collaudatori presso il Ministero dei ll.pp., le regioni e le province autonome ed i requisiti dei professionisti in relazione al tipo di intervento. Attualmente, tali prescrizioni sono state abrogate dall’art. 24, comma 8 della legge comunitaria n. 62/2005, seguendo quanto già la Corte Costituzionale aveva affermato con la sentenza n. 302/2003. 2. Tribunale Napoli, 18 luglio 2002. Il collaudo dei lavori pubblici 425 In sede regolamentare sono stati altresì individuati i presupposti per la nomina di un organo di collaudo collegiale; infatti il comma 5 dell’art. 188 del regolamento dispone che, nell’ipotesi in cui i lavori richiedano l’apporto di più professionalità diverse in ragione della particolare tipologia e categoria dell’intervento, il collaudo può essere affidato ad una commissione composta da tre membri. La commissione non può essere composta congiuntamente da soggetti appartenenti all’organico della stazione appaltante e da soggetti esterni; essa è presieduta dal soggetto nominato dalla stessa stazione appaltante. Il successivo art. 205 del regolamento prescrive che le operazioni della commissione di collaudo sono dirette dal presidente, mentre i verbali e la relazione sono firmati da tutti i commissari di collaudo e le conclusioni del collaudo sono assunte a maggioranza, così come poi deve risultare nel relativo certificato di collaudo. È infine previsto che il componente dissenziente ha diritto di esporre le ragioni di dissenso negli atti del collaudo. In tema di responsabilità dei collaudatori che compongono la relativa commissione ex art. 188, comma 5 del regolamento, vanno richiamati i principi generali fissati dalla legge ed enucleati dalla giurisprudenza in materia di responsabilità amministrativa–contabile dei pubblici dipendenti (dolo o colpa grave; nesso di causalità con l’evento dannoso per l’erario). Quindi si riconosce ai collaudatori nella Commissione la medesima responsabilità individuale; la responsabilità quindi sussiste in capo a ciascun firmatario delle certificazioni, con la sola differenziazione del quantum debeatur in sede di Citazione da parte della Procura della Corte dei Conti. Così, ad esempio, i collaudatori che certifichino, senza nessun accertamento, lavori inesistenti o comunque diversi per qualità e quantità da quelli aggiudicati e pattuiti, sono responsabili, a titolo di colpa grave, dei danni corrispondenti ai conseguenti pagamenti di somme non dovute alla ditta appaltante3. Se si ipotizza l’intendimento di affidare l’incarico di collaudo statico relativamente a tre o più professionisti, si può affermare che ap3. Corte Conti, sez. I, 30 settembre 2003, n. 324/A. 426 Capitolo XVI pare chiaro che la differenza rispetto alle previsioni dell’art. 188 del regolamento (un collaudatore ovvero una commissione di tre o più membri per i casi ex art. 188, comma 5) riguarderebbe sia le modalità esecutive del collaudo statico in parola sia il quantum di responsabilità, non già i contenuti esecutivi del collaudo. Pertanto, in assenza di una norma che vieti espressamente tale modus operandi, esso appare una via percorribile. Inoltre, quale fondamento giuridicamente rilevante per giudicare legittimo un affidamento di collaudo statico a tre o più professionisti in forma separata, sembra opportuno considerare che l’art. 141, comma 4 del Codice4 prevede che per le operazioni di collaudo le amministrazioni aggiudicatrici nominano da uno a tre tecnici di elevata e specifica qualificazione con riferimento al tipo di lavori, alla loro complessità e all’importo degli stessi. Appare lecito considerare allora che il regolamento abbia poi dettato nel dettaglio la disciplina (per gli incarichi esterni) sia del singolo professionista incaricato sia della Commissione, ma che nella ratio della norma sia individuabile anche la forma di affidamento di collaudo statico a tre professionisti in forma separata. 4. È l’abrogato art. 28, comma 4 della l. 109/94 e s.m.i. Capitolo XVII Le Riserve e cenni al contenzioso 1. Le riserve: inquadramento generale Quando nell’esecuzione dell’appalto pubblico di lavori viene utilizzata l’espressione “riserva” si fa riferimento alle pretese dell’appaltatore nei confronti dell’amministrazione Committente1: lo scopo è che l’esecutore dei lavori abbia la duplice possibilità di far valere le proprie pretese e di non decadere da tale diritto. Principio cardine è che l’esecuzione dell’opera pubblica non può essere messa a rischio da situazioni di conflittualità fra le parti: il contenzioso è posticipato — di regola — a dopo l’ultimazione dei lavori, o più precisamente a dopo la collaudazione degli stessi. Tuttavia, al fine di rendere edotta la committenza pubblica della volontà dell’appaltatore di richiedere maggiori somme di danaro a fronte della realizzazione dell’opera, è stato delineato l’istituto della “riserva”. Di fronte ad un sistema in cui la fase realizzativa e l’esborso di denaro pubblico sono cadenzati e documentati con puntuali registrazioni negli atti contabili redatti unilateralmente dalla parte pubblica, 1. I paragrafi 1, 2, 3 e 4 del presente Capitolo XVII sono stati elaborati dall’avv. Pierluigi Piselli. Cfr. per quanto segue, P. Piselli, Le riserve e il contenzioso contrattuale, in I Contratti con la Pubblica Amministrazione, a cura di C. Franchini, Trattato dei contratti, diretto da P. Rescigno e E. Gabrielli, UTET, I, pp. 699–721. Sul tema, Coviello, Manuale di diritto civile, pp. 347 e 492; Forti, Lezioni di diritto amministrativo, II, pp. 214 e ss. 427 428 Capitolo XVII l’appaltatore — chiamato ad apporre la sua firma — esprime il proprio eventuale dissenso con la formula con “riserva”. In altri termini, con la firma con riserva l’appaltatore evita che i fatti registrati divengano per lui incontestabili. La firma “con riserva”, quindi, rappresenta un mero espediente tecnico volto a far emergere la volontà dell’appaltatore di avanzare richieste — economiche e non — rispetto a quanto contabilizzato; le richieste, invece, avanzate con l’esplicazione della riserva, rappresentano la spiegazione del perché si è firmato “con riserva”. In altre parole, sono la domanda dell’appaltatore. Invero, da un punto di vista terminologico dovrebbe parlarsi di “domanda” dell’appaltatore intendendo con essa la richiesta in senso stretto, la quale a sua volta deve essere formulata nei quindici giorni successivi alla firma nei relativi documenti con l’apposizione della dizione “riserva”2. La domanda, pertanto, a ben guardare l’alveo delle prestazioni contrattuali dell’appalto, può avere ad oggetto: i maggiori corrispettivi rispetto a quelli determinati nella contabilità dei lavori; le conseguenti pretese ai casi di forza maggiore dai quali siano appunto scaturiti maggiori oneri prestazionali; pretese risarcitorie derivanti da comportamenti illeciti della Committente (come ad esempio il caso in cui una sospensione dei lavori sia illegittimamente disposta). Rimane fermo che l’appaltatore di lavori pubblici ha l’obbligo di uniformarsi agli ordini di servizio del direttore dei lavori avendo l’onere di formulare le proprie osservazioni e riserve se le istruzioni fossero ritenute non conformi a contratto e non può, pertanto, sospendere unilateralmente l’esecuzione dei lavori a meno che non sia implicata la sua responsabilità verso terzi o una sua responsabilità penale3. 2. Lucifredi, L’atto amministrativo nei suoi elementi accidentali, pp. 109 e ss.; Alessi, Le prestazioni amministrative rese ai privati, p. 76. 3. Cfr. da ultimo Corte appello Campobasso, 09 marzo 2005 in cui sono stati ritenuti non rilevanti la mancata consegna di disegni e della relazione geologica per la esecuzione di lavori di sistemazione e arredo di strade urbane. Le Riserve e cenni al contenzioso 429 La riserva dunque può essere definita come la dichiarazione con la quale l’appaltatore denunciando un fatto o un atto esclude che tale fatto o atto provochi effetti nei suoi confronti. Tale dichiarazione è soggetta ad una serie di oneri: in primis, l’onere della domanda, nel senso che essa deve essere formulata per iscritto sui documenti contabili e non può essere assolutamente una richiesta verbale, come si vedrà tra breve; poi sussistono l’onere della proposizione della riserva e l’onere della esplicazione della riserva. In tal senso, la riserva presenta diverse caratteristiche: la sua natura giuridica non costituisce un ricorso amministrativo4 né — secondo la giurisprudenza prevalente — un atto di costituzione in mora, come appresso meglio esaminato; la sua sede è costituita come sede esclusiva dagli atti contabili per i quali è prevista la firma; il suo contenuto consiste nella pretesa che deve avere un oggetto preciso e determinato; la procedura è quella indicata nelle norme appresso descritte (artt,. 165 d.p.r. 554/99 e art. 31 del d.m. 145/00). La funzione della riserva può essere individuata nella duplice esigenza di fornire, da un lato, alla pubblica amministrazione la possibilità di effettuare con immediatezza i necessari controlli in merito alla fondatezza delle riserve, e d’altro canto di consentire alla stessa committente una continua verifica circa l’andamento e l’entità della spesa: da ciò può conseguire, ad esempio, la reintegrazione dei fondi o la risoluzione del contratto. L’esigenza posta dalla norma è quella della immediata denuncia, definita anche come c.d. tempestività delle riserve5; tale immediatezza 4. La funzione dell’onere di iscrivere riserva è stata individuata nella triplice veste di: assicurazione alla P.A. di un efficace mezzo di controllo continuo sui fatti incidenti sulla spesa pubblica dell’opera; garantire alla P.A. di essere messa immediatamente in condizione di compiere accertamenti e controlli; per entrambe le esigenze suesposte. Quest’ultima tesi è attualmente la più seguita, anche dalla giurisprudenza della Cassazione: cfr. Cass. 12 marzo 1973, n. 677; 3 ottobre 1973, n. 2486; 10 gennaio 1974, n. 78; 26 marzo 1975, n. 1148; 18 agosto 1976, n. 3041. 5. Per la giurisprudenza della Cassazione (19 maggio 1983, n. 3450) l’onere della iscrizione tempestiva della riserva sul registro di contabilità, imposto all’appaltatore che pretenda il pagamento di compensi aggiuntivi per lavoro non compreso nelle previsioni d’appalto, non subisce deroga nemmeno se di tali opere sia stata eseguita la contabilizzazione da 430 Capitolo XVII non ammette deroghe se non in quei casi in cui l’osservanza del principio non sarebbe possibile ovvero giustificabile. Fra tali eccezioni alla immediata denuncia con la riserva possono essere indicate quelle individuate nel tempo sia dalle pronunce arbitrali sia dagli interventi dei giudici della Cassazione. Dai primi sono state individuate le eccezioni riguardanti: le controversie riguardanti la generalità dell’opera o i fatti di carattere continuativo o i fatti sempre rilevabili; le ipotesi di contabilità non esatta o non regolarmente tenuta; ipotesi di omesse contabilizzazioni; controversie su: rimborso di somme depositate dall’appaltatore (ad esempio, al cauzione), partite contabili registrate senza l’effettuazione di misure in contraddittorio, fatti e circostanze emerse per colpa grave o dolo dell’amministrazione, interpretazione su patti contrattuali. Dalla Cassazione sono state individuate le seguenti eccezioni: fatti estranei all’oggetto (cioè alle prestazioni) dell’appalto o alle finalità della documentazione cronologica dell’iter esecutivo dell’opera, come ad esempio, la decorrenza degli interessi di mora; i comportamenti dolosi o gravemente colposi della Committente nell’eseguire gli adempimenti amministrativo, sempre che questi non incidano direttamente sull’esecuzione come inciderebbe ad esempio un ritardo nell’emissione dei certificati di acconto, la redazione dello stato finale dei lavori o l’effettuazione del collaudo; fatti continuativi; la contabilità informe e non ricostruibile. Dunque, di converso, l’apposizione della riserva è per l’appaltatore costante, fissa e necessaria; d’altro canto, la mancata apposizione della riserva ha come conseguenze giuridiche il considerare come accertati i fatti accaduti e l’impossibilità di far valere le ulteriori pretese dell’appaltatore sia in sede amministrativa — pur se la amministrazione può rinunziare a far valere la decadenza6 — sia in sede di contenzioso. parte del direttore dei lavori, essendo questa un’operazione di natura tecnica che non vale di per sé ad impegnare la volontà dell’amministrazione. 6. È ormai pacifico in giurisprudenza: Cass. 13 luglio 1983, n. 4759; 23 maggio 1986; n. 3468; 17 febbraio 1987, n. 1697; per la rinuncia anche tacita o implicita vedi Cass. 28 ottobre 1965, n. 2290: 18 maggio 1977, n. 2015; 23 maggio 1986, n. 3448; 19 marzo 1991, n. 2934. Le Riserve e cenni al contenzioso 431 2. Quadro normativo di riferimento Il quadro normativo di riferimento è formato da due norme cardine: la prima è l’art. 165 del d.p.r. 554/99 e la seconda è l’art. 31 del d.m. 145/00. L’art. 165, in particolare, detta le regole per l’iscrizione delle riserve nel registro di contabilità. Le ipotesi individuate da tale norma sono cinque. a) firma del registro di contabilità senza riserva (comma 1): i fatti registrati divengono non più contestabili; b)omessa firma del registro di contabilità nonostante lo specifico invito (comma 2): la mancata firma viene verbalizzata ed i fatti registrati divengono non più contestabili; c) firma del registro di contabilità con riserva e mancata esplicazione nel termine perentorio di quindici giorni (comma 3): i fatti registrati divengono non più contestabili; d)firma con riserva ed esplicazione nei quindici giorni successivi: divengono non più contestabili soltanto quei fatti non oggetto di riserva; e) firma con riserva e contestuale esplicazione: trattasi di situazione identica a quella di cui alla lettera precedente, con la specificazione che, comunque, nei quindici giorni successivi l’appaltatore può inserire nuove e diverse esplicazioni. Da tale casistica si possono, dunque, individuare — per l’appaltatore — due distinti oneri. In primo luogo, l’onere della firma “con riserva” per avanzare ulteriori richieste economiche: un comportamento omissivo equivale, infatti, ad accettazione. In secondo luogo, l’onere di esplicazione della riserva per specificare con precisione i termini ed i titoli della richiesta economica. Ulteriori profili emergono dall’art. 31 del CGA, in cui vengono disciplinate la forma ed il contenuto delle riserve. 432 Capitolo XVII In particolare, deve sottolinearsi l’onere di tempestività delle riserve. Il secondo comma dell’art. 31 stabilisce che le riserve devono essere iscritte a pena di decadenza sul primo atto dell’appalto idoneo a riceverle, successivo all’insorgenza o alla cessazione del fatto che ha determinato il pregiudizio dell’appaltatore. In ogni caso, sempre a pena di decadenza, le riserve devono essere iscritte anche nel registro di contabilità all’atto della firma immediatamente successiva al verificarsi o al cessare del fatto pregiudizievole. In altre parole, l’appaltatore è tenuto a segnalare il fatto oneroso o dannoso non appena ne ha avuto la percezione. Tale principio che ha avuto ampia elaborazione giurisprudenziale, trova altresì una precisazione nell’art. 165, comma 6 del Regolamento laddove si specifica che nel caso di registrazioni in partita provvisoria sui libretti l’onere dell’immediata riserva diventa operante quando in sede di contabilizzazione definitiva delle categorie di lavorazioni interessate vengono portate in detrazione le partite provvisorie. Ultimo onere per l’appaltatore è, poi, quello della riconferma delle riserve nel conto finale atteso che, l’art. 31, comma 2 del d.m. 145/00 stabilisce che le riserve non espressamente confermate sul conto finale si intendono abbandonate. E la riconferma richiede, quanto meno, l’indicazione sia pure succinta del titolo e dell’importo della riserva. In ogni caso, le riserve devono essere formulate in modo specifico ed indicare con precisione le ragioni sulle quali esse si fondano. In particolare, le riserve devono contenere a pena di inammissibilità la precisa quantificazione delle somme che l’appaltatore ritiene gli siano dovute; qualora l’esplicazione e la quantificazione non siano possibili al momento della formulazione della riserva, l’appaltatore ha l’onere di provvedervi, sempre a pena di decadenza, entro il termine di quindici giorni fissato dall’articolo 165, comma 3, del regolamento7. Dunque, la disciplina giuridica relativa alle c.d. riserve si può sintetizzare nelle seguenti fasi, che in quanto momenti successivi hanno 7. Maggiori perplessità suscita la previsione del 4° comma dell’art. 31 del CGA secondo cui “la quantificazione della riserva è effettuata in via definitiva, senza possibilità di successive integrazioni o incrementi rispetto all’importo iscritto”. Infatti, le riserve possono essere aggiornate in funzione di accadimenti successivi all’iscrizione delle stesse. Le Riserve e cenni al contenzioso 433 indotto parte della dottrina8 a ritenere che la riserva sia una fattispecie a formazione progressiva, ovviamente quando l’appaltatore ponga in essere più atti al fine di evitare la decadenza del diritto9. In primis, deve essere compiuta dall’appaltatore la formulazione della domanda nel momento successivo al fatto materiale che sia stato la causa del lamentato pregiudizio e nel primo documento che sia idonea a riceverle la domanda stessa (sempre che ci sia la possibilità di iscriverla nel senso che esista il documento successivo al momento pregiudizievole). Comunque, in seguito deve necessariamente essere iscritta la stessa domanda nel registro di contabilità, il quale viene sottoposto all’appaltatore per la sottoscrizione all’emissione di ogni s.a.l.10. Infine, la domanda deve essere confermata sul conto finale, anche ai sensi del comma 2 dell’art. 174 del d.p.r. 554/99 L’appaltatore, all’atto della firma, non può iscrivere domande per oggetto o per importo diverse da quelle formulate nel registro di contabilità durante lo svolgimento dei lavori, e deve confermare le riserve già iscritte sino a quel momento negli atti contabili per le quali non sia intervenuto l’accordo bonario di cui all’articolo 149, eventualmente aggiornandone l’importo11. Relativamente al secondo momento dei tre indicati, come s’è visto nella formulazione dell’art. 31, comma 2 del CGA l’espressione utilizzata dal legislatore “atto d’appalto idoneo a ricevere” la domanda dell’appaltatore non indica in modo né determinato né tassativo quali 8. Mazzone, Loria, Manuale di diritto dei lavori pubblici, II ed., p. 573. 9. Secondo la Cassazione (15 dicembre 1982, n. 6911) l’onere della riserva non resta escluso per il solo fatto che la Committente conoscesse la situazione richiamata dall’appaltatore come fonte del suo pregiudizio e ne sia stata dal medesimo informata con lettere o altri strumenti. 10. Capaccioli, Riserve e collaudo, pp. 27 e ss. 11. Nel Lodo arbitrale Torino 10 ottobre 2000 (in Arch. Giur. oo. pp., 2001, 1018), è stato evidenziato che affinché si determini la decadenza delle pretese dell’appaltatore non è sufficiente il fatto obiettivo della mancata sottoscrizione del registro di contabilità, ma deve risultare che il medesimo appaltatore sia stato invitato a firmare detto registro e che rifiuti di firmare, oltre il termine intimatogli, sia oggetto di espressa menzione. 434 Capitolo XVII debbano essere — prima dell’iscrizione della riserva nel registro di contabilità — gli atti sui quali, per obbligo giuridico, debbano essere scritte le domande dell’appaltatore. L’esperienza giuridica in materia e l’elaborazione dottrinale hanno tentato — riuscendoci — una efficace individuazione dei suddetti documenti: verbale di consegna dei lavori, libretti delle misure, liste settimanali e conto finale, verbali di sospensione e di ripresa lavori, verbale di ultimazione del lavori. Al di là di tali documenti — come ad esempio una lettera — non esiste obbligo giuridico per l’appaltatore di formulare la propria domanda — prima della iscrizione nel registro di contabilità — quando tra il fatto causale del pregiudizio lamentato e la prima sottoscrizione del registro di contabilità immediatamente successiva la fatto non si inserisca nel segmento di successione uno di questi documenti su elencati. Da un punto di vista processuale ed istruttorio, occorre richiamare l’attenzione su un recente pronunciamento della Suprema Corte in cui viene riconosciuto che L’obiettiva difficoltà, in cui si trovi la parte, di fornire la prova del fatto costitutivo del diritto vantato non può condurre ad una diversa ripartizione del relativo onere della prova, che grava, comunque, su di essa; né, d’altro canto, la circostanza che detta prova sia venuta a mancare per fatti imputabili alla parte che ha interesse contrario alla prova stessa, implica che questa debba considerarsi acquisita e la domanda debba essere accolta. (Fattispecie relativa a domanda di pagamento di maggiori somme proposta da un appaltatore di opere pubbliche in relazione alle riserve formulate nel corso dell’esecuzione dei lavori, la quale era risultata sfornita di prova a seguito dello smarrimento della documentazione del rapporto contrattuale, custodita presso gli uffici del comune appaltante)12. Lungo la stessa linea ermeneutica si è di recente espressa la Corte di cassazione precisando che 12. Cassazione civile, sez. I, 02 settembre 2005, n. 17702. Le Riserve e cenni al contenzioso 435 In tema di appalto di opere pubbliche, la mancanza della tenuta di una completa e puntuale contabilità legittima il ricorso ad altre fonti di prova ai fini della determinazione dei lavori eseguiti e del relativo compenso. (Nella fattispecie la s.c. ha quindi ritenuto legittima la statuizione della corte di merito di basare gli accertamenti in questione su una dichiarazione ed un conteggio del direttore dei lavori)13. In definitiva, esaminando i profili connessi alle riserve può certamente affermarsi che, in tale contesto, la forma è sostanza. Il rispetto delle formalità è la condicio sine qua non perché l’appaltatore possa avanzare proficuamente domande tese ad ottenere il risarcimento di maggiori oneri e danni. Per contro, il mancato rispetto degli oneri sulle riserve preclude, in via assoluta e al di là della fondatezza nel merito delle pretese, l’accoglimento di qualsivoglia istanza risarcitoria. Di qui l’estrema attenzione in giurisprudenza a definire con precisione il contenuto degli oneri a carico dell’appaltatore e le conseguenti eccezioni e deroghe. 3. Natura giuridica della riserva In relazione alla natura giuridica della riserva c’è innanzitutto da precisare che essa non ha la natura di ricorsi amministrativi stante la non posizione di autorità con cui l’amministrazione si pone in tale momento contrattuale; le riserve sono dunque unicamente domande dell’appaltatore finalizzate all’ottenimento di maggiori compensi nei confronti della Committente14. L’interpretazione giurisprudenziale ha spesso e costantemente rifiutato di qualificare giuridicamente le riserve dell’appaltatore come un atto di costituzione in mora, significando che 13. Cassazione civile, sez. I, 20 giugno 2006, n. 14278. 14. Giova qui precisare che parte della passata dottrina ha configurato le riserve come ricorsi gerarchici; in tal senso cfr.: Fragola, Il collaudo delle oo. pp., 1955, p. 88; Terranova, Natura giuridica delle riserve nei contratti di appalto di oo. pp., in Acque, bon., costr., 1953, pp. 527 e ss. 436 Capitolo XVII L’iscrizione di riserva nel registro di contabilità, da parte dell’appaltatore di un’opera pubblica non integra gli estremi di un atto di costituzione in mora, in quanto la riserva rappresenta una forma di contestazione che investe la liquidazione del corrispettivo dell’appalto con l’esclusivo scopo di quantificare la pretesa e non già di intimare il pagamento: pertanto la data della suddetta riserva non costituisce il “dies a quo” per l’eventuale riconoscimento in favore dell’appaltatore del maggior danno derivante da sopravvenuta svalutazione monetaria, ai sensi dell’art. 1224 comma 2 c.c., poiché il fenomeno inflattivo resta rilevante a tal fine solo per effetto e dal momento della mora del debitore15. In tal senso, si è anche detto che le riserve, non costituendo un’intimazione al pagamento, essendo un rimedio cautelativo diretto solo a far salvi i diritti dell’appaltatore dalla decadenza da cui verrebbero altrimenti colpite, non valgono a costituire in mora l’amministrazione né varrebbe rilavare che le riserve costituiscono delle richieste fatte per iscritto (art. 1219 cod. civ.), e ciò sia per la loro sopraccennata finalità ed anche perché esse non implicano un loro soddisfacimento immediato, essendo condizionate dalla consapevole esigenza dello svolgimento di un apposito procedimento dopo l’ultimazione dell’opera e il collaudo nonché dopo l’audizione dei pareri necessari da parte dell’amministrazione16. La linea interpretativa ora esposta presenta caratteristiche di stabilità e di consolidamento da parte della giurisprudenza anche più recente17. Contrariamente a tale orientamento, autorevole dottrina18 ha ravvisato, al contrario, la tesi della Cassazione priva di fondamento, riconoscendo invece che 15. Cassazione civile, sez. I, 06 maggio 1985, n. 2833. 16. Cianflone, Giovannini, L’appalto di opere pubbliche, XI ed., p. 1272. 17. Così Cass. 18 gennaio 1992, n. 589; 20 novembre 1990, n. 11209; 19 maggio 19089, n. 2395; 11 gennaio 1988, n. 68; 10 agosto 1977, n. 3679; 5 gennaio 1976, n. 8; 18. Anche parte della giurisprudenza arbitrale, come ad esempio: Lodo arbitrale Napoli 22 giugno 2000 (in Arch. Giur. Oo. pp., 2001, 905); lodo arbitrale 24 maggio 1993, n. 50. Le Riserve e cenni al contenzioso 437 con l’iscrizione della riserva si raggiunge l’effetto strumentale dell’inadempimento della decadenza, ma la finalità essenziale resta la domanda di soddisfazione immediata del credito19. Da tale ultima impostazione, anche in questa sede pienamente condivisibile, discendono poi duplici conseguenze — che la richiamata dottrina non manca di evidenziare — più note come gli effetti della mora debendi, cioè la perpetuatio obliogationis, più nota come il transito del rischio al debitore nell’ipotesi in cui la causa divenisse impossibile per fatto a lui non imputabile, e l’obbligo del risarcimento del danno per il ritardato adempimento. 4. Causa petendi e petitum Una delle questioni più interessanti, a tal punto, consiste nel verificare la liceità o meno di una formulazione della domanda da parte dell’appaltatore il quale, tenuto — per evitare la decadenza — a iscrivere riserva sul documento diverso dal registro di contabilità ed immediatamente successivo al fatto pregiudizievole, sia comunque obbligato all’iscrizione nel caso in cui la propria pretesa sia di contenuto diverso e non connesso alla natura del documento diverso dal registro di contabilità. La dottrina prevalente tende a negare la sussistenza di tale onere in capo all’appaltatore nell’ipotesi posta, anche se a tale conclusione si è arrivati per via ermeneutica, vista la generica formulazione della norma. In tal senso, si è sostenuta la negazione dell’obbligo perché l’idoneità di cui parla l’art. 30, co. 2, CGA20va intesa non in senso materiale (di possibilità materiale, cioè, di scrivere qualcosa), ma in senso logico; 19. Mazzone, Loria, op. cit. p. 594. Cfr. anche P.M. Piacentini, La riserva come atto di costituzione in mora, in Arch. Giur. oo. pp., 1985, 1335. 20. Il riferimento qui è ovviamente al vecchio capitolato generale d’appalto, cioè la l. 1063/1962. 438 Capitolo XVII nel senso, cioè, che l’idoneità postula una correlazione tra l’atto dell’appalto e la doglianza dell’appaltatore21. L’art. 31, comma 2 del CGA disciplina quindi in modo alquanto generico i tempi entro i quali la domanda deve essere formulata: la sottoscrizione dell’atto o del registro di contabilità deve essere immediatamente successivo al verificarsi o dal cessare del fatto pregiudizievole. Di certo il verbo “verificarsi” indica fatti materialmente istantanei, cioè che accadendo si esauriscono nella loro pregiudizievolezza; invece il verbo “cessare” implica che gli effetti del fatto siano stati duraturi e solo al loro esaurirsi obbligano — a pena di decadenza dal diritto — l’appaltatore alla sottoscrizione ai sensi dell’art. 31, comma 2 del CGA. A proposito della tempestività della riserva la giurisprudenza ha riconosciuto che nell’appalto di opere pubbliche, per i fatti continuativi, ovvero prodotti da una causa costante o da una serie causale di non immediata rilevanza onerosa, non può porsi alcuna deroga al principio di tempestività delle riserve, giacché non si può addurre l’impossibilità di quantificare una pretesa in un dato momento per sostenere che in quel momento non esiste l’onere di formulazione della riserva. Occorre, infatti, distinguere tra tempestività della iscrizione delle riserve e tempestività della loro esplicazione, ragion per cui le riserve devono essere iscritte con il manifestarsi dell’evento non previsto e dannoso, indipendentemente dal momento in cui sia possibile l’esatta quantificazione del maggior onere sottoposto dall’appaltatore22. Ed ancora è stato affermato in giurisprudenza che nell’appalto di opere pubbliche, l’onere di immediata denuncia di ogni fatto connesso all’esecuzione dell’opera, che l’appaltatore ritenga produttivo di conseguenze patrimoniali a sè sfavorevoli, è espressione di un principio generale, e pertanto sussiste anche riguardo ai fatti cosiddetti continuativi, 21. 22. Mazzone, Loria, op. cit. p. 585. Cfr. in tal senso Corte appello Milano, 16 novembre 1999. Le Riserve e cenni al contenzioso 439 come quelli prodotti da una causa onerosa, rispetto ai quali il detto onere diventa operativo quando la potenzialità dannosa del fatto si presenti obiettivamente apprezzabile, secondo i criteri della diligenza e della buona fede, da parte dell’appaltatore, e questi disponga di dati sufficienti per segnalare alla stazione appaltante le cause delle situazioni per lui pregiudizievoli ed il presumibile onere economico, salvo poi a precisarne l’entità nelle successive registrazioni o in chiusura del conto finale. L’accertamento del giudice di merito circa la tempestività in concreto delle riserve, in rapporto alla specifica natura dei fatti oggetto delle medesime ed al manifestarsi dei loro effetti pregiudizievoli, sfugge al sindacato di legittimità se adeguatamente e correttamente motivato23. La riserva ai fini della sua efficacia e rilevanza giuridica deve possedere i due elementi essenziali della causa petendi e del petitum, in altri termini deve esporre le chiare ragioni giuridiche su cui si fonda la domanda e la quantificazione della stessa24. La causa pretendi non è da non confondere con l’esatta individuazione formale della norma su cui si poggia la pretesa della domanda: lo scopo della riserva infatti è l’informazione all’amministrazione che l’appaltatore deve fornire in ordine al fatto che quest’ultimo ritiene pregiudizievole per se stesso in ordine all’onerosità della prestazione inizialmente fissata nel relativo contratto d’appalto. Pertanto, è pacifico sostenere che in presenza della descrizione di fatti sostanziali e idonei a sostenere la domanda nelle sue ragioni, di per sé la causa petendi della riserva sussiste e rende legittimo il suo contenuto in ordine a questo primo aspetto. Il petitum si risolve, invero, nella indicazione precisa del compenso economico che l’appaltatore richiede. 23. Cassazione civile, sez. I, 12 aprile 1986, n. 2599. 24. La riserva che manchi di tali elementi ovvero che sia stata formulata genericamente o imprecisamente deve essere dichiarata improponibile. In tal senso vedi: lodo arbitrale Roma 25 maggio 1971, n. 43; lodo arbitrale 26 giugno 1972, n. 39; lodo arbitrale 26 maggio 1995, n. 74; lodo arbitrale 18 marzo 1978, n, 18. Cfr. anche Cass. 4 agosto 2000, n. 10261 secondo la quale non è sufficiente che la riserva si limiti ad una generica richiesta di maggiori compensi non collegabile ad alcun titolo preciso, né è consentito all’appaltatore sostituire la causale indicata a suo tempo nella riserva con altra non precedentemente indicata. 440 Capitolo XVII Nell’ipotesi in cui l’appaltatore si riservi di formulare causa pretendi e petitum entro il termine di quindici giorni dalla sottoscrizione con riserva del documento idoneo a riceverla, lo stesso dovrà poi esplicitare le ragioni e la quantificazione del pregiudizio lamentato. In relazione a tale possibilità di sottoscrivere con riserva, la lettera della legge mantiene una certa generalità, anche un po’ ambigua, ma che la prassi e la dottrina hanno superato nel senso più favorevole all’appaltatore, cioè riconoscendo la facoltà di apporre riserva alla sottoscrizione: l’art. 165, comma 3 del regolamento indica infatti come facoltà la sottoscrizione della domanda con riserva mentre l’art. 31 comma 3 del CGA utilizza l’antitetica espressione: qualora l’esplicazione e la quantificazione non siano possibili al momento della formulazione della riserva, l’appaltatore ha l’onere di provvedervi, sempre a pena di decadenza, entro il termine di quindici giorni. 5. La transazione: art. 239 del Codice degli appalti Passando, ora, all’esame delle modalità di valutazione e di riconoscimento delle richieste dell’appaltatore, deve in via immediata affermarsi come, grazie all’art. 239 del Codice degli appalti, la transazione civilistica sia confermata, con applicabilità generalizzata, pure negli appalti pubblici di lavori, servizi e forniture25. Anche al di fuori dei casi in cui è previsto il procedimento di accordo bonario ai sensi dell’articolo 240, le controversie relative a diritti soggettivi derivanti dall’esecuzione dei contratti pubblici di lavori, servizi, forniture, possono sempre essere risolte mediante transazione nel rispetto del codice civile. Pertanto — ed è questo l’aspetto più rilevante ai fini dell’applicabilità dell’istituto — anche al di fuori dai casi previsti per l’accordo bonario ex art. 240, è esperibile la via della transazione priva di ritua25. Vedi anche Cancrini, Piselli, Capuzza, La nuova legge degli appalti pubblici. Commentario al Codice dei contratti pubblici, sub art. 239, III ed., 2007. Le Riserve e cenni al contenzioso 441 lità formale, salvo il caso, per gli importi superiori a 100.000 euro, di richiesta parere dell’avvocatura competente (comma 2). L’art. 239 fa riferimento alle controversie relative a diritti soggettivi derivanti dall’esecuzione di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. Prima di tutto è da notare che la transazione ex art. 239 opera lì dove non vi siano i diversi presupposti, in base ai quali si possa ricorrere invece all’accordo bonario, di cui al successivo art. 240; infatti, in modo più specifico, va detto che: per quanto riguarda i lavori (di cui alla Parte II del Codice), il presupposto per cui sia possibile esperire la via transattivi, per le controversie relative a diritti soggettivi derivanti dall’esecuzione dei lavori, consiste nel fatto che non sono state iscritte riserve sui documenti contabili per cui l’importo economico dell’opera possa variare in misura comunque non inferiore al 10% dell’importo contrattuale; (ad esempio, si considerino in tal caso le controversie sugli interessi per ritardato pagamento, oppure per la risoluzione del contratto). Altrimenti, in presenza di riserve iscritte, la via che si potrà esperire rimarrà quella tradizionale dell’accordo bonario (comma 1 dell’art. 240). Per quanto, invece, riguarda i contratti pubblici di servizi e forniture, va precisato che il presupposto per adire la via transattiva di cui all’art. 239 è l’assenza di contestazioni, da parte dell’esecutore del contratto, verbalizzate sui documenti contabili per cui l’importo economico controverso sia non inferiore al 10% dell’importo stipulato ab origine. Al contrario, in presenza di tali contestazioni sui documenti contabili, la via, ai sensi del comma 22 dell’art. 240, è quella dell’accordo bonario, procedura comunque nuova per tali tipologie di contratti pubblici. Fra gli elementi essenziali della transazione, v’è quello della forma che deve essere necessariamente scritta (comma 4), ed è un’ipotesi speciale rispetto alle regole generali del codice civile per le quali è richiesta la forma scritta per le controversie aventi ad oggetto beni immobili (la ratio è nel legame con il contratto pubblico scritto, valevole anche per i servizi e per le forniture): ove mancasse di uno solo degli elementi essenziali, come lo è appunto la forma scritta quoad 442 Capitolo XVII substantiam, per l’ordinamento giuridico quell’atto sarebbe tamquam non esset. Il riferimento, generalmente espresso dal comma 1 con la formula “transazione nel rispetto del codice civile” per mezzo della quale risolvere controversie sorte nell’esecuzione del contratto pubblico (l’estensione opera per i servizi e le forniture), è all’art. 1965 del codice civile: la transazione è il contratto per mezzo del quale le parti estinguono una lite iniziata o la prevengono, accordandosi su reciproche concessioni; non si tratta di un riconoscimento fra le parti, per cui viene soddisfatta interamente la pretesa di una controparte, bensì la sostanza della transazione risiede nell’aliquid dare, aliquid retinere, in un’ottica di proporzionalità ed accordo. Pur non escludendo la possibile natura “novativa”, il carattere della transazione di cui all’art. 239 del Codice sembrerebbe soprattutto “non novativo” (è noto che la transazione può essere “non novativa”, “novativa” e “mista”), avendo essa operatività sulle rispettive pretese nell’ambito del rapporto in cui sorge la controversia. Necessario è precisare26 che, per le parti, la transazione ha il medesimo effetto cristallizzante di una sentenza irrevocabile: all’eccezione di cosa passata in giudicato, si può opporre l’eccezione cd. exceptio litis per transactionem finitae al ricorrere dei presupposti: eadem causa, eadem quaestio, inter easdem personas. È altrettanto valido in diritto sostenere che, nel caso di inadempimento di una delle parti, la transazione si risolve: la situazione, in questo caso, torna ad essere quella preesistente ed ogni parte potrà ricorrere in via giudiziaria. Logico è sostenere, altresì, che la transazione “novativa” non presenta questa caratteristica del ritorno quo ante: quel rapporto novato si era definitivamente estinto e non può risorgere (art. 1976 cod. civ.). 26. cfr. sul tema transazione, A. Trabucchi, Istituzioni di diritto civile, ed. XXXVIII, pp. 811 e ss. Le Riserve e cenni al contenzioso 443 6. L’accordo bonario: generalità e rapporto con la risoluzione in via amministrativa delle riserve Ulteriore modalità di esame delle riserve è quella dell’accordo bonario27. Trattasi di istituto relativamente nuovo per il nostro ordinamento in quanto è stato introdotto dall’art. 31 bis della legge 109/94. Peraltro, introduce forti elementi di novità rispetto alla situazione precedente. In primo luogo, infatti, l’accordo bonario capovolge l’impostazione secondo cui il contenzioso deve essere avanzato dopo la collaudazione dei lavori. Ciò deve ricollegarsi principalmente alla esigenza di riavvicinare la fase dell’istruttoria sul contenzioso al suo momento genetico, al fine di permettere alla committenza pubblica una completa ed approfondita valutazione. Ma non solo. Tale impostazione permette anche una maggiore evidenza ed un maggior controllo della spesa per contenziosi che, in passato, emergendo solo a lavori conclusi, spesso erano sprovvisti della adeguata copertura finanziaria. Sotto altro profilo, poi, la procedura dell’accordo bonario si differenzia dalla risoluzione in via amministrativa delle riserve, ancora oggi possibile quale sistema alternativo: in quest’ultima ipotesi si delinea un procedimento tutto interno alla committenza, con la sola esternalizzazione dell’offerta a tacitazione delle pretese. Viceversa, nell’accordo bonario emerge un procedimento cui partecipa attivamente anche l’appaltatore, che deve essere sentito e che può presentare anche specifico memoriale. La disciplina della procedura di accordo bonario è attualmente contenuta nell’art. 240 del Codice, che introduce anche una grande 27. B.G. Carbone, La disciplina delle controversie nella legge 109/94 e successive modifiche, in Arch. Giur. oo. pp, 1995, p. 1389; Piselli, La risoluzione delle controversie con particolare riferimento all’accordo bonario, in «Riv. Trim. Appalti», 1996, p. 209; Gentile, Varlaro Sinfisi, Il procedimento di accordo bonario ex art. 31–bis della legge 109/1994 come condizione di procedibilità della domanda di arbitrato in corso d’opera, in Urb. e Appalti, 2001, p. 821. 444 Capitolo XVII novità con il disposto del comma 22, per mezzo del quale vengono estese queste norme, che erano già valevoli per i lavori, anche ai servizi ed alle forniture, nella misura in cui esse siano compatibili con la natura della tipologia di tali appalti pubblici. Il presupposto per l’applicabilità di tali norme sull’accordo bonario è che per i lavori siano state iscritte riserve (comma 1) o per i servizi e le forniture siano state verbalizzate nei documenti contabili le contestazioni da parte dell’esecutore (comma 22); infatti, in assenza di tali presupposti, si applicano le norme sulla transazione, di cui all’art. 239. Occorre a tal punto precisare da subito che, come già riconosciuto dalla giurisprudenza relativamente all’abrogato art. 31 bis della legge Merloni, il presupposto dell’accordo bonario indicato dal comma 1 dell’art. 240 del Codice, in cui è affermato che per i lavori pubblici di cui alla parte II affidati da amministrazioni aggiudicatrici ed enti aggiudicatori, ovvero dai concessionari, qualora a seguito dell’iscrizione di riserve sui documenti contabili, l’importo economico dell’opera possa variare in misura sostanziale e in ogni caso non inferiore al dieci per cento dell’importo contrattuale, si applicano i procedimenti volti al raggiungimento di un accordo bonario, disciplinati dal presente articolo. Si tratta di una norma che riconosce l’obbligo dell’Ente appaltante di avviare, istruire e concludere il procedimento amministrativo di componimento delle riserve iscritte dall’impresa appaltatrice nel registro di contabilità entro i termini indicati, decorrenti dalla formulazione dell’ultima riserva; il silenzio tenuto da un soggetto committente è, pertanto, illegittimo e può essere impugnato con il rito speciale previsto dall’art. 2 l. 21 luglio 2000 n. 20528. Il comma 1 dell’art. 240 del Codice, pertanto, coincide, con gli opportuni adattamenti, alla prima parte comma 1 dell’art. 31–bis; il comma 2 invece riproduce in parte contenuto del comma 7 dell’art. 149 del d.p.r. 554/99, rispetto al quale viene precisato che il procedimento d’accordo bonario riguarda le riserve iscritte fino al momento del suo avvio. 28. TAR Sicilia Catania, sez. I, 17 aprile 2003, n. 661. Le Riserve e cenni al contenzioso 445 7. Ambito e presupposti dell’accordo bonario L’importanza, poi, dell’istituto dell’accordo bonario si ravvisa anche dal suo ambito di applicazione. L’art. 240 del Codice, infatti, si riferisce indistintamente agli appalti e alle concessioni in materia di lavori pubblici. Anche dal punto di vista soggettivo la norma non lascia spazi a dubbi interpretativi: l’art. 240, come prima anche se in via indiretta l’art. 31 bis della legge Merloni (che richiamava i soggetti di cui alle lettere a) e b) dell’art. 2 della stessa legge e l’art. 2, comma 3, includeva espressamente gli artt. 31bis e 32 tra quelli applicabili da parte dei concessionari) richiama i concessionari unitamente alle amministrazioni aggiudicatici ed agli enti aggiudicatori. In definitiva, l’accordo bonario trova applicazione per le Amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, gli enti pubblici, compresi quelli economici, gli enti e le amministrazioni locali, le loro associazioni e consorzi, nonché gli altri organismi di diritto pubblico, ed ancora i concessionari di lavori pubblici, i concessionari di infrastrutture destinate al pubblico servizio, le società con capitale pubblico, in misura anche non prevalente, che abbiano ad oggetto della propria attività la produzione di beni o servizi non destinati ad essere collocati sul mercato in regime di libera concorrenza, nonché qualora operino in virtù di diritti speciali o esclusivi i concessionari di servizi pubblici ed i soggetti di cui alla Parte III del Codice (erano i soggetti di cui all’abrogato d.lgs. 158/1995 di attuazione della direttiva CEE 93/38, relativa alla disciplina degli appalti e delle forniture nei “settori esclusi”). In merito ai presupposti, occorre evidenziare la necessità di iscrizione di riserve in contabilità con la potenzialità delle stesse a far variare l’importo economico dell’opera in misura sostanziale e, in ogni caso, non inferiore al 10% dell’importo contrattuale. Al riguardo, come già detto, deve evidenziarsi come in tale presupposto risieda l’effettiva ratio della norma: evitare, cioè, che le controversie rappresentino per le Amministrazioni pesanti sopravvenienze passive e veri e propri debiti occulti fuori bilancio. 446 Capitolo XVII In funzione di ciò, e quindi per tenere sotto controllo la spesa pubblica, l’art. 240 del Codice impone l’obbligatorietà della procedura per il tentativo di accordo bonario. Il verificarsi della sostanziale variazione dell’importo dell’opera è, poi, affidata ad una valutazione con discrezionalità tecnica e dovrà avvenire sulla base di un prudente apprezzamento da parte del responsabile del procedimento che, indipendentemente dalla tempestività e fondatezza delle riserve, accerti che l’ammontare delle riserve stesse sia superiore al 10% dell’importo contrattuale. Ed ovviamente in tale importo dovranno essere considerati anche gli importi per interessi e rivalutazione monetaria, se richiesti dall’impresa. Ne deriva che, mentre nel precedente sistema la rilevanza economica che consentiva l’avvio del giudizio in corso d’opera era affidata allo stesso giudice che doveva altresì valutare la potenzialità delle riserve di portare notevole pregiudizio alla continuazione dei lavori, già con l’art. 31 bis della l. 109/94 e s.m.i. i presupposti sono di esclusiva valutazione del responsabile del procedimento. Soltanto nel caso in cui sussista contrasto sull’importo delle riserve la valutazione spetterà al giudice adito a prescindere dal tentativo di accordo bonario. Ulteriore presupposto è poi quello legato al momento temporale entro il quale collocare il tentativo di accordo bonario. Al riguardo, è certamente da condividersi quanto già affermato, con l’entrata in vigore della legge cd. Merloni bis, dal Ministero dei LL. PP.29 secondo cui l’applicazione della nuova norma riguarda tutte le fattispecie per cui — a prescindere dall’ultimazione dei lavori — il procedimento di esecuzione del contratto non possa dirsi esaurito, non essendo intervenuto l’atto finale del collaudo delle opere. Viceversa, non sembra completamente convincente l’ulteriore affermazione del Ministero secondo cui sarebbe necessario che non sia ancora insorta la lite giudiziaria fra impresa e amministrazione. Se è vero, infatti, che la ratio dell’art. 240 è proprio quello di evitare contenziosi fra le parti, il raggiungimento di soluzioni transattive ben 29. Nota prot. 3576/UL del 30 novembre 1995. Le Riserve e cenni al contenzioso 447 si può configurare anche nel corso di giudizi già avviati evitandosi il prolungarsi di contenziosi anche per i diversi gradi di giudizio, sempre che — ed è qui la novità del Codice — sussistano i presupposti di cui al comma 1 dell’art. 240, altrimenti ben può aversi la diversa via transattiva significata dall’art. 239 del Codice. In definiva, in presenza dei presupposti, si configura in capo all’affidatario il diritto all’attivazione del procedimento e ciò sia perché la norma potrebbe permettere un’anticipata soddisfazione, sia pure a livello transattivo, delle sue pretese, sia perché il mancato raggiungimento dell’accordo consente la tutela giurisdizionale delle stesse a prescindere dal verificarsi delle condizioni dell’azione proprie della disciplina previgente. Conseguenze dell’art. 240 forse non sufficientemente valutate dal legislatore già dal 1995, sono da un lato, un aumento delle riserve iscritte in contabilità anche per situazioni dannose non estremamente rilevanti o fondate (e ciò puntando l’affidatario sulla possibilità di raggiungere un qualche riconoscimento in via transattiva); dall’altro un ampliamento delle possibilità di contenziosi in corso d’opera che, se consentono un costante controllo della spesa, certamente non giovano alla buona realizzazione dell’opera e all’economicità dei giudizi (ben potendosi ipotizzare anche più giudizi nell’ambito di uno stesso contratto). 8. Procedimento dell’accordo bonario: la soglia di importo Quanto al procedimento per il tentativo di accordo bonario v’è da dire che il fulcro dello stesso è nella figura del responsabile del procedimento che, acquisite le relazioni riservate del direttore dei lavori e del collaudatore (se nominato) e sentito l’affidatario, formula una proposta di accordo nei 90 giorni dalla data di iscrizione della riserva che ha fatto superare il 10% dell’importo contrattuale. Sulla proposta, nei 60 giorni successivi, l’Amministrazione deve pronunciarsi con atto motivato. Ove non si proceda all’accordo 448 Capitolo XVII bonario e l’affidatario confermi le riserve, si procederà al giudizio arbitrale. Rispetto a tale iniziale impostazione, con l’art. 240 del Codice vengono introdotte peculiari varianti. In particolare, si delinea una disciplina separata per gli appalti aventi pari o superiori a dieci milioni di euro e quelli aventi importo inferiore a tale soglia; per i primi la disciplina è espressa nei commi da 5 a 14 dell’art. 240. Specificamente, l’avvio della procedura coincide con quanto già era disciplinato nell’art. 31 bis della legge Merloni e nel comma 1 dell’art. 149 del d.p.r. 554/99. Il comma 5 dell’art. 240 fissa l’obbligatorietà della costituzione di una commissione per gli appalti o concessioni di importo pari o superiori a 10 milioni di euro; la norma va letta specularmente con il comma 14 sempre dell’art. 240 Codice, il quale per gli appalti di importo inferiore lascia come facoltà la costituzione della Commissione da parte del responsabile del procedimento (che ne può anche far parte). 9. Accordo bonario e responsabile del procedimento Se, come detto, il fulcro dell’accordo bonario è il responsabile del procedimento, debbono tuttavia evidenziarsi alcune problematiche. In primo luogo, sembra potersi affermare con sufficiente grado di sicurezza che il responsabile dev’essere soggetto interno alla P.A., anche se il d.lgs. 6/2007 ha modificato il comma 5 dell’art. 10 del Codice, prevedendo espressamente che in caso di accertata carenza dei dipendenti di ruolo in possesso di professionalità adeguate, le amministrazioni aggiudicativi nominano il responsabile del procedimento tra i propri dipendenti in servizio. Tale circostanza sembra minare alla base la procedura di accordo bonario che (secondo le esperienze di paesi di common law nei quali tali procedure sono notevolmente utilizzate) necessiterebbe — per essere più efficace — di un soggetto in posizione di assoluta terzietà, Le Riserve e cenni al contenzioso 449 quale organo super partes, dotato di autonomi ed ampi poteri di indagine e libertà di convincimento. Ciò non si verifica nell’istituto dell’accordo bonario che, quindi, più che un tentativo di conciliazione sembra aver procedimentalizzato e pubblicizzato una sorta di risoluzione in via amministrativa delle riserve. Tale problematica è, poi, ancor più evidente in quei casi in cui il responsabile del procedimento può coincidere con il progettista ovvero con il direttore dei lavori: in tali casi la terzietà è del tutto assente atteso che il responsabile del procedimento nella sua attività di conciliatore potrebbe trovarsi a dover valutare scelte da esso stesso effettuate nelle altre vesti. Proprio in funzione di ciò si potrebbe sostenere che quando l’art. 240 parla di responsabile del procedimento intenda riferirsi non a quello dell’intero appalto ma ad altro soggetto — esterno all’Amministrazione — responsabile del procedimento per l’accordo bonario. Tale tesi che si presenta suggestiva però è indubbio che richiederebbe esplicite indicazioni (a livello di regolamento attuativo ex art 5 del Codice) almeno per coordinare l’ulteriore figura con i soggetti già previsti dal Codice e per fornire ad essa gli elementi da cui desumere la presenza in contabilità di riserve per rilevanti importi. L’importanza dell’argomento innovativo dell’accordo bonario è poi offerta dal comma 6 dell’art. 240, il quale stabilisce che: il responsabile del procedimento promuove la costituzione della commissione, indipendentemente dall’importo economico delle riserve ancora da definirsi, al ricevimento da parte dello stesso del certificato di collaudo o di regolare esecuzione. Con l’utilizzo della locuzione “promuove”, riferita al responsabile del procedimento per i contratti di cui al comma 5 (importi pari o superiori a 10 milioni di euro), la norma non disciplina più come facoltà la costituzione della Commissione neanche quando, indipendentemente dall’importo delle riserve da definirsi, riceva il certificato di collaudo o di regolare esecuzione. 450 Capitolo XVII La disposizione vige anche per i contratti di cui al comma 14, ultima ipotesi, (si tratta di appalti e concessioni di importo inferiore a 10 milioni di euro): l’ultima parte del comma ripete il tenore letterale del comma 6 («La costituzione della commissione è altresì promossa dal responsabile del procedimento») quando riguarda il ricevimento da parte del responsabile del procedimento del certificato di collaudo o di regolare esecuzione. Dunque, sembra potersi concludere che tutti gli appalti (o concessioni) di lavori, con riserve iscritte sui documenti contabili (altrimenti la via è quella della transazione ex art. 239), ed ove siano stati ricevuti da parte del responsabile del procedimento il certificato di collaudo o di regolare esecuzione, sono suscettibili, lì ove si intendesse adire la via dell’accordo bonario, di vedere costituita per essi la Commissione. Proprio sotto il profilo della terzietà del soggetto proponente l’accordo bonario, l’aver affidato il compito alla Commissione costituisce un significativo passo in avanti. Peraltro, rimangono perplessità in relazione al comma 14, prima parte, dell’art. 240 del Codice nella parte in cui prevede la possibilità che il responsabile del procedimento sia anche componente della Commissione medesima. A parte i profili di terzietà che vengono nuovamente rimessi, sia pure parzialmente, in discussione, la norma non precisa a chi spetta la scelta sulla partecipazione o meno del responsabile del procedimento alla Commissione. 10. La procedura dell’accordo bonario Innanzitutto, nel considerare la procedura vera e propria, occorre ribadire come il suo avvio sia obbligatorio per l’Amministrazione in presenza dei presupposti stabiliti. L’obbligatorietà della procedura comporta la non necessarietà di specifiche domande da parte delle imprese che peraltro, con finalità eminentemente sollecitatorie, spesso hanno provveduto per i contratti Le Riserve e cenni al contenzioso 451 in essere, ad avanzare istanze volte a far avviare il procedimento di accordo bonario. Da qui, prende vita la disposizione contenuta nel comma 3 dell’art. 240 che obbliga il direttore dei lavori a dare immediata comunicazione al responsabile del procedimento delle riserve di cui al comma 1 unitamente alla trasmissione di una propria relazione riservata. Un aspetto rilevante e recentemente innovato dal d.lgs. 163/06 nel senso della maggior completezza ed organicità della fattispecie, è il divieto del diritto d’accesso riguardo alla relazione del direttore lavori sulle riserve dell’appaltatore. In particolare, la precedente disciplina era quella espressa dall’art. 10 del d.p.r. 554/99, ora confluita nell’art. 13 del Codice De Lise, al comma 5, lett. d), ove è stabilito inequivocabilmente che sono esclusi il diritto di accesso e ogni forma di divulgazione nei confronti delle relazioni riservate del direttore dei lavori e dell’organo di collaudo sulle domande e sulle riserve del soggetto esecutore del contratto. La giurisprudenza, specie del Consiglio di Stato, in relazione ovviamente al precedente art. 10 del regolamento (comunque in parte qua rimasto identico alla particolare previsione contenuta nel più ampio art. 13 del Codice) aveva già evidenziato che: Ai sensi del combinato disposto di cui agli art. 10 d.p.r. 554 del 1999 e 24 l. 241 del 1990, sono sottratte all’accesso le relazioni riservate del direttore dei lavori e dell’organo di collaudo sulle domande e sulle riserve dell’impresa posto che la definizione di “riservata” data ai suddetti atti dall’art. 31 bis l. 109 del 1994, denota come il legislatore abbia voluto impedire la diffusione delle surriferite relazioni al di fuori delle amministrazioni cui sono indirizzate, in quanto si inseriscono in una controversia in atto o potenziale tra l’amministrazione e l’appaltatore concernente l’esecuzione del contratto, nella quale si fronteggiano interessi di natura patrimoniale e che solo indirettamente, per le possibili conseguenze sulla finanza pubblica, presentano riflessi di ordine pubblicistico; tale divieto, viceversa, non opera nei confronti di un parere legale che, laddove oggettivamente correlato ad un procedimento, assume valenza endoprocedimentale, assumendo il ruolo di mero elemento istruttorio […]. In tema di appalto di lavori pubblici, ai sensi degli art. 10 del regolamento approvato con d.p.r. 21 dicembre 1999 n. 554 e 24 comma 1 l. 452 Capitolo XVII 7 agosto 1990 n. 241, è legittimo il diniego di accesso alle relazioni riservate del direttore dei lavori e dell’organo di collaudo sulle domande e sulle riserve dell’impresa, trattandosi di documenti “riservati” ai sensi dell’art. 31 bis l. 11 febbraio 1994 n. 109, nel testo introdotto dal d.l. 3 aprile 1995 n. 10130. Tornando alla procedura per l’accordo bonario, in riferimento alla fase dell’istruzione si potrebbe sostenere che non prevedendo la norma una fase di trattativa vera e propria, sia il responsabile del procedimento ad acquisire tutti gli elementi per formarsi il proprio convincimento e formulare l’ipotesi di accordo. Tale impostazione, pur ammissibile sotto un profilo di interpretazione letterale della norma, non sembra in grado di assicurare il buon esito della procedura rimanendo l’ipotesi di accordo bonario del tutto slegata dalle determinazioni delle parti che interverrebbero, vincolandosi, solo in un momento successivo. Sicuramente preferibile, anche perché sostanzialmente analoga ad altra procedura largamente sperimentata nel tempo è l’impostazione secondo cui il responsabile del procedimento acquisite le relazioni riservate apre un sostanziale confronto con l’interessato che potrà concludersi con la formulazione di una proposta di accordo già accettato dall’affidatario ovvero non accettato (e con indicazione, in tal caso, del limite di accettazione). In questa ottica assume valore la previsione del verbale dell’accordo bonario sottoscritto (con, ovvero, senza accettazione) da parte dell’affidatario. L’Amministrazione, poi, acquisita la proposta di accordo formulata dal responsabile31 e conosciuta la posizione dell’interessato, con provvedimento motivato delibera in merito. Detta delibera: 30. Consiglio Stato, sez. V, 15 aprile 2004, n. 2163, a parziale annullamento della sentenza del TAR Sardegna, 24 giungo 2003, n. 764. 31. Sul tema cfr. Costantini, in Il regolamento della legge sui lavori pubblici, p. 492; P. Carbone, Brevi considerazioni sull’accordo bonario per la definizione delle controversie nell’esecuzione delle opere pubbliche, in «Riv. Trim. Appalti», 2000, p. 474. Le Riserve e cenni al contenzioso 453 a) potrà essere di adesione all’accordo bonario al quale l’interessato aveva già prestato accettazione: in tal caso con la comunicazione (nei 60 giorni successivi al ricevimento della proposta del responsabile del procedimento) si perfeziona l’accordo; b)potrà adeguare la proposta del responsabile alle maggiori richieste avanzate dall’interessato: anche in questo caso, con la comunicazione, si perfeziona l’accordo; c) potrà motivatamente non accettare e ridurre l’importo di cui alla proposta del responsabile (sia essa accettata o meno dall’interessato): con la comunicazione, scatta per l’interessato l’alternativa fra l’adesione alle minori determinazioni della P.A. ovvero la riconferma delle riserve e l’attivazione del contenzioso arbitrale. Sotto quest’ultimo profilo occorre chiarire come la conferma delle riserve costituisca il presupposto dell’azione e come nessun termine decadenziale specifico sia previsto; con la conseguenza che la riconferma delle riserve può avvenire almeno fino al momento della firma del conto finale. Del resto la norma non precisa neppure che la riconferma debba avvenire necessariamente nel registro di contabilità e tale circostanza potrebbe addirittura far concludere nel senso che, una volta attivato il procedimento per l’accordo bonario, l’intera questione sia svincolata da specifiche previsioni in tema di riserve (es.: riconferma nel conto finale) e sia soggetto alla sola riconferma (anche per lettera) delle riserve e alla prescrizione di legge (con decorso dalla comunicazione dell’amministrazione). Ovviamente, in caso si mancato accordo, le reciproche concessioni delle parti nel corso della procedura non comportano alcun riconoscimento di responsabilità o implicita rinunzia a propri diritti: ed infatti le dichiarazioni e gli atti del procedimento non sono vincolanti per le parti in caso di mancata sottoscrizione dell’accordo bonario. Pur tuttavia, atteso che anche in via di fatto, delle ripercussioni in fase contenziosa delle posizioni espresse nel corso della trattativa non possono essere escluse, appare di tutta evidenza come in ogni caso le 454 Capitolo XVII parti presteranno la massima attenzione a non esternare elementi tali da pregiudicare le reciproche posizioni contrattuali. 11. Tempi del procedimento di accordo bonario Venendo ai tempi della procedura di accordo bonario, per l’ipotesi in cui sia obbligatoria la costituzione della Commissione, il responsabile del procedimento promuove la costituzione della commissione entro dieci giorni dal ricevimento della comunicazione del direttore dei lavori invitando l’appaltatore a nominare il proprio membro. Il comma 8 dell’art. 240 delinea le caratteristiche della commissione: la prima consiste nel numero, pari a tre, di componenti (uno nominato dal responsabile del procedimento, uno nominato dall’appaltatore ed il terzo — entro dici giorni dalla loro nomina — viene scelto di comune accordo fra i due appunto già nominati ovvero, in caso di disaccordo e su richiesta della “parte più diligente”, viene nominato dal presidente del tribunale competente sul luogo ove si è stipulato il contratto), la seconda caratteristica consiste nell’assenza sia di incompatibilità ex art. 241, comma 6 del Codice sia di alcuna causa di astensione mutuata, anche qui come per la commissione giudicatrice nel caso di aggiudicazione con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (vedi art. 84, comma 7 Codice), dal codice di procedura civile, nell’art. 51. Comunque, per quanto disciplinato nei commi 8, 9 e 10 dell’art. 240 il contenuto alla base è quello del comma 1–bis dell’art. 31–bis della legge Merloni. Se il soggetto appaltatore non nomina il componente di sua scelta entro venti giorni dalla richiesta del responsabile del procedimento32, 32. È questo il comma 13 dell’art. 240, che descrive il “facere” nel caso ipotetico in cui il soggetto che ha formulato le riserve non provveda alla nomina del componente di sua scelta, è invero l’ultima parte del comma 1–bis dell’art. 31–bis, ma con la modifica del termine: invece di trenta giorni, il Codice qui fissa il dies a quo per mettere in moto la procedura indicata, in venti giorni. Le Riserve e cenni al contenzioso 455 la proposta di accordo bonario viene formulata dal responsabile stesso entro sessanta giorni dalla scadenza di venti giorni assegnati all’appaltatore per la nomina del suo componente della commissione33. Il terzo membro della commissione è nominato entro dieci giorni dalla nomina dei primi due, che rispettivamente rappresentano l’amministrazione e l’appaltatore. La Commissione, a sua volta, entro novanta giorni dalla apposizione dell’ultima riserva deve formulare proposta motivata di accordo bonario. La variazione del termine ridotto da sessanta a trenta giorni da ricevimento delle proposte, entro il quale devono pronunciarsi il soggetto che ha formulato le riserve ed i soggetti di cui al comma 1, è opera del Codice (al comma 12 dell’art. 240), il quale modifica così la parallela disposizione che era nell’art. 149, comma 3 del d.p.r. 554/99. Per quanto riguarda, invece, la procedura fissata nell’ipotesi in cui gli appalti o le concessioni abbiano importo inferiore alla soglia dei dieci milioni di euro e comunque quanto in genere non sia previsto l’obbligo di costituire la commissione, (commi 14 e seguenti), rimane un dubbio causato da una lacuna normativa: atteso che nell’ipotesi in cui non venisse costituita la commissione (facoltativa), il comma 15 dell’art. 240 si limita a rimandare al comma 13 specificando solamente che il responsabile del procedimento formula in tal caso la proposta (quella con le caratteristiche appunto elencate dal comma 12), e visto che il comma 13 si riferisce alla patologia della costituzione della commissione causata dall’inerzia dell’appaltatore, non si riesce a comprendere quali sia il dies a quo dei sessanta giorni assegnati al responsabile del procedimento per formulare la proposta nell’ipotesi di sotto soglia dei dieci milioni di euro: infatti, a ben vedere il richiamato comma 13 fa decorrere espressamente i sessanta giorni del responsabile del procedimento dalla scadenza dei venti giorni assegnati all’appaltatore per nominare egli stesso il proprio componente della commissione. Ma 33. Trattasi qui di un’altra aggiunta rispetto al comma 1–bis che compare nell’ultima parte del comma 13 dell’art. 240. 456 Capitolo XVII l’ipotesi del comma 15 relativa al sotto soglia indicato si basa proprio sul fatto di prescindere dalla costituzione (facoltativa, appunto) della commissione. E allora ci si deve chiedere come può in quest’ultimo caso individuarsi la decorrenza dei sessanta giorni per il responsabile del procedimento visto che non possono esistere a monte i venti giorni per l’appaltatore. Al dubbio, sembra doversi rispondere logicamente facendo decorrere quei sessanta giorni di cui al comma 15 dell’art. 240 dall’iscrizione dell’ultima riserva di cui al comma 1. In ogni caso, sulla somma riconosciuta in sede di accordo bonario sono dovuti gli interessi al tasso legale a decorrere dal sessantesimo giorno successivo alla sottoscrizione dell’accordo. Postfazione Riflessioni sull’Università ontologia e cronologia: il vero e il verosimile di Vittorio Capuzza 1. Parola come significante1 Si suole individuare l’origine del termine Università nello Studium ovvero nel segno di Universalità delle scienze; in altre parole, o in un luogo in senso stretto o un uno spazio in cui si svolgerà l’attività quasi a “tutto tondo”, circolare della conoscenza. Eppure, come ho avuto già ormai da tempo modo di scrivere2 e di relazionare, facilmente appare enucleabile dalla radice e dalla struttura etimologica il “senso unico”, unidirezionale che nasce dalla parola “uni–versus”: essa, infatti, sembrerebbe celebrare l’uniforme aspetto della sapienza, che richiede il suo svolgimento d’istruzione e d’esperienza, senza eccezioni, perché identica è la natura umana nei diversi stili degli altrettanto diversi uomini. Il termine individua al contempo uno scopo ed un metodo, cioè quello di sapere, di conoscere attraverso un cammino che porti verso quel generalissimo fine, il quale si specializzerà nel tempo in rapporto ai singoli rami del sapere. 1. Questo mio scritto è stato già in parte pubblicato in M. Grassi e E. Stefani, Il sistema universitario italiano. Normativa e operatività, Cedam, Padova, 2007, pp. 63 e 64. 2. Mi permetto di rinviare, in particolare, al mio Forme e contenuto dell’Università fra storia e filologia, in M. Grassi e E. Stefani, Il sistema universitario italiano. Normativa e operatività, Cedam, Padova, 2007, pp. 10–18. 457 458 Postfazione Uno scopo, che è l’istruzione: id est in–struere, dal verbo “divenuto proprio dell’architettura”, “raccogliere in uno, comporre, ordinare con metodo”; ad esempio “instruere aciem”; è instrumentum ciò che “serve a comporre e ordinare”; “insegnare è detto istruire”. Sono tutte idee confluite nelle frasi3. Un metodo: circulus et calami fecerunt me doctus (S. Agostino); si enucleano alle origini delle Scholae, specialmente in quelle di diritto, diverse forme, distinti metodi, continui mezzi di cammino: lecturae, quaestiones, oppositiones, brocarda, distinctiones, dissertationes dominorum, repetitiones. Con il tempo, la funzione diventa apparato: Universitates e titoli dottorali sono legati dal fatto che i titoli diventano sempre più ambiti e quindi più costosi; la lectura e la punctatio librorum divengono contratti, rinnovabili o meno fino alla trasformazione delle stesse funzioni del magister, il quale diverrà professore ordinario e straordinario di un apparato, conservando nel titolo accademico il passato modello delle distinzioni pratiche che la funzione di lettura ordinaria o straordinaria del Corpus giustinianeo prevedeva. In altre parole, tutto è pronto per l’abbandono dell’idea di un’Università degli studenti4 e per la nascita dell’Universitas studiorum. Rinveniamo gli effetti della dialettica funzione/apparato in due esempi ancora attuali. 3. Nicola Nicolini, 326 (II, § 51); cfr. Franco Cordero, Procedura penale, III, p. 538. 4. Come Ennio Cortese ha affermato, l’Università degli scolari era stata la rappresentazione dello “esito finale di un moto associativo portato a buon fine verso la fine del XII secolo dalla sola massa studentesca, ma ai suoi inizi la vocazione corporativa aveva coinvolto anche i rapporti tra maestri e allievi, ossia le scholae nel loro complesso” (in Il diritto nella storia medievale, vol. II, Roma, 1995, p. 260). Nelle pagine precedenti (pp. 256 e ss.), Cortese analizza alcune manifestazioni dello “spirito associativo”, segni di altrettanti ordinamenti “separati da sfere d’azione diversificate” (p. 259): corporazioni (associazioni di arti e mestieri), consorterie nobiliari, fraterne compagnie dei ceti minori, compagnie delle armi, confraternite, e appunto l’università degli scolari. Riflessioni sull’Università. Ontologia e cronologia: il vero e il verosimile 459 2. Il professore: storia di una funzione5 Alle origini dell’Università, le lezioni nelle Scuole di diritto a Bologna e nelle cosiddette “Scuole minori” si caratterizzano per due aspetti. Il primo consiste nella ricerca all’interno delle compilazioni giustinianee della completezza del sistema mediante sia l’applicazione analogica sia l’armonizzazione delle apparenti antinomia normative; il tutto svolto secondo lo schema concettuale della concentricità delle sfere, quanto a dire l’applicazione della dialettica della coincidentia oppositorum. La seconda caratteristica delle lezioni nell’alba dell’Università degli studenti è determinata dal profondo senso filologico che animava la mente sia dei docenti che degli scolari; in altri termini, è noto che l’esigenza sorta all’inizio era proprio quella di ricomporre la littera dei testi legislativi di Giustiniano, specie del Codex, del Digesto e delle Istituzioni; quindi, la ricomposizione dei testi doveva consistere nell’opera filologica eseguita mediante l’esegesi sul materiale di quelle norme stratificato nel tempo. Nascono così le glosse. La lezione, intesa sin dagli inizi come “Lectura”, va trasformandosi seguendo un’altra forma della logica: il sillogismo sul casus posto dal docente. La tecnica del sillogismo logico risulta composta da quattro momenti: casus simpliciter et nude ponimus, scrive Giovanni Bassiano (Materia ad Pandectas, Proemio, col. 1143); enunciazione delle contrarietà normative; inquadramento delle fattispecie concrete (che chiamavano causae de facto) in una sorta di fattispecie astratte (erano all’epoca i loci generales ed i brocarda); le questiones ed il relativo dibattito. La tecnica di studio individuata, che rappresenta anche lo scopo della formazione stessa, è indicata sempre da Giovanni Bassiano nel suo Proemio: “legere […] et non intelligere negligere est”; pertanto: “lecta intelligere, intellecta memoriae commendare”. Da qui, anche la funzione del libro: essere la sedes unificatrice della ricerca svolta e delle glosse che la materializzano; essere il materiale utile per la memoria. 5. Questo mio scritto è stato già in parte pubblicato in M. Grassi e E. Stefani, Il sistema universitario italiano. Normativa e operatività, Cedam, Padova, 2007, pp. 292–295. 460 Postfazione Quando, con il passare degli anni, le lezioni nelle universitates vengono ad assumere sempre più fisionomie strutturali, sorgono anche le esigenze di fissare alcune regole negli Statuti; fra queste, compaiono le norme la cui funzione fu quella di fermare una certa prassi, forse sorta in parte dalla stessa tecnica adottata con le glossae, seguita da molti docenti; infatti, vengono individuati i programmi che i docenti devono seguire: si tratta di elenchi denominati punctatio del libri giustinianei, ovvero taxatio punctorum. È altrettanto noto che i primi nove libri del Codex ed il Digestum vetus fossero considerati libri “ordinari”, le cui letture (lezioni) erano appunto “lecturae ordinariae”, a loro volta divise rispettivamente in due corsi per ogni parte (il Codex: I, C.1–5 e II, C. 6–9; il Digestum vetus: I, D.1–11 e D. 12–24.2); il Digestum novum e l’Infortiatum sono invece libri “straordinari”. La taxatio punctorum, ben descritta nello Statuto bolognese del 1252, si compone dunque di norme ordinarie e tale elenco indica anche il “termine” secondo cui il docente deve svolgere la relativa “lectura ordinaria”; l’elenco riporta solo le norme ordinarie, lasciando così intendere come straordinarie i puncta non segnati. Ma va precisato che le lecturae ordinariae non sono solo e generalmente quelle relative ai libri legali ordinari (Codex e Digestum vetus); infatti, all’interno sia del Codex che del Digestum vetus erano state formate diverse serie di puncta: relativamente al libro ordinario si distinguevano ulteriormente puncta ordinaria e puncta extraordinaria. Quindi anche le lezioni sui puncta ordinaria si denominarono così come lecturae ordinariae. Anche per i professori che leggevano sull’Infortiatum e sul Digestum novum, cioè extraordinarie, v’erano i programmi cadenzati temporalmente e a loro volta suddivisi alla medesima maniera, secondo cioè puncta ordinaria e puncta extraordinaria. Quando la funzione diventerà apparato, quando cioè l’Università degli studi diverrà la forma strutturale, nell’apparato nuovo i professori manterranno viva nel nome la funzione da cui trasse origine la propria attività, distinguendosi sempre più marcatamente nei secoli successivi sino alla burocratizzazione, in professori ordinari e professori Riflessioni sull’Università. Ontologia e cronologia: il vero e il verosimile 461 straordinari (oggi la cd. prima fascia), ovviamente riferendo — nella sola formula verbale — quei titoli alle concrete operazioni medievali di lettura dei testi ordinari (lectura ordinaria in senso generale del Codex e del Digestum vetus) e non già ai puncta ordinaria, che abbiamo visto presenti sia per i libri ordinari sia per i libri straordinari. Esisteva anche la revisione dei puncta taxata, come alcuni Statuti trecenteschi dimostrano: nessuno dei professori doveva tralasciare o non rispettare la lettura di quanto così elencato, a fronte della sanzione consistente nel pagamento di una penale per inadempimento contrattuale; è per tale ragione economica che, a titolo di cauzione, “doctores tenentur deponere. XXV. Ibras Bon. XV. diebus ante festum sancti Michaelis pro punctis servandis”, come indica una nota Bolognese del 12526. Un contratto, pertanto, costituiva il rapporto giuridico fra studente e professore7. Per allargare lo sguardo, va detto anche che già dalle origini delle scholae lo studente si impegnava al pagamento di un onorario annuale denominato collecta al professore per la sua prestazione sinallagmatica di “reggere la scuola’, cioè di far lezione. La collecta nel tempo sarà il 6. Cfr. P. Maffei, Un trattato di Bonaccorso degli Elisei e i più antichi statuti dello Studio di Bologna nel manoscritto 22 della Robbins Collection, in Bullettin of Medieval Canon Law, 5, 1975, p. 94. Sul tema in esame, cfr. per tutti, M. Bellomo, Saggio sull’Università nell’età del diritto comune, 1999, pp. 190 e ss. 7. Circa il rapporto giuridico esistente fra magister e discepoli si sono nel tempo formulate diverse ipotesi (per la sintesi delle quali cfr. A. Faconda, Riflessioni sulle «societas» «universitarie» bolognesi, pp. 35–63)): 1) la societas nasceva sulla causa del contratto iuris gentium (A. Solmi, Il rinascimento nella scienza giuridica e l’origine delle Università nel Medio Evo, in Il Filangeri, 25, 1900); 2) La societas era un termine solo di uso ma assente di valenza giuridica (G. Cencetti, Studium fuit Bononiae. Note sulla storia dell’Università di Bologna nel primo mezzo secolo della sua esistenza, in Studi Medievali, ser. III, 7, 1966, pp. 781 e ss.); 3) secondo il Bellomo (op. cit., pp. 50–52) i rapporti giuridici vanno distinti in due tipi, il primo esistente fra gli studenti (denominato consortium) e il secondo fra studenti e docenti (denominato comitiva); 4) la societas sarebbe derivata dalle società delle arti secondo il rapporto esistente fra maestro ed apprendista (A. Guadenzi, Appunti per servire alla storia dell’Università di Bologna e dei suoi maestri, I, in L’Università, 3, 1889, p. 189). Su tutti questi aspetti, vedi E. Cortese, op. cit,. II, p. 260, nt. 22. Riguardo alle caratteristiche dello spirito associativo, vedi F. Calasso, Gli ordinamenti giuridici del Rinascimento medievale, 1949, pp. 93 e ss. 462 Postfazione corrispettivo anche per bidelli e per gli affittuari (o domini) del locali in cui tenere le lecturae; per distinguerle da quest’ultime, quelle dei professori vennero appellate collectae pro sapientia o pro doctrina. Con la nascita nei secoli successivi di un sistema, cioè dell’apparato, e soprattutto con la materializzazione del sistema pubblicistico, il contratto privato con il professore perderà sempre più i suoi contorni,8 fino a diventare una specifica forma negoziale da parte della singola Università (intesa come pubblica amministrazione) con caratteri d’eccezionalità e limitatezza. Anche in tal senso, una funzione originaria basata sullo schema civilistico si è trasformata diverse volte dopo essere stata incastonata in un apparato le cui sembianze variano a seconda del regime giuridico pubblicistico scelto. 3. Il libro per lo studente: storia della funzione9 Nella Premessa alla I edizione del Suo Diritto Amministrativo, edito nel 1970, Massimo Severo Giannini riferiva di sé che due decenni prima egli esponeva in pubblico un’idea austera: che il magistero dai politici oggi chiamato di livello universitario, secondo un linguaggio 8. Si assiste oggi ad una apertura negoziale della Pubblica Amministrazione, regolata secondo il noto principio di specialità. M. S. Giannini, nella Sua premessa al Diritto amministrativo (op. cit., p. IX), aveva intuito saggiamente già nel 1970 questa iniziale tendenza, che attualmente si è espansa fino a diventare (ratione materiae per i contratti pubblici) previsione normativa. Giannini infatti annunciava la tendenza dell’ordinamento a formare un nuovo diritto comune, con normative cioè iscritte in atti normativi qualificati di diritto pubblico e iscritte in atti qualificati di diritto privato; e concludeva che, disciplinando le medesime fattispecie, non posso più restare divise le conoscenza del diritto pubblico e del diritto privato. Nel luglio 2006, entra in vigore il d.Lgs.163/06 (Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture) e all’art. 2, comma 4 stabilisce normativamente che: “Per quanto non espressamente previsto nel presente codice, l’attività contrattuale dei soggetti di cui all’articolo 1 si svolge nel rispetto, altresì, delle disposizioni stabilite dal codice civile”. In tale cornice di principi giuridici, pur se diversa è la materia, si ascrive perfettamente la natura e la struttura del contratto d’insegnamento odierno che l’Università stipula, previo concorso pubblico, con il docente. 9. Questo mio scritto è stato già in parte pubblicato in M. Grassi e E. Stefani, Il sistema universitario italiano. Normativa e operatività, Cedam, Padova, 2007, pp. 561 e 562. Riflessioni sull’Università. Ontologia e cronologia: il vero e il verosimile 463 mutuato dai geometri, fosse un magistero di scienziati e non di professori, il quale dovesse trovare la sua forma principale nell’insegnamento orale, rivolgendosi a menti già formate e perciò interessate non ad apprendere nozioni, ma idee, metodi e anche itinerari di analisi e di sintesi applicati dalla meditazione umana alle diverse discipline; che entro tale quadro la parola scritta dovesse essere o opera di pensiero, significativa di un fatto di speculazione scientifica, ovvero un sussidio, quasi un memorizzatore, e in tal caso quelle offerte dal mercato fossero quasi fungibili tra loro. L’autore però non si atteneva affatto a questi criteri, e nel 1950 pubblicava un libro, intitolato Lezioni di diritto amministrativo (p. VII). È indubbio che l’efficacia, la scientificità e l’elevatura dogmatica di Massimo Severo Giannini poterono raggiungere Studenti e Studiosi, servendosi in egual misura del verbo orale e del libro. Il rischio attuale invece è che il concetto di “utile” sia confuso con quello di “necessità” e che a fronte di un bisogno di “praticità” non solo venga amputata la “teoretica”, ma che si modellino lezioni sintetiche e operative. Il libro, di conseguenza, “deve” essere un sunto. Così il rischio è che, almeno nei comportamenti, non solo sia scomparso il “professore” ma che (per dirla con Giannini) svanisca anche lo “scienziato”, e il loro posto venga ricoperto dall’“operatore”. Ad horas, si intende. Invece, per il professore vale un’altra verità, la cui natura si manifesta nel “suo” libro. Scrive Francesco D’Agostino: S. Tommaso ha scritto che docere est actus catitatis et misericordiae. L’espressione può forse apparire enfatica, ma possiede una sua rigorosa plausibilità. Carità è atteggiamento di assoluto disinteresse; carità è riconoscere che è bene che l’altro ci sia […]. In questo senso, è maestro chi reputa che il sapere è un bene, che è un bene che il sapere si diffonda e che è bene per lui poterlo partecipare a coloro che sono i suoi allievi, è maestro chi considera il suo sapere alla stregua non di un possesso di cui essere gelosi, ma di un patrimonio da trasmettere in dono. In questa prospettiva si può ritenere che anche nella dialettica maestro/allievi si confermi la veridicità dell’intuizione 464 Postfazione di Nietzsche: il tu viene prima dell’io […] chi insegna senza avere questa consapevolezza […] non merita il nome di maestro. Non lo merita chi scrivendo per la scuola non ha davanti a sé l’immagine reale di quegli innumerevoli tu […] ma unicamente se stesso, nelle vesti del nevrotico narcisista, del pragmatico ideologo o del (peraltro inevitabilmente piccolo e cinico) imprenditore di una non onorevole impresa commerciale incentrata sul lucro che si trae dalla vendita (in qualche modo forzata) di libri di testo10. Il libro ha ben altra funzione, direttamente connessa con l’aspetto ontologico del maestro. Vediamone alcune essenziali caratteristiche sin dal suo albore. Negli Statuti di metà XIII secolo compare una formula espressiva, già presente in una rubrica dello statuto di Bologna del 1216, che indica il valore intrinseco del liber: “nec aliquis doctor legum det ei libruum suum”, infatti, dare librum indica la continuità di ricerca e d’insegnamento (la schola in senso proprio) che passa dal magister al proprio allievo, quando questi ha già concluso il proprio iter di studi11. Ma il valore del libro deve essere citato anche da un punto di vista economico, dunque estrinseco, specie alle origini dell’Universitas medievale; diviene motivo di tensioni il rapporto fra chi crea libri, chi li vende, chi li esporta. Materialmente il libro alle origini della Schola è veramente costoso: 120/140 lire come limite massimo riscontrato: per la metà della cifra si riesce a Bologna a comprar casa12. Progressivamente, l’apparato protegge la funzione: con l’aumento delle richieste di libri, le Universitates prevedono forme di garanzia per lo studente. Certo non mancano i plagi, infatti, di contro, non esiste alcuna protezione delle opere letterarie e frutto di ingegno. Solamente dalla metà 10. F. D’Agostino, Parole di bioetica, Postfazione. Lo scrittore e il suo lettore, Giappichelli, Torino 2004, p. 225. 11. Cfr. M. Bellomo, Saggio sull’Università, op. cit., pp. 109 e ss.; S. Caprioli, Per uno schedario di glosse preaccursiane. Struttura e tradizione della prima esegesi giuridica bolognese, in Per Francesco Calasso, p. 153. 12. Cfr. M. Bellomo, Saggio sull’Università, op. cit., p. 113. Riflessioni sull’Università. Ontologia e cronologia: il vero e il verosimile 465 del XIX secolo si avrà, grazie alle previsione normative contenute in una convenzione fra più Stati, una certa forma di garanzia col cd. diritto d’autore: Manzoni intenterà (e vincerà) una causa giudiziaria per una riedizione nei tipi dell’editore Le Monnier in Firenze dei Promessi Sposi, e la causa avrà più gradi di giudizio. Il metodo pratico medievale si muove lungo due funzioni precise: c’è chi conserva exempla al fine di apporvi, se necessario, eventuali correzioni, e soprattutto di produrne copie (o di consentire ad altri di poterli copiare: da qui si svilupperà la prassi poi regolarizzata con apposite regole anche economiche (cd. taxatio peciarum) di consegnare quaderni del testo (cd. peciae) al fine di evitare lunghissimi tempi di attesa); questi detentori del libro sono chiamati dalle fonti stationarii exempla tenentes o stationarius peciarum. C’è poi chi procura testi per commerciarli: sono i cd. venditores librorum o stationarii librorum. Si arriverà a delimitare il diritto d’acquisto dello studente con accorgimenti tali affinché questo non s’immischi e concorra con interessi imprenditoriali di vendita e mercanteggio dei libri: per quest’ordine d’attività vi sono gli stationarii librorum, ovvero i professori (ad esempio, Martino Sillimani, come d’altronde gli Accursi, è figlio di uno stationarius e, soprattutto dopo la morte del padre, gestisce l’attività di questo). Fa riflettere come la storia possa, nei suoi eventi, determinare un abbassamento non solo del valore intrinseco ma anche di quello economico: basti pensare alle confische napoleoniche dei monasteri e dei possedimenti ecclesiastici comprensivi di immobili; Monaldo Leopardi riesce — come egli stesso attesta nella sua Autobiografia poi commentata per la prima volta dall’Avòli nel 1883 — ad acquistare, con prezzo commisurato al solo peso della carta, gli ingenti volumi, moltissimi dei quali di elevatissimo valore contenutistico ed economico. Sarà proprio Monaldo Leopardi, ingiustamente tacciato dalla cronaca come antiliberale e miope “spadifero”, ad aprire per la prima volta in uno stato preunitario (le Marche, come è noto, erano parte dello Stato Pontificio) la sua grande libreria ai cittadini di Recanati. 466 Postfazione Dal libro alla biblioteca, senza la quale, nel caso del conte di Recanati, non ci sarebbe stato il grande Giacomo Leopardi. 4. Ius novum Universitatis Con la nascita della fisionomia unitaria dell’Italia, dapprima realizzata nel senso giuridico–politico, solo successivamente anche nell’assetto economico (l’Europa unita seguirà un senso di marcia opposto), si fa sempre più vivo il bisogno di una scienza di diritto amministrativo, sull’esempio del modello francese, specie napoleonico13, e di quello riletto dal Romagnosi e dal Rocco14. L’istruzione, ancora più intensamente e sulla scia appunto napoleonica, viene così assorbita dall’amministrazione statuale preunitaria, fino a perdere la sua “funzione” autonoma di formazione cultu13. Napoleone aveva scritto di sé: “la mia vittoria non sta in quaranta vittorie, e neppure nell’avere imposto il mio volere ai sovrani. Waterloo cancellerà il ricordo di tante vittorie, l’ultimo atto fa dimenticare il primo. Ma quello che non può perire è il mio Codice Civile, sono i protocolli del mio Consiglio di Stato, la corrispondenza coi miei Ministri. […] Il mio Codice, con la sua semplicità, ha fatto più bene dell’ammasso di tutte le leggi precedenti. I miei metodi d’insegnamento erano una nuova generazione; durante il mio regno la criminalità è scemata, mentre è aumentata in Inghilterra. […] Volevo istituire un sistema europeo, un Codice europeo, una Corte di cassazione europea: vi sarebbe stato un solo popolo in Europa”. In Napoleone, di E. Ludwig, 1991, p. 469. Sul tema, cfr. Vittorio Capuzza, La rivoluzione culturale portata dall’epopea napoleonica, (Conferenza, Palazzo Barberini, Roma 15 marzo 2003). 14. È un professore francese, tale Poteiez de l’Oise, a chiamarlo diritto amministrativo, nominando così un suo corso alle Scuole Centrali della Charente Infèrieure, nel 1798. In Italia è Giandomenico Romagnosi nel 1814 a scrivere le Istituzioni di diritto amministrativo, poi ripubblicato a Firenze nel 1832, aggiornato ed ampliato. La Francia è il terreno fertile in cui il seme germoglia: cattedra a Parigi nel 1828, analisi della giurisprudenza del Consiglio di Stato, l’opera di De Girando (in IV volumi, 1828–1830). L’influenza negli Stati preunitari di nord e sud penisola è elevata: ad esempio, Giovanni Manna scrive Il diritto amministrativo del regno delle due Sicilie, Napoli 1840 e Antonio Lione è autore di Elementi di diritto amministrativo, Torino 1850. Lungo tale influenza, Rocco scrive il Dritto amministrativo per un corso a Napoli nella metà dell’Ottocento. Ma la definizione di diritto amministrativo nel secolo XIX ancora sfugge: “Questa debolezza d’impianto teorico, d’altra parte, non è casuale. Essa dipende dalla difficoltà che la dottrina incontra nel misurarsi con una tipologia di potere pubblico storicamente inedita”, in L. Mannari, B. Sordi, Storia del diritto amministrativo, Bari, p. 291. Riflessioni sull’Università. Ontologia e cronologia: il vero e il verosimile 467 rale, unitaria nel concetto di scopo e di metodo, sino ad identificarsi nell’“apparato” burocratico e giuridico: la Legge 13 novembre 1859, n. 3725 (c.d. legge Casati) segna all’origine — o quasi — del nostro Stato, una stabilitas solo nella firmitas; ciò equivaleva a dire che l’Università era ormai un organo dello Stato: la funzione si identifica, organicamente, con l’apparato, unico ente generale e supremo, capace di garantire il mantenimento futuro e prossimo dei suoi aspetti. Lo scopo dell’istruzione veniva così a coincidere con i fini esclusivamente e squisitamente statali: ilmetodo era quello rappresentato dalla stessa l. 3725/1859: ad esempio, di indirizzare la gioventù nelle carriere pubbliche e private, in cui si richiede la preparazione di accurati studi speciali. Era universitas limitata nell’identificazione formale del diritto: dunque, nessuna autonomia, che è invece logico corollario ricavabile naturalmente e senza discussione se il termine universitas si ricolloca nella sua alba radiosa, se si riporta alla sua funzione a cui offre garanzia l’apparato esterno: questo, almeno, diverrà lo spirito dell’art. 33 della Costituzione, specialmente dell’ultimo suo comma e della riserva di legge valevole più come limite alla legge che come limite all’autonomia dell’università degli studi. Ma lì, dal 1948 cioè, l’autonomia nel suo concetto giuridico verrà ad essere protetta costituzionalmente. Dopo la Legge Casati, rimasta in vigore fino al 1923, la riforma conosciuta come riforma Gentile, ovvero la Legge 30 settembre 1923, n. 2101, porterà a livello normativo ordinario un’embrionale e privo di garanzie fondamentali riconoscimento all’università di una autonomia intesa in triplice aspetto: di ricerca, di didattica e amministrativa; in buona sostanza veniva per la prima volta nel nostro Stato riconosciuta all’università la propria soggettività mediante la personalità giuridica. Ma solo con l’art. 33 della Costituzione della Repubblica Italiana si ha una vera e propria disciplina fondamentale e innovativa per l’università15. 15. Così infatti l’art. 33 Cost. stabilisce: «L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole 468 Postfazione Nell’enunciato dell’art. 33, sono dunque due i fondamenti costituzionali valevoli per l’università: il primo è costituito dalla libertà dell’arte e della scienza intese nella loro natura intrinseca, come altrettanto libera ne è la loro estrinsecazione, cioè l’insegnamento. In relazione a quest’ultimo aspetto di libertà dell’insegnamento, appare utile rammentare la ben nota sentenza della Corte Costituzionale 14 dicembre 1972, n. 19516. statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato. La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali. È prescritto un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale. Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato». 16. Nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 38 del Concordato 11 febbraio 1929 fra lo Stato italiano e la Santa Sede, reso esecutivo con la legge 27 maggio 1929, n. 810, promosso con ordinanza emessa il 26 novembre 1971 dal Consiglio Stato in sede giurisdizionale — sezione VI — sul ricorso di Cordero Franco contro il Ministero della pubblica istruzione e l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, iscritta al n. 51 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 97 del 12 aprile 1972. In essa viene per primo in considerazione l’art. 33 della Costituzione, che detta i princìpi e le regole fondamentali che disciplinano l’insegnamento: «È da rilevare, anzitutto, che, in base all’art. 33, lo Stato ha, bensì, l’obbligo di provvedere alla pubblica istruzione, dettando le norme relative ed apprestando i mezzi necessari (apertura di scuole di ogni ordine e grado, ecc.) ma non ha l’esclusività dell’insegnamento. Che, anzi, contrariamente a quanto asserito nell’ordinanza di rinvio, è lo stesso art. 33 a porre il principio del pluralismo scolastico, che è conforme, d’altronde, a quello fondamentale, di cui al primo comma, della libertà dell’arte e della scienza. Non v’è dubbio che la libertà della scuola si estende a comprendere le università, che sono previste nel contesto del medesimo art. 33; e sarebbe, d’altronde, illogico che le garanzie di libertà per la scuola in genere non fossero applicabili anche alle università e agli istituti di istruzione superiore. Accertato che non contrasta con l’art. 33 la creazione di università libere, che possono essere confessionali o comunque ideologicamente caratterizzate, ne deriva necessariamente che la libertà di insegnamento da parte dei singoli docenti — libertà pienamente garantita nelle università statali — incontra nel particolare ordinamento di siffatte università, limiti necessari a realizzarne le finalità. Né vale la dedotta obiezione che l’Università Cattolica, risultando inquadrata, a seguito dell’intervenuto riconoscimento, tra le università dette “libere” sarebbe da considerarsi, ad ogni effetto, come persona giuridica di diritto pubblico. Da questa considerazione e dalla natura del predetto inquadramento, non consegue che dell’Università Cattolica siano state attenuate la originaria destinazione finalistica e la connessa caratterizzazione confessionale, riaffermata, anzi, come si è ricordato, nel relativo Statuto debitamente approvato. Invero, l’art. 33 garantisce “ piena libertà “ a tutte “le scuole non statali che chiedono la parità”: Riflessioni sull’Università. Ontologia e cronologia: il vero e il verosimile 469 Ma, dell’attuazione di tali fondamentali aspetti, la lenta emanazione a livello di fonti primarie ha visto il proprio avvio solo con la formulazione della Legge 9 maggio 1989, n. 168, cioè circa quaranta anni dopo l’entrata in vigore dell’art. 33 della Costituzione. Il secondo pilastro dell’impalcatura dell’art. 33 Cost. è appunto la riserva di legge prevista nell’ultimo comma; è noto infatti che in generale la riserva di legge svolge una funzione di certo non più dualistica — intendendo con ciò richiamare la nota funzione nel regime monarchico di limitazione dell’intervento dell’esecutivo nei confronti del parlamento —17, ma comunque di natura ancora di “garanzia”, realizzabile al suo interno su due fronti: la riserva relativa lascia meno ambito al potere parlamentare permettendo l’intervento dell’esecutivo e delle fonti secondarie; la riserva assoluta, mantenendo tutta la sua pienezza di garanzia del potere legislativo, preclude qualsivoglia intervento delle fonti regolamentari e secondarie. E la formulazione letterale dell’ultimo comma dell’art. 33 Cost. “nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato” suona come riserva assoluta (pur se la formulazione nuova dell’art. 117, comma 2 lett. n) ha fatto sorgere in parte della dottrina dubbi su tale natura assoluta della riserva), ancorché, a ben vedere, non sia nient’altro che la solenne limitazione per le fonti legi“non statale” appunto, come è ritenuto anche nella più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato, deve considerarsi l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Da quanto precede risulta di tutta evidenza che, negandosi ad una libera università ideologicamente qualifica il potere di scegliere i suoi docenti in base ad una valutazione della loro personalità e negandosi alla stessa il potere di recedere dal rapporto ove gli indirizzi religiosi o ideologici del docente siano divenuti contrastanti con quelli che caratterizzano la scuola, si mortificherebbe e si rinnegherebbe la libertà di questa, inconcepibile senza la titolarità di quei poteri. I quali, giova aggiungere, costituiscono certo una indiretta limitazione della libertà del docente ma non ne costituiscono violazione, perché libero è il docente di aderire, con il consenso alla chiamata, alle particolari finalità della scuola; libero è egli di recedere, a sua scelta, dal rapporto con essa quando tali finalità più non condivida». La prima conclusione relativa alla disciplina costituzionale dell’Università appare chiara: è vietato un insegnamento di Stato, bensì la Pubblica Amministrazione deve favorire lo sviluppo della cultura come parte fondamentale della propria competenza esecutiva, garantendone al contempo la libertà di contenuto: l’azione dell’apparato protegge la funzione, tornata libera, almeno nel dettato costituzionale. 17. Cfr. F. Sorrentino, Le fonti del diritto amministrativo, in Trattato di diritto amministrativo (diretto da G. Santaniello), vol. XXXV, 2004, pp. 32 e ss. 470 Postfazione slative di intaccare l’autonomia stessa. Di qui, la nuova e piena affermazione dell’autonomia a livello costituzionale, di cui si è detto. In altri termini, a livello di grundnorm, nel nostro ordinamento giuridico l’autonomia come funzione viene ad essere sciolta dai poteri dell’apparato, il quale, direttamente connesso alla salvaguardia del principio enucleato nel comma 1 dell’art. 33, deve a livello di fonti primarie garantire e non offuscare l’autonomia universitaria18. 5. Significato Una considerazione conclusiva. Il titolo di riconoscimento che l’ordinamento giuridico assegna alle Università appare, in via immediata, come una firmitas, che sul piano degli effetti di diritto trasmette in un atto quella soggettività, affermata e tutelata in potenza dall’art. 33, u.c. della Costituzione. D’altro canto, in via mediata, senza gli effetti del piano legale non sussiste l’Università in sé, in quanto non sarebbe inquadrabile nel dettato del comma 1 dell’art. 33 Cost. Ma, se non leggessimo la firmitas legale come strumento di garanzia di quelle libertà enunciate dalla Costituzione a proposito dell’arte e della scienza e del loro insegnamento, l’esigenza tout court di meri riconoscimenti rischierebbe di essere la proclamazione di soli apparati il cui rischio, pertanto, sarebbe quello di generare e difendere una mera forma senza contenuto. Il che è assurdo, perché è senza senso sovrapporre, confondendole, la firmitas e la stabilitas, anziché leggerne la naturale complementarietà. Credo che questa riflessione riguardi anche i docenti, l’anima vitale — assieme agli studenti — dell’Università. Un atto amministrativo 18. Sul tema dell’autonomia universitaria cfr. l’interessante saggio di R. Rota, Nubi sull’autonomia delle Università, in Foro amministrativo TAR, anno IV, fasc. 5–2005, 1510 e ss.; cfr. anche Atti del Convegno (a cura di A. D’Atena): L’Autonomia del sistema universitario: paradigmi per il futuro, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” – CRUI, Villa Mondragone 22 marzo 2006, (ed. Giappichelli, Torino 2006); A. Berrettoni Arleri, F. Matarazzo, voce Università degli studi, in Enciclopedia del diritto, XLV, 1992, pp. 822 e ss. Riflessioni sull’Università. Ontologia e cronologia: il vero e il verosimile 471 non può sostituire un’umanità esemplare, mentre invece un insegnamento ben può vivere anche senza un provvedimento formale. All’ombra di questo principio fondamentale esiste un rimpianto: quello dei tempi in cui fra studiosi si dialogava, condividendo le speculazioni sapienziali, confermando le scoperte nell’ottica della circolarità e univocità del sapere. Eppoi, quella passione per le idee, quel rigore della mente, venivano trasmesse agli studenti, che, nel rispetto dei ruoli e dei doveri, riconoscevano nel professore un maestro, un modello, e anche un esempio destinato a rimanere indelebile, pur se il tempo, il lavoro, la vita non li avrebbero più fatti incontrare. Ogni anno, al termine di un ciclo accademico di lezioni, saluto con questo spirito gli allievi, che l’anno venturo non saranno più in quell’aula, ove continuerò ad insegnare. All’umano rammarico si unisce specularmente la gioia di incontrare nuovi volti e di preparare io altre lezioni. E il sapere circola, vive e si rigenera, appunto perchè è debole. Penso che questa sia la vera natura dell’Università, così come l’abbiamo nei nostri cuori, così come apparve nei suoi albori storici: il diritto la può solo proteggere, ma mai potrà sostituirla o presuntuosamente ricrearla, se non in modo artificiale. Roma, 5 luglio 2009 AREE SCIENTIFICO–DISCIPLINARI Area 01 – Scienze matematiche e informatiche Area 02 – Scienze fisiche Area 03 – Scienze chimiche Area 04 – Scienze della terra Area 05 – Scienze biologiche Area 06 – Scienze mediche Area 07 – Scienze agrarie e veterinarie Area 08 – Ingegneria civile e Architettura Area 09 – Ingegneria industriale e dell’informazione Area 10 – Scienze dell’antichità, filologico–letterarie e storico–artistiche Area 11 – Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche Area 12 – Scienze giuridiche Area 13 – Scienze economiche e statistiche Area 14 – Scienze politiche e sociali Le pubblicazioni di Aracne editrice sono su www.aracneeditrice.it Finito di stampare nel mese di ottobre del 2009 dalla tipografia « Braille Gamma S.r.l. » di Santa Rufina di Cittaducale (Ri) per conto della « Aracne editrice S.r.l. » di Roma CARTE: Copertina: Patinata opaca 300 g/m2 plastificata opaca; Interno: Usomano bianco Dune 90 g/m2 ALLESTIMENTO: Legatura a filo di refe / brossura