Lezioni di legislazione opere pubbliche - ART

A12
260
In copertina: Andrea Chiesi, Fattore 33 (disorder), 2002.
Arturo Cancrini
Vittorio Capuzza
Lezioni di Legislazione
delle opere pubbliche
Copyright © MMIX
ARACNE editrice S.r.l.
www.aracneeditrice.it
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via Raffaele Garofalo, 133 A/B
00173 Roma
(06) 93781065
ISBN
978–88–548–xxx–x
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I edizione: ottobre 2009
Indice
11
Premessa
Parte I
La fase di gara ad evidenza pubblica
Capitolo I
Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06. Inquadramen
to della disciplina giuridica
15
1. Il Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi, forniture: il quadro
normativo di riferimento, 15 – 2. Gli interventi successivi, operanti nel
d.lgs. 163/06, 19 – 3. I principi ispiratori del Codice. Definizioni e riflessioni sugli organismi di diritto pubblico, 49 – 4. Ambiti di giurisdizione ordinaria e amministrativa per i contratti pubblici, 50 – 5. Definizioni, 54 – 6.
Inquadramento della normativa di riferimento per gli appalti sotto soglia
comunitaria, 60 – 7. Il regolamento di esecuzione e i capitolati, 63
Capitolo II
I soggetti ammessi alle gare
67
1. Principali aspetti relativi ai contratti pubblici di lavori, servizi, forniture nei
settori ordinari. I soggetti a cui possono essere affidati i contratti pubblici, 67
– 2. I consorzi stabili di imprese e i raggruppamenti temporanei di imprese,
78 – 3. Il problema all’interno di un’A.T.I. della modificabilità in corso di esecuzione delle rispettive quote di partecipazione e di esecuzione dei lavori, 99
5
6
Indice
105 Capitolo III
Le fasi della gara ad evidenza pubblica
1. Aspetti introduttivi, 105 – 2. La programmazione, 109 – 3. La progettazione, 116 – 3. 1. L’art. 90 del Codice, 116 – 3. 2. I livelli di progettazione,
122 – 3. 3. Il diritto d’autore del progetto, 127 – 4. Il bando di gara, 136
– 5. Le procedura di scelta del contraente: l’Appalto concorso, appalto integrato e appalto integrato misto, 141 – 5. 1. La procedura negoziata, 146
– 6. I criteri di aggiudicazione, 155 – 6. 1. Il prezzo più basso: la soglia di
anomalia e la verifica di congruità, 155 – 6. 2. Il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, 158 – 6. 3. La Commissione ex art. 84 del Codice, 165 – 7. La disciplina giuridica dalla aggiudicazione alla stipulazione
del contratto. Problematiche connesse con la consegna dei lavori, 172
183 Capitolo IV
Requisiti generali e speciali
1. I requisiti generali, 183 – 2. I requisiti speciali: cenni sull’attestazione
SOA, 214
219 Capitolo V
Istituti
1. Il diritto d’accesso negli appalti pubblici, 219 – 2. Gli affidamenti “in
house”, 223 – 3. L’istituto dell’avvalimento, 225 – 4. Il subappalto, 237 – 5.
Il trasferimento d’azienda o di ramo d’azienda, 258
265 Capitolo VI
Concessione dei lavori e project financing
1. La concessione di costruzione e gestione, 265 – 2. Aspetti giuridici rilevanti del nuovo Project financing, 271 – 2. 1. Cenni ai problemi di compatibilità tra diritto di prelazione e ordinamento comunitario, 283
7
Indice
279 Capitolo VII
Le Opere di Urbanizzazione a scomputo dopo le modifiche operate al Codice De Lise dal d.lgs. 152/08
1. Nozione e disciplina giuridica nel tempo, 279 – 2. Il quadro giuridico
nel d.lgs. 163/06 alla luce degli interventi correttivi, 296 – 3. Problematiche interpretative ed applicative dopo le modifiche operate dal III Decreto
correttivo, 301
307 Capitolo VIII
Inquadramento della normativa antimafia
311 Capitolo IX
Il regime delle responsabilità nella fase di gara ad evidenza pubblica
1. Effetti del contatto a valle quando l’aggiudicazione è stata annullata dal
giudice amministrativo, 311 – 2. La giurisdizione per la procedura ad evidenza pubblica degli appalti pubblici, 332 – 3. Tipi di responsabilità della
P. A, 338 – 4. La responsabilità precontrattuale, 339 – 5. Ancora sulla responsabilità precontrattuale, 341 – 6. Natura della responsabilità dell’amministrazione: contrattuale da contatto ed extracontrattuale, 345 – 7. La
responsabilità amministrativo – contabile, 351
Parte II
L’esecuzione del contratto
357
Capitolo X
Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche
1. Le situazioni giuridiche soggettive attive, 357 – 2. I diritti soggettivi, 358
3. Le obbligazioni 359 – 4. Gli interessi legittimi, 362
8
365
Indice
Capitolo XI
I soggetti
1. Il responsabile del procedimento e la direzione dei lavori, 365
373 Capitolo XII
Le varianti
383 Capitolo XIII
Termini di adempimento, penali, adeguamenti dei prezzi
393 Capitolo XIV
La sospensione dei lavori
403 Capitolo XV
Risoluzione del contratto. Recesso. Fallimento dell’appaltatore: questioni
41- Capitolo XVI
Il collaudo dei lavori pubblici
427 Capitolo XVII
Le Riserve e cenni al contenzioso
1. Le riserve: inquadramento generale, 427 – 2. Quadro normativo di
riferimento, 431 – 3. Natura giuridica della riserva, 435 – 4. Causa petendi e petitum, 437 – 5. La transazione: art. 239 del Codice degli appalti,
440 – 6. L’accordo bonario: generalità e rapporto con la risoluzione in via
amministrativa delle riserve, 443 – 7. Ambito e presupposti dell’accordo
bonario, 445 – 8. Procedimento dell’accordo bonario: la soglia di importo, 447 – 9. Accordo bonario e responsabile del procedimento, 448 – 10.
9
Indice
La procedura dell’accordo bonario, 450 – 11. Tempi del procedimento
di accordo bonario, 454
Postfazione
Riflessioni sull’Università. Ontologia e cronologia: il vero e il
verosimile (Vittorio Capuzza)
457
Premessa
La normativa che negli ultimi quindici anni ha modificato il volto
degli appalti pubblici è caratterizzata da un lato dalla spinta provocata dalle Direttive dell’Unione Europea e dall’altro dal tentativo di
rispondere alle diverse esigenze che l’economia presenta in tempi brevissimi.
Dunque, il quadro complessivo della contrattualistica pubblica,
nell’arco temporale suddetto, ha visto due incisivi interventi: la l.
109/94 (c.d. legge Merloni), modificata per ulteriori tre volte (fino al
2002); il d.lgs. 163/06 (Codice dei contratti pubblici), che ha subito
ben tre interventi correttivi e ulteriori aggiunte operate da diverse leggi (di conversione di d.l. e finanziarie).
Il tentativo di presentare i tratti di questa evoluzione in modo chiaro, sintetico ma approfondito, è l’obiettivo di questa pubblicazione:
essa raccoglie le lezioni universitarie che, con il prof. Vittorio Capuzza, teniamo nella Facoltà di Ingegneria dell’Università degli Studi di
Roma “Tor Vergata”.
Pertanto, il libro è rivolto agli Studenti, per consentire loro anche
di avere un manuale di studio sul quale trovare la materia esposta in
modo organico e unitario.
In attesa degli annunciati ulteriori cambiamenti della normativa (si
attende infatti il nuovo regolamento ex art. 5 del Codice), abbiamo
deciso di dare alle stampe la disciplina giuridica allo status quo, pronti
a rivisitare questo scritto alla luce dei prossimi cambiamenti del volto
degli appalti pubblici.
Roma, 5 agosto 2009.
Prof. Avv. Arturo Cancrini
11
Parte I
La fase di gara ad evidenza pubblica
Capitolo I
Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06
Inquadramento della disciplina giuridica
1. Il Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi, forniture: il quadro normativo di riferimento
Per meglio inquadrare il testo normativo contenuto nel d.lgs.
163/2006, concernente il Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi,
forniture (c.d. Codice De Lise), occorre prendere le mosse, in breve,
dalle principali novità in materia di procedure di gara per gli appalti
pubblici introdotte già dalle direttive comunitarie n. 17 e n. 18 del 2004,
delle quali il Codice è attuazione nell’ordinamento giuridico italiano1.
1. Sul tema trattato nel presente lavoro, cfr. A. Cancrini, La disciplina dei contratti e le
modalità di adempimento, cap. VIII, in I Contratti con la Pubblica Amministrazione, a cura di
C. Franchini, Trattato dei contratti, diretto da P. Rescigno e E. Gabrielli, UTET, I, 2007, pp.
419–579; A. Cancrini, P. Piselli, V. Capuzza, La nuova legge degli appalti pubblici. Commentario
al Codice dei contratti pubblici, V edizione, IGOP, Roma 2008. Fra le più importanti Opere
scritte in materia di contratti pubblici, vedi: A. Angeletti ed al. (a cura di), La riforma dei lavori
pubblici. Commentario, 2000; A. Bargone, S. Richter (a cura di), Manuale del diritto dei lavori
pubblici: la riforma e i procedimenti di attuazione, 2001; S. Cassese (a cura di), Trattato di diritto
amministrativo; L. Carbone, F. Caringella, G. De Marzo (a cura di), L’attuazione della legge
quadro sui lavori pubblici: il d.p.r. 21 dicembre 1999, n. 554; d.p.r. 25 gennaio 2000, n. 34 e
d.m. 19 aprile 2000, n. 145. Commentario, 2000; F. Caringella, G. De Marzo, M. Bella (a cura
di), La nuova disciplina dei lavori pubblici: dalla legge quadro alla Merloni–quater, le norme
speciali e la nuova potestà regionale, 2003; A. Carullo, Lezioni di diritto pubblico dell’economia,
2005; A. Carullo, A. Clarizia, La legge quadro in materia di lavori pubblici, 2004; A. Carullo,
G. Iudica, ed altri, Commentario breve alla legislazione sugli appalti pubblici e privati, 2009;
V. Cerulli Irelli (a cura di), Verso il nuovo processo amministrativo. Commento alla l. 21 luglio
15
16
Capitolo I
Con la pubblicazione delle nuove direttive — la 18/2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, e la 17/2004, che
coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di
energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali — è terminato definitivamente il lungo e complesso iter del
pacchetto legislativo comunitario sugli appalti pubblici, iniziato
nel maggio 2000 con la presentazione, da parte della Commissione europea, delle proposte distinte, rispettivamente, per i settori
classici e per quelli speciali2.
2000, n. 205, 2000; M.P. Chiti, G. Greco (diretto da). Trattato di diritto amministrativo europeo,
volumi II, parte generale e parte speciale; A. Cianflone, G. Giovannini, L’appalto di opere
pubbliche, 2003; De Nictolis, I contratti pubblici di lavori, servizi e forniture,volumi III, 2007;
L. Fiorentino, C. Lacava, Le nuove direttive europee sugli appalti pubblici, 2004; C. Franchini,
I Contratti con la Pubblica Amministrazione, in Trattato dei contratti, diretto da P. Rescigno e
E. Gabrielli, UTET, volumi II, 2007; F. Galgano (diretto da), Trattato di diritto commerciale
e di diritto pubblico dell’economia; R. Garofili, ed altri, La tutela in tema di appalti pubblici: il
contenzioso alla luce del d.lgs. 163/2006, 2007; R. Garofoli, V. De Gioia, Codice degli appalti
di lavori pubblici: annotato con giurisprudenza, determinazioni dell’autorità di vigilanza LL.PP.
e riferimenti bibliografici, 2004; R. Garofoli, G. Ferrari, Codice degli appalti pubblici annotato
con la dottrina, giurisprudenza e formule, 2009; R. Garofoli, M.A. Sandulli (a cura di), Il nuovo
diritto degli appalti pubblici nella direttiva 2004/18/CE e nella legge comunitaria 62/2005, 2005;
L. Giampaolino, M.A. Sandulli, G. Stancanelli (a cura di), Commento alla legge quadro sui lavori
pubblici sino alla «Merloni–ter», 1999; L. Giampaolino, M.A. Sandulli, G. Stancanelli (a cura
di), Commento al regolamento di attuazione della legge quadro sui lavori pubblici, 2001; M. S.
Giannini, Diritto amministrativo, tomi 1–2, 1993; Giurdanella, Commento al Codice dei contratti
pubblici, 2007; M. Greco, A. Massari, Il nuovo codice dei contratti pubblici, 2006; Id., Il secondo
decreto correttivo al codice dei contratti pubblici. Commento al d.lgs. 31 luglio 2007, n. 113, 2007;
M. Mazzone, C. Loria, Manuale di diritto dei lavori pubblici, 2005, M. Pallottino (a cura di),
Saggi e materiali di diritto pubblico dell’economia, 2005; E. Picozza, Processo amministrativo
e diritto comunitario, 1997; D. Rubino, L’appalto, in Trattato di diritto civile italiano, diretto
da F. Vassalli, 1980; G.L. Rota, G. Rusconi (a cura di), Codice dei contratti pubblici, volumi
II, 2007; F. Saitta (a cura di), Il nuovo codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture,
2008; M. A. Sandulli, R. De Nictolis, R. Garofoli (diretta da), Trattato sui contratti pubblici,
2008; M. A. Sandulli, L’azione amministrativa: commento alla l. 7 agosto 1990, n. 241 modificata
dalla L. 11 febbraio 2005, n. 15 e dal d.l. 14 marzo 2005, n. 35, 2005; M. Sanino, Commento al
codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, 2006; G. Santaniello (diretto da),
Trattato di diritto amministrativo, vol. VII, S. Buscema, A. Buscema, I contratti della pubblica
amministrazione, 2008; F.G. Scoca (a cura di), Diritto amministrativo, 2008; R. Villata (a cura
di) L’appalto di opere opubbliche, 2004; P. Virga, Diritto amministrativo, tomi 1–2, 2001; G.
Zgagliardich, Subappalto e leggi antimafia nei lavori pubblici, 1996
2. GUCE l. 134 del 30 aprile 2004.
Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06
17
Le due direttive dovevano essere recepite dai singoli Stati membri
entro 21 mesi dalla loro pubblicazione (cioè entro 31 gennaio 2006):
per l’Italia, la legge comunitaria 2004, cioè la l. 62/2005, all’art. 25,
commi 1 e 2 (da leggere in combinato disposto con gli artt. 1 e 2), contiene la delega al Governo per il loro recepimento, da cui poi è nato il
Codice De Lise, entrato in vigore il 1° luglio 2006.
Per i settori classici, la novità principale della normativa europea
consiste nella riduzione in un unico testo delle tre precedenti direttive sui lavori (Dir. 93/37), sulle forniture (Dir. 93/36) e servizi (Dir.
92/50), con una serie di conseguenze: la tendenziale spinta, talvolta, delle discipline dei servizi e delle forniture verso quella dei lavori;
l’aumento delle soglie di valore; la previsione di centrali di committenza; le nuove norme in tema di pubblicità e utilizzo degli strumenti
informatici anche per la pubblicazione di bandi e documentazione di
gara; l’inserimento dei criteri sociali e ambientali nell’ambito di aggiudicazione degli appalti; le nuove cause di esclusione e la possibilità di
provare i requisiti per relationem; la previsione della nuova procedura
del dialogo competitivo; l’introduzione di “sistemi dinamici di acquisizione” e le “aste elettroniche”.
Per i settori speciali, invece, le principali novità sono l’esonero delle telecomunicazioni e l’inclusione dei servizi postali; l’aumento delle
soglie di valore; l’inserimento dei criteri sociali e ambientali nell’ambito di aggiudicazione dell’appalto; l’introduzione di “sistemi dinamici
di acquisizione” e le “aste elettroniche”.
È interessante rilevare che, nella Relazione illustrativa del Codice,
Pasquale De Lise ha affermato quanto segue:
Muovendo da queste premesse, e alla luce dei contenuti della delega di cui alla
legge 62/2005, la Commissione ha pertanto cercato di recuperare l’obiettivo
iniziale, già suggerito da Giannini, di riorganizzare la normativa italiana in
materia di appalti. Occasione migliore non si poteva presentare: la scelta comunitaria di unificare le discipline in materia di appalti di lavori, di forniture
e di servizi, oggetto di recepimento, che ha comportato anche il superamento
delle disposizioni dettate in precedenti direttive, ha rappresentato il punto
di riferimento più razionale. Di ciò il legislatore italiano è stato consapevole,
18
Capitolo I
al momento di tracciare i limiti della delega. L’art. 25 della legge 62/2005
affida infatti al legislatore delegato il compito di compilare «un unico testo
normativo recante le disposizioni legislative in materia di procedure di appalto disciplinate dalle due direttive coordinando anche le altre disposizioni
in vigore nel rispetto dei princìpi del Trattato istitutivo dell’Unione europea»
(lett. a). Altro compito che viene assegnato riguarda la «semplificazione delle
procedure di affidamento che non costituiscono diretta applicazione delle
normative comunitarie, finalizzata a favorire il contenimento dei tempi e la
massima flessibilità degli strumenti giuridici» (lett. b). Non solo. Il lavoro
deve prevedere anche il «conferimento all’Autorità per la vigilanza sui lavori
pubblici, in attuazione della normativa comunitaria, dei compiti di vigilanza
nei settori oggetto della presente disciplina» (lett. c) e l’adeguamento della
normativa «alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del
7 ottobre 2004 nella causa C–247/02» (lett. d). Il testo approvato il 13 gennaio 2006 dal Consiglio dei Ministri rispetta perfettamente sia il contenuto che
i limiti della delega. Non sembra contestabile infatti che il coordinamento di
cui alla lett. a) della legge sia stato posto in essere, anche se in senso sostanziale, riproducendo all’interno del testo tutte le previsioni della legge Merloni,
con la sola eliminazione di quelle incompatibili con le nuove direttive e con i
criteri della delega. L’abrogazione della Merloni assume quindi solo carattere
formale, rimanendo comunque vigenti la maggior parte delle sue disposizioni. Apro una parentesi proprio sulla legge Merloni, in particolare sulla “clausola di resistenza” di cui all’art. 1, laddove si stabilisce che le sue disposizioni
possono essere abrogate solo con disposizioni espresse. Sul piano normativo
e costituzionale la previsione è stata ampiamente rispettata. Tale norma impone la abrogazione espressa, ma non dice che tale abrogazione può avvenire
solo con “legge”. Il decreto legislativo delegato è una fonte che ha la stessa
forza e valore di una legge: pertanto il codice appalti, che è un decreto legislativo, ben può abrogare le norme della Merloni. È il caso di precisare che ci si
sofferma sui lavori pubblici perché proprio in tale ambito si erano verificati,
nel passato, significativi scostamenti dai dettami comunitari, non verificatisi
invece nel campo dei servizi e delle forniture3.
3. Cfr. anche sul tema del codice, S. Cacace, (Consigliere di Stato), L’idoneità degli
operatori economici alla esecuzione di lavori pubblici: un filo conduttore che lega istituti vecchi
e nuovi del “Codice unificato degli appalti”; Studio per un Intervento avente ad oggetto il
tema de “L’avvalimento e i suoi riflessi sul subappalto, sui raggruppamenti temporanei e sulla
qualificazione” al convegno organizzato dall’IGI – Istituto Grandi Infrastrutture in Roma l’11
aprile 2006 su “Il codice unificato degli appalti: nuovi e vecchi istituti”; (aprile 2006).
Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06
19
2. Gli interventi successivi, operanti nel d.lgs. 163/06
Ricostruiamo in breve il quadro del regime transitorio dall’entrata
in vigore del Codice il 1° luglio 2006 sino all’attuale disciplina.
È logicamente, quindi, una questione di diritto intertemporale
quella che ora riguarda l’applicabilità del Codice De Lise: tutte le norme che l’originario contenuto dell’art. 257 prevedeva applicabili dopo
la vacatio legis (id est: 1° luglio 2006) lo sono diventate, ma solamente
per un breve momento (fino al 3 luglio, compreso).
I segmenti normativi nuovi, applicati su alcuni sistemi divenuti già
vecchi, iniziano con un primo innesto di diritto intertemporale operato, in questi casi, da un ermetico e complicato Legislatore: dal 4
luglio 2006 è entrato in vigore il Decreto legge 223/06, poi convertito
in legge 248/06, e la disciplina del Codice già non è più interamente
quella di tre giorni prima.
In particolare, nella ratio di contrastare il lavoro nero e di garantire
del rispetto della normativa sui riposi e sulle ferie nei cantieri edili, il
cd. Decreto Bersani formula anche l’art. 35, il quale dal comma 28 al
comma 34 regola vari aspetti: la responsabilità solidale tra appaltatore
e subappaltatore (ed integra così il contenuto dell’art. 118 del Codice);
l’obbligo nuovo per il committente, che previamente al pagamento del
corrispettivo dell’appaltatore deve verificare il corretto assolvimento
degli obblighi contributivi da parte dell’esecutore stesso e dei subappaltatori eventuali: viene anche estesa alla responsabilità solidale tra
committente ed appaltatore quella responsabilità già prevista dall’art.
29, comma 2 del Decreto Biagi, cioè del d.lgs. 276/2003.
In tema di responsabilità solidale nei contratti di subappalto va detto che la dettagliata e particolare disciplina nuova è dettata dai commi
28–31 dell’art. 35 della l. 248/06: tale responsabilità in solido riguarda
gli obblighi contributivi e fiscali a cui si deve attenere il subappaltatore nei confronti dei propri lavoratori dipendenti, considerando quelli
impegnati nell’esecuzione del contratto d’appalto specifico. I potenziali “aggressori” (erario ed enti previdenziali) potranno cioè agire nei
confronti dell’appaltatore se il subappaltatore non effettui versamenti
20
Capitolo I
delle ritenute fiscali o il pagamento dei contributi della previdenza e
dei premi INAIL.
Ma a tale solidarietà, la norma pone dei limiti quantitativi: l’appaltatore vede una sua solidarietà limitata al non superamento dell’ammontare previsto per il corrispettivo nel contratto di subappalto specifico.
Inoltre, l’appaltatore ha una via esimente: se verifica, per mezzo della
documentazione fornita dal subappaltatore (a pena di vedersi legittimamente sospeso il pagamento del corrispettivo), il rispetto di quegli
obblighi da parte di quest’ultimo; ma la verifica deve essere effettuata
prima di procedere al pagamento del corrispettivo del subappalto.
Una precisazione d’ordine applicativo: le regole dell’art. 35 si applicano ai contratti d’appalto pubblico stipulati dopo l’entrata in vigore della legge 248/06: quanto a dire, dal 5 luglio 2006.
L’art. 2 del Decreto Bersani da un lato abroga l’art. 92, comma 2,
periodi secondo e terzo («2. Il Ministro della giustizia, di concerto
con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, determina, con proprio decreto, le tabelle dei corrispettivi delle attività che possono essere espletate dai soggetti di cui al comma 1 dell’articolo 90, tenendo
conto delle tariffe previste per le categorie professionali interessate.
I corrispettivi sono minimi inderogabili ai sensi dell’ultimo comma
dell’articolo unico della legge 4 marzo 1958, n. 143, introdotto dall’articolo unico della legge 5 maggio 1976, n. 340. Ogni patto contrario è
nullo»), il comma 4 («4. I corrispettivi determinati ai sensi del comma
3, fatto salvo quanto previsto dal comma 12–bis dell’articolo 4 del
Decreto Legge 2 marzo 1989, n. 65, convertito, con modificazioni,
dalla legge 26 aprile 1989, n. 155, sono minimi inderogabili ai sensi
dell’ultimo comma dell’articolo unico della legge 4 marzo 1958, n.
143, introdotto dall’articolo unico della legge 5 maggio 1976, n. 340.
Ogni patto contrario è nullo») e l’art. 164, comma 7 del Codice («7.
Previa intesa con il Ministero della giustizia, fino alla revisione delle
tariffe professionali per le attività di progettazione, necessaria a tener
conto delle previsioni di cui al comma 1, ai fini della determinazione
del corrispettivo per le attività di progettazione delle infrastrutture,
redatte in conformità al presente articolo e relativo allegato tecnico di
Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06
21
cui all’allegato XXI, i soggetti aggiudicatori aumentano del 100 per
cento l’aliquota prevista per il progetto preliminare dalla tabella B
del decreto 4 aprile 2001 del Ministro della giustizia, pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale n. 96 del 26 aprile 2001; le aliquote previste dalla
citata tabella per il progetto definitivo ed esecutivo vengono ridotte
corrispondentemente e proporzionalmente alle aliquote previste per
il progetto definitivo ed esecutivo in modo che l’aliquota totale risulti
sempre pari a 1»).
D’altra parte integra implicitamente l’art. 64, comma 1, lett. c), n.
1), sub d) del d.p.r. 554/99, rendendo la formulazione finale del testo
normativo così modificata: «Art. 64 (Modalità di svolgimento della
gara). L’offerta è racchiusa in un plico che contiene: a) una busta contenente la documentazione amministrativa indicata nella lettera di invito e una dichiarazione presentata nelle forme previste dalla vigente
legislazione circa la permanenza delle condizioni di cui agli articoli 51
e 52; b) una busta contenente l’offerta tecnica costituita: […] omissis;
c) una busta contenente l’offerta economica costituita da: 1) ribasso
percentuale da applicarsi: a) alla percentuale per rimborso spesa; b)
alla percentuale per le prestazioni progettuali speciali di cui all’articolo 63, comma 1, lettera d); c) agli importi per le prestazioni accessorie
di cui all’art. 63, comma 1, lettera e); d) all’importo delle prestazioni
normali (secondo la vecchia formulazione: «alla riduzione percentuale
prevista dalla legge per le prestazioni rese in favore di amministrazioni
ed enti pubblici») omissis […]».
Nel luglio 2006 il concatenarsi tra ius vetus e ius novum non ha
segnato il passo: dal 12 luglio entra in vigore la legge 228/2006, che
converte il Decreto legge 173/2006.
Ed il Codice subisce ancora abrogazioni e sospensioni, stavolta ancora più tecniche. Vediamole.
Innanzitutto, un’abrogazione: la caduta dell’art. 177, comma 4 lett.
f) del Codice («4. L’aggiudicazione dei contratti di cui al comma 1
(cioè delle concessioni e degli affidamenti a contraente generale che avviene mediante procedura ristretta) avviene: al prezzo più basso ovvero
all’offerta economicamente più vantaggiosa, individuata sulla base di
22
Capitolo I
una pluralità di criteri fra i quali: […] f) la maggiore entità di lavori
e servizi che il contraente generale si impegna ad affidare ad imprese
nominate in sede di offerta, ai sensi dell’articolo 176, comma 7. Ai
fini predetti rilevano esclusivamente gli affidamenti di lavori aventi
singolarmente entità superiore al cinque per cento dell’importo di aggiudicazione della gara, gli affidamenti di opere specialistiche ai sensi
dell’articolo 37, comma 11, aventi singolarmente entità superiore al
tre per cento del predetto importo, nonché gli affidamenti di servizi di ingegneria, gestione, programmazione e controllo qualità, che il
Contraente generale intende affidare a terzi») appare una scelta corretta; infatti, come di recente è stato affermato da Francesco Caringella: «La disponibilità all’esternalizzazione costituisce un elemento
spurio in sede di valutazione del proprium della qualità e appetibilità
dell’offerta. Ne deriva che l’introduzione di un fattore procompetitivo come criterio di valutazione finisce per contaminare la scelta con
logiche estrinseche, per non dire eccentriche, rispetto alle valutazioni
di merito tecnico–economico»4.
Le altre previsioni, che regolano questioni di diritto intertemporale
ed i conseguenti regimi normativi, suonano di un non consueto linguaggio ermetico del legislatore, spesso invece loquace, talvolta sino
all’inverosimile: entrando in vigore interamente il Codice dal 1° luglio
al 12 luglio 2006, si sarebbero potute applicare in quel breve periodo
anche le normative in seguito sospese dal 13 luglio 2006 al 31 gennaio
2007. Ad esempio, nel primo segmento temporale (1° luglio /12
luglio 2006) sarebbe stato legittimo applicare la procedura negoziata secondo le disposizioni del Codice De Lise, oppure la procedura di cui all’art. 53, comma 2, lett. b) (appalto integrato senza le
limitazioni della legge Merloni); nel secondo momento temporale
(13 luglio 2006 /31 gennaio 2007) quelle norme non sono più applicabili tout court: lo dispone il comma 2 dell’art. 1–octies della
l. 228/2006.
4. F. Caringella, Il congelamento al 1° febbraio 2007 non vale per le gare già avviate, in
Guida al diritto, dossier n. 7 luglio 2006, p. 14.
Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06
23
Infatti, stante alla lettera del suddetto comma 2, sarebbero dovute
entrare in vigore dal 1° febbraio 2007 (id est: 1° agosto, per effetto del
d.lgs. 6/2007) le norme del Codice che disciplinano rispettivamente: le centrali di committenza; l’avvalimento (limitatamente, però, al
comma 10, poi interamente riformato con la previsione opposta — si
può subappaltare all’ausiliaria — operata dal d.lgs. 6/07); l’accordo
quadro; la procedura negoziata (previa e senza pubblicazione del bando) solo per i lavori e nei settori ordinari; l’appalto integrato ex art. 53,
comma 2 lett. b) solo per i lavori e nei settori ordinari; la procedura di
cui all’art. 53, comma 2 lett. c) solo per i lavori e nei settori ordinari (che,
diversamente dall’abrogato appalto–concorso, prevede un meccanismo
quasi di “appalto intergrato rafforzato”, cioè la progettazione definitiva
come componente dell’offerta tecnica e la progettazione esecutiva come
oggetto del contratto d’appalto accanto all’esecuzione effettiva).
De converso, in tema di procedure per i lavori e nei settori ordinari,
dovevano continuano ad applicarsi fino a quella data (01/02/07, poi
prorogata al 01/08/07): l’art. 24 della legge 109/94 e s.m.i. per la trattativa privata; l’art. 19 della legge 109/94 e s.m.i. in tema di appalto
integrato, con le limitazioni redivive per l’applicabilità di tale procedura contenute nel detto articolo.
Successivamente, il panorama così si trasforma.
Dal Legislatore delegato sono state annunciate e realizzate al 31
luglio 2007 due fasi per la formulazione e per l’emanazione dei cd.
decreti correttivi al Codice De Lise, che già non è quello entrato in
vigore il 1° luglio 2006.
La prima di quelle due fasi è appunto il decreto legislativo 26 gennaio 2007, n. 6; la seconda, più sostanziale modifica, è il decreto legislativo 31 luglio 2007, n. 113, (Disposizioni correttive ed integrative
del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante il codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle
direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, a norma dell’articolo 25, comma
3, della legge 18 aprile 2005, n. 62, legge comunitaria 2004) in GU 176
del 31 luglio 2007 — in vigore dal 1° agosto 2007. Ripercorriamo il
quadro normativo della novella del d.lgs. 6/07.
24
Capitolo I
Una prima nota procedurale: il testo del decreto pubblicato nella
GU 25 del 31 gennaio 2007 era composto da quattro articoli, senza
alcuna indicazione per l’entrata in vigore delle norme; è fatto noto che
il silenzio in materia equivale all’annuncio della vacatio legis secondo
i ritmi temporali ordinari, cioè 15 giorni dalla pubblicazione. Inutile
dire circa l’inutilità di tali tempi, i quali avrebbero invece rappresentato il continuum della sinusoide della normativa applicabile, infatti
cessante causa cessat effectus, cioè tolta la leva della sospensione in
quei 15 giorni quegli istituti avrebbero respirato di risveglio, per poi
ricadere in torpore fino all’estate.
Pertanto, l’attento legislatore ha, come si usa nei libri, inserito un’errata corrige; ma essendo legislatore l’ha dovuta pubblicare in Gazzetta
Ufficiale (la n. 26 del 1° febbraio 2007): l’errore corretto consiste in un
articolo, il quinto, in forza del quale il Decreto legislativo del giorno
prima entra in vigore proprio il 1° febbraio 2007. Insomma, una correzione d’errore, avente efficacia retroattiva (al 31 gennaio) che contiene
un articolo con cui si dispone l’entrata in vigore al 1° febbraio.
Primo aspetto nel merito: il d.lgs. 6/2007, con l’art. 1, opera sul
tempo e sull’applicazione delle norme, infatti il diritto transitorio consiste nella proroga fino al 31 luglio 2007 delle sospensioni già azionate
dall’art. 1–octies della l. 228/06.
Fra le altre procedure di scelta del contraente, oltre all’appalto integrato ed alla trattativa privata, il I Decreto 6/07 stabiliva che fino
al 31 luglio 2007 sarebbe dovute rimanere in vigore per i lavori nei
settori ordinari anche l’appalto concorso.
L’art. 2 è un annuncio del II decreto correttivo, che è il più sostanzioso: l’art. 2 si compone di undici lettere con cui si modificano
talune parti del previdente Codice. Fra esse, rilevano in particolare le
seguenti correzioni:
1) la possibilità per le Stazioni appaltanti, nell’ipotesi si verificasse
una carenza di dipendenti di ruolo in possesso di professionalità adeguate, di nominare il responsabile del procedimento tra i
propri dipendenti in servizio (art. 10, comma 5 così ampliato);
Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06
25
2) l’iniziale divieto fissato nel comma 10 dell’art. 49 in tema di avvalimento è stato poi sospeso dalla l. 228/06 con l’art. 1–octies,
comma 1 lett. c) che ha inserito all’art. 253 del Codice il comma
1–bis nella cui lett. b) viene operata la sospensione in parola; ora
quel divieto sospeso viene trasformato in permissione: da un lato
l’art. 2, c. 1 lett. d) stabilisce che al comma 10 dell’art. 49 debba essere inserita la previsione «l’impresa ausiliaria può assumere
il ruolo di subappaltatore nei limiti dei requisiti prestati», d’altra
parte — stavolta logicamente — l’art. 1, c. 1 lett. b) del d.lgs.
6/2007 sopprime del comma 1–bis dell’art. 253 del Codice la
predetta lett. b). Così, fra problemi ermeneutici che verosimilmente sorgeranno rapportando questa norma con le previsioni
dettate dall’art. 118 del Codice, si amplia il raggio d’azione del
subappalto, che già l’art. 339 della legge 20 marzo 1865, n. 2248,
Allegato F sui lavori pubblici, pur in assenza di talune caratteristiche criminali del fenomeno mafioso, subordinava comunque,
a pena di multa, all’approvazione dell’autorità competente.
3) per quanto riguarda il regime pubblicitario dei bandi per le
gare di appalto comprese tra € 500.000,00 e la soglia comunitaria, l’opzione relativa alla pubblicazione degli estratti sui
quotidiani nazionali o locali diviene un preciso obbligo di pubblicazione su entrambi (art. 122, comma 5 come modificato).
Le modifiche e le disposizioni di coordinamento ex art. 3 del d.lgs.
6/2007 sono spesso rivolte a refusi della prima stesura normativa (basti pensare, ex multis, all’attributo “integrato” che seguiva fino al 1°
febbraio scorso il sostantivo “appalto” negli artt. 164, c. 4, terzo periodo e 253, comma 27 lett. f) terzo periodo) oppure, talvolta, capaci
di lasciare un po’ perplessi (si pensi all’inserimento, operato dall’art.
2 lett. m) del decreto 6/07, all’art. 216 del Codice: l’aggiunta consiste
nel “comma 1–bis” — anziché del “comma 2” — nell’art. 216, il quale
ab origine era composto da un solo comma). L’idea di miglioramento
ulteriore anche della forma è stato proseguito dal d.lgs. 113/07,
ad esempio con la correzione del precedente erroneo richiamo che
26
Capitolo I
il comma 9 dell’art. 5 del Codice compiva al comma 7 anziché al
comma 8.
Il legislatore ermetico della l. 228/06 è divenuto ora loquace, ridondante e, soprattutto, frettoloso.
***
Il quadro normativo in materia di contrattualistica pubblica è dinamico e gli effetti giuridici arrivano da più punti; infatti, mentre entra
in vigore il d.lgs. 6/07, le precedenti norme correttive al Codice ed
altre rinnovate discipline di altri settori dell’ordinamento producono
le correlative conseguenze, continuando parallelamente a mutare il
volto degli appalti pubblici.
Fra le novità legislative appaiono ictu oculi importanti per i riflessi
immediati sugli appalti pubblici:
a) la riforma della legge fallimentare operata in due tempi, cioè dapprima con il d.l. 14 marzo 2005, n. 35, (convertito in l. 80/2005)
e successivamente con il decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5,
(pubblicato sulla GU del 16/1/2006) in attuazione della delega
contenuta nella l. 80/05;
b)il nuovo regolamento recante la disciplina in materia di accesso
ai documenti amministrativi (d.p.r. 12 aprile 2006, n. 184, pubblicato sulla GU 114 del 18 maggio 2006);
c) il comunicato pubblicato in GU del 26 gennaio 2007, n. 21, da
parte dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, riguarda le nuove istruzioni relativamente ai contributi in sede di gara
(sul tema, vedi anche il Comunicato dell’Autorità del 13 luglio
2006 – Nuove modalità di versamento, in GU 167 del 20 luglio
2006 e la deliberazione dell’Autorità del 26 gennaio 2006);
d)con il DM della giustizia 13 dicembre 2006 (in GU 293 del 18
dicembre 2006) a decorrere dal 1° gennaio 2007 è stata istituita
— su effetto della previsione dell’art. 253, comma 11 del Codice
— la quinta serie speciale della GU, destinata alla pubblicazione
di avvisi e bandi di gara aventi ad oggetto contratti pubblici di
lavori, servizi e forniture;
Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06
27
e) per le Regioni, ad esempio, in ambito Regione Sicilia, la Circolare prot. 45980/Gab. del 18 settembre 2006 dell’Assessorato dei
Lavori Pubblici fissa alcuni criteri circa l’ambito di applicazione
nella Regione siciliana del Codice De Lise;
f) l’importante legge 27 dicembre 2006, n. 296, Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge
finanziaria 2007), (GU n. 299 del 27/12/2006 – Suppl. Ordinario n. 244) [Ultima modifica d.l. 27 dicembre 2006, n. 299, pubblicato nella GURI n. 300 del 28/12/2006], la quale con diversi
commi dell’articolo 1 opera anche direttamente all’interno del
Codice De Lise. Fra le novità di un certo rilievo, ad esempio,
basti pensare al comma 907 della legge finanziaria 2007 (ora
logicamente abrogato dal d.lgs. 113/07) ed al nuovo articolo
160–bis del Codice stesso introdotto dal d.lgs. 113/07 in tema
di locazione finanziaria per la realizzazione, l’acquisizione ed il
completamento di opere pubbliche o di pubblica utilità.
Oppure, si pensi agli ancora vigenti interventi apportati dal comma
909 della l. 296/06 con l’introduzione nell’art. 86 del comma 3–bis e
nell’art. 87 del comma 4–bis, oltre alle modificazioni apportate sempre all’interno dell’art. 87 del Codice.
***
Il 1° agosto 2007 entra, come detto, in vigore il II Decreto correttivo del Codice De Lise.
Per quanto riguarda l’applicabilità delle norme, compie un altro incisivo discrimen, che avvicina ma non realizza integralmente l’entrata
in vigore di tutte le disposizioni contenute nel Codice.
Vediamo tale operazione all’interno dell’art. 253 del d.lgs. 163/06.
Prima di inserire due commi nuovi (1–quater e 1–quinquies), il II
Decreto correttivo abroga dal comma 1–bis (inserito dalla l. 228/06
e che per effetto del d.lgs. 6/07 prorogava l’entrata in vigore degli
istituti in esso indicati al 1° agosto 2007) la lett. c), cioè il riferimento
all’art. 58 – Dialogo competitivo; estrae dal disposto del comma 1–ter
diversi istituti che sarebbero entrati in vigore il 1° agosto 2007 (che
28
Capitolo I
per gli appalti di lavori pubblici ordinari aveva posticipato al 1° agosto 2007 l’entrata in vigore delle norme relative alle nuove procedure
di scelta del contraente previste nell’art. 53, commi 2 e 3, delle previsioni dell’art. 3, comma 7 e della nuova formulazione della procedura
negoziata) ivi lasciando unicamente l’art. 56 – Procedura negoziata
previa pubblicazione di un bando di gara, il quale disposto è entrato
in vigore dal 1° agosto scorso con le modifiche ad apportate dall’art.
1, comma 1 lett. e) del d.lgs. 113/07 (cioè l’abrogazione delle lett. b) e
c) del comma 1 dell’art. 56 del Codice).
Per gli altri istituti rimasti sottratti dalle regole che ne prevedevano
l’efficacia dopo il 31 luglio scorso, operano i nuovi commi 1–quater ed
1–quinquies dell’art. 253. E varia anche il dies a quo della loro entrata
in vigore: non più una data prossimo–futura bensì un atto regolamentare, quello preannunciato e voluto dall’art. 5 del Codice.
In particolare, per l’art. 58 – Dialogo competitivo (modificato
dall’art. 1, comma 1 lett. g) del d.lgs. 113/07) il comma 1–quater, indistintamente per tutte le tipologie d’appalto pubblico e per i settori
ordinario e speciale, dispone che si applica alle procedure i cui bandi
o avvisi siano pubblicati successivamente alla data di entrata in vigore
del regolamento di cui all’articolo 5.
Stessa sorte per le nuove procedure di scelta del contraente.
Infatti, il comma 1–quinquies, mantenendo l’ambito oggettivo della
disposizione limitato agli appalti di lavori nei settori ordinari, dispone il medesimo dies a quo (l’entrata in vigore del regolamento) per
riconoscere l’efficacia ed il vigore alle disposizioni di cui agli artt. 3,
comma 7 e 53, commi 2 e 3, quest’ultimo articolo modificato dal d.lgs.
113/07 sia con le aggiunte operate dall’art. 1, comma 1 lett. c) e d),
sia con la soppressione dell’ultimo periodo del comma 3 dell’art. 53
disposto dall’art. 2, comma 1 lett. n) del II Decreto correttivo.
In altri termini, il quadro è così composto: per lavori nei settori
ordinari rimangono in vigore fino all’entrata in vigore del regolamento
dell’art. 5 del Codice l’appalto integrato e l’appalto concorso della l.
109/94 e s.m.i. Nei settori speciali, invece, per gli appalti di lavori è già
applicabile la nuova formulazione dell’art. 53.
Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06
29
Le due norme relative alla nuova procedura negoziata (artt. 56 e
57), così come modificate dal II Decreto correttivo, sono in vigore dal
1° agosto 2007. Dunque, la trattativa privata ex art. 24 della l. 109/94
e s.m.i., dopo la rinascita intertemporale, è definitivamente abrogata.
L’appalto integrato (e l’appalto intergrato misto) secondo la disciplina del Codice erano stati sospesi anche dal d.lgs. 113/07 fino all’entrata in vigore del nuovo regolamento ex art. 5. Ebbene, in quella
previsione normativa del II Decreto correttivo era mancata la disposizione normativa che sancisse l’applicabilità ancora dell’art. 19 (relativamente all’appalto integrato) della l. 109/94 in parte qua, durante
munere della sospensione (ancora in atto anche con il d.lgs. 152/08).
In via ermeneutica si sarebbe pur potuto sostenere che, in forza del
disposto contenuto nell’art. 12 delle c.d. preleggi al codice civile, in
assenza della vox legis garantisce riconoscimento della disciplina anche la ratio legis; e nel caso delle sospensioni del Codice operate in
vista dell’emanazione regolamentare incaricata di maggior dettaglio,
non sarebbe stato difficile individuare un perno su cui far riposare
l’interpretazione favorevole alla applicabilità medio tempore della disciplina (comunque più rigorosa rispetto a quella liberale del Codice)
contenuta dalla legge Merloni sull’appalto integrato.
A garantire — in un certo qual senso — agli operatori l’applicabilità dell’art. 19 della l. 109/94 è intervenuta la Circolare della
Presidenza del Consiglio dei Ministri datata 24 settembre 2007 n.
DAG2/15. 3. 16/2007/S, avente ad oggetto «Appalto di progettazione ed esecuzione – Regime transitorio – nota Ministero infrastrutture
datata 19/9/2007».
La problematica è stata superata dal d.lgs. 152/08, con cui è stato
inserito un ultimo periodo al comma 1–quinquies dell’art. 253: fino
all’entrata in vigore del nuovo regolamento continuano ad applicarsi le
disposizioni del comma 1 dell’art. 256 riferite alle fattispecie sospese.
Il 15 ottobre 2007 viene depositata la Determinazione dell’Autorità
per la vigilanza n. 8 dell’11 ottobre 2007 riguardante il diritto di prelazione nelle procedure di project financing e la disciplina transitoria
applicabile a sèguito del d.lgs. 113/07.
30
Capitolo I
Con l’entrata in vigore del d.lgs. 152/08 bisognerà rivisitare l’intera argomentazione: il diritto di prelazione è stato riammesso dal
legislatore nazionale, sebbene in una nuova disciplina dell’istituto.
La Commissione UE e la Corte di Giustizia CE in merito all’adozione della prelazione nella normativa già si erano pronunciate negativamente.
La Corte Costituzionale con sentenza 23 novembre 2007 n. 401,
nell’ordinare la problematica che era sorta circa la competenza a legiferare in materia di appalti pubblici da parte delle Regioni, ha riconosciuto l’illegittimità di alcuni commi del Codice De Lise. Innanzitutto,
ha ristabilito chiarezza agli ambiti di legislazione sulla attività contrattualistica pubblica, affermandone la competenza esclusiva dello Stato
ex art. 117 Cost.; inoltre, ha dichiarato costituzionalmente illegittimi sia l’art. 84, commi 2, 3, 8 e 9 del Codice nel la parte in cui non
indicano come suppletivo e cedevole il carattere della composizione
della Commissione; sia l’art. 98, comma 2 del Codice nella parte in
cui viene in esso sancita l’approvazione dei progetti definitivi da parte
del Coniglio Comunale come equivalente a variante urbanistica. La
materia è infatti concorrente.
Il Consiglio dei Ministri, nella seduta del 21 dicembre 2007 aveva
approvato in via definitiva, dopo anche aver ottenuto il Parere del
Consiglio di Stato (sez. Consultiva per Atti normativi, Adunanza del
17 settembre 2007, n. Sez. prot. 3262/2007), il Regolamento di attuazione ed esecuzione del codice dei contratti pubblici relativi ai lavori, servizi e forniture, a norma dell’articolo 5 del d.lgs. 163/2006.
Lo schema del regolamento l’8 febbraio 2008 è stato inviato alla
Corte dei Conti per essere registrato: la Corte aveva 30 giorni di tempo (pur se non perentori).
Ritirato il 27 marzo 2008 dal Governo, il testo con le modifiche e
gli adeguamenti formali è stato rinviato alla delegazione della Corte
dei Conti il 6 maggio 2008 per il relativo esame.
Infine, nel giugno 2008 lo schema del Regolamento è stato ulteriormente rimandato dalla Corte dei Conti al Ministero: le censure riguardano soprattutto il mancato coordinamento con la recente
Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06
31
normativa sulla sicurezza e sulla c.d. forcella nei servizi e forniture.
E per il regolamento dunque c’è ancora da attendere.
La legge 244 del 24 dicembre 2007 (Finanziaria per il 2008), con
l’art. 3, commi 19–22, ha disposto l’abrogazione dell’arbitrato negli
appalti pubblici: con l’art. 15 del c.d. Decreto mille proroghe (d. l
248/07, entrato in vigore un giorno prima della finanziaria, cioè il 31
dicembre 2007) è stato approvato poi l’emendamento al comma 21
dell’art. 3 della legge finanziaria e il termine per declinare la competenza arbitrale era stato spostato in avanti al 30 giugno 2008. Viene
anche eliminato il termine del 30 settembre 2007 per la decadenza
automatica degli ultimi collegi già formati.
Con la legge 28 febbraio 2008, n. 31, (GU 51 del 29 febbraio
2008, suppl. ord. 47) viene confermato l’art. 15 del d. l 248/07, correggendo la formulazione contenuta nel decreto. In ogni modo, il
termine del 30 settembre 2007 viene differito anch’esso al 30 giugno
2008.
In ultimo va evidenziato che nella GU del 2/8/2008 è stata pubblicata la legge 2/8/2008 n. 129, (che ha convertito il d.l. 97 del 3 giugno
2008, il quale aveva recepito le norme contenute nel d.l. 113 del 30
giugno 2008 c.d. “secondo milleproroghe 2008” — e che non è stato
convertito in legge nei 60 giorni).
L’art. 4 bis, comma 12 della l. 129/08 ha prorogato ulteriormente al
31 dicembre 2008 il termine previsto dall’art. 15 della l. 31/2008, per
l’entrata in vigore della norma della legge finanziaria 2008 con cui si
vieta l’arbitrato privato nel Codice degli appalti.
Il 10 gennaio 2008 l’Autorità per la vigilanza emana la Determinazione n. 1/2008 riguardante il Casellario informatico degli operatori
economici esecutori dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e
forniture.
Con il Comunicato del 4 aprile 2008 (GU 94 del 21 aprile 2008) l’Autorità delinea le modalità di comunicazione dei dati dei contratti pubblici
di lavori, servizi e forniture – settori ordinari, speciali ed esclusi.
Il d.lgs. 152/08 positivizza all’art. 6 comma 10 del Codice il Casellario anche per gli appalti di servizi e forniture.
32
Capitolo I
L’Autorità emana la Deliberazione del 24 gennaio 2008 (GU 23 del
28 gennaio 2008) con cui stabilisce per l’anno 2008 il versamento del
contributo (ex art. 1, commi 65 e 67 della l. 266/05).
A livello giurisprudenziale, il TAR Lazio, Sez. III–ter, 5 febbraio
2008, n. 951, riconosce (sulla scia del TAR Lazio 27 dicembre 2007 n.
14081) due importanti regole applicative nell’ambito della procedura
negoziata nei settori speciali: le operazioni di apertura dei plichi con la
documentazione e l’offerta economica devono essere svolte in seduta
pubblica. Il Consiglio di Stato, Sez VI 9 giugno 2005 n. 3030, aveva
affermato il contrario.
La Corte di Giustizia CE, Sez. IV, 15 maggio 2008, C–147/06 e
C–148/06, ha aperto la strada alla modifica operata dal d.lgs. 152/08
negli art. 122, comma 9 e 124 comma 9 del Codice.
Il d.m. Infrastrutture del 21/12/2007 n. 272, reca il «Regolamento
recante norme per l’individuazione dei criteri, modalità e procedure
per la verifica dei certificati dei lavori pubblici e delle fatture utilizzati
ai fini delle attestazioni rilasciate dalle SOA dal 1° marzo 2000 alla
data di entrata in vigore del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163,
(1° luglio 2006)».
Con il DM n. 272/2007 il Ministero delle Infrastrutture ha stabilito
le modalità ed i tempi dei controlli su tutti gli attestati SOA.
La fonte primaria è il comma 21 dell’art. 253 del Codice: un anno
di tempo è il limite massimo stabilito dal Codice. Le verifiche stanno
riguardando tutti i certificati e le fatture utilizzati dall’impresa per
conseguire l’attestazione da parte della SOA. Ovviamente, i controlli riguardano tutte li imprese attestate fino al 1° luglio 2006.
Sono circa 40mila le attestazioni da verificare e quindi circa sei milioni di informazioni da controllare.
Con i Decreti Legislativi 26 marzo 2008, n. 62 e n. 63 sono state
operate delle modifiche al d.lgs. 42/2004 (Codice del Beni culturali e
del paesaggio).
Con lettera di messa in mora datata 1° febbraio 2008 la Commissione UE ha giudicato come incompatibili con le direttive degli appalti pubblici alcune disposizioni contenute nel Codice De Lise.
Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06
33
In particolare, sono state oggetto di rilievo in quanto contrarie alla
Direttive:
– l’art. 24, comma 1;
– l’art. 34, comma 1, anche in combinato con l’art. 206, comma 1
e gli artt. 90 e 101 (anche in combinato con l’art. 237);
– l’art. 37, comma 11;
– gli artt. 41, comma 4 e 42, comma 4; l’art. 74, comma 6;
– l’art. 45;
– l’art. 49, commi 6 e 7;
– l’art. 58, comma 13;
– l’art. 79, comma 5;
– l’art. 83, comma 4;
– l’art. 140, comma 1, 2 e 3 lì ove si autorizza la procedura negoziata senza pubblicazione previa di bando;
– alcune disposizioni sul project financing;
– l’art. 172, comma 2;
– l’art. 174, comma 5;
– l’art. 179, comma 7.
Segue l’elencazione di alcune omissioni o riferimenti incrociati erronei, nonché di disposizioni non trasposte.
Il 2 agosto 2008 è stata pubblicata la l. 129/2008, che ha convertito
il d.l. del 3 giugno 2008, n. 97, nel quale comunque erano state intanto
operati interventi dal c.d. secondo milleproroghe, cioè il d.l. 113/2008
(non convertito in legge e quindi decaduto).
La l. 129/08, avente ad oggetto la spesa pubblica, il fisco e la proroga dei termini, in materia di appalti ha operato indirettamente ma
efficacemente: ha abrogato i commi da 29 a 34 dell’art. 35 della l.
248/2006 (di conversione del c.d. Decreto Bersani–Visco).
La responsabilità solidale fra appaltatore e subappaltatore è così
piena e senza alcuna deroga. In attuazione alla l. 123/2007 è stato emanato il nuovo T.U. in materiali
sicurezza: Decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, «Attuazione dell’arti-
34
Capitolo I
colo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e
della sicurezza nei luoghi di lavoro» (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale
n. 101 del 30 aprile 2008 – Supplemento Ordinario n. 108). Cambia la
legislazione in materia anche per gli appalti pubblici: viene abrogato il
d.lgs. 494/965. Nella GU del 2 ottobre 2008 (n. 231 – suppl. ord. 227/L)
è stato pubblicato il III decreto correttivo del Codice: è il decreto legislativo 11 settembre 2008, n. 152. La vacatio legis è di 15 giorni.
Come è noto, il decreto legislativo in parola nasce “in limine” costituzionale: infatti, l’interpretazione data dall’Esecutivo e confermata anche dal Consiglio di Stato in sede consultiva lo scorso luglio, si
muove lungo la tesi per cui sarebbe legittimo l’esercizio della delega
della legge quadro n. 62/2005 (art. 25) anche nella normazione avviata
prima dello scadere dei due anni delegati (i.e. 30 giugno 2008).
Al di là di questioni costituzionali, per le quali e sulla cui correttezza comunque si potrebbe discutere, le principali novità operate dal
III Decreto correttivo possono essere riassunte nei seguenti aspetti e
nei seguenti istituti.
Della nuova normazione relativa alle opere di urbanizzazione
a scomputo, specie per il sotto–soglia, e dello sdoppiamento dell’istituto del project financing si dirà più diffusamente più avanti.
All’inizio occorre evidenziare le seguenti novità, in ampia panoramica:
1) art. 37, comma 11: lavori specialistici: se nell’oggetto dell’appalto rientrano opere di rilevante complessità tecnica, e se
una di tali opere superi il 15% dell’importo totale del lavori, è
esperibile il subappalto ex art. 118, c. 2 terzo periodo–limite al
30% e si lascia al regolamento ex art. 5 del Codice il compito di
definire l’elenco delle opere. Pertanto, in forza del III Decreto
5. La l. 88/2009 (Legge comunitaria 2008) Disposizioni per l’adempimento di obblighi
derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee, opera importanti modifiche al
d.Lgs. 81/2008; in particolare, ottemperando alla sentenza della Corte di Giustizia C–504/06
del 25 luglio 2008 (procedura di infrazione n. 2005/2200), il Legislatore nazionale varia il
comma 11 dell’art. 90 del T.U. Sicurezza; inoltre, la Legge opera un’aggiunta al comma 1
dell’art. 91 T.U.
Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06
2)
3)
4)
5)
6)
35
correttivo per le categorie specialistiche (con il tetto minimo già
previsto nella vecchia formulazione pari al 15%) è possibile il
subappalto, invece dell’obbligatorietà di costituzione dell’ATI
verticale (che era prevista nella vecchia disciplina); è sancito, in
coerenza con l’art. 118 del Codice, il limite al subappalto del
30% dell’importo dell’opera stessa, evitando così l’aggiudicazione ad imprese che non rivestano qualifiche specialistiche e
che poi affiderebbero in toto mediate il subappalto le stesse
lavorazioni richieste dal bando;
avvalimento: art. 49: in coerenza con quanto indicato dalla
Commissione UE nella lettera di messa in mora del 1° febbraio
2008, è stato abrogato il comma 7 (limitazioni che il bando
poteva prevedere) ed è stata operata la riformulazione del comma 6; in tale ultima ipotesi, per il lavori, il concorrente può
avvalersi di una sola impresa ausiliaria per ciascun requisito o
categoria, salvo che il bando preveda l’avvalimento di più ausiliarie e il divieto comunque di utilizzo frazionato per il singolo
concorrente dei singoli requisiti;
art. 79: nell’elenco delle informazioni d’ufficio, è stata inserita
al comma 5 la lett. b–bis): bisognerà comunicare la decisione di
non aggiudicare l’appalto, cioè i motivi per cui non s’è aggiudicato;
art. 83: è soppresso il terzo periodo del comma 4, e quindi è
stata abrogata la previsione cioè secondo cui la commissione
prima dell’apertura delle buste fissa i criteri motivazionali cui
si atterrà per attribuire il punteggio;
art. 6, comma 10: è stato formalmente positivizzato il casellario
informativo anche per servizi e forniture. Già l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici aveva emanato la Determinazione
n. 1/2008 nella quale aveva già dettato la disciplina in materia;
art. 36, comma 5: torna l’obbligo per i consorzi stabili di
indicare in sede di offerta con quali consorziati concorra il
consorzio stesso e compare la previsione della possibilità di
compartecipazione di una consorziata, tranne che nelle gare
36
Capitolo I
con la previsione dell’esclusione automatica delle offerte
anormalmente basse;
7) dall’art. 38, lett. m–bis) non v’è più l’indicazione “da parte
dell’autorità”; dunque, si parla di decadenza anche per ritiro
da parte delle SOA;
8) art. 40, comma 9–ter, nuovo periodo: obbligo per le SOA di
comunicare all’Autorità l’avvio del procedimento di verifica
del possesso dei requisiti e l’esito;
9) lavori in economia: eliminazione del tetto dei 100mila euro per
le manutenzioni, che saranno alzate a 200mila euro;
10)per la licitazione privata semplificata il limite è stato innalzato
ad un milione;
11)i bandi dovranno tenere conto di nuovo tetti per l’esclusione
automatica: sotto soglia la discrezionalità (che prevedeva la
possibilità — se previsto nel bando — di escludere automaticamente le offerte anomale) è ora limitata: per i lavori l’esclusione automatica è ammessa solo per importi inferiori a 1 milione
di euro (a 100mila euro per servizi e forniture). Comunque, il
numero dei candidati minimo sale da cinque a dieci;
12)fra le cause di esclusione ex art. 38 del Codice è stata inserita la
previsione che anche per il subappaltatore vige il divieto per un
anno di partecipare e di stipulare i contratti d’appalti pubblici
nel caso di false dichiarazioni;
13)importanti le modifiche operate in relazione alle Opere di Urbanizzazione;
14)per il project financing la riforma è addirittura sostanziale;
15)nelle gare con la c.d. forcella, in sede di gara devono essere
verificati i requisiti, senza la possibilità di adottare controlli a
campione ex art. 48;
16)anche per i lavori sono previste le regole dell’asta elettronica;
17)sino al 2010, ai fini della qualificazione dei progettisti, sono
utilizzabili i requisiti conseguiti nei tre anni migliori nel quinquennio, o i cinque anni migliori del decennio;
18)è stata estesa anche per la cauzione definitiva relativa a servizi e
Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06
37
forniture, la riduzione al 50% per coloro che sono in possesso
della certificazione di qualità;
19)nei settori speciali, per i concorsi di progettazione non sono
previste più deroghe alla disciplina;
20)l’avvalimento nei settori speciali non ha più la circoscrizione
alle sole società in rapporto di controllo.
***
Infine, altri importanti interventi normativi sono da evidenziare:
a) la legge 22 dicembre 2008, n. 201 Conversione in legge del decreto–legge 23 ottobre 2008, n. 162, Interventi urgenti in materia di
adeguamento dei prezzi di materiali da costruzione, di sostegno ai
settori dell’autotrasporto, dell’agricoltura e della pesca professionale, nonché di finanziamento delle opere per il G8 e definizione degli adempimenti tributari per le regioni Marche ed Umbria, colpite
dagli eventi sismici del 1997 (GU n. 292 del 22 dicembre 2008),
in cui, fra l’altro, è stato disposto che: la normativa sulla revisione prezzi sia valida anche per i settori speciali; gli enti pubblici
privatizzati non siano organismi di diritto pubblico, come invece sostenuto dalla giurisprudenza del TAR (TAR Lazio – Roma,
sez. III ter, n. 4364/2005) e del Consiglio di Stato (Consiglio di
Stato, sez. VI, n. 182/2006) e che pertanto ad essi in materia di
contratti pubblici si applichino del Codice De Lise solamente le
norme sulla pubblicità; per i lavori di importo complessivo pari
o superiore a 100.000 euro e inferiore a 500.000 euro possono essere affidati dalle stazioni appaltanti, a cura del responsabile del
procedimento, nel rispetto dei principi di non discriminazione,
parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza, e secondo
la procedura prevista dall’articolo 57, comma 6; l’invito è rivolto
ad almeno cinque soggetti, se sussistono aspiranti idonei in tale
numero (comma 7–bis dell’art. 122 del d.lgs. 163/06).
b) la legge 28 gennaio 2009, n. 2, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto–legge 29 novembre 2008, n. 185, recante misure
urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e
38
Capitolo I
per ridisegnare in funzione anti–crisi il quadro strategico nazionale
(GU n. 22 del 28 gennaio 2009), nella quale all’art. 206 sono state
6. Così, infatti, prescrive l’Art. 20. (Norme straordinarie per la velocizzazione delle
procedure esecutive di progetti facenti parte del quadro strategico nazionale e simmetrica
modifica del relativo regime di contenzioso amministrativo):
1) In considerazione delle particolari ragioni di urgenza connesse con la contingente
situazione economico finanziaria del Paese ed al fine di sostenere e assistere la spesa per investimenti, compresi quelli necessari per la messa in sicurezza delle scuole, con decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro competente per materia di
concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono individuati gli investimenti pubblici di competenza statale, ivi inclusi quelli di pubblica utilità, con particolare riferimento
agli interventi programmati nell’ambito del Quadro Strategico Nazionale programmazione
nazionale, ritenuti prioritari per lo sviluppo economico del territorio nonché per le implicazioni occupazionali ed i connessi riflessi sociali, nel rispetto degli impegni assunti a livello internazionale. Il decreto di cui al presente comma è emanato di concerto anche con il Ministro
dello sviluppo economico quando riguardi interventi programmati nei settori dell’energia e
delle telecomunicazioni. Per quanto riguarda gli interventi di competenza regionale si provvede con decreto del Presidente della Giunta Regionale ovvero dei Presidenti delle province
autonome di Trento e di Bolzano.
2) I decreti di cui al precedente comma 1 individuano i tempi di tutte le fasi di realizzazione dell’investimento e il quadro finanziario dello stesso. Sul rispetto dei suddetti tempi
vigilano commissari straordinari delegati, nominati con i medesimi provvedimenti.
3) Il commissario nominato ai sensi del comma 2 monitora l’adozione degli atti e dei provvedimenti necessari per l’esecuzione dell’investimento; vigila sull’espletamento delle procedure
realizzative e su quelle autorizzative, sulla stipula dei contratti e sulla cura delle attività occorrenti
al finanziamento, utilizzando le risorse disponibili assegnate a tale fine. Esercita ogni potere di
impulso, attraverso il più ampio coinvolgimento degli enti e dei soggetti coinvolti, per assicurare il
coordinamento degli stessi ed il rispetto dei tempi. Può chiedere agli enti coinvolti ogni documento utile per l’esercizio dei propri compiti. Quando non sia rispettato o non sia possibile rispettare
i tempi stabiliti dal cronoprogramma, il commissario comunica senza indugio le circostanze del
ritardo al Ministro competente, ovvero al Presidente della Giunta regionale o ai Presidenti delle
province autonome di Trento e di Bolzano. Qualora sopravvengano circostanze che impediscano
la realizzazione totale o parziale dell’investimento, il commissario straordinario delegato propone
al Ministro competente ovvero al Presidente della Giunta regionale o ai Presidenti delle province
autonome di Trento e di Bolzano la revoca dell’assegnazione delle risorse.
4) Per l’espletamento dei compiti stabiliti al comma 3, il commissario ha, sin dal momento della nomina, con riferimento ad ogni fase dell’investimento e ad ogni atto necessario
per la sua esecuzione, i poteri, anche sostitutivi, previsti dall’articolo 13 del decreto–legge 25
marzo 1997, n. 67, convertito dalla legge 23 maggio 1997, n. 135, comunque applicabile per
gli interventi ivi contemplati. Resta fermo il rispetto delle disposizioni comunitarie, nonché
di quanto disposto dall’articolo 8, comma 1, del decreto–legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.
5) Per lo svolgimento dei compiti di cui al presente articolo, il commissario può avvalersi degli uffici delle amministrazioni interessate e del soggetto competente in via ordinaria
per la realizzazione dell’intervento.
Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06
39
dettate precise norme processuali che dimidiano e velocizzano i
termini processuali in materia di appalti pubblici, relativamente
alle grandi opere individuate dal DPCM 5 agosto 2009.
6) In ogni caso, i provvedimenti e le ordinanze emesse dal commissario non possono
comportare oneri privi di copertura finanziaria in violazione dell’articolo 81 della Costituzione e determinare effetti peggiorativi sui saldi di finanza pubblica, in contrasto con gli obiettivi
correlati con il patto di stabilità con l’Unione Europea.
7) Il Presidente del Consiglio dei Ministri delega il coordinamento e la vigilanza sui
commissari al Ministro competente per materia che esplica le attività delegate avvalendosi
delle strutture ministeriali vigenti, senza nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello
Stato. Per gli interventi di competenza regionale il Presidente della Giunta Regionale individua la competente struttura regionale. Le strutture di cui al presente comma segnalano alla
Corte dei Conti ogni ritardo riscontrato nella realizzazione dell’investimento, ai fini dell’eventuale esercizio dell’azione di responsabilità di cui all’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994,
n. 20. Il termine per la presentazione del ricorso al competente Tribunale amministrativo
regionale avverso i provvedimenti emanati ai sensi del presente articolo è di trenta giorni
dalla comunicazione. Il ricorso principale va depositato presso il TAR entro cinque giorni
dalla scadenza del termine di notificazione del ricorso; in luogo della prova della notifica
può essere depositata attestazione dell’ufficiale giudiziario che il ricorso è stato consegnato
per le notifiche; la prova delle eseguite notifiche va depositata entro cinque giorni da quando
è disponibile. Le altre parti si costituiscono entro dieci giorni dalla notificazione del ricorso
principale e entro lo stesso termine possono proporre ricorso incidentale; il ricorso incidentale va depositato con le modalità e termini previsti per il ricorso principale. I motivi aggiunti
possono essere proposti entro dieci giorni dall’accesso agli atti e vanno notificati e depositati
con le modalità previste per il ricorso principale. Il processo viene definito ad una udienza
da fissarsi entro 15 giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse
dal ricorrente; il dispositivo della sentenza è pubblicato in udienza; la sentenza è redatta in
forma semplificata, con i criteri di cui all’articolo 26, comma 4, della legge 6 dicembre 1971,
n. 1034. Le misure cautelari e l’annullamento dei provvedimenti impugnati non comportano,
in alcun caso, la sospensione o la caducazione degli effetti del contratto già stipulato, e il
Giudice che sospende o annulla detti provvedimenti dispone il risarcimento degli eventuali
danni solo per equivalente. Il risarcimento per equivalente del danno comprovato non può
comunque eccedere la misura di utile effettivo che il ricorrente avrebbe conseguito se fosse
risultato aggiudicatario, desumibile dall’offerta economica presentata in gara. Per quanto non
espressamente disposto dal presente articolo, si applica l’articolo 23–bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 e l’articolo 246 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 e successive
modificazioni. Dall’attuazione del presente comma non devono derivare nuovi o maggiori
oneri a carico della finanza pubblica.
8) I provvedimenti adottati ai sensi del presente articolo sono comunicati agli interessati a mezzo fax o posta elettronica all’indirizzo da essi indicato.L’accesso agli atti
del procedimento è consentito entro dieci giorni dall’invio della comunicazione del
provvedimento.Il termine per la notificazione del ricorso al competente Tribunale amministrativo regionale avverso i provvedimenti emanati ai sensi del presente articolo è di trenta giorni dalla comunicazione o dell’avvenuta conoscenza, comunque acquisita.
40
Capitolo I
Con riferimento a ciò, va precisato che il 14 ottobre 2009 nella GU n.
239 è stato pubblicato il Comunicato della Nomina dei commissari straIl ricorso principale va depositato presso il Tar entro cinque giorni dalla scadenza del termine di notificazione del ricorso; in luogo della prova della notifica può essere depositata
attestazione dell’ufficiale giudiziario che il ricorso è stato consegnato per le notifiche; la prova
delle eseguite notifiche va depositata entro cinque giorni da quando è disponibile. Le altre
parti si costituiscono entro dieci giorni dalla notificazione del ricorso principale e entro lo
stesso termine possono proporre ricorso incidentale; il ricorso incidentale va depositato con
le modalità e termini previsti per il ricorso principale. I motivi aggiunti possono essere proposti entro dieci giorni dall’accesso agli atti e vanno notificati e depositati con le modalità
previste per il ricorso principale. Il processo viene definito ad una udienza da fissarsi entro
15 giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente; il
dispositivo della sentenza è pubblicato in udienza; la sentenza è redatta in forma semplificata, con i criteri di cui all’articolo 26, quarto comma, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034.
Le misure cautelari e l’annullamento dei provvedimenti impugnati non possono comportare, in alcun caso, la sospensione o la caducazione degli effetti del contratto già stipulato, e,
in caso di annullamento degli atti della procedura, il giudice può esclusivamente disporre
il risarcimento degli eventuali danni, ove comprovati, solo per equivalente. Il risarcimento
per equivalente del danno comprovato non può comunque eccedere la misura del decimo
dell’importo delle opere che sarebbero state eseguite se il ricorrente fosse risultato aggiudicatario, in base all’offerta economica presentata in gara. Se la parte soccombente ha agito
o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave si applicano le disposizioni di cui all’articolo 96 del codice di procedura civile. Per quanto non espressamente disposto dal presente
articolo, si applica l’articolo 23–bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 e l’articolo 246
del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 e successive modificazioni. Dall’attuazione del
presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
8–bis. Per la stipulazione dei contratti ai sensi del presente articolo non si applica il termine di trenta giorni previsto dall’articolo 11, comma 10, del codice dei contratti pubblici
relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163.
9) Con decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro competente per materia in relazione alla tipologia degli interventi, di concerto con il Ministro
dell’economia e delle finanze, sono stabiliti i criteri per la corresponsione dei compensi spettanti ai commissari straordinari delegati di cui al comma 2. Alla corrispondente spesa si farà
fronte nell’ambito delle risorse assegnate per la realizzazione dell’intervento. Con esclusione
dei casi di cui al comma 3, quarto e quinto periodo, il compenso non è erogato qualora non
siano rispettati i termini per l’esecuzione dell’intervento. Per gli interventi di competenza
regionale si provvede con decreti del Presidente della Giunta Regionale.
10) Per la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e
di interesse nazionale si applica quanto specificamente previsto dalla Parte II, Titolo III,
Capo IV, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto
legislativo 12 aprile 2006, n. 163. Nella progettazione esecutiva relativa ai progetti definitivi
di infrastrutture e insediamenti produttivi strategici di preminente interesse nazionale, di
cui alla Parte II, Titolo III, Capo IV, del citato codice di cui al decreto legislativo 163/2006,
approvati prima della data di entrata in vigore del d.p.r. 30 marzo 2004, n. 142, si applicano
Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06
41
ordinari delegati, ai sensi dell’articolo 20, del decreto–legge 29 novembre
2008, n. 185, convertito in legge 28 gennaio 2009, n. 2. (09A12082).
i limiti acustici previsti nell’allegato 1 annesso al medesimo d.p.r. 142/2004; non si applica l’articolo 11, comma 2, del citato d.p.r. 142/2004. 10–bis. Il comma 4 dell’articolo 3 del regolamento
di cui al d.p.r. 18 aprile 1994, n. 383, è sostituito dal seguente: «4. L’approvazione dei progetti,
nei casi in cui la decisione sia adottata dalla conferenza di servizi, sostituisce ad ogni effetto gli
atti di intesa, i pareri, le concessioni, anche edilizie, le autorizzazioni, le approvazioni, i nullaosta, previsti da leggi statali e regionali. Se una o più amministrazioni hanno espresso il proprio
dissenso nell’ambito della conferenza di servizi, l’amministrazione statale procedente, d’intesa
con la regione interessata, valutate le specifiche risultanze della conferenza di servizi e tenuto
conto delle posizioni prevalenti espresse in detta sede, assume comunque la determinazione di
conclusione del procedimento di localizzazione dell’opera. Nel caso in cui la determinazione
di conclusione del procedimento di localizzazione dell’opera non si realizzi a causa del dissenso espresso da un’amministrazione dello Stato preposta alla tutela ambientale, paesaggistico–
territoriale, del patrimonio storico–artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità
ovvero dalla regione interessata, si applicano le disposizioni di cui all’articolo 81, quarto comma, del d.p.r. 24 luglio 1977, n. 616». 10–ter. Al fine della sollecita progettazione e realizzazione
delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi di cui al comma 10 del presente articolo, per
l’attività della struttura tecnica di missione prevista dall’articolo 163, comma 3, lettera a), del
citato codice di cui al decreto legislativo n. 163/2006, è autorizzata l’ulteriore spesa di 1 milione
di euro per ciascuno degli anni 2009 e 2010. Al relativo onere, pari a 1 milione di euro per ciascuno degli anni 2009 e 2010, si provvede mediante corrispondente riduzione dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 145, comma 40, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, e successive
modificazioni. 10–quater. Al fine di accedere al finanziamento delle opere di cui al presente
comma da parte della Banca europea per gli investimenti (BEI), il Ministero delle infrastrutture
e dei trasporti predispone forme appropriate di collaborazione con la BEI stessa. L’area di collaborazione con la BEI riguarda prioritariamente gli interventi relativi alle opere infrastrutturali
identificate nel primo programma delle infrastrutture strategiche, approvato dal Comitato interministeriale per la programmazione economica con delibera n. 121 del 21 dicembre 2001, pubblicata nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 68 del 21 marzo 2002, e finanziato
dalla legge 21 dicembre 2001, n. 443, ovvero identificate nella direttiva 2004/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa ai requisiti minimi di sicurezza per
le gallerie della rete stradale transeuropea (TEN), e nella Parte II, Titolo III, Capo IV, del citato
codice di cui al decreto legislativo 163/2006, nel rispetto dei requisiti e delle specifiche necessari
per l’ammissibilità al finanziamento da parte della BEI e del principio di sussidiarietà al quale
questa è tenuta statutariamente ad attenersi. 10–quinquies. Ai fini di cui al comma 10–quater, il
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti comunica ogni anno alla BEI una lista di progetti,
tra quelli individuati dal Documento di programmazione economico–finanziaria ai sensi dell’articolo 1, comma 1, della legge 21 dicembre 2001, n. 443, e successive modificazioni, suscettibili
di poter beneficiare di un finanziamento da parte della BEI stessa. 10–sexies. Al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 185, comma 1, dopo la lettera c), è aggiunta la seguente:
«c–bis) il suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale escavato nel corso
dell’attività di costruzione, ove sia certo che il materiale sarà utilizzato a fini di costruzione
allo stato naturale nello stesso sito in cui è stato scavato»;
42
Capitolo I
In particolare, con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 5 agosto 2009, su proposta del Ministro delle infrastrutture
e dei trasporti di concerto col Ministro dell’economia e delle finanze sono stati individuati gli investimenti pubblici di competenza
statale ritenuti prioritari per lo sviluppo economico del territorio
(sono nr. 18 grandi opere) nonché per le implicazioni occupazionali ed i riflessi sociali e, contestualmente nominati i Commissari
Straordinari Delegati (sono nr. 10 Commissari; altri decreti individueranno gli altri Commissari per le restanti opere individuate).
c) Dopo essersi pronunciata sull’art. 153 del Codice dei contratti
con le determinazioni 20 maggio 2009, n. 3 (Procedure di cui
all’art. 153: linee guida per i documenti di gara) e n. 4 (Linee
guida per l’utilizzo del criterio dell’offerta economicamente più
vantaggiosa nelle procedure previste dall’art. 153), l’Autorità per
la vigilanza sui contratti pubblici ha emanato le seguenti nuove
Determinazioni:
1)21 maggio 2009, n. 5, Linee guida per l’applicazione dell’art.
48 del d.lgs. 163/2006;
2)8 luglio 2009, n. 6, Il procedimento di verifica delle offerte
anormalmente basse, con particolare riferimento al criterio del
prezzo più basso;
3)16 luglio 2009, n. 7, Problematiche applicative delle disposizioni in materia di opere a scomputo degli oneri di urbanizzazione
dopo il terzo decreto correttivo del Codice dei Contratti.
d)La legge 18 giugno 2009, n. 69 “Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di
processo civile” (pubblicata in GU n. 140 del 19 giugno 2009):
– con l’art. 17 ha abrogato i divieti contenuti nel comma 5 terzo
periodo dell’art. 36 e del comma 7 terzo periodo dell’art. 37
del Codice degli appalti pubblici, relativi ai consorzi stabili
(se ne parlerà diffusamente nell’apposito capitolo);
b) all’articolo 186, comma 1, sono premesse le seguenti parole: «Fatto salvo quanto previsto dall’articolo 185».
Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06
43
– dall’art. 7 all’art. 10 ha disposto una serie di modificazioni
alla legge 241/1990 (già modificata con la legge 15 e la legge 80/2005), fra le quali è da evidenziare l’art. 2–bis: “«Art.
2–bis. (Conseguenze per il ritardo dell’amministrazione nella
conclusione del procedimento);
1. le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’articolo 1,
comma 1–ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto
cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa
del termine di conclusione del procedimento.
2. le controversie relative all’applicazione del presente articolo
sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Il diritto al risarcimento del danno si prescrive in
cinque anni»;
– all’art. 33 ha delegato il Governo per la modifica del
codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto
legislativo 7 marzo 2005, n. 82;
– all’art. 45 (“ Il Governo è delegato ad adottare, entro un
anno dalla data di entrata in vigore della presente legge,
uno o più decreti legislativi per il riassetto del processo
avanti ai tribunali amministrativi regionali e al Consiglio
di Stato, al fine di adeguare le norme vigenti alla giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni
superiori, di coordinarle con le norme del codice di procedura civile in quanto espressione di princìpi generali e
di assicurare la concentrazione delle tutele”) ha delegato
il Governo per il riassetto della disciplina del processo
amministrativo (si tratta di modifiche processuali a cerchi concentrici: si pensi oltre a questa delega, anche a
quelle riforme previste dalla l. 2/2009 (per cui si attende
il DPCM in materia di contratti pubblici) e alla riforma da attuare in ottemperanza alla Legge Comunitaria
2008 (cioè la l. 88/09, di cui si dirà poco appresso);
– dall’art. 46 in avanti ha disposto importanti modifiche
al codice di procedura civile.
44
Capitolo I
e) Con ritardo rispetto alla prassi adottata negli anni precedenti
dal Parlamento, è stata pubblicata sulla GU n. 161 del 14 luglio
2009, la Legge 88/2009, c.d. Legge comunitaria 2008.
In essa, l’art. 44 detta prescrizioni all’Esecutivo per l’adeguamento alla direttiva 2007/66/CE (c.d. direttiva ricorsi, che succede alle precedenti direttive 89/665 e 92/13). L’art. 20 della l.
2/2009 sembra in contrasto a tali previsioni comunitarie direttamente applicabili dal 20 dicembre 2009, per la non obbligatorietà dello stand–still (i 30 giorni di cui al comma 10 dell’art.
11 del Codice De Lise) e per la previsione del risarcimento solo
per equivalente.
La direttiva 66 sarà direttamente applicabile dal 20 dicembre
prossimo.
Fra le principali prescrizioni dettate dall’art. 44 e che il Governo
dovrà dettagliare, vanno menzionate:
– la Stazione appaltante va informata di un imminente proposizione del ricorso ed essa dovrà esplicitare se interverrà o
meno in via di autotutela;
– i termini di impugnazione non dovranno essere superiori a 30
giorni e gli altri termini processuali dovranno essere ulteriormente abbreviati;
– i ricorsi riguardanti una medesima procedura di gara dovranno essere concentrati nel medesimo giudizio ovvero riuniti;
– sia i ricorsi sia i provvedimenti del giudice avranno forma sintetica;
– i termini per l’appello dell’istanza cautelare saranno di 15
giorni;
– per effetto del ricorso con istanza cautelare, la Stazione appaltante dovrà sospendere la stipula del contratto sino alla
pubblicazione del provvedimento cautelare “definitivo”;
– lettera m) dell’art. 44: il Governo dovrà dettare regole di razionalizzazione dell’arbitrato, prevedendo quest’ultimo come
“ordinario rimedio alternativo al giudizio civili”. La l. 244/07
(con termine differito al 31 dicembre 2009) aveva invece fat-
Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06
45
to divieto alle amministrazioni di prevedere clausole compromissorie nei contratti d’appalto pubblici, a pena di nullità.
– Le amministrazioni dovranno indicare già nel bando o nell’avviso se il futuro contratto conterrà o meno la clausola arbitrale: non sono ammesse tali pattuizioni ex post alla stipula del
contratto medesimo. Questa disposizione è già attuativa con
l’entrata in vigore della Legge 88/09, non essendo per essa
necessario esercitare la delega da parte dell’Esecutivo.
f) È stata pubblicata la legge che inserisce una nuova causa di
esclusione all’articolo 38, comma 1, lettera m–ter), del Codice
dei contratti: GU n. 170 del 24 luglio, legge 15 luglio 2009, n.
94: Disposizioni in materia di sicurezza pubblica.
L’art. 2, comma 19 opera all’interno dell’art. 38 del Codice dei
contratti pubblici.
In particolare:
– inserisce una nuova ipotesi al comma 1, la lettera m–ter): non
possono partecipare alla gara i soggetti: di cui alla precedente
lettera b) che, anche in assenza nei loro confronti di un procedimento per l’applicazione di una misura di prevenzione o di una
causa ostativa ivi previste, pur essendo stati vittime dei reati
previsti e puniti dagli articoli 317 e 629 del codice penale aggravati ai sensi dell’articolo 7 del decreto–legge 13 maggio 1991, n.
152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991,
n. 203, non risultino aver denunciato i fatti alla autorità giudiziaria, salvo che ricorrano i casi previsti dall’articolo 4, primo
comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689. La circostanza
di cui al primo periodo deve emergere dagli indizi a base della
richiesta di rinvio a giudizio formulata nei confronti dell’imputato nei tre anni antecedenti alla pubblicazione del bando e deve
essere comunicata, unitamente alle generalità del soggetto che
ha omesso la predetta denuncia, dal procuratore della Repubblica procedente all’Autorità di cui all’articolo 6, la quale cura la
pubblicazione della comunicazione sul sito dell’Osservatorio;
46
Capitolo I
– inserisce un nuovo comma, 1–bis: «1–bis. I casi di esclusione
previsti dal presente articolo non si applicano alle aziende o
società sottoposte a sequestro o confisca ai sensi dell’articolo
12–sexies del decreto–legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, o
della legge 31 maggio 1965, n. 575, ed affidate ad un custode
o amministratore giudiziario o finanziario».
g) Ancora una modifica sostanziale nel quadro normativo: l’ambito è quello della Sicurezza sul lavoro: in GU n. 180 del 5 agosto
2009 è stato pubblicato il d.lgs. 3 agosto 2009, n. 106 Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 9 aprile 2008,
n. 81, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi
di lavoro. Fra i diversi interventi, viene modificato anche l’art.
14 del T.U. n. 81/08 che prevede la sospensione dell’attività
dell’impresa per cause diverse da quelle previste dall’art. 300
(omicidio e lesioni colpose, art. 25–septies del d.lgs. 231/01).
Il legame di questa previsione con la causa di esclusione di cui
all’art. 38, lett. m) è del tutto evidente.
h)Le ulteriori modifiche al Codice dei contratti le ha operate la
legge agosto 2009, n. 102 (Conversione del decreto–legge 1° luglio 2009, n. 78), recante provvedimenti anticrisi, nonché proroga
di termini e della partecipazione italiana a missioni internazionali
(in GU n. 179 del 4 agosto 2009).
Oltre a quanto indicato nel comma 4–bis dell’art. 4, le altre principali modifiche sono previste nell’art. 4–quater e riguardano soprattutto l’abrogazione della previsione delle giustificazioni da
presentare a corredo dell’offerta.7
7. Il testo dell’art. 4–quater della l. 102/2009 è il seguente:
1) Al codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto
legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 70, comma 11, lettera b), al primo periodo, dopo le parole: «a presentare
offerte» sono aggiunte le seguenti: «, ovvero non inferiore a quarantacinque giorni se l’offerta
ha per oggetto anche il progetto definitivo, decorrente dalla medesima data. Tale previsione non
si applica nel caso di cui all’articolo 53, comma 2, lettera c)» e l’ultimo periodo è soppresso;
Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06
47
i) Con il Decreto Legge 25 settembre 2009, n. 135 «Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee. (09G0145» (GU n. 223 del 25/9/2009), sono state inserite
nell’art. 38, comma 1 del Codice De Lise la lettera m–quater)
(«Sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento
delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, né
b)
c)
d)
all’articolo 86, il comma 5 è abrogato;
all’articolo 87:
1. il comma 1 è sostituito dal seguente: «1. Quando un’offerta appaia anormalmente bassa, la stazione appaltante richiede all’offerente le giustificazioni relative
alle voci di prezzo che concorrono a formare l’importo complessivo posto a base
di gara, nonché, in caso di aggiudicazione con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, relative agli altri elementi di valutazione dell’offerta,
procedendo ai sensi dell’articolo 88. All’esclusione può provvedersi solo all’esito dell’ulteriore verifica, in contraddittorio»;
2. al comma 2, alinea, le parole: «di cui all’articolo 86, comma 5 e di cui all’articolo
87, comma 1,» sono soppresse;
all’articolo 88:
1. il comma 1 è sostituito dal seguente: «1. La stazione appaltante richiede, per
iscritto, assegnando al concorrente un termine non inferiore a quindici giorni, la
presentazione, per iscritto, delle giustificazioni»;
2. dopo il comma 1 è inserito il seguente: «1–bis. La stazione appaltante, ove lo
ritenga opportuno, può istituire una commissione secondo i criteri stabiliti dal
regolamento per esaminare le giustificazioni prodotte; ove non le ritenga sufficienti ad escludere l’incongruità dell’offerta, richiede per iscritto all’offerente le
precisazioni ritenute pertinenti»;
3. al comma 2, le parole: «dieci giorni» sono sostituite dalle seguenti: «cinque giorni» e la parola: «giustificazioni» è sostituita dalla seguente: «precisazioni»;
4. il comma 3 è sostituito dal seguente: «3. La stazione appaltante, ovvero la commissione di cui al comma 1–bis, ove istituita, esamina gli elementi costitutivi
dell’offerta tenendo conto delle precisazioni fornite»;
5. al comma 4, le parole: «cinque giorni» sono sostituite dalle seguenti: «tre giorni»;
6. al comma 7, dopo il primo periodo è inserito il seguente: «In alternativa, la stazione appaltante, purché si sia riservata tale facoltà nel bando di gara, nell’avviso
di gara o nella lettera di invito, può procedere contemporaneamente alla verifica
di anomalia delle migliori offerte, non oltre la quinta, fermo restando quanto
previsto ai commi da 1 a 5» e, al secondo periodo, le parole: «dichiara l’aggiudicazione» sono sostituite dalle seguenti: «procede, nel rispetto delle disposizioni
di cui agli articoli 11 e 12, all’aggiudicazione»;,e)
all’articolo 122, comma
9, le parole: «l’articolo 86, comma 5» sono sostituite dalle seguenti: «l’articolo
87, comma 1»;
48
Capitolo I
possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare
i relativi contratti i soggetti: […] che si trovino, rispetto ad un
altro partecipante alla medesima procedura di affidamento, in una
situazione di controllo di cui all’articolo 2359 del codice civile o
in una qualsiasi relazione, anche di fatto, se la situazione di controllo o la relazione comporti che le offerte sono imputabili ad un
unico centro decisionale») e le seguenti previsioni nel comma 2:
«Ai fini del comma 1, lettera m–quater), i concorrenti allegano,
alternativamente:
a) la dichiarazione di non essere in una situazione di controllo di
cui all’articolo 2359 del codice civile con nessun partecipante
alla medesima procedura;
b)la dichiarazione di essere in una situazione di controllo di cui
f) all’articolo 124, comma 8, le parole: «l’articolo 86, comma 5» sono sostituite dalle
seguenti: «l’articolo 87, comma 1»;
g) all’articolo 165, comma 4, al terzo periodo, le parole: «novanta giorni» sono sostituite dalle seguenti: «sessanta giorni» e, al quarto periodo, le parole: «sessanta giorni» sono
sostituite dalle seguenti: «quarantacinque giorni»;
h) all’articolo 166:
1. al comma 3, secondo periodo, le parole: «novanta giorni» sono sostituite dalle
seguenti: «sessanta giorni»;
2. al comma 4, secondo periodo, le parole: «novanta giorni» sono sostituite dalle
seguenti: «sessanta giorni».
2. Le disposizioni di cui al comma 1, lettere da a) a f), si applicano alle procedure
i cui bandi o avvisi con cui si indice una gara siano pubblicati successivamente
alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto,
nonché, in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o avvisi, alle procedure in cui, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente
decreto, non siano ancora stati inviati gli inviti a presentare le offerte.
3. Le disposizioni di cui al comma 1, lettera g), si applicano ai progetti preliminari
non ancora rimessi dai soggetti aggiudicatori al Ministero delle infrastrutture e
dei trasporti alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente
decreto.
4. Le disposizioni di cui al comma 1, lettera h), numero 1), si applicano ai progetti
definitivi non ancora ricevuti dalle pubbliche amministrazioni competenti e dai
gestori di opere interferenti alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.
5. Le disposizioni di cui al comma 1, lettera h), numero 2), si applicano alle conferenze di servizi non ancora concluse alla data di entrata in vigore della legge di
conversione del presente decreto.
Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06
49
all’articolo 2359 del codice civile e di aver formulato autonomamente l’offerta, con indicazione del concorrente con cui
sussiste tale situazione; tale dichiarazione è corredata dai documenti utili a dimostrare che la situazione di controllo non
ha influito sulla formulazione dell’offerta, inseriti in separata
busta chiusa. La stazione appaltante esclude i concorrenti per i
quali accerta che le relative offerte sono imputabili ad un unico
centro decisionale, sulla base di univoci elementi. La verifica e
l’eventuale esclusione sono disposte dopo l’apertura delle buste
contenenti l’offerta economica».
Tali previsioni sono conseguenti alla Corte di Giustizia delle CE,
sezione IV, 19 maggio 2009, C–538/07, in cui è affermata contraria al diritto comunitario la norma nazionale (nella specie l’art. 34,
comma 2, del d.lgs. 163/2006) che stabilisca un divieto assoluto per
gli operatori economici in situazioni di controllo o collegamento,
di partecipare alla medesima gara d’appalto, senza che essi possano
dimostrare la non influenza di quel rapporto e la genuinità dell’offerta.
3. I principi ispiratori del Codice. Definizioni e riflessioni sugli organismi di diritto pubblico
I principi richiamati dall’art. 2 del Codice sono quelli già enucleati
in tema di attività contrattuale sia dalla direttiva 2004/18 sia dal Trattato. Va precisato, però, che i principi ispiratori elencati nel comma
1 dell’art. 2 sono comunque presenti fra i principi generali dell’agire
della pubblica amministrazione secondo le previsioni sia costituzionali
(artt. 97, 2, 3 e 5), sia comunitarie, come ad esempio quelle della Carta
dei diritti fondamentale dell’Unione europea e quelle del Trattato della
Costituzione europea, che nell’art. 41 esprime chiaramente il principio
del diritto alla buona amministrazione, spostando così l’asse della previsione nella sfera della situazione giuridica di ogni cittadino.
50
Capitolo I
Si consideri pure che la legge 241/90, così come novellata dalla l. 15/2005 e richiamata dal comma 3 dell’art. 2, lega i principi
dell’attività amministrativa espressamente anche ai principi dell’ordinamento comunitario. Dunque, anche per l’agire amministrativo
si tratta di un chiaro quadro unitario fra principi di diritto europeo
e nazionale.
I commi 3 e 4 dell’art. 2 regolarizzano espressamente il rapporto
fra le norme pubblicistiche e quelle civilistiche con riferimento agli
appalti pubblici; questo rapporto, finora teorizzato da parte della dottrina in via, pertanto, ermeneutica8, è così autenticamente stabilizzato
dal legislatore precisando il principio di specialità fra il codice degli
appalti, la l. 241/90 (per le procedure di affidamento e le altre attività
amministrative) e il codice civile (per l’attività contrattuale).
In particolare, i suddetti commi stabiliscono che:
Per quanto non espressamente previsto nel presente codice, le procedure di
affidamento e le altre attività amministrative in materia di contratti pubblici
si espletano nel rispetto delle disposizioni sul procedimento amministrativo
di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni e integrazioni. Per quanto non espressamente previsto nel presente codice, l’attività
contrattuale dei soggetti di cui all’articolo 1 si svolge nel rispetto, altresì,
delle disposizioni stabilite dal codice civile.
4. Ambiti di giurisdizione ordinaria e amministrativa per i contratti
pubblici
Alla luce della “bifasicità” dell’intera gestione del contratto pubblico (fase dell’evidenza pubblica e fase della esecuzione del contratto),
l’attuale disciplina giuridica circa le competenze giurisdizionali è così
articolata: in materia di controversie relative agli appalti pubblici, il
giudice amministrativo ha giurisdizione esclusiva, così come dispone
l’art. 244 del d.lgs. 163/2006, in ordine alla fase pubblicistica che pre8. Cfr. V. Capuzza, Il principio di specialità nelle sue linee storiche e la differenza moderna
fra appalto pubblico ed appalto di diritto civile, in «Riv. Trim. Appalti», n. 3/2005, p. 695 e ss.
Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06
51
cede la stipula del contratto che va dalla determina a contrarre sino
all’aggiudicazione definitiva.
Ogni altra questione circa l’esecuzione del contratto, attenendo a vizi funzionali e genetici del rapporto contrattuale, è invece riservata alla cognizione del giudice ordinario” (TAR Lombardia Milano Sez. I, 08–05–2008, n.
1370).
Infatti, come affermato anche dalla Corte di Cassazione:
Il provvedimento di aggiudicazione dell’appalto segna il momento terminale dell’esercizio della fase pubblicistica devoluta dal legislatore alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e la fase successiva
che ha inizio con la stipulazione del contratto resta attribuita alla giurisdizione ordinaria, nella quale rientrano non soltanto le vicende relative
all’esecuzione dell’appalto ed al pagamento della prestazione dovuta —
e quindi tutta quanta la disciplina positiva sui requisiti (art. 1325 c.c. e
ss.) e sugli effetti (art. 1372 c.c. e ss.) del contratto — ma anche l’intero
spettro delle patologie ed inefficacie negoziali, siano esse inerenti alla
struttura del contratto, siano esse estranee e/o alla stessa sopravvenute
e derivanti da irregolarità–illegittimità della procedura amministrativa a
monte: perciò comprendenti sia le fattispecie di radicale mancanza del
procedimento di evidenza pubblica (o di vizi che ne affliggono singoli atti), sia quella di successiva mancanza legale provocata dall’annullamento del provvedimento di aggiudicazione (Cass. civ. Sez. Unite,
18/07/2008, n. 19805).
Come è stato riconosciuto dai giudici amministrativi ormai in modo
pressoché uniforme, gli artt. 6 e 7 della l. 205/2000, nel devolvere alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie relative alle procedure di affidamento di appalti pubblici di lavori,
servizi e forniture, hanno riguardo alla sola fase pubblicistica dell’appalto (in essa compresi i provvedimenti di non ammissione alla gara
o di esclusione dalla stessa), ma non si riferiscono alla successiva fase
dell’esecuzione del rapporto, concernente i diritti e gli obblighi derivanti, per ciascuna delle parti, dal contratto stipulato successivamente
52
Capitolo I
agli atti di evidenza pubblica. In questa seconda fase resta operante la
giurisdizione del giudice ordinario9.
Pertanto, la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo di tutte le controversie relative alle procedure di affidamento di appalti pubblici concerne la solo fase pubblicistica della
gara, ivi compresi i provvedimenti di non ammissione alla gara o di
esclusione dei concorrenti, ma non riguarda la fase relativa alla esecuzione del rapporto contrattuale10: del resto il sindacato giurisdizionale
del giudice amministrativo si giustifica logicamente solo in relazione
alla fase pubblicistica delle procedure contrattuali ad evidenza pubblica, ma non anche in relazione a quella in cui, stipulato il contratto,
si è in presenza di rapporti assolutamente paritetici in cui la posizione
della pubblica amministrazione non differisce in alcun modo da quella di qualsiasi altra parte contrattuale11.
In tal senso, la recente giurisprudenza amministrativa così si è
espressa:
Gli artt. 6 e 7 l. 21 luglio 2000, n. 205, nel devolvere alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie relative alle procedure
di affidamento di appalti pubblici, si riferivano alla sola fase pubblicistica
dell’appalto (compresi i provvedimenti di non ammissione alla gara o di
esclusione dei concorrenti), ma non riguardavano anche la fase relativa all’esecuzione del rapporto, con la conseguenza che rientrava pertanto nella giurisdizione del giudice ordinario la cognizione della controversia sorta
a seguito dell’impugnazione da parte dell’appaltatore della rescissione del
contratto intimata dalla P.A. (TAR Veneto Venezia Sez. I, 12–02–2009, n.
346); In materia di appalti pubblici, gli articoli 6 e 7 della l. 205/2000 attribuiscono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie relative alla procedura di affidamento dell’appalto, mentre quelle
concernenti la fase di esecuzione del contratto sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario, atteso che concernono diritti ed obblighi derivanti
dal contratto stesso (TAR Umbria Perugia Sez. I Sent., 15–01–2009, n. 7); e
9. TAR Lazio Roma Sez. II ter Sent., 07–04–2008, n. 2913.
10. Come affermato anche dalla Cass. Civ. SS.UU. 18 aprile 2002 n. 5640 e Cass. Civ.,
SS. UU., 18 ottobre 2005, n. 20116.
11. TAR Veneto Venezia Sez. I Sent., 13–03–2009, n. 601.
Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06
53
ancora: Gli artt. 6 e 7, l. 205/2000, nel devolvere alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie relative alle procedure di
affidamento di appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, hanno riguardo
alla sola fase pubblicistica dell’appalto (in essa compresi i provvedimenti di
non ammissione alla gara e di esclusione dalla stessa), ma non si riferiscono
alla successiva fase dell’esecuzione del rapporto, concernenti i diritti e gli
obblighi derivanti, per ciascuna delle parti, dal contratto stipulato successivamente agli atti ad evidenza pubblica (TAR Lombardia Brescia Sez. I Sent.,
27–11–2008, n. 1707).
Del tutto specularmente, anche le pronunce dei giudici civilisti
hanno in parte qua seguito la medesima linea interpretativa; in particolare, a cominciare dalla Suprema Corte, è stato così affermato:
In tema di appalti pubblici, qualora nel corso dell’esecuzione dei lavori l’impresa aggiudicataria, previa autorizzazione della stazione appaltante, compia
scelte tecniche comportanti l’acquisto di materiali diversi rispetto a quelli di
progetto, rientra nella giurisdizione dell’A.G.O. la domanda con cui il produttore dei materiali originariamente previsti, che non ha concluso l’auspicato contratto di fornitura con l’aggiudicatario, chieda nei confronti di quest’ultimo e della stazione appaltante l’annullamento degli atti con cui sono state
autorizzate le diverse scelte tecniche poi praticate. Ciò sia perché gli articoli
6 e 7 della legge 21 luglio 2000 n. 205, nel devolvere alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie relative alle procedure
di affidamento di appalti pubblici, si riferiscono alla sola fase pubblicistica
dell’appalto e non riguardano la fase relativa alla esecuzione del rapporto,
per la quale opera la competenza giurisdizionale del giudice ordinario, come
giudice dei diritti; sia perché il mancato fornitore — che non è destinatario dei provvedimenti amministrativi impugnati — non può vantare rispetto
agli stessi neanche una posizione di interesse legittimo; sia, infine, perché il
“petitum sostanziale”, identificato sulla base della “causa petendi”, si fonda
sulla mancata conclusione di un contratto di diritto privato tra appaltatrice e
fornitore per fatti dell’appaltante e della società appaltat ìrice. (Regola giurisdizione) (Cass. civ. Sez. Unite Ord., 19–12–2007, n. 26745 – rv. 601051)12.
12. Conformi a tale importante pronuncia, Cass. civ. Sez. Unite Ord., 07–03–2008, n. 6171 (rv.
602274); Cass. civ. Sez. Unite Ord., 27–02–2007, n. 4425 (rv. 595444); Cass. civ. Sez. Unite (Ord.),
18–10–2005, n. 20116 (rv. 583436); Cass. civ. Sez. Unite, 31–03–2005, n. 6743 (rv. 579975).
54
Capitolo I
A tale importante sentenza, deve logicamente connettersi anche
quanto era stato già in precedenza riconosciuto dalla stessa Corte di
Cassazione, secondo la quale gli art. 6 e 7 l. 21 luglio 2000 n. 205,
nel devolvere alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
tutte le controversie relative alle procedure di affidamento di appalti
pubblici, si riferiscono alla sola fase pubblicistica dell’appalto (compresi i provvedimenti di non ammissione alla gara o di esclusione dei
concorrenti), ma non riguardano anche la fase relativa all’esecuzione
del rapporto.
Rientra pertanto nella giurisdizione del giudice ordinario la cognizione delle
controversie inerenti ai diritti e agli obblighi scaturenti dal contratto di appalto
di opere pubbliche, a nulla rilevando che l’amministrazione committente si sia
avvalsa della facoltà di rescindere il rapporto con proprio atto amministrativo
ai sensi dell’art. 340 l. 20 marzo 1865 n. 2248, all. F, data l’inidoneità di questo ad incidere sulle posizioni soggettive nascenti dal rapporto contrattuale ed
aventi consistenza di diritti soggettivi, o che l’appaltatore abbia formalmente
impugnato tale atto, atteso che la giurisdizione si determina in ragione dell’intrinseca consistenza della posizione soggettiva addotta in giudizio, rientrando,
d’altra parte, nei poteri del giudice ordinario stabilire, verificando in via incidentale la legittimità dell’atto rescissorio, se l’amministrazione abbia violato le
clausole contrattuali e vulnerato il diritto soggettivo dell’appaltatore a proseguire nel rapporto (Cass. civ. Sez. Unite (Ord.), 18–04–2002, n. 5640)13.
5. Definizioni
La novità portata dall’art. 3 del Codice consiste nell’aver seguito
la prassi ormai consolidata del legislatore comunitario di stabilire
all’inizio della disciplina trattata dall’organon normativo una chiara
definizione degli elementi e degli istituti propri della singola materia
trattata: interpretazioni autentiche, insomma.
Il Codice riflette fedelmente le definizioni dei temi già enucleate
dall’art. 1 della direttiva 2004/17 e dall’art. 1 della direttiva 2004/18.
13. Conforme a tale pronuncia è Cass. civ. Sez. Unite (Ord.), 01–06–2006, n. 13033.
Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06
55
In tal senso, due considerazioni debbono essere elaborate a proposito del concetto comunitario e ora anche nazionale di “contratto
d’appalto di lavori”. La prima riguarda l’estensione del concetto anche
all’appalto che abbia per oggetto sia l’esecuzione sia la progettazione
dei lavori e, quindi, la caduta dell’uso terminologico dell’appalto integrato e dell’appalto concorso: va da sé che queste ipotesi, ora confluite
nella figura complessa dell’appalto di lavori, siano state anche liberate
dai vincoli normativi che relegavano l’uso di tali procedure d’appalto.
La seconda riguarda l’inserimento di fatto nel solo concetto di contratto di lavori della cd. esecuzione con qualsiasi mezzo, però relativizzata e applicata alla figura del contraente generale, disciplinata
nel capo relativo ai lavori di infrastrutture strategiche e insediamenti
produttivi.
Il contratto d’appalto pubblico di lavori è così definito dal comma
7 dell’art. 3:
Sono appalti pubblici aventi per oggetto l’esecuzione o, congiuntamente, la progettazione esecutiva e l’esecuzione, ovvero, previa acquisizione in sede di offerta
del progetto definitivo, la progettazione esecutiva e l’esecuzione, relativamente a
lavori o opere rientranti nell’allegato I, oppure, limitatamente alle ipotesi di cui
alla parte II, titolo III, capo IV, l’esecuzione, con qualsiasi mezzo, di un’opera
rispondente alle esigenze specificate dalla stazione appaltante o dall’ente aggiudicatore, sulla base del progetto preliminare o definitivo posto a base di gara (il
comma è stato così modificato dall’art. 2, comma 1, lettera a), d.lgs. 113/2007).
Le “concessioni di lavori pubblici” sono contratti a titolo oneroso,
conclusi in forma scritta, aventi ad oggetto, in conformità al presente codice, l’esecuzione, ovvero la progettazione esecutiva e l’esecuzione, ovvero la progettazione definitiva, la progettazione esecutiva e
l’esecuzione di lavori pubblici o di pubblica utilità, e di lavori ad essi
strutturalmente e direttamente collegati, nonché la loro gestione funzionale ed economica, che presentano le stesse caratteristiche di un
appalto pubblico di lavori, ad eccezione del fatto che il corrispettivo
dei lavori consiste unicamente nel diritto di gestire l’opera o in tale
diritto accompagnato da un prezzo, in conformità al codice (c. 11).
56
Capitolo I
I commi 16 e 17 dell’art. 3 stabiliscono i caratteri dei contratti “di
rilevanza comunitaria” (sono i contratti pubblici il cui valore stimato
al netto dell’imposta sul valore aggiunto (i.v.a.) è pari o superiore alle
soglie di cui agli articoli 28, 32, comma 1, lettera e), 91, 99, 196, 215,
235, e che non rientrino nel novero dei contratti esclusi) e dei contratti «sotto soglia» (sono i contratti pubblici il cui valore stimato al netto
dell’imposta sul valore aggiunto (i.v.a.) è inferiore alle soglie di cui agli
articoli 28, 32, comma 1, lettera e), 91, 99, 196, 215, 235, e che non
rientrino nel novero dei contratti esclusi).
Si è poi posto il problema di elaborare una nozione di amministrazione aggiudicatrice in termini sufficientemente ampi da comprendere
soggetti non formalmente qualificabili come pubblici e, a tal fine, si è
creata la categoria degli organismi di diritto pubblico, la cui originaria
disciplina è di derivazione comunitaria.
Nel campo dei lavori pubblici ciò si era tradotto in una indicazione analitica dei soggetti tenuti all’applicazione della l. 109/94, che
ha portato all’equiparazione degli organismi di diritto pubblico alle
amministrazioni pubbliche (ex art. 2, comma 2, lett. a) e alla sottoposizione ad un regime parzialmente derogatorio (ex art. 2, comma
2, lett. b) dei concessionari di lavori e di servizi pubblici, dei soggetti
di cui al d.lgs. 158/1995, delle aziende speciali e dei consorzi di cui
agli articoli 114, 2 e 31 e al d.lgs. 267/2000, delle società di cui agli
artt. 113, 113–bis, 15 e 116 del citato d.lgs. 267/2000, nonché delle
società con capitale pubblico, in misura non prevalente, che abbiano
ad oggetto della propria attività la produzione di beni o servizi non
destinati ad essere collocati sul mercato in regime di libera concorrenza. Quest’ultima categoria, essendo prevista in aggiunta alle società
miste locali, assume un carattere residuale, nel senso che comprende
tutte le società a partecipazione pubblica (che non operano in regime
di concorrenza) diverse da quelle destinate alla gestione dei servizi
pubblici locali.
Allo stesso modo, nella categoria degli organismi di diritto pubblico
rientrano tutti quei soggetti in possesso dei requisiti già previsti dalla
legge (si ricordi l’art. 2, comma 7, della l. 109/94) che, da un lato, non
Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06
57
appartengano alle categorie societarie sopra descritte e, dall’altro, non
siano qualificabili come enti pubblici economici, essendo quest’ultima
categoria espressamente prevista sempre nella lettera a).
La classificazione di un soggetto in una o nell’altra categoria, data
l’eterogeneità delle figure e la pochezza delle norme, non sempre è
agevole; ciò nondimeno devono essere indicati quali siano i criteri guida per effettuare tale valutazione, seppur per somme linee.
Al riguardo, deve innanzitutto premettersi che la previsione della categoria — di derivazione comunitaria — “organismo di diritto
pubblico” è finalizzata al superamento della nozione di ente pubblico
elaborata ai vari livelli nazionali, e mira alla valorizzazione della nozione di impresa aggiudicatrice, che è ben più estesa di quella di ente
pubblico.
Si comprendono in essa, infatti, sia soggetti pubblici sia soggetti
formalmente privati individuati secondo criteri “sostanziali”, al fine
di soddisfare l’esigenza di attrarre nell’evidenza pubblica, nell’ottica
della tutela della concorrenza, tutte le attività con rilevanza economica gestite con una significativa partecipazione finanziaria o gestionale
pubblica.
In proposito, si è passati da una definizione di tipo chiuso e tassativo a una più elastica e sostanziale, nell’intento di evitare che attraverso
l’impiego di figure soggettive che, per quanto a rilevanza pubblicistica, non fossero qualificabili a tutti gli effetti come enti o soggetti pubblici si legittimassero fenomeni di elusione dei principi comunitari e,
in particolare, dell’evidenza pubblica.
La figura dell’organismo di diritto pubblico, comunque, è al
centro di un articolato dibattito dottrinario e giurisprudenziale
discendendo dalla qualificazione in esso di un singolo ente la sua
sottoposizione alle direttive comunitarie in materia di appalti e, in
ultima analisi, il radicarsi della giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo.
Al riguardo, non può che constatarsi la similitudine fra l’attuale
normativa ex art. 3, comma 26, del Codice e la definizione dell’art.
2, comma 7, della l. 109/94 e s.m.i., secondo cui si intende
58
Capitolo I
Per organismi di diritto pubblico qualsiasi organismo con personalità giuridica, istituito per soddisfare specificatamente bisogni di interesse generale
non aventi carattere industriale o commerciale e la cui attività sia finanziata
in modo maggioritario dallo Stato, dalle regioni, dalle province autonome di
Trento e Bolzano, dagli enti locali, da altri enti pubblici o da altri organismi
di diritto pubblico, ovvero la cui gestione sia sottoposta al controllo di tali
soggetti, ovvero i cui organismi di amministrazione, di direzione o di vigilanza siano costituiti in misura non inferiore alla metà da componenti designati
dai medesimi soggetti.
Tale definizione risulta confermata nelle Direttive comunitarie 2004/17 e 2004/18, che si discostano dal tenore letterale della l.
109/94 solamente per aver puntualizzato meglio che l’organismo di
diritto pubblico è quello istituito per soddisfare “esigenze” (in luogo
del termine “bisogni” utilizzato dalla legge Merloni) di interesse generale “aventi carattere non industriale o commerciale” (in luogo di
interesse generale “non aventi carattere industriale o commerciale”,
ai sensi della legge Merloni). E così il testo del Codice oggi si esprime
nel comma 26.
Sulla base di quest’ultimo disposto gli elementi strutturali e costituitivi della nozione di organismo di diritto pubblico sono tre e,
secondo la costante giurisprudenza sia nazionale che comunitaria,
debbono essere compresenti, sicché in mancanza di uno solo di essi,
un soggetto non può e non deve essere considerato come organismo
di diritto pubblico e, dunque, come amministrazione aggiudicatrice
tenuta all’osservanza delle procedure dell’evidenza pubblica.
È quindi necessario: che l’organismo sia in possesso di personalità giuridica; che il fine perseguito sia costituito dal soddisfacimento
di bisogni (“esigenze”) di interesse generale non aventi carattere industriale o commerciale; che sia sottoposto all’influenza pubblica, la
quale si ha — questa volta alternativamente e non cumulativamente
— quando l’attività dell’organismo è finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti locali o da organismo di diritto pubblico, o
quando la sua gestione è soggetta al controllo di questi ultimi, o quando l’organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza è costituito
Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06
59
da membri più della metà dei quali è designata dallo Stato, dagli enti
locali o dagli organismi di diritto pubblico.
In relazione a questi aspetti, a seguito di diversi pronunciamenti della
giurisprudenza comunitaria della Corte di Giustizia CE, va sottolineato
che la riconducibilità all’alveo pubblicistico può essere sostenuta allorché alla partecipazione pubblica al capitale si accompagnino consistenti
deroghe alla disciplina di diritto comune, suscettibili di attestare la strumentalità dell’organismo societario rispetto al perseguimento di finalità
che non sono tipiche del modello societario, ma piuttosto proprie dell’ente pubblico e la sua soggezione al penetrante controllo dello stesso o
di altri enti pubblici, superando la presunzione del suo carattere privato
conseguente all’adozione del modello societario.
Si tratta di verificare, quindi, anche la sostanza dei poteri attribuiti
ai soggetti pubblici, prescindendo dall’entità della partecipazione al
capitale e valorizzando, invece, la natura dei controlli e delle forme di
ingerenza della pubblica amministrazione nella gestione e nello svolgimento dell’attività dell’organismo societario.
L’attrazione dell’ente societario nell’alveo pubblicistico si manifesta anche nel minor grado di autonomia funzionale, conseguente a
un regime giuridico caratterizzato da regole di organizzazione e funzionamento che si discostano, in una misura che esula quella tipica
dell’autonomia contrattuale, del modello societario tipico prescelto.
In questi casi, al di là del dato formale, la società rappresenta una
struttura operativa di uno o più enti pubblici di cui gli stessi si avvalgono per lo svolgimento di propri compiti e funzioni istituzionali.
Invece, nelle altre ipotesi, con lo strumento privatistico si realizza
un’ordinaria attività di impresa, che i poteri pubblici sono legittimati
anche a svolgere, con le adeguate modalità organizzative, e cioè un’attività economica in regime di diritto privato e soggetto alle ordinarie
regole della libera concorrenza. La decisione pubblica di partecipare
a iniziative imprenditoriali del genere viene a essere giustificata in base
a un interesse pubblico, come in tutti i casi di utilizzazione di risorse
finanziarie pubbliche. Tuttavia, i poteri pubblici si astengono dall’influenzare la gestione dell’impresa al di fuori dei limiti conseguenti alla
60
Capitolo I
mera qualità di socio, per cui i caratteri privatistico–imprenditoriali dell’attività non subiscono alterazioni per l’intervento dei pubblici poteri.
Ne consegue che il criterio per la configurazione di un ente costituito in forma societaria in termini di “organismo di diritto pubblico”
non può essere diverso da quello valevole per enti costituiti in forma
diversa, ma richiede unicamente una più attenta analisi degli indici
rivelatori di tale natura previsti dalla legge. Nella relativa nozione vanno allora compresi quegli enti che, pur costituiti in forma societaria
e pur esercitando se del caso anche un’attività di tipo commerciale,
non agiscono nel mercato e secondo le regole del mercato, seguendo
cioè criteri di attività strettamente imprenditoriali, e ciò a prescindere
dall’entità della partecipazione pubblica al capitale societario.
Ulteriore conseguenza è che un ente societario ha natura di organismo di diritto pubblico tutte le volte che, fermi restando gli altri
requisiti previsti dalla legge, mira a curare bisogni non aventi carattere
industriale o commerciale e con modalità tali da non soggiacere alle
regole del mercato.
L’attrazione nell’alveo pubblicistico, quindi, si basa sul presupposto dell’identificazione del requisito negativo del «carattere non industriale o commerciale», nella mancata soggezione alle regole del
mercato e nella conseguente carenza di criteri strettamente imprenditoriali nello svolgimento dell’attività.
6. Inquadramento della normativa di riferimento per gli appalti sotto soglia comunitaria
L’art. 121 è la prima norma riferita agli appalti di lavori, servizi
e forniture aventi importi inferiori alla soglia comunitaria, fissata
nell’art. 28 del Codice.
Si tratta di una norma d’apertura intitolata «Disciplina comune applicabile ai contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, di importo
inferiore alla soglia comunitaria» e al contempo è una regolamentazione degli ambiti legali del codice applicabili: la tecnica è quella del
Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06
61
rinvio. Infatti, il comma 1 sancisce che per tali appalti si applicano le
disposizioni della Parte I (i Titoli riguardano: Principi e disposizioni
comuni; Contratti esclusi in tutto o in parte dall’ambito di applicazione del Codice), della Parte IV (Relativa al contenzioso) e alla Parte
V (disposizioni di coordinamento, transitorie e finali–abrogazioni),
nonché della Parte II non derogate dal Titolo sui contratti sotto soglia
comunitaria.
Pertanto, questo Titolo sugli appalti pubblici inferiori alla soglia è
in rapporto di specialità (vedi commento all’art. 2) nei confronti delle
norme non derogate contenute nella Parte II, che potremmo definire
il fondamento dei contratti pubblici, relativamente ai settori ordinari.
Il comma 2 fa riferimento al paradigma applicabile anche in tale
ambito, cioè l’art. 29, comma 3 relativo al metodi di calcolo del valore
stimato dei contratti pubblici: per gli appalti sotto la soglia la data di
riferimento è quella di pubblicazione del bando nella Gazzetta Ufficiale Italiana (mentre per gli appalti con importo pari o superiore alla
soglia comunitaria si fa riferimento alla data di invio del bando alla
Commissione (art. 66, comma 1, a cui fa rinvio l’art. 29, comma 3).
L’art. 122 è dedicato invece alla «Disciplina specifica per i contratti di lavori pubblici sotto soglia»; il comma 5 è stato modificato
per quanto riguarda la pubblicità della gara, dal d.lgs. 6/2007, art. 2,
comma 1 lett. f).
Come è immediatamente verificabile dalla lettura dell’art. 122 del
Codice, il legislatore nazionale ha inteso dettare per gli appalti di lavori (dalla rubrica legis è chiaro il riferimento limitato unicamente ai
lavori) inferiori alla soglia comunitaria una regolamentazione parallela e quindi simmetrica a quella già formulata per gli appalti pari o
superiori alla soglia; ovviamente, esistono delle differenti previsioni,
secondo il principio derogatorio (norme che o hanno aggiunto o hanno disapplicato una norma), in tema di: pubblicità e termini (comma 1, che sancisce la disapplicazione di quelle norme codicistiche sul
tema); offerte anomale; citazione privata semplificata, ora denominata
procedura ristretta semplificata (vedi art. 123); trattativa privata, ora
procedura negoziata (comma 7, che ha previsto un’aggiunta normati-
62
Capitolo I
va); lavori in economia (vedi art. 125, che ha valore per tutte e tre le
tipologie di appalti pubblici).
Dunque, si può constatare come la ratio di queste disposizioni
dettate per gli appalti sotto la soglia, oltre che proseguire l’obiettivo
già intrapreso in precedenza dal legislatore nazionale, consista — in
ottemperanza ai principi della legge delega —, nella riduzione dei
tempi, nella semplificazione delle procedure di scelta, dei tempi e delle forme pubblicitarie, il tutto reso per di più flessibile; soprattutto
quest’ultima caratteristica vede la sua possibilità di applicazione grazie alle previsioni che hanno naturalmente esteso dei mezzi flessibili
propri degli appalti sopra la soglia comunitaria. In particolare, vanno
segnalate: la possibilità di scelta per la stazione appaltante di adottare
il criterio di valutazione, senza alcuna limitazione parametrica; la discrezionalità per la stazione appaltante in tema di individuazione della
figura d’appalto che essa ritenga più appropriata e idonea al perseguimento dell’obiettivo; scelta sempre dell’amministrazione sulle imprese da invitare alla procedura negoziata; adozione di più ipotesi che
consentano il ricorso alla procedura negoziata, in numero certamente
superiore alla vecchia previsione dell’art. 24 della legge Merloni.
L’art. 122 abroga la normativa sui termini per le richieste di invito
e offerte negli appalti inferiori alla soglia14.
Infatti, sul dato relativo ai termini, il comma 6 fissa, inoltre, delle
regole sui termini; eccone le principali: a) procedure aperte, il termine minimo per la ricezione offerte è pari a 26 giorni (decorrenti
diversamente a seconda della pubblicazione prevista per lavori pari/
sopra o sotto soglia di 500.000 euro); b) procedure ristrette, negoziate previo bando e dialogo competitivo, il termine minimo per la
ricezione domande è pari a 15 giorni (decorrenti allo stesso modo
delle procedure aperte); c) le medesime procedure vedono il termine
minimo per la ricezione offerte pari a 20 giorni (decorrenti, logicamente, dalla data dell’invio dell’invito). Le lettere da d) a g) del com���. Cfr. art. 3 del d.p.c.m. 55/1991, artt. 77 e 81 del regolamento di attuazione della
legge Merloni.
Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06
63
ma 6 dell’art. 122 del Codice stabiliscono i termini per ipotesi ancora
più dettagliate, completando così il quadro relativo alla disciplina dei
termini inderogabili dettata specificamente per gli appalti di lavori
inferiori alla soglia.
7. Il regolamento di esecuzione e i capitolati
L’art. 5 del Codice opera un primo rinvio a un regolamento esecutivo della disciplina del Codice e un secondo rinvio a un diverso
regolamento avente veste di decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri è operato nell’art. 17, comma 8.
La norma potrebbe suscitare meraviglia, in quanto il testo unico
avrà bisogno di un ulteriore regolamento adottabile secondo le indicazioni di cui al comma 4. Dunque, c’è ancora da attendere per la realizzazione della delega della legge comunitaria 2004, secondo metodo
— e non concetto teoretico — dei “cerchi concentrici”15: eppure, un
testo unico dovrebbe in sé garantire completezza, unicità, uniformità, organicità, sintesi. Inoltre, appare quantomeno ibrida la figura di
un testo unico che funga da “legge delega” ad altro regolamento: ma
questo concede la delega ex art. 25 della l. 62/2005. Di conseguenza,
torna la disciplina ex art. 3 della legge Merloni, estesa ovviamente dai
lavori alle forniture e ai servizi e settori speciali.
L’articolo, inoltre, negli ultimi tre commi (7, 8 e 9) disciplina anche
i capitolati e ne distingue, semplificando notevolmente, le competenze con l’emanando regolamento d’esecuzione. Peraltro, per quanto
attiene all’ultima parte del comma 7 va detto che i capitolati menzionati nel bando o nell’invito (per le procedure ristrette) costituiscano
parte integrante del contratto è un concetto già precisato nel d.p.r.
554/99. La stessa espressione, poi, è contenuta nel comma 8, il quale
si riferisce al capitolato generale da emanarsi nella forma del decreto
ministeriale delle infrastrutture e dei trasporti.
15. Cfr. V. Capuzza, Il principio, op. cit.
64
Capitolo I
Va precisato, in proposito, che il capitolato costituisce sempre parte integrante del contratto singolo anche se quest’ultimo non lo richiama espressamente: è contenuto naturale del contratto ciò che le
norme prevedono ex se nel capitolato generale; infatti, oculatamente
la norma del comma 8 precisa — anche se nel diritto opererebbe comunque l’inserimento — che «tale capitolato (generale), menzionato
nel bando o nell’invito, costituisce parte integrante del contratto».
Pertanto, il bando o l’invito devono menzionare il capitolato generale
e quest’ultimo opera come parte integrante non se è stato richiamato,
ma ex se: non va confuso l’obbligo di richiamo nei documenti di gara
con il contenuto naturale del contratto. Anche questo aspetto era trattato dall’art. 110 del d.p.r. 554/99.
Sempre il comma 7 prevede la possibilità che le stazioni appaltanti
adottino i capitolati di dettaglio e tecnici riferiti o ai propri contratti
intesi nella loro generalità (dunque, capitolati generali) ovvero a specifici contratti, uniti secondo settori.
L’art. 253, che detta norme transitorie, stabilisce al comma 3 che
fino all’entrata in vigore del regolamento continuano ad applicarsi, per
le parti non diversamente disciplinate dal Codice, sia il d.p.r. 554/99
sia il d.p.r. 34/2000.
A proposito del Capitolato generale, di cui ai commi 8 e 9 dell’art.
5, vanno fatte alcune precisazioni di natura sostanziale.
Sembra che sia stata reintrodotta la distinzione tra il valore normativo del capitolato valevole per le amministrazioni aggiudicatici statali (comma 8) e il valore pattizio nei confronti degli enti
locali territoriali (comma 9), così come già era disposto dal d.p.r.
1063/1962.
Infatti, l’art. 1 del d.m.ll.pp. 145/2000, a differenza del d.p.r.
1063/1962 (il vecchio Capitolato generale), disponeva che:
1. Il capitolato generale d’appalto, in prosieguo denominato capitolato,
contiene la disciplina regolamentare dei rapporti tra le amministrazioni aggiudicatrici e i soggetti affidatari di lavori pubblici. 2. Le disposizioni del
capitolato devono essere espressamente richiamate nel contratto di appalto;
esse si sostituiscono di diritto alle eventuali clausole difformi di contratto o
Il Codice dei contratti pubblici: il d.lgs. 163/06
65
di capitolato speciale, ove non diversamente disposto dalla legge o dal regolamento.
Dunque, ai sensi del comma 2 vi era l’obbligo del richiamo del
capitolato nel contratto d’appalto. Fra le amministrazioni aggiudicatici di cui all’art. 2 dell’abrogata legge Merloni rientravano anche gli
enti territoriali, mentre in relazione alle regioni vi erano alcuni dubbi
interpretativi e comunque per la gran parte si riteneva che il disposto
del d.m. 145/00 non fosse vincolante per le regioni.
Attualmente, con la disposizione del comma 9 dell’art. 5 sembra
che si sia tornati al valore negoziale valevole per gli enti territoriali,
ridimensionando il valore normativo delle disposizioni del Capitolato alle amministrazioni aggiudicatrici statali (comma 8): il tenore letterale conferma questa riflessione: «Il capitolato generale dei lavori
pubblici di cui al comma 7 può essere richiamato nei bandi o negli
inviti da parte delle stazioni appaltanti diverse dalle amministrazioni
aggiudicatrici statali».
Relativamente al diritto intertemporale, sembra (anche grazie al disposto del comma 3 dell’art. 253) già prevalere il Codice e, quindi, la
parte del Capitolato che rimane in vigore dovrebbe avere valore pattizio
per gli enti territoriali e valore normativo per le amministrazioni statali. Conseguentemente, in tutti i contratti pubblici stipulati prima dell’emanazione del nuovo Capitolato generale (di cui al comma 8 dell’art.
5), le amministrazioni aggiudicatici diverse da quelle statali, se non richiamassero esplicitamente il Capitolato d.m. 145/00, avrebbero come
fonte normativa il codice civile; infatti, le disposizioni dello stesso d.m.
145/00, per tali amministrazioni non statali non vigono più operando di
diritto, cioè non costituiscono più contenuto naturale del contratto.
Capitolo II
I soggetti ammessi alle gare
1. Principali aspetti relativi ai contratti pubblici di lavori, servizi, forniture nei settori ordinari. I soggetti a cui possono essere affidati
i contratti pubblici
Il comma 1 dell’art. 34 del Codice è il frutto di un’estensione, quanto più possibile, del contenuto dell’abrogato art. 10 della l. 109/90 e
s.m.i. ai servizi, ai settori speciali e alle forniture, adattando di volta in
volta taluni aspetti contenuti dalle lette da a) ad f).
Dunque, gli articolo contenuti nelle normative per i diversi settori
sono ora stati recepiti con modifiche nell’unico art. 34, comma 1, il
quale così dispone:
Sono ammessi a partecipare alle procedure di affidamento dei contratti pubblici i seguenti soggetti, salvo i limiti espressamente indicati:
a) gli imprenditori individuali, anche artigiani, le società commerciali, le società cooperative;
b)i consorzi fra società cooperative di produzione e lavoro costituiti a norma della legge 25 giugno 1909, n. 422, e successive
modificazioni, e i consorzi tra imprese artigiane di cui alla legge
8 agosto 1985, n. 443;
c) i consorzi stabili, costituiti anche in forma di società consortili
ai sensi dell’articolo 2615–ter del codice civile, tra imprenditori
individuali, anche artigiani, società commerciali, società coo67
68
Capitolo II
perative di produzione e lavoro, secondo le disposizioni di cui
all’articolo 36;
d)i raggruppamenti temporanei di concorrenti, costituiti dai soggetti di cui alle lettere a), b) e c), i quali, prima della presentazione dell’offerta, abbiano conferito mandato collettivo speciale
con rappresentanza ad uno di essi, qualificato mandatario, il
quale esprime l’offerta in nome e per conto proprio e dei mandanti; si applicano al riguardo le disposizioni dell’articolo 37;
e) i consorzi ordinari di concorrenti di cui all’articolo 2602 del codice civile, costituiti tra i soggetti di cui alle lettere a), b) e c) del
presente comma, anche in forma di società ai sensi dell’articolo
2615–ter del codice civile; si applicano al riguardo le disposizioni dell’articolo 37;
f) i soggetti che abbiano stipulato il contratto di gruppo europeo
di interesse economico (GEIE) ai sensi del decreto legislativo
23 luglio 1991, n. 240; si applicano al riguardo le disposizioni
dell’articolo 37.
È importante inoltre evidenziare il divieto che, fino all’entrata in
vigore del d.l. 135/09, il comma 2 dell’art. 34 affermava:
Non possono partecipare alla medesima gara concorrenti che si trovino fra
di loro in una delle situazioni di controllo di cui all’articolo 2359 del codice
civile. Le stazioni appaltanti escludono altresì dalla gara i concorrenti per i
quali accertano che le relative offerte sono imputabili ad un unico centro
decisionale, sulla base di univoci elementi.
Tale norma impositiva, nel disporre la medesima esclusione dalle gare già contenuta nell’art. 10, comma 1–bis della legge Merloni,
compiva rispetto a quest’ultima norma una precisazione per la quale
sembrava sanarsi una precedente questione interpretativa circa l’esatta portata ed estensione del cd. collegamento sostanziale1.
1. Sul tema cfr. infra V. Capuzza, Le cause d’esclusione dalle gare d’appalto pubblico,
collana Quaderni IGOP, n. 01.
I soggetti ammessi alle gare
69
Infatti, giova qui ricordare che l’art. 10 della l. 109/94 e s.m.i., al
comma 1–bis introdotto dalla l. 415/98, stabiliva che:
Non possono partecipare alla medesima gara imprese che si trovino tra loro
in una delle situazioni di controllo di cui all’art. 2359 del codice civile.
Le situazioni di controllo2 previste dall’art. 2359, commi 1 e 2 c.c., in
particolare sono: «1) le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria; 2) le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante
nell’assemblea ordinaria; 3) le società che sono sotto l’influenza dominante
di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa. Ai
fini dell’applicazione dei numeri 1) e 2) del primo comma si computano
anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona
interposta; non si computano i voti spettanti per conto di terzi».
Sembra chiara l’importanza che la norma di cui all’art. 10, c. 1–bis
della legge Merloni (era l’art. 34, comma 2 del Codice, articolo ora abrogato dal d.l. 135/09, art.3, comma 2) è venuta ad assumere, attesa innanzitutto la caratteristica proprio del mutato e dinamico assetto economico
fra le imprese in forza del quale sono sempre più frequenti le forme di
controllo societario; in secondo luogo, la rilevanza della norma su citata
assurge anche in funzione della propria natura di divieto a carico delle
società in situazioni di controllo di partecipare alla medesima gara che si
aggiunge agli altri analoghi divieti che erano già previsti nella l. 109/94
per i consorzi stabili e loro partecipanti (art. 12, c. 5), per i raggruppamenti temporanei fra imprese (art. 13, c. 4) e per gli incarichi di progettazione a soggetti in parallela posizione di controllo (art. 17, c. 9).
A livello civilistico, fermo restando il disposto dell’art. 2359 c.c., la
configurabilità del controllo esterno di una società su un’altra per la
giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione:
2. Cfr. F. Buonanno, Partecipazione alle gare d’appalto delle società collegate. Il punto
di vista dell’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, in Riv. Amm. Appalti, 2000, 87; Cons.
di Stato, VI, 15 luglio 1998, n. 1093, in «Riv. Trim. Appalti», 1999, 321, con nota di D. Silvestris.
70
Capitolo II
postula l’esistenza di determinati rapporti contrattuali la cui costituzione e
il cui perdurare rappresentino la condizione di esistenza e di sopravvivenza
della capacità di impresa della società controllata3.
In tal quadro complessivo e fondato sui due dettati normativi sopra
menzionati, va considerato anche che già in precedenza e in assenza di
precisa disposizione legislativa in materia, la giurisprudenza amministrativa aveva considerata vietata nelle gare d’appalto pubblico la situazione in cui era configurabile tra due concorrenti una «situazione di
intreccio degli organi amministrativi o di rappresentanza o tecnici»4.
A fronte della precedente linea interpretativa al comma 1–bis
dell’art. 10 della legge Merloni era stato attribuito — così come autorevole dottrina ha sostenuto5, un duplice scopo: disciplinare la materia che fino a quel momento non aveva normativa ad hoc; ricondurre
la precedente linea interpretativa della giurisprudenza al «tecnicismo
della nozione sistematica e tipizzata di situazioni di controllo».
Sicché, nel 2001, il Consiglio di Stato, sez. IV, 27 dicembre, n. 6424,
con una complessa pronuncia ha affrontato l’interpretazione del comma 1–bis dell’art. 10 della legge Merloni; al tale interpretazione si è
allineata — ancor oggi — sia gran parte della successiva giurisprudenza amministrativa6 sia — ultimamente — l’Autorità di Vigilanza sui
lavori pubblici7.
Secondo tale linea ermeneutica
Poiché il divieto normativo contenuto nell’art. 10, comma 1 bis, l. 11 febbraio 1994, n. 109, si basa, attraverso il richiamo dell’art. 2359 c.c., su di una
presunzione, non può escludersi che possano esistere altre ipotesi di col3. Cass., 01/12094.
4. Cfr. ex multis Cons. Stato, sez. VI, 15 luglio 1998, n. 1093; TAR Campania, 26 settembre 1997, n. 2385; TAR Lazio, sez. III, 16 giugno 1998, n. 1393.
5. Cfr. in particolare, S. Baccarini, Il cd. collegamento sostanziale tra imprese nelle gare
di appalto, tra diritto giudiziario e accertamenti indiziari, in Giustizia amministrativa, anno II
– n. 1/2005, del 17/1/05.
6. Cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. IV n. 6367/04; sez. IV n. 6369/04; sez. VI, n.
5464/04; sez. IV, n. 5196/04, sez. V, n. 4789/04.
7. Cfr. deliberazione 101/2004.
I soggetti ammessi alle gare
71
legamento o controllo societario atte ad alterare una gara di appalto, il che
rende legittimo che l’amministrazione appaltante possa introdurre clausole
di esclusione di gara in presenza di tali ulteriori ipotesi di fatto, con il limite
della loro ragionevolezza e logicità rispetto alla tutela che intende perseguire
e cioè la corretta individuazione del “giusto” contraente8.
Dunque, il solo fatto che per la giurisprudenza stessa il rinvio alle
situazioni di controllo operato dal comma 1–bis dell’art. 10 fosse
basato su una presunzione assoluta di non segretezza delle offerte,
avrebbe significato, per tale interpretazione maggioritaria, che le altre
ipotesi di collegamento o controllo societario diverse ma comunque
idonee ad inquinare la gara e la “giusta” aggiudicazione, potessero
essere contemplate dalla Stazione appaltante nei relativi bandi di gara
come cause escludenti.
Quest’ultima possibilità significava prevedere l’esclusione dalla
gara per il cd. collegamento sostanziale tra imprese, la cui prova —
per presunzione assoluta appunto — poteva essere accertata mediante
accertamento di indizi gravi, precisi e concordanti. Ovviamente, l’accertamento indiziario andava (oggi ancora và) svolto caso per caso,
pur nella difficoltà insita nella stessa natura presuntiva di tale verifica;
a tal proposito è stato affermato dalla giurisprudenza che
Nel caso in cui una commissione di gara per l’affidamento di lavori pubblici individui preventivamente gli elementi oggettivi sui quali basarsi
per ritenere provata la sussistenza di fenomeni di collegamento sostanziale tra imprese partecipanti alla gara, è illegittimo il provvedimento
con cui la stessa commissione esclude taluni concorrenti dalla procedura
sulla scorta di elementi in gran parte diversi da quelli predeterminati e,
per il resto, soltanto ipotizzati, tenuto anche conto dell’inidoneità degli
ulteriori elementi riscontrati (identità del notaio che ha rogitato la costituzione e la trasformazione di alcune soltanto delle imprese, rilascio
dell’attestazione SOA e della certificazione della qualità aziendale da
parte degli stessi soggetti abilitati e in sequenza temporale per gruppi, comunanza di residenza abitativa di alcuni tra i titolari delle stesse
8. Cons. Stato, 6424/2001.
72
Capitolo II
imprese) ad assurgere pur nella loro valutazione congiunta al rango di
indizi gravi, precisi e concordanti dell’esistenza di un accordo tra tutti i
detti concorrenti volto ad alterare l’esito della gara, sia dell’irrilevanza
della preesistenza di annotazioni nel Casellario informatico riguardanti
l’esclusione per collegamento sostanziale degli stessi concorrenti da altre
gare, poiché la verifica in questione è accertamento che va condotto di
volta in volta9.
In forza di questa consolidata giurisprudenza amministrativa, i
bandi di gara prevedono — se ritenuto dalla Stazione appaltante
— le clausole di esclusione per «collegamento sostanziale»10, con
la conseguente presenza di provvedimenti di esclusione dalle gare
d’appalto pubblico basate su accertamenti indiziari. Fra tali forme
probanti a livello presuntivo, si possono in particolare segnalare:
unioni personali nella titolarità di organi amministrativi o tecnici;
rapporti di parentela fra soci o amministratori; stesso edificio delle
sede; intrecci azionari; coincidenza del giorno di spedizione dei
plichi, dell’ufficio postale e delle modalità dell’offerta; medesima
compagnia assicurativa che ha rilasciato le polizze fideiussorie e
della relativa agenzia.
Si consideri, ancora più in particolare, che per giurisprudenza consolidata:
Il collegamento tra imprese suscettibili di ricondurre due o più offerte
ad un unico centro decisionale, con conseguente automatica violazione del principio di segretezza, si verifica nel caso in cui tra le imprese
concorrenti sussista una situazione di influenza dominante perché esiste un controllo, ai sensi dell’art. 2359 c.c., oppure perché la comunanza di interessi è ravvisabile in una situazione di intreccio degli organi amministrativi e di rappresentanza, che faccia ritenere plausibile
una reciproca conoscenza o condizionamento delle rispettive offerte;
9. TAR Lazio, sez. III, 10 gennaio 2005, n. 130.
10. Sulla non necessità di espresse previsioni nel bando di gara attraverso le quali venga
disposta l’esclusione per collegamento sostanziale, cfr. da ultimo, come sintesi della linea
interpretativa, Cons. Stato, sez. VI, n. 3094/2005.
I soggetti ammessi alle gare
73
non è sufficiente ad integrare l’ipotesi del controllo della circostanza
che più società partecipanti alla stessa gara abbiano soci in comune11.
Ancora:
Il collegamento tra imprese suscettibile di condurre due o più offerte in una
gara d’appalto ad un unico centro decisionale — il che costituisce causa di
esclusione delle offerte, per automatica violazione del principio di segretezza
delle offerte stesse — si può verificare solo quando tra le imprese concorrenti
vi sia una situazione di influenza dominante di una sull’altra o perché esiste
un controllo, ai sensi dell’art. 2359 c.c., o perché la comunanza di interessi
è ravvisabile in una situazione di intreccio degli organi amministrativi e di
rappresentanza che faccia ritenere plausibili una reciproca conoscenza o un
condizionamento delle rispettive offerte12.
La conclusione a cui giunge la stessa giurisprudenza è che la presenza di vincoli di parentela può rappresentare elemento per verificare in potenza l’intreccio della cariche sociali e quindi una comunanza
di interessi; infatti, spiega il TAR Piemonte:
Il collegamento tra imprese partecipanti alla gara, in quanto suscettibile di
ricondurre due o più offerte ad un unico centro decisionale, con conseguente
violazione del principio di segretezza, si verifica tanto nel caso in cui tra le
imprese stesse vi sia una situazione di influenza dominante, quanto in quello
in cui la comunanza di interessi sia ravvisabile in un intreccio delle cariche
sociali (nella specie: derivante da vincoli di parentela) tale da far ritenere
plausibile una reciproca conoscenza o il condizionamento delle relative offerte13.
Oltre alla
nozione presuntiva di cui al comma 3 dell’art. 2359 c.c. (2 periodo), il collegamento societario che induca una influenza determinante o notevole è
11. TAR Sicilia Catania, sez. I, 7 novembre 2003, n. 1860.
12. TAR Lazio, sez. III, 30 marzo 2004, n. 2955.
13. TAR Piemonte, sez. II, 28 giugno 2003, n. 979.
74
Capitolo II
avvertita, dalla giurisprudenza amministrativa, nelle ipotesi in cui due o più
offerte siano riconducibili ad un unico centro decisionale, purché tra le imprese concorrenti vi sia una situazione di influenza dominante ex art. 2359
comma 1 c.c. oppure la comunanza di interessi sia ravvisabile in un intreccio
degli organi amministrativi e di rappresentanza che faccia ritenere plausibile
un reciproco condizionamento delle rispettive offerte14.
A fronte di tale linea ermeneutica, che appare quella maggioritaria,
si è sviluppato un altro filone interpretativo dei giudici amministrativi.
In particolare, secondo quest’altra parte interpretativa:
L’art. 10 comma 1 bis l. 11 febbraio 1994, n. 109, che vieta la partecipazione
a gare d’appalto di lavori pubblici alle imprese che si trovino tra loro in una
delle situazioni di controllo di cui all’art. 2359 c.c., va inteso in senso tecnico,
come volontà di includere nel divieto le sole situazioni di controllo e di escluderne quelle di collegamento, e non è suscettibile di applicazione estensiva o
analogica sia per l’insussistenza di una lacuna dell’ordinamento, emergente
dal confronto con altre disposizioni della stessa legge, sia perché di stretta
interpretazione, posto che il divieto costituisce un’eccezione ai principi costituzionali di libertà di iniziativa economica e di uguaglianza; pertanto, una
stazione appaltante non può introdurre clausole di esclusione in presenza di
ipotesi ulteriori rispetto a quelle di controllo previste dal comma 1 dell’art.
2359 c.c., quali il collegamento c.d. sostanziale, tenuto anche conto dell’indeterminatezza del relativo concetto, privo di una base di legge, e degli elementi sintomatici mediante i quali possa esserne accertata la ricorrenza15.
Ancora, è stato chiarito che
Il bando di concorso che prevede il divieto di partecipare ad una gara d’appalto per le imprese che si trovino tra loro in una situazione di collegamento
diverso dal controllo di cui all’art. 2359 c.c. e ne stabilisce l’esclusione è illegittimo, atteso che il c.d. collegamento sostanziale non è previsto da alcuna
norma e meno che mai dall’art. 2359 c.c. — norma di stretta interpretazione
— come causa di esclusione dalle gare di appalto16.
14. TAR Campania Salerno, sez. I, 11 aprile 2003, n. 259.
15. TAR Lazio, sez. III, 25 maggio 2005, n. 4170.
16. TAR Lazio, sez. III, 25 maggio 2005, n. 4171.
I soggetti ammessi alle gare
75
Anche in dottrina, aderendo a quest’ultima linea ermeneutica, è
stato autorevolmente auspicato, a seguito di una logica e coerente analisi giuridica, una rimeditazione dell’orientamento giurisprudenziale
in materia, alla luce del principio costituzionale di stretta legalità in
materia penale e anche in base alla natura del fondamento dell’incapacità giuridica alla gara delle imprese indiziate di collegamento sostanziale, considerato appunto come posto su concetto indeterminato,
desumibile da elementi indiziari indefiniti17.
Per incidens, si consideri ancora che altra giurisprudenza ha sostenuto che
l’esistenza di forme di collegamento tra le concorrenti ad una medesima gara
non costituisce prova certa della violazione delle regole poste a tutela della
correttezza della procedura in quanto perfino in presenza di un gruppo societario deve affermarsi l’indipendenza e l’autonomia sul piano giuridico di
ciascuna società, poiché ogni impresa mantiene la sua soggettività e l’esistenza del gruppo non implica il formarsi di una soggettività distinta18.
Comunque, in caso di appalto di fornitura, in assenza di una norma
quale quella di cui all’art. 10 comma 1 bis l. 109/1994, e in assenza di
una espressa estensione della previsione al collegamento, il riferimento operato dall’Amministrazione alle sole ipotesi di controllo societario di cui all’art. 2359 c.c. deve intendersi limitato alle ipotesi di cui
all’art. 2359 comma 1 e 2 c.c.19.
A completezza del complesso quadro interpretativo fino ad ora richiamato, c’è da precisare che a fronte dell’indirizzo ermeneutico sorto
ultimamente, (secondo il quale il c.d. collegamento sostanziale non è
previsto da alcuna norma e meno che mai dall’art. 2359 c.c. — norma
di stretta interpretazione — come causa di esclusione dalle gare di appalto), il Consiglio di Stato, sez. VI, con Decisione del 01 marzo 2005,
n. 3094, ha da ultimo ulteriormente aderito ai principi affermati dalla
17. S. Baccarini, Il cd. collegamento, op. cit.
18. TAR Lombardia Milano, sez. III, 29 settembre 2004, n. 4206.
19. TAR Liguria, sez. II, 19 marzo 2005, n. 362.
76
Capitolo II
giurisprudenza dello stesso Consiglio di Stato in ordine alla corretta
interpretazione dell’art. 10, comma 1–bis della legge 109/94 e s.m.i.
In particolare, i giudici della Consulta hanno riaffermato, contrariamente all’altra linea interpretativa minoritaria, che:
Deve quindi ritenersi che l’esclusione prevista dall’art. 10, comma 1 bis, della
legge 109/1994, riguardi non solo le ipotesi di influenza dominante tipizzate
dalle società dall’art. 2359 c.c., o le altre fattispecie di controllo societario, ma
ogni caso di reciproca influenza tra le imprese partecipanti alla gara, idonea a
violare il principio della par condicio e della segretezza delle offerte.
Pertanto, prima ancora della vigenza dell’art. 34, comma 2 del Codice, la previsione di cui al citato art. 10, comma 1 bis (applicabile,
come già detto, anche in assenza di specifiche previsioni nel bando)
non era limitata alle ipotesi di controllo societario ex art. 2359 c.c., ma
si estendeva a tutti quei casi in cui sussistano indizi chiari, gravi e concordanti, non previamente tipizzabili, della provenienza delle offerte
da un unico centro decisionale.
Limitare l’applicabilità della norma alle sole ipotesi di controllo
societario tipizzate dall’art. 2359 c.c. significherebbe svuotarne il contenuto e consentirebbe di eludere facilmente la ratio del divieto.
Benché sia preferibile che tale divieto venga rafforzato attraverso
espresse clausole del bando di gara, anche in assenza di tali previsioni nella lex specialis la stazione appaltante deve comunque disporre
l’esclusione di quelle offerte, contenenti i richiamati indizi di una concordata modalità di presentazione e formulazione, ovvero della provenienza da un unico centro decisionale”.
Tutto ciò considerato, sembra opportuno sintetizzare il complesso
quadro: a) da un lato, sulla base della linea interpretativa maggioritaria, la nozione civilistica indicata dall’art. 2359 c.c. basata sulla presunzione assoluta iuris et de iure e introdotta in materia di gare d’appalto pubblico dall’art. 10, c. 1–bis della legge Merloni, non escludeva
già in quest’ultima materia amministrativistica che potessero esistere
altre ipotesi di collegamento o controllo societario atte ad alterare le
I soggetti ammessi alle gare
77
gare d’appalto per la corretta individuazione del “giusto” contraente;
b) pertanto, pur considerando l’esattezza di alcune diverse valutazioni
comprese in un altro filone minoritario della giurisprudenza amministrativa, appariva, già prima dell’art. 234, comma 2 del Codice, prudente aderire praticamente alla linea interpretativa consolidata dalla
giurisprudenza amministrativa così come già esposto in riferimento al
cd. “collegamento sostanziale”; c) il comma 2 dell’art. 34 del Codice
veniva a sancire espressamente a livello di littera legis e quindi di interpretazione autentica, quell’indirizzo prevalente per la giurisprudenza in riferimento al più ampio concetto del collegamento sostanziale.
Poteva anche sollevarsi qualche perplessità soprattutto in ordine ad
eventuali illeciti penali che scaturirebbero a valle di questa previsione,
se si pensa, ad esempio, al carattere di sufficiente determinatezza e di
tassatività previsto a livello costituzionale per le fattispecie penali. d)
Attualmente, con le nuove disposizioni dettate dal Decreto Legge 25
settembre 2009, n. 135 (che ha inserito inserite nell’art. 38, comma 1
del Codice De Lise la lettera m–quater), sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti i
soggetti che si trovino, rispetto ad un altro partecipante alla medesima
procedura di affidamento, in una situazione di controllo di cui all’articolo 2359 del codice civile o in una qualsiasi relazione, anche di fatto,
ma solamente se la situazione di controllo o la relazione comporti che
le offerte sono imputabili ad un unico centro decisionale. È per tale
ragione che è ora previsto che i concorrenti alleghino alternativamente: la dichiarazione di non essere in una situazione di controllo di cui
all’articolo 2359 del codice civile con nessun partecipante alla medesima procedura; ovvero, la dichiarazione di essere in una situazione di
controllo di cui all’articolo 2359 del codice civile e di aver formulato autonomamente l’offerta, con indicazione del concorrente con cui
sussiste tale situazione (vedi quanto già indicato nel capitolo I, infra
paragrafo 2). La norma sopra citata è conseguenza della Sentenza della
Corte di Giustizia delle C.E., sezione IV, 19 maggio 2009, C–538/07,
in cui è stata riconosciuta come contraria al diritto comunitario la norma nazionale (nella specie l’art. 34, comma 2, del d.lgs. 163/2006, per
78
Capitolo II
questo ora abrogato) che stabilisca un divieto assoluto per gli operatori economici in situazioni di controllo o collegamento, di partecipare
alla medesima gara d’appalto, senza che essi possano dimostrare la
non influenza di quel rapporto e la genuinità dell’offerta.
2. I consorzi stabili di imprese e i raggruppamenti temporanei di imprese
La figura è stata estesa dai lavori anche ai servizi, alle forniture e a
tutte le tipologie degli appalti pubblici nei settori speciali20.
Nel trattare la materia dei consorzi stabili di imprese, sembra opportuno trattare alcuni fondamentali aspetti relativi alla natura giuridica sia dei consorzi stabili sia delle associazioni temporanee di imprese, per poi successivamente trattare disciplina della qualificazione di
tali soggetti ai fini della partecipazione alle gare per l’aggiudicazione
degli appalti di lavori pubblici21.
Proprio di recente, con determinazione n. 11/2004 datata 09 giugno 2004, il Consiglio dell’Autorità per la Vigilanza sui lavori pubblici
ha fornito alcuni importanti indirizzi integrativi sulla natura e sulla
qualificazione dei consorzi stabili. Ecco, allora, in breve gli aspetti rilevanti di tali soggetti.
Il Legislatore, fra i soggetti ammessi alle gare d’appalto ex art. 10,
c. 1 lett. c) della legge 109/94 e s.m.i., definiva la figura del consorzio
stabile all’art. 12, c. 1 della stessa legge: “Si intendono per consorzi
20. Infatti, in precedenza esisteva per i servizi e le forniture nei settori esclusi disciplinati dal d.lgs. 158/95.
21. Cfr. sul tema F. Caringella, G. De Marzo, La nuova disciplina dei lavori pubblici, 2003;
V. Capuzza, Profili giuridici e considerazioni applicative sui consorzi stabili di imprese e sui consorzi stabili di progettazione, collana Quaderni IGOP, n. 03, 2005; M. Mazzone, L. Loria, Manuale
di diritto dei lavori pubblici, Jandi Sapi, 2000; M. Pallottino, Associazioni temporanee e consorzi
di imprese nell’esecuzione delle opere pubbliche, in «Riv. Amm.r.i.», 1984, p. 487; Corapi, Le
associazioni temporanee di impresa, 1983; Atti del convegno del Cerisop 8–9 giugno 1983 su Consorzi e Associazioni temporanee di imprese dopo il decreto legislativo 19 dicembre 1991, n. 406, in
«Riv. Trim. Appalti»; Fabiano, Le associazioni temporanee di concorrenti nei pubblici appalti, in
Nuova Rass., 1996, p. 1427; Tedeschi, Consorzi – Riunioni temporanee – Geie, Milano 2001.
I soggetti ammessi alle gare
79
stabili quelli, in possesso, a norma dell’articolo 11, dei requisiti previsti dagli articoli 8 e 9 formati da non meno di tre consorziati che, con
decisione assunta dai rispettivi organi deliberativi, abbiano stabilito
di operare in modo congiunto nel settore dei lavori pubblici, per un
periodo di tempo non inferiore a cinque anni, istituendo a tal fine una
comune struttura di impresa”. Ora la definizione è riprodotta interamente, anche per le altre tipologie d’appalto pubblico, nel comma 1
dell’art. 36 del Codice e fa riferimento all’art. 34, comma 1 lett. c).
Tale definizione viene così a delineare una delle diverse figure generali di consorzi; fra le altre figure, oltre appunto a tale tipo di consorzio stabile di cui all’art. 36 del Codice (l’abrogato art. 12 della legge
Merloni), si possono individuare: i consorzi tra società cooperative
di produzione e lavori di cui alla l. 422/1909; i consorzi tra società
artigiane di cui alla l. 443/85; i consorzi disciplinati dal codice civile
costituiti tra i soggetti elencati nell’art. 34, c. 1 lett. a), b) e c) del Codice; i consorzi occasionali.
Dunque, ai sensi dell’abrogato art. 12 della legge e dell’art. 36 del
Codice, sono consorzi stabili quelli: in possesso, a norma dell’art. 35, dei
requisiti di cui all’art. 40; costituiti da non meno di tre consorziati; in cui
i consorziati hanno deciso di operare in modo congiunto nel settore dei
Ll. PP., dei servizi o delle forniture per non meno di cinque anni; che
abbiano una comune struttura per svolgere quella attività suddetta.
Il consorzio stabile, come le analoghe figure associative, è un contratto plurilaterale con comunione di scopo (art. 1420 c.c.) con finalità
non lucrative bensì mutualistiche, pur se a tal proposito è da segnalare
che l’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici ha recentemente previsto anche la costituzione dei consorzi stabili nelle forme delle società
lucrative (cfr. Determinazione 11/2004).
La stessa Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, con la Determinazione n. 11/2004, ha elencato gli elementi salienti del consorzio
stabile, in particolare: la forma giuridica del consorzio; la sua struttura
imprenditoriale; la natura imprenditoriale dei consorziati; il numero
minimo dei consorziati; il possesso a parte dei consorziati delle attestazioni di qualificazione; la durata minima del consorzio; lo scopo dei
80
Capitolo II
consorziati e quindi l’oggetto del consorzio stesso; i requisiti prescritti
per il consorzio.
La l. 415/98 (c.d. Merloni–ter) aveva già permesso ai singoli consorziati di svolgere la medesima attività, purché non in relazione alla
stessa gara.
L’art. 36, c. 4 del Codice stabilisce che ai consorzi stabili sono applicabili le disposizioni relative ai consorzi previsti dal codice civile
(Capo II, Titolo X, Libro V), e con ciò la figura ex art. 36 può pertanto
ben definirsi species del genus definito dal codice civile.
Da quest’ultima considerazione discendono diversi importanti effetti giuridici, quali, ad esempio: la redazione del contratto di consorzio in forma scritta a pena di nullità, contenente gli elementi individuabili in oggetto, sede, obblighi assunti e contributi dovuti dai
consorziati, e altri elementi ex art. 2603 c.c.; responsabilità del consorzio verso i consorziati è disciplinata dalle norme sul mandato (art.
2608 c.c.); nel caso di consorzio con attività esterna, cioè quando è
costituito un ufficio destinato a svolgere l’attività esterna (ed in tale
fattispecie è inquadrabile il consorzio costituito ex art. 36 del Codice)
è indispensabile provvedere alla sua iscrizione nel registro delle imprese ex art. 2612 c.c.
Fermo restando che i consorziati devono avere lo status di imprenditori in possesso di attestazione SOA, la stessa Autorità per i lavori
pubblici nella Determinazione n. 11/2004, ha riconosciuto possibile
la costituzione del consorzio stabile tra imprese di un unico tipo, oppure tra imprese appartenenti a tipi diversi, come, ad esempio, succederebbe se nel consorzio stabile partecipassero almeno una società
commerciale e almeno altri due soggetti imprenditoriali di qualunque
altro tipo tra quelli previsti.
Passando ora all’analisi sintetica delle principali differenze del consorzio stabile con altre figure, occorre da subito precisare che rispetto
alle Associazioni Temporanee d’Impresa il consorzio stabile non attua
una semplice contitolarità del rapporto obbligatorio ma ha come scopo
lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese consorziate
mediante l’istituzione di un’organizzazione comune (art. 2602 c.c.); da
I soggetti ammessi alle gare
81
ciò si può affermare che titolare del rapporto con la stazione appaltante
è il consorzio stesso quale soggetto giuridico autonomo e distinto rispetto alle singole imprese consorziate,tanto che ai sensi dell’art. 2612
c.c. dovrà essere iscritto nel registro delle imprese. Dunque, è soggetto
imprenditoriale autonomo, in rapporto agli altri soggetti che, ai sensi
del Codice, possono partecipare agli appalti e alle concessioni.
Inoltre: il consorzio ha un proprio fondo, consortile appunto, con
il quale risponde in via sussidiaria — dopo cioè la responsabilità solidale ex art. 97 d.p.r. 554/99 — delle obbligazioni assunte ai sensi
dell’art. 2615 c.c.; il consorzio è dotato i propri organi necessari e non
solamente eventuali come per i Raggruppamenti Temporanei d’imprese; nel consorzio non esiste la distinzione interna fra mandante e
mandataria, e quindi ogni attività del consorzio è imputabile direttamente agli organi consortili.
Come è stato chiarito dalla giurisprudenza, richiamata fra l’altro
dall’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici nella determinazione
n. 11/2004, l’ATI non costituisce una particolare figura giuridica a se
stante, né porta alla costituzione di un novo ente, ma si basa sul conferimento ad una delle imprese da parte delle altre di un mandato collettivo speciale, valevole specificatamente per l’opera da compiere22.
Il consorzio stabile si differenzia anche dai consorzi di concorrenti;
in particolare giova premettere che la figura del consorzio stabile viene alla luce anche in quanto organizzazione; la legge infatti stabilisce
che il consorzio deve essere “dotato di una struttura di impresa”, dunque come struttura organizzativa finalizzata non solamente all’acquisizione del lavori, ma anche alla materiale attività costruttiva. Da qui la
differenza primaria con il consorzio concorrente ex art. 2602 c.c.
Inoltre, nel consorzio stabile le singole imprese hanno la facoltà
di scegliere se partecipare alle gare d’appalto attraverso il consorzio
stesso, come soggetto distinto di qualificazione che imputa a sé e direttamente l’attività svolta, anche per la fase esecutiva, oppure di scegliere per la partecipazione alla gara attraverso la qualificazione dei
22. Cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. V, 16/4/1987, n. 246.
82
Capitolo II
singoli consorziati sul modello delle ATI (quindi come consorzi di
concorrenti).
Riguardo al sistema di qualificazione dei consorzi e dei partecipanti
ai consorzi medesimi, è altresì importante inquadrare la disciplina, in
quanto possibile, dell’art. 97 del Regolamento d.p.r. 554/99, soprattutto in tema di responsabilità e di qualificazione.
Procediamo con ordine.
Il detto articolo 97, al primo comma precisa quanto già qui esposto, cioè che i lavori eseguiti dai consorziati non costituiscono subappalto, pur restando ferma la responsabilità solidale nei confronti della
Stazione appaltante.
Da ciò conseguono diversi aspetti. Il disposto dell’art. 97 per cui
è prevista la “facoltà del consorzio di eseguire i lavori anche tramite
affidamento ai consorziati, fatta salva la responsabilità solidale degli
stessi”, letto in combinato con l’art. 36, c. 2 del Codice, permette al
consorzio di decidere ogni volta se seguire i lavori ex se oppure se eseguirli mediante uno o più consorziati. Ovviamente la responsabilità si
diversificherà a seconda della scelta intrapresa: nell’ipotesi in cui vengano eseguiti i lavori in proprio da parte del consorzio stabile, questo
sarà direttamente responsabile, mentre nella diversa ipotesi dell’esecuzione dei lavori per il tramite di singoli consorziati, quest’ultimi saranno responsabili in solido per mezzo del fondo consortile.
Diversa ancora è la situazione nella quale si trovano i consorziati
assegnatari dei lavori, infatti la loro responsabilità è configurata dall’art. 97, c. 1 del d.p.r. 554/99 come non soltanto solidale ma anche
come sussidiaria.
Ciò significa che nel caso di responsabilità solidale, la Stazione
appaltante può agire indifferentemente nei confronti del consorzio o
delle singole imprese consorziate (salva la possibilità per quest’ultime
di agire mediante il fondo consortile in termini di capacità satisfattoria
per la Stazione appaltante); nel caso di responsabilità sussidiaria, la
Stazione appaltante potrà agire nei confronti dei singoli consorziati
assegnatari dei lavori, solamente dopo aver escusso inutilmente il fondo consortile.
I soggetti ammessi alle gare
83
In tema di qualificazione dei consorzi stabili occorre percorrere il
quadro attualmente delineato dalle norme e dagli interventi dell’Autorità per i lavori pubblici.
La concreta operatività del consorzio stabile è ovviamente subordinata all’ottenimento dell’attestazione SOA, come prescritto per tutti i
soggetti esecutori a qualsiasi titolo di lavori pubblici.
La regola è che il consorzio stabile è qualificato sulla base delle
qualificazioni possedute dalle singole imprese consorziate (comma 7
dell’art. 36 del Codice).
I consorzi — e qui la disciplina dell’art. 97, 2° c., si fa importante ai
nostri fini — sono qualificati in base ai requisiti corrispondenti a quelli
posseduti dalle singole imprese consorziate a seguito di verifica relativamente alla loro sussistenza; è tuttavia possibile la contemporanea
qualificazione del consorzio stabile e delle singole imprese consorziate,
purché il documento di qualificazione di quest’ultime segnali la partecipazione al consorzio e tutti i nomi degli altri partecipanti (art. 97, c. 3).
Inoltre, il comma 4 stabilisce che i requisiti economici, finanziari, tecnici e organizzativi posseduti dalle singole imprese consorziate,
dovranno venir sommati è ciò per i primi cinque anni di esistenza del
consorzio.
L’Autorità dei lavori pubblici ha in più occasioni ribadito i criteri
cui devono attenersi le SOA nella loro attività di attestazione della
qualificazione dei consorzi stabili; in particolare, l’Autorità dei lavori
pubblici con Determinazione n. 6, del 08 febbraio 2001, ha precisato
che: a) la l. 109/94 e s.m.i. e il d.p.r. 34/2000 hanno assimilato il consorzio stabile alle altre figure consortili (consorzi fra imprese cooperative
e consorzi fra imprese artigiane), le quali hanno facoltà di assegnare
materiale esecuzione delle lavorazioni alle imprese consorziate senza
subordinarne l’esercizio alla previa verifica della loro qualificazione;
b) la qualificazione dei suddetti consorzi stabili avviene sulla base dei
requisiti posseduti dal consorzio stesso (art. 18, c. 3, 9 e 13 del d.p.r.
34/2000) (antecedentemente all’art. 8–ter della l. 166/2000 poteva avvenire anche sulla base delle qualificazioni possedute dai consorziati
ex art. 20 del 34/2000).
84
Capitolo II
A ciò, si aggiunga la disciplina già prevista nella l. 166/2002 (c.d.
Merloni–quater), che all’art. 8–ter, nel disporre che il consorzio si
qualifica sulla base delle qualificazioni possedute dalle singole consorziate sommate per classifica corrispondente all’opera generale o specializzata da eseguire, stabilisce più criteri interpretativi ora recepiti
nel comma 7 dell’art. 36 del Codice: per quanto riguarda il caso delle
qualifiche con importi illimitati, occorre che: almeno una delle imprese consorziate possieda già la classifica per importo illimitato; almeno
una delle imprese consorziate possieda la classifica VII e almeno altre
due possiedano la classifica V o superiore; almeno tre imprese consorziate possiedano la classifica VI.
Se la somma delle classifiche delle imprese consorziate non coincida
con una delle classifiche del regolamento (attualmente ancora l’art. 3
del d.p.r. 34/2000, la qualificazione del consorzio è acquisita dalla classifica immediatamente inferiore o in quella immediatamente superiore
alla somma delle classifiche possedute dalle imprese consorziate, a seconda che tale somma si collochi rispettivamente al di sotto, ovvero al
di sopra o alla pari della metà dell’intervallo tra le due classifiche.
Da tali norme consegue la tacita abrogazione dell’art. 20 d.p.r.
34/2000.
Alla luce del quadro ora delineato, occorre altresì inquadrare, in
parallelo con la Determinazione n. 11/2004, dell’Autorità per i lavori
pubblici e con le recenti pronunce giurisprudenziali, gli altri singoli
aspetti interpretativi relativamente ai requisiti dei consorzi stabili ai
fini partecipativi di gare d’appalto.
Per le gare d’appalto d’importo superiore a 20. 658. 276 euro, per
le quali l’offerente, oltre alla qualificazione conseguita nella classifica
VIII, deve avere realizzato, nel quinquennio antecedente la data del
bando, una cifra d’affari, ottenuta con lavori svolti mediante attività
diretta e indiretta, non inferiore a tre volte l’importo a base di gara, è
previsto un incremento premiante per i consorzi:
la somma delle cifre d’affari in lavori realizzati da ciascuna impresa consorziata, nel quinquennio indicato è incrementata figurativamente di una percen-
I soggetti ammessi alle gare
85
tuale della somma stessa; tale percentuale è pari al 20% per il primo anno, al
15% per il secondo anno, al 10% per il terzo anno fino al compimento del
quinquennio23.
Va precisato che per i consorzi stabili, per i consorzi di imprese
cooperative e per i consorzi di imprese artigiane, nonostante la loro
autonoma soggettività giuridica, possono cumularsi, come nelle associazioni temporanee di imprese, i requisiti tecnici, economici e finanziari delle varie imprese che ne fanno parte, ma non anche quelli
d’idoneità morale, che debbono essere posseduti da tutte le imprese
consorziate24.
Anche per i consorzi stabili si applica l’articolo 37, comma 7, del
Codice25, per cui essi devono rappresentare in sede d’offerta per quali
consorziati il consorzio concorre; va precisato che a tali consorziati
è fatto divieto di partecipare, in qualsiasi forma, alla medesima gara.
Da ciò può valere, di contro, l’interpretazione secondo cui il divieto
di partecipazione alla medesima gara non sussiste per i consorziati per
conto dei quali il consorzio non ha dichiarato di voler partecipare.
Il consorzio stabile per partecipare alle procedure di affidamento
dei lavori deve essere in possesso dell’attestazione di qualificazione ai
sensi della normativa sul sistema unico di qualificazione per gli esecutori di lavori pubblici, di cui al d.p.r. 34/2000. In particolare, l’art. 97,
comma 2 del d.p.r. 554/99 prescrive i criteri per la qualificazione da
parte del consorzio stabile: essi conseguono la qualificazione a séguito
di verifica dell’effettiva sussistenza in capo alle singole consorziate dei
corrispondenti requisiti.
Il d.p.r. 554/99 precisa che ai fini della partecipazione alle gare, i
requisiti di carattere economico–finanziario del consorzio sono dati
dalla sommatoria dei corrispondenti requisiti delle imprese consorziate. Più in particolare, la Determinazione n. 11, del 9 giugno 2004,
l’Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici, ha chiarito che
23. Determinazione A.V.LL.PP. 11/04.
24. Cons. St. Sez. V, 30 gennaio 2002, n. 507.
25. Era l’abrogato art. 13, comma 4 della legge Merloni.
86
Capitolo II
il consorzio stabile […] è qualificato sulla base delle qualificazioni possedute
dalle singole imprese consorziate. La qualificazione è acquisita, con riferimento ad una determinata categoria di opera generale o specializzata per
la classifica d’importo corrispondente alla somma di quelle possedute dalle
imprese consorziate. Per la qualificazione alla classifica d’importo illimitato, è in ogni caso necessario che almeno una delle imprese consorziate già
possieda tale qualificazione, oppure che tra le imprese consorziate ve ne sia
almeno una con qualificazione per classifica VII e almeno due con classifica
V o superiore, oppure che tra le imprese consorziate ve ne siano almeno tre
con qualificazione per classifica VI. Per la qualificazione per prestazioni di
progettazione e costruzione e per la fruizione dei meccanismi premiali inerenti al possesso della qualità aziendale, è sufficiente che i relativi requisiti
siano posseduti da una delle imprese consorziate. Nel caso la somma delle classifiche delle imprese consorziate non coincida con una delle previste
classifiche, la qualificazione del consorzio è acquisita nella classifica immediatamente inferiore o in quella immediatamente superiore alla somma delle
classifiche possedute dalle imprese consorziate, a seconda che la somma si
collochi rispettivamente al di sotto, oppure al di sopra o alla pari della metà
dell’intervallo tra le due classifiche. Per le gare d’appalto d’importo superiore
a 40 miliardi di vecchie lire, 20. 658. 276 d’euro, per le quali l’offerente, oltre
alla qualificazione conseguita nella classifica VIII, deve avere realizzato, nel
quinquennio antecedente la data del bando, una cifra d’affari, ottenuta con
lavori svolti mediante attività diretta e indiretta, non inferiore a tre volte l’importo a base di gara, è previsto un incremento premiante per i consorzi: la
somma delle cifre d’affari in lavori realizzati da ciascun’impresa consorziata,
nel quinquennio indicato è incrementata figurativamente di una percentuale della somma stessa; tale percentuale è pari al 20% per il primo anno, al
15% per il secondo anno, al 10% per il terzo anno fino al compimento del
quinquennio. Va precisato che nonostante la loro autonoma soggettività giuridica, possono cumularsi, come nelle associazioni temporanee di imprese,
i requisiti tecnici, economici e finanziari delle varie imprese che ne fanno
parte, ma non anche quelli d’idoneità morale, che debbono essere posseduti
da tutte le imprese consorziate26.
Sulla base dell’art. 97, comma 3 del d.p.r. 554/99, il conseguimento
della qualificazione da parte del consorzio stabile non pregiudica la
26. Cons. St. Sez. V, 30 gennaio 2002, n. 507.
I soggetti ammessi alle gare
87
contemporanea qualificazione delle singole imprese consorziate. Per
le imprese partecipanti ad un consorzio stabile sussiste l’obbligo di
segnalazione nel documento di qualificazione, sia della partecipazione
al consorzio stabile, sia dei nominativi di tutti gli altri soggetti partecipanti.
Dunque, attraverso il meccanismo sommatorio previsto dall’art.
36, comma 727, i consorzi devono essere costituiti da tutti soggetti in
possesso di attestazione di qualificazione rilasciata da una SOA28.
Il d.p.r. 554/99 stabilisce, infine, i criteri di ripartizione dei requisiti maturati a favore del consorzio tra le singole imprese consorziate: il criterio indicato è quello proporzionale, avuto riguardo
all’apporto reso dalle singole imprese consorziate nell’esecuzione
dei lavori.
Nelle associazioni temporanee di imprese i vari imprenditori mantengono la propria autonomia e indipendenza sia nell’esecuzione della
parte di opera assunta in carico, sia nell’esercizio della loro attività
imprenditoriale.
Tale forma, a differenza del consorzio stabile, è caratterizzata dalla
temporaneità e limitatezza all’acquisizione di un determinato appalto:
l’associazione si costituisce in vista dell’aggiudicazione e dell’esecuzione di una singola opera o di un determinato gruppo di opere e
deve poter cessare con la mancata aggiudicazione o con l’esecuzione
dell’opera o di ciascun gruppo di opere.
Va da sé che nel raggruppamento temporaneo la relativa costituzione non dà vita ad un nuovo soggetto dotato di personalità giuridica propria, quindi non diviene né centro di imputazione di rapporti
distinto dalle singole imprese, né forma un patrimonio autonomo o
fondo consortile.
La costituzione del gruppo avviene mediante il conferimento ad
una delle imprese di un mandato con rappresentanza a presentare offerta ad una determinata gara d’appalto.
27. Era l’abrogato art. 12, comma 8–ter legge 109/94 e s.m.i.
28. Cfr. anche Determinazione Autorità per la Vigilanza Ll. PP., n. 18 del 29 ottobre 2003.
88
Capitolo II
Come è pur noto, le associazioni temporanee possono essere costituite in vista dell’aggiudicazione e dell’esecuzione congiunta di
un’opera omogenea o quasi omogenea, e la relativa divisione dei lavori tra le imprese in ATI ha natura meramente o prevalentemente
quantitativa (ATI di tipo orizzontale), ovvero per l’aggiudicazione e
l’esecuzione coordinata di un’opera complessa, che richieda l’intervento di varie specializzazioni (ATI di tipo verticale).
La definizione autentica dell’associazione temporanea verticale è
contenuta nell’art. 37, comma 1 (per i lavori) e 2 (per servizi e forniture) del Codice29: si intende una riunione di concorrenti in possesso
dei requisiti prescritti, nell’ambito della quale uno di essi (impresa
mandataria) realizza i lavori della categoria prevalente (ovvero esegue
le prestazioni di servizi o forniture indicati come principali), mentre
gli altri (imprese mandanti) realizzano, ciascuno in base alla qualificazione posseduta, le opere scorporabili (ovvero quelle indicate come
secondarie).
Come già espresso, i consorzi stabili ai fini della partecipazione alle
gare d’appalto devono possedere autonoma attestazione di qualificazione, mentre per le associazioni temporanee di imprese ciascuna delle relative imprese deve possedere la qualificazione nella categoria e
classifica per le opere che deve eseguire. In particolare, nell’abrogato
art. 13, comma 1, l. 109/94, era specificato che
la partecipazione alle procedure di affidamento delle associazioni temporanee […] è ammessa a condizione che il mandatario o il capogruppo, nonché
gli altri partecipanti, siano già in possesso dei requisiti di qualificazione, accertati e attestati ai sensi dell’art. 8, comma 2, per ciascuno di essi in conformità a quanto stabilito dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri
10 gennaio 1991, n. 55.
Attualmente, l’art. 37, al comma 3, riferito espressamente solo ai
lavori, afferma lo stesso principio limitandosi a rinviare ai requisiti
indicati nel regolamento.
29. Per i lavori era l’abrogato art. 13, comma 8 della l. 109/94 e s.m.i.
I soggetti ammessi alle gare
89
L’art. 95, comma 2 del d.p.r. 554/99, prescrive che per le associazioni di imprese di tipo orizzontale i requisiti economico–finanziari
e tecnico–organizzativi debbono essere posseduti dalla mandataria
in misura maggioritaria e comunque non inferiore al 40%, mentre
la restante percentuale deve essere posseduta cumulativamente dalle
imprese mandanti, ciascuna nella misura del 10% di quanto richiesto all’intero raggruppamento. Per le associazioni di imprese di tipo
verticale, il comma 3 dell’art. 95, d.p.r. 554/99 dispone che i requisiti
economico–finanziari e tecnico–organizzativi devono essere posseduti dalla mandataria nella categoria prevalente, mentre nelle categorie
scorporate ciascuna mandante possiede i requisiti previsti per l’importo dei lavori della categoria che intende assumere e nella misura
indicata per l’impresa singola.
Verificata la differenza sostanziale fra i consorzi stabili — figura
nuova introdotta dalla legge Merloni — e le ATI, anche in tema di
configurazione dei requisiti delle imprese che compongono le diverse
compagini, si deve ora tenere conto di un altro aspetto.
Nel consorzio stabile, che implica una struttura autonoma consortile, la natura del consorzio stesso è di soggetto giuridico distinto
dalle imprese consorziate di cui coordina l’attività imprenditoriale;
infatti, il consorzio stabile è dotato di un fondo proprio con il quale
risponde direttamente delle obbligazioni assunte nei confronti della
stazione appaltante. Il rapporto intercorrente tra consorzio e imprese
consorziate può essere ricondotto al rapporto tra società commerciale
e socio, analogamente a quanto avviene per i consorzi tra cooperative e imprese artigiane, ancorché quest’ultimi possano partecipare ad
associazioni temporanee di impresa e a consorzi occasionali, ma mai
possono far parte di consorzi stabili30.
C’è da aggiungere, infine, che l’unica possibilità di variante al paradigma fissato dalle norme sui lavori pubblici è che i promotori di
un consorzio stabile possano dare ad esso un assetto societario ex art.
2615–ter c.c. e che quindi lo scopo consortile (art. 2602 c.c.) possa
30. Cfr. Determinazione Autorità per la Vigilanza ll. pp., n. 9/2004.
90
Capitolo II
essere assunto ad oggetto sociale dalle società lucrative di cui ai capi
III ss. del Titolo V del cod. civ.
Nei consorzi consortili stabili, vieppiù con le suddette vesti societarie, va da sé che debbano valere le necessarie differenziazioni fra le
quote e i requisiti di qualificazione.
Infatti, come è noto, le azioni sono le quote di partecipazione dei
soci nella determinata società di capitali; le quote di partecipazione
sono omogenee e standardizzate, trasferibili in modo libero e di regola rappresentate da documenti o titoli azionari, che circolano con la
medesima disciplina dei titoli di credito. Tutto ciò sussiste in quanto
nelle dette società il capitale sociale sottoscritto è diviso in un numero
predeterminato di parti di identico ammontare; la singola azione rappresenta parallelamente sia l’unità minima di partecipazione al capitale sociale sia l’unità di misura dei diritti sociali.
È evidente, dunque, la differenza sostanziale che esiste fra le quote
— relative appunto alla partecipazione sociale come rappresentazione
d’una identica frazione del capitale sociale nominale — e i requisiti di
qualificazione, da intendersi, invece, come i requisiti di ordine generale
nonché tecnico organizzativi ed economico–finanziari, i quali fungono
da elementi di qualificazione dei soggetti esecutori di lavori pubblici e
su cui deve vertere l’accertamento e l’attestazione d’esistenza da parte
degli “Organismi di attestazione” (art. 2, c. 1 lett. i) del d.p.r. 34/2000.
Oltre alla diversità di rationes che sussiste fra il concetto giuridico
di quota e quello di requisito di qualificazione, si deve anche considerare l’assoluta assenza nell’ambito normativo sui lavori pubblici
di una specifica norma ad hoc dalla quale sia deducibile l’obbligo di
ripartire le quote di partecipazione del consorzio stabile in maniera
proporzionale ai requisiti di ciascuno.
Tutto ciò considerato, sembra potersi affermare che, sia dall’assenza di qualsiasi riferimento letterale o autentico ad hoc, sia a livello
sistematico e interpretativo delle norme sulla base delle diverse nature
giuridiche, in un consorzio stabile non sussiste obbligo di diretta proporzionalità fra quote di partecipazione e requisiti di qualificazione
(rectius: qualificazione).
I soggetti ammessi alle gare
91
***
a) I requisiti dei consorzi stabili ai fini partecipativi nelle gare d’appalto pubblico.
Come è ormai noto, gli artt. 36 e 37 del Codice degli appalti regolano la materia relativa ai consorzi stabili di imprese, ai sensi
dell’art. 34, comma 1 lett. c) dello stesso Codice.
In tale contesto normativo, va innanzitutto precisato che per i
consorzi stabili, per i consorzi di imprese cooperative e per i
consorzi di imprese artigiane, nonostante la loro autonoma soggettività giuridica, possono cumularsi, come nelle associazioni
temporanee di imprese, i requisiti tecnici, economici e finanziari delle varie imprese che ne fanno parte, ma non anche quelli
d’idoneità morale, che debbono essere posseduti da tutte le imprese consorziate (Consiglio di Stato, Sez. V, 30 gennaio 2002,
n. 507).
In breve, qui di seguito occorre ripercorrere l’iter normativo, in
cui si sono alternati divieti e aperture.
1) Quadro giuridico prima della riforma operata dal II Decreto
correttivo (1° agosto 2007).
Nella precedente disciplina anche per i consorzi stabili vigeva l’articolo 37, comma 7, del Codice (era l’abrogato art.
13, comma 4 della legge Merloni), per cui essi dovevano rappresentare in sede d’offerta per quali consorziati il consorzio
intendesse concorrere; va precisato che a tali consorziati era
fatto divieto di partecipare, in qualsiasi forma, alla medesima gara. Da ciò però parte minoritaria della giurisprudenza
aveva posto dubbi interpretativi circa la portata di tale norma; infatti secondo questa linea giurisprudenziale il divieto di
partecipazione alla medesima gara non sussisteva per i consorziati per conto dei quali il consorzio non avesse dichiarato
di voler partecipare31.
31. Sul punto vedi V. Capuzza, Il consorzio stabile di imprese: la “vexata quaestio” della
partecipazione alla medesima gara di una società consorziata, in Riv. Trim. appalti, n. 2/2007
92
Capitolo II
Rimane fermo, comunque, che è ancora vietata ex articolo
36, comma 5 del Codice (era l’abrogato comma 5 dell’art.
12 della legge Merloni) la partecipazione contemporanea alla
medesima gara del consorzio stabile e dei soggetti consorziati indicati come esecutori dei lavori; in caso di inosservanza
del divieto, si configura l’ipotesi delittuosa della “turbativa
d’asta”, di cui all’art. 353 del codice penale. Riamane altresì
vietata la partecipazione a più di un consorzio stabile.
2) Quadro normativo fino al d.lgs. 152/08 (III Correttivo).
Dopo l’intervento del Legislatore attuato mediante il II Decreto correttivo al Codice De Lise, cioè con il d.lgs. 113/07, anche
il comma 7 dell’art. 37 ha subito radicali trasformazioni.
In particolare, l’art. 2, comma 1 lett. i) del d.lgs. 113/07 si innesta in una problematica che ha investito la giurisprudenza in
materia; in particolare, è stato modificato il comma 7 dell’art.
37, in cui scompare il riferimento all’art. 34, comma 1 lett. c)
relativo appunto ai consorzi stabili: per essi, dunque, si applica
per intero e solamente l’art. 36, comma 5 del Codice, che investe pertanto senza dubbi di sorta anche i consorziati per conto
dei quali il consorzio non dichiari di voler partecipare.
Pertanto, con la scomparsa nell’art. 37, comma 7 del suddetto riferimento ai consorzi stabili di imprese, letteralmente
sembra che non si applichi più per i consorzi stabili l’obbligo
di indicare, in sede di offerta, per quali consorziati il consorzio concorre.
Tale linea interpretativa, fondata sulla recentissima modifica
operata dal II Decreto correttivo, sembra trovare ulteriore
conferma proprio dalla lettura che l’Autorità per la vigilanza
aveva già svolto intorno alla precedente formulazione dell’art. 37, c. 7 del Codice; infatti, a parere dell’Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici (che ovviamente s’era espressa
sull’art. 13, comma 4 della legge Merloni) la portata di quella
disposizione
I soggetti ammessi alle gare
93
non può, però, essere intesa nel senso che i consorzi stabili in questione debbono necessariamente indicare, in sede di offerta, per quali
consorziati concorrono, in quanto questi consorzi possono partecipare alla gara al fine di eseguire in proprio i lavori; deve essere invece
intesa nel senso che è facoltà dei consorzi citati indicare per quali consorziati concorrono, ove non intendano eseguire direttamente i lavori
(Determinazione n. 11/2004).
Dunque, pur considerando l’assenza di pronunciamenti giurisprudenziali sul tema a causa della recentissima abrogazione di quel richiamo e fino all’intervento del III Correttivo, si
poteva riconoscere a livello ermeneutico dottrinale che da un
lato non sussisteva comunque l’obbligo per il consorzio stabile di indicare in sede di offerta attraverso quali consorziate
avrebbe eseguito eventualmente i lavori appaltati, né la percentuale di partecipazione delle consorziate indicate come
esecutrici dei lavori.
3) Quadro a sèguito dell’entrata in vigore del III Correttivo e
fino al 3 luglio 2009.
Notevole in tale scenario è stata la novella operata dal d.lgs.
152/08; in particolare, i consorzi stabili vedono ora l’obbligo
espresso di indicare in sede di offerta per quali consorziati il
consorzio concorre. a questi ultimi è fatto divieto di partecipare, in qualsiasi altra forma, alla medesima gara; in caso di
violazione sono esclusi dalla gara sia il consorzio sia il consorziato; in caso di inosservanza di tale divieto si applica l’articolo
353 del codice penale. Inoltre, su tale presupposto, il Correttivo viene a fissare una apertura della disciplina, espressa sia
nel comma 5 terzo periodo dell’art. 36, sia nel comma 7 terzo
periodo dell’art. 37 del Codice. Nel comma 7, terzo periodo,
dell’art. 37 viene previsto infatti che:
Per i consorzi di cui all’articolo 34, comma 1, lettera b), qualora le
stazioni appaltanti si avvalgano della facoltà di cui all’articolo 122,
comma 9, e all’articolo 124, comma 8, è vietata la partecipazione alla
94
Capitolo II
medesima procedura di affidamento del consorzio e dei consorziati; in
caso di inosservanza di tale divieto si applica l’articolo 353 del codice
penale.
Parallelamente, al comma 5, terzo periodo, dell’art. 36 del
Codice viene sancito che:
Qualora le stazioni appaltanti si avvalgano della facoltà di cui all’articolo 122, comma 9, e all’articolo 124, comma 8, è vietata la partecipazione alla medesima procedura di affidamento del consorzio stabile e
dei consorziati; in caso di inosservanza di tale divieto si applica l’articolo 353 del codice penale
Il riferimento al comma 9 dell’art. 122 (per quanto riguarda
i lavori) è alla possibilità riconosciuta dalla legge alle stazioni appaltanti di procedere con l’esclusione automatica delle
offerte anormalmente basse, sempre che le amministrazioni
abbiano indicato espressamente tale opzione — in luogo della verifica di congruità — nel bando di gara. È una facoltà
tuttora vigente, ma anch’essa modificata nei presupposti dal
d.lgs. 152/08, in forza del quale tale opzione è possibile per
gli lavori aventi un importo inferiore a 1 milione di euro (e
non più inferiore alla soglia comunitaria). Così il comma 9
dell’art. 122:
Per lavori d’importo inferiore o pari a 1 milione di euro quando il criterio di aggiudicazione è quello del prezzo più basso, la stazione appaltante
può prevedere nel bando l’esclusione automatica dalla gara delle offerte
che presentano una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di
anomalia individuata ai sensi dell’articolo 86; in tal caso non si applica
l’articolo 86, comma 5. Comunque la facoltà di esclusione automatica
non è esercitabile quando il numero delle offerte ammesse è inferiore a
dieci; in tal caso si applica l’articolo 86, comma 3.
Quindi, il quadro giuridico ammetteva ala possibilità di partecipazione alla medesima gara di imprese consorziate e del
I soggetti ammessi alle gare
95
consorzio stabile, sempre quelle che non fossero imprese indicate come esecutrici dei lavori e che non fosse stato scelta
dalla stazione appaltante la procedura dell’esclusione automatica delle offerte anomale.
4)Quadro normativo vigente dal 4 luglio 2009.
L’art. 17 della legge 69/2009 modifica ancora una volta la disciplina della partecipazione congiunta di consorziate e del
consorzio stabile alla medesima gara.
Così prescrive:
Al fine di fronteggiare la straordinaria situazione di crisi economica in
atto e per incentivare l’accesso alle commesse pubbliche da parte delle
piccole e medie imprese, a decorrere dal 1º luglio 2009, sono abrogate
le disposizioni di cui all’articolo 36, comma 5, terzo periodo, nonché
all’articolo 37, comma 7, terzo periodo, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12
aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni”.
Dunque, attualmente, le imprese consorziate e non indicate
come esecutrici dei lavori, possono sempre partecipare (anche
quando la procedura prevede l’esclusione automatica delle offerte anomale) alla medesima gara in cui concorre il consorzio
stabile.
b) L’affidamento dei lavori in esecuzione ad una delle imprese
consorziate e la questione de debba o meno essere circoscritto
in rapporto ai limiti dei requisiti di qualificazione della consorziata32.
Per completezza del quadro normativo di riferimento occorre
precisare che il Consiglio dei Ministri, nella seduta del 21 dicembre u.s., ha approvato in via definitiva il «Regolamento di
32. Quanto qui scritto è in V. Capuzza, Questioni procedurali es esecutive sui consorzi
stabili nella nuova normativa degli appalti pubblici, in ANIEM, n. 1/2008, pp. 25 e ss.
96
Capitolo II
attuazione ed esecuzione del codice dei contratti pubblici relativi ai lavori, servizi e forniture, a norma dell’articolo 5 del d.lgs.
163/2006». Il testo entrerà in vigore, ai sensi dell’articolo 253,
comma 2 del Codice dei contratti di cui al d.lgs. 163/2006, 180
giorni dopo la sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.
Nel nuovo regolamento l’art. 94 detterà le nuove norme esecutive relativamente ai Consorzi stabili di imprese.
Con riferimento, invece, alla normativa contenuta dall’ancora
vigente d.p.r. 554/99, riguardo all’interrogativo del presente
paragrafo è possibile allo stato enucleare due principali linee
ermeneutiche, rispettivamente: a) a favore della non necessaria
coincidenza per una consorziata esecutrice dei lavori fra quota
d’esecuzione stessa e la sua quota di qualificazione; b) contro la
non necessaria coincidenza delle quote d’esecuzione e di qualificazione della consorziata.
A favore della non necessaria corrispondenza fra le due quote
d’esecuzione e di qualificazione giova innanzitutto richiamare il
fatto che il consorzio stabile non attua — come le ATI — una
semplice contitolarità del rapporto obbligatorio, ma è al contrario vero titolare del rapporto con la stazione appaltante quale
soggetto giuridico autonomo e distinto rispetto alle singole imprese consorziate, tanto che nel consorzio stabile non esiste la distinzione interna fra mandante e mandataria. Quindi ogni attività del consorzio è imputabile direttamente agli organi consortili.
Inoltre, il consorzio ai sensi dell’art. 36, comma 7 — richiamato
dall’art. 81 del nuovo regolamento d’esecuzione e d’attuazione
del Codice De Lise — si qualifica sulla base delle qualificazioni
dalle singole consorziate sommate per classifica corrispondente
all’opera generale e specializzata da eseguire.
Proprio dal fatto che il consorzio stabile sia un autonomo soggetto giuridico che risponde solidalmente anche per la consorziata esecutrice dei lavori, sembra discendere il fatto che è il
consorzio stabile in sé il soggetto con cui la Committente ha
stipulato mediante il contratto obbligazioni e diritti di credito.
I soggetti ammessi alle gare
97
A sostegno di tale tesi si veda anche il Parere dell’Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici datato 08 novembre 2007, n. 87.
Inoltre, a favore della fondatezza di questa prima tesi secondo la quale non è necessaria coincidenza fra le quote lavori e
quelle di qualificazione delle consorziate, si può anche evidenziare il fatto che la disposizione di rinvio alla disciplina delle
mandanti è contenuta all’interno del comma 4 dell’art. 97 del
d.p.r. 554/99, il quale a ben vedere fa riferimento solo «ai fini
della partecipazione del consorzio alle gare», e non anche ai
fini della esecuzione dei lavori da parte della consorziata. Ma
è pur vero che tale riferimento testuale alla partecipazione alle
gare scomparirà nel nuovo regolamento d’esecuzione del Codice, in cui l’art. 94, al comma 4, compie tout court un generico
e più ampio rimando: «Alle imprese consorziate si applicano
le disposizioni previste dall’art. 37 del codice e dell’art. 91
del presente regolamento (id est: la revoca dell’attestazione di
qualificazione) per le imprese mandanti dei raggruppamenti
temporanei d’impresa».
Infine, il comma 1 dell’art. 97 del d.p.r. 554/99, nel fare riferimento alla facoltà riconosciuta in capo al consorzio di fare eseguire i lavori alle proprie consorziate, non impone — come invece, ad esempio, è imposto nell’art. 118 in tema di subappalto
— le relative qualificazioni in capo ai consorziati, né detta altre
prescrizioni per l’esecuzione da parte delle consorziate.
Sempre nella vigenza della normativa contenuta nel d.p.r. 554/99,
in direzione opposta all’assunto della prima tesi interpretativa, sembrerebbe operare la norma contenuta nel comma 4 dell’art. 97 del
d.p.r. 554/99, in cui viene stabilito che «alle singole imprese consorziate si applicano le disposizioni previste per le imprese mandanti
dei raggruppamenti temporanei di imprese». È evidente che la reale
portata della disposizione non è chiara: con essa il Legislatore può
aver o richiamato l’intero regime giuridico riguardante le mandanti, o aver fatto riferimento al profilo solo della qualificazione, vista
98
Capitolo II
soprattutto la collocazione della stessa norma. In questo secondo
caso, la disposizione del comma 4 art. 97 del Regolamento dovrebbe necessariamente significare che le qualificazioni delle mandanti
valgono ai fini della qualificazione del consorzio in riferimento alla
categoria prevalente solo se raggiungano la soglia minima del 10%
fissata dall’art. 95, comma 2 del d.p.r. 554/99, evitando in tal modo
che la qualificazione del consorzio sia ottenuta mediante la sommatoria di valori troppo bassi.
Lo scenario giuridico di riferimento che apporterà il nuovo regolamento d’esecuzione del Codice mediante la disposizione contenuta
nell’art. 94, comma 4, in parte qua preciserà solamente che alle imprese consorziate si applicheranno le disposizioni dell’art. 37 del Codice
per le imprese mandanti dei raggruppamenti temporanei d’impresa.
Tornando al contenuto dell’art. 97, comma 4 del d.p.r. 554/99, va
detto, infine, che da quest’ultima normativa scaturiscono, a loro volta,
due possibili ulteriori linee di interpretazioni, fra l’altro già percorse
da parte della dottrina.
La prima lettura, definita “un po’ forzata”33, ma che invero tende a
mostrare un’aporia della lettera della legge in materia, ritiene applicabile anche ai consorzi stabili il comma 4 dell’art. 93 del Regolamento
con la conseguente possibilità di affidare alle singole imprese consorziate lavori in misura corrispondente alla propria quota di partecipazione al consorzio stesso, irrilevante restando la qualificazione in
concreto posseduta da tale consorziata. Un’altra parallela linea
interpretativa ha ritenuto che una consorziata non possa eseguire
quelle quote di lavori che neanche una mandante a tutti gli effetti
potrebbe eseguire all’interno di un’ATI in forza della qualificazione
posseduta34.
33. In F. Caringella, G. De Marzo, La nuova disciplina dei lavori pubblici, 2003, p. 306.
34. vedi G. Stancanelli, Commento all’art. 97 del regolamento, in Commento al Regolamento di attuazione della legge Quadro sui Lavori Pubblici, Milano, p. 397. In piena adesione a
tale ultima interpretazione va segnalata la sentenza del Consiglio di Stato, n. 1529/2006, sez. V.
I soggetti ammessi alle gare
99
3. Il problema all’interno di un’A.T.I. della modificabilità in corso di
esecuzione delle rispettive quote di partecipazione e di esecuzione dei lavori
Un’altra importante questione da esaminare riguarda il fatto se
all’interno di un’Associazione Temporanea di Imprese sia possibile o
meno modificare in corso di esecuzione le rispettive quote di partecipazione e di esecuzione dei lavori previste ab origine35.
Come è noto, l’art. 93, comma 4 del d.p.r. 554/99 impone che: «Le
imprese riunite in associazione temporanea devono eseguire i lavori
nella percentuale corrispondente alla quota di partecipazione al raggruppamento».
L’art. 93, però, nulla dice riguardo al momento o l’atto in cui le
imprese devono indicare tali percentuali.
La giurisprudenza amministrativa da un lato ha precisato che
l’omessa indicazione della percentuale di partecipazione di ciascuna
impresa rende illegittima la partecipazione alla gara36, dall’altro ha anche affermato che
per le imprese che partecipano alla procedura concorsuale come associazione da costituire all’atto dell’aggiudicazione deve escludersi l’obbligo
d’indicare in sede di presentazione dell’offerta le quote di partecipazione
al raggruppamento e quindi le diverse percentuali di partecipazione ai lavori, fermo restando che il primo elemento risulterà dall’atto costitutivo
del raggruppamento e che a questo corrisponderà il secondo per espressa
disposizione di legge (infatti, secondo l’art. 13 comma 5, l. quadro in materia di lavori pubblici 11 febbraio 1994, n. 109, e l’art. 93 comma 4, d.p.r.
21 dicembre 1999, n. 554, le imprese riunite in associazione temporanea
35. Vedi P. Carbone, La modificabilità della composizione delle imprese riunite e dei
consorzi nel periodo tra la prequalificazione e l’aggiudicazione, in «Riv. Trim. Appalti», 1993,
p. 275. In senso contrario, quindi per la modificabilità in tale sede vedi Travaglino, Le associazioni temporanee di imprese ed i consorzi nel decreto legislativo 19 dicembre 1991, n. 406,
in «Riv. Trim. Appalti», 1994, p. 107. Cfr. da ultimo P. Piselli, I raggruppamenti temporanei
fra le esigenze di tutela della concorrenza nelle pubbliche gare e la salvaguardia della libertà di
iniziativa economica, in «Riv. Trim. Appalti», 2007, p. 133.
36. TAR Sicilia – Palermo 2726/04.
100
Capitolo II
eseguono i lavori nella percentuale corrispondente alla quota di partecipazione al raggruppamento)37;
con ciò, la giurisprudenza sembra attribuire all’Atto costitutivo rilievo fondamentale ai fini della ripartizione dei lavori tra le imprese
associate.
Tuttavia, il Consiglio di Stato, sez. VI, Decisione n. 1001 del 1°
marzo 2007, ha chiaramente affermato che:
Come già chiarito da questo Consiglio di Stato, la prima norma testè richiamata, introdotta dall’art. 9 della legge 415/1998, dopo la caduta del divieto
originariamente previsto di costituire associazioni temporanee e consorzi
concomitanti o successivi all’aggiudicazione di gara, non prevede espressamente il momento in cui la partecipante è tenuta a dichiarare l’importo dei
lavori del raggruppamento in relazione alle singole compartecipazioni, ossia
se sin dall’ammissione alla gara o successivamente all’aggiudicazione.
Tuttavia lascia deporre a favore della necessità della dichiarazione (e del possesso dei requisiti) sin dall’ammissione alla gara il fatto che il legislatore, nel
ridisciplinare l’art. 13 richiamato, non abbia modificato il primo comma, laddove subordina la partecipazione alla procedura concorsuale delle associazioni
temporanee alla condizione che la mandataria e le altre imprese del raggruppamento siano già in possesso dei requisiti di qualificazione per la rispettiva quota
percentuale, con ciò evidentemente riaffermando la necessità della previa indicazione delle quote di partecipazione. Infatti aver conservato tale norma anche
nell’attuale sistema, dove è possibile costituire raggruppamenti, significa che il
legislatore ha ritenuto necessaria la preventiva verifica dei requisiti in relazione
alle singole quote di partecipazione anche nel nuovo regime.
È tuttavia da rilevare che tale pronuncia aveva ad oggetto una
questione attinente la fase di gara vera e propria (e, in particolare,
la mancata indicazione sin dall’ammissione alla gara delle quote di
partecipazione all’ATI delle varie associate “al fine della verifica dei
requisiti”), non estensibile sic et simpliciter alla successiva fase esecutiva.
37. TAR Puglia Lecce, sez. II, 7 settembre 2002, n. 4301.
I soggetti ammessi alle gare
101
In tale contesto, fermo restando che l’impegno assunto in sede di
offerta deve trovare conferma nell’Atto costitutivo, deve riconoscersi proprio a tale atto la fondamentale funzione di delineare in modo
preciso le specifiche attribuzioni e competenze delle imprese associate
nell’esecuzione dell’appalto.
Occorre dire, quindi, che il problema in generale riguarda piuttosto la possibilità o meno di poter modificare le percentuali relative
all’esecuzione dei lavori (percentuali corrispondenti alla quota di partecipazione nell’ATI) in fase comunque successiva all’aggiudicazione
(e quindi una volta terminata la fase di selezione dei concorrenti).
A tale interrogativo può essere data risposta affermativa circa la
possibilità di tale variazione in itinere, nei limiti in cui la variazione
della percentuale di quota partecipativa (ed esecutiva) non comporti
né problemi di qualificazione né modifiche soggettive dei partecipanti
all’ATI con il conseguente riverbero sulla composizione del raggruppamento stesso (non essendo mai ammissibile né l’entrata di nuovi
soggetti che non abbiano preso parte alla procedura concorsuale, né
l’uscita di coloro che abbiano costituito l’ATI, salve le ipotesi eccezionali di cui all’art. 37, commi 18 e 19 del d.lgs. 163/06 e quelle della
rinuncia nei termini di cui appresso).
Quanto affermato sembra valere se si considera che dottrina e
giurisprudenza38 hanno ritenuto che pur in assenza di un’espressa
disciplina legislativa sia possibile all’interno di un’ATI il recesso
dell’impresa mandante e la stessa rinunciabilità del mandato da
parte della capogruppo mandataria39, ammettendo così di fatto
anche l’inversione dei ruoli nell’ambito di una associazione temporanea di imprese, in quanto, appunto, le disposizioni al riguardo sanciscono solo che il mandato conferito alla capogruppo è
irrevocabile (da parte delle mandanti, in quanto conferito anche
nell’interesse della mandataria), ma non irrinunciabile (da parte
della mandataria).
38. Cass. Civ., sez. I, 11. 5. 1998, n. 4728.
39. Parere dell’Avvocatura Generale dello Stato 1. 8. 1995, n. 092725.
102
Capitolo II
Nello specifico, infatti, poiché né la legge Quadro (né attualmente
il Codice De Lise di cui al d.lgs. 163/06), né il vigente Regolamento di
attuazione — nelle disposizioni normative dedicate alle associazioni
temporanee di imprese — disciplinano espressamente le ipotesi in discussione, si impone di risolvere la suddetta questione in via di logica
interpretativa40.
In tal senso, si è allora ritenuto che la tesi secondo cui la fattispecie
della rinuncia deve trovare la propria disciplina nel disposto di cui
all’art. 1727 cod. civ. appare quella maggiormente condivisibile. Vale,
infatti, rilevare che, come accennato, la norma contenuta nell’art. 95,
comma 5 d.p.r. 554/99, lungi dal derogare al principio di carattere
generale dell’irrevocabilità del mandato in rem propriam, ne conferma
l’operatività anche in materia di mandato conferito alla capogruppo
mandataria di associazione temporanea di imprese costituita per l’esecuzione di opera pubblica.
Ma, a fronte del generale principio dell’irrevocabilità del mandato
in rem propriam, — di cui l’art. 95, comma 5 del d.p.r. 554/99 costituisce diretta applicazione — nessuna norma né del codice civile, né in
materia di lavori pubblici, sancisce il principio dell’irrinunciabilità. Al
contrario, il principio generale, valido anche in materia di mandato in
rem propriam, è, come detto, quello, di cui al già menzionato art. 1727
cod. civ, della rinunciabilità.
Non si comprende, dunque, per quale ragione il legislatore dell’art.
95, comma 5 del d.p.r. 554/99, nel confermare il generale principio
della irrevocabilità del mandato in rem propriam avrebbe dovuto perciò anche intendere negare l’operatività dell’altrettanto principio generale della rinunciabilità del mandato stesso.
In altri termini, non si può validamente sostenere che con l’art.
95 d.p.r. 554/99, il legislatore abbia inteso, da un lato, confermare
un principio di legge e, cioè, quello dell’irrevocabilità del mandato
conferito all’impresa capogruppo di un’associazione temporanea di
imprese in quanto mandato in rem propriam ai sensi e per gli effetti
40. Vedi Consiglio di Stato, sez. IV, n. 4101/2007.
I soggetti ammessi alle gare
103
dell’art. 1723 cod. civ.; dall’altro negare implicitamente l’operatività
di altro principio di legge e, cioè, quello della rinunciabilità anche del
mandato in rem propriam.
Ove tale fosse stato l’intento del legislatore regolamentare dell’art.
95, comma 5, d.p.r. 554/99, e cioè negare l’operatività di un principio
di legge, egli avrebbe dovuto quanto meno esplicitarlo attraverso una
specifica disposizione.
Alla luce di queste considerazioni, si può ben dedurre inoltre che,
una volta ammessa la possibilità di rinuncia della mandataria, deve
a maggior ragione ammettersi la mera invertibilità della posizione di
mandante e mandataria, trattandosi di operazione che incide meno
negativamente rispetto alla rinuncia.
Lungo quest’ordine ermeneutico si può ben riconoscere, a maggior
ragione, la legittimità di una mera variazione della quota di partecipazione all’ATI (e quindi delle rispettive quote di esecuzione dei lavori),
considerando di quest’ultima modificazione la minor incidenza sul
fenomeno associativo; infatti, in altri termini, la legittimità della mutazione delle sole quote partecipativo–esecutive è dimostrata dal fatto
che essa rappresenta un aspetto ancora meno qualificato dell’inversione dei ruoli o della rinuncia della mandataria all’incarico.
Da quanto finora esaminato è possibile affermare conclusivamente che, in forza della possibilità sia della rinuncia della mandataria
sia della mera invertibilità della posizione di mandante e mandataria,
appare a maggior ragione ammissibile la modificabilità della quote di
esecuzione, intendendo con tale modificazione un riequilibrio delle
quote stesse all’interno dell’ATI, per tenere conto, ad esempio, di fatti imprevisti ed imprevedibili sopraggiunti nel corso dell’esecuzione
della commessa.
Dunque, sembra valere la possibilità di una variazione solo delle quote di partecipazione/esecuzione lavori già fissate dal relativo contratto ed ove — si ribadisce — non venga generata alcuna
modifica soggettiva dell’ATI, che continua a conservare la propria
soggettiva fisionomia, con la presenza delle stesse identiche associate e purché, ovviamente, queste siano in possesso dei requisiti
104
Capitolo II
di qualificazione proporzionati alla rispettiva quota lavori ancora
da eseguire.
Inoltre, va richiamato anche il fatto che nella legislazione esistente
in materia non sussiste alcun divieto espresso di modificazione delle
quote di partecipazione/esecuzione all’interno del Raggruppamento
Temporaneo stesso, fermo restando ovviamente sia l’obbligo di mantenere però la corrispondenza fra le quote di partecipazione all’interno dell’ATI con le quote d’esecuzione degli stessi lavori (ex art. 93,
comma 4 del d.p.r. 554/99), sia la sussistenza dei requisiti di qualificazione richiesti ai sensi del d.p.r. 34/00.
In conclusione, si può affermare che, in via astratta ed alla luce
della mancanza di più puntuali pronunciamenti giurisdizionali relativamente alla fase di esecuzione lavori, è ammissibile in un Raggruppamento Temporaneo d’Imprese la modificabilità delle quote d’esecuzione (la cui corrispondenza con le quote partecipative nell’ATI deve
essere comunque mantenuta), sempre che l’amministrazione autorizzi
espressamente tale operazione. Di conseguenza, la relativa fatturazione da parte delle Associate seguirà le nuove ripartizioni delle quote
nell’ATI medesima.
Capitolo III
Le fasi della gara ad evidenza pubblica
1. Aspetti introduttivi
L’appalto di opere pubbliche investe un arco giuridico complesso; potrebbe essere raffigurato attraverso due assi cartesiani: sull’asse
delle ordinate avremo la prima fase, quella cioè relativa alla gara ad
evidenza pubblica, che e a sua volta è composta da diverse fasi (di cui
si dirà tra breve); la gara che si potrebbe individuare anche come un
cono rovesciato, infatti i partecipanti sono i concorrenti e il loro numero si stringe tutto sino a una graduatoria e all’unico aggiudicatario.
Da questo punto di incontro dei due assi (punto 0) sorge un altro momento dell’appalto: arrivati all’aggiudicazione della gara il soggetto
aggiudicatario definitivo sarà colui che stipulerà il contratto.
Le parti, cioè la committenza e l’appaltatore, in forza del contratto
dovranno rispettare le proprie obbligazioni. Dal punto 0, cioè la stipulazione del contratto, nasce la seconda fase che è quella della esecuzione e della realizzazione dell’opera oggetto del bando di gara. Nella
gara ad evidenza pubblica la stazione appaltante è autorità perché essa
dovrà gestire la gara e sarà tenuta al rispetto delle norme d’azione, e al
contempo sarà essa stessa ad individuare, tramite le varie procedure,
l’aggiudicatario (la visione orizzontale del grafico ideale).
Nel contratto, invece, l’amministrazione non si privatizza, ma non
è nemmeno più autorità arbitro di gara, divenendo parte contrattuale
e assumendo obbligazioni e diritti relativi di credito.
105
106
Capitolo III
Torniamo alle fasi della gara ad evidenza pubblica.
Essa è costituita da diverse fasi.
1) Programmazione e pubblicazione del bando: per prima cosa viene
pubblicato un bando secondo determinate regole fissate dal Codice. II bando di gara subisce delle variazioni di tempi e di modi
alla luce di una grande divisione: gli appalti pubblici di lavori
si distinguono innanzitutto secondo l’importo a base di gara:
–appalti di lavori pari o superi alla soglia comunitaria;
–appalti di lavori inferiori alla soglia comunitaria.
La soglia comunitaria dal 1° gennaio 2008 per i lavori è pari ad
€ 5.150.000.
2) Procedure di scelta del contraente: l’amministrazione nel bando
individua: l’oggetto dell’appalto, la tipologia della costruzione,
le categorie, i requisiti che servono e tutte le indicazioni per
presentare le offerte. Nel bando è individuata la procedura di
scelta mediante la quale l’amministrazione addiverrà all’aggiudicazione.
Le procedure sono le seguenti:
a) asta pubblica o pubblico incanto;
b)licitazione privata;
c) appalto concorso;
d)trattativa privata;
e) appalto integrato.
Questa nomenclatura era quella indicata dal Legislatore nella
legge Merloni; oggi si chiamano in modo diverse, la nuova nomenclatura è infatti europea:
a) procedura aperta (asta pubblica);
b)procedure ristrette (licitazione privata e appalto– concorso);
c) procedura negoziata (trattativa privata).
Le fasi della gara ad evidenza pubblica
107
L’appalto integrato si continua a chiamare nello stesso modo anche nel Codice.
a) Procedura aperta. Come è evidente, la costruzione dell’opera
pubblica si basa sul progetto esecutivo.
La procedura in generale per arrivare ad un progetto, che
sia idoneo ad essere oggetto per la costruzione di un opera,
passa per tre fasi: si elabora un progetto preliminare dove vi
sono le indicazioni di massima; si passa per un progetto definitive dove c’e un maggior dettaglio; infine viene redatto il
progetto completo e pronto ad essere a base dell’opera, cioè
il progetto esecutivo. Sono tre fasi l’una concentrica all’altra, cioè le fasi successive presuppongono la fase precedente ed il progetto esecutivo amplia il discorso specializzando
al massimo.
Di regole, a base di gara l’amministrazione appaltante pone
già il progetto esecutivo.
A questa regola generale ci saranno poi delle eccezioni, nel
senso che talvolta l’amministrazione appaltante potrebbe
porre a base di gara o il progetto definitivo o addirittura il
progetto preliminare. La regola che invece non ha alcuna eccezione è quella secondo la quale i lavori (nella fase di esecuzione) possono iniziare obbligatoriamente solo con il progetto esecutivo.
Nella procedura aperta a base di gara c’e il progetto esecutivo già completo. Le imprese che vogliono partecipare alla
gara vi partecipano presentando assieme e nei modi previsti
dal bando i requisiti (generali e speciali) e l’offerta.
b)Procedura ristretta. Nella procedura ristretta invece la gara e
divisa in due sub–fasi:
la prima fase si chiama prequalifica, nella quale le imprese che
sono concorrenti presentano solo i propri requisiti generali e
speciali, oltre alla domanda di partecipazione alla gara. Questa prima fase termina con una verifica, in seduta riservata, da
108
Capitolo III
parte dell’amministrazione, dei requisiti presentati dai singoli
concorrenti: se la verifica accerterà il regolare possesso dei requisiti di legge e richiesti dal bando, allora il responsabile del
procedimento invierà all’impresa interessata la Lettera d’invito a presentare l’offerta, aprendo così alla seconda sub–fase
della procedura ristretta.
In ambito europeo questa procedura ristretta nacque con
un altro intendimento, che noi non abbiamo riconosciuto:
l’amministrazione nella prequalifica, secondo la visione dell’Europa, avrebbe poteva anche in presenza del possesso di
requisiti, non invitare l’impresa a presentare l’offerta alla
luce di altre valutazioni discrezionali e motivate. Invece la
giurisprudenza del Consiglio di Stato non ha mai riconosciuto la legittimità di tali ulteriori valutazioni nella fase della prequalifica, determinando di fatto come differenza tra
le procedure aperta e ristretta solo la struttura (unica per
l’asta, bifasica per la licitazione) e la tempistica (nei giorni
minimi perentori).
c) Tempi minimi perentori. Sono quei termini fissati dalla legge
in modo non ordinatorio ma perentorio (cioè, la loro violazione comporterebbe un vizio di legittimità con consegue te
annullamento della gara), sotto i quali un bando (lex specialis) non potrebbe scendere.
Sono fissati dal d.lgs. 163/06 e si differenziano secondo i seguenti ambiti e criteri:
– sopra o sotto soglia comunitario;
– alla luce della procedura di scelta;
– se d’urgenza (unicamente per procedure ristrette e d’urgenza, non per la procedura aperta).
A tal proposito, ecco una tabella in cui sono individuati tempi minimi perentori (per gli approfondimenti, vedi anche il
successivo paragrafo 4).
109
Le fasi della gara ad evidenza pubblica
IMPORTO
Importo superiore
alla soglia
comunitaria
PROCEDURA
Tempi minimi
perentori
APERTA
52gg.
37gg. (prequalifica) 15gg. (prequalifica)
RISTRETTA
40gg.
(invito)
APERTA
Importo inferiore
alla soglia
comunitaria
Procedure di
urgenza
(invito)
26 gg.
15gg. (prequalifica) 15gg. (prequalifica)
RISTRETTA
20gg.
(invito)
10gg.
(invito)
3)Criteri di aggiudicazione.
4)Aggiudicazione provvisoria, definitiva e definitiva–efficace;
5)Stipulazione del contratto.
2. La programmazione
Dal testo dell’art. 128 del Codice viene tolta l’eccezione sancita per
l’osservatorio in tema di pubblicità dei programmi riferiti ai lavori del
110
Capitolo III
Ministero della difesa: lo stabiliva espressamente l’art. 14 della legge
Merloni, al comma 11.
Per il resto, l’articolo 128 si presenta come ricezione dell’abrogato
art. 14 della legge Quadro.
In particolare, l’importanza del programma triennale1 può essere individuata con riferimento, ad esempio, alla figura del Project Financing,
disciplinato nel Capo III del Titolo III della Parte II del Codice2.
Valgano, a tal proposito, le seguenti considerazioni.
Negli ultimi anni si è verificato un intenso sviluppo normativo soprattutto in materia di opere pubbliche che ha permesso di modificare, e alcune volte anche di sostituire, le precedenti norme, portando
all’attenzione degli operatori delle nuove possibilità, già sviluppate e
affermate a livello comunitario, ma ancora sconosciute o quanto meno
disapplicate in Italia.
Tali novità legislative consentono di realizzare opere pubbliche
senza che l’ente appaltante debba sostenere gli oneri, permettendo in
questo modo di superare le difficoltà di ordine economico e finanziario in cui spesso versano gli enti pubblici.
In particolare, è da segnalare (prima delle direttive nn. 17 e 18 del
2004) una complessiva riforma della legge quadro sui lavori pubblici
(l. 109/94), che a seguito di varie modifiche normative, ha ridisegnato
l’istituto del Project Financing.
A differenza del sistema originario non è più l’amministrazione
che decide se e quando dare avvio al procedimento: la nuova disciplina affida, infatti al privato il compito di identificare — pur se
all’interno di strumenti programmatori — le opere pubbliche (o di
pubblica utilità) che è disponibile a realizzare in corrispettivo della
gestione delle stesse.
Con l’introduzione di questa nuova disciplina, comunque, viene
lasciata all’amministrazione il compito di decidere quali saranno le
1. Cfr. D. Senzani, La programmazione dei lavori pubblici dopo la sentenza della Corte
costituzionale n. 482/1995, in ««Riv. Trim. Appalti»», 1995, 139.
2. Cfr. M. Baldi, Programmazione amministrativa e project finacing nella disciplina dei
lavori pubblici, in Urb. e appalti, 2001, 1049.
Le fasi della gara ad evidenza pubblica
111
opere necessarie e quale sarà il tempo per procedere alla realizzazione
delle stesse.
La legge, infatti, consente di dare avvio alla procedura per l’affidamento al privato dell’opera pubblica da costruire e gestire solo a
condizione che l’opera stessa risulti inserita nella programmazione
triennale o negli altri strumenti di programmazione, formalmente approvati dall’amministrazione aggiudicatrice, previsti dalla normativa
vigente.
La normativa vigente quindi vuole che l’opera da realizzare e gestire risulti contemplata in quello strumento introdotto dall’art. 14 della
l. 109/94 (ora l’art. 128 Codice), al quale è affidato il compito di identificare le opere pubbliche da attuare nel triennio distinguendo all’interno di esse quelle che l’amministrazione ipotizza di realizzare direttamente e quelle invece che provvederà a realizzare mediante l’ausilio
di privati che cureranno, successivamente, la gestione dell’opera.
L’art. 128 Codice prevede che tra le opere che andranno realizzate
e che sono state inserite nel programma triennale, verrà data priorità di realizzazione, a quelle stesse che non comporteranno oneri per
l’amministrazione poiché finanziate con capitale privato maggioritario. Tuttavia,tale ordine di programma non è caratterizzato da rigidità
strutturale, infatti, l’eventuale collocazione nel programma triennale
di opere indicate come realizzabili dalla mano pubblica (e non dal privato) non comporta l’impossibilità del ricorso ad interventi attuativi
con l’ausilio del privato.
In alternativa, è concesso di individuare la realizzazione di una
determinata opera negli altri strumenti programmatori istituzionali
— sempre provenienti dalla amministrazione aggiudicatrice — non
enunciativi però (a differenza della programmazione triennale), dei
tempi nei quali le opere stesse dovranno essere realizzate.
È importante sottolineare come in tale materia sussista uno stretto
legame tra la programmazione dei lavori pubblici e programmazione
finanziaria.
In questa materia è, ancora, di rilievo — in quanto applicabile — la
normativa contenuta nel regolamento di attuazione d.p.r. 554/99 e
112
Capitolo III
nel d.m. lavori pubblici del 21 giugno 2000 che ha definito gli schemi
tipo del programma triennale, dei suoi aggiornamenti e dell’elenco
annuale dei lavori.
L’art. 128, comma 9 Codice dispone che l’elenco annuale deve essere approvato insieme al bilancio di previsione di cui costituisce parte integrante.
Inoltre, il predetto regolamento dispone che il programma triennale dei lavori pubblici deve essere deliberato contestualmente al bilancio preventivo e al bilancio pluriennale ed è, a questi documenti,
allegato insieme all’elenco dei lavori da iniziare nell’anno.
Sempre sull’argomento assume un importante riferimento normativo il Decreto Ministeriale del 21 giugno 2000 “Modalità e schemi–
tipo per la relazione del programma triennale, dei suoi aggiornamenti
annuali e dell’elenco annuale dei lavori, ai sensi dell’art. 14, comma 1
della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni”.
Tale d.m. prevede che i soggetti individuati dall’art. 2, comma 2,
lett. a) della l. 109/94 e s.m.i. 3 adottano il programma triennale dei
lavori pubblici e gli elenchi dei lavori sulla base degli schemi tipo allegati a detto decreto.
Il termine perentorio entro il quale detto schema programma, ovvero il suo aggiornamento, devono essere redatti è quello del 30 settembre di ogni anno.
Nella redazione del programma triennale viene indicato un ordine
di priorità in conformità dell’art. 128, comma 3 del Codice, che dovrà
basarsi sulle categorie di lavori e sulla tipologia di intervento, tenendo
presente che, come già detto precedentemente, saranno considerati
prioritari quei lavori per i quali ricorre la possibilità di un finanziamento con capitale privato maggioritario.
Si pone il problema di individuare in quale modo una amministrazione possa provvedere all’inclusione di lavori nuovi nell’elenco, già
3. Attualmente, l’art. 32, comma 1 in relazione, per il significato di amministrazioni
aggiudicatici, all’art. 3, comma 25, che coincide con il contenuto, appunto, dell’art. 2, comma
2, lett. a) della legge Merloni.
Le fasi della gara ad evidenza pubblica
113
predisposto delle attività da realizzare. Su tale questione è intervenuta
anche l’allora Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici che con
la Determinazione 2/2002 del 14 febbraio 2002 riguardante la “Programmazione delle opere pubbliche e frazionamento degli incarichi di
progettazione” ha reputato che:
occorre pertanto definire quali possano essere le integrazioni di carattere sostanziale tali da comportare la necessità di procedere alla loro pubblicità: si
ritiene, a titolo esemplificativo, che non occorre riattivare il procedimento di
programmazione nell’ipotesi di riduzione di opere pubbliche finanziate con
mutui della Cassa Depositi e Prestiti a seguito di reperimento di fondi propri,
trattandosi di mera variazione sul tipo di finanziamento non incidente sulla
conformazione dell’intervento da eseguire. Altrettanto dicasi nel caso di modifica dei finanziamenti relativi ad opere pubbliche già inserite nei suddetti
piani annuali e triennali.
Non sembra invece corretto l’inserimento ex novo di altre opere, ancorché
di modesto valore complessivo, senza riattivare la prescritta procedura e le
relative misure di pubblicità, alla luce di quanto previsto dall’art. 14, comma 9, della l. 109/94 e s.m.i. secondo cui l’elenco annuale predisposto dalle
amministrazioni aggiudicatici deve essere approvato unitamente al bilancio
preventivo, di cui costituisce parte integrante, e deve contenere l’indicazione
dei relativi mezzi finanziari dell’amministrazione al momento della formazione dell’elenco, fatta eccezione per le risorse disponibili a seguito di ribassi
d’asta o di economie.
L’art. 128, comma 10 Codice, nel rispetto delle risorse già previste tra i mezzi finanziari dell’amministrazione al momento della formazione dell’elenco annuale, prevede che: “I lavori non ricompresi
nell’elenco annuale o non ricadenti nelle ipotesi di cui al comma 5,
secondo periodo, non possono ricevere alcuna forma di finanziamento da parte di pubbliche amministrazioni”.
Con l’art. 128, comma 5 Codice, infatti, il Legislatore, consapevole
che in un lasso temporale possono emergere situazioni per cui si rende
necessario una modifica dei programmi già predisposti per l’esecuzione di attività lavorativa ha stabilito che:
114
Capitolo III
I soggetti di cui al comma 1 nel dare attuazione ai lavori previsti dal programma triennale devono rispettare le priorità ivi indicate. Sono fatti salvi gli
interventi imposti da eventi imprevedibili o calamitosi, nonché le modifiche
dipendenti da sopravvenute disposizioni di legge o regolamenti o calamitosi, nonché le modifiche dipendenti da sopravvenute disposizioni di legge o
regolamentari ovvero da altri atti amministrativi adottati a livello statale o
regionale.
In conclusione, dal complesso normativo delle disposizioni qui
sopra presentate emerge che il presupposto della programmazione
debba essere tendenzialmente unitario, con possibilità derogatorie
solo in presenza delle ipotesi rappresentate all’art. 128, comma 5 del
Codice.
Tale intendimento del Legislatore è stato recepito anche dall’allora Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici che ha determinato l’impossibilità di un inserimento ex novo di lavori, rispetto
alla programmazione annuale e trimestrale stabilite dalle Amministrazioni.
L’atteggiamento è qui teso a sottolineare proprio lo stretto legame
che intercorre tra la programmazione dei lavori pubblici e la programmazione finanziaria delle Amministrazioni.
Tuttavia, il Legislatore ha lasciato un certo margine interpretativo
in ordine ai lavori che devono essere indicati all’interno del programma triennale, infatti, ha previsto che rientrano in tale categoria solo
“gli interventi per i quali ricorra la possibilità di finanziamento con
capitale privato maggioritario”(art. 128, comma 3 Codice).
Con tale disposizione, quindi, non ha fornito chiarimenti in ordine
a quei lavori che invece sono finanziati con capitale esclusivamente
privato.
A tale riguardo il Legislatore all’art. 128, comma 9, secondo periodo, del Codice, prevede che:
Un lavoro non inserito nell’elenco annuale può essere realizzato solo sulla
base di un autonomo piano finanziario che non utilizzi risorse già previste
tra i mezzi finanziari dell’amministrazione al momento della formazione
Le fasi della gara ad evidenza pubblica
115
dell’elenco, fatta eccezione per le risorse resesi disponibili a seguito di ribassi
d’asta o di economie4.
Pertanto, vista la precisa indicazione dell’obbligatorio inserimento nella programmazione triennale solo per quei lavori con capitale
privato maggioritario, tralasciando quindi i lavori eseguibili con capitale esclusivamente privato, e vista l’interpretazione estensiva che
può essere data all’art. 128, comma 9, (secondo periodo) Codice, sembrerebbe essere lasciato un certo margine di operatività alle Amministrazioni che — senza ricorrere alla modifica del piano finanziario già
predisposto — volessero realizzare, con capitale interamente privato,
nuovi lavori.
Tale possibilità operativa, naturalmente, potrebbe essere realizzata
solamente mediante il ricorso all’istituto del Project Financing, il quale tuttavia nella normativa di riferimento è strettamente connesso alla
programmazione triennale come disciplinata dall’art. 128 del Codice.
Pertanto, nel rispetto delle disposizioni normative sembrerebbe rilevabile l’impossibilità di un inserimento ex novo di lavori, all’interno
della programmazione triennale e annuale, che importino un contributo anche parziale a carattere pubblico.
Infine, si precisa che già con l’intervento della l. 166/2002, era stato
novellato l’art. 14 in un’ottica di maggiore semplificazione e minori
nuovi vincoli derivanti dalla programmazione triennale. Tra le novità
introdotte, quella che maggiormente risulta interessante, attiene alla
non obbligatorietà dell’inserimento nel programma triennale per quei
lavori che sono di singolo importo o inferiore ad Euro 100.000 (l’attuale art. 128, comma 1 Codice).
Pertanto, se i nuovi lavori che si intendessero in teoria realizzare rientrassero in tale importo, non sussisterebbero cause impeditive al loro
svolgimento anche senza il loro inserimento nel programma triennale.
4. Riguardo alla c.d. permuta negli appalti pubblici, con riferimento particolare ai
commi da 6 a 12 dell’art. 53 del Codice, confronta V. Capuzza, La permuta, in I Contratti
con la Pubblica Amministrazione, a cura di C. Franchini, Trattato dei contratti, diretto da P.
Rescigno e E. Gabrielli, UTET, II, pp. 1247–1274.
116
Capitolo III
3. La progettazione
3.1. L’art. 90 del Codice
La disciplina contenuta nell’art. 90 del Codice riproduce l’art. 17
della legge Merloni, lasciando pertanto invariata quella disciplina; vi
sono anche in questo articolo delle modifiche solo sul piano lessicale
e nel comma 4 (che corrisponde al comma 2 dell’art. 17 della legge
Merloni) non viene ovviamente riportato il secondo periodo della detta disposizione della legge Quadro, essendo quella una chiara norma
transitoria.
Il comma 5 compie un rinvio al regolamento di cui all’art. 5.
Alla luce delle conferme della disciplina attuale rispetto a quella
della l. 109/94 e s.m.i., occorre fissare in breve l’attenzione su alcuni
aspetti, fra i più importanti.
Innanzitutto, si può far riferimento alla natura giuridica dei consorzi stabili di società di professionisti, di cui al comma 1, lett. h).
Relativamente alla figura del consorzio stabile per la progettazione, si
deve innanzitutto evidenziare che, in presenza dei presupposti di cui
all’articolo in esame, la redazione dei progetti può essere affidata, sulla base di quanto dispone l’art. 90, c. 1 lett. h), anche a consorzi stabili
di società di professionisti e di società di ingegneria, anche in forma
mista, formati da non meno di tre consorziati che abbiano operato
congiuntamente nel settore dei servizi di ingegneria per un periodo di
tempo non inferiore a cinque anni, e che abbiano deciso di operare in
modo congiunto ai sensi dell’art. 36, comma 1 del Codice (ex art. 12,
c. 1 della legge).
Ai consorzi stabili di società di professionisti e di società di ingegneria si applicano anche le disposizioni di cui ai commi 4 e 5 del
predetto art. 36 ed il comma 8 dell’art. 253 della Codice.
In particolare, quindi, va ricordato che l’art. 36, c. 4 del Codice
stabilisce che ai consorzi stabili sono applicabili le disposizioni relative ai consorzi previsti dal codice civile (Capo II, Titolo X, Libro V),
nonché l’art. 118 del Codice.
Le fasi della gara ad evidenza pubblica
117
È vietata ex articolo 36, comma 5 del Codice la partecipazione
contemporanea alla medesima gara del consorzio stabile di società di
professionisti o di ingegneria e dei soggetti consorziati; in caso di inosservanza del divieto, si configura l’ipotesi delittuosa di cui all’art. 353
del codice penale.
La disciplina generale dei consorzi stabili contenuta nell’art. 36 del
Codice si applica ai consorzi stabili di società di professionisti e di società di ingegneria anche relativamente al calcolo del fatturato globale
in servizi di ingegneria e architettura operato da ciascuna società consorziata nel quinquennio o nel decennio precedente, ai fini della partecipazione alle gare per l’affidamento di incarichi di progettazione ed
attività tecnico–amministrative ad essa connesse. A tal fine, il fatturato
è incrementato, sulla base della disposizione contenuta nell’art. 36,
comma 6 (che è l’abrogato art. 12, comma 8–bis, aggiunto dalla legge
166/2002), di una percentuale della somma stessa pari al 20% nel
primo anno; al 15% nel secondo anno; al 10% nel terzo anno sino al
compimento del quinquennio.
Da precisare, in tema di responsabilità, che, nonostante le società
di engineering offrano uno spettro di servizi molto più ampio di quello relativo alle fasi della progettazione, delle attività accessorie e della
direzione dei lavori (cui è dedicato il Titolo IV del regolamento), vale
anche per le società di ingegneria la chiara ripartizione fra progettazione e realizzazione dei lavori; infatti, l’art. 90 comma 8 del Codice (è
l’abrogato art. 17, comma 9 della legge) stabilisce che nessuno dei soggetti elencati al comma 1 dello stesso articolo (quindi anche i consorzi
stabili di società di ingegneria), può partecipare agli appalti, concessioni, subappalti o cottimi di lavori pubblici per i quali abbiano svolto
attività di progettazione (principio della separazione). Per le ipotesi di
collegamento vedi il commento all’art. 34 del Codice.
Altro aspetto interessante potrebbe essere la rilevanza giuridica e
la disciplina della coincidenza delle figure fra responsabile del procedimento (di cui all’art. 10 Codice) ed il progettista.
L’art. 10, al comma 6 rinvia all’emanando regolamento la dettagliata disciplina, per la quale, al momento, si applica il d.p.r. 554/99.
118
Capitolo III
Infatti, la disciplina sui lavori pubblici in generale e più in particolare
l’art. 10 del Codice, come ha fatto l’art. 7 della legge 109/94, ha dato
grande rilievo alla figura del responsabile del procedimento, facendogli sempre più assumere una posizione di rilievo nell’ambito dell’amministrazione committente.
La necessità di individuare nominativamente il soggetto a cui è demandata la titolarità del singolo procedimento è dettata dall’esigenza di tutelare sempre più la trasparenza e l’efficacia dell’azione amministrativa.
Ai sensi dell’art. 10, comma 7 del Codice (è l’art. 7, comma 5 della
legge Merloni) il responsabile del procedimento deve essere un tecnico dipendente dall’amministrazione e solo ove venga dimostrata una
carenza d’organico gli potranno essere affiancati professionisti aventi
le necessarie competenze, selezionati con le forme e le modalità con le
procedure del Codice in tema di affidamento di incarichi di servizi (il
precedente rinvio nella Merloni era al decreto legislativo 157/95).
Il responsabile del procedimento è la figura centrale del nuovo
sistema di realizzazione dei lavori pubblici, particolarmente dopo le
modifiche — introdotte dalla legge 415/98 — che hanno soppresso
la figura del coordinatore unico ed hanno restituito al responsabile
del procedimento la pienezza e la effettività dei compiti di un vero e
proprio “project manager”.
L’articolo 10 al comma 6, prevede altresì che è compito del regolamento di attuazione della legge quadro determinare l’importo massimo e la tipologia dei lavori per i quali il responsabile del procedimento può coincidere con il progettista o con il direttore dei lavori.
Si applica la moneto il d.p.r. 554/99, e fino all’entrata in vigore del
regolamento d’attuazione della legge Merloni tale facoltà poteva essere esercitata per i lavori di qualsiasi importo o tipologia.
Le previsioni contenute nell’art. 7 del d.p.r. 554/99, seppure non
introducono sul piano generale elementi concettuali nuovi, danno
però concretezza all’istituto del responsabile del procedimento che
già nella legge quadro era stato tratteggiato nei suoi aspetti essenziali.
Infatti, la figura del responsabile del procedimento quale unico
responsabile della sequenza procedimentale, relativa ad ogni singolo
Le fasi della gara ad evidenza pubblica
119
intervento, era già stata delineata con compiutezza nell’assetto fissato
nella legge quadro.
L’art. 7, individua le fasi dell’intervento del responsabile del procedimento (programmazione, affidamento della progettazione, scelta del
contraente, esecuzione del contratto e collaudo) e rende palese che in
realtà nell’intera procedura volta alla realizzazione di lavori pubblici
il responsabile del procedimento è il vero dominus, cioè il vero centro
unitario d’imputazione delle funzioni di scelta, controllo e vigilanza.
La previsione normativa, inoltre, ribadisce che il responsabile del
procedimento — ancorché molte delle sue attività abbiano natura giuridica ed amministrativa — deve essere un tecnico, e, pertanto, individua i requisiti di professionalità che deve possedere.
Adempiendo a quanto previsto dal comma 2 dell’art. 7 della legge
109/94 (ma è disciplina transitoria in attesa del regolamento di cui
all’art. 5 del Codice, sulla base di quanto previsto dall’art. 10, comma
6 del Codice), il regolamento d’attuazione individua gli importi e la tipologia dei lavori in presenza dei quali si può ritenere possibile, anche
in funzione delle esigenze di snellezza operativa ed economicità, che il
responsabile del procedimento svolga anche le funzioni del progettista e del direttore dei lavori.
L’art. 7, comma 4 del d.p.r. 554/99, specificatamente affronta la
questione prevedendo che il responsabile del procedimento sia un
tecnico in possesso di un titolo di studio adeguato alla natura dell’intervento da realizzare, abilitato all’esercizio della professione, o, quando l’abilitazione non sia prevista dalle norme vigenti, sia un funzionario con idonea professionalità, e con anzianità di servizio in ruolo non
inferiore a cinque anni.
Il responsabile del procedimento a norma del d.p.r. 554/99 art. 7
comma 4, può svolgere per uno o più interventi, nei limiti delle proprie competenze professionali, anche le funzioni di progettista o di
direttore dei lavori.
Tuttavia, affinché tale cumulo di funzioni possa aver luogo, dovrà
tenersi conto delle specifiche competenze professionali possedute dal
soggetto investito delle funzioni di responsabile del procedimento,
120
Capitolo III
escludendo comunque tale possibilità quando si debba procedere con
un progetto integrale, cioè con un progetto elaborato in forma completa e dettagliata in tutte le sue parti, architettoniche, strutturali ed
impiantistiche secondo la definizione contenuta nella lettera i) dell’art.
2 del Regolamento, ovvero per opere ed impianti di speciale complessità o di particolare rilevanza sotto il profilo tecnologico, e purché non
si tratti d’interventi superiori a 500.000 Euro.
Questa deroga alla previsione generale è contenuta nell’ultima parte dell’art. 7, comma 4, del regolamento 554/99, dove specificatamente viene chiarito il rapporto tra il responsabile del procedimento ed
il progettista: “Tali funzioni non possono coincidere nel caso d’interventi di cui all’articolo 2, comma 1, lettere h ed i), e di interventi d’importo superiore a 500.000 Euro”; tale importo deve essere calcolato in
rapporto alla spesa globale necessaria per realizzare l’opera.
Per quanto riguarda le procedure di affidamento per gli incarichi
di progettazione, valga quanto segue.
Innanzitutto, dispone l’art. 90 al comma 6 che le amministrazioni
aggiudicatrici possono affidare la redazione del progetto preliminare, definitivo ed esecutivo, nonché lo svolgimento di attività tecnico–
amministrative connesse alla progettazione, ai soggetti di cui al comma 1, lettere d), e), f), f–bis), g) e h), in caso di carenza in organico
di personale tecnico, ovvero di «difficoltà di rispettare i tempi della
programmazione dei lavori o di svolgere le funzioni di istituto» (c.d.
urgenza), ovvero in caso di lavori di speciale complessità o di rilevanza architettonica o ambientale o in caso di necessità di predisporre
progetti integrali, così come definiti dal regolamento, che richiedono l’apporto di una pluralità di competenze, casi che devono essere
accertati e certificati dal responsabile del procedimento.
Quindi, l’art. 91 del Codice stabilisce nei primi sei commi che:
– per l’affidamento di incarichi di progettazione, di coordinamento della sicurezza in fase di progettazione, di direzione dei lavori, di coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione e di
collaudo nel rispetto di quanto disposto all’articolo 120, comma
Le fasi della gara ad evidenza pubblica
–
–
–
–
121
2–bis, di importo pari o superiore a 100.000 euro si applicano
le disposizioni di cui alla parte II, titolo I e titolo II del codice,
ovvero, per i soggetti operanti nei settori di cui alla parte III, le
disposizioni ivi previste;
gli incarichi di progettazione, di coordinamento della sicurezza in
fase di progettazione, di direzione dei lavori, di coordinamento
della sicurezza in fase di esecuzione e di collaudo nel rispetto di
quanto disposto all’articolo 120, comma 2–bis, di importo inferiore alla soglia di cui al comma 1 possono essere affidati dalle
stazioni appaltanti, a cura del responsabile del procedimento, ai
soggetti di cui al comma 1, lettere d), e), f), f–bis), g) e h) dell’articolo 90, nel rispetto dei principi di non discriminazione, parità di
trattamento, proporzionalità e trasparenza, e secondo la procedura prevista dall’articolo 57, comma 6; l’invito è rivolto ad almeno
cinque soggetti, se sussistono in tale numero aspiranti idonei;
in tutti gli affidamenti di cui al presente articolo l’affidatario
non può avvalersi del subappalto, (fatta eccezione per le attività relative alle indagini geologiche, geotecniche e sismiche, a
sondaggi, a rilievi, a misurazioni e picchettazioni, alla predisposizione di elaborati specialistici e di dettaglio, con l’esclusione
delle relazioni geologiche, nonché per la sola redazione grafica
degli elaborati progettuali. Resta comunque impregiudicata la
responsabilità del progettista);
le progettazioni definitiva ed esecutiva sono di norma affidate al
medesimo soggetto, pubblico o privato, salvo che in senso contrario sussistano particolari ragioni, accertate dal responsabile
del procedimento. In tal caso occorre l’accettazione, da parte
del nuovo progettista, dell’attività progettuale precedentemente svolta. L’affidamento può ricomprendere entrambi i livelli di
progettazione, fermo restando che l’avvio di quello esecutivo
resta sospensivamente condizionato alla determinazione delle
stazioni appaltanti sulla progettazione definitiva;
quando la prestazione riguardi la progettazione di lavori di
particolare rilevanza sotto il profilo architettonico, ambientale,
122
Capitolo III
storico–artistico e conservativo, nonché tecnologico, le stazioni
appaltanti valutano in via prioritaria l’opportunità di applicare
la procedura del concorso di progettazione o del concorso di
idee;
– nel caso in cui il valore delle attività di progettazione, coordinamento della sicurezza in fase di progettazione, direzione dei
lavori e coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione superi complessivamente la soglia di applicazione della direttiva
comunitaria in materia, l’affidamento diretto della direzione dei
lavori e coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione al
progettista è consentito soltanto ove espressamente previsto dal
bando di gara della progettazione.
Importante è sottolineare che la normativa contenuta nel Codice
stabilisce all’art. 130 che anche per l’attività del Direttore dei Lavori,
se le amministrazioni aggiudicatrici non la possano espletare nei casi
di cui all’articolo 90, comma 6, tale attività è affidata nell’ordine ai
seguenti soggetti:
a) altre amministrazioni pubbliche, previa apposita intesa o convenzione di cui all’articolo 30 del decreto legislativo 18 agosto
2000, n. 267;
b)il progettista incaricato ai sensi dell’articolo 90, comma 6;
c) altri soggetti scelti con le procedure previste dal presente codice
per l’affidamento degli incarichi di progettazione.
3.2. I livelli di progettazione
La norma contenuta nell’art. 93 del Codice fa riferimento espresso
agli appalti di lavori pubblici e per concessioni di lavori.
L’art. 94, invece, fa riferimento ai agli appalti di servizi e forniture
(anche per i requisiti dei progettisti) e consiste, al momento, in una
mera norma di rinvio per la disciplina all’emanando regolamento ex
art. 5; infatti, ovviamente, non può sostenersi — a pena d’assurdità —
Le fasi della gara ad evidenza pubblica
123
l’applicabilità del Regolamento di cui al d.p.r. 554/99, il quale, come è
nopto, riguarda solamente i lavori e le concessioni di lavori.
Il livelli di progettazione sono confermati nei i tre livelli: preliminare (comma 3), definitivo (comma 4) ed esecutivo (comma 5).
È altrettanto noto che la progettazione preliminare, che stabilisce i
profili e le caratteristiche più significative degli elaborati dei successivi
livelli di progettazione, in funzione delle dimensioni economiche e
della tipologia e categoria dell’intervento, nel definire il quadro delle
esigenze da soddisfare e delle specifiche prestazioni da fornire, deve
inoltre consentire l’avvio dell’eventuale procedura espropriativa (art.
98, commi 3 del Codice). Il motivo di tali previsioni è nella garanzia
voluta dal Legislatore consistente nel fatto che, al momento del completamento della progettazione, siano già avanziate le pratiche relative
alla disponibilità dei terreni sui quali si intende costruire l’opera pubblica, nonché quelle per il rilascio delle autorizzazioni obbligatorie. Il
progetto preliminare deve consentire l’avvio della procedura espropriativa, quindi dovrà contenere tutti gli elementi necessari di esproprio per la successiva dichiarazione di pubblica utilità.
All’uopo, va altresì indicato che l’approvazione del progetto definitivo da parte dell’amministrazione aggiudicatrice, equivale negli
effetti giuridici alla dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed
urgenza dei lavori, anche se parte della dottrina ha individuato nel
solo progetto preliminare il fondamento dell’avvio della procedura
espropriativa fino ad occupare su quella base i terreni interessati.
Il progetto esecutivo, nell’attuale significato, deve comprendere
tutti gli aspetti che sono necessari per la realizzazione dell’opera5.
I livelli di progettazione, secondo il rinvio al Regolamento d.p.r.
554/99 (che era operato dal comma 6 dell’art. 16 della legge Merloni),
sono sottoposti a procedimento di verifica, che nel dettaglio viene descritto solo in relazione al progetto preliminare dall’art. 46 del d.p.r.
554/99; alla verifica si affianca il procedimento di validazione del pro5. Cfr. anche Cassazione 3 novembre 1981, n. 5786, 2 febbraio 1980, n. 736, 2 aprile
1977, n. 1245, 10 marzo, n. 692, 5 settembre 1970, n. 1225.
124
Capitolo III
getto esecutivo (art. 47), ovvero un procedimento di controllo antecedente all’approvazione e svolto anch’esso in contraddittorio; l’oggetto
di tale altro controllo è l’accertamento della conformità del progetto
esecutivo alla legge, nonché al documento preliminare all’avvio della
progettazione.
L’art. 48 del Regolamento demanda le verifiche anzidette al responsabile del procedimento, il quale o provvede direttamente con
il supporto tecnico dei propri uffici, ovvero si avvale — solo nei casi
di accertata carenza di adeguata professionalità — del supporto degli
organismi di controllo di cui all’art. 112 del Codice (in riferimento
all’abrogato 30, comma 6 della legge Merloni, recepito icon modifiche
a proposito delle scansioni temporali — devi commento all’art. 112).
L’art. 49 del Regolamento, a completezza di questa fase finale dell’attività di progettazione, stabilisce che l’eventuale conferenza dei
servizi si svolga dopo l’acquisizione di tutti i pareri tecnici necessari
alla definizione di ogni aspetto del progetto.
Terminato il procedimento di validazione e svolta la conferenza dei
servizi potrà poi procedersi all’approvazione del progetto, “secondo
i modi e i tempi stabiliti dal proprio ordinamento” (art. 49, c. 2 del
d.p.r. 554/99).
Dunque, come precisato dall’Autorità di Vigilanza sui Lavori Pubblici nella Determinazione 4/2001,
Tutta l’attività di progettazione — che di per sé costituisce un vero e proprio
procedimento amministrativo a forte valenza tecnica e contemporaneamente
si pone, rispetto alla complessa procedura di realizzazione delle opere pubbliche, come sub–procedimento, a cui è preposto il responsabile del procedimento — deve necessariamente osservare un percorso predeterminato dal
legislatore ed ogni fase di approfondimento presuppone che sia esaurita la
precedente in un contesto logico e temporale progressivamente ben cadenzato, dove le scelte e decisioni assunte non possono essere smentite nel livello
successivo, tranne la (residuale) possibilità di rivedere sulla base di precise
ed obiettive esigenze le scelte compiute nella fase progettuale precedente. Si
può dunque ora affermare che l’attività di progettazione dei lavori pubblici
si articola in un sistema tripartito in un quadro tendenzialmente rigido in
cui la discrezionalità dell’amministrazione è ben delimitata e le stesse scelte
Le fasi della gara ad evidenza pubblica
125
tecniche progettuali si collocano in ambiti precisati e si snodano all’interno di
un percorso normativo che il legislatore ha tracciato sia nell’art. 16 più volte
citato che in sede di delegificazione con l’approvazione del regolamento generale di cui al d.p.r. 554/99, dedicando l’intero Capo II del Titolo III, artt.
15–49, in vigore dal 28 luglio 2000.
Da questo inquadramento generale, che va dall’avvio della progettazione alla sua approvazione, è possibile notare come le norme relative non fissano i tempi procedurali minimi da rispettarsi uniformemente da parte di ciascuna amministrazione aggiudicatrice, ma rapporta
le dettagliate fasi dell’iter ai tempi stabiliti dall’ordinamento proprio
dell’amministrazione che procede.
Si basano su quest’ultima caratteristica delle norme, le rationes di
alcuni elementi di flessibilità che alcune leggi regionali hanno introdotto nell’attività di progettazione e che la stessa Autorità di Vigilanza
ha di recente richiamato nella Determinazione n. 9 del 23 novembre
2005. Infatti, il fatto che non si possa individuare per ogni fase del
complesso iter una “scaletta dei tempi minimi e generali”, ma solo l’individuazione delle fasi, dei compiti, dei criteri e dei contenuti, spiega
il motivo, ad esempio, per il quale si sia posto il problema operativo
di ammettere o meno la concentrazione in unica fase dei tre livelli di
progettazione, atteso che la legge non prescrive la redazione di tre
distinti progetti, bensì di un solo progetto che necessariamente passa
attraverso gradi successivi di approfondimento:
Tale riduzione non va intesa nel senso di una soppressione sic et simpliciter di uno o più livelli di progettazione quanto, piuttosto, nel senso di una
unificazione di più livelli, qualora ciò sia ritenuto dal RUP necessario, utile
o strettamente opportuno in relazione alla tipologia e/o alla dimensione dei
lavori. Questo criterio della unificazione di un livello progettuale con quello
successivo è stato implicitamente ribadito da questa Autorità anche nella successiva deliberazione n. 311 del 26 settembre 2001, nella quale, a proposito
della verifica da parte del RUP dell’avvenuta acquisizione dei prescritti pareri in sede di progetto definitivo, è stato affermato che nel caso in cui l’attività di progettazione dalla preliminare è passata direttamente alla esecutiva, i
prescritti pareri devono essere acquisiti in relazione al progetto esecutivo”. I
126
Capitolo III
contenuti tipici del progetto definitivo vengono quindi assorbiti dal progetto
esecutivo. Negli anni recenti il giudice amministrativo si è pronunciato più
volte sull’argomento recependo generalmente l’orientamento dell’Autorità.
Il TAR Lombardia Brescia, con sentenza del 22 marzo 2004, n. 229, ha constatato che costituisce prassi diffusa a livello amministrativo l’elaborazione
congiunta del progetto definitivo ed esecutivo, che vengono predisposti in
un’unica soluzione dal tecnico incaricato dall’amministrazione per essere poi
fatti propri da quest’ultima con un’approvazione unico actu.
Anche il TAR Puglia Bari sez. II, ha manifestato valutazioni simili con due
recenti sentenze del 17 febbraio 2005, n. 594, e del 16 giugno 2005, n. 2919,
nelle quali si afferma che “in presenza di lavori di non rilevante complessità
deve ritenersi possibile il coagularsi in un unico atto dell’approvazione della progettazione di dettaglio (definitiva ed esecutiva), quando questa risulti
integrare quella completa, complessa operazione tecnico–amministrativa finalizzata al massimo livello di approfondimento possibile, che consenta, in
definitiva, la definizione e l’identificazione di ogni elemento progettuale in
forma, tipologia, dimensione, prezzo, qualità, comprendendo tutti gli aspetti
necessari per la realizzazione dell’opera in conformità con il progetto preliminare”.
Va altresì considerato che l’attività di progettazione ed il progetto, che di essa ne è il risultato, assumono nell’ordinamento dei lavori
pubblici un’importanza ed una centralità assolutamente primaria, sia
che si tratti di lavori “ordinari” sia che si tratti di grandi infrastrutture.
Il progetto, infatti, “comporta elevati riflessi sotto molteplici profili:
influenza il contenuto del bando di gara, la qualificazione dei concorrenti, i soggetti affidatari dei servizi di ingegneria, i sistemi di realizzazione dei lavori pubblici, i sistemi di scelta del contraente, i criteri di
aggiudicazione, la composizione dei seggi di gara e delle commissioni
giudicatrici, le varianti, il contenzioso nella fase esecutiva, i piani di
sicurezza, il subappalto” (A.V.LL.PP., Determinazione 9/2005).
Pertanto, l’inizio dell’attività progettuale delle opere pubbliche
coincide necessariamente con la redazione del documento preliminare alla progettazione (art. 15, commi 4 e 5, del d.p.r. 554/99) a cui segue prima il progetto preliminare, e — dopo l’inserimento dell’opera
nell’elenco annuale delle opere programmate — la progettazione di
Le fasi della gara ad evidenza pubblica
127
dettaglio (definitiva ed esecutiva), e la stessa attività di progettazione
configura una complessa operazione tecnico–amministrativa finalizzata al massimo livello di approfondimento possibile, in modo che sia
definito ed identificato ogni elemento progettuale in forma, tipologia,
dimensione, prezzo, qualità; alla luce di ciò, la legge stabilisce che
tranne che per i lavori di manutenzione e per gli scavi archeologici,
tutte le opere pubbliche non possono avere inizio se non quando sia
stato redatto il progetto esecutivo e non sia intervenuta l’approvazione da parte dell’amministrazione. Da ciò, in considerazione del tenore
del disposto di cui all’art. 112, commi 1, 2 e 3 del Codice, discende
il principio secondo cui il progetto esecutivo è condizione indispensabile per l’esecuzione lavori (era la previsione dell’abrogato art. 19,
comma 5 bis, della legge 109/94).
Dunque, in relazione alla tempistica delle fasi nell’intero iter procedimentale (definito da taluni un sub–procedimento del più ampio
procedimento della realizzazione dei lavori), che va dall’avvio dell’attività di progettazione alla pubblicazione del relativo bando di gara
per l’appalto di opere pubbliche, si possono ricavare due aspetti interpretativi mediante il combinato disposto fra l’art. 49, c. 2 del d.p.r.
554/99 e l’art. 112 del Codice. In particolare, da un lato la dipendenza
dell’avvio della procedura ad evidenza pubblica per i lavori dall’approvazione del progetto; approvazione che, d’altra parte, va rapportata — per espressa previsione di legge — al procedimento disciplinato
secondo i modi e i tempi stabiliti dall’ordinamento di ciascuna amministrazione aggiudicatrice.
3.3. Il diritto d’autore del progetto
Un aspetto di particolare interesse, in tema di progettazione, riguarda la disciplina giuridica del diritto d’autore circa la paternità di
un progetto.
Il diritto d’autore disciplinato dagli artt. 2575 ss. cod. civ. e tutelato
da una disciplina ad hoc contenuta nella l. 633/1941 e successive modificazioni e integrazioni, è il diritto riconosciuto al soggetto che ab-
128
Capitolo III
bia realizzato un’opera dell’ingegno o dell’arte ad essere riconosciuto
autore dell’opera o dell’invenzione (c.d. diritto morale o alla paternità
dell’opera), nonché a trarre profitto dalla utilizzazione economica dell’opera o dell’invenzione (diritto patrimoniale), in via esclusiva.
L’oggetto del diritto d’autore è individuato dall’articolo 2575
cod. civ. nelle opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono alle scienze, alla letteratura, alla musica, alle arti, all’architettura, al teatro e alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la
forma d’espressione. Tale elencazione — solo esemplificativa e cioè
non tassativa — sul piano normativo è integrata dall’art. 2 della l.
633/1941 e s.m.i.
Sia dal dettato normativo dell’art. 2575, sia dal disposto dell’art. 1
della l. 633/1941 si evince che per essere considerata frutto dell’ingegno l’opera deve essere creativa (anche se in misura modesta) e quindi
rivestire i caratteri della originalità e della novità. Ai fini della tutela
normativa del diritto d’autore, l’opera dell’ingegno deve, dunque, essere il risultato di una attività intellettuale avente carattere creativo,
nel senso che l’opera deve rappresentare un qualcosa di innovativo
e non meramente ripetitivo rispetto alla realtà preesistente; occorre,
cioè, che sia diversa (originale) e nuova (creativa) rispetto all’esistente.
Tali caratteristiche, che conferiscono all’opera autonoma capacità distintiva rispetto a quelle preesistenti, integrano una condizione imprescindibile ai fini della tutela del diritto d’autore. Peraltro, “originalità”
e “creatività” non devono intendersi in senso esclusivamente sostanziale (cioè con riferimento al solo contenuto, tema o argomento), ma
possono riguardare anche la forma dell’esposizione del lavoro intellettuale. Dunque, solo la creazione intellettuale originale e creativa
(non importa se nella forma o nel contenuto) è definibile come opere
dell’ingegno tutelata dalla legge.
L’opera di ingegno ha valore in sé e per sé, con la conseguenza che
l’acquisito del diritto d’autore è automatico e incondizionato. Il titolo originario dell’acquisito del diritto è, infatti, costituito dalla stessa
creazione dell’opera, quale particolare espressione del lavoro intellettuale (art. 6 l. 633/1941 e s.m.i.).
Le fasi della gara ad evidenza pubblica
129
Il diritto morale, così definito, poiché non ha come oggetto diretto
gli interessi patrimoniali dell’autore, mira a tutelare, in via immediata
la personalità dell’autore stesso e l’attività in cui si materializza la sua
attività creativa, il suo estro, il suo modo di essere. Il diritto morale
d’autore rientra tra i diritti della personalità ed ha contenuto plurimo, cioè, si specifica in una serie di facoltà, tutte a contenuto non
patrimoniale. Una prima specificazione del diritto morale è il diritto
di inedito che è un’articolazione della libertà di manifestazione del
pensiero garantita dall’art. 21 Cost., che comprende anche la libertà di
non manifestarlo. In tal senso il diritto di inedito attribuisce all’autore
la facoltà di decidere quando rendere pubblica la sua opera, ovvero di
non pubblicarla affatto, in tutto o in parte. Anche se non tutta la dottrina è concorde sul punto, l’orientamento prevalente è pacifica nel
ritenere che si tratti di un diritto afferente alla personalità dell’autore
(cioè alla sua libertà morale, all’onore, alla reputazione e alla riservatezza) che deve essere tenuto distinto dal diritto di pubblicazione dell’opera, il quale riveste invece carattere spiccatamente patrimoniale.
L’autonomia tra i due diritti in questione è evidente ove si consideri
che il diritto di inedito non si estingue neppure dopo la cessione del
diritto di pubblicazione.
Il diritto alla paternità dell’opera, altra specificazione del diritto
morale d’autore, tutela il primario interesse dell’autore ad essere riconosciuto come il titolare della proprietà intellettuale di una data creazione e, cioè, di essere pubblicamente riconosciuto e indicato come
l’artefice e, all’inverso, che non gli venga attribuita un’opera diversa da quella da lui creata. L’individuazione del soggetto titolare della
proprietà intellettuale dà la principale sostanza al contenuto morale
del diritto d’autore, che assolve così alla funzione di assicurare la libertà creativa, artistica ed espressiva. Anche il diritto alla paternità
dell’opera appartiene alla sfera della personalità dell’autore e perciò
è autonomo rispetto ai diritti di utilizzazione economica e non si perde per effetto della cessione dei diritti a contenuto patrimoniale. Anche attraverso il diritto alla paternità dell’opera sono tutelati il diritto
all’onore, alla reputazione artistica, al nome, alla identità personale.
130
Capitolo III
L’usurpazione della paternità dell’opera costituisce plagio, contro il
quale il vero autore può difendersi, ottenendo per via giudiziale, se del
caso, la distruzione dell’opera dell’usurpatore, oltre al risarcimento
dei danni. L’autore, ha peraltro, diritto a rivelare la propria paternità
dell’opera anche ove questa sia stata pubblicata anonima o pseudonima. Peraltro, il diritto di paternità, in quanto diritto della personalità
può essere invocato sempre, salvo che l’autore abbia firmato l’opera
con uno pseudonimo o l’abbia pubblicata anonima (in tal caso, infatti,
la paternità può essere rivendicata solo se preceduta dalla rivelazione
della identità); dal carattere di diritto della personalità, discende il diritto di paternità è imprescrittibile, irrinunciabile, intrasferibile (artt.
2577, comma 2, 2582 comma 2, 2589 cod. civ.).
Il diritto morale alla paternità dell’opera tutela, inoltre, anche l’interesse pubblico garantendo la collettività da ogni forma di inganno o
confusione nella attribuzione della paternità intellettuale.
Altra specificazione del diritto morale d’autore è il diritto all’integrità dell’opera e cioè il diritto ad essere giudicato dal pubblico per
l’opera così come egli l’ha concepita. Anche questo diritto protegge
dunque la reputazione e l’immagine dell’autore. In virtù del diritto
all’integrità dell’opera, l’autore può opporsi a qualsiasi deformazione,
mutilazione o altra modificazione, ed a ogni atto a danno dell’opera
stessa, che possano essere di pregiudizio alla sua reputazione.
Dunque, il contenuto morale del diritto d’autore si traduce nella
capacità giuridica di difendere la propria personalità, che si manifesta
attraverso l’opera della quale si è autori e con la quale si rendono pubbliche e riconoscibili convinzioni ed idee proprie, qualità e competenze culturali, tecniche, professionali e scientifiche. La manipolazione
di un’opera compiuta da persone diverse dell’autore e da questi non
autorizzate potrebbe alterare l’idea che ha originato l’opera, snaturandone i contenuti e, perciò, inevitabilmente, finirebbe per compromettere la libertà creativa ed espressiva dell’autore.
Per tali ragioni, come accennato, l’autore, infatti, anche dopo la
cessione dei diritti di sfruttamento economico, può rivendicare la paternità dell’opera e può opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione
Le fasi della gara ad evidenza pubblica
131
o altra modificazione dell’opera stessa, che possa essere di pregiudizio
al suo onore o alla sua reputazione (art. 2577, comma 2, cod. civ.).
Come accennato, sussiste in capo all’autore anche il diritto patrimoniale di autore o di inventore, ossia il diritto di utilizzazione economica dell’opera. Tale diritto è concepito come un vero e proprio diritto di proprietà, avente ad oggetto il bene immateriale ed implicante la
facoltà di goderne e di disporne in modo esclusivo (art. 832 c.p.c.); in
tale senso, si parla di “proprietà artistica”, di “proprietà letteraria”, di
“proprietà industriale”, etc.
A differenza del diritto morale, il diritto patrimoniale di autore o
di inventore è trasferibile (art. 2581, 2589 cod. civ.) sia mortis causa
sia per atti inter vivos e può formare oggetto di contratti che, dunque,
ferma restando la titolarità del diritto morale, consentono a terzi (cessionari) lo sfruttamento dell’opera o dell’invenzione. Il contenuto del
diritto patrimoniale d’autore è definito dall’art. 2577, comma 1, cod.
civ. secondo il quale: «l’autore ha il diritto esclusivo di pubblicare
l’opera e di utilizzarla economicamente in ogni forma e modo, nei
limiti e per gli effetti fissati dalla legge». La legge 633/1941, agli artt.
12 ss. elenca le facoltà ricomprese nell’ambito del diritto patrimoniale
d’autore riconducendole sostanzialmente alla pubblicazione, riproduzione e smercio dell’opera. La riproduzione ha contenuto molto ampio
in relazione alla possibile varietà dei mezzi utilizzabili; la pubblicazione è implicita nella cessione dei diritti di sfruttamento e si trasferisce
mortis causa salvo che l’autore abbia l’abbia vietata (rientrando, come
accennato, nell’ambito del diritto morale, il c.d. diritto di inedito); lo
smercio riguarda la facoltà di mettere in commercio l’opera mediante
alienazione del mezzo che la incorpora. La stessa legge speciale prevede alcuni contratti tipici di trasferimento del diritto patrimoniale,
come il contratto di edizione, quello di rappresentazione, con ciò, peraltro, non escludendo l’utilizzabilità degli schemi codicistici, quali la
compravendita, la donazione ed il negozio gratuito. Alla trasferibilità
del diritto patrimoniale consegue che diritto morale e diritto patrimoniale possono avere — come normalmente accade per lo opere dell’ingegno — titolari diversi.
132
Capitolo III
Infatti, il diritto d’autore è un diritto di proprietà “immateriale”,
ben distinto dal possesso (od anche dalla proprietà) del mero supporto (cartaceo, fisico, meccanico ect.), sul quale l’opera è fruibile. Il supporto in quanto tale è infatti di proprietà di chi lo acquista (avendone
pagato il prezzo per supporto e diritti), ma il diritto d’autore continua
a sussistere, perciò il proprietario del supporto non ha facoltà illimitata di utilizzo, bensì solo quelle facoltà di utilizzo che residuano dal
diritto immateriale spettante all’autore ex lege.
Come accennato, il diritto nasce al momento della creazione dell’opera, che il nostro codice civile identifica, un po’ cripticamente, in
una particolare espressione del lavoro intellettuale. Ciò significa che
il deposito e la registrazione dell’opera — da effettuarsi presso il Registro pubblico generale delle opere protette, la Presidenza del Consiglio dei Ministri (o per le opere cinematografiche presso il registro
speciale tenuto a cura della SIAE) — non hanno funzione costitutiva
del diritto d’autore, bensì, il deposito ha generiche funzioni di controllo, mentre la registrazione fa fede fino a prova contraria dell’avvenuta pubblicazione dell’opera e della paternità dell’autore. Infatti,
secondo quanto previsto dall’art. 103 della l. 633/1941, «la registrazione fa fede sino a prova contraria dell’esistenza dell’opera e del fatto
della sua pubblicazione. Gli autori e i produttori indicati nel registro
sono reputati, sino a prova contraria, autori o produttori delle opere
che sono loro attribuite…».
Posto quanto sopra, con specifico riferimento al quesito sottoposto, vale sottolineare che il diritto d’autore è tutelato anche relativamente ai progetti di lavori di ingegneria. Come è noto, infatti, l’art.
2578 cod. civ., nell’ambito del titolo nono relativo ai diritti sulle opere dell’ingegno e sulle invenzioni industriali dispone “all’autore di
progetti di lavori di ingegneria, o altri lavori analoghi, che costituiscano soluzioni originali di problemi tecnici, compete, oltre al diritto
esclusivo di riproduzione dei piani e disegni dei progetti medesimi,
il diritto ad un equo compenso a carico di coloro che realizzano il
progetto tecnico a scopo di lucro senza il suo consenso. ”; di identico tenore è il comma 1 dell’art. 99 della legge 22 aprile 1941, n. 633,
Le fasi della gara ad evidenza pubblica
133
e s.m.i., mentre il comma 2 della disposizione da ultimo menzionata
dispone: «Per esercitare il diritto al compenso l’autore deve inserire
sopra il piano o disegno una dichiarazione di riserva ed eseguire il
deposito del piano o disegni presso il Ministero della cultura popolare». Il concetto di “progetti di ingegneria” e quello di “altri lavori
analoghi” è di vastissima portata, ricoprendendo in esso qualsivoglia
lavoro svolto nell’esercizio dell’attività professionale dell’ingegneria
o di attività similari.
La disciplina ex art. 99 della l. 633/1941, pur essendo contenuta
nella legge speciale sul diritto d’autore delle opere dell’ingegno, prevede, sulla falsariga piuttosto delle regole in materia di brevetti per invenzioni e modelli, una protezione non solo della espressione formale
della idea (diritto esclusivo di riproduzione dei piani e dei disegni),
ma anche del contenuto di essa. Come per l’art. 2 del r.d. 1127/1939
Testo delle disposizioni legislative in materia di brevetti per invenzioni industriali si ha riguardo all’attuazione dell’invenzione, cioè allo
sfruttamento del contenuto dell’idea inventiva, così nell’art. 99 della
legge sul diritto d’autore (e nell’art. 2578 cod. civ. alla esecuzione)
si ha riguardo alla realizzazione in concreto, cioè all’attuazione nel
campo economico tecnico delle trasformazioni materiali, della soluzione di un problema tecnico. Vi è attribuzione all’autore di un diritto
di esclusiva, ma alla violazione di tale diritto consegue l’unico effetto dell’azionabilità della pretesa ad un equo compenso nei confronti
dell’attuatore dell’idea; ma è certo che comunque si ha protezione
dell’aspetto contenutistico dell’idea.
In linea con il parziale parallelismo tra protezione dell’idea inventiva e protezione dei progetti di lavori di ingegneria, è necessario
— come è logico — che il progetto rappresenti un’idea originale rispetto ad un problema tecnico. Occorre, cioè che davvero l’autore del
progetto avesse da risolvere degli autentici problemi tecnici, non delle
semplici difficoltà superabili mediante accorgimenti già noti e diffusi
nella pratica: che vi sia stato, dunque, da parte dell’autore un apporto
di nuove idee destinate a risolvere problemi prima non risolti o a risolverli in modo diverso da quelli già noti.
134
Capitolo III
Condizione necessaria affinché il progettista diventi titolare del
diritto d’autore è, dunque, che il progetto costituisca una soluzione
originale di problemi tecnici, ovvero presenti elementi di novità da un
punto di vista tecnico–formale.
La sussistenza di tali caratteristiche nel progetto attribuisce all’autore il diritto esclusivo di riproduzione dei disegni e dei piani da lui
realizzati ed il diritto di impedire a terzi di moltiplicare in copia gli
stessi, ma non anche quello di vietarne la realizzazione da parte di
terzi.
Nella sostanza, sia l’art. 2578 del codice civile, sia l’art. 99 della
l. 633/1941 sembrano accordare all’autore di progetti di lavori di
ingegneria o di altri lavori analoghi che costituiscono soluzioni originali di problemi tecnici una tutela per così dire “ridotta”, consistente nel solo diritto di ottenere un equo compenso da coloro che
eseguono il progetto tecnico a scopo di lucro senza il suo consenso,
ma non ha il diritto di opporsi all’esecuzione. La legge, peraltro,
specifica che il diritto al compenso si acquista soltanto a seguito del
deposito del piano o del disegno presso la Presidenza del Consiglio
dei Ministri, accompagnato da una dichiarazione di riserva di tale
diritto.
Dalla mancata previsione di azioni giudiziarie mirate all’impedimento della realizzazione del progetto da parte di altri soggetti, ovvero, dall’insussistenza di strumenti “inibitori” e/o di tutela
cautelare del diritto all’integrità dell’opera (progetto) e del diritto
di inedito, come si evince dagli articoli 2578 cod. civ. e 99 della
l. 633/194, alcuna giurisprudenza ha desunto che relativamente ai
progetti di lavori di ingegneria non possa configurarsi il diritto morale d’autore, che, appunto — come già rilevato –, si sostanzia, tra
l’altro, nel diritto di vietare a terzi la qualsiasi modificazione dell’opera stessa.
Più precisamente, al riguardo la stessa giurisprudenza ha ritenuto
che “i progetti di lavori d’ingegneria, anche quando costituiscono soluzioni originali di problemi tecnici, non possono mai essere oggetto
del cosiddetto diritto morale d’autore. È possibile introdurre varianti
Le fasi della gara ad evidenza pubblica
135
ai progetti di ingegneria anche senza l’intervento del progettista ed
addirittura contro la sua volontà” (cfr. Trib. Milano 13 luglio 1993).
Tale impostazione appare condivisibile solo in parte. L’art. 99 della l.
633/1941 e l’art. 2578 del cod. civ. non negano la sussistenza del diritto
morale d’autore in capo al progettista di un’opera ingegneristica e, dunque, non escludono, in via assoluta, che in capo al progettista di lavori
di ingegneria sussista il diritto di inedito, del diritto alla paternità ed
alla integrità dell’opera ma, come accennato, accordano a tali diritti una
forma di tutela ridotta rispetto a quella riferita alle altre opere dell’ingegno. Più precisamente, se è vero che la violazione dei suddetti diritti
non può essere impedita attraverso uno specifico strumento inibitorio
e cautelare — come, invece, previsto per le altre opere dell’ingegno –,
a tale violazione è comunque ricondotto un effetto, per così dire, “sanzionatorio” nei confronti del soggetto, che, in contrasto con la volontà
dell’autore del progetto e nel perseguimento di un fine di lucro, realizza
il progetto appartenente alla proprietà intellettuale altrui.
Alla stregua delle delineate considerazioni, si è, pertanto dell’avviso che il diritto morale d’autore ed in particolare il diritto al riconoscimento della paternità del progetto, volto a soddisfare il primario
interesse di essere riconosciuto come il titolare della proprietà intellettuale di una determinata “creazione”, sussista anche in capo all’autore di un progetto di opere di ingegneria, nel quale siano prospettate
“soluzioni originali di problemi tecnici”.
D’altro canto, deve ritenersi che l’adempimento dell’onere del deposito del piano o del disegno presso la Presidenza del Consiglio dei
Ministri, accompagnato da una dichiarazione di riserva di tale diritto,
abbia, quale precipua funzione, proprio quella di identificare l’autore
e di attestare in capo allo stesso la titolarità della proprietà intellettuale della “creazione” e, dunque, quella di consentire l’azionabilità della
tutela (ridotta) prevista dall’art. 2578 del codice civile e dall’art. 99
della l. 633/1941, per l’ipotesi di realizzazione del progetto per scopo
di lucro da parte di un terzo non autorizzato dall’autore.
136
Capitolo III
4. Il bando di gara
Le norme relative ai bandi di gara, agli avvisi ed agli inviti sono
contenute negli artt. 63–76 del d.lgs. 163/06.
In particolare, va precisato che, in genere, le parti con cui si compone un bando di gara (c.d. lex specialis) sono gli elementi indicati
dall’allegato IXA al Codice (lo stabilisce il comma 4 dell’art. 64), si
segnalano soprattutto i seguenti:
–
–
–
–
–
–
–
–
indicazioni della amministrazione aggiudicatrice;
procedura di aggiudicazione prescelta;
forma dell’appalto. Luogo di esecuzione;
natura ed entità dell’appalto;
termine ultimo per la realizzazione dell’appalto;
ammissione o divieto di varianti;
eventuali condizioni particolari;
indicazioni particolari a seconda della procedura di scelta individuata (forme di partecipazione, cauzioni, tempi di presentazione requisiti e offerte)6;
– criterio di aggiudicazione;
– condizioni per sopralluoghi e per richiesta chiarimenti vari;
6. Ai sensi dell’art. 67, comma 2 del Codice, nelle procedure ristrette, nel dialogo
competitivo, nelle procedure negoziate con pubblicazione di un bando di gara, l’invito a
presentare le offerte, a negoziare, a partecipare al dialogo competitivo contiene, oltre agli elementi specificamente previsti da norme del presente codice, e a quelli ritenuti utili dalle stazioni appaltanti, quanto meno i seguenti elementi: a) gli estremi del bando di gara pubblicato;
b) il termine per la ricezione delle offerte, l’indirizzo al quale esse devono essere trasmesse e
la lingua o le lingue, diverse da quella italiana, in cui possono essere redatte, fermo restando
l’obbligo di redazione in lingua italiana e il rispetto delle norme sul bilinguismo nella Provincia autonoma di Bolzano; c) in caso di dialogo competitivo, la data stabilita e l’indirizzo per
l’inizio della fase di consultazione, nonché le lingue obbligatoria e facoltativa, con le modalità
di cui alla lettera b) del presente comma; d) l’indicazione dei documenti eventualmente da
allegare a sostegno delle dichiarazioni verificabili prescritte dal bando o dall’invito, e secondo
le stesse modalità stabilite dagli articoli 39, 40, 41 e 42; e) i criteri di selezione dell’offerta, se
non figurano nel bando di gara; f) in caso di offerta economicamente più vantaggiosa, la ponderazione relativa degli elementi oppure l’ordine decrescente di importanza, se non figurano
già nel bando di gara, nel capitolato d’oneri o nel documento descrittivo.
Le fasi della gara ad evidenza pubblica
137
– nome del responsabile del procedimento;
– data di spedizione e pubblicazione.
Come già indicato nella tabella riportata nel paragrafo 1 di questo
capitolo, per gli appalti aventi importo sopra soglia comunitario, l’art.
70 detta le seguenti prescrizioni, relative alla procedura di scelta individuata dalla Stazione appaltante:
– nel fissare i termini per la ricezione delle offerte e delle domande di
partecipazione, le stazioni appaltanti tengono conto della complessità della prestazione oggetto del contratto e del tempo ordinariamente necessario per preparare le offerte, e in ogni caso rispettano
i termini minimi stabiliti dall’art. 70 (criterio della proporzionalità);
– nelle procedure aperte: il termine per la ricezione delle offerte
non può essere inferiore a 52 giorni decorrenti dalla data di trasmissione del bando di gara;
– nelle procedure ristrette, nelle procedure negoziate con pubblicazione di un bando di gara, e nel dialogo competitivo, il termine per la ricezione delle domande di partecipazione non può
essere inferiore a 37 giorni decorrenti dalla data di trasmissione
del bando di gara;
Sempre nelle procedure ristrette, il termine per la ricezione delle offerte non può essere inferiore a 40 giorni dalla data di invio
dell’invito a presentare le offerte;
– nelle procedure negoziate, con o senza bando, e nel dialogo
competitivo, il termine per la ricezione delle offerte viene stabilito dalle stazioni appaltanti nel rispetto del comma 1 e, ove non
vi siano specifiche ragioni di urgenza, non può essere inferiore a
20 giorni dalla data di invio dell’invito;
– in tutte le procedure, quando il contratto ha per oggetto anche
la progettazione esecutiva (appalto integrato e appalto integrato
misto, art. 53, c. 2 lett. b) e c)), il termine per la ricezione delle
offerte non può essere inferiore a 60 giorni dalla data di trasmissione del bando di gara o di invio dell’invito; quando il contratto
138
Capitolo III
ha per oggetto anche la progettazione definitiva, il termine per
la ricezione delle offerte non può essere inferiore a 80 giorni con
le medesime decorrenze;
– se i bandi sono redatti e trasmessi per via elettronica secondo
il formato e le modalità di trasmissione precisati nell’allegato
X, punto 3, i termini minimi per la ricezione delle offerte,
di cui ai commi 2 e 7, nelle procedure aperte, e il termine
minimo per la ricezione delle domande di partecipazione di
cui al comma 3, nelle procedure ristrette, nelle procedure negoziate e nel dialogo competitivo, possono essere ridotti di 7
giorni;
– nelle procedure ristrette e nelle procedure negoziate con pubblicazione di un bando di gara, quando l’urgenza rende impossibile
rispettare i termini minimi previsti dal presente articolo, le stazioni appaltanti, purché indichino nel bando di gara le ragioni
dell’urgenza, possono stabilire:
a) un termine per la ricezione delle domande di partecipazione,
non inferiore a 15 giorni dalla data di pubblicazione del bando di gara sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana,
successiva alla trasmissione del bando alla Commissione;
b)e, nelle procedure ristrette, un termine per la ricezione delle
offerte non inferiore a 10 giorni, ovvero non inferiore a 30
giorni se l’offerta ha per oggetto anche il progetto esecutivo,
decorrente dalla data di invio dell’invito a presentare offerte.
Tale previsione non si applica al termine per la ricezione delle
offerte, se queste hanno per oggetto anche il progetto definitivo.
Per gli appalti aventi importo inferiore alla soglia comunitaria, operano le disposizioni dettate dall’art. 122 del Codice; in particolare:
– il comma 4 dispone che i bandi e gli inviti non contengono le
indicazioni che attengono ad obblighi di pubblicità e di comunicazione in ambito sopranazionale;
Le fasi della gara ad evidenza pubblica
139
– i bandi relativi a contratti di importo pari o superiore a cinquecentomila euro sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana — serie speciale — relativa ai contratti
pubblici, sul “profilo di committente” della stazione appaltante, e, non oltre due giorni lavorativi dopo, sul sito informatico
del Ministero delle infrastrutture di cui al decreto del Ministro
dei lavori pubblici 6 aprile 2001, n. 20 e sul sito informatico
presso l’Osservatorio, con l’indicazione degli estremi di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Gli avvisi e i bandi sono
altresì pubblicati, non oltre cinque giorni lavorativi dopo la
pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, per estratto, a scelta
della stazione appaltante, su almeno uno dei principali quotidiani a diffusione nazionale e su almeno uno dei quotidiani a
maggiore diffusione locale nel luogo ove si eseguono i lavori. I
bandi e gli avvisi di cui al comma 3 relativi a contratti di importo inferiore a cinquecentomila euro sono pubblicati nell’albo
pretorio del Comune ove si eseguono i lavori e nell’albo della
stazione appaltante; gli effetti giuridici connessi alla pubblicazione decorrono dalla pubblicazione nell’albo pretorio del
Comune;
– ai termini di ricezione delle domande di partecipazione e delle
offerte, si applicano le seguenti regole:
a) nelle procedure aperte, il termine per la ricezione delle offerte, decorrente dalla pubblicazione del bando sulla Gazzetta
Ufficiale della Repubblica italiana per i contratti di importo
pari o superiore a cinquecentomila euro, e dalla pubblicazione del bando nell’albo pretorio del Comune in cui si esegue il
contratto per i contratti di importo inferiore a cinquecentomila euro non può essere inferiore a 26 giorni;
b)nelle procedure ristrette, nelle procedure negoziate previa
pubblicazione di un bando di gara, e nel dialogo competitivo,
il termine per la ricezione delle domande di partecipazione,
avente la decorrenza di cui alla lettera a), non può essere inferiore a 15 giorni; nelle procedure ristrette, il termine per la
140
Capitolo III
ricezione delle offerte, decorrente dalla data di invio dell’invito, non può essere inferiore a 20 giorni;
d) nelle procedure negoziate, con o senza bando, e nel dialogo
competitivo, il termine per la ricezione delle offerte viene stabilito dalle stazioni appaltanti nel rispetto del comma 1 dell’articolo 70 e, ove non vi siano specifiche ragioni di urgenza, non
può essere inferiore a 10 giorni dalla data di invio dell’invito;
e) in tutte le procedure, quando il contratto ha per oggetto anche la progettazione esecutiva, il termine per la ricezione delle
offerte non può essere inferiore a 40 giorni dalla data di pubblicazione del bando di gara o di invio dell’invito; quando il
contratto ha per oggetto anche la progettazione definitiva, il
termine per la ricezione delle offerte non può essere inferiore
a 60 giorni con le medesime decorrenze;
f) nelle procedure ristrette e nelle procedure negoziate con pubblicazione di un bando di gara, quando l’urgenza rende impossibile rispettare i termini minimi previsti dal presente articolo, le
stazioni appaltanti, purché indichino nel bando di gara le ragioni
dell’urgenza, possono stabilire un termine per la ricezione delle
domande di partecipazione, non inferiore a 15 giorni dalla data
di pubblicazione del bando di gara nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica italiana; e, nelle procedure ristrette, un termine per
la ricezione delle offerte non inferiore a dieci giorni, ovvero non
inferiore a 30 giorni se l’offerta ha per oggetto anche il progetto
esecutivo, decorrente dalla data di invio dell’invito a presentare
offerte. Tale previsione non si applica al termine per la ricezione
delle offerte, se queste hanno per oggetto anche la progettazione
definitiva7.
7. Con la Comunicazione IP/08/2040 del 19 dicembre 2008 la Commissione dell’UE
ha previsto la riduzione dei termini nelle procedure ristrette per gli anni 2009 e 2010. In particolare, la Commissione ha riconosciuto che il carattere eccezionale della situazione economica attuale può giustificare l’uso della procedura accelerata di ridurre notevolmente il tempo
limite della procedura da 77 giorni a 30 giorni. Ha precisato, quindi, che tale presunzione
di emergenza dovrebbe essere applicata a tutti i principali progetti pubblici durante gli anni
2009 e 2010. Pertanto, lo scenario procedurale dei tempi si compone nel seguente modo:
Le fasi della gara ad evidenza pubblica
141
5. Le procedura di scelta del contraente: l’appalto concorso, appalto
integrato e appalto integrato misto
Come è noto, l’art. 53, commi 2 e 3 del Codice ha introdotto due
nuove figure di appalto integrato, la cui applicabilità ancora di fatto
è sospesa, pur se si continua ad apportare loro modifiche in preparazione dell’entrata in vigore. La prima delle due forme di appalto integrato è invero la classica figura dell’appalto integrato prevista dalla l.
109/94 s.m.i., ma, a differenza di quest’ultima, la novella già voluta dal
Codice nella stesura del 1° luglio 2006 ha liberalizzato tale procedura.
Attualmente, le limitazioni sono rimaste per gli appalti integrati con
importo sotto la soglia comunitaria, secondo le previsioni contenute
nell’art. 122, comma 1 (che ha efficacia dall’entrata in vigore del regolamento) del Codice modificato dal d.lgs. 113/07.
La seconda delle due forma d’appalto integrato, che già dai primi
tempi d’entrata in vigore del Codicie fu definita da una parte della
dottrina “appalto integrato complesso”, consiste nella redazione dal
parte della Stazione appaltante del progetto preliminare da porre a
base di gara e nella presentazione come offerta da parte dei concorrenti del progetto definitivo (oltre ovviamente al prezzo): solamente
l’aggiudicatario dovrà redigere il progetto esecutivo e quindi poi eseguire i lavori dell’appalto.
Tale figura prevista nella lett. c) del comma 1 dell’art. 53 — che
potremmo anche denominare “appalto integrato misto” — presenta
delle somiglianze con la procedura di scelta denominata “appalto–
concorso” (vigente fino all’entrata in vigore del regolamento ex art.
5 del Codice) prevista dalla legge Merloni; la differenza però è duplice: rispetto ad essa, il nuovo “appalto integrato misto” prevede che
nella procedura ristretta accelerata, la Commissione ha ritenuto che le parti possano ridurre a
10 giorni (invece di 37) il termine per le domande di partecipazione, se il bando di gara è stato
inviato in via elettronica (on–line), mentre il termine ultimo per la presentazione delle offerte
dei candidati può essere ridotto a 10 giorni (invece di 40). Il periodo di sospensione, invece,
può essere fissato a 10 giorni, per cui la durata della procedura ristretta può essere ridotta a
complessivi 30 giorni.
142
Capitolo III
l’offerta tecnica del concorrente in sede di gara consista nel progetto
definitivo, non già nel progetto esecutivo come invece avveniva per
l’appalto–concorso classico; inoltre, quale seconda incisiva differenza,
per il nuovo “appalto integrato misto” non sono previste “ab ovo”
le limitazioni o condizioni necessarie alla sua legittima utilizzabilità
come procedura di scelta, le quali prescrizioni invece vigevano per
l’appalto–concorso della legge 109/94 e s.m.i.8
Alla nuova previsione contenuta nella lett. c) del comma 2 dell’art.
53, il d.lgs. 113/07 ha aggiunto (con l’art. 1, comma 1 lett. c) due
periodi in cui, da un lato, è previsto che l’offerta economica in sede
di gara deve esprimere distintamente il corrispettivo richiesto per la
progettazione definitiva, per la progettazione esecutiva e per l’esecuzione dei lavori. Quindi, in altri termini, la stazione appaltante
dovrà indicare nel bando di gara anche il costo anche del progetto
definitivo.
D’altro lato, è ora previsto nel novellato comma 2 lett. c) che, in
fase di valutazione delle offerte, quindi sia di quella economica sia
di quella relativa al progetto definitivo presentato appunto in fase di
gara, si debbano da parte della stazione appaltante assegnare ai pesi
o punteggi dei fattori ponderali, che il regolamento ex art. 5 dovrà
disciplinare; questo al fine di valorizzare la qualità, il pregio tecnico,
le caratteristiche estetiche e funzionali e la caratteristiche ambientali,
quest’ultime giustamente oggetto di particolare attenzione del Legislatore (cfr. anche art. 83 del Codice). Tale previsione consente da
una parte di limitare in materia l’ampiezza della discrezionalità della
stazione appaltante e d’altra parte di offrire uno standard elevato di
qualità e valorizzazione già nell’offerta9.
Tale obiettivo di valorizzazione sta alla base anche della nuova norma introdotta dal d.lgs. 113/07 inserendo appunto il comma 3–bis
all’art. 53 del codice.
8. Sull’intero tema cfr. R. Mangani, Tipologie, l’appalto integrato diventa libero e senza
vincoli, in »Edilizia e Territorio», Speciale codice appalti, 17/2006, pp. 57 e ss.
9. Vedi a tal proposito, R. Mangani, Con il nuovo appalto integrato va pagata anche la
progettazione definitiva, in »Edilizia e Territorio», XII, 31, p. 2.
Le fasi della gara ad evidenza pubblica
143
La disposizione in parola innanzitutto va riferita ad entrambe le
tipologie di appalto di cui alle lettere b) e c) del comma 2; essa, con
il prevedere che la stazione appaltante può indicare nel bando di
gara le modalità per la corresponsione diretta al progettista della
quota del compenso corrispondente agli oneri di progettazione (al
netto del ribasso d’asta, previa approvazione del progetto e previa
presentazione dei relativi documenti fiscali del progettista) nell’ipotesi in cui (ai sensi del comma 3) l’appaltatore si avvalga di uno o più
soggetti qualificati alla realizzazione del progetto, ha inteso evitare
un rischio. Infatti, nel prevedere il rapporto diretto fra stazione appaltante e progettista nei pagamenti dei corrispettivi immediati spettanti a quest’ultimo, con l’evidente esclusione dell’appaltatore dal
rapporto, la norma sembra tutelare la qualità dei progetti evitando
che l’appaltatore stesso, come affermato già da autorevole dottrina10,
possa comunque incidere sulla riduzione a suo interesse del corrispettivo da riconoscere al progettista.
Un ultima novità va segnalata: come per le gare di progettazione,
anche per le due tipologie di appalto integrato di cui alle lett. b) e c)
il ribasso sulle prestazioni progettuali è divenuto libero, per effetto
dell’eliminazione dell’ultima parte del comma 3 dell’art. 53 operata
dall’art. 2, comma 1 lett. n) del d.lgs. 113/07.
Ma queste disposizioni, come già evidenziato, per gli appalti di lavori pubblici di qualsiasi importo, nei settori ordinari, entreranno in
vigore per le procedure i cui bandi saranno pubblicati successivamente alla data di entrata in vigore del regolamento di cui all’articolo 5.
Fino ad allora, si applicano per i lavori — quindi anche per quelli
sotto soglia — nei settori ordinari (per i settori speciali, si ripete, le
suddette disposizioni sono già in vigore da tempo) le norme dettate
in tema di appalto integrato e di appalto–concorso dalla l. 109/94 e
s.m.i. “in parte qua” ancora in vigore.
Vista in materia la vigenza normativa transeunte che cesserà con
l’entrata in vigore del nuovo regolamento, sembra opportuno riper10. R. Mangani, Con il nuovo appalto intergrato, op. cit.
144
Capitolo III
correre la procedura dell’appalto integrato classico e le caratteristiche
principali della disciplina intermedia circoscritta alla legge Merloni11.
Prima della modifica apportata dall’art. 7, comma 1 della legge
166/2002, la disciplina prevedeva due distinte ipotesi in cui l’appalto integrato era consentito, cioè quando i lavori comprendevano una
componente impiantistica e tecnologica superiore al 50% del valore
dell’opera stessa e quando i lavori erano di manutenzione, restauro o
consistevano in scavi archeologici.
Per effetto dapprima dell’art. 1–octies, comma 1 lett. c) (che ha
inserito il comma 1–ter all’art. 253 del Codice) e comma 2 della l.
228/06, ed attualmente dell’art. 1, comma 1 lett. t n. 4) del d.lgs.
113/07 (che ha inserito il comma 1–quinquies), la disposizione di riferimento è ancora (e fino all’entrata in vigore del regolamento ex art. 5)
l’art. 19, commi 1 lett. b) e 1–ter della legge 109/94, come modificata
dalla l. 166/2002.
Ai sensi di tale ultimo articolo, l’appalto integrato ha ad oggetto sia l’esecuzione dei lavori che la progettazione esecutiva ed è
stato ora esteso anche ad ulteriori ipotesi rispetto a quelle sopra
richiamate; in particolare, il primo criterio adottato dal legislatore
è stato quello strettamente economico, pertanto è ammesso oggi
l’utilizzo dell’appalto integrato anche per i lavori di importo inferiore a 200.000 euro come pure per i lavori di importo pari o
superiore a 10 milioni di euro. Inoltre, l’appalto integrato relativo
ai lavori con elevata componente impiantistica e tecnologica è applicabile, a differenza della precedente disciplina, quando la soglia
dell’incidenza di tali componenti rispetto al valore dell’opera sia
superiore al 60%.
Come noto, l’appalto integrato è un appalto misto di lavori e progettazione; quindi occorre tenere conto anche della disciplina relativa
all’affidamento degli incarichi di progettazione, in quanto l’impresa
aggiudicataria non ha solo l’obbligo di eseguire i lavori ma anche compiti di progettazione.
11. Cfr. in materia, Caringella, De Marzo, La nuova disciplina dei lavori pubblici, 2003.
Le fasi della gara ad evidenza pubblica
145
In tale contesto, occorre precisare che il legislatore ha previsto
nel nuovo comma 1–ter dell’art. 19 della legge che l’appaltatore,
il quale «partecipa ad un appalto integrato di cui al comma 1
lett. b, deve possedere i requisiti progettuali previsti dal bando o
deve avvalersi di un progettista qualificato alla realizzazione del
progetto esecutivo individuato in sede di offerta o eventualmente
associato».
Naturalmente, l’affidamento della progettazione esecutiva
all’appaltatore comporta l’assunzione di ulteriori responsabilità,
così come lo stesso comma 1–ter sancisce: l’appaltatore risponde
infatti anche dei ritardi e degli oneri conseguenti alla necessità di
introdurre varianti in corso d’opera a causa di carenze nel progetto
esecutivo.
L’Autorità dei lavori pubblici con determinazione n. 27 del
16/10/2002 ha precisato che le stazioni appaltanti devono evitare che
lo strumento contrattuale dell’appalto integrato, soprattutto sotto la
soglia dei 200.000 euro, possa privilegiare le esigenze della realizzazione delle opere e delle imprese costruttrici rispetto a quelle esigenze
che sono tutelate con la progettazione; in particolare, l’Autorità ha
ritenuto che, in base al combinato disposto dell’art. 3, commi 2 ed
8 del d.p.r. 34/2000 e dell’art. 19, comma 1–ter della legge 109/94 e
s.m.i., per partecipare ad un appalto integrato, qualunque sia l’importo, i concorrenti possono essere in possesso sia dell’attestazione di
qualificazione per progettazione e costruzione, sia di quella per sola
costruzione. Nel primo caso è necessario che la relativa classifica sia
sufficiente a coprire la somma degli importi dei lavori, della sicurezza
e della progettazione e che l’impresa concorrente sia in possesso dei
requisiti ex art. 63, comma 1 lett. o) (nel caso in cui l’importo della
spese di progettazione sia compreso tra 100.000 euro e la soglia comunitaria) oppure ex art. 66 (nel caso in cui l’importo delle spese di
progettazione sia pari o superiore alla soglia comunitaria) del d.p.r.
554/99.
Nel caso di possesso dell’attestazione della sola costruzione oppure del possesso dell’attestazione di progettazione e costruzione senza
146
Capitolo III
però i requisiti suddetti, è necessario che la classifica posseduta sia
sufficiente a coprire la somma degli importi dei lavori e della sicurezza, e che il concorrente indichi o associ un progettista, il quale deve
possedere i requisiti di cui all’art. 63, comma 1 lett. o) oppure dell’art.
66 del d.p.r. 554/99.
Alla luce di quanto sinora espresso, nulla quaestio circa possibilità di attuare la procedura di scelta mediante appalto integrato
per lavori il cui importo sia inferiore alla soglia comunitaria; infatti, la stessa lettera della norma all’art. 19, comma 1 lett. b), della l.
109/94 e s.m.i., permette comunque il ricorso all’appalto integrato
sia per i lavori di importo inferiore a 200.000 euro ovvero pari o
superiore a 10 milioni di euro, indipendentemente dalla natura e
tipologia; sia, per qualsiasi importo, relativamente ai lavori la cui
componente impiantistica o tecnologica incida per più del 60%
del valore dell’opera oppure siano lavori di manutenzione, restauro e scavi archeologici.
Ciò significa che laddove l’importo dell’appalto sia maggiore di
200.000 euro e minore di 10 milioni di euro è necessario che ricorra la
tipologia di lavori indicata ai numeri 2) o 3) dell’art. 19, c. 1 lett. b).
Non più la linea ermeneutica ma la disciplina dettata dall’art. 83
del Codice (disposizione nata già a livello comunitario, soprattutto
alla luce della sentenza C–247/02 del 2004, della Corte di Giustizia
della CE) ha risolto positivamente l’applicabilità del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa anche per le fattispecie suddette dell’appalto integrato.
5. 1. La procedura negoziata
Per effetto delle disposizioni contenute nei commi 1–ter, così come
modificato dall’art. 1, comma 1 lett. t) n. 3) del d.lgs. 113/07, l’art. 56
e l’art. 57 sono entrati in vigore dal 1° agosto 2007 anche per gli appalti di lavori pubblici di qualsiasi importo, nei settori ordinari. (Vedi
commento all’art. 253).
Le fasi della gara ad evidenza pubblica
147
Prima di questa data, per effetto sia della l. 228/06 sia del d.lgs.
6/07 era rimasto in vigore per i lavori ordinari l’art. 24 della l. 109/94
e s.m.i.
Pertanto, la trattativa privata era stata ritenuta applicabile nel periodo transitorio secondo il contenuto dell’art. 24; ma tale interpretazione sistematica non era stata univocamente accettata dalla dottrina, infatti era stato posto qualche dubbio di applicabilità dell’art. 24
della Merloni vista la sua diversità con le previsioni sulla procedura
negoziata contenute nella Direttiva 2004/18/CE, che è direttamente
applicabile.
In altri termini, nel periodo complessivamente compreso tra il 13
luglio 2006 ed il 31 luglio 2007, una Stazione appaltante avrebbe dovuto seguire il contenuto dell’art. 24 della legge 109/94 e s.m.i. oppure avrebbe dovuto attenersi “immediatamente” alle previsioni della
Direttiva 2004/18/CE, artt. 30 e 31?
Da un lato, se si considerano come stringenti le regole della diretta
applicabilità delle norme Comunitarie chiare, incondizionate e scadute, il dubbio sulla applicabilità dell’art. 24 della legge Merloni appariva più consistente. D’altra parte, però, va tenuto in debito conto che
tale normativa nazionale (cioè l’art. 24 della l. 109/94 e s.m.i.) sembrava chiaramente tutelare in modo maggiore la concorrenzialità rispetto
alle previsioni letterali (cioè non adattate in ambito nazionale, come
necessario) della Direttiva 2004/18; il grado di garanzia della concorrenza poteva essere inteso in tale caso come criterio per modulare il
principio della diretta applicabilità della normativa comunitaria.
Si era finito per aderendo a quest’ultima linea ermeneutica per la
quale il regime normativo rimane nel periodo transitorio era quello
dell’art. 24 della legge 109/94 e s.m.i.
Ciò detto, e tornando al Codice De Lise, l’entrata in vigore degli
artt. 56 e 57 (efficacia rispettivamente operante per le procedure i cui
bandi siano pubblicati dopo il 1° agosto 2007 – art. 56 — ovvero per
le procedure in cui l’invito a presentare l’offerta sia inviato successivamente al 1° agosto 2007 – art. 57), è avvenuta con le modifiche operate
dal II Decreto correttivo.
148
Capitolo III
Il comma 1 dell’art. 56 ed il comma e dell’art. 57 (che più si avvicina alla tradizionale trattativa provata dell’art. 24 della legge Merloni)
recepiscono, con qualche minima diversità, le ipotesi tassative indicate dalla Direttiva 2004/18 in presenza delle quali è possibile ricorrere
a tale tipologia di procedura.
Non v’è dubbio che tale normativa in genere s’innesta in un processo espansivo — sebbene sempre e giustamente rigoroso, limitato e tassativo — che si era avviato con la c.d. legge Merloni–quater del 2002.
Infatti, pur rimanendo il principio della eccezionalità del suddetto
sistema di scelta del contraente negli appalti di lavori pubblici, che
era stato chiaramente ribadito dall’art. 20 della abrogata legge 109/94
e s.m.i., nel sistema normativo nato con le modifiche introdotte dalla
l. 166/2002 all’articolo 24 della legge Quadro in materia di appalti di
lavori pubblici, l’ambito di legittimità del ricorso al sistema di scelta
del contraente mediante trattativa privata è stato notevolmente esteso,
risultando possibile esperire la trattativa privata ogniqualvolta l’importo complessivo dell’appalto non superi i 100.000 euro e in questo
caso a prescindere da particolari ragioni o presupposti. Il legislatore
della Merloni–quater, con la disposizione in esame aveva inteso operare un ampliamento della possibilità di ricorrere all’istituto della trattativa privata, considerandola esperibile sempre e comunque laddove
l’importo dei lavori da affidare sia inferiore a 100.000 euro; il tutto
senza neanche fissare ulteriori presupposti o limiti, riconoscendo così
alle stazione appaltanti massima discrezionalità sul punto.
L’unico limite invalicabile era, quindi, quello economico, nel senso
che affinché la trattativa privata fosse legittima era necessario e sufficiente che l’importo dei lavori fosse inferiore a 100.000 euro.
Attualmente, la medesima disposizione relativa alla legittimità della
procedura negoziata per appalti il cui importo sia inferiore a 100.000
euro è rimasta in modo identico nell’art. 122, comma 7 del d.lgs.
163/07: oltre ai casi di cui agli artt. 56 e 57, la procedura negoziata —
sembra potersi dire senza previo bando di gara, fatta salva ovviamente
la discrezionalità dell’amministrazione — è ammessa anche per lavori
di importo complessivo non superiore a centomila euro.
Le fasi della gara ad evidenza pubblica
149
È cambiata la disposizione di tale previsione, non più evidentemente inserita negli articoli 56 e 57, proprio perché riguarda — per
via dell’importo degli appalti considerati — il Titolo II della Parte II
del Codice, dedicata appunto ai contratti sotto la soglia comunitaria.
Per le rimanenti ipotesi contemplate tassativamente dagli artt.
56 e 57 si riduce notevolmente il numero (ma aumenta il quantum)
delle soglie di importo che caratterizzavano la precedente disciplina
dell’art. 24; ma sussistono anche oggi le situazioni, in parte mutate,
che sole consentono il ricorso alla procedura negoziata.
Ciò detto e venendo, in breve, all’analisi degli artt. 56 e 57 a sèguito
delle modifiche apportate dal d.lgs. 113/07, va precisato che, in particolare, nell’art. 56 della vecchia formulazione sono stati soppressi due casi
di ricorso alla procedura, indicati nelle lettere b) e c) del comma 1.
Vediamo, perciò, le caratteristiche principali della procedura negoziata previa pubblicazione di un bando di gara.
Nella lett. a) del comma 1 dell’art. 56, la cui applicabilità è limitata
esclusivamente per gli affidamenti di lavori il cui importo sia inferiore ad
un milione di euro, il riferimento è alle offerte o ai requisiti degli offerenti presentati nella precedente procedura aperta o ristretta o di dialogo
competitivo, i quali siano risultati irregolari ovvero inammissibili. Ferma
restando una situazione pregressa di esperimento di una delle suddette
procedure e di presentazione di requisiti e offerte irregolari ovvero inammissibili, il secondo periodo della lett. a) consente alla stazione appaltante
di omettere la pubblicazione del bando di gara nell’ipotesi in se essa invitasse alla procedura negoziata successiva tutti i concorrenti in possesso
dei requisiti previsti dagli artt. 34–45 e “che, nella procedura precedente,
hanno presentato offerte rispondenti ai requisiti formali della procedura medesima”. Da tale assunto, dovrebbe concludersi che l’irregolarità o
l’inammissibilità delle offerte e dei requisiti precedentemente presentati,
per poter consentire alla stazione appaltante l’omissione della pubblicazione del bando, debba attenere il loro profilo sostanziale12.
12. Cfr., R. Mangani, Procedura negoziata, maglie più larghe rispetto alla Merloni, in
»Edilizia e Territorio», n. 17/2006, pp. 34 e 35.
150
Capitolo III
In altri termini, la prima parte della lett. a) sembra configurare
un’ipotesi più ampia rispetto alla specificazione compiuta dalla seconda
parte della lett. a), la quale si riferisce all’ipotesi in cui la stazione appaltante inviti alla procedura negoziata tutti i concorrenti in possesso dei
requisiti indicati e che abbiano partecipato alla procedura precedente
presentando offerte rispondenti ai requisiti formali della procedura medesima: in tal caso opererebbe la facoltà di omettere la pubblicazione
del bando e l’inammissibilità o l’irregolarità delle offerte e dei requisiti
allora presentati attenga il profilo sostanziali degli stessi.
Un’ultima precisazione: oltre al limite d’importo fissato dalla lettera a) per esperire la procedura in oggetto, la stessa disposizione sancisce un altro limite: nella procedura negoziata non possono essere
modificate in modo sostanziale le condizioni iniziali del contratto.
Le seguenti lettere b) e c) del comma 1 dell’art. 56 sono state, come
detto poc’anzi, soppresse dal d.lgs. 113/07. Rimane la lett. d) del comma 1, in cui è descritta l’ipotesi di lavori realizzati unicamente a scopo
di ricerca, sperimentazione e messa a punto: la particolarità di tali
lavori è quella di essere sciolti da logica redditizia o comunque di mercato, così come la stessa lett. d) indica chiaramente.
Occorre, ora, analizzare il disposto contenuto nell’art. 57, che come
già evidenziato, è quello che più richiama alla memoria la trattativa
privata della legge Merloni.
Dal comma 6 dell’art. 57 si possono ricavare tre importanti vincoli
posti dalla normativa per tutti i casi ivi indicati (tranne ovviamente e
già in via astratta quelli della lett. b) del comma 2):
a) il primo, piuttosto ovvio, consiste nel fatto che la stazione appaltante individua gli operatori economici sulla base di informazioni riguardanti le caratteristiche di qualificazione dedotte dal
mercato;
b)il secondo consiste nell’evitare che la stazione appaltante tratti sempre con i medesimi soggetti, imponendo così la norma il
criterio della rotazione, che si unisce a quelli della trasparenza e
della concorrenza;
Le fasi della gara ad evidenza pubblica
151
c) il terzo riguarda il numero dei soggetti minimi da invitare: almeno tre, sempre che sussista un tal numero di operatori economici idonei.
Tutto il comma 6, però, è animato da una relativizzazione di tali
condizioni poste: infatti, a ben osservare, il tenore letterale del comma
è basato sul “dovere” di rispettare i tre limiti ove ciò sia “possibile”.
In altri termini, il ricorso a questa procedura dovrà necessariamente, a
pena di illegittimità della scelta, essere spiegato e storicizzato esaurientemente e coerentemente dalla stazione appaltante nella motivazione
del provvedimento, in cui manifesti l’attuazione della sua discrezionalità tutta innervata appunto nella relatività delle tre condizioni poste
dal legislatore nel comma 6 dell’art. 57.
Sempre il comma 6 individua altri doveri, stavolta non derogabili mai,
da rispettare nella procedura: contemporaneità degli inviti a presentare
l’offerta; per la scelta dell’affidatario, l’utilizzabilità sia del criterio del
prezzo più basso sia dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
In breve, analizziamo alcune caratteristiche delle ipotesi che consentono il ricorso a tale procedura e contenute nel comma 2 dell’art. 57.
La lettera a) fissa le medesime due limitazioni già viste nella lettera
a), comma 1 dell’art. 56: il limite dell’importo (solo se inferiore a un
milione di euro) ed il divieto di modificazione delle condizioni iniziali
del contratto durante la procedura.
L’ipotesi in essa prevista è quella in cui, in esito all’esperimento di
una procedura aperta o ristretta, non siano state presentate offerte
(c.d. gara andata deserta) ovvero nessuna offerta appropriata.
Va comunque evidenziato che il concetto di offerta “non appropriata” sembra circoscrivere la sua portata alla sostanza dell’offerta
stessa, a prescindere quindi dal suo profilo di rispondenza sul piano
formale13, sembra una soluzione simmetricamente opposta a quella
della lett. a comma 1 dell’art. 56.
13. Cfr. R. Mangani, La procedura, op. cit., p. 36. Sembra una soluzione simmetricamente opposta a quella della lett. a.
152
Capitolo III
La lettera b) ovviamente osta intrinsecamente e quindi già per natura della fattispecie qui posta con l’obbligo di procedere alla selezione di almeno tre operatori economici. Da tale ipotesti va tenuta completamente distinta e non confusa la situazione, ben diversa, prevista
invece dall’art. 68 del Codice, relativamente alle specifiche tecniche, le
quali riguardano il bando di gara e la documentazione del contratto.
Infatti, è da escludersi la sussistenza dei presupposti per procedere
mediante affidamento diretto quando vi sia margine esclusivamente
per una gara ad evidenza pubblica sulla base del fatto che, normativamente, v’è la previsione contenuta nell’art. 68, comma 13 (il quale
richiama i commi 3 e 4 dello stesso articolo) del d.lgs. 163/06
L’art. 68 del citato decreto legislativo — che è applicabile soprasoglia ma anche per i contratti sotto soglia comunitaria14 — riguarda le
specifiche tecniche, le quali attengono al contenuto ed alle modalità di
redazione degli atti di gara; il comma 13 prevede in particolare la possibilità della menzione delle specifiche tecniche — in via d’eccezione
— nel caso in cui la descrizione precisa non sia possibile sulla base di
quanto detto nei commi 3 e 4 dello stesso articolo ed a condizione che
venga utilizzata l’espressione “o equivalenti”.
La lettera c) del comma 2 dell’art. 57 riguarda l’ipotesi classica della
c.d. estrema urgenza; essa deve risultare da eventi imprevedibili e non
imputabili alla stazione appaltante, per cui risulterebbe incompatibile
quell’urgenza con i termini imposte per le altre procedure.
Nell’art. 24 della l. 109/94 e s.m.i. era previsto che affinché la trattativa privata fosse legittima era necessario e sufficiente che l’importo
dei lavori fosse inferiore a 100.000 euro (come attualmente è sancito nell’art. 122, comma 7 del Codice), mentre per importi di lavori
superiori a tale cifra (e inferiori a 300.000 euro) era imprescindibile
il rispetto dei presupposti tassativamente indicati dall’art. 41 del r.d.
827/1924. pertanto, vigeva nell’ar. t 24 della Merloni un generico rin-
14. Cfr. Circ. del Dipartimento per le Politiche Comunitarie datata 29/4/2004, in GU
12/7/2004 “Principi da applicare, da parte delle stazioni appaltanti, nell’indicazione delle
specifiche tecniche degli appalti pubblici di forniture sotto soglia comunitaria”.
Le fasi della gara ad evidenza pubblica
153
vio all’ar. 41 del r.d. 827. infatti, secondo l’art. 41, comma 1, n. 5), il
ricorso alla trattativa privata è consentito “quando l’urgenza dei lavori
…sia tale da non consentire l’indugio degli incanti o della licitazione”; mentre, ancor più in generale, secondo l’art. 41, comma 1, n. 6)
può precedersi all’affidamento diretto «in genere in ogni altro caso in
cui speciali ed eccezionali circostanze per le quali non possano essere
utilmente seguite le forme degli artt. da 37 a 40 del presente regolamento» (si tratta delle cosiddette ipotesi di “prestatore determinato”,
in cui cioè l’amministrazione non può che stipulare con un soggetto
ad hoc, ipotesi che oltretutto specificano l’ambito di operatività del
disposto generale di cui all’art. 6 della legge di contabilità (r.d. 18. 11.
1923, n. 2440) secondo il quale «qualora, per speciali ed eccezionali
circostanze, che dovranno risultare dal decreto di approvazione del
contratto, non possano esser utilmente seguite le forme indicate negli
artt. 3 e 4, il contratto potrà essere concluso a trattativa privata». Secondo buona parte della dottrina, ricorreva tale ipotesi non soltanto
nei casi di oggettiva impossibilità di esperimento di gara, ma anche
quando della gara stessa non appaia la convenienza, non avendo
altrimenti senso il termine “utilmente” utilizzato dal legislatore. A
detta di tale dottrina, giustificavano il ricorso alla trattativa privata
ad esempio: l’opportunità di evitare la coesistenza di due ditte sul
medesimo luogo di lavoro o di eliminare interferenze con altre ditte; la indifferibilità degli interventi; l’indissociabilità degli ulteriori
interventi rispetto a quelli di contratto; il vantaggio di assicurarsi la
collaborazione della ditta per lo studio del progetto o delle varianti
tecniche da apportarsi durante l’esecuzione dell’intervento e, in genere, l’irrinunciabile vantaggio dell’Amministrazione, e così via dicendo, data l’ampiezza della formula usata dal legislatore. Dunque,
“le speciali ed eccezionali circostanze” potevano consistere anche in
ragioni di opportunità serie e motivate, obiettivamente sussistenti.
La riprova di ciò sembrava potersi dedurre dalla sentenza del TAR
Lazio, (sez. I, 13. 2. 1993, n. 233) secondo cui «a norma dell’art. 41,
r.d. 23. 5. 1924, n. 827, la trattativa privata è consentita soltanto in
particolari situazioni specificate dalla norma medesima ovvero per
154
Capitolo III
ragioni di urgenza o quando ricorrano speciali ed eccezionali circostanze»).
Riguardo al n. 5 dell’art. 41 del r.d. 827/24, secondo la giurisprudenza, al fine di giustificare appunto il ricorso alla trattativa privata ex
art. 41, n. 5, l’urgenza deve essere tale da potersi fondatamente ritenere che il rinvio dell’intervento per il tempo necessario allo svolgimento della gara comprometterebbe la tempestività dell’intervento stesso
(Corte dei Conti, sez. contr. dello Stato, 23. 1. 1986, n. 1625 e 5. 12.
1985, n. 1604), deve inoltre essere caratterizzata dall’imprevedibilità
dell’evento (Corte dei Conti, sez. contr. dello Stato, 3. 8. 1996, n. 117)
e non deve derivare da ritardo imputabile all’amministrazione (Cons.
Stato, V, 26. 6. 1996, n. 802; Corte dei Conti, sez. contr. dello Stato,
17. 3. 1993, n. 33).
Pertanto, l’ipotesi in cui si pote(va) ricorrere alla trattativa privata
prevista al punto 5 dell’art. 41, lascia(va) all’amministrazione un largo
margine di discrezionalità, ma l’urgenza deve essere convenientemente dimostrata, deve essere imprevista e di carattere oggettivo.
Sulla base di queste considerazioni, l’art. 57, comma 2 lett. c)
recepisce le quattro caratteristiche dell’urgenza: estrema, imprevedibile, non imputabile alla stazione appaltante, tale da non essere
compatibile con le altre procedure aperte o ristretta o dell’art. 56.
D’altra parte, come maggiore apertura dell’ipotesi di ricorso della
stessa, il legislatore del Codice ha qui tolto ogni limite di importo,
cadendo dunque il riferimento per i soli lavori di importo inferiore
a 300mila euro.
Rimane fermo che, come per ogni altra ipotesi, l’affidamento mediante procedura negoziata deve essere adeguatamente motivato; la
stessa giurisprudenza ha evidenziato — con riferimento logicamente
all’allora art. 24, comma 1 lett. a) dell’abrogata legge Merloni — l’insindacabilità di tale scelta: “in materia di contratti della p.a. è insindacabile — in sede di legittimità — la scelta del sistema della trattativa
privata, purché sia data motivazione della ricorrenza di una delle ipotesi che ai sensi dell’art. 41 r.d. 827/1924 giustificano la scelta medesima” (TAR Sicilia, sez. I, 31. 5. 1989, n. 425).
Le fasi della gara ad evidenza pubblica
155
Infine, è da precisare che, come già s’è detto in precedenza, la legge
201/0815 ha inserito nell’art. 122 il comma 7–bis, nel quale si è disposto che I lavori di importo complessivo pari o superiore a 100.000
euro e inferiore a 500.000 euro possono essere affidati dalle stazioni
appaltanti, a cura del responsabile del procedimento, nel rispetto dei
principi di non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza, e secondo la procedura prevista dall’articolo 57,
comma 6; l’invito è rivolto ad almeno cinque soggetti, se sussistono
aspiranti idonei in tale numero.
6. I criteri di aggiudicazione
6.1. Il prezzo più basso: la soglia di anomalia e la verifica di congruità
Nell’art. 81 del Codice viene prescritto che nei contratti pubblici la
migliore offerta è selezionata con il criterio del prezzo più basso o con
il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Logicamente, le stazioni appaltanti scelgono tra i due suddetti
criteri quello più adeguato in relazione alle caratteristiche dell’oggetto del contratto, e indicano nel bando di gara quale dei due
criteri di cui al comma 1 sarà applicato per selezionare la migliore
offerta.
L’art. 86, comma 1 detta precise regole per calcolare la c.d. soglia
di anomalia: infatti, non tutti i ribassi offerti sono ex se legittimi; più
un’offerta è bassa e più sale il sospetto che possa esserci qualche meccanismo illegittimo e/o illecito che l’abbia determinata. Verificare se
vi siano o meno tali illegittimità e/o illiceità è preciso dovere della
stazione appaltante, la quale pertanto fisserà, mediante il calcolo che
fra breve verrà indicato, la soglia al di sopra della quale eseguirà le
opportune analisi (c.d. verifica di congruità dell’offerta anormalmente
bassa), per poi procedere all’aggiudicazione provvisoria.
15. Con l’articolo 1, comma 10–quinquies.
156
Capitolo III
Nell’art. 86, comma 1, pertanto, viene stabilito che quando il criterio di aggiudicazione è quello del prezzo più basso, le stazioni appaltanti valutano la congruità delle offerte che presentano un ribasso
pari o superiore alla media aritmetica dei ribassi percentuali di tutte
le offerte ammesse, con esclusione del dieci per cento, arrotondato
all’unità superiore, rispettivamente delle offerte di maggior ribasso e
di quelle di minor ribasso, incrementata dello scarto medio aritmetico
dei ribassi percentuali che superano la predetta media. Dunque (tenendo presente che il ribasso è espresso in percentuale):
– si calcola il 10% del numero delle offerte ammesse, e lo si arrotonda all’unità superiore (es. 32 offerte ammesse: 3,2 è il 10%,
arrotondato a 4);
– si escludono dal calcolo le quattro offerte che hanno presentato
un ribasso più basso e le quattro offerte che ne hanno presentato uno più alto (rimanendo così nel calcolo 32 – 8 (4 + 4) = 14
ribassi offerti);
– delle offerte rimaste si calcola la media aritmetica;
– dei ribassi i cui scarti siano superiori alla media aritmetica ottenuta, viene calcolata autonoma media aritmetica (es. media
di tutti i ribassi pari a 15; dei ribassi singoli che superino tale
percentuale — es. 16, 17, 18 — a loro volta si calcola la media
aritmetica: 1 + 2 + 3 = 2);
– si sommano le due medie aritmetiche calcolate (es. 15 + 2) ottenendo così la soglia di anomalia (= 17%).
Dopo aver calcolato la soglia di anomalia, si applica il procedimento
descritto negli artt. 87 e 88 del Codice. In particolare, quando un’offerta
appaia anormalmente bassa, la stazione appaltante richiede all’offerente
le giustificazioni ritenute pertinenti in merito agli elementi costitutivi
dell’offerta medesima. All’esclusione potrà provvedersi solo all’esito
dell’ulteriore verifica, in contraddittorio.
Va ancora detto che, ai sensi dell’art. 87 comma 2, le giustificazioni
possono riguardare, a titolo esemplificativo:
Le fasi della gara ad evidenza pubblica
157
a) l’economia del procedimento di costruzione, del processo di
fabbricazione, del metodo di prestazione del servizio;
b)le soluzioni tecniche adottate;
c) le condizioni eccezionalmente favorevoli di cui dispone l’offerente per eseguire i lavori, per fornire i prodotti, o per prestare i
servizi;
d)l’originalità del progetto, dei lavori, delle forniture, dei servizi
offerti;
e) l’eventualità che l’offerente ottenga un aiuto di Stato;
f) il costo del lavoro come determinato periodicamente in apposite
tabelle dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sulla base
dei valori economici previsti dalla contrattazione collettiva stipulata dai sindacati comparativamente più rappresentativi, delle
norme in materia previdenziale e assistenziale, dei diversi settori
merceologici e delle differenti aree territoriali; in mancanza di
contratto collettivo applicabile, il costo del lavoro è determinato
in relazione al contratto collettivo del settore merceologico più
vicino a quello preso in considerazione.
La procedura è indicata dall’art. 88 del Codice.
Per quanto riguarda gli appalti aventi importo sotto la soglia comunitaria, vogono le seguenti prescrizioni che sono state da ultimo
modificate dal d.lgs. 152/08; in particolare, se con la vigenza della legge Merloni si procedeva obbligatoriamente all’escluzione automatica
delle offerte anormalmente basse (sempre per gli appalti sotto soglia
comunitaria), con il Codice De Lise vige attualmente la prescrizione
(art. 122, comma 9; parallelo per i servizi e le forniture, con altra indicazione di importo, ex art. 124, comma 8), secondo cui per lavori
d’importo inferiore o pari a 1 milione di euro quando il criterio di
aggiudicazione è quello del prezzo più basso, la stazione appaltante
può prevedere nel bando l’esclusione automatica dalla gara delle offerte che presentano una percentuale di ribasso pari o superiore alla
soglia di anomalia individuata ai sensi dell’articolo 86; in tal caso non
si applica l’articolo 87, comma 1. Comunque la facoltà di esclusione
158
Capitolo III
automatica non è esercitabile quando il numero delle offerte ammesse
è inferiore a dieci; in tal caso si applica l’articolo 86, comma 3.
Tre importanti precisazioni:
a) l’art. 86, comma 3–ter: il costo relativo alla sicurezza non può
essere comunque soggetto a ribasso d’asta;
b)stabilisce il comma 4 dell’art. 86 che il calcolo della soglia di
anomalia non si applica quando il numero delle offerte ammesse
sia inferiore a cinque. In tal caso le stazioni appaltanti procedono ai sensi del comma 3;
c) ai sensi del comma 3 dell’art. 86, in ogni caso le stazioni
appaltanti possono valutare la congruità di ogni altra offerta che, in base ad elementi specifici, appaia anormalmente
bassa.
6.2. Il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa
Le grandi novità dell’articolo sono: la possibilità per la stazione appaltante di prevedere tale criterio di valutazione dell’offerta
migliore senza le limitazioni prima esistenti (art. 21, comma 1–ter
della l. 109/94 e s.m.i.); rispetto l’art. 21, comma 2 della legge Merloni e dei corrispondenti articoli per le altre tipologie di appalto
(vedi il d.lgs. 158/95), il comma 1 dell’art. 83 del Codice raccoglie
gli elementi di valutazione, espressi a titolo indicativo, ed aggiunge
le caratteristiche ambientali; il comma 3 dell’art. 83, recependo le
indicazioni dell’art. 53 della Direttiva 18, precisa l’applicazione solo
in via subordinata si applica il criterio dell’indicazione nel bando
dell’ordine decrescente di importanza dei criteri; il comma 4 sancisce quello che prevedeva l’art. 91, comma 2 del d.p.r. 554/99, precisando a differenza che tale ulteriore indicazione avviene “se necessario”. La limitazione del comma 4 nasce verosimilmente sulla base
della sentenza di condanna per l’Italia pronunciata dalla Corte di
Giustizia CE su rinvio pregiudiziale del Consiglio di Stato, sez. VI,
n. 5033/2004.
Le fasi della gara ad evidenza pubblica
159
A tal proposito il comma 5 contiene un rinvio all’emanando regolamento per la disciplina di dettaglio circa l’attuazione della ponderazione del punteggio a ciascun elemento dell’offerta.
La più celebre novità della normativa ex art. 83 è quella di aver recepito sia la direttiva 18 (art. 53) sia l’indirizzo giurisprudenziale della
Corte di Giustizia CE, specie nella Causa C–247/02. Ecco in breve gli
aspetti giuridici di base16.
Innanzitutto, occorre evidenziare che, nel sistema previdente, una
delle innovazioni della legge Merloni è stata quella di aver introdotto
(sebbene con particolari limitazioni) il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa anche per gli appalti sotto soglia comunitaria.
Prima della l. 166/2002 l’utilizzo di tale criterio d’aggiudicazione era
ammesso solo per le concessioni e per l’appalto–concorso, cioè per
quelle procedure in cui risulta indispensabile l’apporto progettuale
dei concorrenti, quale che fosse l’importo dei lavori.
Con la Merloni–ter e la Merloni–quater il quadro era stato ulteriormente modificato ed ampliato; in particolare, la l. 415/98 aveva
reso non tassativo l’elenco degli elementi di valutazione, mentre la
l. 166/02 aveva ampliato la possibilità di utilizzo del criterio in oggetto.
In particolare, ai sensi dell’attuale art. 21 della legge Quadro, comma 1–ter, aveva consentito l’utilizzo del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa anche per il pubblico incanto e per la
licitazione privata, al ricorrere però dei seguenti presupposti: a) che
si trattasse di appalti di importo superiore alla soglia comunitaria;
b) che si trattasse di appalti in cui, per la prevalenza della componente tecnologica o per la particolare rilevanza tecnica delle possibili
soluzioni progettuali, si ritenesse che la progettazione avrebbe potuto essere utilmente migliorata con integrazioni tecniche proposte
dall’appaltatore.
16. Quanto segue è trattato da V. Capuzza, Profili giuridici su: la Commissione giudicatrice nell’appalto–concorso; il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Applicabilità all’asta pubblica ed alla licitazione privata alla luce della Sentenza della corte di giustizia CE
C–247/02, collana Quaderni IGOP, n. 02, 2005.
160
Capitolo III
Per le procedure di scelta mediante pubblico incanto o licitazione
privata aventi i suddetti connotati, tale criterio di aggiudicazione rimaneva facoltativo in luogo di quello del prezzo più basso.
In questi casi, inoltre, gli elementi da tenere da conto per la valutazione erano quelli espressi nell’art. 21, comma 2, cioè gli stessi elementi richiesti per le concessioni e per l’appalto–concorso.
La dottrina, sempre in ordine all’ambito applicativo del criterio
dell’offerta economicamente più vantaggiosa, aveva ritenuto che lo
stesso doveva essere utilizzato anche nell’appalto integrato, anche se
la legge Merloni non stabiliva nulla sul punto; la ragione di tale interpretazione dottrinale risiedeva nel fatto che nell’appalto integrato il
concorrente assume anche l’incarico della progettazione esecutiva.
La determinazione dei coefficienti per le voci indicate era lasciata
(come attualmente rimane) alla discrezionalità dell’Amministrazione
che indice la gara, in relazione ai lavori da eseguire.
In questo caso, dunque, la ratio del Legislatore è quella di rendere
insussistente il riconoscimento della necessaria prevalenza da attribuirsi all’elemento prezzo, privilegiando anche altre voci (tempo, valore
tecnico, ecc.) e con esse la discrezionalità della P.A.
L’aggiudicazione perciò non verrà determinata esclusivamente dal
prezzo.
Come detto, nell’aggiudicazione degli appalti mediante il criterio
dell’offerta economicamente più vantaggiosa alcuni degli elementi
elencati hanno natura quantitativa (ad esempio, prezzo, tempo, impegno in materia di pezzi di ricambio), altri natura qualitativa (ad
esempio, valore tecnico, valore estetico e funzionale), comportando
per questi ultimi una problematica consistente nell’attribuire indici
numerici alla qualità stessa; a tal proposito, va specificato altresì che
la previa esplicitazione gerarchica degli elementi di valutazione da
effettuarsi nel bando o nel capitolato d’oneri, pur dovendo palesare
un’articolazione sufficiente a mostrare la volontà dell’amministrazione
appaltante, non pare sia assoggettabile a particolari oneri di motivazione, in considerazione dell’amplissimo carattere discrezionale della
stessa P.A. procedente.
Le fasi della gara ad evidenza pubblica
161
In tal senso, è stato chiarito in giurisprudenza che
in tema di contratti della p.a., allorché questa segua la procedura di scelta del
contraente dell’offerta economicamente più vantaggiosa, il mero punteggio
numerico (stabilito tra un minimo ed un massimo dati) può essere inteso
come una sufficiente motivazione dei suoi apprezzamenti solo quando i criteri di valutazione prefissati erano adeguatamente dettagliati17,
ed ancora che
L’indicazione generica — contenuta nel bando di gara […] — di una pluralità di elementi in base ai quali individuare l’offerta economicamente più
vantaggiosa, priva dei criteri di valutazione degli stessi secondo una scala
di valori indicativa di un loro ordine di importanza, rende illegittima “ab
origine” la disciplina di gara e, in via derivata, l’operato della commissione
che, sopperendo in sede di gara alle lacune del bando, abbia proceduto alla
gradazione dei fattori di valutazione, all’individuazione del punteggio massimo riconoscibile e alla suddivisione e distribuzione di quest’ultimo tra gli
elementi fissati nel bando, con ciò effettuando scelte discrezionali di esclusiva pertinenza dell’amministrazione18.
Inoltre, è stato chiarito dalla giurisprudenza, pressoché uniforme,
che il criterio di aggiudicazione fondato sull’offerta economicamente
più vantaggiosa (introdotto nell’ordinamento italiano dalla l. 584/1977
in ossequio alla direttiva della CEE n. 305/1971) si differenzia dagli altri utilizzati nella licitazione privata — ante Sentenza C–247/CE della
Corte di Giustizia CE — (cioè massimo ribasso, offerta prezzi, media
mediata, ecc.), proprio perché postula una maggiore discrezionalità in
capo all’amministrazione; infatti
l’aggiudicazione ha luogo non solo in ragione dell’offerta economica prodotta dal concorrente bensì in base alla considerazione congiunta di una pluralità di elementi di valutazione (ad es. valore tecnico dell’opera, tempo di
esecuzione, prezzo complessivo, ecc.) che l’amministrazione deve specificare
in sede di bando di gara indicandoli in ordine decrescente di importanza
17. Cfr. TAR Lombardia, 22/12/2003, n. 1783.
18. Cfr. TAR Lazio, 6/2/2004, n. 36.
162
Capitolo III
disciplinando, poi, attraverso la lettera di invito, i criteri di attribuzione del
punteggio relativo a ciascun elemento di valutazione)19.
Ovviamente, non garantire mediante la formula applicativa quei
criteri di attribuzione del punteggio, significa che di fatto l’amministrazione non ha esercitato correttamente il potere attribuitole e quindi ha determinato un atto illegittimo perché viziato da eccesso di potere e da violazione di legge.
La sentenza della Corte di Giustizia della CE del 2004, C–247/02
ha interloquito sulla compatibilità della disciplina italiana della legge
Merloni con il diritto comunitario, specie con l’art. 30 della Direttiva
93/37/CEE in tema di coordinamento delle procedure degli appalti
pubblici di lavori.
A tal riguardo giova ricordare che per il coordinamento delle procedure d’aggiudicazione di appalti pubblici di lavori, servizi, forniture
è stata emanata la direttiva 2004/18/CE per la quale le legge Comunitaria 2004 ha delegato il Governo ad emanare uno o più Decreti
Legislativi d’adeguamento.
Nella Sentenza citata, i giudici della Corte di Giustizia (Seconda
Sezione) hanno dichiarato che
L’art. 30, n. 1, della direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/37/CEE, che
coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici, dev’essere interpretato nel senso che osta ad una normativa nazionale la quale,
ai fini dell’aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici mediante procedure di gara aperte o ristrette, imponga, in termini generali ed astratti, alle
amministrazioni aggiudicatrici di ricorrere unicamente al criterio del prezzo
più basso.
È chiaro il riferimento all’art. 21, comma 1 della legge 109/94 e
s.m.i., in cui era sancito che l’aggiudicazione mediante pubblico incanto o licitazione privata venga effettuata con il criterio del prezzo
più basso.
19. TAR Calabria Catanzaro, 2 maggio 1991, n. 253.
Le fasi della gara ad evidenza pubblica
163
Questa pronuncia va letta in seguito ed in perfetta congiunzione
alla precedente Sentenza del 27/11/2001 Causa C–285/1999 sempre
della Corte di Giustizia della CE, ove già l’art. 21 era stato dichiarato
contrastante con la normativa Comunitaria; infatti, a seguito del dichiarato conflitto di norme, il legislatore nazionale aveva aggiunto il
comma 1–ter all’art. 21 con la l. 166/2002.
Ed è soprattutto quest’ultima aggiunta del comma 1–ter (riguardante, come già detto, la possibilità di aggiudicare mediante asta pubblica o licitazione privata con il criterio dell’offerta economicamente
più vantaggiosa, purché l’importo sia superiore alla soglia comunitaria) che si ritiene debba essere evidenziata alla luce del quadro di riferimento europeo, per il quale invece (come emerge anche dall’ultima
sentenza C–247/02 del 2004) non doveva esserci limite per l’adozione
del criterio suddetto, nemmeno per gli appalti di importo inferiore
alla soglia comunitaria.
Tutto ciò considerato, la Corte di Giustizia della CE, che ai sensi
dell’art. 220 del Trattato assicura il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei Trattati e degli atti normativi derivati,
ha appunto la funzione di fornire un’interpretazione uniforme delle norme di diritto comunitario, permettendone così l’applicazione
negli Stati membri; in quest’ottica, se è vero, d’altra parte, che per i
regolamenti comunitari ex lege (art. 249) vale la diretta applicabilità
in ciascuno degli Stati membri, ed anche per le direttive comunitarie
è ammessa la diretta applicabilità a condizione che essa sia chiara, incondizionata e scaduta20, tutto ciò comporta, d’altro canto, che anche
per le sentenze della Corte di Giustizia vada verificata la sussistenza
della caratteristica della loro diretta applicabilità negli Stati membri
dell’UE
20. Cfr. in particolare, Corte di Giust., sent. 4 dicembre 1974, Yvionne Von Duyn c.
Home Office – causa 41/74; sent. 5 aprile 1990, A. Foster e altri c. British Gas plc – causa
188/89; sent. 26 febbraio 1986, M.H. Marshall c. Southampton and South–West Hampshire
Area Healt Authority – causa 152/84; sent. 10 aprile 1984, Von Kolson e Kamann c. Land
Renania del Nord–Westfalia – causa 14/83; sent. 19 novembre 1991, Andrea Francovich e a.
c. Repubblica italiana – cause riunite C–6/90 e C–9/90.
164
Capitolo III
Vi è d’aggiungere inoltre che, sebbene la Corte Costituzionale con
Sentenza 170/1984 (ed, a seguire, con le Sentenze 64/90 e 168/91)
abbia ammesso la possibilità della diretta applicabilità delle direttive
comunitarie all’interno degli Stati membri21, la stessa Consulta ha ben
puntualizzato che l’evenienza richiede ulteriormente il riscontro di alcuni presupposti sostanziali: a) la prescrizione deve essere incondizionata e sufficientemente precisa; b) lo Stato destinatario deve risultare
inadempiente per essere inutilmente decorso il termine di attuazione
della direttiva (sul punto cfr. anche Cass. civ., Sez. I, 01/02/2000, n.
1099).
Allo stesso modo, dopo alcune sentenze contrarie, la Corte Costituzionale ha iniziato a considerare, contemporaneamente al riconoscimento della superiorità del diritto comunitario, i principi interpretativi della Corte di Giustizia della CE come partecipanti allo stesso
diritto comunitario, finanche ha cominciato a ritenere le sentenze della Corte di Giustizia come prevalenti sul diritto nazionale, divenendo
così direttamente applicabili nei principi espressi, a condizione che
questi fossero chiari, precisi e concordanti.
Comunque, dopo l’emanazione della direttiva 2004/18/CE del
Parlamento Europeo e del Consiglio datata 31/3/2004 (relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici
di lavori, di forniture e di servizi), il legislatore nazionale con la legge
18 aprile 2005, n. 62, Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle comunità europee. legge comunitaria 2004 (GU 96 del 27 aprile 2005, Supplemento ordinario n.
76), ha delegato nell’art. 1 il Governo all’adozione, entro il termine
di diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della stessa legge, per
l’emanazione di decreti legislativi recanti le norme occorrenti all’attuazione delle direttive indicate. In particolare, l’art. 25 della legge
comunitaria, relativamente al recepimento della direttiva 2004/18, ha
21. Sulla scia di analoga estensione già operata dalla Corte Costituzionale con le pronunce 113/85 e 389/89 in riferimento alle sentenze interpretative della Corte di Giustizia
della CE.
Le fasi della gara ad evidenza pubblica
165
obbligato espressamente il Governo al rispetto dei principi e criteri
direttivi esistenti ed in particolare alla compilazione di un unico testo
normativo e soprattutto (art. 25, comma 1 lett. d) all’adeguamento
della normativa proprio alla sentenza della Corte di Giustizia della CE
datata 7/10/2004 C–247/02.
Ecco come sono nati l’art. 81 e l’art. 83 del Codice.
In particolare, le voci che la Stazione appaltante può indicare nel
bando e alle quali debba attribuire un peso (la cui totalità sia pari a
100/100), sono espresse a titolo esemplificativo nell’art. 83 del Codice; fra queste compare il riferimento ambientale ed energetico.
Per i metodi di calcolo del punteggio per ogni offerta presentata, la
quale verrà dapprima valutata dalla Commissione nella compenente
tecnica in seduta riservata e poi nell’elemento prezzo, sono indicati
dettagliatamente nell’allegato B al d.p.r. 554/99 (metodo electre e metodo aggregativo–compensatore).
Una precisazione: dispone l’art. 86, comma 2 che quando il criterio di aggiudicazione è quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa, le stazioni appaltanti valutano la congruità delle offerte in
relazione alle quali sia i punti relativi al prezzo, sia la somma dei punti
relativi agli altri elementi di valutazione, sono entrambi pari o superiori ai quattro quinti dei corrispondenti punti massimi previsti dal
bando di gara.
Rimane fermo che, anche in prsenza di un cosolo elemento pari
o superiore ai 4/5 la Stazione appaltante può comunque valutare la
congruità tale offerta poichè, in base ad elementi specifici, essa appare
anormalmente bassa.
6.3. La Commissione ex art. 84 del Codice
La condizione: se è adottato il criterio dell’offerta economicamente
più vantaggiosa la valutazione delle offerte è demandata alla Commissione. Per la sua composizione e per lo svolgimento dei suoi compiti opera l’articolo in esame. Vengono previste alcune novità rispetto
l’art. 21 della legge Merloni e l’art. 92 del d.p.r. 554/99 (quest’ultimo
166
Capitolo III
continua per ora ad essere vigente, tranne per i commi 1, 2 e 5): innanzitutto l’estensione delle regole alle Commissioni anche per appalti di
servizi, forniture e settori speciali (cosa che prima da parte di alcuna
dottrina veniva sostenuta in forza dell’analogia con la normativa dei
lavori); i commi 4 e 5 fissano i casi d’obbligo di astensione dei commissari: il richiamo è all’art. 51 del codice di procedura civile, che
sancisce i casi di astensione del giudice:
1) se ha interesse nella causa o in altra vertente su identica questione di diritto; 2)
se egli stesso o la moglie è parente fino al quarto grado (74 ss.c.c.) o legato da vincoli di affiliazione (406 ss.c.c.), o è convivente o commensale abituale di una delle parti o di alcuno dei difensori; 3) se egli stesso o la moglie ha causa pendente
o grave inimicizia o rapporti di credito o debito con una delle parti o alcuno dei
suoi difensori; 4) se ha dato consiglio o prestato patrocinio nella causa, o ha deposto in essa come testimone, oppure ne ha conosciuto come magistrato in altro
grado del processo o come arbitro o vi ha prestato assistenza come consulente
tecnico; 5) se è tutore, curatore, amministratore di sostegno, procuratore, agente
o datore di lavoro di una delle parti; se, inoltre, è amministratore o gerente di un
ente, di un’associazione anche non riconosciuta, di un comitato, di una società o
stabilimento che ha interesse nella causa.
[II]. In ogni altro caso in cui esistono gravi ragioni di convenienza, il giudice può
richiedere al capo dell’ufficio l’autorizzazione ad astenersi; quando l’astensione riguarda il capo dell’ufficio, l’autorizzazione è chiesta al capo dell’ufficio superiore.
Il comma 6 dell’art. 84 del Codice coincide con la previsione dell’ultima parte del comma 5 dell’art. 21 della legge Merloni.
Il comma 8 non fa più riferimento al sorteggio dei componenti della Commissione, ma solamente alla rotazione degli appartenenti alle
categorie classiche già individuate nella vecchia normativa in riferimento al sorteggio.
Nell’ambito dell’iter qui brevemente richiamato, va evidenziato
che ai fini dell’esplicazione del procedimento mediante il sistema di
scelta in precedenza denominato “appalto–concorso”, per l’aggiudicazione la giurisprudenza non richiedeva la seduta pubblica22, infatti
22. Cfr. a tal proposito, Cons. di Stato, V, n. 2235/00; V, n. 576/97; TAR Sardegna, n.
11/99.
Le fasi della gara ad evidenza pubblica
167
il procedimento per l’aggiudicazione mediante quel sistema di scelta
presupponeva sia l’esercizio di poteri discrezionali sia l’analisi dei diversi progetti che sono stati presentati dai concorrenti. Sembra logico
ritenere validi i principi ermeneutici elaborati in tal senso dalla giurisprudenza anche per la nuova tipologia d’appalto che ha, sostituendosi, modificato la denominazione dell’appalto concorso e le limitazioni
attuative ma ne ha mantenuto i tratti costitutivi.
Approfondiamo alcuni aspetti relativi alle principali differenza fra
la vecchia e la nuova normativa.
Relativamente alla Commissione incaricata dell’aggiudicazione mediante il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa sussiste
una obiettiva differenza fra le previsioni normative contenute nell’art.
21 della l. 109/94 e s.m.i. (unitamente a quelle espresse nell’art. 92 del
d.p.r. 554/99) e l’art. 84 del d.lgs. 163/06 e s.m.i.
In particolare, l’art. 21 della legge Quadro, ai commi 5 e 6 stabiliva
che:
La commissione giudicatrice, nominata dall’organo competente ad effettuare
la scelta dell’aggiudicatario od affidatario dei lavori oggetto della procedura,
è composta da un numero dispari di componenti non superiore a cinque,
esperti nella specifica materia cui si riferiscono i lavori. La commissione è
presieduta da un dirigente dell’amministrazione aggiudicatrice o dell’ente
aggiudicatore. I commissari non debbono aver svolto nè possono svolgere
alcuna altra funzione od incarico tecnico od amministrativo relativamente ai
lavori oggetto della procedura, e non possono far parte di organismi che abbiano funzioni di vigilanza o di controllo rispetto ai lavori medesimi. Coloro
che nel quadriennio precedente hanno rivestito cariche di pubblico amministratore non possono essere nominati commissari relativamente ad appalti o
concessioni aggiudicati dalle amministrazioni presso le quali hanno prestato
servizio. Non possono essere nominati commissari coloro i quali abbiano
già ricoperto tale incarico relativamente ad appalti o concessioni affidati nel
medesimo territorio provinciale ove è affidato l’appalto o la concessione cui
l’incarico fa riferimento, se non decorsi tre anni dalla data della precedente
nomina. Sono esclusi da successivi incarichi coloro che, in qualità di membri
delle commissioni aggiudicatrici, abbiano concorso, con dolo o colpa grave
accertata in sede giurisdizionale, all’approvazione di atti dichiarati conseguentemente illegittimi.
168
Capitolo III
6. I commissari sono scelti mediante sorteggio tra gli appartenenti alle seguenti categorie:
a) professionisti con almeno dieci anni di iscrizione nei rispettivi
albi professionali, scelti nell’ambito di rose di candidati proposte dagli ordini professionali;
b)professori universitari di ruolo, scelti nell’ambito di rose di candidati proposte dalle facoltà di appartenenza;
c) funzionari tecnici delle amministrazioni appaltanti, scelti nell’ambito di rose di candidati proposte dalle amministrazioni
medesime.
Invece, l’art. 84 del Codice De Lise rispetto alla disciplina previgente ha
operato diverse modifiche innovative, soprattutto nei commi 3, 4, 7, 8 e 9.
Per completezza del quadro normativo di riferimento occorre precisare che il Consiglio dei Ministri, nella seduta del 21 dicembre u.s.,
ha approvato in via definitiva il «Regolamento di attuazione ed esecuzione del codice dei contratti pubblici relativi ai lavori, servizi e
forniture, a norma dell’articolo 5 del d.lgs. 163/2006».
In quello schema del regolamento l’art. 120 detta le nuove norme
esecutive relativamente alla Commissione giudicatrice, in piena aderenza a quanto stabilito ora dall’art. 84 del Codice.
Come è possibile verificare, relativamente alla nomina del Presidente della Commissione giudicatrice, va evidenziato che l’art. 21 della legge Merloni, al comma 5, sanciva due requisiti di legittimità ai fini
della nomina, e cioè:
– che tutti i membri della Commissione, senza esclusione di alcuno, dovessero essere esperti nella specifica materia cui si riferiscono i lavori;
– che i commissari — quindi compreso il Presidente — non dovessero aver svolto né potessero svolgere alcuna altra funzione
od incarico tecnico od amministrativo relativamente ai lavori
oggetto della procedura.
Le fasi della gara ad evidenza pubblica
169
Viceversa, il Codice De Lise, al comma 3 dell’art. 84, ha ridisegnato
in modo più completo ed organico le modalità di nomina del Presidente, lasciando fermo il requisito tecnico dell’esperienza specifica
nella materia a cui si riferiscono i lavori ma non richiedendo più l’ulteriore requisito di non aver svolto alcun’altra funzione relativamente
al contratto in via di affidamento.
Quest’ultimo requisito infatti è oggi richiesto dal comma 4
dell’art. 84 del Codice (diversamente dal previgente art. 21, comma 5 della legge Merloni) solo per i “commissari diversi dal presidente”.
Dunque, alla luce dell’art. 84 del Codice si può affermare che l’unico soggetto per il quale è irrilevante l’avvenuta partecipazione alle
funzioni relative al contratto oggetto dell’affidamento è il Presidente
della Commissione, rimanendo invece tale situazione di incompatibilità per gli altri membri della Commissione.
Peraltro, l’art. 84 del Codice nelle ipotesi in cui non vi sia nell’organico della stazione appaltante un dirigente qualificato, legittima
espressamente a ricoprire il ruolo di Presidente della Commissione
anche un soggetto che rivesta la carica di “funzionario incaricato di
funzioni apicali” sempre che, ovviamente, sia esperto nella materia
specifica dei lavori oggetto della gara.
Solamente nell’ipotesi in cui, in estremo subordine, la stazione appaltante fosse sprovvista anche di siffatti funzionari, essa potrebbe
ricorrere, in analogia a quanto già previsto per la nomina degli altri
membri della Commissione, a personale di altre Amministrazioni statali con i criteri di cui al successivo comma 8 dell’art. 84.
La possibilità di ricorrere (in tali casi e solo in essi) a dirigenti o
funzionari esterni alla stazione appaltante sembrerebbe ricevere conferma dal fatto che il comma 3 dell’art. 84 del Codice De Lise prevede
che “di norma” la Commissione è presieduta da un dirigente della
stazione appaltante.
L’art. 84 del Codice de Lise consente espressamente la nomina quale Presidente innanzitutto di un dirigente ovvero, in subordine, di un
funzionario della stazione appaltante incaricato di funzioni apicali, a
170
Capitolo III
nulla rilevando il fatto che abbia o non abbia svolto attività tecniche o
amministrative relativamente all’appalto da affidare (fermo restando,
in ogni caso, il requisito tecnico dell’esperienza).
Pur nel silenzio del legislatore, si ritiene — ma solo in via ulteriormente subordinata (e cioè in assenza anche di un siffatto
soggetto) — che sussisterebbe teoricamente la possibilità per la
stazione appaltante di ricorrere a soggetti esterni di altra amministrazione.
Con riferimento ai Commissari tout court (quindi sia per il Presidente che per gli altri membri), la maggior completezza della nuova
disciplina contenuta nel Codice si manifesta anche mediante la previsione del comma 7 dell’art. 84 ove sono operate integrazione ed
esplicazione dei casi di incompatibilità con la previsione delle cause
di astensione di cui all’art. 51 c.p.c.
Dal tenore letterale dell’art. 84, comma 7 del Codice sembra che il
Legislatore abbia fatto riferimento ai commissari, senza specificare —
come invece ha compiuto in altri commi — “diversi dal Presidente”,
investendo così per le cause di incompatibilità ex art. 51 c.p.c. tutti i
membri della commissione aggiudicatrice, nessuno escluso.
L’art. 84 del Codice giunge opportunamente sia a colmare le lacune
sia a modificare in melius lal. 109/94 in ordine alle modalità di formazione della Commissione giudicatrice.
In ordine ai criteri di nomina dei membri della Commissione diversi dal Presidente, infatti, mentre la precedente normativa (art. 21
comma 6), optava per una scelta dei commissari attraverso sorteggio
tra gli appartenenti a talune categorie quali professionisti, professori universitari e funzionari tecnici delle stazioni appaltanti, il criterio
accolto dall’odierno legislatore è quello della selezione discrezionale
mediante rotazione.
La nuova legge prevede che i soggetti da sottoporre a selezione siano innanzitutto i funzionari della stazione appaltante (non trascurando, peraltro, l’ipotesi ben frequente, di accertata carenza in organico
di adeguate professionalità, nonché negli altri casi previsti dal regolamento in cui ricorrono esigenze oggettive e comprovate); e, solo in via
Le fasi della gara ad evidenza pubblica
171
subordinata, che i commissari diversi dal Presidente siano scelti tra
funzionari delle amministrazioni aggiudicatrici di cui all’art. 3 comma
25, ovvero con un criterio di rotazione tra gli appartenenti alle residue
categorie dei professionisti con esperienza ultradecennale e dei professori universitari in ruolo.
L’odierna disciplina invece predilige l’applicazione di un criterio generale e cioè quello della selezione tra i funzionari della stazione appaltante, con la previsione, per l’ipotesi di non praticabilità di siffatta
ipotesi, degli ulteriori criteri subordinati di cui al comma 8 dell’art. 84.
La nuova normativa, prevede altresì un vincolo di aggiornamento
almeno biennale delle categorie medesime (comma 9).
Tanto premesso, in sintesi, si può affermare che:
– i commissari diversi dal Presidente sono selezionati tra i funzionari della stazione appaltante;
– solo in via subordinata, ossia solo nei casi di accertata carenza in
organico di adeguate professionalità nonché negli altri casi che
saranno previsti dal regolamento di attuazione ed esecuzione del
Codice degli appalti, per quanto riguarda la scelta dei Commissari diversi dal Presidente il nuovo criterio di selezione è quello
della nomina, senza sorteggio, fra i funzionari di amministrazioni aggiudicatrici di cui all’art. 3, comma 25 e, alternativamente
(“ovvero” dice la legge), quello di rotazione tra gli appartenenti
alle categorie di cui all’art. 84, comma 8, lettere a) e b).
Essendo stato abrogato il sorteggio, in assenza di funzionari in organico della stazione appaltante si potrà avere il seguente quadro:
– la scelta dei membri della Commissione giudicatrice diversi dal
Presidente potrà legittimamente ricadere (secondo quanto disposto dall’art. 84 comma 8) su funzionari delle altre amministrazioni aggiudicatrici di cui all’art. 3 comma 25;
– la stazione appaltante avrà altresì la facoltà di scelta tra i soggetti
indicati nell’art. 84 comma 8 lett. a) e b), per entrambe le cate-
172
Capitolo III
gorie, limitatamente però ai nominativi degli eventuali candidati
suggeriti dall’Università e dagli Ordini professionali.
7. La disciplina giuridica dalla aggiudicazione alla stipulazione del
contratto. Problematiche connesse con la consegna dei lavori
Dovuto in parte dall’esigenza del legislatore comunitario e di quello
nazionale di formare un unico corpus organico, l’art. 11 del Codice è
il prodotto di sintesi fra diversi disposizioni già contenute nel r.d.n.
2440/1923 e dall’art. 109 del d.p.r. 554/9923. Quest’ultimo, in particolare, in maniera più dettagliata e più attuale era la norma che apriva
con il Titolo VIII la disciplina dell’esecuzione del contratto d’appalto,
regolando la stipulazione e l’approvazione. A tal proposito, venivano
fissati termini precisi: entro 60 giorni dall’aggiudicazione doveva avvenire la stipulazione (entro 30 giorni dalla comunicazione di affidamento per la trattativa privata e il cottimo fiduciario di cui all’art. 142) e
entro 60 giorni dalla stipulazione del contratto doveva seguire l’approvazione per gli appalti di competenza delle amministrazioni statali.
Attualmente, il Codice regola con l’art. 11 le fasi delle procedure di affidamento (il termine “affidamento” fino ad oggi indicava il provvedimento
con il quale l’amministrazione comunicava la scelta nelle ipotesi di trattativa
privata e di cottimo fiduciario; ora invece è sinonimo del termine “aggiudicazione”) e con l’art. 12 la procedura di controllo unificata per lavori, servizi
e forniture, relativamente all’approvazione e alla stipulazione dei contratti.
In particolare:
a) le procedure di affidamento selezionano la migliore offerta, mediante uno dei criteri previsti dal presente codice. Al termine
della procedura è dichiarata l’aggiudicazione provvisoria a favore del miglior offerente;
23. Sulla stipulazione del contratto cfr. Carpentieri, (Consigliere TAR Campania), Aggiudicazione e contratto, 2003;
Le fasi della gara ad evidenza pubblica
173
b)la stazione appaltante, previa verifica dell’aggiudicazione provvisoria ai sensi dell’articolo 12, comma 1, provvede all’aggiudicazione definitiva;
c) l’aggiudicazione definitiva non equivale ad accettazione dell’offerta. L’offerta dell’aggiudicatario è irrevocabile fino al termine
stabilito nel comma 9;
d)l’aggiudicazione definitiva diventa efficace dopo la verifica del
possesso dei prescritti requisiti.
e) divenuta efficace l’aggiudicazione definitiva, e fatto salvo l’esercizio dei poteri di autotutela nei casi consentiti dalle norme vigenti, la stipulazione del contratto di appalto o di concessione
ha luogo entro il termine di sessanta giorni, salvo diverso termine previsto nel bando o nell’invito ad offrire, ovvero l’ipotesi
di differimento espressamente concordata con l’aggiudicatario.
Se la stipulazione del contratto non avviene nel termine fissato,
ovvero il controllo di cui all’articolo 12, comma 3, non avviene
nel termine ivi previsto, l’aggiudicatario può, mediante atto notificato alla stazione appaltante, sciogliersi da ogni vincolo o recedere dal contratto. All’aggiudicatario non spetta alcun indennizzo, salvo il rimborso delle spese contrattuali documentate.
Per gli appalti di lavori, se è intervenuta la consegna dei lavori
in via di urgenza e nel caso di servizi e forniture, se si è dato avvio all’esecuzione del contratto in via d’urgenza, l’aggiudicatario
ha diritto al rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione dei
lavori ordinati dal direttore dei lavori, ivi comprese quelle per
opere provvisionali.
f) il contratto non può comunque essere stipulato prima di trenta
giorni dalla comunicazione ai controinteressati del provvedimento di aggiudicazione, ai sensi dell’articolo 79 (comunicazioni ex officio), salvo motivate ragioni di particolare urgenza che
non consentono all’amministrazione di attendere il decorso del
predetto termine;
g) il contratto è sottoposto alla condizione sospensiva dell’esito positivo dell’eventuale approvazione e degli altri controlli previsti
174
Capitolo III
dalle norme proprie delle stazioni appaltanti o degli enti aggiudicatori.
L’art. 11, invero, in buona parte dei commi che lo compongono
appare quasi un massimario di giurisprudenza: utile, però, perché
raccoglie, stavolta in modo vincolante, taluni fondamentali principi
elaborati anche dal giudice amministrativo.
L’art. 11 al comma 5 ripropone la competenza del dirigente ovvero,
su sua delega, del responsabile del procedimento, per il provvedimento in via definitiva d’aggiudicazione.
Il comma 6 fissa, nell’eventuale assenza di precisi termini nella lex
specialis di gara, il tempo di vincolo dell’offerta presentata dal concorrente in 180 giorni, pur rimanendo in facoltà della pubblica amministrazione di chiedere il differimento, anche se il vuoto delle regole
rimane: il differimento è in linea teorica usque placuit e questo la disciplina giuridica non sembra poterlo consentire.
Infine, come ultimo richiamo occorre evidenziare il contenuto del
comma 11, che pone il contratto sottoposto alla condizione sospensiva
dell’esito positivo dell’approvazione e dei controlli all’uopo previsti: tale
condizione, che nel diritto privato sostanzia la specialità di uno degli elementi accidentali del contratto, qui è operato sui generis, cioè non è contemplato dalle parti ma iussu legis. Un’ipotesi concettualmente parallela
è nel diverso ambito che il vecchio art. 118 del d.p.r. 554/99 prevedeva e
che nel Codice attualmente è filtrato nell’art. 135: l’ipotesi, ancora chiamata di risoluzione per reati accertati, invero una condizione risolutiva,
l’atra forma della condizione, che la legge — e non le parti — pone.
Nell’articolo 12 prosegue la ampliata disciplina prima contenuta
soprattutto nei quattro commi dell’art. 109 del d.p.r. 554/99. In evidenza, per la regolamentazione a livello procedimentale, sono l’aggiudicazione (c. 1), la stipulazione (c. 2) e l’approvazione (c. 3). Il paradigma legale utilizzato dal legislatore nazionale è il medesimo nei quattro
commi e a pedissequa ripetizione si legano a cascata i medesimi errori
di natura formale e sostanziale: qui nei tre commi sembrano comparire tre espressioni (potremmo dire una espressione) dalla quale, pur
Le fasi della gara ad evidenza pubblica
175
in presenza del delicato tema dei tempi, la natura logica della cose
farebbe ermeneuticamente leggere come sospensione (cioè il tempo,
al cessare della sospensione inizia nuovamente a decorrere in modo
continuato da dove si era fermato). Invero, il legislatore nazionale usa
dei termini come “interrotto” e “inizia nuovamente a decorrere” che
spingono al rigore della interruzione in senso giuridico (i tempi ricominciano da zero a decorrere). Ma ancor più grave appare il fatto che
il legislatore non potrebbe trovare esimente nell’error materialis della
ripetizione qui compiuta per svista, come refuso tipografico, ma l’assoluta confusione appare chiaramente nell’art. 10–bis della l. 241/90
modif. dalla l. 15/2005 e a ritroso anche nell’art. 4, comma 6, del d.p.r.
352/92 in tema di accesso formale agli atti amministrativi.
L’art. 12 riprende e amplia sistematicamente la disciplina in materia di controlli già contenuta in nuce nell’art. 3 della l. 20/1994.
Il comma 4 ribadisce, così come lo farà ancora ed espressamente
l’art. 247, la disciplina antimafia, in quanto la prevenzione da illeciti penali sembra ovviamente riferirsi a quella materia: ma, anche in
questo ovvio ribadire, si scorge più un desiderio di dar conto alle raccomandazioni di coscienza, le quali mal si modellano nel facere del
legislatore.
Come è noto, il provvedimento di aggiudicazione24, oltre al suo valore di atto amministrativo, contiene anche la dichiarazione negoziale
della pubblica amministrazione alla quale generalmente si ricollega
come effetto quello della formazione del consenso e di determinazione del vincolo giuridico dell’appalto25. Tale conseguenza di diritto
è prevista dall’art. 16, comma 4, del r.d. 2440/1923, il quale sancisce
24. Vedi Santoro, Il ritorno all’aggiudicazione provvisoria (atto secondo). Brevi considerazioni, in «Riv. Trim. Appalti», 2006, p. 841.
25. Secondo autorevole dottrina, il contratto già risulta dalla intervenuta aggiudicazione e la stipulazione formale successiva è invero la manifestazione del fenomeno giuridico
sorto del diritto privato e noto come “ripetizione del negozio giuridico”, cioè una dichiarazione di volontà emessa dagli stessi soggetti. Cfr. Cianflone, Giovannini, L’appalto di opere
pubbliche, XI, p. 605. Vedi poi sul tema: Corte di cassazione, sez. un., sentenza 29 luglio 1941,
n. 2402; Cass. 16 gennaio 1987, n. 292; Cass. 18 marzo 1982, n. 1764; Cass. 29 ottobre 1981,
n. 5702; Cass. 15 ottobre 1981, n. 5404; Cass. 8 giugno 1981, n. 3682.
176
Capitolo III
che i processi verbali di aggiudicazione definitiva equivalgono ad ogni
effetto legale al contratto.
Nell’ambito dei lavori pubblici, il d.p.r. 554/99, all’art. 109, comma
1, è stato sostituito dall’art. 11 e dall’art. 12 del Codice26.
Ove l’aggiudicatario entro il termine stabilito non si presti, anche
se invitato, a stipulare il contratto ovvero non depositi, nel termine
prescritto, la cauzione definitiva, il contratto formatosi con l’aggiudicazione si risolve, senza la necessità di intimare un formale atto di diffida e senza il diritto di risarcimento dei danni, salvo l’incameramento
della cauzione provvisoria da parte della stazione appaltante.
A proposito della rilevanza giuridica del rapporto fra verbale di
aggiudicazione e perfezionamento del contratto d’appalto d’opere
pubbliche, l’Autorità di vigilanza sui lavori pubblici con la determinazione n. 24/2002 del 2 ottobre 2002 ha stabilito una serie di criteri
direttivi a cui si rinvia.
A seguito di un ritardo imputabile alla pubblica amministrazione per
la stipula rispetto ai termini di cui all’art. 11 del Codice, l’aggiudicatario
matura il diritto di essere liberato dall’impegno contrattuale con la restituzione del deposito cauzionale e il rimborso delle spese contrattuali.
Questo diritto è espressamente previsto dallo stesso art. 11, al comma 9, in cui si presenta la facoltà all’impresa aggiudicataria di sciogliersi da ogni impegno o di recedere dal contratto.
Ipotizzando, dunque, un ritardo per fatto della pubblica autorità
rispetto ai termini previsti non più dal regolamento ma dal Codice
(art. 11, comma 9), si forma in capo all’aggiudicatario una facoltà di
scelta: o attendere e stipulare in seguito il contratto senza alcun riconoscimento di indennizzo ovvero esercitare il diritto previsto dallo
stesso art. 11, cioè la possibilità di sciogliersi da qualsiasi impegno
26. Per la precedente procedura e sui controlli vedi ex multis Santoro, Stipulazione
e perfezionamento dei contratti pubblici dopo le riforme amministrative e contabili, in «Riv.
Trim. Appalti», 1998, p. 310; Gabrieli, Aspetti privati e aspetti pubblicistici nei contratti con la
P.A., in Riv. Dir. Pubb., 1942, I, 25; Giampaolino, I rimedi amministrativi nel settore dei lavori
pubblici dopo gli ultimi interventi legislativi, in Riv. Corte Conti, 1996, p. 344; Vitta, Diritto
amministrativo, II, p. 327.
Le fasi della gara ad evidenza pubblica
177
o di recedere mediante notifica alla stazione appaltante del proprio
intendimento e vedendo perfezionarsi a suo favore un rimborso delle
spese contrattuali (cauzione e spese per la progettazione).
Va ulteriormente evidenziato un altro aspetto, fermo restando
quanto finora ribadito riguardo al fatto che per la giurisprudenza e
per l’Autorità di vigilanza sui lavori pubblici con l’aggiudicazione definitiva non sorge alcun vincolo contrattuale fra le parti (atteso che
questo sorge solamente con la stipulazione del contratto d’appalto).
Nel caso di un immotivato rifiuto a stipulare da parte della stazione appaltante27, la giurisprudenza, non potendo individuare alcuna
forma di responsabilità contrattuale appunto per l’assenza di vincoli
giuridici prima della stipulazione, ha invece enucleato una speciale
forma di responsabilità extracontrattuale, riconducibile appunto alla
responsabilità precontrattuale28.
E ancora, la giurisprudenza in tali ipotesi ha ammesso da ultimo
anche una forma di risarcimento danni per cd. perdita di chance 29.
Nell’ottica di questo complesso quadro normativo e giurisprudenziale, lo scenario della disciplina antecedente alla stipulazione del
contratto si può così sintetizzare: se la condotta della pubblica amministrazione è causa di ritardo per la stipulazione, l’impresa interessata
può o aspettare l’eventuale futura stipulazione del contratto senza poi
poter pretendere alcuna forma d’indennizzo per l’attesa ovvero esercitare il diritto di recesso, con diritto anche al rimborso delle spese
contrattuali (cauzione e progettazione); se, invece, la condotta della
pubblica amministrazione è causa di rifiuto senza sufficiente motivazione o “recesso ingiustificato” da parte della stessa amministrazione, l’impresa interessata ha possibilità di promuovere apposita azione
giudiziaria intesa all’ottenimento sia dell’indennizzo pari al rimbor27. Sulla questione avente ad oggetto la configurazione della culpa in contrahendo della
P.A., cfr. il fondamentale studio di Giannini M.S., La responsabilità precontrattuale dell’Amministrazione pubblica, in Studi in onore di A.C. Jemolo, III. Vedi anche Vaiano, Problemi
attuali, in Arb e app., 1974, p. 7; Cass. sez. un. 9 maggio 1983; Cass. 23 maggio 1981, n. 3383;
cass. 23 maggio 1980, n. 3410.
28. Consiglio Stato, sez. VI, 1 marzo 2005, n. 816.
29. TAR Lazio, sez. I, 17 febbraio 2005, n. 1359.
178
Capitolo III
so delle spese contrattuali, sia al risarcimento danni consistente nella
diminuzione patrimoniale derivata dall’aver fatto affidamento sulla
conclusione del contratto, e nei mancati guadagni correlativi alle altre
occasioni contrattuali perdute (ma non anche nel mancato guadagno
che il privato avrebbe potuto trarre dall’esecuzione del contratto cui
l’aggiudicazione revocata si riferiva), e sotto questo secondo aspetto
occorre di massima assumere come parametro di valutazione l’utile
economico che sarebbe stato complessivamente realizzabile dal danneggiato, diminuito di un coefficiente di riduzione proporzionato al
grado di possibilità di conseguirlo, salva la possibilità di un ricorso al
criterio equitativo ex art. 1226 c.c.30.
Rimane da considerare, a fronte delle due possibili strade percorribili, che per la dichiarazione di responsabilità precontrattuale da parte
del giudice è necessario intentare una causa sul piano giurisdizionale,
con la conseguente incertezza che una causa in re ipsa presenta e dovendosi, ancor prima, valutare le motivazioni eventualmente addotte
dalla stazione appaltante per giustificare la mancata stipula del contratto. Tale carattere non è invece presente nell’ipotesi del recesso da
parte dell’aggiudicatario, ai sensi dell’art. 11, comma 9, del Codice.
Al contrario, diverse conseguenze sembrano affacciarsi se la stipulazione del contratto d’appalto sia avvenuta, ma la pubblica amministrazione non abbia ancora consegnato l’area dei lavori all’appaltatore.
30. Riguardo all’attività di controllo c’è da evidenziare quanto segue: dal lato del privato, la Cass. sez. un. 15 novembre 1960, n. 3402 ha affermato che «nelle more dell’approvazione del contratto il privato è vincolato nel negozio claudicante solo nel senso che non può
recederne». In tal senso vedi pure Cass. 4 novembre 1980, n. 5912. per l’irrevocabilità del
consenso prestato dal privato vedi Cass. 23 maggio 1981, n. 3383. La Cassazione sez. un. 26
luglio 1985, n. 4342 ha riconosciuto che prima dell’approvazione del verbale di aggiudicazione le posizioni del privato hanno natura e consistenza di interessi legittimi, con la conseguente competenza del giudice amministrativo sulle controversie per mancato perfezionamento
del rapporto. Infine, la Cass. 4 marzo 1987, n. 2255 ha affermato che in pendenza dell’approvazione l’amministrazione è tenuta ad una condotta di buona fede contrattuale: nell’ipotesi
in cui l’attività di controllo sia impedita da comportamenti dolosi o colposi l’amministrazione
incorrerebbe in responsabilità in contrahendo di cui all’art. 1337 c.c., mentre non può trovare
applicazione l’art. 1359 c.c. riguardante la condizione come requisito accidentale.
Le fasi della gara ad evidenza pubblica
179
Innanzitutto, vanno in astratto considerate due ipotesi, a seconda
che vi sia o meno la volontà di mantenere l’appalto.
È noto che nell’art. 129 del regolamento, ai commi 8 e 9, si stabilisce che
qualora la consegna avvenga in ritardo per fatto o colpa della stazione appaltante, l’appaltatore può chiedere di recedere dal contratto. Nel caso di
accoglimento dell’istanza di recesso l’appaltatore ha diritto al rimborso di
tutte le spese contrattuali nonché quelle effettivamente sostenute e documentate ma in misura non superiore ai limiti indicati nel capitolato generale. Ove l’istanza dell’impresa non sia accolta e si proceda tardivamente
alla consegna, l’appaltatore ha diritto ad un compenso per i maggiori oneri
dipendenti dal ritardo, le cui modalità di calcolo sono stabilite dal capitolato speciale.
Pertanto, a fronte dell’eventuale richiesta di recesso da parte
dell’appaltatore, la stessa normativa pone in capo alla stazione appaltante la facoltà di accogliere o meno tale istanza e quindi la richiesta
eventualmente risarcitoria rimane legata alla richiesta di recesso accolta dalla committente.
A ciò si aggiunga che la facoltà della stazione appaltante di non
accogliere l’istanza di recesso dell’appaltatore «non può esercitarsi,
con le conseguenze previste dal comma 8, qualora il ritardo nella
consegna dei lavori superi la metà del termine utile contrattuale»
(comma 9).
Va da sé che, in linea teorica e astratta, l’appaltatore potrebbe fondatamente formulare l’istanza di recesso se il ritardo nella consegna
dei lavori raggiungesse tale limite temporale e fosse di consistenza
quantitativa elevata nell’alveo del quadro totale dei lavori.
Nell’ipotesi in cui facesse l’istanza ed essa venisse accolta
dall’ente appaltante l’unico risarcimento sarebbe costituito dalle
spese di contratto così come stabilito dall’art. 9, comma 1, del d.m.
145/00.
Infine, si tenga conto che il comma 11 dell’art. 129 del regolamento
dispone che nelle ipotesi su richiamate il responsabile del procedi-
180
Capitolo III
mento ha l’obbligo di informare l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici.
Quindi, nel caso in cui l’appaltatore nel verbale di consegna dei
lavori iscrivesse riserva per ritardata consegna dei lavori, presumibilmente nulla gli spetterebbe ai sensi appunto della disciplina contenuta nell’art. 129 del d.p.r. 554/99 in caso di mancata richiesta di
recesso. Laddove, invece, iscrivesse nel suddetto verbale una riserva
per ritardata consegna è presumibile che sarebbe dovuta una forma
di indennità, un quantum risarcitorio solo ove abbia preliminarmente
presentato istanza di recesso. In tal senso opererebbe l’art. 9 del c.g.a.
(d.m. 145/00), il quale regola appunto il «riconoscimento a favore dell’appaltatore in caso di ritardata consegna dei lavori», circoscrivendo
il risarcimento “all’interesse legale”.
Ovviamente, a fronte di tutto ciò, in capo alla pubblica amministrazione è riconosciuta la facoltà di esercizio del disposto dell’art. 12 del
d.p.r. 145/00:
Indipendentemente dalle ipotesi previste dall’articolo 25 della legge, la stazione appaltante può sempre ordinare l’esecuzione dei lavori in misura inferiore rispetto a quanto previsto in capitolato speciale d’appalto, nel limite di
un quinto dell’importo di contratto, come determinato ai sensi dell’articolo
10, comma 4, e senza che nulla spetti all’appaltatore a titolo di indennizzo.
In genere, allora, la stazione appaltante per limitare il più possibile il quantum risarcitorio nei confronti dell’appaltatore dovrebbe considerare, per il caso di mancata presentazione dell’istanza
di recesso per ritardo nella consegna, in via alternativa e ove abbia
un interesse quantomeno limitato: primariamente la possibilità di
utilizzare comunque e senza oneri la disposizione dell’art. 12 del
d.p.r. 145/00, stralciando quindi parzialmente i lavori; l’ipotesi di un
eventuale accordo con l’appaltatore, secondo il quale quest’ultimo,
a fronte della prosecuzione delle opere, rinunci a qualsiasi pretesa
ricollegata o ricollegabile al tempo trascorso dalla data di presentazione dell’offerta, confermando altresì la piena remuneratività del
corrispettivo convenuto.
Le fasi della gara ad evidenza pubblica
181
Nella diversa ipotesi in cui l’amministrazione non avesse più alcuna
intenzione di proseguire l’appalto stipulato, invece, è prevista dalla
normativa pubblicistica la particolare ipotesi di recesso ad nutum in
capo all’amministrazione, recesso inteso come diritto potestativo di
natura ricettizia; tale facoltà si sostanzia nella possibilità dell’amministrazione di recedere in qualsiasi momento dal contratto ex art. 134
del Codice31, con gli oneri nei confronti dell’appaltatore pari al dieci
per cento dei quattro quinti del non eseguito — così come è fissato
da detto articolo — oltre al pagamento delle eventuali opere già realizzate.
31. È l’abrogato art. 122 del d.p.r. 554/99.
Capitolo IV
Requisiti generali e speciali
1. I requisiti generali
Una nuova disciplina quella adottata dal Legislatore nazionale nell’art.
38 del Codice in tema di “requisi generali”, che consiste nel ricalco quasi
identico (tranne cioè qualche aggiunta di cui si dirà) dell’abrogato art. 75
del d.p.r. 554/99. In particolare, la Direttiva 2004/18 all’atrt. 45, aveva
previsto al primo paragrafo le cause obbligatorie di esclusione dalle gare,
consistenti in ipotesi delittuose veramente molto ampie (frode, corruzione, organizzazione criminale, ecc.); il paragrafo 2 invece la sciava la possibilità al legislatore nazionale di prevedere ipotesi facoltative di esclusione
dalle procedure di gara: l’art. 38 del Codice, ricalcando tutte le ipotesi
dell’art. 75 del regolamento d’attuazione alla legge merloni, lascia il medesimo obbligo per la stazione appaltante di escludere dalla gara i soggetti per i quali viga almeno una delle cause escludenti.
Dunque, con il nuovo diritto rimane il vecchio disposto: in primis, rimane l’obbligo di esclusione per le amministrazioni appaltanti;
al sussistere, cioè, delle condizioni espresse tassativamente, l’impresa
colpita deve essere scusa e non può più stipulare il contratto.
Vige ancora la norma imperativa che era già espressa nell’incipit
del comma 1 dell’art. 75, la quale norma porta alla nullità i contratti
per illiceità dell’oggetto.
La facoltà propria della previsione dell’art. 45, paragrafo 2 della
Direttiva 18, mentre è stata respinta dal Legislatore nazionale, rima183
184
Capitolo IV
ne nell’art. 135 del Codice (che riporta con l’aggiunta in più di un
comma il vecchio art. 118 del d.p.r. 554/99): ma in tale ultima ipotesi
nel nostro ordinamento solo nella fase esecutiva del contratto, invece
l’ambito applicativo previsto nel respinto ius superveniens della Direttiva 18 riguarda unicamente la procedura di gara.
Il lunario degli appalti pubblici, certamente manifestato nelle precedenti divisioni e stratificazioni normative fra lavori, servizi e forniture, oggi fa apparire un’unica disciplina (come indica il comma 1
dell’art. 38 del Codice): nella statica uniformità confluiscono gli strati
degli altri ambiti o livelli, ora abrogati in parte qua.
Non occorre più ricercare fra le norme sparte quella giusta per mostrare il risultato dell’analisi basata sulla prontezza: non vigono allora
più fra le varie tipologie di appalto pubblico, in tema di cause escludenti, le discrasie o le assenze ingiustificate di ipotesi, per le quali la
giurisprudenza si è altrettanto prontamente dedicata alla ricerca della
soluzione del test, ora estendendo per maglie di analogia le assenze
per i servizi o peggio per le forniture alle più complete ipotesi di cause
fissate per i lavori. Ora invece basta ancorarsi alla garanzia della tassatività, certamente non perfetta nemmeno nell’art. 38, ma almeno più
completa nell’omogeneità; la tassatività,invero, si fonda sull’epigrafe:
ubi voluti dixit.
Occorre fissare alcuni aspetti pratici dell’argomento1.
a) L’apparente formulazione pleonastica “e non possono stipulare i relativi contratti” può e deve essere posta in relazione con
la problematica degli effetti sul contratto per l’annullamento
dell’atto amministrativo di gara: dichiarato illegittimo l’atto di
aggiudicazione (dunque, anche errores in iudicando per effetto
diretto di vitia in procedendo, “errato” nel senso più tecnico di
concatenamento e non nel senso di “discrezionalità” o di “me1. Sul tema, cfr. V. Capuzza, Le cause d’esclusione dalle gare d’appalto pubblico, collana
Quaderni IGOP, n. 01, 2005; Id., Considerazioni di diritto penale in materia di appalti pubblici
alla luce del d.lgs. 163/06, in Rassegna dell’Arma dei Carabinieri, n. 1/2007; Id., Figure di
procedura penale negli appalti pubblici, in Rivista Amministrativa R. I., 3–4/2007.
Requisiti generali e speciali
185
rito”), in ipotesi per assenza in capo all’impresa aggiudicataria
di uno dei requisiti generali (quanto a dire: per la presenza di
una delle cause di esclusione ex art. 38 Codice), quid iuris per il
contratto d’appalto eventualmente in esecuzione ?
Il tenore dell’espressione del comma 1 – prima parte – dell’art.
38 Codice è evidentemente un divieto di legge: le regole generali
del contratto, relativamente alla causa ed all’oggetto, dispongono che il medesimo contratto sia nullo quando intende realizzare cioè che è vietato anche da norme imperative di legge. Logico
corollario: gli effetti contrari allo stesso diritto non nascono né
si riproducono; in ciò, per altro verso, consta il limite dell’autonomia privata. E le norme imperative sono quelle fissate dalla
legge, sia civile sia penale sia amministrativa: nel casus in esame
è il Codice a vietare espressamente alla P.A. la possibilità di stipulare contratti con soggetti i quali versino in una o più delle
condizioni di diritto elencate nelle seguenti lettere del comma
1 art. 38.
Dunque, appare chiara la possibilità di compiere questa applicazione: nell’alveo interpretativo formatosi intorno alla sorte del
contratto d’appalto in esecuzione, quando a monte sia stato annullato un atto di gara o d’aggiudicazione, la questione relativa
invece alla sussistenza di una delle cause di esecuzione dalla gara
da cui sia scaturito l’annullamento del provvedimento di aggiudicazione, offre per mezzo della stessa vox legis del comma 1
dell’art. 38 Codice (espressione che appare ovvia, naturale, inutile o pleonastica) invero una semplice soluzione: quell’annullamento dell’atto renderebbe nullo il contratto eventualmente in
esecuzione.
b)Una apparente incongruenza però va segnalata in questa operazione di studio della norma: stranamente il caso su ipotizzato
di annullamento dell’atto di gara, sembrerebbe assumere per il
contratto a valle la natura di condizione risolutiva del contratto
(art. 1353 c.c.) in forza della disciplina espressa dall’art. 135 del
Codice (l’abrogato art. 118 d.p.r. 554/99), ove viene lasciata alla
186
Capitolo IV
mera discrezionalità (diritto potestativo) alla Committente la
valutazione di risolvere il contratto d’appalto se in fase esecutiva del contratto siano intervenute condanne penali in giudicato
ovvero misure di prevenzione con provvedimento definitivo. La
condizione risolutiva anzidetta è, a ben vedere, simile, non perfettamente coincidente, alla vera natura giuridica di della condizione espressa nell’art. 1353 c.c., in cui si sposta l’attenzione
sulla volontà delle “parti” che possono prevedere nel contratto
l’elemento accidentale: nella previsione dell’art. 135 Codice, invece, è la stessa legge ad operare quasi a livello di contenuto
naturale l’inserimento della condizione a favore dell’Amministrazione, di una sua scelta, cioè, di convenienza relativizzata al
casus de quo.
Riecheggia, ancorché siamo in presenza di un’ipotesi di risoluzione, il paradigma astratto e logico del disposto dell’art. 1441
c.c., cioè «L’annullamento del contratto può essere domandato
solo dalla parte nel cui interesse è stabilito dalla legge».
Riassumiamo le apparenti ed immediate incongruenze del sistema:
– la previsione dell’art. 135 del Codice come scelta per l’Amministrazione di risolvere il contratto (“l’opportunità di procedere
alla risoluzione del contratto”) ed il divieto a monte per la stessa Amministrazione di stipulare contatti per le ipotesi ostative
elencate nell’art. 38, comma 1 Codice (“e non possono stipulare
i relativi contratti”);
– l’art. 135 sembra avere natura di condizione risolutiva (elemento futuro ed incerto), cioè un elemento accidentale del contratto direttamente operato, però, dalla legge, quando invece
lo stesso Codice all’art. 38, comma 1 pone un espresso divieto
di stipulare i relativi contratti (“e non possono stipulare i relativi contratti”) — fissa cioè una norma imperativa inderogabile
dalle parti contraenti a pena di nullità del contratto medesimo
—, addirittura anche per le ipotesi di minore intensità non ri-
Requisiti generali e speciali
187
comprese nel contenuto dell’art. 135 (risoluzione ad nutum a
favore della P.A.). Si pensi, ad esempio, nell’art. 38 alla mera
sottoposizione al procedimento finalizzato all’irrogazione di
una misura di prevenzione (lett. b), oppure al contenuto più
ampio e più grave della lett. c), a fronte della parallela dicitura
per la fase esecutiva ex art. 135.
Ancora più schematicamente: si assiste ad effetti negativi peggiori (nullità) per le ipotesi di minore intensità rispetto a quelle
che consentono la scelta in capo alla P.A. di risolvere o meno
il contratto; scelta questa da effettuarsi come unica via offerta
alla P.A. — Committente in un contratto esecutivo. Una delle
due disposizioni appare, logicamente ed a livello speculativo, di
troppo;
– incongruenza nell’art. 135 del Codice fra rubrica legis (alquanto
scarna ed erronea — come era già quella dell’art. 118 del d.p.r.
554/99: si parla di reato e non di condanna irrevocabile!) e contenuto dell’articolo medesimo.
In risposta a tutto questo e per tentare di dimostrare come le incongruenze mostrate siano apparenti, va precisato che le previsioni dell’art. 135 del Codice si riferiscono alle ipotesi in cui (cfr.
la temporale dell’incipit della norma:” Qualora”) nei confronti
dell’appaltatore siano intervenute una o più delle situazioni giuridiche elencate espressamente nel detto articolo.
Ben altra ipotesi appare, invece, quella nella quale sia stato annullato il provvedimento di aggiudicazione per la sussistenza
accertata di una delle cause di esclusione dalla gara e quindi
l’eventuale contratto a valle, per effetto di quell’annullamento, debba in forza del divieto espresso nel comma 1 dell’art. 38
come norma imperativa, considerarsi nullo; in ciò, la violazione
del disposto quale norma imperativa dell’art. 38, c. 1 è fondata e
provata ex se dall’annullamento dell’atto amministrativo, perché
contrario a norme di azione da parte della P.A.: si doveva escludere e non s’è fatto.
188
Capitolo IV
c) Relativamente alla causa di cui al comma 1 lett. a), la ratio della
norma è quella di evitare che l’esecuzione di lavori pubblici possa essere affidata ad un soggetto in condizioni economicamente
precarie.
Il r.d. 267/1942 (ed oggi la normativa che ha dettato la rifoma
della materia fallimentare, il d.lgs. 5/2006), che disciplina il fallimento, il concordato preventivo e la liquidazione coatta amministrativa, all’art. 5 definisce lo stato di insolvenza tramite i suoi
diretti effetti: esso «Si manifesta con inadempimenti od altri fatti
esteriori, i quali dimostrano che il debitore non è più in grado di
soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni».
La norma prevede l’esclusione dalle gare anche di coloro rispetto ai quali sia in corso una di dette procedure concorsuali: da un
lato la giurisprudenza ha pressocché ritenuto (prima dell’entrata
in vigore del d.p.r. 554/99, si consideri, però, che analoga causa
d’esclusione sussisteva già nel d.lgs. 157/95 e nel d.lgs. 358/92)
che la “mera pendenza” del ricorso per fallimento presentato dal
creditore di un’impresa concorrente ad una gara d’appalto non
possa cagionare tout court l’esclusione («La sola presentazione
della richiesta di fallimento […] pur presupponendo la titolarità
del credito rimane sul piano della sollecitazione dell’apertura
della procedura»2); sembrerebbe allora necessario a tal fine e secondo questa linea interpretativa, l’intervento da parte dell’Autorità Giudiziaria almeno nella fase istruttoria3. D’altra parte,
invece, va pur considerato che l’Autorità per la Vigilanza sui
lavori pubblici nella più recente determinazione n. 13 del 15 luglio 2003 ha sostenuto che la procedura concorsuale possa considerarsi in corso «qualora vi sia stata presentazione di apposita
istanza da parte del creditore».
Sempre la medesima determinazione n. 13/2003 ha ritenuto che
2. cfr. Cass., sez. I, 22/10/1994, n. 8723. Cfr. anche Cons. Stato 8 giugno 1999, n.
516.
3. cfr. Carbone, Caringella, De Marzo, L’attuazione della legge quadro sui lavori pubblici, Commentario, p. 272.
Requisiti generali e speciali
189
l’ipotesi di esclusione in parola sia da applicare anche nell’ipotesi di amministrazione straordinaria (d.lgs. 270/99), sulla base
di quanto previsto dall’art. 24 della Direttiva 93/37/CE («[…]
ogni altra situazione risultante da una procedura della stessa natura prevista dalle legislazioni e regolamenti nazionali»).
Si considerino, infine, sia le modifiche apportate alla legge fallimentare dal “Decreto competitività” (in particolare, del r.d.
267/42 gli artt. 67, 70, 160, 161, 163, 177, 180, 181, 182–bis),
sia la riforma del fallimento di cui al d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 6,
(GU 16/01/2006, n. 12), che è attuazione della delega ex art. 1
della l. 80/2005. La quasi totalità di queste disposizioni nuove
entra in vigore il 16 luglio 2006, mentre alcune sono già direttamente efficaci.
d)Misure di prevenzione, sub art. 38, comma 1 lett. b).
La lett. b) dell’art. 38 prevede che non possono partecipare alle
gare né stipulare i relativi contratti i soggetti:
nei cui confronti è pendente procedimento per l’applicazione di una delle
misure di prevenzione di cui all’articolo 3 della legge 27 dicembre 1956,
n. 1423; il divieto opera se la pendenza del procedimento riguarda il titolare o il direttore tecnico, se si tratta di impresa individuale; il socio o il
direttore tecnico se si tratta di società in nome collettivo o in accomandita
semplice, gli amministratori muniti di poteri di rappresentanza o il direttore tecnico, se si tratta di altro tipo di società”.
Le misure di prevenzione vanno distinte assolutamente dalle sanzioni penali; non presuppongono infatti né la commissione di un fatto
reato né quindi la conclusione di un procedimento penale. Esse sono
applicabili a soggetti che, pur non essendo condannati, imputati, indagati per uno specifico reato, risultano però pericolosi per la sicurezza pubblica (per la nozione di pericolosi comuni cfr. art. 1 della l.
1423/1956).
Tali misure si dividono in personali (sorveglianza speciale di p.s. –
cfr. art. 3 c. 1 l. 1423/56, art. 2 c. 1 l. 575/1965, art. 18 l. 152/1975
190
Capitolo IV
–; sorveglianza speciale di p.s. con divieto di soggiorno; sorveglianza speciale di p.s. con obbligo di soggiorno; soggiorno cautelare) e
patrimoniali (sospensione provvisoria dell’amministrazione dei beni
personali; confisca; cauzione).
Dall’art. 75, lett. b) vengono prese in considerazione solamente le
misure di prevenzione personali (in corso di procedimento o irrogate): la dizione della norma, infatti, richiama unicamente l’art. 3 della
legge 1423/56.
I destinatari delle misure di prevenzione sono i “pericolosi comuni” (coloro che sulla base di elementi di fatto e del loro comportamento risultano: essere abitualmente dediti a traffici delittuosi;
vivere, anche in parte, con i proventi delle attività delittuose; essere
dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza, la
pubblica tranquillità), i “pericolosi politici” (ex art. 18 l. 152/75), i
“pericolosi mafiosi” (ex art. 1 l. 575/65), cioè gli indiziati di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso: ad esempio può rientrare tra
quest’ultimi indiziati anche chi è stato assolto dal reato di cui all’art.
416–bis c.p.;
Gli elementi raccolti a suo carico nel processo penale possono non essere
stati così gravi, univoci e concludenti da imporre la condanna. Se essi non si
concretano in semplici sospetti o congetture, possono però essere rilevanti
e decisivi ai fini di un giudizio sulla pericolosità “mafiosa” del soggetto e
cioè sul giudizio che è alla base della applicazione della misura di prevenzione. […] Tra il procedimento penale e il procedimento di prevenzione
non esiste infatti un rapporto di dipendenza poiché, mentre il primo mira
ad accertare la responsabilità di un soggetto in ordine a un fatto–reato,
il secondo mira a dare dello stesso soggetto un “globale” giudizio di pericolosità che può dipendere da elementi di limitato rilievo ai fini della
colpevolezza per il fatto specifico, ma indicativi, invece, della complessiva
personalità del soggetto4.
***
4. 229.
l. D’Ambrosio, Diritto penale per l’attività di polizia giudiziaria, Cedam, 1993, p.
Requisiti generali e speciali
191
Occorre ora delineare un quadro unitario composta da: misure
di prevenzione, normativa antimafia e cause d’esclusione negli
appalti pubblici.
Dapprima appare interessante un raffronto: fra le cause di
esclusione previste nella vecchia normativa relativa agli appalti
di servizi e per le forniture non compare la previsione relativa
alle misure di prevenzione; le Direttive Comunitarie precedenti
a base della legislazione dei servizi/forniture non conoscevano
le misure di prevenzione, che hanno origine propria nel nostro
Ordinamento giuridico, specie a far data dal 1956; neanche la
stessa Direttiva 18 del 2004, infatti, non riporta nessuna ipotesi
riguardante tali misure.
Si tenga conto che talvolta solo per prassi nata dal passato, le
misure di prevenzione sono ancora denominate misure di polizia. La loro contiguità con il diritto penale è indubbia, pur se la
legislazione in parola risulta alquanto stratificata; fra i più significativi interventi si possono elencare: la l. 575/65 (cfr. per gli
appalti gli artt. 10, 10–bis e 10–quinquies), la l. 152/75, il d.lgs.
629/82, la l. 646/82 (i cui artt. 21 e 22 sanciscono i reati per subappalto senza autorizzazione e per l’affidamento della custodia
dei cantieri installati), la l. 327/88, la l. 55/90 (cfr. per gli appalti
gli artt. 17, 18 e 19, così come modificati già dalla l. 415/98 e
dalla l. 166/02 art. 7, c. 3, cd. Merloni–quater), il d.lgs. 152/91,
il d.lgs. 345/91; il d.lgs. 419/91, il d.lgs. 306/92, la l. 256/93.
Come appare evidente, esiste intima connessione fra le disposizioni riguardanti le misure di prevenzione — specie relative alla
mafia — e le norme sui lavori pubblici, tanto che, ad esempio,
la stessa l. 166/02 aggiunge un periodo al comma 9 dell’art. 18
l. 55/90.
Alla luce di questo importante aspetto, faceva un po’ pensare il
fatto che l’art. 45 della Direttiva 18 — riferita anche agli appalti
di lavori — non menzionasse fra le cause di esclusione le misure
di prevenzione: esse comunque sono state previste dall’art. 38
del Codice, il quale comunque all’art. 247 fa salva la legislazione
192
Capitolo IV
antimafia anche per le parti modificate inserite dalla legge Merloni, nonostante l’abrogazione espressa della stessa legge Merloni compiuta dall’art. 256 del Codice (nel rispetto della previsione dell’art. 1, comma 4 della legge Merloni stessa).
Un ulteriore accenno d’analisi porta la nostra attenzione al più
ristretto, ma al contempo complesso, quadro delineato dalla
normativa antimafia; si tratta qui di applicare alcuni dei concetti
esaminati.
Partiamo dall’art. 10 del d.p.r. 252/1998: al comma 1 è previsto
come dovere, in deroga (ecco la riforma di quelle regole procedurali) alle disposizioni di cui all’art. 1 dello stesso Decreto ed
all’art. 4 del d.lgs. 490/1994 — salvo il divieto di frazionamento
previsto al comma 2 dello stesso art. 4 — per le pubbliche amministrazioni, gli enti pubblici e gli altri soggetti ex art. 1, di
“acquisire le informazioni di cui al comma 2 del presente articolo, prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti, ovvero prima di rilasciare o consentire le concessioni
o erogazioni indicati nell’art. 10 della legge 31 maggio 1965, n.
575”. Tale dovere acquista rilievo giuridico quando i contratti,
subcontratti o le concessioni abbiano valori pari o superiori alle
soglie indicate nelle tre lettere successive.
Le informazioni sono richieste dall’amministrazione interessata
(art. 10, comma 3) ed anche, se intenda, dal soggetto privato interessato o da persona da questi specificamente delegata, previa comunicazione all’amministrazione destinataria (art. 10, comma 6).
Un fondamentale aspetto: “Quando, a seguito delle verifiche disposte dal prefetto, emergono elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa nelle società o imprese interessate, le amministrazioni cui sono fornite le relative informazioni, non possono
stipulare, approvare o autorizzare i contratti o subcontratti, né
autorizzare, rilasciare o comunque consentire le concessioni e le
erogazioni”, così sancisce l’art. 10, comma 2.
Per conoscere le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione
mafiosa, ai fini del detto comma 2, l’art. 10, comma 7 fissa i pa-
Requisiti generali e speciali
193
rametri da cui desumere tutto ciò; tra i parametri di induzione
conoscitiva, nella lett. a) compaiono nella prima parte due precisi momenti procedural penali: si desume dai provvedimenti
che dispongono una misura cautelare o il giudizio, il che non
significa tout court che a seguito di ordinanza cautelare o del
decreto che dispone il giudizio (art. 429 c.p.p.) sia stata desunta
la situazione di infiltrazione mafiosa. La lettera della legge indica chiaramente che la sedes materiae da cui poter ricavare, se ci
sono, elementi inerenti infiltrazione mafiosa, sono l’ordinanza
ed il decreto suddetti.
Poi la lett. a) del comma 7 dell’art. 10 del d.p.r. 252/98, fa riferimento “generico” a condanne anche non definitive per taluno
dei delitti ivi elencati. D’interesse allora è l’ampio genus di provvedimenti di condanna: d’altronde il fine è desumere eventuali
tentativi di infiltrazione mafiosa.
Così anche la lett. b) indica più precisamente la desunzione dalla sussistenza del procedimento dalla proposta (e non come più
ingenuamente si esprime l’art. 75, c. 1 lett. b del Regolamento:
“è pendente procedimento per l’applicazione di una delle misure di prevenzione”) o dal provvedimento di applicazione delle
misure di prevenzione, in tal caso solo quelle patrimoniali (sospensione provvisoria dall’amministrazione dei beni personali,
la confisca, la cauzione).
In conclusione: anche in tali casi, dunque, il divieto è preciso
per la P.A. nei confronti dell’aggiudicatario pro–tempore; non
possono essere stipulati i relativi contratti d’appalto’, possiamo
noi qui specificare sul parallelo dell’art. 38, comma 1 del Codice; in caso di violazione del divieto: nullità del contratto, per
illiceità della causa.
Ed il sistema è formidabilmente chiuso nella sua coerenza, almeno in questo.
Rimane da verificare, poi, la disposizione ex art. 12 dello stesso
d.p.r. 252/98, che contiene prescrizioni relative al lavori pubblici, in particolare alle a.t.i. nell’ipotesi in cui per un’impresa
194
Capitolo IV
diversa dalla mandataria sia dedotta taluna delle situazioni ex
art. 10, comma 7.
Un solo spunto di riflessione: nel comma 1 dell’art. 12 si dispone
che non operano nei confronti delle altre imprese partecipanti,
che abbiano entro 30 giorni sostituito o estromesso la predetta
impresa in fumus, le cause di divieto o di sospensione ex art. 10
l. 575/65 e quelle di divieto ex art. 4, comma 6 del d.lgs. 490/94.
Altrimenti, la garanzia della sicurezza e dell’ordine pubblico
prevalgono su tutto il resto e si assiste ad un’estensione delle
cause impeditive agli altri soggetti dell’a.t.i.
Il relativo contratto sarebbe anche in questo caso illecito per violazione della norma imperativa ed i soggetti, de facto, non avrebbero — così come tutti gli esclusi dalle gare in genere — una
situazione legittimante ed idonea alla formazione del rapporto
giuridico: meglio ancora, però, è dire che i soggetti avrebbero,
perciò, limitata la propria autonomia.
e) Certificato giudiziale e certificato dei carichi pendenti. documentazione sulle misure di prevenzione.
Ancora una serie di considerazioni deve essere trattata con riguardo alle situazioni aventi ad oggetto misure di prevenzione e
la loro certificazione, soprattutto per la partecipazione alle gare
d’appalto pubblico.
Un primo aspetto: il d.p.r. 14 novembre 2002, n. 313 riforma
l’intera materia relativa al casellario giudiziale ed al casellario
dei carichi pendenti; questa normativa di riforma è il Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia, il quale disciplina l’iscrizione, l’eliminazione, la trasmissione e conservazione dei dati, i certificati, le funzioni degli uffici interessati
(art. 1). In particolare, la stessa normativa all’art. 2, secondo
l’impronta Comunitaria affezionata alle definizioni degli istituti,
afferma che il casellario giudiziale è «l’insieme dei dati relativi
a provvedimento giudiziari e amministrativi riferiti a soggetti
determinati» (art. 2, comma 1, lett. a), mentre il casellario dei
Requisiti generali e speciali
195
carichi pendenti è «l’insieme dei dati relativi a provvedimenti
giudiziari riferiti a soggetti determinati che hanno la qualità di
imputato» (art. 2, comma 1, lett. b).
Più nel dettaglio, l’art. 3 elenca i provvedimenti iscrivibili nel
casellario giudiziale, fra i quali provvedimenti, ai fini d’interesse
per il contenuto dell’art. 38 Codice, vanno segnalati:
– alla lett. m): i provvedimenti giudiziari concernenti la riabilitazione (art. 178 c.p.; cfr. art. 38, c. 1 lett. c) Codice);
– alla lettera q): i provvedimenti giudiziari che dichiarano fallito
l’imprenditore; quelli di omologazione del concordato fallimentare; quelli di chiusura del fallimento; quelli di riabilitazione del
fallito;
– alla lettera l): i provvedimenti giudiziari definitivi concernenti
le misure di prevenzione della sorveglianza speciale semplice o
con divieto o obbligo di soggiorno.
Come appare ictu oculi, la menzione delle misure di prevenzione
nel casellario giudiziale è riferita unicamente per “i provvedimenti giudiziari definitivi”, non già per i medesimi procedimenti
in itinere, così come invece è previsto per le condizioni ostative
di partecipazione alle gare ex art. 38 c. 1 lett. b) Codice.
È altrettanto evidente che il certificato dei carichi pendenti, riportando le iscrizioni certificative relative a provvedimenti giudiziari riferiti a soggetti con la qualifica di imputato, non sia di
alcuna importanza ai fini delle valutazioni da parte della Stazione appaltante, visto il tenore della lettera c) comma 1 art. 38 del
Codice.
Lo stesso art. 38, ai commi 2 e 3 specifica anche quanto era stato
già elaborato a livello interpretativo.
In tale contesto, va richiamata la chiara ed esaustiva sentenza del
TAR Puglia – Lecce, Sez. II, del 19 marzo 2004, n. 2179. Tale
provvedimento del giudice amministrativo va letto, però, secondo il principio del tempus regit actum, non vigendo al momento
dei fatti de quibus l’art. 77–bis d.p.r. 445/2000 (Applicazioni di
196
Capitolo IV
norme), inserito dall’art. 15 della l. 3/2003; infatti, grazie all’entrata in vigore di tale norma “le disposizioni in materia di documentazione amministrativa contenute nei capi II e III si applicano a tutte le fattispecie in cui sia prevista una certificazione o
altra attestazione, ivi comprese quelle concernenti le procedure
di aggiudicazione e affidamento di opere pubbliche o di pubblica utilità, di servizi e di forniture, ancorché regolate da norme
speciali”, quanto a dire i commi 2 e 3 dell’art. 38 del Codice.
f) La lett. c) dell’art. 38 del Codice. Aspetti rilevanti di procedura
penale.
Non possono partecipare alle gare né stipulare i contratti d’appalto relativi, i soggetti
nei cui confronti è stata pronunciata sentenza penale di condanna passata in giudicato, oppure di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale, per reati che incidono
sull’affidabilità morale e professionale. […] Resta salva in ogni caso l’applicazione dell’articolo 178 del codice penale e l’articolo 445, comma 2,
del codice di procedura penale.
Sentenza di condanna passata in giudicato, cioè la sentenza per cui
sia trascorso il tempo previsto dalla legge e che quindi sia divenuta
esecutiva (non sia stata impugnata ovvero siano esauriti i tre gradi
di giudizio); patteggiamento (art. 444 c.p.p.): procedimento speciale per il quale l’imputato ed il pubblico ministero, d’accordo tra
loro, richiedono al giudice l’applicazione di una sanzione: la pena,
che non può superare i due anni di reclusione, non viene determinata dal giudice, ma concordata dalle parti. Riguardo al “patteggiamento” o per dire più correttamente “Applicazione della pena
su richiesta” delle parti, ci sono alcuni aspetti che devono essere
evidenziati. Primariamente perché nella lett. c) il Legislatore lo ha
accomunato alle sentenze penali di condanna passate in giudicato;
a tal proposito la giurisprudenza della Cassazione ha uniformemente interpretato che la sentenza ex art. 444 c.p.p.
Requisiti generali e speciali
197
non è una vera e propria sentenza di condanna essendo a questa equiparata
solo a determinati fini […]. La particolare natura delle sentenze […] comporta che ad essa non possa applicarsi integralmente il modello dell’art.
546 c.p.p.
Se da un lato non è sufficiente che il giudice si limiti a dare atto di conformarsi alla richiesta delle parti, ma deve esporre concisamente i motivi
della decisione, dall’altro egli non è tenuto ad indicare le prove poste a
base della decisione né ad enunciare le ragioni per cui ritiene non attendibili le prove contrarie (Cass. Sez. Unite, 27/5/1992).
Esiste il principio di innocenza o di non colpevolezza che la
Costituzione stabilisce all’art. 27, comma 1: «L’imputato non
è considerato colpevole sino alla condanna definitiva»; a tal
proposito si consideri che l’art. 648 e l’art. 650 del codice di
procedura penale stabiliscono i principi cardine a proposito del
giudicato.
Tali articoli, soprattutto l’art. 648, devono essere tenuti in
debita considerazione da parte delle Stazioni appaltanti al
fine di individuare della sussistenza o meno della causa di
esclusione di cui alla lettera c); infatti l’art. 648 c.p.p. detta
chiaramente e in modo sistematico le regole per definire le
sentenze (ovviamente di condanna nel caso dell’art. 38 del
Codice) irrevocabile.
Così l’art. 648 c.p.p.: 1. Sono irrevocabili (rectius: passate in giudicato) le sentenze pronunciate in giudizio contro le quali non
è ammessa impugnazione diversa dalla revisione. 2. Se l’impugnazione è ammessa, la sentenza è irrevocabile quando è inutilmente decorso il termine per proporla (si veda a tal proposito il
contenuto dell’art. 585 c.p.p. “Termini per l’impugnazione”) o
quello per impugnare l’ordinanza che la dichiara inammissibile.
[…] Il decreto penale di condanna (l’art. 459 c.p.p. fissa i casi
di procedimento per decreto e l’art. 460 i requisiti del decreto
stesso) è irrevocabile quando è inutilmente decorso il termine
per proporre opposizione o quello per impugnare l’ordinanza
che la dichiara inammissibile.
198
Capitolo IV
Inoltre, va detto che il d.p.r. 313/2002 (Testo Unico in materia
di casellario giudiziale e certificato carichi pendenti), all’art. 2,
comma 1 lett. g) definisce il provvedimento giudiziario definitivo come «il provvedimento divenuto irrevocabile, passato in
giudicato o, comunque, non più soggetto a impugnazione con
strumenti diversi dalla revocazione».
Un inciso: con riguardo al citato “decreto penale di condanna”,
il TAR Liguria, II, 15/4/2002, n. 432 ha interpretato come illegittima l’ammissione a partecipare all’appalto mediante licitazione privata di forniture di pasti preconfezionati per reparti di
degenza a mense per personale ASL, nei riguardi di una Ditta
per la quale erano stati emanati tre decreti penali di condanna
causati dalla violazione di igiene nella produzione e vendita delle sostanze alimentari. Da ciò, consegue che il decreto penale di
condanna (per il caso di sola sanzione pecuniaria) anche se non
è una sentenza strictu iure è comunque una decisione motivata
assimilabile alla sentenza.
Ma, a tal proposito deve, inoltre, considerarsi quanto espresso
dall’Autorità per la Vigilanza sui lavori pubblici nella determinazione n. 13 del 15 luglio 2003: […] In conformità all’orientamento del giudice amministrativo di appello (Cons. di Stato,
Sez. V, n. 5523/2002), le condanne che incidono sull’affidabilità
morale e professionale, indipendentemente dalle modalità di irrogazione della sanzione, stante la formula generica adoperata
dall’art. 75, consentono all’Amministrazione una lata valutazione discrezionale del caso concreto per stabilire la rilevanza o
meno di una data condanna penale, ancorché questa sia estranea alla qualità dell’imprenditore. Dal che consegue l’obbligo
del partecipante alle gare di dichiarare anche i decreti penali
di condanna. Dell’esercizio da parte dell’Amministrazione del
potere discrezionale di valutazione dei reati degli interessati, si
deve dare contezza con idonea e congrua motivazione; motivazione ancor più puntuale nei casi di decreto penale di condanna
ex art. 459 c.p.p., atteso che in tali ipotesi l’applicazione della
Requisiti generali e speciali
199
pena avviene eccezionalmente per reati di particolare tenuità
che comportano l’irrogazione di una pena pecuniaria, anche se
inflitta in sostituzione di pena detentiva, per cui la condanna
inflitta con il rito del decreto penale non fa emergere elementi
particolarmente sintomatici di una scarsa moralità professionale
(Cons. di Stato, Sez. V, n. 5517/2001).
Tutto ciò considerato, appare allora chiaro che la condizione ostativa di cui al c. 1 dell’art. 38 del Codice si concretizza solamente in
presenza di sentenze penali di condanna o di patteggiamento, divenuti irrevocabili. Perciò a nulla rileva la qualifica di imputato o la condizione di indagato relativamente al soggetto partecipante alla gara
d’appalto.
Appare utile, forse, a tal proposito evidenziare la differenza voluta
dal legislatore fra procedimento e processo penale: con il termine processo si fa riferimento alla sola fase posteriore all’esercizio dell’azione
penale, mentre con il termine procedimento si intende l’unità concettuale composta sia dalla fase processuale sia dalle indagini preliminari.
Questo scenario è correlato al principio della separazione delle fasi, il
quale sottolinea la separazione netta tra la fase in cui le prove vengono
solamente cercate (indagini) da quella in cui esse vengono formate
(dibattimento); a tale principio si aggiunge anche quello della non dispersione dei mezzi di prova (C. Cost. 3/6/1992, n. 255).
Parallelamente, anche il termine imputato viene utilizzato per
qualificare il soggetto nei confronti del quale l’azione penale è stata
esercitata (art. 60 c.p.p.), mentre la locuzione di “persona sottoposta
alle indagini” (indagato) indica il soggetto nei cui confronti vengono
svolte le indagini, le investigazioni e che diviene tale dal momento
dell’iscrizione del suo nome nel registro ex art. 335 c.p.p.
In conclusione, allora, va ribadito come sia del tutto ininfluente
ai fini della eventuale esclusione dalle gare d’appalto la qualifica di
indagato o di imputato che i soggetti indicati nella lett. c) dell’art. 38
del Codice potrebbero rivestire al momento della partecipazione alla
gara stessa. In passato, prima anche del Regolamento d’attuazione del
200
Capitolo IV
1999, talune sentenze del giudice amministrativo avevano considerato
legittimi i provvedimenti con cui alcune stazioni appaltanti avevano
escluso dalla gara dei concorrenti indagati dalla competente procura
della repubblica; la giustificazione del riconoscimento della legittimità
di quei provvedimenti era stata individuata dai giudici amministrativi
sulla base della discrezionalità e della fiducia necessaria in un contratto d’appalto pubblico. Il problema interpretativo, per quanto discutibile a mio modo di vedere visto il disposto della Carta Costituzionale,
comunque attualmente non sussiste più, giusta la previsione dell’art.
38, comma 1 lett. c).
Ecco alcuni Cenni schematici sulle cause di estinzione del reato e
cause d’estinzione della pena, utili a livello pratico.
a) Le cause di estinzione del reato sono: morte del reo, amnistia,
prescrizione, oblazione, remissione di querela, sospensione
condizionale della pena; perdono giudiziale; sospensione del
processo con messa alla prova; a queste si aggiunge come altra
causa di estinzione del reato la previsione dell’art. 445 c.p.p. (richiamato dall’art. 38 c. 1 lett. c) del Codice), cioè il reato per il
quale è intervenuta la condanna patteggiata si estingue se nel
termine di 5 anni (per delitto) o di 2 anni (per contravvenzione)
dalla sentenza emessa su “patteggiamento” (cfr. Cass. Penale,
Sez. III, 6/7/2000, n. 2674), il condannato non commette un
reato della stessa indole in relazione a quello patteggiato «La
situazione di fatto da cui origina la suddetta causa di estinzione
del reato — (ex 445 cp.p.) — per divenire condizione di diritto abbisogna, per espressa statuizione di legge, dell’intervento
“ricognitivo” del giudice dell’esecuzione, il quale è tenuto […]
ad emettere il relativo provvedimento[…]», cfr. infra Cass. Pen.
Sez. IV, 27/2/2002, n. 11560). Inoltre, la Cassazione penale, Sez.
I, 5/2/2004, n. 10028 ha precisato che la decisione per la riabilitazione sia di competenza del giudice dell’esecuzione (Tribunale
– g.i.p.) in deroga all’art. 683 c.p.p., in quanto questo per l’attribuzione delle competenze del giudice di sorveglianza (Tribunale
Requisiti generali e speciali
201
di Sorveglianza) fa riferimento alle “condanne”, mentre il patteggiamento è una pronuncia sui generis.
b)Vi sono poi le cause di estinzione della pena (che comunque
non incidono sulla potestà punitiva dello Stato, ma sulla pena
già concretamente inflitta al soggetto con la sentenza definitiva di condanna); fra queste compare la Riabilitazione (art. 178
c.p., richiamato dalla lettera c) dell’art. 38 in esame): ha finalità
di sottrarre il condannato, che si sia ravveduto, a quegli effetti
penali che ne potrebbero pregiudicare il normale reinserimento
nella società: è concessa quando siano trascorsi 5 anni dal giorno
in cui la pena principale è stata eseguita o si sia estinta in altro
modo.
Le cause di estinzione della pena, oltre alla su menzionata riabilitazione, sono: la morte del reo dopo la condanna definitiva; l’amnistia
impropria; l’estinzione della pena per decorso del tempo; l’indulto; la
grazia; la non menzione della condanna definitiva nel certificato del
casellario giudiziale; la liberazione condizionale.
Facendo ora riferimento alla cd. riabilitazione, il codice di procedura penale all’art. 683 stabilisce che: «1. Il tribunale di sorveglianza,
su richiesta dell’interessato, decide sulla riabilitazione, anche se relativa a condanne pronunciate da giudici speciali, quando la legge non
dispone altrimenti. Decide altresì sulla revoca, qualora essa non sia
stata disposta con la sentenza di condanna per altro reato. 2. Nella
richiesta sono indicati gli elementi dai quali può desumersi la sussistenza delle condizioni previste dall’articolo 179 del codice penale. Il
tribunale acquisisce la documentazione necessaria. 3. Se la richiesta è
respinta per difetto del requisito della buona condotta, essa non può
essere riproposta prima che siano decorsi due anni dal giorno in cui è
divenuto irrevocabile il provvedimento di rigetto».
Da un punto di vista sostanziale, l’art. 178 del codice penale stabilisce che: «La riabilitazione (di cui all’art. 683 c.p.p.) estingue le pene
accessorie (di cui all’art. 19 c.p.) ed ogni altro effetto penale della
condanna, salvo che la legge disponga altrimenti».
202
Capitolo IV
A proposito degli effetti penali della riabilitazione e per comprenderne l’intensità, va detto che l’art. 106 c.p., al comma due vieta la
possibilità che il giudice tenga conto, agli effetti della recidiva (art.
99 c. p) e della dichiarazione di abitualità (artt. 102–104 c.p.) o di
professionalità nel reato (art. 105 c.p.), delle condanne per le quali è
intervenuta la causa che estingue anche gli effetti penali, cioè la riabilitazione.
Infine, l’art. 179 c.p. fissa le condizioni per la riabilitazione:
[I] la riabilitazione è conceduta quando siano decorsi almeno tre anni dal
giorno in cui la pena principale sia stata eseguita o siasi in altro modo
estinta, e il condannato abbia dato prove effettive e costanti di buona
condotta(2);
[II] il termine è di almeno otto anni se si tratta di recidivi, nei casi preveduti
dai capoversi dell’articolo 99;
[III] il termine è di dieci anni se si tratta di delinquenti abituali, professionali
o per tendenza e decorre dal giorno in cui sia stato revocato l’ordine di
assegnazione ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro;
[IV] qualora sia stata concessa la sospensione condizionale della pena ai sensi dell’articolo 163, primo, secondo e terzo comma, il termine di cui al
primo comma decorre dallo stesso momento dal quale decorre il termine di sospensione della pena;
[V] qualora sia stata concessa la sospensione condizionale della pena ai
sensi del quarto comma dell’articolo 163, la riabilitazione è concessa
allo scadere del termine di un anno di cui al medesimo quarto comma,
purché sussistano le altre condizioni previste dal presente articolo;
[VI] La riabilitazione non può essere conceduta quando il condannato:
1) sia stato sottoposto a misura di sicurezza, tranne che si tratti di
espulsione dello straniero dallo Stato ovvero di confisca, e il provvedimento non sia stato revocato;
2) non abbia adempiuto le obbligazioni civili derivanti dal reato, salvo
che dimostri di trovarsi nella impossibilità di adempierle.
Inoltre, occorre precisare che il d.p.r. 14 novembre 2002, n. 313
riforma l’intera materia relativa al casellario giudiziale ed al casellario
dei carichi pendenti; questa normativa di riforma è il Testo Unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia, il quale disciplina
Requisiti generali e speciali
203
l’iscrizione, l’eliminazione, la trasmissione e conservazione dei dati, i
certificati, le funzioni degli uffici interessati (art. 1). In particolare, la
stessa normativa all’art. 2, secondo l’impronta Comunitaria affezionata alle definizioni degli istituti, afferma che il casellario giudiziale è
«l’insieme dei dati relativi a provvedimento giudiziari e amministrativi
riferiti a soggetti determinati» (art. 2, comma 1, lett. a), mentre il casellario dei carichi pendenti è «l’insieme dei dati relativi a provvedimenti giudiziari riferiti a soggetti determinati che hanno la qualità di
imputato» (art. 2, comma 1, lett. b).
Più nel dettaglio, l’art. 3 alla lett. m), elenca i provvedimenti iscrivibili nel casellario giudiziale, fra i quali provvedimenti, ai fini d’interesse per il contenuto dell’art. 38 Codice, sono indicati anche i provvedimenti giudiziari concernenti la riabilitazione (art. 178 c.p.; cfr. art.
38, c. 1 lett. c) Codice).
A tal proposito, la Corte di cassazione ha ultimamente affermato
che:
Tra le conseguenze della estinzione di ogni effetto penale della condanna a
seguito di riabilitazione, non rientra la cancellazione dell’iscrizione della sentenza dal casellario, perché non prevista tra le cause di eliminazione dall’art.
687 c.p.p. e, inoltre, l’art. 686 c.p.p. stabilisce che il provvedimento di riabilitazione deve essere annotato nel casellario, ed, infine, l’art. 689 comma
2 n. 4 c.p.p., già prevede che i certificati penali rilasciati all’interessato non
contengano le condanne per le quali è intervenuta riabilitazione (Cassazione
penale, sez. III, 04 luglio 2003, n. 35078)5.
Ciò detto con riguardo alle due norme che l’ultima parte della lett.
c) del comma 1 dell’art. 38 del Codice indica espressamente, per offrire un quadro sintetico delle cause di estinzione della punibilità si può
delineare quanto segue.
Una prima distinzione nella generale classificazione si fonda sull’esistenza o meno della sentenza definitiva di condanna; su tale pre5. Cfr. per quanto sino ad ora detto, cfr. V. Capuzza, Figure di procedura penale per gli
appalti pubblici, in «Rivista Amministrativa della Repubblica Italiana», 2007.
204
Capitolo IV
supposto, allora, le cause estintive previste nel codice penale (e quella
prevista nell’artt. 445, comma 2 del codice di procedura penale) si
diversificano a seconda dell’alveo della propria incidenza: la pena ovvero il reato.
Le cause estintive del reato sono quelle che estinguono la potestà statale di
applicare la pena minacciata, la c.d. punibilità in astratto […], cioè la possibilità giuridica di applicare le conseguenze penali del reato o talune di esse.
La cause estintive della pena estinguono, invece, la c.d. punibilità in concreto, cioè il concretizzatasi nella pena irrogata con la sentenza di condanna
esecutiva. Nel primo caso lo Stato rinuncia ad applicare la sanzione penale
minacciata dalla norma, nel secondo alla esecuzione della pena inflitta dal
giudice6.
Le caratteristiche generali e comuni ad entrambe le categorie di
cause estintive della punibilità possono essere così riassunte7:
– l’estinzione del reato o della pena non comporta l’estinzione
delle obbligazioni civili derivanti dal reato, salvo le obbligazioni
indicate negli articoli 196 e 197 c.p.;
– sulla base degli arrt. 182 e 183 c.p., l’efficacia è personale;
– in caso di concorso con una causa estintiva della pena, pur se
intervenuta successivamente, sussiste la prevalenza della causa
estintiva del reato;
– è previsto il cumulo degli effetti estintivi, cioè nel caso avvenga un concorso in tempi diversi di cause estintive del reato o
della pena, la causa antecedente estingue il reato o la pena e
quella successiva agisce sugli eventuali effetti rimasti in via
residuale;
– nell’ipotesi di concorso contemporaneo fra più cause estintive, è
prevista l’estinzione del reato o della pena per effetto della causa
estintiva più favorevole (ad esempio, nell’ipotesi di concorso fra
6. 7. F. Mantovani, Diritto penale, 1992, p. 825.
Cfr. Mantovani, op. cit., p. 826.
Requisiti generali e speciali
205
amnistia e remissione di querela, la più favorevole è quest’ultima
in quanto evita che il soggetto interessato sia sottoposto a procedimento penale);
– la dichiarazione della causa estintiva (in specie, ovviamente,
quella che estingue il reato) ha efficacia immediata, in qualsiasi
grado e stato del procedimento (129 c.p.p.).
Sul piano degli effetti penali della condanna, intendendo con
essi «le conseguenze negative che derivano de jure dalla condanna stessa, diverse dalle pene principali, dalle pene accessorie
e dalle misure di sicurezza»8, va precisato che, per parte della
dottrina9 non ritiene, pur in presenza dell’art. 20 c.p., che tecnicamente le pene accessorie rientrino fra gli effetti penali della
condanna, sostenendo che quest’ultimo sono una conseguenza
della condanna e non coincidono con la pena.
In ogni modo, sono compresi nell’ampia classificazione degli effetti
penali: l’impossibilità di ottenere la sospensione condizionale per chi
ha già riportato una certa condanna per altro reato; la qualifica di
recidivo; la qualifica di delinquente abituale o professionale; l’impossibilità di partecipare a concorsi pubblici o ad esercitare determinate
attività, come conseguenza di condanna penale.
Tali effetti penali della condanna, in genere, non vengono meno con
il verificarsi delle cause estintive del reato e della pena, ma solamente
con la riabilitazione del condannato10 e per gli effetti definiti dall’art.
445, comma 2 c.p.p. come conseguenza del c.d. patteggiamento, in
riferimento al quale “Vari gli incentivi all’autosottomissione: questo
provvedimento esclude la condanna alle spese del procedimento,
pene accessorie, misure di sicurezza (meno la confisca obbligatoria),
purchè la pena detentiva non superi i due anni; in deroga agli artt. 651
e 654, non ha autorità extrapenale neppure quando risulti emesso a
8. Mantovani, op. cit., p. 806.
9. Cfr. sul punto Larizza, Effetti penali della sentenza penale di condanna, in Dig., IV,
1990.
10. Mantovani, op. cit., pp. 806–807.
206
Capitolo IV
cognizione piena, dopo un dibattimento, ma costituisce giudicato in
sede disciplinare (previsione interpolata dagli artt. 1 sg l. 27 marzo
2001 n. 97, negli artt. 455 comma 1 e 653, comma 1–bis, rectius 2).
Non figura sul certificato del casellario richiesto dall’interessato (art.
689, comma 1 lett. e): se poi in dati termini […] la persona de qua non
commette un reato della stessa indole, «il reato è estinto” e cade “ogni
effetto penale”, alla predetta condizione, che la pena non superi i 2
anni. E applicate pene pecuniarie o sanzioni sostitutive, il precedente
non osta alla sospensione della pena, nemmeno fosse stata concessa
allora»11.
Dunque, relativamente alla cessazione degli effetti penali della condanna rilevano, in genere, proprio i due articoli (178 c.p. e 445, comma 2 c.p.p.) che sono indicati espressamente nell’ultima parte della
lett. c) del comma 1 dell’art. 38 del Codice de Lise.
Alla luce di tale quadro, solo in forza una ratio coordinatrice ed
uniformatrice sembra spiegarsi questa indicazione delle due suddette
norme penali nella lett. c) c. 1 dell’art. 38: ognuna di esse, infatti, ex
se opererebbe comunque anche nelle procedura di gara ad evidenza
pubblica anche se il Legislatore in materia non le avesse richiamate.
Di contro, se vi fossero in astratto altre cause per le quali anche gli
effetti penali della condanna venissero meno, pure in tali ipotesi — è
ragionevole affermarlo — opererebbero nell’ambito delle gare d’appalto a fronte della non indicazione nell’art. 38, c. 1 lett. c).
Come conseguenza di quanto sino ad ora descritto, si ritiene utile
trattare qualche altro aspetto della materia.
Può risultare dal certificato del casellario giudiziale prodotto da
un’impresa in sede di gara che sia stato concesso alla persona fisica
interessata il beneficio della sospensione condizionale della pena ai
sensi dell’art. 163 c.p.; tale sospensione, come già visto poco sopra,
è una della cause di estinzione del reato previste nel codice penale e
consiste nel sospendere l’esecuzione della pena inflitta dal giudice con
la sentenza di condanna a condizione che, per un determinato perio11. F. Cordero, Procedura penale, VIII edizione, pp. 1048–1049.
Requisiti generali e speciali
207
do di tempo (c.d. periodo di prova), il condannato non commetta altri
reati12. La sospensione condizionale della pena produce come effetto
la sospensione della esecuzione della pena per il termine di 5 anni
se la condanna è per delitto e di 2 anni se per contravvenzione. Se il
periodo di prova si conclude positivamente, il reato è estinto, mentre invece l’effetto sospensivo della esecuzione della pena cessa e la
sospensione viene sottoposta a revoca se nei termini fissati (appunto,
cinque anni per delitti e due per contravvenzioni) il soggetto incorre
in nuove condanne.
Anche in tal caso, va precisato che la sospensione condizionale
comporta come effetti il beneficio della sospensione della pena principale per i termini suddetti riguardanti i delitti e le contravvenzioni
(e si estende alle pene accessorie a sèguito della l. 19/90), ma non
si estende invece agli altri effetti penali della condanna, fra i quali,
come già detto, sono comprese l’impossibilità di partecipare a pubblici concorsi o ad esercitare determinate attività come conseguenza di
condanna penale e l’iscrizione al casellario giudiziale.
Da ciò si evince che la sospensione ex art. 163 c.p. non esclude l’applicabilità della lett. c) comma 1 dell’art. 38 Codice se i reati, per i quali sia
stata inflitta la condanna penale passata in giudicato, incidano sulla moralità professionale dei soggetti indicati dalla stessa norma del Codice.
E proprio su tale incidenza eventuale dei reati sulla moralità professionale occorrerà allora, in tale ipotesi, da parte della Stazione appaltante soffermare l’attenzione.
A tale riguardo, ai fini cioè della valutazione dell’incidenza dei reati
sulla moralità professionale appare anche utile continuare a riferirsi alle
indicazioni esposte nella Circolare ministeriale 1/3/00 n. 182/400/93
e nelle Deliberazioni dell’Autorità di Vigilanza per i LL. PP. 47/00,
56/00 (relative ai requisiti generali per l’ottenimento dell’attestazione
SOA), 13/0313.
12. Cfr. L. D’Ambrosio, Diritto penale, op. cit.
13. Sul tema che qui segue, cfr. ampiamente, V. Capuzza, Considerazioni di diritto penale nella materia degli appalti pubblici alla luce del d.lgs. 163/06, in Rassegna dell’Arma dei
Carabinieri, n. 2/2007, p. 7 e ss.
208
Capitolo IV
La prima Circolare chiarisce che, al fine di individuare i reati in
questione, “può a titolo indicativo assumersi ad esempio l’elencazione
delle tipologie di reato contenuta nell’art. 27, comma 2, lettera q) (del
d.p.r. 34/00)”.
Tale norma, a sua volta, fa riferimento ai reati contro la p.a., l’ordine pubblico, la fede pubblica e il patrimonio.
L’Autorità di Vigilanza (Deliberazione n. 56/00, punto 3), in linea
con la Circolare ministeriale, pur affermando che
i reati che incidono sulla moralità professionale devono intendersi quelli contro la pubblica amministrazione, (libro secondo, titolo II, del codice penale),
l’ordine pubblico (libro secondo, titolo V, del codice penale), la fede pubblica (libro secondo, titolo VI, del codice penale), il patrimonio (libro secondo,
titolo XIII, del codice penale)
aggiunge
e, comunque, quelli relativi a fatti la cui natura e contenuto sono idonei ad
incidere negativamente sul rapporto fiduciario con la stazione appaltante per
la inerenza alla natura delle specifiche obbligazioni dedotte in contratto.
In ambedue le circolari, si fa, dunque, riferimento a precise categorie di reati previste dal codice penale e, comunque, a quei reati per i
quali venga specificamente provato (e, conseguentemente motivato da
parte dell’Amministrazione), che si riferiscono a
fatti il cui carattere e contenuto siano idonei a pregiudicare negativamente
il rapporto fiduciario con la stazione appaltante, in quanto collegabili alla
natura delle obbligazioni proprie dei contratti di appalto; l’incidenza delle
condanne sull’elemento fiduciario deve essere apprezzato traendo elementi
di valutazione dai concreti contenuti della fattispecie, dal tempo trascorso
dalla condanna e da eventuali recidive (Autorità di Vigilanza, Determinazione n. 47/00, punti 6 e 7).
Quanto ora esposto nelle Determinazioni citate, è stato ribadito
dall’ultima Determinazione dell’Autorità, la n. 13 del 2003, in cui vie-
Requisiti generali e speciali
209
ne ribadita la discrezionalità valutativa dell’amministrazione in ipotesi
delittuose non elencate nel d.p.r. 34/2000, la quale scelta deve essere
ispirata ai parametri dell’agire amministrativo e dell’interesse pubblico, esplicitati in idonea ed adeguata motivazione. In particolare, l’Autorità stabilisce che:
va richiamata la determinazione dell’Autorità n. 56 del 13 dicembre 2000
che, concordando con le indicazioni di cui alla circolare del Ministero dei
lavori pubblici del 1° marzo 2000, n. 182/400/93, ha ritenuto che influiscono
sull’affidabilità morale e professionale del contraente i reati contro la pubblica amministrazione, l’ordine pubblico, la fede pubblica ed il patrimonio,
se relativi a fatti la cui natura e contenuto siano idonei ad incidere negativamente sul rapporto fiduciario con le stazioni appaltanti per la loro inerenza
alle specifiche obbligazioni dedotte in precedenti rapporti con le stesse. La
mancanza, tuttavia, di parametri fissi e predeterminati e la genericità della
prescrizione normativa lascia un ampio spazio di valutazione discrezionale
per la stazione appaltante che consente alla stessa margini di flessibilità operativa al fine di un miglior apprezzamento delle singole concrete fattispecie,
con considerazione di tutti gli elementi delle stesse che possono incidere sulla
fiducia contrattuale, quali ad. es. l’elemento psicologico, la gravità del fatto,
il tempo trascorso dalla condanna, le eventuali recidive.
Siffatta discrezionalità è, tuttavia, limitata dalla previsione della norma secondo cui è fatta salva, in ogni caso, l’applicazione degli artt. 178 del codice
penale e 445 del codice di procedura penale, riguardanti, rispettivamente, la
riabilitazione e l’estinzione del reato per decorso del tempo nel caso di applicazione della pena patteggiata.
Analogamente ed all’opposto, non potrà essere fatta alcuna valutazione discrezionale della concreta fattispecie, dovendosi automaticamente escludere
il concorrente, nel caso di ricorrenza delle ipotesi di cui all’art. 32 quater
codice penale (malversazione, corruzione, etc.), implicante una “incapacità
di contrattare con la pubblica amministrazione”, nonché di quella di irrogazione di sanzione interdittiva nei confronti della persona giuridica emessa
ai sensi del d.lgs. 8 giugno 2001 n. 231 per reati contro la pubblica amministrazione o il patrimonio commessi nell’interesse o a vantaggio della persona
giuridica medesima.
Peraltro, trattandosi di classificazioni che incidono gravemente sul
diritto di partecipazione alle gare pubbliche e di derivazione penali-
210
Capitolo IV
stica esse sono di strettissima interpretazione, non essendo possibile
ricorrere alla analogia.
A seguito di tale analisi, va ancora precisato che, essendo vaga e
generica la dizione di “reati che incidono sulla moralità professionale”
di cui all’art. 38, lett. c) in commento, è indispensabile quantomeno che l’Amministrazione, laddove si determini a penalizzare specifici comportamenti che non rientrino nelle quattro categorie sopra
evidenziate (reati contro la p.a., la fede pubblica, l’ordine pubblico,
il patrimonio), stabilisca i criteri, mediante la loro evidenziazione in
motivazione, in base ai quali effettuare tale selezione.
La giurisprudenza, a tal proposito, è stata chiara nel censurare
comportamenti dell’Amministrazione di mero rinvio al tipo ed al titolo di reato, senza ulteriore approfondimento e senza una motivazione
dell’iter logico–giuridico seguito.
Direttamente connessa alla necessità del «miglior apprezzamento delle singole concrete fattispecie, con considerazione di tutti gli
elementi delle stesse che possono incidere sulla fiducia contrattuale»
chiaramente affermata nella citata Determinazione n. 13/2003 dell’Autorità anche il Consiglio di Stato (Sez. V, 01 marzo 2003, n. 1145)
ha affermato che:
la Sezione ha di recente messo in luce al riguardo, seppur precipuamente
in ordine a fattispecie relative ad appalti di lavori pubblici, come nella sua
ampiezza ed elasticità il concetto di moralità professionale presupponga la
realizzazione di un reato pienamente idoneo a manifestare una radicale e
sicura contraddizione coi principi deontologici della professione, tenendo
presente che la valutazione de qua non deve cristallizzarsi in criteri astratti e
automatici, dovendosi invece essa adattare alle peculiarità del caso concreto,
riferite tanto alle caratteristiche dell’appalto, quanto al tipo di condanna ed
alle concrete modalità di commissione del reato (cfr. Cons. Stato, V, 18 ottobre 2001, n. 5517 e 25 novembre 2002, n. 6482) […]. Nella specie, la stazione
appaltante, come può evincersi dalle stringata formula assunta a verbale, non
ha dato in alcun modo conto della disamina di alcuni pur rilevanti connotati
concreti della fattispecie penale chiamata in causa, circa, a titolo di esempio,
la natura dei fatti addebitati, la natura contravvenzionale del reato, l’irrogazione di una pena solo pecuniaria di certo non particolarmente cospicua, le
Requisiti generali e speciali
211
vicende relative al soggetto condannato, non da ultimo la rilevanza concreta
del precedente penale sull’affidabilità del servizio del svolgere.
Ma non risulta accettabile, data doverosa attenzione alle peculiari connotazioni della fattispecie in argomento, che l’esclusione dalla gara si sia basata
solamente su un freddo e semplice richiamo del tipo di reato e della sua attinenza alla materia dell’appalto, senza dunque dare adeguata contezza di aver
proceduto ad un prudente apprezzamento delle ragioni che, nel concreto,
precludevano l’eventuale affidamento del servizio in ragione del “precedente
penale” stesso.
L’esclusione della reclamante doveva conseguire ad un esercizio minimo di
autonoma valutazione del giudicato penale a carico e non, automaticamente,
alla sua mera esistenza e classificazione, come risulta, invece, essere illegittimamente avvenuto alla stregua del verbale delle operazioni della Commissione di gara […].
I margini di insindacabilità attribuiti all’esercizio del potere discrezionale
dell’Amministrazione appaltante di valutare una condanna penale ai fini
dell’esclusione da una gara d’appalto, evidentemente ampliati dal mancato
rinvenimento nella normativa vigente di parametri fissi e predeterminati ai
quali attenersi ai fini di detta valutazione (cfr., in tema, Cons. Stato, VI, 30
gennaio 1998, n. 125), non consentono comunque al pubblico committente
di prescindere dal dare contezza di aver effettuato la suddetta disamina e dal
rendere conoscibili gli elementi posti alla base della eventuale definitiva determinazione espulsiva. […]. Anche in questo caso, in definitiva, pur dovendosi riconoscere la sussistenza di un legame oggettivo tra fattispecie penale
e materia oggetto dell’appalto, non poteva accedersi ad una valutazione di
compromissione della moralità professionale della società ricorrente postulata del tutto acriticamente (e immotivatamente) dalla stazione appaltante,
senza che cioè si desse conto, nel dettaglio, della fattispecie punita, della
sanzione irrogata e dell’atteggiamento soggettivo colposo che, come minimo,
doveva aver contraddistinto la condotta realizzante la fattispecie contravvenzionale (art. 42, ultimo comma, cod. pen.).
Fra le altre cause estintive che possono essere qui utilmente esaminate,
non può tralasciarsi quella dell’indulto, non perché non configuri causa
d’esclusione dalle gare ex art. 38, tutt’altro; ma perché può avere qualche
rilevanza ai fini della possibilità di ottenimento della riabilitazione.
In particolare, l’indulto (art. 174 c.p.) consiste nel condono di tutta
la pena o di parte di essa (ma non delle pene accessorie) e per sua
212
Capitolo IV
natura è diretto alla generalità dei condannati rientranti però nelle
previsioni che il singolo provvedimento di indulto prevede14; esso è un
altro modo di estinzione della pena ed opera (sempre che il soggetto
interessato rientri nei canoni fissati dal singolo provvedimento di indulto) ai fini del calcolo temporale — come dies a quo — dei tre anni
per eventuali provvedimenti di riabilitazione (art. 178 c.p.).
Nelle previsioni del recente provvedimento di indulto operato con
la l. 241/2006 è stabilito nell’art. 1, comma 1 che, fermo restando che
le pene pecuniarie inflitte congiuntamente alla reclusione non siano
state superiori a 10.000,00 euro, («è concesso indulto, per tutti i reati
commessi fino a tutto il 2 maggio 2006, nella misura non superiore a
tre anni per le pene detentive e non superiore a 10.000 euro per quelle
pecuniarie sole o congiunte a pene detentive»).
Come è noto, l’indulto trova la sua applicazione sia in riferimento
a soggetti che abbiano riportato una sola condanna relativamente ad
un solo reato, sia a soggetti che hanno riportato una o più condanne
relativamente ad una pluralità di reati.
In particolare, va detto che nell’ipotesi del concorso dei reati sono
ricompresi tanto i casi di condanna per più reati con un’unica sentenza
di condanna, sia i casi di concorso di pene inflitte con sentenze diverse
secondo quanto dispone l’art. 80 del codice penale: «Le disposizioni
degli articoli precedenti si applicano anche nel caso in cui, dopo una
sentenza o un decreto di condanna, si deve giudicare la stessa persona
per un altro reato commesso anteriormente o posteriormente alla condanna medesima, ovvero quando contro la stessa persona si debbono
eseguire più sentenze o più decreti di condanna».
Inoltre, l’art. 174, comma 2 del c.p. prevede il c.d. principio dell’applicazione unitaria dell’indulto, secondo il quale nel caso di concorso il beneficio dell’indulto si applica una sola volta dopo aver cumulato le pene secondo le norme concernenti il cumulo dei reati (e
dopo aver scisso il cumulo giuridico nell’ipotesi di concorso di reati
esclusi ex lege dall’applicazione dell’indulto; vedi Cass. Pen. Sez, I, n.
14. Cfr. L. D’Ambrosio, Diritto penale, op. cit.
Requisiti generali e speciali
213
19339/2006); il fine della norma è quella di evitare il superamento dei
limiti per l’applicazione del condono.
L’art. 174, comma 2 del c.p. trova senza alcun dubbio anche in
relazione all’indulto previsto con la l. 241/06, che nulla ha disposto
sul punto.
Il comma 2 dell’art. 38 del Codice De Lise, ovviamente recependo
il contenuto dell’art. 77–bis del d.p.r. 445/00, stabilisce chiaramente che: “Il candidato o il concorrente attesta il possesso dei requisiti
mediante dichiarazione sostitutiva in conformità alle disposizioni del
decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, in
cui indica anche le eventuali condanne per le quali abbia beneficiato
della non menzione”.
Da tale formulazione letterale, inserita per la prima volta dal nuovo
art. 38 del Codice De Lise, discende in materia di appalti pubblici
un’importante considerazione, e cioè che dal dato positivo della suddetta norma (dal cui rispetto rigoroso e restrittivo può discendere per
un concorrente la certezza di non incorrere in un provvedimento di
esclusione dalla gara) risulta che a fronte di una sentenza di condanna
per cui sia stato contestualmente concesso dal giudice a quo il beneficio della non menzione, sussista ancora in capo a quell’impresa concorrente il dovere di menzionare nell’autodichiarazione la condanna
anche nell’ipotesi in cui sia intervenuto il provvedimento di riabilitazione.
In forza dell’obbligo di dichiarazione delle condanne aventi il beneficio della non menzione, il concorrente, nel suo interesse, deve di
conseguenza indicare anche l’eventuale riabilitazione, se successivamente intervenuta, che consente appunto la partecipazione alla gara
d’appalto. Comunque, come già detto, tra le conseguenze della estinzione di ogni effetto penale della condanna a seguito di riabilitazione,
non rientra la cancellazione dell’iscrizione della sentenza dal casellario, perché non prevista tra le cause di eliminazione dall’art. 687 c.p.p.
e, inoltre, l’art. 686 c.p.p.
214
Capitolo IV
2. I requisiti speciali: cenni sull’attestazione SOA
Come è noto, per l’esecuzione dei lavori è richiesta l’attestazione
SOA relativa alle categorie delle lavorazioni e ai livelli di qualificazione indicati nel singolo bando di gara.
Per un’impresa non in possesso dell’attestazione di qualificazione
è vietata la partecipazione alle gare d’appalto per un duplice ordine
di ragioni.
Il primo divieto generale è sancito appunto dalla legge; da un
punto di vista normativo va detto in proposito che il sistema di
qualificazione degli esecutori dei lavori pubblici risulta attualmente ancora disciplinato dal d.p.r. 34 del 25/1/2000, più volte modificato.
In particolare, l’art. 3 (Categorie e classifiche) al comma 2 stabilisce
che:
La qualificazione in una categoria abilita l’impresa a partecipare alle gare e ad
eseguire i lavori nei limiti della propria classifica incrementata di un quinto;
nel caso di imprese raggruppate o consorziate la medesima disposizione si
applica con riferimento a ciascuna impresa raggruppata o consorziata, a condizione che essa sia qualificata per una classifica pari ad almeno un quinto
dell’importo dei lavori a base di gara.
Ai fine del rilascio dell’attestazione da parte delle SOA è noto che
i requisiti generali (ex art. 17 del Regolamento n. 34/00) e i requisiti
speciali (di cui all’art. 18 sempre del Regolamento Bargone) debbano
essere verificati nel corso del procedimento istruttorio regolato dall’art. 15 del d.p.r. 34/00.
In tale materia, ancora più approfonditamente, il quadro di riferimento è così composto.
L’art. 40, comma 3 del Codice degli appalti stabilisce che:
Il sistema di qualificazione è attuato da organismi di diritto privato di attestazione, appositamente autorizzati dall’Autorità, […]. L’attività di attestazione
è esercitata nel rispetto del principio di indipendenza di giudizio, garantendo
Requisiti generali e speciali
215
l’assenza di qualunque interesse commerciale o finanziario che possa determinare comportamenti non imparziali o discriminatori. Le SOA nell’esercizio
dell’attività di attestazione per gli esecutori di lavori pubblici svolgono funzioni
di natura pubblicistica, anche agli effetti dell’articolo 1 della legge 14 gennaio
1994, n. 20. In caso di false attestazioni dalle stesse rilasciate si applicano gli
articoli 476 e 479 del codice penale. Prima del rilascio delle attestazioni, le
SOA verificano tutti i requisiti dell’impresa richiedente. Agli organismi di attestazione è demandato il compito di attestare l’esistenza nei soggetti qualificati
di: (alinea così modificato dall’art. 3, comma 1, lettera f), d.lgs. 113/2007): a)
certificazione di sistema di qualità conforme alle norme europee della serie
UNI EN ISO 9000 e alla vigente normativa nazionale, rilasciata da soggetti
accreditati ai sensi delle norme europee della serie UNI CEI EN 45000 e della
serie UNI CEI EN ISO/IEC 17000; b) requisiti di ordine generale nonché
tecnico–organizzativi ed economico–finanziari conformi alle disposizioni comunitarie in materia di qualificazione. Tra i requisiti tecnico organizzativi rientrano i certificati rilasciati alle imprese esecutrici dei lavori pubblici da parte
delle stazioni appaltanti. Gli organismi di attestazione acquisiscono detti certificati unicamente dall’Osservatorio, cui sono trasmessi, in copia, dalle stazioni
appaltanti.
Dunque, la normativa in materia di qualificazione è attualmente (in
attesa dell’emanazione del nuovo regolamento ex art. 5 del Codice)
quella contenuta nel d.p.r. 34/2000, il quale all’art. 15 regola appunto
il procedimento istruttorio e di emanazione del provvedimento di attestazione da parte della SOA15.
Il d.p.r. 34/00 prevede inoltre all’art. 27, comma 2 che nel casellario, fra i dati indicati, debbano essere inseriti in via informatica per
ogni impresa qualificata
r) eventuali provvedimenti di esclusione dalle gare ai sensi dell’articolo 8,
comma 7, della legge adottati dalle stazioni appaltanti;
15. Inoltre, l’art. 18, comma 2, della l. 7 agosto 1990 n. 241, come sostituito dall’art. 3,
comma 6–octies, del d.l. 14 marzo 2005 n. 35, precisa che «i documenti attestanti atti, fatti,
qualità e stati soggettivi, necessari per l’istruttoria del procedimento sono acquisiti d’ufficio
quando sono in possesso dell’amministrazione procedente, ovvero sono detenuti, istituzionalmente, da altre pubbliche amministrazioni».
216
Capitolo IV
s) eventuali falsità nelle dichiarazioni rese in merito ai requisiti e alle condizioni rilevanti per la partecipazione alle procedure di gara, accertate in
esito alla procedura di cui all’articolo 10, comma 1 quater, della legge;
t) tutte le altre notizie riguardanti le imprese che, anche indipendentemente
dall’esecuzione dei lavori, sono dall’Osservatorio ritenute utili ai fini della
tenuta del casellario.
A tal proposito, lo schema del nuovo regolamento d’esecuzione del
Codice, detta le regole sull’inserimento dei dati nel Casellario nell’art.
8. In particolare, va anche precisato che l’Autorità per la vigilanza con
la determinazione del 10 gennaio 2008 n. 1 ha enucleato la disciplina
relativa al Casellario unitariamente per lavori, servizi e forniture.
Infine, l’art. 27 del d.p.r. 34/00, ai commi 3–5 stabilisce che:
3. Le imprese sono tenute a comunicare all’Osservatorio, entro trenta giorni
dal suo verificarsi, ogni variazione relativa ai requisiti di ordine generale
previsti dall’articolo 17.
4. Le stazioni appaltanti inviano alla fine dei lavori una relazione dettagliata sul comportamento dell’impresa esecutrice, redatta secondo la scheda tipo definita dall’Autorità e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale entro
trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente Regolamento.
5. I dati del casellario di cui al comma 2 sono resi pubblici a cura dell’Osservatorio e sono a disposizione di tutte le stazioni appaltanti per l’individuazione delle imprese nei cui confronti sussistono cause di esclusione
dalle procedure di affidamento di lavori pubblici.
In definitiva, è evidente che in caso di mancato ottenimento dell’attestazione SOA o nelle more del procedimento di attestazione, non vi
sono i presupposti per partecipare alle gare, mancando materialmente
(e giuridicamente) un certificato SOA valido ed efficace.
Una seconda ragione che vieta ad un’impresa di partecipare alle
gare d’appalto pubblico senza una regolare attestazione rilasciata da
una SOA è individuabile nella logica previsione contenuta in ogni
bando di gara; le “Norme di partecipazione”, infatti, indicate nei bandi chiedono ai concorrenti di allegare le attestazioni, in corso di validità, rilasciate da società organismi di attestazione (SOA), regolarmente
Requisiti generali e speciali
217
autorizzate ai sensi di quanto previsto dal codice dei contratti e dal
d.p.r. 34/00, comprovanti il requisito della qualificazione in categorie
e classifiche adeguate ai lavori da assumere.
Da tutto quanto fino ad ora espresso, ne consegue logicamente che
è vietata la partecipazione ad una gara da parte di un’impresa:
a) se manca l’attestazione SOA;
b)in caso di revoca dell’attestazione da parte della SOA, equivalendo la revoca al non possesso dell’attestazione;
c) durante la successiva verifica ai fini del rilascio di una nuova attestazione (fino all’effettivo rilascio del documento abilitante).
Pertanto, è proprio il dato incontestabile espresso sia dalla legge sia dalla singola lex specialis che attribuisce rilievo, ai fini dell’esclusione, al mancato possesso dei requisiti (a causa o della eventuale revoca o dell’eventuale istruttoria ancora non conclusa ex art. 15 del d.p.r. 34/00).
In tal senso, il fatto che per un’impresa sia in corso il procedimento per l’ottenimento della nuova qualificazione, significa che per essa
sia mancante di fatto e di diritto tale requisito speciale; tale mancanza non è assimilabile ad una semplice irregolarità formale e/o errore
materiale nella presentazione del documento; dunque, tale situazione
attualmente e fino all’emissione dell’attestato della SOA legittima sicuramente l’eventuale esclusione dalle gare, né potrebbe essere, d’altra parte, oggetto di chiarimenti e di integrazioni16, neppure ove l’attestazione sopravvenga nelle more della gara.
16. Per completezza va detto che in applicazione al principio d’integrazione dei documenti la giurisprudenza ha da tempo affermato che con la previsione della possibilità
dell’amministrazione di richiedere integrazioni della carente documentazione presentata, il
legislatore non ha inteso assegnare alle stesse una mera facoltà o un potere eventuale, ma ha
piuttosto inteso codificare un ordinario modo di procedere, volto a far valere, entro certi limiti e nel rispetto della par condicio dei concorrenti, la sostanza sulla forma, orientando l’azione
amministrativa sulla concreta verifica dei requisiti di partecipazione e della capacità tecnica
ed economica, coerentemente con la disposizione di carattere generale contenuta nell’art. 6
della legge 7 agosto 1990 n. 241 (nuove norme) generale sul procedimento amministrativo
(per tutte: Cons. Stato, Sez. V, n. 2725 del 4 maggio 2004, nonché, Cons. Stato, Sez. V, n. 1521
del 24 marzo 2006, e TAR Lazio, Sez. III, n. 2586 del 26 marzo 2007).
218
Capitolo IV
Il divieto di cui qui si tratta, vige anche per l’eventuale affidamento
di subappalti ad un’impresa ancora senza attestazione di qualificazione; ciò è vero in forza del seguente disposto di legge.
L’art. 118, comma 2, n. 3) stabilisce infatti che:
L’affidamento in subappalto o in cottimo è sottoposto alle seguenti condizioni: […] che al momento del deposito del contratto di subappalto presso la
stazione appaltante l’affidatario trasmetta altresì la certificazione attestante il
possesso da parte del subappaltatore dei requisiti di qualificazione prescritti
dal presente codice in relazione alla prestazione subappaltata e la dichiarazione del subappaltatore attestante il possesso dei requisiti generali di cui
all’articolo 38.
Capitolo V
Istituti
1. Il diritto d’accesso negli appalti pubblici
Il richiamo espresso dall’articolo 13 in tema di accesso è alla l.
241/90, che nel Codice è più volte richiamata a differenza della precedente normativa stratificata nel tempo.
La legge sul procedimento amministrativo è stata modificata anche per quanto riguarda l’accesso dalla l. 15/2005 e dalla l. 80/2005;
in particolare, la legge 15 ha interamente rivisitato gli articoli 22, 23,
24 e 25, i quali appunto regolano l’accesso agli atti amministrativi da
parte di soggetti interessati, cioè, secondo la lettera b) del comma 1
dell’art. 22 tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi
pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale,
corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al
documento al quale è chiesto l’accesso. La stessa l. 241/90 nell’art. 22,
comma 1 definisce il diritto di accesso come il diritto degli interessati
di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi; i
“controinteressati”, cioè tutti i soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall’esercizio
dell’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza;
il “documento amministrativo”, cioè ogni rappresentazione grafica,
fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del
contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attivi219
220
Capitolo V
tà di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica
o privatistica della loro disciplina sostanziale. In tale ultima definizione
di documento, ai fini di eventuale formazione della prova processuale,
va anche compiuta la differenziazione fra funzioni narrative e funzioni
critiche della stessa prova documentale.
Inoltre, la stessa legge sul procedimento amministrativo disciplina il
differimento e l’esclusione dall’accesso agli atti eventualmente richiesti
per la visione; in specie, l’art. 24, al comma 4 delinea un rapporto di parallelismo fra il differimento e l’esclusione dell’accesso, il quale non può
essere negato ove sia sufficiente fare ricorso al potere di differimento.
Stabilisce l’art. 24, comma 1 lett. a) che il diritto di accesso è escluso per
i documenti coperti da segreto di Stato e nei casi di segreto o di divieto
di divulgazione espressamente previsti dalla legge, dal regolamento governativo di cui al comma 6 e dalle pubbliche amministrazioni ai sensi
del comma 2 del presente articolo. In tal senso si comprende quanto
affermato nel Codice all’incipit del comma 2 dell’art. 13.
L’art. 25 della l. 241/90 disciplina, in armonia con il d.p.r. 184/2006,
le modalità di esercizio del diritto d’accesso e i ricorsi, cioè il processo
abbreviato dinnanzi il giudice amministrativo come actio ad exhibendum1, che può portare l’Amministrazione ad un facere: ecco il procedimento nel dettaglio descritto:
Il rifiuto, il differimento e la limitazione dell’accesso sono ammessi nei casi
e nei limiti stabiliti dall’articolo 24 e debbono essere motivati. Decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta, questa si intende respinta. In caso di
diniego dell’accesso, espresso o tacito, o di differimento dello stesso ai sensi
dell’art. 24, comma 4, il richiedente può presentare ricorso al tribunale am1. Sul tema, cfr. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, IV, p. 845. Per un approfondimento della tematica relativa alle azioni processuali, vedi Amorth, Il merito dell’atto amministrativo, Milano 1939; Baccarini, Giudice amministrativo e discrezionalità tecnica, in Dir.
Proc. amm., 2001, p. 80; Benvenuti, voce Processo amministrativo, in Enc. del dir., XVIII, Milano 1969; Caringella, Protto, Il nuovo processo amministrativo dopo la legge 21 luglio 2000,
n. 251, Milano 2001; Cassarino, Manuale di diritto processuale amministrativo, Milano, 1990;
Cerulli Irelli, Verso il nuovo processo amministrativo, Torino 2000; Domenichelli, Il processo
amministrativo, in Aa. Vv., Diritto amministrativo, a cura di Mazzarolli, Pericu, Romano,
Roversi Monaco, Scoca, Bologna 1998; Nigro, Giustizia amministrativa, Bologna 1994.
Istituti
221
ministrativo regionale ai sensi del comma 5, ovvero chiedere, nello stesso
termine e nei confronti degli atti delle amministrazioni comunali, provinciali
e regionali, al difensore civico competente per ambito territoriale, ove costituito, che sia riesaminata la suddetta determinazione. Qualora tale organo
non sia stato istituito, la competenza è attribuita al difensore civico competente per l’ambito territoriale immediatamente superiore. Nei confronti
degli atti delle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato tale richiesta
è inoltrata presso la Commissione per l’accesso di cui all’art. 27. Il difensore civico o la Commissione per l’accesso si pronunciano entro trenta giorni dalla presentazione dell’istanza. Scaduto infruttuosamente tale termine,
il ricorso si intende respinto. Se il difensore civico o la Commissione per
l’accesso ritengono illegittimo il diniego o il differimento, ne informano il
richiedente e lo comunicano all’autorità disponente. Se questa non emana
il provvedimento confermativo motivato entro trenta giorni dal ricevimento
della comunicazione del difensore civico o della Commissione, l’accesso è
consentito. Qualora il richiedente l’accesso si sia rivolto al difensore civico o
alla Commissione, il termine di cui al comma 5 decorre dalla data di ricevimento, da parte del richiedente, dell’esito della sua istanza al difensore civico
o alla Commissione stessa. Se l’accesso è negato o differito per motivi inerenti
ai dati personali che si riferiscono a soggetti terzi, la Commissione provvede,
sentito il Garante per la protezione dei dati personali, il quale si pronuncia
entro il termine di dieci giorni dalla richiesta, decorso inutilmente il quale il
parere si intende reso. Qualora un procedimento di cui alla sezione III del
capo I del titolo I della parte III del decreto legislativo 30 giugno 2003, n.
196, […], relativo al trattamento pubblico di dati personali da parte di una
pubblica amministrazione, interessi l’accesso ai documenti amministrativi, il
Garante per la protezione dei dati personali chiede il parere, obbligatorio e
non vincolante, della Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi. La richiesta di parere sospende il termine per la pronuncia del Garante
sino all’acquisizione del parere, e comunque per non oltre quindici giorni.
Decorso inutilmente detto termine, il Garante adotta la propria decisione.
Contro le determinazioni amministrative concernenti il diritto di accesso e
nei casi previsti dal comma 4 è dato ricorso, nel termine di trenta giorni,
al tribunale amministrativo regionale, il quale decide in camera di consiglio
entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso,
uditi i difensori delle parti che ne abbiano fatto richiesta. In pendenza di un
ricorso presentato ai sensi della n. 1034/1971, e successive modificazioni, il
ricorso può essere proposto con istanza presentata al presidente e depositata
presso la segreteria della sezione cui è assegnato il ricorso, previa notifica al-
222
Capitolo V
l’amministrazione o ai controinteressati, e viene deciso con ordinanza istruttoria adottata in camera di consiglio. La decisione del tribunale è appellabile,
entro trenta giorni dalla notifica della stessa, al Consiglio di Stato, il quale
decide con le medesime modalità e negli stessi termini. Le controversie relative all’accesso ai documenti amministrativi sono attribuite alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo.
Nei giudizi in materia di accesso, le parti possono stare in giudizio personalmente senza l’assistenza del difensore. L’amministrazione può essere rappresentata e difesa da un proprio dipendente, purché in possesso della qualifica
di dirigente, autorizzato dal rappresentante legale dell’ente.
Il giudice amministrativo, sussistendone i presupposti, ordina l’esibizione dei
documenti richiesti.
Oltre a quanto espresso nella normativa di riferimento sul procedimento amministrativo, la disciplina speciale per gli appalti pubblici2
che era contenuta nell’art. 22 della legge 109/94 e s.m.i. e dall’art. 10
del d.p.r. 554/99, si svolgeva espressamente come deroga alla regola
generale della l. 241/90; si trattava di ipotesi, quelle dell’art. 22, comma 1 lett. a) e b), di differimento motivato dalla ratio di gara e dalla
segretezza delle offerte dei concorrenti. Attualmente la disciplina diviene più corposa, distinguendo l’esclusione (comma 5) dal differimento (comma 2) ed estendendo il suo ambito d’applicazione (prima
riferito solo alle opere) anche alle altre tipologia di appalti pubblici
oltre ai lavori.
Una disposizione superflua — cioè che nulla aggiunge a quanto
già sarebbe applicabile — già contenuta nel comma 2 dell’art. 22 della legge Merloni viene ripetuta al comma 4 del Codice: un illecito
penale si configura come tale solo se sussiste una norma penale che,
nel rispetto dei principi dettati all’uopo dalla Costituzione, preveda
quella fattispecie concreta come reato. Non spetta e non serve, invero,
che una fattispecie astratta, per di più amministrativa, “avvisi” che un
comportamento è sanzionato dalla legge penale.
2. Cfr. tale rapporto nell’art. 2 del Codice.
Istituti
223
2. Gli affidamenti “in house”
Relativamente a tale argomento, il Codice non ha recepito il criterio comunitario in tema di appalti misti: per poter individuare un
contratto misto non viene cioè utilizzato come strumento ermeneutica il criterio della qualità e non già quello della quantità (fino ad oggi
vigente a livello nazionale). Questo significa che non sarà l’oggetto
principale del contratto ma il suo valore economico il discrimen per
individuare la qualifica dell’appalto misto come di lavori, servizi o
forniture.
La tematica che tratta l’articolo è quella dei cd. affidamenti in
house, cioè l’opposta situazione che avviene negli organismi di diritto pubblico, in tema di appalti pubblici e di procedure ad evidenza
pubblica.
In particolare, va qui precisato che nella disposizione in parola è
stato generalizzato in veste di norma il principio enucleato nella ben
nota ormai sentenza Teckal S.r.l.
Come noto, l’espressione in house significa in genere l’assenza di
terzietà rispetto all’affidante, da parte del soggetto affidatario dell’appalto, cioè in altre parole l’applicazione della normativa sugli appalti
viene ad essere esclusa quando il soggetto affidatario non è terzo rispetto all’amministrazione, la quale con ciò viene a trovarsi di fronte
ad una situazione del tutto analoga all’esercizio diretto dell’attività da
parte dello stesso soggetto che affida.
È per tale ragione che l’affidamento di un tale appalto pubblico
cd. in house è invero un “in house providing”, cioè un approvvigionamento3.
La locuzione in house compare per la prima volta nel Libro bianco
del 1998, riferita appunto agli appalti pubblici4.
3. Vedi da ultimo Piazza, In house providing: assenza di terzietà e nuovi approcci interpretativi, in «Riv. Trim. Appalti», 2006, p. 531.
4. Cfr. COM – 98 – 148 def., 1. 3. 1998, punto 2. 1. 3, p. 11, nt. 10.
224
Capitolo V
La sentenza Teckal (C– 197/98), sulla base di precedenti comunitari5, aveva precisato l’ambito di applicazione degli affidamenti in house;
in particolare, viene, fra l’altro, stabilito che se un contratto sia stipulato
tra un ente locale e una distinta persona giuridica, l’applicazione delle
direttive comunitarie può escludersi qualora l’ente locale eserciti nei
confronti della persona giuridica un “controllo analogo” a quello esercitato sui propri servizi e la persona giuridica esegua la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti locali che la controllano.
Il “controllo analogo” viene definito come un rapporto equivalente in
pratica ad una subordinazione gerarchica, quindi un controllo in capo
all’amministrazione grazie al quale essa abbia un potere di direzione,
coordinamento e controllo sull’attività del soggetto partecipato. Tali
concetti erano stati già evidenziati nella sentenza “Truley”.
Anche la giurisprudenza nazionale si era pronunciata sufficientemente in materia6.
Attualmente, quegli indirizzi giurisprudenziali elaborati in assenza
di una precisa normativa circa l’ambito di concreta applicabilità dell’istituto degli affidamenti in house in deroga all’evidenza pubblica,
vengono a trovare precisa collocazione normativa nell’art. 15 del Codice, il quale, sulla base della sentenza Teckal S.r.l. fornisce i limiti e i
due criteri cumulativi grazie ai quali, se in contemporanea sussistenza,
è consentito di escludere dalle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici questi rapporti fra pubblica amministrazione ed ente
soggetto all’influenza dominante di quest’ultima.
Il limite posto dalla norma che solo in via di schema del Codice De
Lise era stata scritta, consentiva la sottrazione dall’evidenza pubblica
solo se in presenza della totalitaria partecipazione pubblica e se la
società avesse realizzato la propria attività in modo esclusivo con le
amministrazioni aggiudicatici.
5. Cfr. C–360/96 “Arnhem”; C–108/98 “RI. SAN”; C–26/03 Stadt Hallè; C–458/03
“Parking Brixen”; C–373/00 “Truley”.
6. Cfr. ad esempio: Consiglio di Stato, Sez. V, 18 settembre 2003, n. 5316; Cons. Stato,
Sez. V, 30 giugno 2003, n. 3864; Cons. Stato, Sez. V, 6 maggio 2002, n. 2418; Cons. Stato, Sez.
V, 30 aprile 2002, n. 2297, 2298 e 2300; Cons. Stato, Sez. V, 19 febbraio 1998, n. 192.
225
Istituti
3. L’istituto dell’avvalimento
L’istituto dell’avvalimento è stato elaborato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, in sede di interpretazione di alcune norme delle direttive comunitarie appalti — che consentivano ai
concorrenti di provare i requisiti di capacità economico–finanziaria
richiesti mediante qualsiasi documento ritenuto idoneo dall’amministrazione aggiudicatrice7, e soprattutto di provare i requisiti di
capacità tecnico–organizzativa «mediante l’indicazione dei tecnici
e degli organismi tecnici, siano essi o meno parte integrante dell’impresa concorrente»8.
Da tali norme la Corte di Giustizia ha tratto il principio generale
secondo cui una impresa partecipante a una gara pubblica può dimostrare la propria capacità tecnica e/o finanziaria facendo riferimento a
referenze (vale a dire a dotazioni organizzative, economiche, tecniche
e di personale) relative ad altra impresa, in qualche modo legata a
quella offerente (attraverso forme di controllo o di partecipazione,
tipiche delle c.d. holding).
Tale principio, dapprima, è stato affermato nell’ambito dei rapporti infragruppo, con particolare riferimento al rapporto tra holding
(partecipante alla gara e priva ex se dei requisiti di capacità) e società
controllate (non partecipanti alla gara e direttamente in possesso dei
requisiti).
A tale riguardo, la giurisprudenza comunitaria, più volte pronunziatasi sui principi applicativi dell’istituto dell’avvalimento, con riferimento agli appalti di lavori pubblici ha avuto modo di chiarire che:
a) in caso di holding, e, cioè, di un collegamento tra un gruppo
di imprese poste sotto l’influenza dominante di una società capogruppo che direttamente o indirettamente le controlla, qualora una della «consociate» partecipi a una gara pubblica, può
7. 8. Art. 31, n. 3, Direttiva 92/50/Cee e art. 26 Direttiva 93/37/Cee.
Art. 32, n. 2, lett. “c”, Direttiva 92/50 Cee e art. 27 Direttiva 93/37/Cee.
226
Capitolo V
attingere, al fine di dimostrare la propria capacità economica,
finanziaria e tecnica, alle referenze delle imprese consociate;
b)non è di ostacolo a tale conclusione il fatto che le imprese consociate, ai requisiti tecnici ed economico–finanziari delle quali si
intenda fare riferimento, abbiano ciascuna una propria autonoma personalità giuridica;
c) qualora, al fine di dimostrare le sue capacità tecniche, finanziarie
ed economiche, una società produca referenze delle sue consociate (ipotesi, questa, frequente allorché la società offerente non
possegga proprie referenze in grado di per sé stesse di soddisfare i criteri di selezione qualitativa), essa deve provare di potere
effettivamente disporre dei mezzi di queste ultime necessari alla
esecuzione degli appalti, spettando al giudice nazionale valutare
gli elementi di diritto e di fatto sottopostigli, al fine di stabilire
se detta prova sia stata raggiunta9.
Alle posizioni espresse dall’organo di giustizia comunitaria — le
cui statuizioni interpretative entrano a fare parte dell’ordinamento
comunitario e sono direttamente applicabili negli Stati membri — si
è allineata la giurisprudenza interna, ripercorrendo il tracciato argomentativo delineato dalle richiamate sentenze comunitarie10.
In una fase successiva, la giurisprudenza ha esplicitamente generalizzato il principio dell’avvalimento, giungendo ad affermare che
il concorrente, in sede di ammissione alla gara, può legittimamente
fare riferimento alle capacità di altri soggetti «qualunque sia la natura
9. Cfr. ex multis, Corte di Giustizia, terza sezione del 18 dicembre 1997, Ballast Nedam Groep NV c/Stato Belga, proced. C–5/97, relativa a un appalto di lavori pubblici; Corte
di Giustizia, quinta sezione del 2 dicembre 1999, Holst Italia c/Comune di Cagliari, causa
C–176/98.
10. Si vedano ad es. TAR Sardegna n. 984 dell’8 novembre 2000 e TAR Lombardia, III
Sez., ord. n. 1190 del 14 aprile 2000, sull’ammissibilità del riferimento, da parte di un’impresa
fornitrice di servizi, a mezzi, strutture e altri requisiti di capacità tecnica e/o economico–finanziaria di altre imprese, a condizione che sussistano e siano dimostrati, tra la prima e le
seconde, vincoli di partecipazione e controllo tali da comprovare la effettiva disponibilità, da
parte dell’impresa offerente, dei predetti mezzi e strutture.
Istituti
227
giuridica dei vincoli che ha con essi, a condizione che sia in grado di
provare di disporre effettivamente dei mezzi di tali soggetti necessari
all’esecuzione dell’appalto»11.
Così formulata, la regola, sia pure di fonte giurisprudenziale, appariva già sufficientemente precisa.
Per i legislatori, le amministrazioni e i giudici nazionali, residuavano
margini di apprezzamento soltanto in ordine a standard, modalità e
intensità della prova richiesta circa la disponibilità dei suddetti mezzi.
In più recenti pronunzie, la giurisprudenza amministrativa, sempre
recependo l’orientamento invalso nella giurisprudenza comunitaria,
ha riconosciuto la legittimità del ricorso all’avvalimento a prescindere dallo specifico vincolo di controllo e/o di collegamento societario,
esprimendo il principio secondo il quale
Al fine di comprovare il possesso dei requisiti economici, finanziari e tecnici
richiesti per l’ammissione ad una gara bandita per l’affidamento di un appalto di servizi, il partecipante può fare riferimento alla capacità di altri soggetti,
qualunque sia la natura del vincolo giuridico tra essi esistente, a patto che egli
sia in grado di dimostrare l’effettiva disponibilità delle risorse altrui; l’esigenza (di matrice comunitaria) di favorire la libera circolazione delle merci e dei
servizi, nonché la libera concorrenza è in tal modo contemperata con quella
della stazione appaltante alla buona esecuzione delle prestazioni contrattuali
(il tribunale ha dichiarato illegittima l’esclusione dalla gara per l’affidamento del servizio raccolta e smaltimento RSU, di un consorzio che, in sede di
offerta, aveva dichiarato di volersi avvalere della iscrizione posseduta da una
consorziata delle cui capacità è risultata avere l’effettiva disponibilità)12.
La Direttiva 18/2004/CE, in materia di appalti di lavori, servizi e
forniture, ha codificato compiutamente il principio dell’avvalimento13,
in termini sostanzialmente identici all’impostazione giurisprudenziale
sopra riportata.
11. Corte di Giustizia, C–176/98, sent. 2. 12. 1999; TAR Lombardia III Sez., n. 195 del
26 gennaio 2001.
12. TAR Sardegna, 28 novembre 2003, n. 1548; TAR Friuli Venezia Giulia, 12 aprile
2005, n. 229.
13. Cfr. art. 47, commi 2 e 3.
228
Capitolo V
La disposizione di cui all’articolo 47 della direttiva 2004/18 è costruita quale riconoscimento di facoltà per il concorrente, ma in realtà
contiene un ordine positivo alle stazioni appaltanti (o, se si vuole, agli
Stati membri perché lo impongano a loro volta alle proprie stazioni
appaltanti), cioè di considerare soddisfatto il requisito della capacità
economica e finanziaria facendo affidamento (ovvero avvalendosi, se
si preferisce) sulle capacità di altri soggetti, precisando che sono del
tutto ininfluenti gli eventuali legami esistenti con i soggetti avvalsi.
L’interpretazione da dare, dunque, è che l’avvalimento può avvenire, e non può essere rifiutato dalla stazione appaltante, ove il concorrente lo ritenga necessario per integrare un requisito altrimenti
carente.
La norma, dunque, impone alle Stazioni appaltanti di accettare
l’avvalimento operato dall’operatore economico partecipante nei confronti di altri soggetti a prescindere dalla natura giuridica dei suoi
legami con questi ultimi.
L’ampiezza della norma induce, dunque, a ritenere che il legame
non solo può essere di svariata natura (contrattuale, fattuale, di garanzia, di incrocio azionario senza caratteristiche di dominanza etc.), ma
anche, a fortiori, può non esistere minimamente, ferma restando quale
precisa e imprescindibile condizione affinché l’avvalimento debba essere accettato, che l’avvalente dimostri di disporre dei mezzi necessari, dando prova che l’avvalso possiede quei requisiti che gli sarebbero
stati necessari per partecipare egli stesso alla gara e che quegli stessi
mezzi sono posti a disposizione dell’avvalente stesso.
La disponibilità dei mezzi, peraltro, in concreto può scaturire solo
da un rapporto giuridico intercorrente tra l’avvalente e l’avvalso. e
infatti, se è vero che, in linea astratta, non rileva la natura giuridica
dei legami tra loro, in realtà un legame giuridico non può non esistere,
intendendosi con questo termine un legame che produca effetti giuridici, i quali, nella specie, sono appunto quelli di garantire il creditore
sotto il profilo finanziario e patrimoniale.
In questo senso, dunque, il legame tra avvalente e avvalso può anche non sussistere, se lo si interpreta in termini economici, ma un
Istituti
229
rapporto giuridico non può non esistere. e allo stesso modo, può sussistere un legame economico o fattuale, ma ciò che rileva è il rapporto
giuridico che da ciò scaturisce. Ciò che vuole dire la norma, dunque,
non è che i due soggetti possano essere del tutto svincolati l’uno dall’altro (il che farebbe venire meno la stessa messa a disposizione dei
mezzi), ma che la stazione appaltante può solo pretendere la prova
della esistenza del rapporto giuridico da cui deriva la disponibilità
dei mezzi (la provvista del requisito, per così dire), disgiunto da un
qualsiasi legame preesistente, o successivo, che non sia di mera natura
obbligatoria funzionale all’avvalimento.
Dunque l’avvalimento può avvenire con qualsiasi soggetto, anche
se legato all’avvalente.
Pertanto, a prescindere dai casi di avvalimento tra imprese dello
stesso gruppo o legate da rapporti di controllo, è evidente che in qualsiasi altro caso l’avvalso, gioco forza, dovrà formalizzare in un negozio
giuridico le garanzie che intende e può prestare, sotto la forma giuridica più idonea allo scopo.
Identiche considerazioni valgono per l’avvalimento circa le capacità tecniche e professionali, disciplinato dall’articolo 48, paragrafo
terzo della direttiva 2004/18.
Questa disposizione è, infatti, praticamente, identica a quella di cui
all’art. 47.
Sia l’articolo 47 sia l’articolo 48 contengono, infine, un identico paragrafo il quale precisa che l’avvalimento deve essere permesso nella
normativa statale anche agli operatori economici che facciano parte di
un raggruppamento ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2 della direttiva
stessa.
I raggruppamenti, come è noto, sono quelle forme di cooperazione tra soggetti giuridici che si possono presentare con le più
svariate forme di collegamento economico, finanziario, operativo,
caratterizzate esclusivamente da un dato negativo, vale a dire quello di non essere persone giuridiche, cioè di non essere assurte alla
qualità di titolare di un patrimonio autonomo, come, invece, le
persone giuridiche.
230
Capitolo V
La disciplina comunitaria in esame, dunque, impone di permettere
l’avvalimento interno al raggruppamento, il che altro non significa che
i requisiti economici, finanziari e tecnici devono potere essere posseduti anche con riferimento reciproco ai partecipanti al raggruppamento. Sarebbe quindi contraria alla direttiva una norma che imponesse
alle imprese raggruppate di possedere i requisiti solo in proprio o al
massimo con avvalimento esterno, mentre viceversa si deve permettere che ciascuna di esse faccia riferimento, per il raggiungimento dei
minimi, anche alle società raggruppate i cui requisiti sovrabbondanti
devono poter giovare a tutte le altre (ci si riferisce alle disposizioni di
cui all’articolo 95 del d.p.r. 21 dicembre 1999, n. 554, che nell’individuare i requisiti economico finanziari e tecnico organizzativi minimi
di ciascuna delle imprese raggruppate (sia nei raggruppamenti e nei
consorzi di tipo orizzontale sia in quelli di tipo verticale) sembra impedire che al raggiungimento di essi contribuiscano i requisiti propri
delle altre raggruppate — ove essi stessi superiori ai minimi — ovvero
anche l’unico requisito totalitario di una sola di esse).
Le richiamate disposizioni comunitarie in materia di avvalimento,
sono state recepite nel nostro ordinamento dall’art. 49 del Codice.
Dalla lettura della richiamata disposizione emerge innanzitutto che
diversamente dal legislatore comunitario, il legislatore italiano ha tipizzato le modalità attraverso le quali è possibile dimostrare il possesso
dei requisiti di un altro soggetto: 1) dichiarazione del concorrente 2) e
dell’impresa ausiliaria sul possesso dei requisiti di ordine generale; 4)
dichiarazione di non partecipare in gara in altre forme di avvalimento,
ATI — o altra veste; 5) contratto tra concorrente — avvalso (o dichiarazione sostitutiva infragruppo). L’effetto naturale di tale tipizzazione
è quello di restringere la libertà che il legislatore comunitario ha, invece, lasciato alle parti di scegliere i mezzi per dimostrare la concreta
possibilità di fare affidamento sui requisiti di un terzo soggetto.
Altro elemento di “distacco” della normativa di recepimento interno
rispetto alla scelta del legislatore comunitario è il regime di responsabilità solidale tra impresa concorrente e impresa cd” ausiliaria”; la Direttiva, infatti, non prevede un tale regime di responsabilità solidale.
Istituti
231
D’altro canto, alla legittimità dell’avvalimento interno non sembrerebbe frapporsi neanche la prescrizione di cui alla lett. e) dell’art. 49
che impone la dichiarazione sottoscritta dall’impresa ausiliaria con cui
questa attesta “che non partecipa in proprio o associata o consorziata
ai sensi dell’art. 34 né si trova in una situazione di cui all’art. 34, comma 2 con una delle altre imprese che partecipano alla gara”. Si deve
infatti ritenere che la ratio di tale prescrizione è la stessa del divieto
sancito dal comma 8 dell’art. 49, a mente del quale “in relazione a
ciascuna gara non è consentito, a pena di esclusione, che della stessa
impresa ausiliaria si avvalga più di un concorrente, e che partecipino
sia l’impresa ausiliaria che quella che si avvale dei requisiti” nonché,
del generale divieto per le imprese di partecipare ad una medesima
gara sotto forme diverse e, cioè, in forma di impresa singola e in forma
plurisoggettiva, ovvero in più di una struttura plurisoggettiva.
Il divieto imposto all’impresa “ausiliaria” è infatti quello di partecipare alla gara in proprio ovvero in alcuna delle forme plurisoggettive in
posizione di concorrenza con l’impresa cui “presta” i propri requisiti.
Il relazione alla prova relativa alle capacità economiche (la disponibilità dei mezzi necessari), c’è da precisare che tale dimostrazione
dovrà logicamente vertere sul fatto che l’impresa avvalsa possegga i
requisiti che sarebbero ad essa stati necessari per partecipare da sola
alla gara, e sul fatto che quei mezzi così mostrati sono posti a disposizione dell’impresa avvalente.
Come già parte della dottrina14 ha indicato e analizzato specificamente dalle disposizioni comunitarie ora trattate si enucleano i seguenti aspetti fondamentali, utili per poi comprendere il tenore del
disposto dell’art. 49 del Codice: l’avvalimento è espressione di una
libera scelta dell’impresa concorrente (o del raggruppamento o del
consorzio, come dispone il comma 1 dell’art. 49 del Codice); i soggetti
avvalsi possono essere più di uno solo; tali soggetti non devono obbligatoriamente essere collegati all’avvalente da un legame economico o
giuridico presistente, ma è possibile che essi siano in qualunque modo
14.
Cfr. C. Zucchelli, L. Germani, Avvalimento dei requisiti di altre imprese, 2005.
232
Capitolo V
collegati fra loro senza che ciò impedisca l’avvalimento; l’amministrazione aggiudicatrice deve chiedere (in quanto l’impresa che si avvale
ha obbligo di dimostrazione) la dimostrazione della disponibilità dei
mezzi necessari e può richiedere qualsiasi mezzo di prova.
L’art. 49 del Codice nasce in questa cornice e fa riferimento a tutte le tipologie d’appalto pubblico; naturalmente il comma 2, ai fini
dell’avvalimento, pone precisi obblighi di dimostrazione elencati nel
dettaglio che l’operatore economico che concorre deve allegare, oltre
all’eventuale attestazione SOA propria e dell’impresa ausiliaria (con
i termini il legislatore nazionale ha già posto più precise indicazioni
e concezioni in materia: impresa ausiliaria sembra temperare in fatto
etimologico la rubrica “avvalimento”). Fra tali allegazioni, compaiono
le dichiarazioni sia dell’avvalente che dell’avvalso circa il possesso dei
requisiti di cui all’art. 38. Inoltre, fra le limitazioni poste ex art. 49,
comma 2 c’è la dichiarazione dell’impresa ausiliaria che essa non si
trovi in una situazione di controllo di cui all’art. 34, comma 2 con una
delle imprese che partecipano alla gara: questo significa che razionalmente non sussiste problema alcuno, in pieno rispetto con le norme
comunitarie suddette, se tra l’impresa concorrente e quella ausiliaria
sussista una condizione di controllo ex art. 34, comma 2.
Un effetto di eventuali false dichiarazioni, oltre a quello della lett. h)
dell’art. 38 e oltre all’invio degli atti relativi alle false dichiarazioni alla
Procura della Repubblica presso il Tribunale competente, comporta anche gli effetti descritti al comma 3 dell’art. 49: l’escussione della garanzia è l’aggiunta (l’esclusione dalla gara è già insita nella lett. h) dell’art.
38) unitamente alla segnalazione all’Autorità per le sanzioni ex art. 6,
comma 11, oltre al normale inserimento nel casellario informatico.
La normativa antimafia (cfr. art. 247) naturalmente si applica anche
alle imprese ausiliarie, tenendo conto delle previsioni contenute nella normativa preventiva relativamente ai controlli in base all’importo
dell’appalto a base di gara.
Altri limiti che riguardano la procedura e che disciplinano in garanzia l’istituto dell’avvalimento sono contenuti nei commi dal 6 all’11: il
d.lgs. 152/08 ha riferito ai soli lavori la limitazione per il concorrente
Istituti
233
di potersi avvalere di una sola ausiliaria per ogni requisito o categoria (c. 6); è stata abrogata (sempre dal III Correttivo) la limitazione
per cui il bando poteva ridurre la potenzialità dell’avvalimento o alle
capacità economiche o a quelle tecniche, ovvero ad integrazione di requisiti economici o tecnici già posseduti in precedenza dall’avvalente
(c. 7); una prescrizione negativa comporta l’impossibilità che in una
gara la medesima impresa ausiliaria possa essere tale per più imprese
concorrenti (c. 8), con una deroga in relazione a requisiti tecnici connessi con il possesso di particolari attrezzature, sempre che il bando lo
disciplini (c. 9); l’impresa ausiliaria potrà divenire in fase d’esecuzione
subappaltatore (c. 10); le dichiarazioni di avvalimento devono essere
trasmesse dalla stazione appaltante all’Autorità e all’Osservatorio per
la pubblicazione sul sito informatico (c. 11).
Esaminando dapprima la sospensione operata dalla l. 228/06 al
comma 10 dell’art. 49 Codice relativo all’avvalimento, la prima constatazione cade sulla scelta del Legislatore, comunque obbligata dalla
previsione dell’istituto già dalla Direttiva 2004/18/CE, di mantenere
in vigore l’avvalimento, peraltro non del tutto nuovo se si considera
che esiste una vecchia normativa ancora applicabile che consente ad
un consorzio di cooperative di presentarsi con le sue iscrizioni e che
possano eseguire i lavori imprese che non sono state qualificate.
Il comma 10 nella precedente formulazione prevedeva: “Il contratto è in ogni caso eseguito dall’impresa che partecipa alla gara, alla
quale è rilasciato il certificato di esecuzione, e l’impresa ausiliaria non
può assumere a qualsiasi titolo il ruolo di appaltatore, o di subappaltatore”. La sospensione operata dalla l. 228/06 è divenuta la nuova
regola dettata espressamente dal legislatore del d.lgs. 6/2007, art. 2,
comma 1 lett. d): «[…] l’impresa ausiliaria può assumere il ruolo di
subappaltatore nei limiti dei requisiti prestati».
Certo è che, attualmente, devono essere rispettate tutte le previsioni relative all’avvalimento, mentre in questo quadro di per sé complesso viene lasciata la possibilità che l’impresa ausiliaria possa anche
assumere il ruolo di appaltatore o di subappaltatore, quindi che possa
partecipare effettivamente e pienamente all’appalto. L’avvalimento,
234
Capitolo V
pertanto, da istituto per la partecipazione a gare e irrilevante in fase
esecutiva, diviene uno strumento dal contenuto variabile e misto: non
più unicamente (per il momento) mezzo di ausilio relativo ai requisiti
tecnico–organizzativi ed economico–finanziari, bensì anche paradigma nel quale tale ausilio si ripercuota pure nella fase di realizzazione
lasciando aperta la possibilità che l’impresa prestante possa trasformarsi in appaltatore o in subappaltatore. Dunque, l’avvalimento diviene forma di garanzia anche in esecuzione, quindi totalmente.
Questo nuovo assetto legislativo sembra ancora di più allontanare
la forma dell’avvalimento contemplato nel nostro ordinamento rispetto a quello più ampio creato dalla normativa comunitaria: infatti, a ben
vedere la scelta di campo effettuata dall’UE consisterebbe nel lasciare
ampia facoltà di scelta di utilizzo di un’impresa ausiliaria proprio in
ragione del fatto che tale accesso all’avvalimento dei requisiti sia sic et
simpliciter possibile e legittimo. La normativa della Direttiva 2004/18
è perciò sintetica e senza alcuna limitazione di dettaglio. È pur vero
che la normativa comunitaria, proprio in ragione della sua natura di
norma sovranazionale, riguardante singoli ambiti di diversi ordinamenti giuridici, non possa dettare specificamente e dettagliatamente
regole, che i singoli Stati Membri devono invece adattare nell’alveo
giuridico particolare; ma d’altra parte, in relazione all’istituto dell’avvalimento, proprio perché figura comunque nuova in tema di appalti
pubblici, sembra valere il brocardo ubi voluit, dixit.
A parlare, in vece del legislatore Comunitario, nel nostro ordinamento è stato l’art. 49 Codice, che ha fissato una serie di norme procedurali e non, intese a garantire nelle gare d’appalto pubblico (quale
terreno in cui devono trovare attuazione) i due principi fondamentali
della massima concorrenza (principio Comunitario) e della libera iniziativa economica (art. 41 Costituzione).
Comunque, maggiori ristrettezze in fatto d’applicabilità dell’avvalimento rispetto alle originarie previsioni della Direttiva sussistono per le imprese
che intendano utilizzare legittimamente lo strumento giuridico in parola.
Da un lato tali limitazioni risultano allentate con la nuova formulazione del comma 10 dell’art. 49 del Codice, ma d’altra parte la
Istituti
235
figura originaria dell’avvalimento appare così in parte sbiadita nei
suoi contorni quando la normativa nazionale, spostandosi fuori dalle
regole di gara ad evidenza pubblica, consente che l’impresa ausiliaria possa divenire appaltatore o subappaltatore “a qualsiasi titolo”.
Assistiamo, nel regime dell’art. 49 attualmente vigente del Codice
ad un “chiasmo normativo”: a) il comma 4 rimane vigente nel prevedere — e questo doveva appunto rimanere, come principio proprio
del nostro ordinamento — la responsabilità solidale tra impresa principale e impresa ausiliaria; b) l’impresa ausiliaria non è escluso che
possa far traslare la titolarità del contratto stesso mediante l’assunzione da parte sua della qualifica di appaltatore o subappaltatore.
Ora, applicando queste due regole accade che:
1)la responsabilità solidale dell’ausiliaria non si limita più alla garanzia per un ipotetico inadempimento dell’impresa ausiliata
(rectius: unicamente appaltatrice nella originaria disposizione),
bensì si estende anche nei confronti della stazione appaltante
se l’impresa prestante sia divenuta intanto “appaltatore”;
2)inoltre, il più forte scontro tra contenuti normativi si configura
in relazione alla qualifica di subappaltatore che l’impresa ausiliaria può ora assumere: il regime giuridico dettato dall’art. 118
del Codice (rimasto pressoché identico al precedente art. 18 della l. 55/90) ha natura rigorosa e limitativa; quello invece dell’avvalimento, nonostante le maggiori restrittezze apportate dall’art.
49 del Codice rispetto la normativa Comunitaria, comunque è
animato da libertà economica. Inoltre, come sostenuto da autorevole dottrina: «la qualifica di subappaltatore dell’impresa ausiliaria mal si concilia con l’assunzione in capo alla stessa della
responsabilità solidale rispetto all’insieme delle prestazioni oggetto del contratto d’appalto»15;
15. R. Mangani, Con la proroga del Codice cambiano i rapporti tra imprese in caso di avvalimento, in »Edilizia e Territorio», n. 30/2006, p. 9. Sull’intero argomento dell’avvalimento
e della legge 228/06, cfr. ancora Mangani, Id., pp. 6 e ss.
236
Capitolo V
3) sempre in tema di subappalto ed avvalimento, come si coordinano da un lato la limitazione prevista dall’art. 118, comma 2
per la quale, nell’ambito dei lavori, è subappaltabile la categoria prevalente nella quota parte in ogni caso non superiore al
30% e, d’altra parte, la formulazione dell’art. 49, comma 10, in
cui è previsto che l’impresa ausiliaria possa assumere il ruolo di
subappaltatore nei limiti dei requisiti prestato? Sembra, infatti,
che il subappaltatore nell’avvalimento non abbia limiti quantitativi come il subappaltatore sottoposto al regime dell’art. 118,
comma 2; l’unica limitazione per il subappaltatore nell’avvalimento è circoscritta ai requisiti prestati, che materialmente possono essere anche superiori al 30% della categoria prevalente.
In altri termini, in assenza di più chiare linee legislative ed ermeneutiche, il mancato coordinamento delle norme — sempre che
si tratti di ciò e non di una indicazione voluta dalla legge, ma in
tale ultimo caso sarebbe preferibile una esplicazione determinata e tassativa vista l’importanza della portata della norma qui in
esame per cui è prevista una sanzione di natura penale! — ha
portato alla configurazione di una figura speciale di subappalto,
quello legato cioè all’avvalimento16.
Con l’art. 50 il Codice detta una disciplina “quadro”, che rimanda
ovviamente all’emanando regolamento ex art. 5 del Codice, e riguardante l’avvalimento nel caso di operatività di sistemi di attestazione o
di sistemi di qualificazione.
Già il legislatore comunitario aveva indicato fra le norme richiamate dal paragrafo 1 dell’art. 52 (cosa che comunque il comma 2 dell’art.
45 del Codice non potrà riportare, sussistendo appunto gli artt. 49 e
50) relativo all’iscrizione negli elenchi ufficiali o all’ottenimento della certificazione, i paragrafi dell’art. 47 e dell’art. 48 relativi appunto
all’avvalimento: la conseguenza è che già per la direttiva 18 l’avvalimento per le attestazioni e le qualificazioni costituisce la riserva per
16.
Cfr. sul tema R. Mangani, Nell’avvalimento, op. cit.
Istituti
237
gli ordinamenti nazionali circa la possibilità e i modi per l’iscrizione
all’albo o per la certificazione.
Quindi, in esecuzione delle norme comunitarie, l’art. 50 disciplina ancora i principi quadro entro i quali l’emanando regolamento
dovrà regolare la possibilità che, entro certi limiti, il Codice ha lasciato circa il conseguimento dell’attestazione SOA nel rispetto delle
disposizioni ex art. 49; i principi sono elencati nel comma 1, alle
lettere a), b e c).
Il comma 3 prevede la responsabilità solidale fra impresa concorrente e ausiliaria nel caso di attestazione SOA mediante avvalimento.
Il comma 4 dispone l’applicazione dell’art. 50, in attesa logicamente dell’emanazione del nuovo regolamento, solo in quanto compatibile con i sistemi legali vigenti.
Ai fini della comprensione del tenore del comma 1, lett. a)
può essere comunque utile richiamarsi a quanto commentato per
l’art. 34, comma 2, pur se quest’ultimo si riferisce ad aspetti più
ampi.
4. Il subappalto
È un quadro coerente quello formato dall’art. 25 della Direttiva
18, dall’art. 37 della direttiva 17, dall’art. 18, comma 3 n. 1) della l.
55/1990 (“Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza
di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazioni di pericolosità
sociale”); infatti, l’art. 118 del Codice, sulla base dal legame di dette
norme, riporta per intero e solo con qualche cambiamento di natura meramente lessicale l’art. 18 della l. 55/90, già modificato dalla l.
415/98 e richiamato dall’art. 16 del d.lgs. 358/92, dall’art. 18 del d.lgs.
157/95 e dall’art. 21 del d.lgs. 158/9517.
17. Cfr. sul tema dell’evoluzione normativa A. Costantini, Il subappalto di opere pubbliche: riflessioni alla luce di una riforma annunciata, in «Riv. Trim. Appalti», 1994, 355; d.
Vagnozzi, Il subappalto nei contratti pubblici, in Riv,. Trim. Appalti, 2001, 731; G. Zgagliardich, Subappalto e leggi antimafia nei lavori pubblici; I. Melis, Brevi note sulla discrezionalità
238
Capitolo V
Il regolamento previsto dall’art. 18, comma 3 della l. 55/90, da
emanarsi ai sensi dell’art. 17, comma 2 della l. 400/1988, viene in via
astratta sostituito — secondo la previsione del comma 2 dell’art. 118
del Codice — dalle future disposizioni che dovrà contenere, fra l’altro, il regolamento di cui all’art. 5 del Codice.
Il comma 2 espressamente si riferisce principalmente ai lavori, disponendo per le forniture e i servizi che la quota parte subappaltabile
è riferita all’importo complessivo del contratto.
Per quanto riguarda il subappalto, il quadro normativo nel suo
complesso può essere indicato come segue.
Analogamente a quanto previsto dall’art. 1656 cod. civ. relativamente all’appalto privato, anche per l’appalto di opere pubbliche, la
possibilità per l’appaltatore di affidare a terzi l’esecuzione (totale o
parziale) del contratto mediante la stipula di un contratto di subappalto è subordinata all’autorizzazione del committente.
Tuttavia, nell’appalto di opere pubbliche, l’obbligo di acquisire
preventivamente l’autorizzazione al subappalto, oltre che correlato —
come nell’appalto privato — al carattere personale della prestazione,
trae altresì origine dalla specifica esigenza di impedire che l’istituto
del subappalto venga — come talvolta in passato —, impiegato quale via di accesso delle organizzazioni mafiose al settore degli appalti
pubblici.
L’importanza attribuita dal legislatore al rispetto del principio dell’autorizzazione al subappalto, quale strumento di prevenzione del fenomeno delle infiltrazioni mafiose negli appalti pubblici — in relazione alle inevitabili ripercussioni in termini di turbamento della libera
concorrenza, correlate alla presenza di organizzazioni criminali —, è
suggellata da una norma penale speciale che configura addirittura una
fattispecie di reato (contravvenzione) c.d. di pericolo.
della pubblica amministrazione appaltante in materia di autorizzazione al subappalto di opere
pubbliche, in «Riv. Trim. Appalti», 1988, 923; V. Titinelli, Scelta del contraente ed esecuzione di
appalti di opere pubbliche alla luce della legge 19 marzo 1990, n. 55, in «Riv. Amm. R.I.», 1991,
121; S. Bandini Zanigni, Il subappalto nei contratti di appalto di opere pubbliche, pubbliche
forniture e servizi, in «Riv. Trim. Appalti», 1999, 412.
Istituti
239
Si tratta dell’art. 21, comma 1 della legge 13 settembre 1982, n.
646, e s.m.i., secondo il quale:
chiunque, avendo in appalto opere riguardanti la pubblica amministrazione,
concede, anche di fatto, in subappalto o a cottimo, in tutto o in parte le
opere stesse, senza l’autorizzazione dell’autorità competente, è punito con
l’arresto da sei mesi ad un anno e con l’ammenda non inferiore ad un terzo
del valore dell’opera concessa in subappalto o a cottimo e non superiore ad
un terzo del valore complessivo dell’opera ricevuta in appalto. Nei confronti
del subappaltatore e dell’affidatario del cottimo si applica la pena dell’arresto
da sei mesi ad un anno e dell’ammenda pari ad un terzo del valore dell’opera
ricevuta in subappalto o in cottimo. È data all’Amministrazione appaltante la
facoltà di chiedere la risoluzione del contratto.
La stessa disposizione, al comma 3, ultimo cpv., continua: «l’ulteriore prosecuzione dei rapporti stessi, in carenza del titolo autorizzatorio, è punita con le pene stabilite nel primo comma, ferma restando
la facoltà dell’amministrazione appaltante di chiedere la risoluzione
del contratto».
La violazione del divieto di subappalto assume, dunque, specifica
rilevanza sotto il profilo penale, integrando un reato contravvenzionale ai sensi del combinato disposto degli artt. 17 e 39 del cod. pen.
La sanzione penale colpisce sia l’appaltatore, sia il subappaltatore.
La stessa norma, inoltre, rimette alla valutazione discrezionale
dell’amministrazione appaltante la facoltà di chiedere la risoluzione contrattuale nei confronti dell’appaltatore.
In tale contesto, si rinviene il fondamento del rigoroso regime normativo delineato dalle “Nuove disposizioni per la prevenzione della
delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione
di pericolosità sociale”, di cui alla legge 19 marzo 1990 n. 55, dalle specifiche disposizioni del Codice sugli appalti pubblici (art. 118
Codice appalti)) ed, attualmente, del d.p.r. 21 dicembre 1999 n. 554,
che impone quale principio fondamentale quello secondo il quale
l’affidamento in subappalto deve essere preventivamente autorizzato
dall’amministrazione appaltante.
240
Capitolo V
Inoltre, anche in tale contesto si tenga presente che
Il divieto di affidare senza autorizzazione della p.a., in tutto o in parte, lavori
in subappalto o a cottimo, cui fa riferimento l’art. 21 l. 646 del 1982, si riferisce non solo ai contratti tipici ma anche a quelle forme contrattuali atipiche
o derivate, con le quali sotto diverso nome si realizza lo stesso risultato del
subappalto o del cottimo(nella specie, la Corte Cassazione penale, sez. III, 29
novembre 2005, n. 792 ha ritenuto configurabile la contravvenzione anche
nel caso di cosiddetto “nolo a caldo.
E sempre ai fini delle responsabilità sul piano penale, va altresì
evidenziato che relativamente alle ipotesi di subappalto e delle altre
figure ad essa assimilabili e comunque rientranti nell’ambito di applicazione della normativa prevista nell’art. 118 del Codice, è vietato,
a pena di responsabilità penali, dissimulare il subappalto mediante
fittizie contrattazioni di nolo a freddo.
In tal senso, ex multis, si è espressa la Cassazione penale sez. I, 06
ottobre 1995, n. 11862, nella cui sentenza, dopo aver ripercorso la
motivazione di condanna dei giudici di secondo grado («La sentenza di secondo grado, sulla scorta delle deposizioni testimoniali rese
da taluni operai occupati nell’esecuzione dei lavori, di dati contabili,
di risultanze documentali e di argomenti logici desunti da emergenze
processuali, riteneva che la realtà effettuale costituita dal rapporto di
sub appalto fosse stata dissimulata attraverso la conclusione di fittizi
contratti di c.d. “nolo a freddo” tra la ditta appaltatrice “S.” e le ditte
“s.r.l. T.” e “B.L.”, che avevano, di fatto, eseguito i lavori appaltati,
quantomeno relativamente alle previste opere di scavo, nonché mediante la fittizia assunzione, da parte della “S.”, di lavoratori in realtà
dipendenti dalla “s.r.l. T.”»), ha delineato anche il momento perfezionativo del reato in oggetto:
trattasi di reato istantaneo, il cui momento consumativo coincide con la concessione di subappalto e, dunque, nella specie, con la conclusione dei contratti di “nolo a freddo” dissimulanti il contestato subappalto.
Istituti
241
Per quanto riguarda il richiamo all’art. 2359 c.c. che è stato operato dall’art. 118, comma 8, d.lgs. 163/06, occorre preliminarmente
evidenziare che la disposizione da ultimo citata è anch’essa identica al
previgente contenuto dell’art. 18, l. 55/90.
Pertanto, la dichiarazione richiesta all’affidatario del contratto
pubblico (di trovarsi o meno in rapporto di controllo o collegamento con il subappaltatore) deve ritenersi necessaria esclusivamente per
consentire l’avvio e la positiva conclusione del procedimento volto ad
autorizzare il subappalto, in quanto la legge non vieta che un vincolo
del genere vi sia tra appaltatore e subappaltatore, ma solo impone che
l’esistenza di siffatto vincolo non sia nascosta18.
Dunque, in nessun modo è possibile sovrapporre tale disposizione a quella (perciò, solo apparentemente simile) contenuta nell’art.
34, comma 2 del Codice, che invece rende legittima l’adozione di un
provvedimento di esclusione dalla gara a carico dell’impresa che dovesse trovarsi in una delle suddette situazioni contrarie al contenuto
precettivo, il quale si estende anche oltre le ipotesi elencate nell’art.
2359 c.c.
Alla luce di tali analisi sul dato normativo, secondo i principi che informano l’attività amministrativa, si è del parere che, ove l’istanza dell’affidatario volta ad ottenere autorizzazione al subappalto dovesse difettare
della dichiarazione prescritta dall’art. 118, comma 8, Codice dei Contratti
pubblici, nulla vieta — anzi sembra essere in tal senso doveroso — che
la stazione appaltante solleciti il perfezionamento della domanda anziché
immediatamente adottare un provvedimento di diniego.
Posta la natura e la rilevanza penale del subappalto non autorizzato19, ci si deve domandare quali conseguenze sul piano civilistico si
possono porre in concreto qualora sia stato “stipulato” un contratto
di subappalto non autorizzato. Su tale argomento, occorre riportare
18. in questo senso, cfr. Zgargliardich, Subappalto e leggi antimafia nei lavori pubblici,
1996, p. 550.
19. sul tema e per l’approfondimento, cfr. A. Areddu, M. Mancini, (Ulteriori) profili
penali del nuovo “Codice dei contratti pubblici”. Subappalto, disciplina antimafia, consorzi stabili, in www. penale. it diritto, procedura e pratica penale, novembre 2006.
242
Capitolo V
l’interessantissima, completa e ricca di logica Sentenza del Tribunale
di Nola, 22 marzo 2005, G.I. dott. R. Califano:
A tal proposito deve ricordarsi come l’originario art. 339 della legge sui lavori
pubblici già vietava il subappalto prevedendo la rescissione del contratto di
appalto, e ciò a salvaguardia del principio della conduzione personale dei
lavori, ma pur sempre a protezione di interessi prevalentemente contrattuali
della pubblica amministrazione. La menzionata norma è stata poi sostituita da quella dell’art. 21 della legge 646/1982, la quale esclude la possibilità
di subappalto di opere pubbliche senza l’autorizzazione della pubblica amministrazione appaltante. La norma in esame vieta all’appaltatore di opera
pubblica di cedere in subappalto o a cottimo l’esecuzione delle opere stesse,
o di una loro parte, senza l’autorizzazione dell’«autorità competente», prevedendo, a carico del subcommittente e del subappaltatore, le sanzioni penali
dell’arresto e dell’ammenda.
La disposizione, inserita in una legge contenente anche norme di prevenzione di carattere patrimoniale per la lotta contro la criminalità organizzata e
mafiosa, è chiaramente in funzione di tutela preventiva della collettività dalla
ingerenza mafiosa (e della criminalità organizzata in genere) nella esecuzione
di opere pubbliche. Lo scopo è quello di assicurare il controllo anteriore alla
stipulazione del subappalto dell’identità e della qualità dei soggetti che si interpongono nell’esecuzione dei lavori pubblici nonché sulla destinazione del
denaro pubblico, al fine di evitare manovre speculative di accaparramento
degli appalti.
La nullità dei contratti di subappalto di opere pubbliche non autorizzati dalla pubblica amministrazione, è pressoché indiscussa. Essa è stata ribadita in
più occasioni sia dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 18. 11. 1997 n.
11450 e Cass. 16/7/2003 n. 11131), sia da quella di merito (Trib. Napoli 21
giugno 1985, in Giust. Civ. 1985, I, 2329; Trib. Napoli 20/5/2002, n. 6761
inedita, Trib. Napoli 8 giugno 2004, in Giur. merito 2004, 2364 e Trib. Nocera Inferiore 5 novembre 1997, in Giur. merito, 1999, 889). Dal canto suo,
la dottrina non ha mancato di rilevare che, avendo il legislatore accomunato
nella sanzione penale sia il subcommittente che il subappaltatore, ed essendo
la fattispecie penale integrata dalla stessa conclusione del contratto di subappalto, ci si trova di fronte ad una fattispecie di cosiddetto reato–contratto, in
cui è la stessa conclusione del contratto a subire il giudizio di riprovevolezza
(nella forma più intensa, quella penale) dell’ordinamento, e nel quale è di
conseguenza innegabile la contrarietà dell’accordo ad una norma imperativa,
e quindi la nullità, ex art. 1418 comma 1 c.c., del medesimo.
Istituti
243
Trattasi della cosiddetta nullità virtuale, tipica dei contratti contrari a norme
imperative.
Dalla nullità dei contratti in esame discende l’infondatezza delle domande
subordinate degli attori, non avendo gli stessi titolo alcuno per pretendere il
pagamento di corrispettivi, per i quali mancano delle valide cause giustificative sul piano sinallagmatico.
Vanno ora esaminate le domande, proposte in via principale, con le quali
vengono richiesti dagli attori gli indennizzi a titolo di arricchimento senza
causa.
Anche relativamente alle domande in parola si impone però, un giudizio di
infondatezza.
A riguardo occorre rilevare che la giurisprudenza di merito che si è occupata
della materia (in gran parte richiamata dai convenuti negli scritti conclusionali) ha negato al subappaltatore tanto il corrispettivo contrattuale quanto
l’azione di cui all’art. 2041 c.c. (così Trib. Napoli 21 giugno 1985, cit., Trib.
Napoli 20 maggio 2002 cit., Trib. Napoli 8 giugno 2004, cit. e Tribunale Nocera Inferiore 5 novembre 1997, cit.).
La conclusione ha trovato una, sia pure indiretta, conferma anche nella giurisprudenza di legittimità. Ed invero, la Suprema Corte con la sentenza n.
11131 del 16 luglio 2003, in conseguenza della nullità del contratto di subappalto, ha negato all’appaltatore la possibilità di richiedere alla pubblica
amministrazione committente il compenso per i lavori che erano stati affidati
in subappalto, osservando che diversamente opinando si vanificherebbero le
esigenze alla cui tutela è stata preposta la nullità in esame.
La rilevanza penale di una stipulazione contrattuale, invero, è abitualmente
ritenuta indicativa di una valutazione negativa della convenzione anche sotto
il profilo etico e sociale, atteso che, com’è noto, la nozione dei negozi contrari
al buon costume si intende non limitata ai soli negozi contrari alle regole del
pudore sessuale e della decenza, ma estesa fino a comprendere i negozi contrari a quei principi ed esigenze della coscienza collettiva che costituiscono
la morale sociale, cui si uniforma il comportamento della generalità delle
persone corrette e di buona fede in un determinato momento ed in un dato
ambiente.
Com’è noto, la qualificazione di immoralità di un contratto integrante una
fattispecie di reato ha gravi risvolti in materia di ripetizione di indebito.
L’art. 2035 c.c., prevede, infatti, che «chi ha eseguito una prestazione per uno
scopo che, anche da parte sua, costituisca offesa al buon costume non può
ripetere quanto ha pagato». La norma, che costituisce limite legale all’applicabilità del precedente art. 2033 c.c., impone al giudice di procedere, sulla
244
Capitolo V
base delle risultanze acquisite, alla ulteriore valutazione del contratto, di cui
abbia già ravvisato l’illegalità, sul diverso piano della sua contrarietà al buon
costume in relazione al momento in cui il negozio è stato compiuto (cfr. Cass.
ss. uu. 7. 7. 1981, n. 4414).
In sostanza, l’accertamento della nullità di un contratto per contrarietà a norme imperative impone un’ulteriore valutazione dell’atto, onde accertare una
sua eventuale immoralità. E ciò in quanto proprio dal principio che trova
espressione nell’art. 2035 c.c. si ricava che le prestazioni fatte per uno scopo
contrario al buon costume non sono ripetibili; mentre quelle fatte in esecuzione di un qualsiasi altro negozio illegale per contrarietà a norme imperative, ma non immorale, lo sono.
È da ritenere che il principio in parola riverberi i suoi effetti anche nel campo
dell’azione generale di indebito arricchimento, della quale, peraltro, le azioni
di ripetizione di indebito non sono altro che specificazioni tipizzate dal legislatore. Tanto è stato ritenuto dalla stessa Suprema Corte (sent. 21. 7. 1979,
4398) la quale ha osservato proprio che «la norma contenuta nell’art. 2035
c.c. è tale da paralizzare persino l’azione generale di arricchimento, che pure
costituisce lo strumento più idoneo, quando manchi qualunque altra azione,
per farsi indennizzare il pregiudizio sofferto a causa della nullità di un contratto stipulato contra legem» (Cfr. Cass. 18. 10. 1982, n. 5408).
Orbene, ad avviso del Tribunale deve quindi ritenersi che, affermata l’insanabile nullità dei contratti stipulati in violazione di precetti penali, le parti
debbano ritenersi prive non solo di azione contrattuale, ma pure di azione
di indebito arricchimento. Tale azione, avendo funzione integratrice e sussidiaria, non può invero ambire allo sconcertante risultato di assicurare la conservazione dei risultati economici di prestazioni eseguite in adempimento di
contratti invalidi e sanzionati penalmente (cosiddetti reati–contratto) e che si
vogliono eliminare proprio tramite la declaratoria di nullità. Opinando in tal
modo, il principio dell’arricchimento senza causa si presterebbe surrettiziamente ad aggirare pure le norme imperative di carattere penale, finendo per
perseguire finalità contrarie a quelle perseguite dalla legislazione penale mediante la incriminazione della conclusione contrattuale, vista quale concreta
modalità esecutiva del reato.
Tale conclusione è stata altresì affermata dalla Suprema Corte in un precedente
di qualche anno or sono, relativo ad una nullità per violazione di norme valutarie, in cui venne appunto respinta la possibilità di accogliere la subordinata
domanda di arricchimento senza causa (Cass. 13. 12. 1984, n. 6537).
Ad analoga conclusione, presidiata dalla medesima ratio, la giurisprudenza
di legittimità è giunta in fattispecie diversa che però presenta diverse e signi-
Istituti
245
ficative analogie con quella che ci occupa. In particolare, la Suprema Corte
(sentenza 17/5/2001, n. 6777) ha statuito che nelle controversie riconducibili
alle fattispecie regolate dagli artt. 1150 e 936 c.c. nessun indennizzo a carico
del proprietario del fondo può essere preteso dal terzo costruttore che abbia realizzato l’opera in violazione della normativa edilizia, autonomamente
commettendo o concorrendo nel commetterli, i reati previsti e puniti dagli
artt. 31 e 41 della legge 1150 /1942 e 10 e 13 della legge 765/1967, e ciò non
tanto perché possano essere poste in dubbio la sussistenza o l’entità della
locupletazione del proprietario del fondo nella prospettiva di un ordine di
demolizione da parte della pubblica amministrazione competente, quanto
piuttosto perché è da ritenere in contrasto con i principi generali dell’ordinamento ed in particolare con la funzione dell’amministrazione della giustizia
che possa l’agente conseguire indirettamente, ma pur sempre per via giudiziaria, quel vantaggio che si era ripromesso di ottenere nel porre in essere
l’attività penalmente illecita e che in via diretta gli è precluso dagli artt. 1346
e 1418 c.c. (nel medesimo senso Cass. 26. 1. 1998, n. 713; Cass. 10. 9. 1997,
n. 8834 e Cass. 29. 1. 1997, n. 888).
Ed invero, sebbene in via di principio appaia possibile proporre l’azione ex
art. 2041 c.c. per l’ipotesi di nullità del contratto intercorso tra le parti (si
veda soprattutto in caso di rapporti con la pubblica amministrazione le nullità di carattere formale dei contratti conclusi in forma orale, laddove era
imposta la forma scritta ad substantiam), laddove la ragione della nullità sia
il contrasto con norme imperative, occorre, tuttavia, evitare che con l’azione
di arricchimento si aggiri o si frodi la legge (art. 1344 c.c.).
Di conseguenza, anche il principio di sussidiarietà che presiede all’azione de
qua deve essere interpretato in maniera tale da assicurare la tutela delle preminenti esigenze presidiate dalle norme imperative di particolare rilevanza
ritenendosi la norma di cui all’art. 1344 c.c., in combinazione con quella di
cui all’art. 2042 c.c., valido strumento idoneo a scongiurare l’aggiramento o
l’elusione delle norme imperative suddette (cfr. in tal senso Cass. 21. 11. 1996
n. 10251, che in tema di medici delle USL che abbiano prestato assistenza
ad un numero di pazienti superiore a quello massimo previsto dalla legge, ha
negato la possibilità di richiedere un ulteriore compenso a titolo di arricchimento senza causa).
Nella fattispecie, aderendo peraltro alla tesi giurisprudenziale oramai prevalente che ritiene che nell’arricchimento senza causa possa farsi rientrare anche l’utile di impresa, ove si ammettesse il ricorso all’azione ex art. 2041 c.c.,
i subappaltatori riceverebbero i medesimi compensi che avrebbero ottenuto,
qualora i subappalti, anziché posti in violazione delle ricordate norme im-
246
Capitolo V
perative, fossero stati sottoposti alle normali procedure finalizzate al rilascio
delle autorizzazioni presidio, conseguenza queste che appaiono assolutamente inconciliabili con la ratio che ha spinto il legislatore a configurare come
reato la conclusione del subappalto non autorizzato.
Ciò posto, attesa la nullità virtuale del contratto di subappalto non
autorizzato e la responsabilità penale a carico sia dell’appaltatore sia
del subappaltatore, una delle possibili conseguenze sul piano processuale potrebbe consistere nel sequestro penale dell’eventuale parte di
lavori realizzata in tale circostanza di reato, con l’eventuale poi messa
a disposizione dei lavori eseguiti alla stazione appaltante. Quest’ultima nei confronti dell’appaltatore potrebbe poi risolvere il contratto e
in forza dell’art. 135 del Codice (ma in esso si presuppone il passaggio
in giudicato delle sentenze di condanna), o, attesa la natura di tutela
preventiva dall’infiltrazione mafiosa che spiega la norma penale in parola, potrebbe operare l’art. 11, comma 3 del d.p.r. 252/98:
Le facoltà di revoca e di recesso di cui al comma 2 si applicano anche quando
gli elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa siano accertati successivamente alla stipula del contratto, alla concessione dei lavori o all’autorizzazione del subcontratto.
***
Come è noto, secondo l’attuale formulazione dell’art. 118 del Codice (è l’abrogato art. 34 della legge Merloni) e secondo quanto previsto dall’art. 141, comma 1 del d.p.r. 554/99, i lavori della categoria
prevalente sono subappaltabili nella misura massima del trenta per
cento, mentre, per quanto riguarda le altre categorie di lavoro diverse
da quella prevalente — e cioè categorie scorporate di carattere specialistico — e indicate nel bando dall’amministrazione appaltante, non
sussistono limiti al subappalto, salvo diverse specifiche disposizioni di
legge.
È opportuno ricordare che, a norma dell’articolo 30 del d.p.r.
34/2000, ancora vigente, per “categoria prevalente” si intende la categoria di importo più elevato fra quelle costituenti l’intervento e che
le “ulteriori categorie”, che, insieme alle categoria prevalente, devo-
Istituti
247
no obbligatoriamente essere indicate nel bando, sono quelle di valore
singolarmente superiore al dieci per cento dell’importo complessivo
dell’opera o del lavoro, ovvero di importo superiore a 150.000 Euro.
Vale, peraltro ricordare che, qualora nell’oggetto dell’appalto (o
della concessione) rientrino, oltre ai lavori prevalenti, opere per le
quali siano necessari lavori o componenti di notevole contenuto tecnologico o di rilevante complessità tecnica, quali strutture, impianti
e opere speciali, esse non possono essere affidate in subappalto ma
debbono essere eseguite esclusivamente dai soggetti affidatari, eventualmente tramite la costituzione di una associazione temporanea di
imprese di tipo “verticale” se detti lavori superino in valore il quindici
per cento dell’importo totale.
Occorre ora delineare alcuni aspetti rilevanti della disciplina contenuta nell’art. 118.
L’art. 118 c. 2 n. 1) del Codice, impone, quale condizione preliminare cui è subordinata la concessione dell’autorizzazione al subappalto, l’indicazione da parte dell’appaltatore — all’atto dell’offerta — dei
lavori o delle parti di opere che esso intenda subappaltare o concedere
in cottimo.
Più specificatamente, la predetta norma, nell’imporre all’appaltatore l’onere di dichiarare già in sede di gara i lavori che intende appaltare quale condicio sine qua non ai fini dell’acquisizione
dell’autorizzazione da parte della stazione appaltante, tutelerebbe
l’appaltatore stesso — ancorché solo indirettamente — da eventuali intimidazioni da parte delle organizzazioni mafiose, nella misura in cui la preclusione al subappalto, in assenza della suddetta
dichiarazione, non sia riconducibile alla sua volontà, ma alla volontà della legge.
Come è noto, antecedentemente alle modifiche apportate dall’art.
9 della l. 15/98, era previsto che, all’atto dell’offerta, i concorrenti indicassero non solo i lavori che intendevano subappaltare, ma anche il
nominativo delle imprese subappaltatrici (in numero da uno a sei).
Peraltro, la pratica applicazione di tale norma si è mostrata di fatto
estremamente gravosa, al limite dell’inattuabile, a causa del costante
248
Capitolo V
mancato rispetto delle offerte rimesse dai subappaltatori e/o subfornitori contrattate e allegate alla documentazione di gara.
Infatti, i subappaltatori e/o subfornitori indicati in sede di gara, sia
a causa della loro situazione di privilegio — in quanto nominati — sia
a causa dell’abnorme tempo che normalmente trascorre tra la gara e
l’effettivo inizio dei lavori, ritenendosi senza concorrenza, producevano richieste di revisione in aumento delle loro offerte, incongrue sia
con le condizioni economiche stabilite nella gara d’appalto, sia con le
condizioni economiche generali di mercato.
L’onere di preventiva indicazione dei subappaltatori e/o subfornitori in sede di gara è venuto meno a seguito delle modifiche conseguenti alla l. 415/98, che ha limitato l’obbligo dell’appaltatore alla sola
indicazione delle opere da subappaltare, lasciando libero l’appaltatore
stesso di scegliere il subappaltatore in qualunque tempo fino al deposito del contratto derivato. Con riferimento alle modifiche introdotte
dall’art. 9 della l. 415/98 all’art. 18, comma 9, l. 55/90 e in particolare
all’eliminazione dell’onere di preventiva indicazione dei nominativi
dei subappaltatori in sede di offerta, l’Autorità per la Vigilanza sui
Lavori Pubblici nella Determinazione n. 5 del 4 novembre 1999, ha
avuto modo di precisare che
la normativa sopravvenuta che innova un procedimento amministrativo si
applica ai procedimenti in corso, cioè ad essa occorre riferirsi per le fasi che
intervengono dopo la sua entrata in vigore e che sono innovativamente disciplinate. L’appaltatore dovrà quindi depositare il contratto di subappalto
e documentare il possesso nel subappaltatore dei requisiti presenti sia che si
tratti di subappaltatore già nominativamente indicato, in sede di gara, sia di
soggetto diverso. Né occorre la dimostrazione della impossibilità a contrarre
con i soggetti in sede di gara. Anche il Ministero dei Lavori Pubblici con circolare 22 dicembre 1998 n. 2100 – UL ha posto in rilievo la natura procedurale e non sostanziale delle innovazioni di cui trattasi e ha ritenuto l’immediata applicabilità della nuova disciplina a tutti i contratti in corso d’esecuzione.
L’autorizzazione al contratto derivato, pertanto, deve essere anche per tutti i
contratti in corso rilasciata dalla stazione appaltante, come previsto dall’art.
18, c. 9 legge 55/1990, modificata dall’art. 9, c. 69 della legge 415/98.
Istituti
249
In altri termini, con la menzionata Determinazione, l’Autorità per
la Vigilanza sui Contratti Pubblici è intervenuta a chiarire definitivamente l’operatività dell’innovazione normativa in questione anche
relativamente agli appalti già stipulati al momento dell’entrata in vigore della l. 415/98, con la conseguenza che negli appalti in corso di
esecuzione l’appaltatore ai fini dell’affidamento in subappalto non era
più vincolato alla scelta dei soli soggetti indicati in sede di offerta.
Per quanto riguarda le ulteriori condizioni cui è subordinato il rilascio dell’autorizzazione al subappalto, le vigenti disposizioni normative e in particolare l’art. 18, comma 3, l. 55/90, come richiamato
dall’art. 141, comma 3 del d.p.r. 554/99, prevedono che l’autorizzazione al subappalto può essere concessa allorché dagli accertamenti
compiuti presso gli organi competenti (Camera di Commercio e Prefettura) risulti l’insussistenza a carico del subappaltatore di misure di
prevenzione e/o l’insussistenza di procedimenti in corso per l’applicazione delle stesse20.
Ulteriore fondamentale condizione necessaria al conseguimento
dell’autorizzazione è l’accertamento del possesso, da parte del subappaltatore, dei requisiti di idoneità di cui al d.p.r. 34/2000 in relazione
all’entità e alla tipologia dei lavori da affidare in subappalto.
Alla verifica — a cura dell’amministrazione appaltante — della sussistenza dei suddetti requisiti in capo al subappaltatore (come indicati
al punto 4), comma 3 dello stesso art. 18), è finalizzata la disposizione
di cui al comma 3, punto 3) dell’art. 18 in esame, che impone infatti
all’appaltatore di trasmettere, “al momento del deposito del contratto
di subappalto” (in sede di istanza di autorizzazione), la certificazione
comprovante il possesso da parte del subappaltatore dei requisiti di
idoneità di cui al d.p.r. 34/2000, corrispondenti al valore dei lavori
da subappaltare, «salvo i casi in cui, secondo la legislazione vigente,
è sufficiente per eseguire i lavori pubblici l’iscrizione alla camera di
commercio, industria, artigianato e agricoltura».
20. Cfr. art. 141, comma 3, d.p.r. 554/99 in combinato disposto con l’art. 18, comma 9,
l. 55/90 e s.m.i. e art. 10, comma 5 – bis l. 575/1965.
250
Capitolo V
Vale evidenziare che, in esito all’introduzione del d.p.r. 34/2000, il
controllo dei requisiti di idoneità a cura delle amministrazioni appaltanti, avviene sulla base delle attestazioni (SOA) rilasciate alle imprese
che, a tal fine, devono produrre la documentazione di cui all’art. 17
del d.p.r. 34/2000 (afferente i requisiti di ordine generale) e la documentazione prescritta dall’art. 18 (requisiti di ordine speciale) ai fini
della dimostrazione: a) dell’adeguata capacità economica e finanziaria; b) dell’adeguata idoneità tecnica e organizzativa; c) dell’adeguata
dotazione di attrezzature; d) dell’adeguato organico medio annuo. I
documenti idonei a dimostrare il possesso dei requisiti di ordine speciale ai fini dell’attestazione da parte delle SOA, sono indicati dallo
stesso articolo 18 del d.p.r. 34/2000, che, con specifico riferimento
all’adeguata attrezzatura tecnica stabilisce che tale requisito consiste
nella dotazione stabile di attrezzature, mezzi d’opera ed equipaggiamento tecnico, in proprietà o comunque nel possesso e/o nella disponibilità dell’impresa (in virtù ad es. di contratti di noleggio e, dunque
anche di comodato).
Secondo quanto, ancora previsto dal comma 3 dell’art. 141 del d.p.r.
554/99, oltre alla documentazione comprovante il possesso da parte
del subappaltatore dei requisiti di idoneità di cui al d.p.r. 34/2000 corrispondenti ai lavori da subappaltare, l’appaltatore in sede di presentazione dell’istanza di autorizzazione al subappalto, deve produrre “la
documentazione prevista dall’art. 18, commi 3 e 9 della legge 19 marzo
1990, n. 55” e, dunque: copia autentica del contratto di subappalto, con
allegata la dichiarazione circa la sussistenza o meno di forme di controllo
o di collegamento tra appaltatore e subappaltatore, di cui all’art. 2359
cod. civ.; certificazione attestante l’insussistenza di misure antimafia.
Quanto all’obbligo di produrre copia del contratto di subappalto,
autorevole dottrina ha rilevato:
non si comprende il senso della prescrizione, considerato che in sede di istanza di autorizzazione evidentemente il contratto non è stato ancora concluso,
attendendosi ragionevolmente per il suo perfezionamento la concessione
dell’autorizzazione. La norma, perciò può trovare applicazione soltanto attraverso l’artificio di stipulare, prima dell’inoltro dell’istanza, un contratto di
251
Istituti
sub–appalto contenente la condizione risolutiva consistente nell’evento della
mancata concessione dell’autorizzazione21.
Dal poco chiaro combinato disposto dell’art. 18, comma 3, punto
2) l. 55/90 e s.m.i. con la disposizione di cui al comma 3 dell’art. 141
del d.p.r. 554/99, sembrerebbe, peraltro, potersi evincere che il deposito della copia autentica del contratto d’appalto, debba essere effettuato due volte: una prima volta, in sede di presentazione dell’istanza
di autorizzazione, una seconda volta, nei venti giorni prima della data
di effettivo inizio dei lavori e cioè, ad autorizzazione intervenuta.
Quanto al deposito del contratto di subappalto, da effettuarsi nei
venti giorni prima dell’inizio dei lavori, la normativa non prevede conseguenze sanzionatorie nell’ipotesi di mancato rispetto del suddetto
termine.
Detto termine, infatti, non ha carattere perentorio, bensì sollecitatorio. Più specificatamente, l’obbligo dell’invio del contratto di subappalto entro i venti giorni è correlato alla sola finalità di consentire alla stazione appaltante di verificare se, in sede di sub–contratto,
sia stata data puntuale osservanza alle disposizioni di cui al comma
4 dell’articolo 118 del Codice, secondo cui “l’impresa aggiudicataria
deve praticare, per i lavori e le opere affidate in subappalto, gli stessi
prezzi unitari risultanti dall’aggiudicazione, con ribasso non superiore
al venti per cento”. In tale contesto, si comprende come il legislatore
non abbia previsto alcuna conseguenza, sul piano sanzionatorio, in
ipotesi di ritardata trasmissione del contratto.
In virtù di quanto sancito dal comma 8 dell’art. 118, inoltrata
l’istanza di autorizzazione con l’allegata documentazione (secondo le
prescrizioni dell’art. 141, comma 3):
la stazione appaltante provvede al rilascio dell’autorizzazione entro trenta
giorni dalla relativa richiesta […]. Trascorso tale termine senza che si sia
provveduto, l’autorizzazione si intende concessa.
21.
Cfr. M. Mazzone, C. Loria, Manuale di diritto dei lavori pubblici.
252
Capitolo V
Come specificato dalla disposizione, il dies a quo ai fini del computo del termine dei trenta giorni per il c.d. silenzio–assenso in merito
all’autorizzazione, decorre dalla data di ricevimento dell’istanza.
È appena il caso di precisare che, ai fini della relativa legittimità e validità, una autorizzazione assentita tacitamente — non diversamente da
un’autorizzazione rilasciata — implica comunque la sussistenza dei requisiti soggettivi e oggettivi che ne permettono il rilascio in termini di legge.
Secondo autorevole dottrina, il meccanismo del silenzio assenso, è
stato introdotto dal legislatore nell’intento di evitare l’eccessiva dilatazione dei tempi che la pubblica amministrazione impiega per l’esame
delle domande di autorizzazione ai subappalti, a scapito di un proficuo e lineare andamento dei lavori.
Rispetto all’art. 21 della l. 646/1982, il silenzio assenso produce
quale effetto di non poco rilievo, l’esenzione dell’appaltatore, del subappaltatore e del cottimista, che pongano in essere «contratti derivati» dopo 30 giorni, dalla presentazione dell’istanza di autorizzazione,
senza ottenere risposta.
Quanto all’obbligo di produrre la dichiarazione circa la sussistenza
o meno di eventuali forme di collegamento ex art. 2359 cod. civ. tra
l’appaltatore e il subappaltatore, a tal fine il legislatore considera rilevante sia la situazione di controllo che quella di collegamento, prendendo come parametro di riferimento il disposto di cui alla disposizione codicistica sopra menzionata.
Come è noto, l’art. 2359 cod. civ., definisce come «società controllate»:
a) le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti aziendali nell’assemblea ordinaria (controllo di diritto);
b) le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria
(controllo ordinario);
c) le società che sono sotto l’influenza dominante di un’altra società in virtù
di particolari vincoli contrattuali con essa (controllo indiretto).
Sono, invece, definite come “società collegate” le società nelle quali un’altra società esercita un’influenza notevole, la quale si presume allorché,
Istituti
253
nell’assemblea ordinaria, può essere esercitato almeno 1/5 dei voti ovvero
1/10 se la società ha azioni quotate in borsa.
***
Posto quanto sopra, vale ricordare che, come è noto, il rigoroso regime imposto dalla disciplina in materia di subappalto nei lavori pubblici è esteso anche ai sub–affidamenti aventi ad oggetto prestazioni
non qualificabili in termini di lavori in quanto non rientranti in alcuna
delle tipologie di prestazioni definite dal d.p.r. 34/2000.
L’equiparazione di tali fattispecie sub–contrattuali al subappalto è
operata dall’art. 118, comma 11 del Codice De Lise:
Ai fini del presente articolo è considerato subappalto qualsiasi contratto
avente ad oggetto attività ovunque espletate che richiedono l’impiego di
manodopera, quali le forniture con posa in opera e i noli a caldo, se singolarmente di importo superiore al 2 per cento dell’importo delle prestazioni
affidate o di importo superiore a 100.000 euro e qualora l’incidenza del costo
della manodopera e del personale sia superiore al 50 per cento dell’importo
del contratto da affidare. Il subappaltatore non può subappaltare a sua volta
le prestazioni salvo che per la fornitura con posa in opera di impianti e di
strutture speciali da individuare con il regolamento; in tali casi il fornitore o
subappaltatore, per la posa in opera o il montaggio, può avvalersi di imprese
di propria fiducia per le quali non sussista alcuno dei divieti di cui al comma 2, numero 4). È fatto obbligo all’affidatario di comunicare alla stazione
appaltante, per tutti i sub–contratti stipulati per l’esecuzione dell’appalto, il
nome del sub–contraente, l’importo del contratto, l’oggetto del lavoro, servizio o fornitura affidati.
Dal tenore letterale della disposizione in parola si evince, dunque che,
l’assoggettamento al regime autorizzatorio del subappalto è previsto per
tutti quei subaffidamenti (compresi noli a caldo e le forniture con posa
in opera) in cui concorrono tra loro il requisito dell’importo inferiore
al 2% dell’importo del contratto d’appalto (o dell’importo inferiore a
100mila euro) e il requisito dell’incidenza della manodopera inferiore al
50%, con la conseguenza che in mancanza di uno dei suddetti requisiti
il subaffidamento non necessita dell’autorizzazione al subappalto.
254
Capitolo V
Come commentato da autorevole dottrina «l’ingenuo redattore
della norma non ha tenuto nel debito conto che nella stragrande maggioranza dei lavori pubblici l’incidenza del costo della manodopera
è inferiore al 50% dell’importo complessivo…», con la conseguenza
che “una larghissima parte dei lavori non dovrebbero essere considerati subappalti e sfuggirebbero perciò alla relativa disciplina22.
In sintesi, l’assoggettabilità dei subaffidamenti alle cogenti disposizioni di cui all’art. 118 del d.lgs. 163/06 e s.m.i., deve essere ricavata
dall’applicazione del duplice criterio:
a) tali sub–affidamenti devono avere ad oggetto qualsiasi attività richiedente comunque l’impiego di manodopera, ovunque
espletata, singolarmente di importo superiore al 2% dell’importo dei lavori affidati o comunque di importo superiore a 100mila
euro;
b)l’incidenza del costo della manodopera e del personale in misura superiore al 50% dell’importo del contratto da affidare.
In altri termini, ai fini delle disposizioni che subordinano i subaffidamenti all’autorizzazione ed alle altre condizioni, sono considerati
subappalti soltanto quelli aventi le due suddette caratteristiche concorrenti tra loro, con la conseguenza che sfuggono alla disciplina del
subappalto quegli affidamenti di importo inferiore al 2% dell’appalto e comunque non superiore a 100mila euro, così come, agli stessi
effetti, non devono essere considerati subappalti quegli affidamenti
nei quali l’incidenza del costo della manodopera è inferiore al 50%
dell’importo complessivo.
Vale, peraltro, ricordare, come anche rilevato dall’Autorità per la
Vigilanza sui Lavori Pubblici nella determinazione n. 6 del 2003, che
la formulazione del comma 11, art. 118 del Codice (era l’abrogato art.
18, comma 12 della l. 55/90) — evidentemente poco chiara nonostante le conseguenze penali correlate alla sua violazione — si è prestata,
22.
Cfr. Mazzone, Loria, Manuale di Diritto dei Lavori Pubblici, ed. Jandi, Sapi, 2005.
Istituti
255
nel corso degli anni passati, a diverse interpretazioni per quanto concerne l’ambito applicativo.
Solo in esito all’intervento del legislatore della l. 166/02 nell’allora
vigente legge Merloni (n. 109/94), è risultato che l’ambito di applicazione del disposto attualmente nel c. 11 dell’art. 118 del Codice è
limitato ai subcontratti che non sono qualificabili in termini di lavori e
cioè, alle forniture con posa in opera ed ai noli a caldo23.
A tal fine occorre fare riferimento alle definizioni elaborate dalla
dottrina e dalla giurisprudenza posto che, come è noto, le fattispecie
contrattuali del nolo a caldo e della fornitura con posa in opera, diversamente dal contratto di appalto, non trovano specifica definizione e
disciplina nel nostro codice civile.
Secondo le definizioni delineate dalla dottrina e dalla giurisprudenza, per “nolo a caldo” si intende «un contratto di locazione cui
accede una prestazione d’opera: i lavori vengono eseguiti con macchine prese a nolo ed utilizzate da personale messo a disposizione dalla
stessa impresa noleggiatrice»24.
Per “fornitura con posa in opera” si intende “un contratto di
vendita in cui, oltre ad un “dare”, è prevista un’attività dell’Impresa fornitrice attraverso l’impiego di manodopera o maestranze in
genere, per l’utilizzo dei materiali forniti”, talché, sempre in linea
generale, può affermarsi che si è in presenza di un contratto di
fornitura con posa in opera piuttosto che di un contratto d’appalto tutte le tutte le volte in cui la componente lavori sia di fatto
accessoria e per contro sia prevalente l’attività di “dare” rispetto a
quella di “facere”.
In ogni caso, la distinzione tra fattispecie contrattuali “assimilate”
23. Vale, ancora, sottolineare che, come si evince dal tenore letterale della norma in
esame, l’indicazione delle suddette fattispecie contrattuali atipiche è effettuata a titolo meramente esemplificativo, dovendosi senz’altro ritenere che il legislatore, nell’intento di rimuovere qualsiasi dubbio interpretativo sul punto, ha definitivamente esteso le prescrizioni
afferenti la preventiva autorizzazione da parte dell’amministrazione appaltante a qualsiasi
sub–contratto e non solo alle forniture con posa in opera ed ai noli a caldo, sempre che, ovviamente, si ricada in toto nell’art. 118, comma 11 del d.lgs. 163/06.
24. Cfr. Cianflone, Giovannini, L’Appalto di Opere Pubbliche, 2003.
256
Capitolo V
ai sensi dell’art. 118, comma 11 del d.lgs. 163/06 e s.m.i. rispetto al
contratto di subappalto deve essere effettuata avendo riguardo alla
specifica tipologia di intervento dedotta nella fattispecie contrattuale
concreta.
Vale, peraltro, sottolineare che anche alla luce dei delineati criteri discretivi, permane la difficoltà per gli stessi operatori del diritto
di distinguere nel caso concreto fattispecie subcontrattuali relative a
prestazioni che non sono lavori ma che prevedono l’impiego di mano
d’opera (come nel caso della fornitura con posa in opera e del nolo a
caldo) dal subappalto.
L’incertezza interpretativa, determinata sia dalla complessità del
sistema normativo in materia, sia dall’implicazione di valutazioni di
carattere prettamente ingeneristico ha indotto l’Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici a pronunciarsi espressamente sia pure con
riferimento ad alcune specifiche figure subcontrattuali (cfr. determinazioni 22 maggio 2001, n. 12; 20 dicembre 2001, n. 25; 16 ottobre
2002, n. 27; 18 dicembre 2002, n. 31; 27 febbraio 2003, n. 6).
Nelle suddette determinazioni, l’Autorità per la Vigilanza sui Lavori pubblici ha avuto modo di enunciare il criterio di massima secondo
il quale
in ogni caso in cui è configurabile un’attività prevista dalle declaratorie dell’allegato A al d.p.r. 34/2000 (concernente, appunto, la qualificazione dei soggetti esecutori dei Lavori pubblici) la funzione caratterizzante da riconoscere
al contratto è da individuare nella realizzazione dell’opera o del lavoro che
costituiscono, quindi, l’oggetto principale del contratto anche se le descrizioni
fanno riferimento a forniture e posa in opera (cfr. determinazione 12/2001) ed
ha altresì chiarito che le attività indicate nelle categorie di cui all’Allegato A al
regolamento di qualificazione si riferiscono certamente a lavori, qualunque sia
la relativa specificazione contenuta nella corrispondente declaratoria. Esse non
possono infatti che rapportarsi alla disposizione (articolo 3 del d.p.r. 34/2000)
che fa riferimento all’esecuzione di opere generali e di opere specializzate che
vanno intese come risultato dei lavori e non di semplici forniture e posa in opera di beni e di noli a caldo ancorché le declaratorie (allegato A al d.p.r. 34/2000)
facciano riferimento a tali tipi di prestazioni(Determinazione n. 25/2001).
Istituti
257
Occorre precisare che l’Autorità per la vigilanza ha compiuto tale
metodo di rinvio all’All. A del regolamento Bargone, per la ragione di
offrire il criterio di massima di configurazione in concreto dei contratti d’appalto di lavori rispetto alle altre figure di sub–contratti (quali
anche il nolo a caldo e la fornitura con posa in opera), e non per
individuare le ipotesi in cui il fornitore potesse impiegare imprese di
fiducia per le operazioni di posa o di montaggio (facoltà che rimane
prevista nell’art. 141, c. 2 del d.p.r. 554/99 in cui viene stabilito che:
«Il subappaltatore può subappaltare la posa in opera di strutture e di
impianti e opere speciali di cui all’articolo 72, comma 4, lettere c), d)
ed l)», e cioè in particolare dell’art. 72, c. 4 reg.: lett. c) l’installazione,
la gestione e la manutenzione di impianti trasportatori, ascensori, scale mobili, di sollevamento e di trasporto; d) l’installazione, gestione e
manutenzione di impianti pneumatici, di impianti antintrusione; l) la
fornitura e posa in opera di strutture e di elementi prefabbricati prodotti industrialmente).
Così, quel rinvio servì all’Autorità per enucleare il principio secondo cui in talune ipotesi il legislatore del regolamento n. 34/00,
prescindendo dalla natura giuridica, ha inteso ricondurre al concetto di “lavorazioni” alcune prestazioni di fornitura con posa in opera,
provvedendo alla relativa espressa descrizione delle stesse in alcune
declaratorie dell’allegato A del regolamento Bargone.
In ogni caso, la necessità di procedere ad una valutazione relativa
alla fattispecie negoziale concreta — ai fini della qualificazione di un
dato contratto in termini di subappalto o meno — si prospetta per tutte le ipotesi di contratti aventi ad oggetto oltre che prestazioni di mera
fornitura anche prestazioni implicanti l’impiego di manodopera (quali
quelle della posa in opera e del nolo a caldo) non riconducibili ad
alcuna delle categorie individuate dall’Allegato A del d.p.r. 34/2000.
In altri termini, per tutte le suddette attività non espressamente descritte dal d.p.r. 34/2000, si ripropone il problema di verificare se si
tratti di attività riconducibili o meno a quelle tipiche del contratto di
fornitura con posa in opera o di nolo a caldo, piuttosto che ad un contratto di appalto. Tale evenienza è, peraltro, piuttosto frequente, ove
258
Capitolo V
si consideri che normalmente, l’esecuzione delle lavorazioni descritte
dalle categorie di opere (generali e speciali) di cui al d.p.r. 34/2000,
implicano l’esecuzione di prestazioni caratterizzate dalla compresenza
della fornitura (o della locazione) e dell’impiego della manodopera.
5. Il trasferimento d’azienda o di ramo d’azienda
Un primo aspetto giuridicamente rilevante consiste nella differenza
esistente fra i termini “azienda” ed “impresa”, che spesso vengono
invece utilizzati come sinonimi.
In particolare, per impresa in diritto si intende “un’attività”: l’art.
2082 c.c. la definisce così “attività economica organizzata al fine della
produzione o dello scambio di beni o di servizi”; per “azienda” si intende “un complesso di beni” ex art. 2555 c.c.
L’art. 2555 cod. civ. definisce l’azienda come “[…] il complesso dei
beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa” e cioè
il complesso strumentale di cui l’imprenditore si avvale per svolgere
la propria attività.
L’azienda è oggetto di diritti: essa si può configurare come un
bene distinto da annoverarsi tra i beni mobili; è formata a sua volta da un
complesso di beni che possono essere mobili, immobili e crediti, mentre
il suo valore è strettamente legato a quell’entità che è l’avviamento, frutto
dell’attività dell’imprenditore, e che è tanto importante, come qualità stessa
dell’azienda secondo alcuni dottori, o come bene a sé stante secondo altri25.
Tali beni aziendali, che per essere tali devono essere, ovviamente,
collegati in via funzionale tra loro, possono essere anche distinti in
materiali (locali, macchinari, attrezzature) ed immateriali (brevetti, licenze, marchi, know how, etc.).
L’imprenditore non deve essere obbligatoriamente proprietario degli
strumenti della produzione, ma egli è necessariamente colui che utilizza
25.
A. Trabucchi, Istituzioni di diritto civile, XXXVIII, p. 345.
Istituti
259
a proprio rischio quegli strumenti della produzione, propria o del capitalista. Dunque, è possibile una dissociazione fra titolarità dell’impresa
e proprietà degli strumenti di produzione; tale dissociazione
si riflette nella nozione giuridica di azienda: questa è formata, secondo l’art.
2555, non dai beni dell’imprenditore, ma dai beni “organizzati dell’imprenditore”. La qualificazione di un bene come “bene aziendale” dipende, esclusivamente, dalla destinazione data al bene dall’imprenditore; la considerazione giuridica di una pluralità di beni come componenti, unitariamente, una
“azienda” dipende dal fatto che si tratta di beni utilizzati da un medesimo
imprenditore per l’esercizio di una medesima impresa. […]. Può accadere
che l’imprenditore sia proprietario di alcuni beni aziendali e che disponga,
invece, degli altri beni in virtù di un titolo obbligatorio; ma può, al limite, accadere che egli non sia proprietario di alcun bene aziendale. Anche in questo
caso si è in presenza di una “azienda” nel senso dell’art. 2555 c.c.26
Una precisazione che F. Galgano ha richiamato27 fa riferimento al
concetto linguistico per il quale la costruzione giuridica dell’azienda
come “bene immateriale” che si identifichi nella “organizzazione” è
una “ipostasi”, cioè la trasformazione di una qualità in una sostanza:
la qualità dei beni di essere organizzati per l’esercizio dell’impresa diviene sostanza assoluta, un bene distinto. H. Kelsen critica spesso tale
metodologia dell’ipostasi nella sua “Teoria generale del diritto e dello
Stato” e Ascarelli28 ha messo in evidenza il pericolo di concepire lungo tale linea interpretativa l’idea d’organizzazione immateriale come
ascrivibile nella tutela delle opere di ingegno.
Il codice civile nel libro V, titolo VIII, capo I, prende soprattutto
in considerazione l’azienda per la sua circolazione; essa può circolare con diverse modalità di trasferimento: può essere oggetto di atti
cessione, di conferimento societario o anche di donazione. Non solo:
sulla azienda possono essere costituiti diritti reali (come l’usufrutto) o
personali (come l’affitto) di godimento a favore di terzi.
26.
27.
28.
F. Galgano, Diritto commerciale. L’imprenditore, IV ed., Zanichelli, pp. 65 e 66.
in Dir. Comm., op. cit., pp. 67 e 68, nt. 6.
in Saggi di diritto commerciale, citazione in nota 6 di Galgano, op. e loc. cit.
260
Capitolo V
Dunque, l’imprenditore può cedere ad altri l’azienda, ovvero può
darla in usufrutto o in affitto.
Va precisato che cessione, usufrutto ed affitto sono le ipotesi alle
quali si riferisce l’art. 2556 c.c.:
Per le imprese soggette a registrazione i contratti che hanno per oggetto
il trasferimento della proprietà o il godimento dell’azienda devono essere
provati per iscritto, salva l’osservanza delle forme stabilite dalla legge per il
trasferimento dei singoli beni che compongono l’azienda o per la particolare
natura del contratto.
La forma scritta, pertanto, è richiesta solo per la prova del contratto e non per la sua validità.
Definiamo in breve tali contratti.
La “cessione” è il contratto mediante il quale il cedente trasferisce
al cessionario la titolarità dell’azienda a fronte del pagamento di un
corrispettivo.
Con l’“usufrutto” il proprietario conferisce all’usufruttuario il diritto (ius) di utilizzare (utendi) e di godere (fruendi) dell’azienda (alienis rebus) per un periodo di tempo determinato, senza modificarne la
destinazione (salva rerum substantia) ed a fronte del pagamento di un
corrispettivo.
L’“affitto” d’azienda è il contratto con il quale il concedente trasferisce all’affittuario il godimento dell’azienda dietro il pagamento di un
canone periodico e per un periodo di tempo che spesso è determinato.
La locazione di un immobile è un contratto che ha per oggetto l’immobile in quanto tale, mentre nell’affitto d’azienda il contratto ha ad
oggetto un “complesso di beni organizzati”, in cui — come sì è detto —
possono essere ricompresi gli immobili. Il contratto di locazione quando riguarda la materiale struttura involucro dell’azienda, appartiene alla
specie dei c.d. “contratti di impresa” che unitamente ai c.d. “contratti
aziendali” compongono la categoria dei «contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda», di cui si dirà poco più avanti nel commento29.
29.
Cfr. F. Galgano, Dir. Comm., op. cit. pp. 70 e 71.
Istituti
261
L’affitto d’azienda è disciplinato dall’art. 2562 c.c., in cui viene
operato un rinvio alle norme in materia di cessione e di usufrutto.
Nel contratto d’affitto d’azienda la struttura è la seguente: l’affittuario diviene imprenditore che svolge un’attività — che è appunto
l’impresa — utilizzando il complesso di beni organizzato per l’esercizio dell’attività (azienda), la cui titolarità è di un soggetto diverso (il
concedente, appunto).
Una novità: in materia di fallimento, il d.lgs. 5/06 Riforma organica
della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell’articolo 1, comma
5, della l. 14 maggio 2005, n. 80 (pubblicato nella Gazz. Uff. 16 gennaio
2006, n. 12, S.O.), fra le integrazioni al regio decreto 16 marzo 1942,
n. 267, con l’art. 67 ha operato nelle legge Fallimentare l’inserimento
dell’art. 80–bis in cui viene disciplinato il rapporto tra il contratto d’affitto d’azienda ed il fallimento; così sancisce il suddetto art. 67:
Il fallimento non è causa di scioglimento del contratto di affitto d’azienda,
ma entrambe le parti possono recedere entro sessanta giorni, corrispondendo alla controparte un equo indennizzo, che, nel dissenso tra le parti, è determinato dal giudice delegato, sentiti gli interessati. L’indennizzo dovuto dalla
curatela è regolato dall’articolo 111, primo comma, n. 1).
Il contratto di affitto non comporta il trasferimento della titolarità dei beni presenti nel complesso dell’azienda (come avviene invece
nella cessione) e non comporta nemmeno la costituzione di un diritto reale (come accade nell’usufrutto); ma, come la cessione e come
l’usufrutto, anche l’affitto causa la sostituzione di un soggetto (affittuario) rispetto ad un altro (proprietario) nella gestione del complesso aziendale stesso: questo significa che avviene un passaggio, una
sostituzione da un soggetto ad un altro della titolarità dell’esercizio
dell’impresa.
In tale sostituzione sussiste più in generale il concetto di trasferimento.
L’art. 2112 c.c. (modificato dal d.lgs. 18/01, che attua la Direttiva n.
98/50/CE), nel comma 5 definisce il trasferimento di come:
262
Capitolo V
qualsiasi operazione che comporti il mutamento nella titolarità di un’attività
economica organizzata, con o senza scopo di lucro, al fine della produzione e
dello scambio di beni o di servizi, preesistente al trasferimento e che conserva
nel trasferimento la propria identità a prescindere dal carattere negoziale o
dal provvedimento nella base dei quali il trasferimento è attuato, ivi compreso l’usufrutto o l’affitto d’azienda.
Alla luce di ciò, più in generale, va sottolineato, allora, che per trasferimento o concessione in godimento dell’azienda si intende giuridicamente
“trasferire o concedere in godimento una somma di beni”30; a monte, va detto che l’azienda non ha una sua autonoma modalità di circolazione, ma —
come si è visto — essa circola secondo le forme di circolazione dei singoli
beni che la compongono: il termine azienda indica una pluralità di beni31.
Trasferire l’azienda quindi significa che il trasferimento della pluralità di beni produttivi nel suo complesso «possa essere, di per sé solo,
idoneo ad un esercizio di impresa»32.
In tal senso, la giurisprudenza della Cassazione (sent. 1416/67)
ha evidenziato che l’affitto d’azienda: “può aversi ancorché non concorrano tutti gli elementi che normalmente ne integrano il concetto,
ben potendo alcuni di essi mancare, purché dal loro difetto non risulti compromessa l’unità economica aziendale”. D’altra parte, se il
contratto d’affitto avesse ad oggetto beni che non risultassero idonei
all’esercizio dell’impresa e che non fossero organizzati così, si configurerebbe un contratto che, a seconda dei casi, sarebbe da inquadrare
diversamente in altre e distinte fattispecie codicistiche.
Per “ramo di azienda”, si intende una struttura articolata, particolare, autonoma e facente parte dell’intera azienda nel suo complesso;
tale struttura particolare deve possedere una propria consistenza economica ed organizzativa che rimanga tale al trasferimento e conservi
anche dopo tale fisionomia e tale realtà.
30.
31.
32.
p. 68.
Cfr. F. Galgano, Dir. Comm., op. cit., p. 67.
F. Galgano, Dir. Comm., op. cit., p. 67.
Pettiti, Studi per Ascarelli, III, p. 1576; citazione in F. Galgano, Dir. Comm., op. cit.,
263
Istituti
Dunque, negozi di disposizione dell’azienda per i quali essa stessa
circoli possono riguardare anche solo uno specifico settore o ambito
strutturale dell’azienda (del concedente), dotato di propria autonoma
funzionalità che consenta appunto l’esercizio dell’attività.
Questo giuridicamente configura l’affitto di ramo di azienda.
Infine, proprio con riguardo al “trasferimento di ramo di azienda” la
Determinazione n. 11/2002 dell’Autorità di vigilanza ha evidenziato che:
Per aversi un effettivo trasferimento di ramo di azienda, dunque, dall’azienda
originaria dovrà essere stata enucleata quella sotto–organizzazione che, pur
costituendone una parte, abbia una composizione, un’organicità, una qualità
e un’efficienza tali da poterla rendere, anche in tale sua nuova configurazione, un complesso dei nei organizzati […] per l’esercizio di un’impresa, di cui
alla norma del codice civile.
Tornando in generale ai contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda,
una importante distinzione riguarda i c.d. “contratti aziendali” ed i c.d.
“contratti di impresa”: i primi sono quelli «che hanno per oggetto il godimento, da parte dell’imprenditore, di beni aziendali non suoi»33, i secondi
invece «sono i contratti che attengono ai rapporti fra l’imprenditore e i
fornitori, come i contratti di somministrazioni delle materie prime; quelli,
inoltre, che riguardano i suoi rapporti con gli utenti dell’impresa, come
ad esempio per le imprese assicuratrici, i contratti di assicurazione o, per
le imprese di costruzione, i contratti di appalto; i contratti, infine, che
riguardano l’organizzazione dell’attività di impresa, come i contratti con
gli agenti di commercio, i commissionari, i concessionari ecc.»34.
Infine, alcuni aspetti utili35:
1) con il trasferimento dell’azienda, ai sensi dell’art. 2112 c.c. il
lavoratore conserva tutti i diritti che derivano dal rapporto di
lavoro, che a sua volta continua con l’acquirente;
33.
34.
35.
F. Galgano, Dir. Comm., op. cit., p. 70.
F. Galgano, Dir. Comm., op. cit., pp. 70–71.
Cfr. A. Trabucchi, Istituzioni di diritto civile, XXXVIII, pp. 345 e 346.
264
Capitolo V
2) per chi aliena l’azienda è posto il c.d. divieto di concorrenza per
un periodo di cinque anni (art. 2557 c.c.);
3) di massima, chi acquista l’azienda subentra nei contratti — che
non abbiano carattere personale — stipulati per l’esercizio della
stessa (art. 2558 c.c.).
***
Oltre alle disposizioni di cui all’articolo 116 del Codice, che disciplina evidentemente gli effetti delle vicende negoziali sui contratti d’appalto in corso, in materia di lavori pubblici vige pro tempore
— fino a che cioè non sia emanato il nuovo regolamento ex art. 5
del Codice — anche l’articolo 15, comma 9 del d.p.r. 34/2000, che
sancisce la possibilità per il nuovo soggetto di avvalersi, ai fini della
qualificazione, dei requisiti del soggetto cedente: “In caso di fusione
o di altra operazione che comporti il trasferimento di azienda o di un
suo ramo, il nuovo soggetto può avvalersi per la qualificazione dei requisiti posseduti dalle imprese che ad esso hanno dato origine”.
A tal proposito, si richiamano: il Comunicato n. 13/2001 dell’Autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici; la Determinazione n.
11/2002 e la Determinazione n. 5/2003 (in cui l’Autorità per la vigilanza ha indicato i relativi criteri e le procedure che le SOA debbono
seguire).
Capitolo VI
Concessione dei lavori e project financing
1. La concessione di costruzione e gestione
In relazione a tale forma contrattuale, si osserva che l’art. 142 del
Codice De Lise apre il Capo II relativo appunto alle concessioni di
lavori pubblici.
L’art. 142 poneva da subito una differenziazione per quanto riguardava l’applicabilità delle norme contenute nel medesimo Capo e tale distinzione era operata sulla base della soglia comunitaria, fissata dall’art.
28, comma 1 lett. c) (il quale menziona accanto ai lavori anche le concessioni) e calcolata come indicato nell’art. 29: se il valore delle concessioni
fosse stato pari o superiore alla soglia (attualmente pari a 5. 150.000
euro) si sarebbe applicato il regime di applicazione per le concessioni
di lavori. Ma tale distinzione sull’applicabilità del Capo II suddetto è
venuta meno per effetto del d.lgs. 113/07, che, con l’art. 2, c. 1 lett. ff),
n. 1), ha soppresso la seconda parte del comma 1 dell’art. 142.
Il quadro relativo alle concessioni si apre con la prima grande distinzione: accanto alle concessioni di lavori pubblici tout court si presenta il regime per gli appalti di lavori indetti dal concessionario.
L’art. 142, infatti, recepisce la Direttiva comunitaria 2004/18, e distingue: l’affidamento delle concessioni; gli appalti di lavori affidati a
terzi dal concessionario che a sua volta è un’amministrazione aggiudicatrice; appalti di lavori affidati a terzi dal concessionario che a sua
volta non sia un’amministrazione aggiudicatrice.
265
266
Capitolo VI
Certo è che nei primi due casi, per disposizione espressa nel comma 3 dell’art. 142 si applicano per intero, in quanto non derogate dal
Capo II stesso, le norme contenute nel Codice e che hanno pressoché
recepito quelle della Direttiva 18.
Nel terzo caso, il comma 4 stabilisce che il concessionario affidante
i lavori a terzi deve rispettare la Sezione IV relativa appunto ai concessionari che non sono amministrazioni aggiudicatici (artt. 149–151): si
torna alla regola di cui all’incipit dell’articolo 142, dettata nel comma
1, così come novellato con la estensione anche al di sotto della soglia
comunitaria, e con l’aggiunta (di cui all’ultima parte del comma 4), di
alcune parti del Codice (che prima non comparivano nell’art. 2 della
legge Merloni). Coerentemente, la novella del d.lgs. 113/07 indica anche il Titolo II della Parte II, relativo ai contratti sotto soglia.
L’art. 143 del Codice è dedicato invece alle caratteristiche della
concessione sui lavori pubblici; in particolare con i commi 1 a 5 si
riproduce, solo con qualche modifica lessicale e sintattica, la disposizione contenuta nell’art. 19, comma 19 della l. 109/94 e s.m.i.
Con la concessione di costruzione e gestione l’amministrazione
sostituisce a sé il terzo nella cura di un interesse di carattere pubblico, compreso quello relativo alla costruzione (diretta o indiretta)
dell’opera, che rientra tra le sue funzioni. Il concessionario è dunque
un sostituto dell’amministrazione che agisce in nome proprio nel perseguimento di un proprio fine di lucro, attuando, nel contempo, un
interesse dell’amministrazione.
Con tale tipo di concessione un ente pubblico concede ad altro
soggetto pubblico o privato, che rimane al di fuori della sua organizzazione e che perciò non diventa suo organo, l’esecuzione dei
lavori e la loro relativa gestione. Il concessionario, pertanto, compie
gli studi, compila il progetto delle opere necessarie a propria cura
e spese provvede all’esecuzione dei lavori direttamente o mediante
appalto e, successivamente, assume la gestione del servizio, il tutto
sotto la vigilanza dell’Amministrazione che autorizza gli studi, approva il progetto e le eventuali varianti ed esegue il collaudo dell’opera.
Concessione dei lavori e project financing
267
La differenza tra la concessione di costruzione e l’appalto consiste,
dunque, proprio in ciò: l’obbligazione dell’appaltatore nei confronti
dell’amministrazione consiste nell’esecuzione dell’opera ed è perciò
un mero esecutore, mentre il concessionario è un ausiliare dell’amministrazione che, anche nei confronti dei terzi, svolge un’attività in
sostituzione dell’amministrazione. In tal senso l’art. 3, comma 11 del
Codice definisce la concessioni di lavori pubblici come:
contratti a titolo oneroso, conclusi in forma scritta, aventi ad oggetto, in conformità al presente codice, l’esecuzione, ovvero la progettazione esecutiva e
l’esecuzione, ovvero la progettazione definitiva, la progettazione esecutiva e
l’esecuzione di lavori pubblici o di pubblica utilità, e di lavori ad essi strutturalmente e direttamente collegati, nonché la loro gestione funzionale ed
economica, che presentano le stesse caratteristiche di un appalto pubblico
di lavori, ad eccezione del fatto che il corrispettivo dei lavori consiste unicamente nel diritto di gestire l’opera o in tale diritto accompagnato da un
prezzo, in conformità al presente codice.
Nella concessione di costruzione e gestione, il concessionario non
acquista solo la facoltà, ma assume altresì l’obbligo di esercitare un
servizio pubblico e, quindi, anche l’obbligo di costruire o far costruire
le opere all’uopo necessarie.
Il comma 7 dell’art. 143 (per il quale l’art. 1, comma 1, lett. q) del
d.lgs. 113/07 ha sancito anche la previsione di un corrispettivo per il
valore residuo eventuale dell’investimento non ammortizzato al termine della concessione) coordina l’abrogato art. 19–bis, ultimo periodo
della legge Merloni con l’abrogato art. 87, comma 2 del regolamento
del 1999; tutta la parte prima dell’art. 19–bis della l. 109/94 e s.m.i.
invece è contenuta nel comma 8 dell’articolo in esame.
Il comma 8, particolare, riconosce la facoltà in capo alla stazione
appaltante di stabilire che la concessione, al fine di assicurare il perseguimento dell’equilibrio economico–finanziario degli investimenti
del concessionario, abbia una durata superiore a trenta anni, tenendo
conto del rendimento della concessione, della percentuale del prezzo
di cui ai commi 4 e 5 rispetto all’importo totale dei lavori, e dei rischi
268
Capitolo VI
connessi alle modifiche delle condizioni di mercato. Inoltre, l’ultima
parte del comma 8 stabilisce che:
I presupposti e le condizioni di base che determinano l’equilibrio economico–finanziario degli investimenti e della connessa gestione, da richiamare
nelle premesse del contratto, ne costituiscono parte integrante. Le variazioni
apportate dalla stazione appaltante a detti presupposti o condizioni di base,
nonché le norme legislative e regolamentari che stabiliscano nuovi meccanismi tariffari o nuove condizioni per l’esercizio delle attività previste nella
concessione, quando determinano una modifica dell’equilibrio del piano,
comportano la sua necessaria revisione, da attuare mediante rideterminazione delle nuove condizioni di equilibrio, anche tramite la proroga del termine
di scadenza delle concessioni. In mancanza della predetta revisione il concessionario può recedere dal contratto. Nel caso in cui le variazioni apportate o
le nuove condizioni introdotte risultino più favorevoli delle precedenti per
il concessionario, la revisione del piano dovrà essere effettuata a favore del
concedente.
Il comma 9 dell’art. 143 del Codice afferma la possibilità che le
amministrazioni aggiudicatrici affidino in concessione opere destinate alla utilizzazione diretta della pubblica amministrazione, in quanto
funzionali alla gestione di servizi pubblici, a condizione che resti a
carico del concessionario l’alea economico–finanziaria della gestione
dell’opera.
Infine, il comma 10 riconosce al concessionario il diritto di partecipare alla conferenza di servizi finalizzata all’esame e all’approvazione
dei progetti di loro competenza (senza diritto di voto), secondo la
procedura contenuta nell’articolo 14–quinquies della legge 7 agosto
1990, n. 241, e successive modificazioni.
L’art. 144 del Codice disciplina le procedure di affidamento e pubblicazione del bando relativo alle concessioni di lavori pubblici. Per
l’affidamento della concessione di costruzione e gestione l’art. 21,
comma 2 lett. b) della l. 109/94 e s.m.i. nonché l’art. 84, comma 1 del
d.p.r. 554/99, prevedevano l’esperimento della procedura della licitazione privata; invece, attualmente, il comma 1 dell’art. 144 lascia
la facoltà alla stazione appaltante di scegliere la procedura di scelta
Concessione dei lavori e project financing
269
aperta o ristretta, purché, naturalmente, il criterio di valutazione sia
quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa (criterio che era
già stato reso obbligatorio dall’art. 20 della legge Merloni e dall’art.
84 del d.p.r. 554/99).
Il comma 2 dell’art. 144 detta una regola superflua: la ratio della
pubblicazione del bando risiede appunto nell’informazione nel senso
più completo.
Pertanto, l’art. 144 formula il medesimo contenuto dell’art. 58 della Direttiva.
In relazione al bando, in precedenza l’art. 85 del d.p.r. 554/99 disciplinava il contenuto dei bandi di gara per l’affidamento delle concessioni di costruzione e gestione prevedendo: “il bando di gara per
l’affidamento della concessione specifica le modalità con le quali i partecipanti alla gara dimostrano la disponibilità delle risorse finanziarie
necessarie a coprire il costo dell’investimento. Il bando di gara, sulla
base dei dati del piano economico–finanziario compreso nel progetto
preliminare, indica:
a) l’eventuale prezzo massimo che l’amministrazione aggiudicatrice intende corrispondere;
b)l’eventuale prezzo minimo che il concessionario è tenuto a corrispondere per la costituzione o il trasferimento di diritti;
c) l’eventuale canone da corrispondere all’amministrazione aggiudicatrice;
d)la percentuale, apri o superiore al quaranta per cento dei lavori
da appaltare obbligatoriamente a terzi secondo le modalità e le
condizioni fissate dall’articolo 2, comma 4, della legge;
e) il tempo massimo previsto per l’esecuzione dei lavori e per l’avvio della gestione;
f) la durata massima della concessione;
g) il livello minimo della qualità di gestione del servizio, nonché
delle relative modalità;
h)il livello iniziale massimo e la struttura delle tariffe da praticare
all’utenza e la metodologia del loro adeguamento nel tempo;
270
Capitolo VI
i) eventuali ulteriori elementi specifici che saranno inseriti nel contratto;
j) la facoltà o l’obbligo per il concessionario di costituire la società di progetto prevista dall’abrogato articolo 37 quinquies della
legge.
Le amministrazioni aggiudicatici possono prevedere la facoltà per
i concorrenti di inserire nell’offerta la proposta di varianti al progetto
posto a base di gara, indicando quali parti dell’opera o del lavoro è
possibile variare e a quali condizioni”.
Attualmente, invece, l’art. 144 del Codice, al comma 3 disciplina il nuovo contenuto dei bandi mediante rinvio alle altre norme del Codice, all’Allegato IXB (che peraltro riproduce sostanzialmente le stesse ipotesi di cui
all’art. 85 del d.p.r. 554/99) e ai formulari adottati dalla Commissione.
Anche per la pubblicità del bando di gara il Codice detta nuove regole. Si ricorda che la pubblicazione del bando di gara è il primo atto
a rilevanza esterna della gara d’appalto. La funzione della pubblicazione del bando consiste, infatti, nel portare legalmente a conoscenza
degli interessati, ponendoli in condizione di valutare secondo precise
indicazioni i lavori da eseguire, la possibilità, offerta dall’amministrazione, di partecipare alla gara di appalto. In tale contesto, la mancata
pubblicazione del bando costituisce violazione di legge e come tale
rende nulla l’aggiudicazione.
Con specifico riferimento alle forme di pubblicazione dei bandi
di gara per l’affidamento delle concessioni di costruzione e gestione,
disponeva l’art. 84, comma 2 del d.p.r. 554/99, un rinvio alle disposizioni di cui all’art. 80 del d.p.r. 554/99 che prevedeva varie forme di
pubblicità del bando a seconda dell’importo dei lavori da eseguire.
Oggi invece l’art. 66 del Codice, secondo il rinvio operato dal comma 4 dell’art. 144, abroga le precedenti norme in materia e rimane
l’unica regola per la pubblicità del bando. Il d.lgs. 113/07, coerentemente rispetto all’estensione operata, indica (sempre al comma 4)
dell’art. 144) anche la disciplina specifica per la pubblicità dettata dall’art. 122 per i contratti sotto la soglia comunitaria.
Concessione dei lavori e project financing
271
Infine, va precisato che il concessionario, nelle procedure d’appalto e nei rapporti con i propri appaltatori, ha come regolamentazione
applicabile esclusivamente quella degli artt. 146–151, che riguardano
i lavori affidati dai concessionari di cui al Capo II del Titolo III della
Parte II. Da queste norme risulta che gli appalti di lavori e le relative
procedure di affidamento si atteggiano diversamente a seconda che siano affidati da concessionari che “sono amministrazioni aggiudicatrici”
(art. 148) o da concessionari che “non sono amministrazioni aggiudicatrici” (artt. 149–151). Solamente per i primi, sono interamente applicabile le disposizioni dettate dal Codice per l’affidamento e l’esecuzione
dei lavori pubblici, in relazione ai lavori che sono eseguiti da terzi, con
conseguente applicazione piena delle procedure di gara ad evidenza
pubblica disciplinate dal Codice. Per i secondi, invece, si applicano
solamente le norme in materia di pubblicità e, peraltro, solo nei limiti
in cui si tratti di affidamenti a terzi di importo “comunitario”.
Resta altresì fermo che ai sensi dell’art. 146 del Codice non è la legge
che impone al concessionario (sempre e comunque) l’affidamento a terzi di
una percentuale non inferiore al 30% del valore globale dei lavori oggetto
della concessione, bensì “può” essere la stazione appaltante (e, quindi, il
bando di affidamento della concessione stessa) ad “imporre” tale obbligo
al concessionario (lett. a), ovvero ad “invitare” i candidati concessionari a
dichiarare nelle loro offerte la percentuale “ove sussista”, del valore globale dei lavori oggetto della concessione che intendono appaltare a terzi.
2. Aspetti giuridici rilevanti del nuovo project financing
All’interno delle modifiche operate dal d.lgs. 152/08, la principale appare
senza dubbio la novella della disciplina dell’istituto del project financing1.
1.
Cfr. Cancrini, Il project financing, in www. treccani. it, 2009. Sulle considerazioni
dottrinali formulate sulla natura del project financing, ex multis, cfr. in particolare: Baldi, De
Marzo, Il project financing nei lavori pubblici, Ipsoa, Milano 2001; Cianflone, Giovannini,
L’appalto di opere pubbliche, Giuffrè, 2003; Mazzone, Loria, Manuale di diritto dei lavori pubblici, Jandi Sapi, Roma, II edizione, 2005; Gatti S., Manuale del project finance, Bancaria ed.,
272
Capitolo VI
Come noto, attraverso il meccanismo del project la PA riesce a
fornire un servizio alla collettività senza dover sostenere i relativi
oneri economici; tale istituto è, infatti, connotato dalla presenza,
totalmente o parzialmente, di capitali privati per il finanziamento
di quelle opere pubbliche che abbiano il requisito della redditività (c.d. opere calde); il recupero del capitale privato investito
avviene poi in fase gestionale, mediante un corrispettivo derivante dall’erogazione dei servizi pubblici connessi all’opera pubblica
costruita.
Occorre innanzitutto precisare che con l’intervento del d.lgs.
113/07, la disciplina del Promotore finanziario era stata modificata rispetto a quella contenuta negli artt. che andavano dal 37–bis al 37–nonies della legge Merloni. Significativa, a tal proprosito, è stata l’abolizione ad opera del c.d. II Correttivo del c.d. diritto di prelazione in
capo al promotore il quale, nell’ambito della procedura negoziata di
cui all’art. 155 (è l’abrogato art. 37 quater), poteva adeguare la propria
offerta a quella migliore presentata dai concorrenti e con ciò acquisire
comunque la concessione.
Ma ancora più importante è precisare da subito che il d.lgs. 152/08
ha reinserito il diritto di prelazione, così contravvenendo agli indirizzi
comunitari, in forza dei quali già era stata avviata nei confronti dell’Italia una procedura di infrazione.
Negli ultimi anni si è avuto un intenso sviluppo normativo soprattutto in materia di opere pubbliche e di project financing in particolare; le novità legislative introdotte hanno consentito infatti di realizzare
opere pubbliche senza che l’ente appaltante dovesse sostenerne gli
Roma 1999; Monti E., Manuale di finanza per l’impresa, UTET, Torino 1998; Chiti M.P., Il
partenariato pubblico–privato, profili di diritto amministrativo e di scienza dell’amministrazione, Bononia University Press, Bologna 2005; Lugaresi, Concessione di costruzione e gestione
e e project financing: problemi applicativi nella scelta del promotore e del concessionario, in
«Riv. Trim. Appalti», 2001, pp. 648 e ss.; Cerulli A., L’utilizzo degli strumenti finanziari per la
realizzazione di opere pubbliche. Il confronto tra il project financing ed il leasing immobiliare,
2001, in www. analisiaziendale. it; Picozza, La finanza di progetto nel sistema dell’attività contrattuale privata e pubblica, in Consiglio di Stato, II, 2002; Cancrini, Piselli, Capuzza, La nuova
legge degli appalti pubblici, op. cit.
Concessione dei lavori e project financing
273
oneri, permettendo in questo modo di superare in molti casi le difficoltà di ordine economico e finanziario in cui spesso versavano e
versano gli enti pubblici.
Per chiarezza espositiva si rappresenta che la normativa di riferimento che regolava l’istituto della finanza di progetto era quella dettata dall’art. 153 all’art. 160 del Codice (sono gli artt. 37 bis, ter, quater,
quinquies, sexies, septies, octies, nonies della legge 11 febbraio 1994,
n. 109 e s.m.i.), nonché dagli articoli 84, 85, 86, 87, 98 e 99 del d.p.r.
554/99, in quanto ancora applicabile.
Attualmente, dopo l’entrata in vigore del III Correttivo la materia
del project è contenuta nell’art. 153 e gli artt. 154 e 155 sono stati
abrogati2.
2.
Ecco uno schema della ormai superata disciplina.
1) La prima fase che contraddistingueva il project financing era quella che può
essere definita fase “ideativa”; durante tale fase i soggetti promotori presentavano alle amministrazioni aggiudicatici proposte di lavori pubblici o di pubblica
utilità inseriti negli strumenti di programmazione dell’ente (art. 128 Codice; è
l’abrogato art. 14 della l. 109/94), da realizzare in regime di concessione, con
risorse totalmente o parzialmente a carico dei promotori stessi. Per poter essere
prese in considerazione, le proposte dovevano essere corredate da una serie di
documentazione (ad esempio, uno studio di fattibilità, che sia in sintonia con
quello che l’amministrazione ha predisposto per l’inserimento nel programma triennale; un progetto preliminare; una bozza di convenzione; un piano
economico–finanziario asseverato da un istituto di credito, ecc.). La capacità
del promotore e (se diverso) del concessionario andava valutata secondo tutti
gli aspetti in cui si estrinseca la sua attività (ad esempio, di finanziamento)
2) I soggetti “promotori” potevano presentare alle amministrazioni aggiudicatrici
proposte di lavori pubblici o di pubblica utilità inseriti negli strumenti di programmazione dell’ente, da realizzare in regime di concessione. Il nuovo testo
del Codice prevedeva la possibilità di presentare proposte di project financing
entro l’unico termine di 180 giorni dalla pubblicazione dell’avviso indicativo di
cui al comma 3. Il duplice termine di scadenza sulla presentazione delle proposte da parte dei promotori, era da correlarsi con gli obblighi anche di pubblicità,
posti a carico delle amministrazioni. In particolare, dalla data di redazione dei
programmi di realizzazione di lavori pubblici decorreva il termine di 90 giorni
per pubblicizzare l’esistenza di interventi da realizzare con l’utilizzo di capitali
privati. L’avviso doveva essere affisso presso le sedi dell’amministrazione per
almeno 60 giorni consecutivi e, se istituito, va pubblicato sul sito informatico di
cui all’art. 66, comma 7 e sul profilo del committente (l’art. 37–bis prevedeva
la pubblicazione sul sito individuato con decreto del Presidente del Consiglio
dei Ministri ai sensi dell’art. 24 della l. 24 novembre 2000,n. 340, e se istituito
274
Capitolo VI
Il III Correttivo detta, infine, la disciplina transitoria: la nuova disciplina si applica per le procedure i cui bandi siano stati pubblicati
dopo l’entrata in vigore del III correttivo; il termine di sei mesi decorre dalla data di approvazione del programma triennale 2009–11.
sul sito della stessa stazione appaltante). Un termine invece di quindici giorni,
decorrente dalla ricezione delle proposte, era stato introdotto per la nomina del
responsabile del procedimento e relativa comunicazione al promotore, nonché
per la verifica della completezza della documentazione prodotta ed eventuale
correlata richiesta di integrazione della stessa. Inoltre, dalla pronuncia sulla
fattibilità del progetto doveva seguire un ulteriore termine di tre mesi per la
successiva pubblicazione del bando e, quindi, per l’indizione della gara.
3) Come già accennato precedentemente, entro 90 giorni dall’avvenuto inserimento nei programmi triennali o negli strumenti di programmazione adottati
dalle amministrazioni, gli interventi realizzabili con capitali privati erano pubblicizzati mediante un avviso indicativo, nel rispetto delle modalità previste dal
Codice. Altra novità rilevante era già costituita dalla possibilità per i soggetti
promotori di presentare alle amministrazioni aggiudicatrici proposte di intervento anche nell’ambito della fase di programmazione dei lavori pubblici, ed
in particolare di pianificazione del programma triennale delle attività di realizzazione di lavori pubblici e dei relativi aggiornamenti annuali. Infine, si può
dire che nell’arco di quattro mesi, che decorrevano decorrere dalla ricezione
della proposta del promotore, la proposta presentata dal promotore era valutata dall’amministrazione. A questo punto, se la proposta era stata positivamente
valutata, si dava avvio alla fase di selezione e affidamento in concessione.
4) La procedura d’affidamento della concessione prevedeva lo sviluppo in due fasi
di gara; infatti, l’art. 155 (che era l’abrogato art. 37 quater) stabiliva che entro
tre mesi dalla pronuncia di cui all’art. 154 (l’abrogato art. 37 ter) di ogni anno le
amministrazioni aggiudicatrici, qualora fra le proposte presentate ne avessero
individuate alcune di pubblico interesse, applicavano le disposizioni di cui al
d.p.r. 327/2001 “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in
materia di espropriazione per pubblica utilità” e, procedevano per ogni proposta individuata:
a) ad indire un gara da svolgere con il criterio dell’offerta economicamente
più vantaggiosa.
b) ad aggiudicare la concessione mediante una procedura negoziata da svolgere fra il promotore ed i soggetti presentatori delle due migliori offerte
nella gara di cui alla lettera a). A seguito dell’esperimento della procedura
venivano individuati i soggetti con le due migliori offerte, che successivamente erano posti a confronto con il promotore. Individuati i concorrenti, si procedeva ad esperire un’ulteriore procedura di gara, ristretta questa volta ai due migliori offerenti ed al soggetto promotore; la proposta
del promotore era per lo stesso vincolante, qualora non vi fossero state
altre offerte nella gara. La stessa era garantita dalla cauzione provvisoria
e da un’ulteriore cauzione pari all’importo di cui all’art. 153, comma 1,
Concessione dei lavori e project financing
275
L’attuale disciplina sul project operata dal III Decreto correttivo è
del tutto innovativa e presenta solo alcuni aspetti simili alla precedente procedura.
A seguito della predetta modifica, per i lavori suscettibili di realizzazione mediante project financing risulta inapplicabile la regola
generale (di cui all’art. 128, comma 6) secondo cui nessuna opera
può essere inserita nell’elenco annuale se non è corredata del progetto preliminare, dato che l’inserimento di opere attuate attraverso la
finanza di progetto può avvenire anche senza progetto preliminare,
essendo sufficiente lo studio di fattibilità.
Sotto un profilo più generale l’espressione project financing non
indica più una procedura di affidamento, ma un risultato (la realizzazione di opere pubbliche con il concorso di capitali privati), che può
essere raggiunto, oggi, con molteplici procedure.
Infatti, nella nuova disciplina3, è prevista una pluralità di procedure
finalizzate a stimolare il concorso di capitali privati alla realizzazione
di opere pubbliche.
Innanzitutto i requisiti e le garanzie richiesti al promotore sono
rispettivamente e sin dalla presentazione della proposta i requisiti del
concessionario — dalla norma la deroga è per la terza procedura, fuori dalla programmazione —, e in aggiunta alla cauzione definitiva è
ora prevista la garanzia per le penali dovute ad inadempimenti degli
quinto periodo (non superiore al 2,5% dell’importo dell’investimento,
calcolato sulla base del piano economico–finanziario) “da versare, su richiesta dell’amministrazione aggiudicatrice, prima dell’indizione del bando
di gara”; medesima cauzione è presentata anche dagli altri soggetti partecipanti alla gara. Nel caso in cui nella procedura negoziata, il promotore
non risultava aggiudicatario entro un congruo termine fissato dall’amministrazione nel bando di gara, il soggetto promotore della proposta aveva il
diritto al pagamento, a carico dell’aggiudicatario, dell’importo del 2,5% del
valore dell’investimento. Nel caso in cui nella procedura negoziata il promotore fosse risultato aggiudicatario, lo stesso era tenuto a versare all’altro
soggetto, ovvero agli altri due soggetti che avevano partecipato alla procedura una somma pari all’importo del 2,5% del valore dell’investimento.
3.
Per una analisi del nuovo istituto del project, cfr. C. Pluchino, Project financing e
general contractor, Dike giuridica Editore, Roma 2008.
276
Capitolo VI
obblighi con decorrenza dall’inizio della gestione delle lavorazioni
d’opera. Tale garanzia è fissata al 10% del costo annuale operativo
dell’esercizio.
Lo schema dei tre sistemi è il seguente4.
Se nella vecchia disciplina si potevano individuare tre fasi del
project, nel terzo decreto sono invece previsti tre sistemi alternativi e
paralleli5.
1)Il primo sistema (commi 1–14 dell’art. 153, nuova formulazione) consiste nell’individuazione del concessionario mediante
unica gara; la P.A. pubblica il bando e pone a base lo studio di
fattibilità. Le offerte, come nella precedente disciplina, hanno il
progetto preliminare e il piano economico asseverato da banca.
Dopo la gara l’amministrazione nomina il promotore mediante il criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente
più vantaggiosa e approva il preliminare offerto. Se si presentasse la necessità di modifiche progettuali ai fini dell’approvazione, spetta al promotore operare le variazioni indicate.
In tal caso, solo successivamente il promotore può stipulare
il contratto di affidamento della concessione; se invece non
accetta le modifiche, la concessione è aggiudicata mediante
scorrimento della graduatoria, alle stesse condizioni presentate dal promotore iniziale; rimane fermo che in quest’ultima
ipotesi al promotore rimarrebbe il titolo per ricevere il pagamento dell’importo delle spese sostenute per la predisposizione dell’offerta. La correlativa obbligazione è prevista a
carico dell’aggiudicatario.
4.
Per un primo esame, cfr. M. Giustiniani, Dal 17 ottobre la riforma del project financing. Alla P.A. la scelta sulla doppia via, in «Edilizia e Territorio», n. 39/08, pp. 6 e ss.
5.
Sul tema, l’Autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici ha emanato la Determinazione n. 1 del 14/01/2009 Linee guida sulla finanza di progetto dopo l’entrata in vigore del
c.d. “terzo correttivo” (d.lgs. 11 settembre 2008, n. 152). In ultimo, sempre l’Autorità ha emanato le determinazioni 20 maggio 2009, n. 3 (Linee guida per l’utilizzo del criterio dell’offerta
economicamente più vantaggiosa nelle procedure previste dall’art. 153) e n. 4 (Procedure di cui
all’art. 153: linee guida per i documenti di gara).
Concessione dei lavori e project financing
277
Dunque, in sintesi: la nuova procedura prevede l’indizione di
un’unica gara per l’affidamento di una concessione, con le modalità di cui all’art. 66 o 122 (secondo l’importo dei lavori).
A base di gara viene posto lo studio di fattibilità ed il promotore
viene individuato attraverso il criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Ove risultassero necessarie modifiche al progetto preliminare
presentato dal concorrente, esse spetteranno al promotore.
Si tratta, pertanto, di una concessione ove la progettazione risulta integralmente affidata al concessionario: quest’ultimo,
infatti, dovrà provvedere non solo alla progettazione definitiva
ed esecutiva, ma anche a quella preliminare. Ove si utilizzi tale
procedura, la concessione non potrà, però, essere stipulata con
il promotore prescelto se non dopo l’approvazione del progetto
preliminare e l’accettazione da parte del promotore delle eventuali modifiche da apportare al progetto preliminare.
2)La seconda procedura alternativa è prevista dal comma 15
dell’art. 153 del Codice. Essa può essere definita “doppia gara”,
infatti con essa, l’amministrazione mediante una procedura
selettiva individua il promotore da cui avere il progetto preliminare; con altra distinta procedura individua l’affidatario del
concessionario. È qui è di nuovo affiorata la previsione positiva
secondo cui spetta al promotore la prelazione promotore (mentre, del tutto illogicamente e asimmetricamente, il legislatore ha
abrogato la prelazione per il promotore nelle opere di urbanizzazione a scomputo sopra — soglia, e lasciato la gara informale a
cinque per quelle sotto–soglia). Dopo la prima gara si approva il
progetto offerto dal promotore, che viene posto a base della seconda gara. Il promotore ha, dunque, diritto ad essere preferito
al miglior offerente individuato nella seconda gara, nel caso in
cui il primo intenda adeguare la propria offerta a quella risultata
più vantaggiosa.
In particolare, quindi, la seconda procedura, articolata in due gare, si caratterizza per la previsione del diritto di prelazione e si svolge come segue:
278
Capitolo VI
a) l’amministrazione pubblica un bando precisando che la procedura non comporta l’aggiudicazione al promotore prescelto,
bensì l’attribuzione allo stesso del diritto di essere preferito al
migliore offerente, ove il promotore intenda adeguare la propria
offerta a quella ritenuta più vantaggiosa;
b)successivamente l’amministrazione provvede all’approvazione
del progetto preliminare in conformità al comma 10, lett. c) dell’art 153;
c) viene, dunque, bandita una nuova procedura selettiva, ponendo
a base di gara il progetto preliminare approvato e le condizioni
economiche e contrattuali offerte dal promotore, con il criterio
dell’offerta economicamente più vantaggiosa;
d)ove non siano state presentate offerte valutate economicamente
più vantaggiose rispetto a quella del promotore, il contratto è
aggiudicato a quest’ultimo mentre ove, al contrario, siano state
presentate una o più offerte valutate economicamente più vantaggiose di quella del promotore posta a base di gara, quest’ultimo può, entro quarantacinque giorni dalla comunicazione dell’amministrazione aggiudicatrice, adeguare la propria proposta
a quella del migliore offerente, aggiudicandosi il contratto. In
questo caso l’amministrazione aggiudicatrice rimborsa al migliore offerente, a spese del promotore, le spese sostenute per la
partecipazione alla gara, nella misura massima di cui al comma
9, terzo periodo;
e) ove il promotore non adegui nel termine indicato la propria
proposta a quella del miglior offerente individuato in gara, quest’ultimo è aggiudicatario del contratto e l’amministrazione aggiudicatrice rimborsa al promotore, a spese dell’aggiudicatario,
le spese sostenute nella misura massima di cui al comma 9, terzo
periodo (art. 153, comma 15).
3)La terza procedura presenta un carattere residuale e, come novità di rilievo, consente di presentare le proposte anche fuori dalla
programmazione; infatti il comma 16 della nuova formulazione
dell’art. 153 del Codice stabilisce che tale iter è attivato su ini-
Concessione dei lavori e project financing
279
ziativa del soggetto privato per i lavori per i quali le amministrazioni aggiudicatrici non abbiano però pubblicato i bandi nei sei
mesi dall’approvazione dell’elenco annuale del Ll. PP. Decorso
tale termine, i privati presentato progetto preliminare nei successivi quattro mesi; la P.A. pubblica un avviso con i criteri ai
fini della valutazione; valuta le proposte e le altre eventualmente
pervenute nei sei mesi dalla pubblicazione dell’avviso. Poi l’amministrazione interessata individua le proposte di pubblico interesse, per le quali può indire diverse procedure selettive: dialogo
competitivo; concessione ex art. 143; ovvero procedura selettiva
descritta nel comma 15 dello stesso art. 153, e quindi logicamente con il diritto di prelazione a favore del promotore.
In conclusione, si può evidenziare che il terzo tipo di procedura
è stato disegnato, invece, al fine di far fronte alla possibile inerzia delle amministrazioni nel pubblicare i bandi per l’affidamento della concessione e riveste un carattere residuale.
In tale ipotesi, viene previsto che, in relazione a ciascun lavoro
inserito nell’elenco annuale, per il quale le amministrazioni aggiudicatrici non provvedano alla pubblicazione dei bandi entro
sei mesi dall’approvazione dello stesso elenco, i soggetti in possesso dei requisiti possono presentare, entro e non oltre quattro
mesi dal decorso di detto termine, una proposta avente il contenuto dell’offerta di cui al comma 9.
L’amministrazione aggiudicatrice provvede, quindi, a pubblicare un avviso con le modalità di cui all’art. 66 ovvero di cui all’art.
122 (a seconda dell’importo dei lavori), contenente i criteri in
base ai quali si procede alla valutazione delle proposte.
Le eventuali proposte rielaborate e le nuove proposte sono presentate entro novanta giorni dalla pubblicazione di detto avviso; le amministrazioni aggiudicatrici esaminano dette proposte,
unitamente alle proposte già presentate e non rielaborate, entro
sei mesi dalla scadenza di detto termine e, quindi, individuano
la proposta ritenuta di pubblico interesse, procedendo poi in via
alternativa a:
280
Capitolo VI
a) se il progetto preliminare necessita di modifiche, qualora ricorrano le condizioni di cui all’art. 58, comma 2, indire un dialogo
competitivo ponendo a base di esso il progetto preliminare e la
proposta (ove il promotore che non risulti aggiudicatario ha diritto al rimborso, con onere a carico dell’affidatario, delle spese
sostenute);
b)se il progetto preliminare non necessita di modifiche, previa
approvazione del progetto preliminare presentato, bandire una
concessione ai sensi dell’art. 143, ponendo lo stesso progetto a
base di gara ed invitando alla gara il promotore;
c) se il progetto preliminare non necessita di modifiche, previa approvazione del progetto preliminare presentato dal promotore,
procedere ai sensi del comma 15, lett. c), d), e), f), ponendo lo
stesso progetto a base di gara e invitando alla gara il promotore
(art. 153, comma 16).
Se il soggetto che ha presentato la proposta prescelta non partecipa alle gare suddette, l’amministrazione aggiudicatrice incamera la
garanzia di cui all’art. 75.
Nel caso di ricorso alla procedura di cui al comma 15, qualora il
promotore non risulti aggiudicatario potrà far valere il diritto di prelazione suesposto.
Infine i commi 19 e ss. dell’art. 153 disciplinano l’ipotesi in cui il
lavoro pubblico non sia stato inserito neanche negli strumenti di programmazione (triennale e non).
L’autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, con la determinazione n. 1 del 14 gennaio 2009, ha elaborato le linee guida per il
project financing alla luce delle importanti innovazioni operate dal III
Decreto correttivo.
Oltre agli aspetti fondamentali che riguardano l’immodificabilità
del progetto del vincitore nell’ipotesi di gara unica e la prelazione che,
come detto nell’ipotesi di doppia gara, rimane in capo al promotore,
si segnalano inoltre i seguenti profili:
Concessione dei lavori e project financing
281
a) il primo paragrafo della determinazione 1/09 tratta del regime
transitorio: viene chiarito che, in base all’articolo 1, comma 2 del
d.lgs. 152/08 le nuove disposizioni si applicano alle procedure
i cui bandi sono stati pubblicati prima del 17 ottobre 2008 e
per le quali i relativi studi di fattibilità siano stati già inseriti in
programmazione e nell’elenco annuale. Per gli avvisi di sollecitazione delle proposte private già pubblicati alla data del 17
ottobre 2008, anche se non sono ancora arrivate le offerte da
parte dei concorrenti privati, continua ad applicarsi la disciplina
precedente al III Correttivo;
b) interpretazione della nuova norma sul “subentro”. In particolare, con l’art. 159 di nuova formulazione viene introdotta una
previsione maggiormente flessibile: non viene infatti stabilito in
generale il termine per l’indicazione del soggetto subentrante da
parte degli enti finanziatori, bensì viene stabilito che l’individuazione deve avvenire entro il termine fissato nel contratto o, in
mancanza, assegnato dall’amministrazione nella comunicazione
scritta agli enti. In riferimento al subentro, il III Correttivo aveva introdotto una norma transitoria nell’art. 253, lettera vv) in
cui era affermato che la definizione delle modalità di subentro
è rimessa all’autonomia negoziale delle parti in attesa dell’emanazione di un decreto ministeriale (previsto già nell’art. 159 Codice). L’Autorità interpreta le due disposizioni richiamate nella
determinazione 1/09 affermando che, anche ove il contratto di
concessione risultasse già stipulato al momento dall’entrata in
vigore del III Decreto Correttivo (17/10/08), le parti avrebbero
comunque la facoltà di prevedere le modalità di attuazione del
subentro, stabilendo un termine diverso dai 90 giorni che era
stabilito nella precedente formulazione dell’art. 159 del Codice;
c) l’art. 160 del Codice, così come modificato dal d.lgs. 152/08, ha
stabilito — senza indicare i termini temporali per il regime transitorio — che i soggetti che finanziano la realizzazione dei lavori
pubblici hanno il privilegio di cui all’art. 2745 c.c. non solo sui
beni mobili del concessionario, bensì pure su quelli delle società
282
Capitolo VI
di progetto concessionarie. La determina n. 1/09 circa i tempi
per l’applicazione di tale nuova previsione, indica che, in caso
di costituzione di una società di progetto, il privilegio dei finanziatori sia da ritenersi esteso anche ai beni mobili della società di
progetto pur nel caso di rapporti instauratisi prima dell’entrata
in vigore del III Correttivo;
d)la nuova disciplina prevede l’obbligo per le amministrazioni di
valutare le proposte dei privati entro sei mesi. Tale termine viene definito dall’Autorità come “sollecitatorio”, ma in relazione
a quanto disposto dall’articolo 2 della legge 241/90 sul procedimento amministrativo le linee guida affermano che: “appare
sussistente un obbligo di concludere il procedimento con un
provvedimento espresso” dal momento che esiste una “istanza
privata” da valutare. La determina 1/09 riconosce che anche che
nel caso in cui siano presentati dai privati più studi di fattibilità,
essi dovranno essere valutati utilizzando metodologie “multicriteri o multi obiettivi” come previsto dall’articolo 15, comma 12
del d.p.r. 554/99;
e) la determina prevede che le amministrazioni, “considerato che il
concessionario dovrà sviluppare i successivi livelli di progettazione”, possano stabilire di valutare, nell’ambito dell’applicazione
del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, anche
la “professionalità” progettuale del concorrente. Per il termine
di presentazione delle offerte, mancando una indicazione nella
legge, l’Autorità richiama quelli minimi di cui agli articoli 70 e
145 del Codice e suggerisce alle amministrazioni di considerare
anche la complessità dell’intervento;
f) in relazione alla doppia gara, l’Autorità, per la seconda fase
(che è relativa all’offerta), indica alle amministrazioni di vietare
la presentazione modifiche rilevanti al progetto presentato dal
promotore prescelto, in forza del fatto che il progetto è stato già
sottoposto ad approvazione;
g) la determinazione afferma che nell’asseverazione non rientra la
valutazione della correttezza dei dati utilizzati per il piano eco-
Concessione dei lavori e project financing
283
nomico–finanziario ed essa non costituisce un impegno per la
banca al successivo finanziamento del promotore;
h)lo studio di fattibilità, da inserire in programmazione e da porre a base di gara, deve «contenere anche tutte le informazioni
essenziali per consentire l’individuazione dei requisiti dei concorrenti, nonché dei criteri di valutazione delle proposte e della loro ponderazione». Lo studio deve essere predisposto dagli
uffici tecnici delle amministrazioni aggiudicatrici e il ricorso a
professionalità esterne è possibile solo in caso di carenze dell’organico. Il costo di uno studio, a differenza delle progettazioni,
è riferibile solo in parte all’importo dei lavori; il criterio per fissare il corrispettivo dovrebbe essere basato «sul tempo necessario alla prestazione ovvero calcolato sulla base del numero di
giornate–uomo necessarie per il loro espletamento, all’interno,
comunque, di un range di valore proporzionale all’importo di
investimento».
2.1. Cenni ai problemi di compatibilità tra diritto di prelazione e ordinamento comunitario
È ormai noto che il d.lgs. 152/08, seppur nella variata disciplina del
project, ha reintrodotto il c.d. diritto di prelazione in favore del promotore, ossia il diritto per quest’ultimo di adeguare la propria proposta a
quella giudicata dall’amministrazione più conveniente, aggiudicandosi in tal caso la concessione.
Prima di giungere alla attuale previsione normativa che favorisce nuovamente la prelazione (già prevista nella prima stesura del
Codice nel 1° luglio 2006, in seguito abrogata dal II Correttivo,
dal 1° agosto 2007), la Sezione Consultiva per gli atti normativi del
Consiglio di Stato aveva in due momenti espresso il proprio parere contrario al diritto di cui si discute. In particolare, con parere
reso sulla bozza di quello che sarebbe poi divenuto il d.lgs. 113/076,
6.
Parere n. 1750 del 6/6/2007.
284
Capitolo VI
aveva già “caldeggiato” l’abrogazione del diritto di prelazione, rilevando che essa
anche sul piano sostanziale è inopportuna perché rende poco appetibile la
partecipazione alla gara e rischia così di sottrarre di fatto alla concorrenza
questo importante istituto7.
In sèguito, la medesima Sezione Consultiva nel luglio 20088, nonostante avesse evidenziato che il diritto di prelazione non configurerebbe una violazione al principio della par condicio ma una posizione qualificata9, aveva però considerato che comunque l’istituto non è previ7.
Del resto, anche l’VIII Commissione Ambiente, Territorio, Lavori Pubblici della
Camera dei Deputati aveva espresso nel luglio 2007 (per il II Correttivo) parere favorevole per
l’abrogazione del diritto di prelazione. Tale Commissione, «esaminato lo schema di decreto
legislativo concernente modifiche al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante il codice
dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/
CE e 2004/18/CE, […]» ha quindi espresso «parere favorevole, con le seguenti condizioni:
[…] j) anche in considerazione dell’esplicito richiamo contenuto nel parere del Consiglio di
Stato, siano apportate le necessarie modifiche alla disciplina del project financing, al fine di
superare i rilievi mossi dalla Commissione europea (causa C–412/04), eliminando in particolare
la previsione — contenuta negli ultimi due periodi dell’articolo 154, comma 1, del codice — del
diritto di prelazione a favore del promotore, nel caso di adeguamento della relativa proposta
a quella giudicata dall’amministrazione più conveniente, e, conseguentemente, sopprimendo
la previsione, contenuta nell’articolo 153, comma 3, ultimo periodo, del codice, secondo la
quale l’avviso deve indicare espressamente la sussistenza di tale diritto»; […] e con le seguenti
osservazioni: «16) come già evidenziato nel parere reso dalla VIII Commissione in occasione
dell’esame dello schema del primo decreto correttivo, si raccomanda al Governo di apportare
opportune modifiche alla normativa in tema di appalti di lavori pubblici in relazione alle ulteriori questioni problematiche aperte in sede di contenzioso comunitario, con specifico riferimento
alla procedura di infrazione che oppone, per talune delle disposizioni introdotte con la legge
166/2002 (in parte già modificate dal codice stesso), la Commissione europea all’Italia — e che
è già in fase avanzata di contenzioso innanzi alla Corte di giustizia europea — nel cui ambito
sono state sollevate precise questioni, oltre che in relazione al diritto di prelazione in favore del
promotore, anche per la materia dei contratti misti, della realizzazione a scomputo dei lavori di
urbanizzazione, dell’affidamento della “direzione lavori” e del collaudo».
8.
Con il parere n. 2357 del 14/7/2008 –Sezione Consultiva per gli atti normativi
del Consiglio di Stato, reso sullo schema di decreto legislativo di modifica del d.lgs. 163/06
(Decreto correttivo III).
9.
«Come affermato dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee, il riconoscimento di un diritto di prelazione a favore del promotore, lungi dal poter essere considerato
in violazione del principio di par condicio, costituisce piuttosto il formale riconoscimento
dell’esistenza di una posizione oggettivamente e ragionevolmente differenziata».
Concessione dei lavori e project financing
285
sto nelle direttive comunitarie e per questo aveva invitato il Governo a
prendere seriamente in considerazione la possibilità di sopprimerlo10.
Ma, pur in presenza di queste coerenti linee interpretative rese
nelle sedi di approvazione degli ultimi due decreti correttivi, il legislatore delegato ha optato per il reinserimento del diritto di prelazione. Appare allora chiaro che anche l’attuale prelazione contrasti con
i principi comunitari. Esso, in effetti, sembra violare il principio di
parità di trattamento e il principio di trasparenza, sotto un duplice
profilo:
a) perché consente al promotore di aggiudicarsi la concessione
mediante il semplice adeguamento dell’offerta a quella del concorrente risultato vittorioso;
b)perché ammette il promotore alla procedura negoziata (= seconda fase di gara) a prescindere da ogni comparazione tra la sua
offerta e quelle presentate dai partecipanti nella prima fase di
gara.
Non pare, quindi, che la reintroduzione del diritto di prelazione — intervenuta nell’ambito della più generale riconsiderazione
dell’istituto del project financing ad opera del d.lgs. 152/2008 —, sia
suscettibile di superare i rilievi suddetti, alimentando anzi non pochi
dubbi in ordine alla piena conformità di tale istituto rispetto al diritto
comunitario.
Va detto, anzi, in questo senso, che il su evidenziato comportamento ondivago e contraddittorio del nostro legislatore, che ha
dapprima introdotto il diritto di prelazione, per poi sopprimerlo (con d.lgs. 113/2007), per poi di nuovo reintrodurlo (con d.lgs.
10. Se a ciò si aggiunge che tale valutazione era stata resa su un primo schema del III
Correttivo che non prevedeva il diritto di prelazione, introdotto invero solo successivamente
in una ulteriore versione non sottoposta nuovamente alla valutazione della Sezione Consultiva stessa, se ne ricavano ulteriori dubbi, quanto meno in ordine alla legittimità dell’iter di
approvazione del Decreto Correttivo III, peraltro già evidenziati in sede dottrinale.
286
Capitolo VI
152/2008, seppure con taluni temperamenti, attraverso la previsione
di una procedura alternativa alla gara unica bifasica, che non prevede l’applicazione del diritto di prelazione), costituisce un indice
sintomatico della dubbia conformità di tale istituto rispetto al diritto
comunitario.
Da ultimo va precisato, de iure condendum, che la Corte di Giustizia nel 2007 ha affermato che:
Il giudice nazionale è tenuto a dare a una disposizione di diritto interno,
avvalendosi per intero del margine di discrezionalità consentitogli dal suo
ordinamento nazionale, un’interpretazione ed un’applicazione conformi alle
prescrizioni del diritto comunitario. Se una siffatta applicazione conforme
non è possibile, il giudice nazionale ha l’obbligo di applicare integralmente
il diritto comunitario e di tutelare i diritti che quest’ultimo conferisce ai singoli, disapplicando, se necessario, qualsiasi contraria disposizione del diritto
interno11.
Un’ultima considerazione.
L’UE con procedura di infrazione n. 2007/2309 ex art. 226 CEE
(avviata dalla Commissione Europea nei confronti dell’Italia e comunicata con lettera di costituzione in mora C(2008)0108 del 30/01/2008),
facendo riferimento al testo del d.lgs. 163/06 come modificato dal
d.lgs. 113/07, aveva sottolineato che, pur se a seguito delle modifiche introdotte dal II Correttivo gli articoli 153 e 154 del Codice non
prevedevano più il diritto di prelazione in favore del promotore, tuttavia le disposizioni previste dal Codice non sembravano per ciò solo
eliminare tutti i problemi di compatibilità con il diritto comunitario.
Infatti, il rispetto delle regole della direttiva 2004/18/CE e del principio di parità di trattamento — continuava la Commissione — non
sarebbe stato garantito dalle norme del Codice, in ragione dell’assenza di pubblicità a livello comunitario degli avvisi diretti a scegliere il
promotore ed il concessionario nonché dalla posizione di vantaggio di
cui il promotore continuava a beneficiare, anche dopo la soppressione
11.
Corte di Giustizia CE, 18 dicembre 2007 – procedimento C – 357/06.
Concessione dei lavori e project financing
287
del diritto di prelazione12.
A sèguito della novella correttiva operata dal d.lgs. 152/08, i problemi di compatibilità tra diritto di prelazione e ordinamento comunitario non sembrano di certo essere stati risolti; infatti, l’emanazione
del III decreto correttivo, da un lato ha l’unico merito di aver previsto
la pubblicità a livello comunitario degli avvisi, ma d’altro lato non ha
posto riparo al vantaggio concesso al promotore di partecipare ad una
procedura negoziata con i soggetti che hanno presentato le due migliori offerte nella gara precedente, e ha anzi reintrodotto il diritto di
prelazione, considerato alle stregua di un vantaggio per il promotore,
per ciò solo incompatibile con il diritto comunitario, la cui soppressione era stata valutata con favore dalla Commissione Europea.
12. Così testualmente nel citato documento che «la Commissione rileva che le disposizioni del Codice in materia di promotore ricalcano in gran parte la disciplina della “finanza
di progetto” contenuta negli articoli 37–bis e seguenti della legge 109/94 (legge quadro in
materia di lavori pubblici), che è stata abrogata a seguito dell’entrata in vigore del Codice.
Come noto, tali disposizioni della legge 109/94 hanno formato oggetto di un ricorso per inadempimento dinnanzi alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee, proposto dalla Commissione contro l’Italia, e la causa è tuttora pendente (causa C–412/04). La Commissione
prende atto che, a seguito delle modifiche introdotte dal decreto legislativo n. 113/07, gli
articoli 153 e 154 del Codice non prevedono più il diritto di prelazione in favore del promotore (ossia il diritto di adeguare la propria proposta a quella giudicata dall’amministrazione
più conveniente aggiudicandosi in tal caso la concessione) che era previsto dalla precedente
disciplina. Uno dei vantaggi in favore del promotore contemplati dalla disciplina contestata
con il ricordato ricorso per inadempimento è stato quindi soppresso. Tuttavia, con riserva
di conoscere la valutazione della Corte di Giustizia sulle disposizioni in questione, la Commissione segnala che le disposizioni previste dal Codice non sembrerebbero eliminare tutti i
problemi di compatibilità con il diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni
che essa aveva indicato nel ricorso per inadempimento. In particolare, il rispetto delle regole
della direttiva 2004/18/CE in materia di attribuzione delle concessioni di lavori e del principio di parità di trattamento non sarebbe garantito dalle suddette disposizioni del Codice, in
ragione dell’assenza di pubblicità a livello comunitario degli avvisi diretti a scegliere il promotore ed il concessionario nonché dalla posizione di vantaggio di cui il promotore continua
a beneficiare, anche dopo la soppressione del diritto di prelazione. Nel corso della procedura
di attribuzione della concessione, infatti, il promotore non è su un piede di parità con gli altri
operatori potenzialmente interessati in quanto ha il vantaggio di partecipare ad una procedura negoziata (fase 2 della procedura di attribuzione) nella quale deve confrontarsi unicamente
con i soggetti che hanno presentato le 2 migliori offerte nella gara precedente (fase 1), indetta
sulla base della sua proposta».
Capitolo VII
Le Opere di Urbanizzazione a scomputo
dopo le modifiche operate al Codice De Lise
dal d.lgs. 152/08
1. Nozione e disciplina giuridica nel tempo
Oggetto della modifica riguarda i lavori pubblici di opere di urbanizzazione a scomputo, cioè la possibilità per i titolari privati di un
permesso di costruire che a scomputo totale o parziale della contribuzione dovuta per il rilascio del permesso assumono l’obbligazione per
l’esecuzione delle opere di urbanizzazione1.
La legislazione in materia risale al 1977, con la legge 28 gennaio, n.
102, Norme per la edificabilità dei suoli. L’art. 10 disciplinava la “Concessione relativa ad opere o impianti non destinati alla residenza” e
stabiliva che:
[La concessione relativa a costruzioni o impianti destinati ad attività industriali o artigianali dirette alla trasformazione di beni ed alla presentazione di
servizi comporta la corresponsione di un contributo pari alla incidenza delle
opere di urbanizzazione, di quelle necessarie al trattamento e allo smaltimento dei rifiuti solidi, liquidi e gassosi e di quelle necessarie alla sistemazione
dei luoghi ove ne siano alterate le caratteristiche. La incidenza di tali opere è
1.
Per quanto qui trattato, Cfr. A. Cancrini, P. Piselli, V. Capuzza, La nuova legge degli
appalti pubblici. Commentario al codice dei contratti pubblici, op. cit.
2.
In Gazz. Uff., 29 gennaio, n. 27.
289
290
Capitolo VII
stabilita con deliberazione del consiglio comunale in base a parametri che la
regione definisce con i criteri di cui alle lettere a) e b) del precedente art. 5,
nonché in relazione ai tipi di attività produttiva.
La concessione relativa a costruzioni o impianti destinati ad attività turistiche, commerciali e direzionali comporta la corresponsione di un contributo
pari all’incidenza delle opere di urbanizzazione, determinata ai sensi del precedente articolo 5, nonché una quota non superiore al 10 per cento del costo
documentato di costruzione da stabilirsi, in relazione ai diversi tipi di attività,
con deliberazione del consiglio comunale.
Qualora la destinazione d’uso delle opere indicate nei commi precedenti,
nonché di quelle nelle zone agricole previste dal precedente articolo 9, venga
comunque modificata nei dieci anni successivi all’ultimazione dei lavori, il
contributo per la concessione è dovuto nella misura massima corrispondente
alla nuova destinazione, determinata con riferimento al momento della intervenuta variazione].
L’articolo è stato poi abrogato dall’art. 136, comma 2, d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380, a decorrere dal 30 giugno 2003, ai sensi dell’art. 3,
d.l. 20 giugno 2002, n. 122, conv., con modificazioni, in l. 1° agosto
2002, n. 185.
Il Decreto n. 380/013, “Testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia edilizia”, a sua volta nell’art. 16 (inserito nella Parte I Attività edilizia, Titolo II Titoli abilitativi, Capo II Permesso
di costruire, sez. II Contributo di costruzione), all’articolo 16 «Contributo per il rilascio del permesso di costruire» stabilisce che:
1. salvo quanto disposto dall’articolo 17, comma 3, il rilascio del permesso
di costruire comporta la corresponsione di un contributo commisurato
all’incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione, secondo le modalità indicate nel presente articolo;
2. la quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione è corrisposta
al comune all’atto del rilascio del permesso di costruire e, su richiesta
dell’interessato, può essere rateizzata. A scomputo totale o parziale della
quota dovuta, il titolare del permesso può obbligarsi a realizzare direttamente le opere di urbanizzazione, nel rispetto dell’articolo 2, comma 5,
3.
in Suppl. ordinario n. 239 alla Gazz. Uff., 20 ottobre, n. 245.
Le Opere di Urbanizzazione
3.
4.
5.
6.
7.
8.
291
della legge 11 febbraio 1994, n. 109, e successive modificazioni, con le
modalità e le garanzie stabilite dal comune, con conseguente acquisizione
delle opere realizzate al patrimonio indisponibile del comune (Lettera
integrata dall’articolo 1 del d.lgs. 27 dicembre 2002, n. 301);
la quota di contributo relativa al costo di costruzione, determinata all’atto
del rilascio, è corrisposta in corso d’opera, con le modalità e le garanzie
stabilite dal comune, non oltre sessanta giorni dalla ultimazione della costruzione;
l’incidenza degli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria è stabilita
con deliberazione del consiglio comunale in base alle tabelle parametriche che la regione definisce per classi di comuni in relazione:
a) all’ampiezza ed all’andamento demografico dei comuni;
b) alle caratteristiche geografiche dei comuni;
c) alle destinazioni di zona previste negli strumenti urbanistici vigenti;
d) ai limiti e rapporti minimi inderogabili fissati in applicazione dall’articolo 41–quinquies, penultimo e ultimo comma, della legge 17 agosto
1942, n. 1150, e successive modifiche e integrazioni, nonché delle leggi regionali.
nel caso di mancata definizione delle tabelle parametriche da parte della
regione e fino alla definizione delle tabelle stesse, i comuni provvedono,
in via provvisoria, con deliberazione del consiglio comunale;
ogni cinque anni i comuni provvedono ad aggiornare gli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, in conformità alle relative disposizioni
regionali, in relazione ai riscontri e prevedibili costi delle opere di urbanizzazione primaria, secondaria e generale.
gli oneri di urbanizzazione primaria sono relativi ai seguenti interventi:
strade residenziali, spazi di sosta o di parcheggio, fognature, rete idrica,
rete di distribuzione dell’energia elettrica e del gas, pubblica illuminazione, spazi di verde attrezzato;
7–bis. Tra gli interventi di urbanizzazione primaria di cui al comma 7
rientrano i cavedi multiservizi e i cavidotti per il passaggio di reti di telecomunicazioni, salvo nelle aree individuate dai comuni sulla base dei
criteri definiti dalle regioni. (Comma aggiunto dall’articolo 40 della legge
1° agosto 2002, n. 166)
gli oneri di urbanizzazione secondaria sono relativi ai seguenti interventi:
asili nido e scuole materne, scuole dell’obbligo nonché strutture e complessi per l’istruzione superiore all’obbligo, mercati di quartiere, delegazioni comunali, chiese e altri edifici religiosi, impianti sportivi di quartiere, aree verdi di quartiere, centri sociali e attrezzature culturali e sanitarie.
292
Capitolo VII
Nelle attrezzature sanitarie sono ricomprese le opere, le costruzioni e gli
impianti destinati allo smaltimento, al riciclaggio o alla distruzione dei
rifiuti urbani, speciali, pericolosi, solidi e liquidi, alla bonifica di aree inquinate;
9. il costo di costruzione per i nuovi edifici è determinato periodicamente
dalle regioni con riferimento ai costi massimi ammissibili per l’edilizia
agevolata, definiti dalle stesse regioni a norma della lettera g) del primo
comma dell’articolo 4 della legge 5 agosto 1978, n. 457. Con lo stesso
provvedimento le regioni identificano classi di edifici con caratteristiche superiori a quelle considerate nelle vigenti disposizioni di legge per
l’edilizia agevolata, per le quali sono determinate maggiorazioni del detto costo di costruzione in misura non superiore al 50 per cento. Nei
periodi intercorrenti tra le determinazioni regionali, ovvero in eventuale
assenza di tali determinazioni, il costo di costruzione è adeguato annualmente, ed autonomamente, in ragione dell’intervenuta variazione
dei costi di costruzione accertata dall’Istituto nazionale di statistica
(ISTAT). Il contributo afferente al permesso di costruire comprende
una quota di detto costo, variabile dal 5 per cento al 20 per cento, che
viene determinata dalle regioni in funzione delle caratteristiche e delle
tipologie delle costruzioni e della loro destinazione ed ubicazione;
10.nel caso di interventi su edifici esistenti il costo di costruzione è determinato in relazione al costo degli interventi stessi, così come individuati dal comune in base ai progetti presentati per ottenere il permesso
di costruire. Al fine di incentivare il recupero del patrimonio edilizio
esistente, per gli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all’articolo
3, comma 1, lettera d), i comuni hanno comunque la facoltà di deliberare che i costi di costruzione ad essi relativi non superino i valori
determinati per le nuove costruzioni ai sensi del comma 6 (Vedi deroga
di cui all’articolo unico dell’ordinanza 13 dicembre 2005).
Da tali previsioni normative era evidente che il privato soggetto titolare del permesso di costruire poteva eseguire direttamente le opere
di urbanizzazione a scomputo del contributo.
Sul punto e al fine di sottoporre tale esecuzione alle regole dell’evidenza pubblica, si già era pronunciata la Corte di Giustizia CE – Sez.
VI, il 12 luglio 2001, nella Causa C – 399/1998 avente ad oggetto
la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma
dell’art. 177 del Trattato CE (divenuto art. 234 CE), dal Tribunale
Le Opere di Urbanizzazione
293
amministrativo regionale per la Lombardia nella causa dinanzi ad esso
pendente tra Ordine degli Architetti delle Province di Milano e Lodi,
e il Comune di Milano; domanda vertente sull’interpretazione della
direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/37/CEE, che coordina le
procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori (GU L
199, p. 54).
Occorre ripercorrere l’iter di quella sentenza innovativa in materia
di opere d’urbanizzazione.
La Corte, dopo aver precisato in particolare che la suddetta direttiva, aveva disposto che:
a) le “attività di cui all’allegato II”, menzionate all’art. 1, lett. a),
della direttiva, sono le attività di edilizia e di genio civile corrispondenti alla classe 50 della nomenclatura generale delle
attività economiche nelle Comunità europee (in prosieguo: la
“NACE”). Nel novero di tali attività compare espressamente la
categoria relativa alla costruzione di immobili;
b)gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché i concessionari di lavori pubblici, diversi dalle amministrazioni aggiudicatrici, applichino le regole di pubblicità definite all’articolo
11, paragrafi 4, 6, 7 e da 9 a 13 ed all’articolo 16, per gli appalti
che essi concludono con terzi, se il valore di tali appalti è pari o
superiore alla soglia comunitaria;
c) per quanto riguarda le procedure di attribuzione degli appalti
pubblici di lavori, l’art. 7 della direttiva stabilisce, ai nn. 2 e 3,
i casi in cui le amministrazioni aggiudicatrici possono ricorrere
alla procedura negoziata;
d)in tutti gli altri casi, le amministrazioni aggiudicatrici attribuiscono gli appalti di lavori mediante la procedura aperta o la procedura ristretta.
e che nella normativa italiana in materia urbanistica:
a) L’attività edificatoria è soggetta al controllo delle pubbliche autorità. Ai sensi dell’art. 1 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, «[o]
294
Capitolo VII
gni attività comportante trasformazione urbanistica ed edilizia
del territorio comunale partecipa agli oneri ad essa relativi e la
esecuzione delle opere è subordinata a concessione da parte del
sindaco».
b)Ai sensi dell’art. 3 della medesima legge, intitolato “Contributo
per il rilascio della concessione”, “[l]a concessione comporta
la corresponsione di un contributo commisurato all’incidenza
delle spese di urbanizzazione nonché al costo di costruzione”
(in prosieguo: il “contributo per gli oneri di urbanizzazione”).
Il contributo per gli oneri di urbanizzazione viene corrisposto al
Comune all’atto del rilascio della concessione. Tuttavia, ai sensi
dell’art. 11, primo comma, della legge 10/77, “a scomputo totale
o parziale della quota dovuta, il concessionario può obbligarsi a
realizzare direttamente le opere di urbanizzazione con le modalità e le garanzie stabilite dal Comune”.
c) A norma dell’art. 4, primo comma, della legge 29 settembre
1964, n. 847, intitolata Autorizzazione ai Comuni e loro consorzi
a contrarre mutui per l’acquisizione delle aree ai sensi della legge
18 aprile 1962, n. 167, come modificata dall’art. 44 della legge
22 gennaio 1971, n. 865, e dall’art. 17 della legge 11 marzo 1988,
n. 67 (in prosieguo: la “legge 847/64”), costituiscono opere di
urbanizzazione primaria le strade residenziali, gli spazi di sosta
o di parcheggio, le fognature, le reti idriche, le reti di distribuzione dell’energia elettrica e del gas, l’illuminazione pubblica,
nonché gli spazi di verde attrezzato. A norma dell’art. 4, secondo comma, della medesima legge, costituiscono opere di urbanizzazione secondaria gli asili nido e le scuole materne, le scuole
dell’obbligo nonché le strutture e i complessi per l’istruzione
superiore all’obbligo, i mercati di quartiere, le delegazioni comunali, le chiese e gli altri edifici religiosi, gli impianti sportivi
di quartiere, i centri sociali e le attrezzature culturali e sanitarie,
nonché le aree verdi di quartiere.
d)Per quanto più specificamente attiene alla realizzazione coordinata di un complesso di opere mediante un piano di lottizza-
Le Opere di Urbanizzazione
295
zione, ipotesi questa corrispondente alla fattispecie della causa
principale portata all’attenzione della Corte di Giustizia, l’art.
28, quinto comma, della legge 1150/42 prevede a questo proposito: «L’autorizzazione comunale è subordinata alla stipula di
una convenzione, da trascriversi a cura del proprietario, che preveda:
1)[…] omissis […] la cessione gratuita delle aree necessarie per
le opere di urbanizzazione secondaria nei limiti di cui al successivo n. 2;
2)l’assunzione, a carico del proprietario, degli oneri relativi alle
opere di urbanizzazione primaria e di una quota parte delle
opere di urbanizzazione secondaria relative alla lottizzazione
o di quelle opere che siano necessarie per allacciare la zona ai
pubblici servizi; la quota è determinata in proporzione all’entità e alle caratteristiche degli insediamenti delle lottizzazioni;
3)i termini non superiori ai dieci anni entro i quali deve essere
ultimata la esecuzione delle opere di cui al precedente paragrafo;
[…] omissis […]
L’art. 28, nono comma, della medesima legge stabilisce che «[i]l
termine per l’esecuzione di opere di urbanizzazione poste a carico del
proprietario è stabilito in dieci anni».
Ciò premesso, la Corte con stringente logica verifica se la realizzazione diretta di un’opera di urbanizzazione costituisca un appalto
pubblico di lavori ai sensi dell’art. 1, lett. a), della direttiva; l’analisi la
svolge
Quanto all’elemento relativo alla qualità di amministrazione aggiudicatrice, quanto all’elemento relativo all’esistenza di un contratto, quanto
all’elemento relativo al carattere oneroso del contratto, quanto all’elemento relativo alla qualità di imprenditore, e dichiarando infine che:
296
Capitolo VII
La direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/37/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, osta ad una normativa nazionale in materia urbanistica che, al di fuori delle procedure previste
da tale direttiva, consenta al titolare di una concessione edilizia o di un piano
di lottizzazione approvato la realizzazione diretta di un’opera di urbanizzazione a scomputo totale o parziale del contributo dovuto per il rilascio della
concessione, nel caso in cui il valore di tale opera eguagli o superi la soglia
fissata dalla direttiva di cui trattasi.
2. Il quadro giuridico nel d.lgs. 163/06 alla luce degli interventi correttivi
Non poteva non avere effetto nel nostro ordinamento un pronunciamento di tale portata; infatti, conseguentemente a tale pronuncia, l’art. 2, comma 5 della l. 109/94 veniva così modificato dalla l.
166/2002:
Le disposizioni della presente legge non si applicano agli interventi eseguiti
direttamente dai privati a scomputo di contributi connessi ad atti abilitanti
all’attività edilizia o conseguenti agli obblighi di cui al quinto comma dell’articolo 28 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modificazioni, o di
quanto agli interventi assimilabile; per le singole opere d’importo superiore
alla soglia comunitaria i soggetti privati sono tenuti ad affidare le stesse nel
rispetto delle procedure di gara previste dalla citata direttiva 93/37/CEE.
In altri termini, il soggetto titolare del permesso di costruire che
avesse assunto direttamente l’obbligo di realizzare opere d’urbanizzazione, avrebbe dovuto affidare a terzi, mediante evidenza pubblica
(ma se il privato avesse potuto esperire la gara era dibattuto), le opere
d’urbanizzazione solamente nell’ipotesi di importi superiori alla soglia
comunitaria. Rimaneva il problema del sotto soglia comunitario e cioè
dell’affidamento diretto senza evidenza pubblica delle relative opere
d’urbanizzazione.
Il Codice De Lise, fino alle modifiche innovative operate dal terzo
decreto correttivo, non aveva risolto la questione e lasciava pressoché
Le Opere di Urbanizzazione
297
inalterato il precetto base della legge Merloni nella lett. g) del comma
1 dell’art. 32.
Inoltre, il Codice aveva positivizzato l’applicazione in tale materia
dell’istituto del project financing; vediamo lo schema che vigeva: il soggetto privato titolare del permesso di costruire rivestiva la qualifica di
promotore e aveva, al termine della gara bandita dall’amministrazione,
il relativo diritto di prelazione per l’affidamento dell’opera medesima.
Con il d.lgs. 113/07 il diritto di prelazione, come è noto, scomparve
dalla norma.
Per il sotto–soglia invece il quadro era frazionato: l’art. 122 disegnava la relativa disciplina. Per le opere di urbanizzazione primaria
(di cui ai commi 7 e 7–bis dell’art. 16 del d.lgs. 378/01 erano affidabili
direttamente da parte del soggetto privato titolate del permesso di
costruire4, mentre per le opere di urbanizzazione secondaria di cui al
comma 8 dell’art. 16 dello stesso decreto legislativo n. 378 vigeva il
rispetto generale dei principi concorrenziali.
Il problema per le opere di urbanizzazione primaria di importo
inferiore alla soglia comunitaria, nonostante il II Decreto correttivo
dell’agosto 2007, era rimasto vivo e la prevista derogabilità delle regole della concorrenza comunque era già stata oggetto di un’ulteriore
pronunzia della Corte di Giustizia CE, oltre che di segnalazioni in
senso contrario da parte della dottrina.
In particolare, i giudici europei nella Sentenza 21 febbraio 2008
nella causa C–412/04 avevano evidenziato che:
La Commissione sostiene, da un lato, che le disposizioni della legge 109/1994,
in combinato disposto con le disposizioni pertinenti delle leggi n. 1150/1942
e n. 10/1977, consentono l’affidamento diretto dei lavori o di un’opera che
costituiscono appalti pubblici di lavori ai sensi dell’art. 1, lett. a), della direttiva 93/37 al titolare di una convenzione edilizia o di un piano di lottizzazione approvato, senza garantire, con disposizioni esplicite, l’applicazione dei
principi di trasparenza e di parità di trattamento sanciti dal Trattato CE, che
4.
cfr. art. 122, comma 8 del Codice – ante III Decreto correttivo —, che fa espresso
riferimento alle opere di urbanizzazione primaria.
298
Capitolo VII
devono essere rispettati anche se l’importo valutato è inferiore alla soglia di
applicazione di tale direttiva (punto56). […] Secondo la Repubblica italiana,
per quanto riguarda, in primo luogo, le opere di urbanizzazione di un valore
inferiore alla soglia di applicazione della normativa comunitaria e eseguite
dal titolare di una concessione edilizia o di un piano di lottizzazione approvato, non è necessario, nella fase del recepimento, richiamare specificamente
le norme del Trattato in materia di pubblicità e di concorrenza nonché le
relative interpretazioni giurisprudenziali della Corte (punto 58). […]70 In
secondo luogo, riguardo al campo di applicazione dell’art. 2, comma 5, della
legge 109/1994, in relazione a quanto disposto dalla direttiva 93/37, occorre
anzitutto ricordare che, secondo la giurisprudenza della Corte, il fatto che
una disposizione di diritto nazionale che prevede la realizzazione diretta di
un’opera di urbanizzazione da parte del titolare di una concessione edilizia o
di un piano di lottizzazione approvato, a scomputo totale o parziale del contributo dovuto per il rilascio della concessione, faccia parte di un complesso
di norme in materia urbanistica dotate di caratteristiche proprie e dirette al
raggiungimento di specifici obiettivi, distinti da quelli della direttiva 93/37,
non è sufficiente a escludere la realizzazione diretta dall’ambito di applicazione di quest’ultima, qualora risultino soddisfatti tutti gli elementi necessari
affinché essa vi rientri (v. sentenza Ordine degli Architetti e a., cit., punto
66).
71. Questa realizzazione deve pertanto essere assoggettata alle procedure previste dalla direttiva 93/37 allorché soddisfa le condizioni indicate da
quest’ultima perché sussista un appalto pubblico di lavori e, in particolare,
allorché è presente l’elemento contrattuale richiesto dall’art. 1, lett. a), di tale
direttiva e il valore dell’opera è pari o superiore alla soglia fissata all’art. 6, n.
1, della stessa.
72. Inoltre, dall’art. 6, n. 3, della direttiva 93/37 risulta che, quando un’opera
è ripartita in più lotti ciascuno dei quali forma l’oggetto di un appalto, deve
essere preso in considerazione il valore di ciascun lotto per valutare l’importo
di cui al n. 1 dello stesso articolo, che determinerà se tale direttiva si applichi
o meno a tutti i lotti. Peraltro, in applicazione dell’art. 6, n. 4, della stessa,
nessuna opera e nessun appalto possono essere scissi al fine di sottrarsi all’applicazione della direttiva 93/37.
73. Di conseguenza, come ha rilevato l’avvocato generale al paragrafo 88
delle sue conclusioni, qualora la convenzione stipulata tra un singolo, proprietario di suoli edificatori, e l’amministrazione comunale risponda ai
criteri di definizione della nozione di «appalti pubblici di lavori» ai sensi
dell’art. 1, lett. a), della direttiva 93/37, richiamati al punto 45 della presen-
Le Opere di Urbanizzazione
299
te sentenza, l’importo di stima che in via di principio deve essere preso in
considerazione al fine di verificare se la soglia stabilita da tale direttiva sia
raggiunta, e se, di conseguenza, l’attribuzione dell’appalto debba rispettare
le norme di pubblicità poste dalla stessa, può essere determinato solo in
relazione al valore globale dei differenti lavori ed opere, sommando i valori
dei differenti lotti.
74. Prevedendo una procedura di attribuzione conforme a quanto disposto dalla direttiva 93/37 unicamente nell’ipotesi in cui l’importo di stima
di ciascuno di questi lotti, considerato individualmente, supera la soglia
di applicazione della stessa, la normativa italiana è incompatibile con tale
direttiva.
75. Da quanto precede risulta che l’art. 2, comma 5, della legge 109/1994
viola le disposizioni della direttiva 93/37 limitando indebitamente il ricorso
alle procedure che questa istituisce.
Lungo tale linea interpretativa, il 1° febbraio 2008 la Commissione
UE, avviata la procedura di infrazione comunitaria n. 2007/2309 con
la lettera di messa in mora indirizzata all’Italia relativamente ai profili
di incompatibilità del d.lgs. 163/06 con le Direttive 18 e 17/2004, a p.
12 evidenziava nel Codice (secondo la versione operata dal II Decreto
correttivo) le seguenti censure:
a) la lett. g) del comma 1 dell’art. 32 permette al titolare del permesso di costruire di presentare una proposta per la realizzazione di tali opere in qualità di promotore; alla luce di ciò l’amministrazione che rilascia il permesso bandisce una gara sulla
base della proposta pervenuta. In quella gara il promotore ha il
beneficio della prelazione, potendo perciò aggiudicarsi l’appalto a fronte della corresponsione del 3% del valore dell’appalto
stesso al precedente aggiudicatario;
b)a fronte di tali previsioni nazionali, la Commissione ha fatto presente che tali regole applicabili alle opere di urbanizzazione a
scomputo non sono armoniche con la costante giurisprudenza
comunitari esistente in materia, specialmente nella conferma del
diritto di prelazione.
300
Capitolo VII
Il Consiglio di Stato–Sezione consultiva per gli atti normativi,
nel parere reso nell’Adunanza del 14 luglio 2008, prot. 2357/08, ha
espresso la seguente considerazione:
2.1. La modifica f) riguarda l’articolo 32, comma 1, lettera g) ed è tesa a recepire
le osservazioni della Commissione europea relativamente alla realizzazione di
opere di urbanizzazione a scomputo. Secondo la Commissione l’articolo attualmente in vigore risulta in contrasto con le regole di cui alla direttiva 2004/18/
CE, laddove viene conservato il diritto di prelazione in favore del promotore
individuato unicamente il titolare del permesso di costruire. La Sezione osserva
che la modifica proposta è conforme ai principi comunitari e quindi va condivisa. Tuttavia, come osserva anche la Conferenza unificata, non sembra corretto
il riferimento alla figura del promotore, in quanto la fattispecie non riguarda il
contratto di concessione di lavori. Anzi le opere di urbanizzazione sono interamente finanziate mediante gli oneri di concessione non corrisposti dal titolare
del permesso di costruire; e quindi in sostanza con risorse pubbliche. Sicché il
richiamo all’articolo 153 del Codice non appare pertinente. Quindi l’indizione
della gara da parte dell’amministrazione deve avvenire con le modalità previste
dall’articolo 55 del Codice medesimo. Inoltre sembra maggiormente aderente
allo spirito della normativa comunitaria e alla logica di questo istituto il ricorso
all’appalto di progettazione e esecuzione.
In armonia con quanto riconosciuto a livello Comunitario, dal parere del Consiglio di Stato e dal parere dell’VIII Commissione Senato
(29 luglio 2008), il III Decreto correttivo ha operato in due sensi:
a) per gli importi sopra–soglia, ha finalmente abrogato il diritto di
prelazione dall’art. 32, comma 1 lett. g);
b)per gli importi sotto–soglia:
– ha riformulato il comma 8 dell’art. 122, prevedendo per l’affidamento delle opere d’urbanizzazione l’applicazione delle
regole della gara informale già previste dall’art. 57 del Codice
(c.d. gara a cinque);
– ha tolto il riferimento alle sole opere di urbanizzazione primaria, disciplinando così congiuntamente anche le opere di
urbanizzazione primaria e secondaria.
Le Opere di Urbanizzazione
301
Una questione rimane comunque aperta: la terza novella al Codice
ha, antiteticamente e contravvenendo alle regole comunitarie, reinserito nell’istituto del project financing il diritto di prelazione del promotore finanziario (vedi commento all’art. 153).
Così, la materia che ricade sotto le previsione dell’art. 32, comma
1 lett. g) se poteva finalmente trovare completa coerenza normativa,
così vede ancora una volta una nuova contraddizione nel sistema, che
dovrà essere sistemata.
In ultimo, se non si interverrà prima nell’ambito nazionale (di certo non più mediante la legge delega, ormai caduta sotto il segno del
tempo), ci penserà l’Unione Europea a dettare per l’ennesima volta la
giusta regola.
3. Problematiche interpretative ed applicative dopo le modifiche
operate dal III Decreto correttivo
Alla luce di tutto questo, il tema merita un’ulteriore e approfondita
analisi; in tal senso, appare utile inquadrare ancora meglio le principali caratteristiche — di cui in parte fin qui s’è detto — della normativa
susseguitasi nel tempo, dalla prima versione dell’art. 32 del Codice De
Lise a quella oggi operata dal d.lgs. 152/08.
La prima formulazione della lett. g) del comma 1 dell’art. 32 (dal
1° luglio 2006) stabiliva che «all’esito della gara bandita dal promotore sulla baase della progettazione» preliminare presentata all’amministrazione che rilascia il permesso di costruire, «il promotore può
esercitare, purché espressamente previsto nel bando di gara, il diritto
di prelazione nei confronti dell’aggiudicatario».
Per il sotto–soglia l’art. 122 comma 8 prevedeva la non applicazione dell’art. 32 alle opere di urbanizzazione primaria; per quelle opere
di urbanizzazione secondaria vigeva la norma transitoria ex art. 253,
comma 8 del Codice.
Dal 1° agosto 2007, in forza del d.lgs. 113/07, la lett. g) dell’art. 32
veniva modificata in tal senso:
302
Capitolo VII
– il riconoscimento all’amministrazione titolare del rilascio del
permesso di costruire, e non più al promotore privato, di bandire la gara sulla base della progettazione preliminare presentata
da quest’ultimo;
– per il promotore titolare del permesso di costruire vigeva l’obbligo del possesso dei relativi requisiti di qualificazione previsti
e disciplinato dall’art. 40 del Codice.
Per il sotto–soglia il II Correttivo aveva modificato il comma 8 dell’art. 122: le opere di urbanizzazione primaria possono anche essere
solo funzionalmente connesse allo stesso intervento edilizio.
Il d.lgs. 152/08 rinnova sostanzialmente il quadro della disciplina.
a) abroga la figura del promotore per il titolare del permesso di
costruire;
b)viene abrogato il diritto di prelazione per l’autore del progetto
preliminare;
c) l’amministrazione indice una procedura aperta o ristretta, ponendo a base di gara la progettazione preliminare (presentato
già da chi ha diritto di chiedere il permesso di costruire, assieme
a tale richiesta);
d) la gara si svolge con la presentazione da parte dei concorrenti del
progetto definitivo in sede di offerta e con la presentazione dell’esecutivo (come oggetto del contratto) unicamente dall’aggiudicatario;
e) il titolare del permesso di costruire, abrogata la prelazione, può
solo partecipare alla gara d’appalto.
Non v’è dubbio alcuno che la procedura di gara prevista dalla
nuova formulazione della lett. g) del comma 1 dell’art. 32 del
Codice sia la medesima procedura delineata dall’art. 53, comma 2 lett. c): il c.d. appalto integrato misto (o complesso), la
cui operatività, però, per i lavori nei settori ordinari di qualsiasi
importo è stata sospesa — ex art. 253 comma 1–quinquies —
fino all’entrata in vigore del nuovo regolamento ex art. 5 (vedi i
commenti all’art. 53 e all’art. 253).
Le Opere di Urbanizzazione
303
Come è stato efficacemente rappresentato da Roberto Travaglini5:
L’appalto integrato introdotto dal terzo Decreto correttivo per l’affidamento
delle opere di urbanizzazione “a scomputo” d’importo superiore alla soglia
comunitaria è soggetto al medesimo differimento temporale che riguarda in
via generale tutto l’istituto?
La risposta affermativa sembra preferibile, anche se sul punto la nuova disposizione non è affatto chiara, non avendo operato un esplicito richiamo all’art.
53, comma 2 (che avrebbe, ovviamente, comportato il pacifico differimento
della sua applicazione), ma avendone solo parafrasato il contenuto.
Ne dovrebbe conseguire che, fino all’entrata in vigore del regolamento attuativo del Codice, l’affidamento delle opere di urbanizzazione mediante
gara esperita dal Comune sulla base del progetto preliminare presentato
dall’avente diritto al rilascio del permesso di costruire debba avvenire con la
procedura dell’appalto concorso (ex art. 253, comma 1–quinquies, secondo
periodo, inserito dall’art. 2, comma 1, lett. vv), n. 1, del terzo Decreto correttivo, codificando l’indirizzo interpretativo elaborato dalla Presidenza del
Consiglio dei Ministri–Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi, prot.
n. 15.3.16/2007/5, del 24 settembre 2007, in vigenza del secondo Decreto
correttivo). Non sembra, infatti, possibile applicare nel caso di specie l’art.
19, comma 1, lett. b), unitamente al comma 1–ter, della legge 109/1994 e
s.m., in quanto detta norma — che disciplinava nella legge Quadro sui lavori
pubblici l’appalto integrato — presuppone che la gara venga indetta ponendo a base un progetto definitivo, mentre l’art. 32, comma 1, lett. g), del d.lgs.
163/2006 configura una gara basata sul solo progetto preliminare presentato
al Comune dall’avente diritto al rilascio del permesso di costruire.
Ma stante la sospensione dell’appalto integrato misto, in relazione
alla soluzione proposta di applicabilità in tale ambito dell’appalto–
concorso, andrebbe considerato anche un ulteriore aspetto più rigorista, che mostra tutto il limite dell’odierna disposizione normativa: la
lettera della legge sembra “vincolare” la procedura allo schema dell’appalto integrato “misto” e non lascia spazio ad altre applicazioni.
5.
R. Travaglini, relazione “Le opere di urbanizzazione a scomputo alla luce del terzo
Decreto correttivo del Codice dei contratti pubblici”, 2008, p. 4, nt. 4. Sulle altre considerazioni
che seguono cfr. A. Cancrini, P. Piselli, V. Capuzza, La nuova legge, op. cit., sub commento
all’art. 32.
304
Capitolo VII
Ne consegue, che l’appalto concorso, ben applicabile ad altre tipologie
di appalti, nell’ambito della lett. g) dell’art. 32 non trovi spazi positivi,
essendo nella norma de qua stabilito che i concorrenti presentino un
progetto definitivo come offerta e che l’aggiudicatario abbia come obbligazioni sia le lavorazioni che la presentazione dell’esecutivo, mentre l’appalto–concorso porta al contratto inquadrabile nella lett. a) del
comma 2 dell’art. 53 avente l’oggetto, cioè, di sola esecuzione lavori.
Potrebbe concludersi, in modo alquanto rigoroso e paradossale per i
risolti che avrebbe nella prassi, che allo stato e fino all’entrata in vigore del nuovo regolamento si possano applicare le altre due tipologie di
procedure deducibili dall’attuale formulazione della norma contenuta
nell’art. 32, c. 1 lett. g) dopo il III Correttivo.
E qui si apre lo scenario ad un delicato e attualissimo problema
vivo tra operatori nel sistema della contrattualistica pubblica.
Come autorevolmente evidenziato da R. Travaglini nella citata relazione6, dalla collocazione della previsione contenuta nella lett. g)
nell’art. 32, che è rubricato come “Amministrazioni aggiudicatrici e
altri soggetti aggiudicatori”, si può dedurre che i soggetti privati titolari del permesso di costruire che assumono in via diretta l’esecuzione
delle opere di urbanizzazione siano proprio gli “altri soggetti aggiudicatori” (ex art. 3, comma 31).
Dopo una verifica sintattica della norma in esame, Travaglini afferma conclusivamente che:
Pertanto, dal primo periodo dell’art. 32, comma 1, lett. g), si può ricavare
una titolarità “diretta” della funzione di stazione appaltante in capo al privato titolare del permesso di costruire (ovvero titolare del piano di lottizzazione
o di altro strumento urbanistico attuativo contemplante l’esecuzione di opere di urbanizzazione), in tal modo disattendendo l’interpretazione più diffusa
in proposito, che vede in tale privato la veste di “mandatario” del Comune
e, in quanto tale, tenuto ad applicarne le regole di condotta nell’affidamento
dei lavori pubblici.
6.
R. Travaglini, relazione Le opere di urbanizzazione a scomputo alla luce del terzo
Decreto correttivo del Codice dei contratti pubblici, 2008, pp. 26 e ss.
Le Opere di Urbanizzazione
305
Tesi, quella del privato titolare di un mandato espresso conferitogli dall’amministrazione comunale, che come si è visto nei paragrafi precedenti ha preso
avvio con la sentenza della Corte di Giustizia 12 luglio 2001, causa C–399/98,
è stata ripresa dalla Corte costituzionale (sentenze 28 marzo 2006, n. 129 e
13 luglio 2007, n. 269) ed è stata impiegata dall’Autorità per la vigilanza sui
contratti pubblici nella determinazione 2 aprile 2008, n. 47.
La teoria del mandato espresso conferito al privato dall’amministrazione comunale non è stata però accettata di recente in
una circolare dall’Assessorato all’Urbanistica e alla programmazione e pianificazione del territorio del Comunq di Roma, datata
1° luglio 2008 avente prot. n. 14640, ove, a p. 3, si afferma che,
in relazione al privato in prima persona stazione appaltante:
Si è affacciata talvolta la tesi per cui il privato stesso andrebbe considerato come
mandatario dell’Amministrazione […]. L’opinione tuttavia non tiene conto del
fatto che l’art. 33 del codice dei contratti […] vieta espressamente l’affidamento a terzi (c.d. “concessione di committenza”) delle funzioni di stazione appaltante, nonché del fatto che è la legge ad individuare l’esecutore delle opere a
scomputo quale diretto destinatario […] della normativa sulle gare.
Sembra quindi più corretto ritenere che non vi sia nella fattispecie un’attività
svolta in nome e per conto, né solamente per conto, della amministrazione
pubblica, e che il titolare del permesso di costruire, debitore in via alternativa
della prestazione di urbanizzazione, allorché scelga l’esecuzione diretta delle
opere, sia titolare in via propria della veste di stazione appaltante, con tutti i
riflessi che ne derivano sul piano del riparto delle funzioni e delle responsabilità con l’Amministrazione comunale.
Oltre all’ipotesi del privato che agisce come stazione appaltante,
altre due sono le procedure alternative in materia di opere d’urbanizzazione a scomputo.
Dal capoverso della lett. g) dell’art. 32 viene prevista la procedura di
cui s’è detto: presentazione del privato titolare del permesso di costruire,
del progetto preliminare all’amministrazione; gara indetta dall’amministrazione con la procedura di scelta dell’appalto integrato “misto”.
7.
R. Travaglini, relazione Le opere di urbanizzazione a scomputo alla luce del terzo
Decreto correttivo del Codice dei contratti pubblici, 2008, pp. 27.
306
Capitolo VII
La terza procedura non è prevista nell’art. 32 del Codice: si tratta
di una gara ad evidenza pubblica secondo le regole del Codice De
Lise (ma non quelle dell’art. 32, c. 1 lett. g), che l’amministrazione
comunque può esperire sulla base della progettazione preliminare
predisposta da essa stessa.
Per le ultime due ipotesi, il titolare del permesso deve comunque
possedere i requisiti ex art. 40.
Per la prima ipotesi, la gara esperita dallo stesso soggetto titolare del permesso deve seguire le regole del Codice, tranne le norme
espressamente indicate nel comma 2 dell’art. 32.
Per il sotto–soglia, il d.lgs. 122, comma 8, come si è visto poco sopra nel commento, il d.lgs. 152/08 ha esteso il riferimento normativo
anche alle opere di urbanizzazione secondaria e per entrambe le opere
(sia primarie che secondarie) non prevede più la possibilità di un affidamento diretto, bensì un affidamento solo mediante procedura negoziata senza la prevista pubblicazione del bando (art. 57, comma 6).
Appare logico concludere che le due ipotesi procedurali contenute
nella formulazione della lett. g) dell’art. 32, co. 1, (cioè la gara indetta
dal titolare del permesso di costruire che opera come stazione appaltante e l’amministrazione stessa che cura l’affidamento) se riferite a
lavori sotto–soglia devono indistintamente seguire le regole della gara
informale secondo le previsioni della procedura negoziata.
Ma un dubbio rimane: quella del comma 8 dell’art. 122 non è forse
un’ipotesi di procedura negoziata non prevista nelle Direttive Comunitarie?
In tal senso, allora anche tale norma dovrebbe cade nella censura Europea, così come il reinserimento della prelazione nel project financing.
Capitolo VIII
Inquadramento della normativa antimafia
La disciplina contenuta nel d.p.r. 252/1998 riguarda la semplificazione dei procedimenti relativi al rilascio delle comunicazioni ed alle
informazioni antimafia1.
In particolare, la normativa disciplina le modalità con le quali le
pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici possono acquisire la documentazione circa la sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, divieto o sospensione di cui all’art. 10 della legge 31 maggio
1965 n. 575 e dei tentativi di infiltrazione mafiosa di cui all’art. 4 del
d.lgs. 490/94.
La documentazione richiesta per le società di capitali (dunque, anche delle società a responsabilità limitata) riguarda i soggetti indicati
nell’art. 2, comma 2 lett. b) del d.p.r. 252/98.
Il suddetto regolamento stabilisce nell’art. 3, comma 1, lett. b), che
la richiesta della documentazione anzidetta, che viene soddisfatta mediante comunicazione scritta della prefettura della provincia in cui
1.
Sul tema, cfr.: V. Capuzza, Figure di procedura penale, op. cit.; Id., Itinerari nella normativa antimafia per gli appalti pubblici. Autorizzazione al subappalto e attesa dell’informativa
prefettizia: silenzio assenso e questioni sulla proroga o sulla sospensione dei tempi; in ANIEM,
2009; Id., Itinerari nella normativa antimafia per gli appalti pubblici. Le esenzioni antimafia: la
questione dei subcontratti inferiori a 300 milioni di lire e i rapporti con la disciplina dei subappalti, di prossima pubblicazione in ANIEM; Id., Doveri dell’Amministrazione ed esenzioni nel
quadro normativo antimafia per gli appalti pubblici, in Una nuova pubblica amministrazione:
aspetti problematici e prospettive di riforma dell’attività contrattuale (a cura di C. Franceschini
e F. Tedeschini, Torino 2009.
307
308
Capitolo VIII
l’amministrazione richiedente ha sede, può essere inoltrata solamente
se «Il certificato rilasciato dalla camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura, è privo della dicitura antimafia di cui all’art. 9».
L’articolo 9, a sua volta, stabilisce che «Le certificazioni delle camere di commercio sono equiparate alle comunicazioni qualora riportino
in calce la seguente dicitura: “Nulla osta ai fini dell’articolo 10 della
legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni. La presente certificazione è emessa dalla C.C.I.A.A. utilizzando il collegamento telematico con il sistema informativo utilizzato dalla prefettura di
Roma”».
Infine, quando il certificato suddetto reca la dicitura antimafia,
l’art. 6 equipara a tutti gli effetti i certificati stessi con le comunicazioni delle prefetture:
1. Le certificazioni o attestazioni delle camere di commercio, industria e artigianato, d’ora in avanti indicate come camere di commercio, recanti la dicitura di cui all’articolo 9, sono equiparate, a tutti gli effetti, alle comunicazioni
delle prefetture che attestano l’insussistenza delle cause di decadenza, divieto
o sospensione di cui all’articolo 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575.
Tutto ciò considerato, va anche detto che le cd. Informazioni del
prefetto, regolate dai successivi artt. 10 e ss del d.p.r. 252/98, configurano un diverso istituto, mediante il quale è disposto chiaramente che
le amministrazioni devono acquisire le informazioni in oggetto prima
di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti; non va
omesso di precisare che, ai sensi dell’art. 10, comma 1, lett. a), b) e c),
vige tale dovere in capo all’amministrazione appaltante nei confronti
dell’aggiudicatario di una gara d’appalto, solamente quando il valore
dell’opera sia:
a) pari o superiore a quello determinato dalla legge in attuazione delle direttive comunitarie in materia di opere e lavori pubblici, servizi pubblici e
pubbliche forniture, indipendentemente dai casi di esclusione ivi indicati;
b) superiore a 300 milioni di lire per le concessioni di acque pubbliche o
di beni demaniali per lo svolgimento di attività imprenditoriali, ovvero
Inquadramento della normativa antimafia
309
per la concessione di contributi, finanziamenti e agevolazioni su mutuo o
altre erogazioni dello stesso tipo per lo svolgimento di attività imprenditoriali;
c) superiore a 300 milioni di lire per l’autorizzazione di subcontratti, cessioni o cottimi, concernenti la realizzazione di opere o lavori pubblici o la
prestazione di servizi o forniture pubbliche.
Pertanto, da un lato la comunicazione del prefetto può essere richiesta (tranne i casi di esenzione di cui all’art. 1, comma 2 del regolamento, ed i casi in cui si possa procedere all’autocertificazione)
solo quando i certificati della camera di commercio siano privi della
dicitura antimafia sopra riportata; fuori da tal caso, la richiesta di comunicazione prefettizia appare ictu oculi in contrasto con la ratio di
semplificazione che anima il d.p.r. 252/98 e configura un ingiustificato
aggravamento del procedimento, in contrasto perciò con l’art. 1, comma 2 della l. 241/90.
D’altro lato, il ricorso all’informazione del prefetto, assume la natura di obbligo di procedere che vige in capo all’amministrazione solo
se si configura una della condizioni stabilite nelle lettere a), b) e c)
dell’art. 10, comma 1 del d.p.r. 252/98.
Un richiamo: l’art. 49 del Codice, in riferimento all’avvalimento, al
comma 5 stabilisce che gli obblighi previsti dalla normativa antimafia
a carico del concorrente si applicano anche nei confronti del soggetto
ausiliario, in ragione dell’importo dell’appalto posto a base di gara.
Il comma 1 dell’artt. 10 del d.p.r. 252/98 espressamente prevede gli
effetti civilistici di nullità del contratto nel caso si proceda comunque
alla stipula del contratto pubblico in assenza di informativa antimafia
ovvero nei casi in cui con la stessa si sia accertata infiltrazione mafiosa
nell’impresa interessata (comma 2). Alla stessa stregua, la nullità sussisterebbe anche nelle ipotesi di stipulazione del contratto di subappalto
non autorizzato. Si è visto che inoltre in caso di violazione del precetto per cui non possono essere stipulati subappalti non autorizzati, la
normativa prevede l’ipotesi contravvenzionale del reato di subappalto
non autorizzato. Anche nel caso in cui si provveda alla stipulazione
senza le previste informative prefettizie sussisterebbe un’apposita san-
310
Capitolo VIII
zione penale delittuosa, e quindi ben più grave del subappalto non
autorizzato. Infatti, l’art. 10–quinquies della legge 575/1965 prevede
la seguente ipotesi delittuosa:
Il pubblico amministratore, il funzionario o il dipendente dello Stato o di
altro ente pubblico ovvero il concessionario di opere e di servizi pubblici che
consente alla conclusione di contratti o subcontratti in violazione dei divieti
previsti dall’articolo 10, è punito con la reclusione da due a quattro anni.
Se il fatto è commesso per colpa la pena è della reclusione da tre mesi ad un
anno.
Capitolo IX
Il regime delle responsabilità nella fase di gara
ad evidenza pubblica
1. Effetti del contatto a valle quando l’aggiudicazione è stata annullata dal giudice amministrativo
Come si è già visto trattando della giurisdizione ordinaria e amministrativa negli appalti pubblici, la Corte di Cassazione anche nella
Sent., 28–12–2007, n. 27169 delle Sez. Unite ha riaffermato l’ambito
oggettivo degli artt. 6 e 7 della legge 205/00 riconoscendo che tutte le
controversie relative alle procedure di affidamento degli appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, con riguardo alla sola fase pubblicistica e di conseguenza, rimane la competenza esclusiva del giudice
ordinario in merito alla fase dell’esecuzione di tali contratti.
Ma v’è da dire che tale pronuncia affronta la questione innestandola nel più ampio e gravoso scenario della questione giuridica degli effetti dell’annullamento giurisdizionale di un provvedimento d’aggiudicazione in rapporto all’esecuzione dell’appalto in cui i lavori siano
ormai iniziati, sembra opportuno formulare qualche considerazione
in relazione agli effetti dell’annullamento giurisdizionale di un provvedimento d’aggiudicazione in rapporto all’esecuzione dell’appalto in
cui i lavori siano ormai iniziati.
311
312
Capitolo IX
1.1. Premessa1
Il diritto amministrativo è un diritto giurisprudenziale: la sua origine lo prova inconfondibilmente, pur se il legislatore della novella l.
15/2005 sembra averlo dimenticato: basti, al riguardo, leggere l’art.
21–octies della l. 241/90, introdotto appunto dalla novella del 2005.
Mai come nella vexata quaestio che è solo richiamata nella presente
riflessione, il diritto amministrativo afferente agli appalti pubblici mostra tutta la sua natura pretoria.
L’argomento dell’annullamento dell’aggiudicazione operato dal
giudice amministrativo e dei consequenziali effetti giuridici nei riguardi del contratto d’appalto pubblico stipulato a valle della gara, sottende il particolare rapporto d’innesto esistente fra il procedimento
amministrativo speciale e il diritto comune, quanto a dire fra la gara
ad evidenza pubblica e l’esecuzione del contratto pubblico.
1.2. Rapporto verticistico fra norme
Tale rapporto è una particolarissima forma che contiene una sostanza non solita nel mondo del diritto; infatti, a monte va evidenziato
il contenuto dell’art. 2 del d.lgs. 163/06, in cui ai commi 3 e 4 è previsto:
3. Per quanto non espressamente previsto nel presente codice, le procedure
di affidamento e le altre attività amministrative in materia di contratti pubblici si espletano nel rispetto delle disposizioni sul procedimento amministrativo di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni e
integrazioni.
4. Per quanto non espressamente previsto nel presente codice, l’attività contrattuale dei soggetti di cui all’articolo 1 si svolge nel rispetto, altresì, delle
disposizioni stabilite dal codice civile.
1.
Per quanto qui di seguito scritto, vedi V. Capuzza, Effetti giuridici sul contratto
d’appalto a sèguito dell’annullamento dell’aggiudicazione, in ANIEM, n. 2/2008, pp. 20 e ss.
Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche
313
Finalmente, in materia di contrattualistica pubblica il Legislatore
ha interpretato in via autentica il rapporto esistente fra le norme pubblicistiche e quelle civilistiche, confermando quanto finora parte della
dottrina2 aveva teorizzato con il principio di specialità fra il codice
degli appalti, la l. 241/90 (per le procedure di affidamento e le altre
attività amministrative) ed il codice civile (per l’attività contrattuale).
Dunque, un rapporto verticalmente inteso, di cerchi concentrici.
1.3. Visione orizzontale: gli effetti giuridici fra gara ed esecuzione del
contratto d’appalto pubblico
Nell’ambito di queste due specialità, sempre in materia di contrattualistica pubblica viene a formarsi la problematica degli effetti giuridici trasmigranti, in forza dell’innesto, fra i due momenti (gara ed
esecuzione) intesi orizzontalmente.
Già nel Codice De Lise il Legislatore aveva tentato di arginare il verificarsi della problematica, introducendo, ad esempio, l’art. 79, comma 5.
La ratio dell’introduzione della procedura di comunicazione ex officio si
basa fondamentalmente sì sul rispetto dei principi che regolano l’agire
della pubblica amministrazione, secondo il Trattato dell’UE, la Costituzione Italiana e l’art. 1 della l. 241/90 e s.m.i., ma va pur detto che tale
previsione consente sia al concorrente risultato non aggiudicatario sia
all’escluso di poter esperire le impugnazioni eventuali con decorrenza
dei termini anticipata per ciascuno di essi e quindi di permettere, al
contempo, all’amministrazione che abbia escluso o aggiudicato di non
veder gli effetti di eventuali ricorsi giurisdizionali a distanza di tempo,
durante la piena fase dell’esecuzione del contratto3.
2.
Cfr. V. Capuzza, Il principio di specialità, op. cit.
3.
Nelle osservazioni recentemente inviate dall’UE al Governo Italiano relativamente
alle “Disposizioni del Codice che sollevano problemi di compatibilità con le direttive appalti pubblici”, a proposito dell’art. 79, ultimo comma del Codice viene osservato che: «Tale
disposizione non include tra le informazioni che la stazione appaltante è tenuta a comunicare, la
decisione di non aggiudicare l’appalto. […] La disposizione sopra citata del Codice non appare
conforme ai suddetti articoli delle direttive appalti [art. 41, par. 1 della direttiva 2004/18/CE e art.
49, par. 1 della direttiva 2004/17/CE] nella misura in cui essa non assicura la comunicazione
314
Capitolo IX
In relazione agli effetti dell’annullamento giurisdizionale di un
provvedimento d’aggiudicazione in rapporto all’esecuzione dell’appalto in cui i lavori siano ormai iniziati, sembra opportuno formulare
a margine qualche considerazione, a mò di glossa.
Si tratta di un vasto problema che apre lo scenario a fenomeni giuridici di sistema ancora più difficili, basati unicamente su termini interpretativi e in parte richiamati anche da norme positive, come ad
esempio avvenne con il comma 12–quater dell’art. 5 del Decreto competitività (di cui alla legge 80/2005), che operava un rinvio all’art. 14,
comma 2 del d.lgs. 190/2002, ora abrogato e sostituito dall’art. 246
del Codice4.
1.4. Linee interpretative
Il quadro di riferimento5 si risolve in ultima analisi nell’accertamento o nella declaratoria giudiziale della inefficacia o della nullità o
dell’annullamento civilistico del contratto per l’affidamento dei lavori,
a séguito dell’annullamento giurisdizionale in sede amministrativa del
provvedimento d’aggiudicazione e/o di altri atti di gara.
Il Consiglio di Stato, Sez. V, Decisione del 28 maggio 2004, n. 3465,
aveva chiamato “complessa” la questione: esistono attualmente quattro indirizzi giurisprudenziali.
1.4.1. Nullità
In particolare, la prima tesi afferma la nullità con riferimento
all’art. 1418 c.c., essendo stato il contratto stipulato contrariamendi tutte le decisioni prese, e segnatamente dei motivi della decisione di rinunciare all’aggiudicazione dell’appalto».
4.
Il d.lgs. 190/2002, emanato a sèguito della l. 443/2001, è stato abrogato dal d.lgs.
163/06, il quale al Capo IV, Tit. III, Parte II, detta la disciplina relativa ai “Lavori relativi a
infrastrutture strategiche e insediamenti produttivi”.
5.
Sul tema, cfr. A. Cancrini, Risoluzione del contratto di appalto e giudizi arbitrali
dopo la l. 80/2005, in Urbanistica e Appalti, 9/2005, pp. 997 e ss.; V. Capuzza, Le cause di
esclusione dalle gare d’appalto pubblico, collana Quaderni IGOP, n. 01, 2005, pp. 2 e ss.; A.
Cancrini, P. Piselli, V. Capuzza, La nuova legge degli appalti pubblici. Commentario al codice
dei contratti pubblici, IGOP, V, 2008, sub artt. 38, 79 e 140.
Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche
315
te a norme imperative di legge (Cass. 193/2002; Cons. di Stato, Sez.
V, n. 1218/2003; Id., Sez. V, 13/11/02, n. 6281; Id., TAR Calabria,
26/11/02, n. 2031; TAR Campania, Napoli, 29/5/02, n. 3177). Tale
nullità è qualificabile anche come nullità assoluta del vincolo negoziale, con conseguente soggezione dello stesso vincolo al regime sancito
dagli artt. 1421 e ss. c.c. (cd. nullità virtuale o extratestuale).
Per quanto riguarda la nullità giova richiamare il contenuto dell’art.
1418 del codice civile, che indica le cause di nullità del contratto:
Il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative, salvo che la legge
disponga diversamente.
Producono nullità del contratto la mancanza di uno dei requisiti indicati dall’articolo 1325, l’illiceità della causa, l’illiceità dei motivi nel caso indicato
dall’articolo 1345 e la mancanza nell’oggetto dei requisiti stabiliti dall’articolo 1346.
Il contratto è altresì nullo negli altri casi stabiliti dalla legge.
Proprio in relazione alla causa di nullità per contrarietà a norme
imperative si suole distinguere la c.d. nullità testuale, che si configura
quando la norma imperativa è espressa dal dettato positivo della legge, e la c.d. nullità virtuale — su richiamata –, la quale si ha quando
la contrarietà a norma imperativa è ricavabile e deducibile dal sistema ordinamentale stesso. Un esempio in materia di contratti pubblici
della nullità testuale potrebbe essere il disposto del comma 1 dell’art.
38 del Codice, che detta i requisiti generali (non più denominati solamente come cause di esclusione dalle gare); in esso viene dettata una
norma imperativa: oltre a stabilire che i soggetti i quali si trovano in
una delle situazioni espresse nelle lettere successive sono esclusi dalla
partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli
appalti di lavori, forniture e servizi, il comma 1 sancisce che essi non
«possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti».
Analoga nullità si avrebbe se fosse stipulato un contratto pubblico
in violazione del disposto contenuto nell’art. 10, comma 2 del d.p.r.
252/1998 in materia di antimafia, fermo però restando quanto dispo-
316
Capitolo IX
sto — del tutto illogicamente e infondatamente6 — dal successivo art.
11, commi 2 e 3.
Importante è richiamare le caratteristiche della nullità: 1) il contratto
nullo non produce gli effetti; 2) ai sensi dell’art. 1421 c.c. la nullità può
essere rilevabile d’ufficio dal giudice ed è assoluta, in quanto «può essere fatta valere da chiunque vi ha interesse; dunque, in materia di appalti
pubblici può essere fatta valere anche dall’eventuale vincitore in sede di
giurisdizione amministrativa, in cui il giudice amministrativo abbia annullato l’aggiudicazione della gara; 3) in base all’art. 1422 c.c. «L’azione
per far dichiarare la nullità non è soggetta a prescrizione, salvi gli effetti
dell’usucapione e della prescrizione delle azioni di ripetizione»; in tal
senso la nullità è insanabile; 4) essa è altresì insanabile anche perché non
ammette la convalida (come invece può avvenire per l’annullamento
civilistico); 5) la sentenza giudiziale è di natura dichiarativa.
Fra le parti contrattuali, come conseguenza del fatto che il contratto
nullo è improduttivo di effetti, la prestazione del contratto già eseguita
sembra doversi considerare — se ne ricorrono i presupposti fissati nella norma — come indebito oggettivo ai sensi dell’art. 2033 c.c.:
Chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha
pagato. Ha inoltre diritto ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento,
se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede, dal
giorno della domanda.
Anche nei confronti di terzi, la nullità opera allo stesso modo.
1.4.2. Annullabilità civilistica
Tornando alla questione qui in esame, la seconda tesi giurisprudenziale sostiene che il contratto sarebbe annullabile ex art. 1441 c.c.
6.
Sul tema cfr. V. Capuzza, Considerazioni di diritto penale nella materia degli appalti pubblici alla luce del d.lgs. 163/07, in Rassegna dell’Arma dei Carabinieri, n. 2/2007; V.
Capuzza, Figure di procedura penale per gli appalti pubblici, in «Rivista Amministrativa della
Repubblica Italiana», 2007.
Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche
317
(Cass.11247/2002; Id., 17/11/2000, n. 14901; Id. 28/3/1996, n. 2842;
Consiglio di Stato, Sez. VI, 1/2/2002, n. 570; TAR Puglia, Lecce,
28/2/2001, n. 746; TAR Lombardia, Brescia, 9/5/2002, n. 823; TAR
Lombardia, Milano, 23/12/1999, n. 5049; TAR Lombardia, Milano,
11/12/00, n. 7702; TAR Campania, Napoli, 20/10/00, n. 3890).
Tale linea interpretativa, però, nelle conseguenze esplica la propria
limitatezza: «L’annullamento del contratto può essere domandato solo
dalla parte nel cui interesse è stabilito dalla legge» (art. 1441, comma 1
c.c.). Dunque, nessuna effettiva garanzia sussisterebbe in capo all’impresa destinataria del giudicato amministrativo ad essa favorevole.
Occorre un ulteriore e breve approfondimento del tema dell’annullamento civilistico.
L’annullabilità, le cui cause sono disciplinate in particolare negli
artt. 1425 e 1427 del codice civile, ha caratteri ed effetti diversi da
quelli della nullità. In particolare: 1) il contratto comunque dispiega i
suoi effetti fino a quando viene accolta dal giudice l’azione di annullamento del contratto stesso; 2) è sempre necessaria l’azione della parte
contrattuale per la sentenza del giudice (che in tal caso sarà di natura
costitutiva); 3) ai sensi dell’art. 1442 c.c.:
L’azione di annullamento si prescrive in cinque anni.
Quando l’annullabilità dipende da vizio del consenso o da incapacità legale,
il termine decorre dal giorno in cui è cessata la violenza, è stato scoperto
l’errore [pertanto, dal giudicato amministrativo che abbia annullato amministrativamente per vizi di legittimità il provvedimento d’aggiudicazione della
gara. n.d.a.] o il dolo, è cessato lo stato d’interdizione o d’inabilitazione, ovvero il minore ha raggiunto la maggiore età.
Negli altri casi il termine decorre dal giorno della conclusione del contratto.
Va precisato che nel codice civile, all’art. 1444, è dettata la specifica
disciplina della convalida espressa o tacita del contratto annullabile;
così è infatti stabilito dalla legge:
Il contratto annullabile può essere convalidato dal contraente al quale spetta
l’azione di annullamento, mediante un atto che contenga la menzione del
318
Capitolo IX
contratto e del motivo di annullabilità, e la dichiarazione che s’intende convalidarlo.
Il contratto è pure convalidato, se il contraente al quale spettava l’azione di
annullamento vi ha dato volontariamente esecuzione conoscendo il motivo
di annullabilità.
L’annullabilità del contratto ha come effetto, valevole sia per le parti contraenti sia per i terzi, quello di riportare con efficacia retroattiva
(ex tunc) la situazione che esisteva prima della stipula del contratto
annullato: dunque, è applicabile anche in tal caso l’art. 2033 c.c.
Infine, va precisato che oltre alla restitutio in integrum di quanto
eseguito, la nullità e l’annullamento civilistico hanno in comune anche
l’effetto della responsabilità del contraente che non è stato diligente
nell’individuazione delle cause di invalidità del contratto.
1.4.3. Inefficacia
Il terzo indirizzo giurisprudenziale si basa sull’affermazione secondo la quale l’annullamento dell’aggiudicazione comporterebbe un
“effetto claudicante automatico” (cd. caducazione automatica ad effetto domino).
Infine, la quarta linea ermeneutica, seguìta dal Consiglio di Stato nella importante Decisione del 28 maggio 2004, n. 3465, sostiene che l’annullamento dell’aggiudicazione comporti l’inefficacia del vincolo negoziale: è la cd. caducazione automatica successiva per mancanza di effetti
del contratto, ma fatti salvi i diritti acquisiti da terzi in buona fede.
L’inefficacia comporta che un soggetto non sia legittimato a porre
in essere un contratto7. L’inefficacia in senso stretto non è categoria
prevista dalle norme positive e tale termine designa un vizio che «può
trovarsi in particolari presupposti necessari per l’efficacia dell’atto»”,
quindi «non è detto che lo strumento in sé buono sia atto a produrre
gli effetti voluti»8.
7.
8.
Cfr. A. Trabucchi, Istituzioni di diritto civile, ed. XXXVIII, p. 184.
A. Trabucchi, Istituzioni, op. cit., p. 182.
Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche
319
Così il Consiglio di Stato nella Decisione n. 3465/2004 indica le
caratteristiche dell’inefficacia:
La tesi dell’inefficacia è stata recentemente sostenuta dalla decisione Cons.
Stato 6666/2003, secondo cui la caducazione, in sede giurisdizionale o amministrativa, di atti della fase della formazione, attraverso i quali si è formata in concreto la volontà contrattuale dell’Amministrazione, dà luogo alla
conseguenza di privare l’Amministrazione stessa, con efficacia ex tunc, della
legittimazione a negoziare; in sostanza, l’organo amministrativo che ha stipulato il contratto, una volta che viene a cadere, con effetto ex tunc, uno degli
atti del procedimento costitutivo della volontà dell’Amministrazione, come
la deliberazione di contrattare, il bando o l’aggiudicazione, si trova nella condizione di aver stipulato privo della legittimazione che gli è stata conferita
dai precedenti atti amministrativi (cfr. Cass., 20 novembre 1985, n. 5712): «la
categoria che viene in gioco in tal caso non è l’annullabilità, ma l’inefficacia.
E, infatti, nei contratti ad evidenza pubblica gli atti della serie pubblicistica
e quelli della serie privatistica sono indipendenti quanto alla validità; i primi
condizionano, però, l’efficacia dei secondi, di modo che il contratto diviene
ab origine inefficace se uno degli atti del procedimento viene meno per una
qualsiasi causa (cfr. Cass., 5 aprile 1976, n. 1197)».
Secondo tale impostazione l’inefficacia sopravvenuta derivante dall’annullamento degli atti di gara ovvero del provvedimento di aggiudicazione (in sede
giurisdizionale, amministrativa o in via di autotutela) è relativa e può essere
fatta valere solo dalla parte che abbia ottenuto l’annullamento dell’aggiudicazione. Per il Collegio della decisione riportata «più problematica appare,
invece, la posizione dell’Amministrazione. Di regola il contratto rimane vincolante inter partes, nonostante l’intervenuto annullamento dell’aggiudicazione in sede giurisdizionale, fino all’adozione di apposite iniziative da parte
degli interessati. Tuttavia, appare meritevole di protezione anche l’interesse
dell’Amministrazione a rimuovere gli effetti di situazioni ormai riconosciute
illegittime. In tale eventualità, tuttavia, la P.A. può determinare l’inefficacia
del contratto, ma attraverso il procedimento di annullamento degli atti di
gara in via di autotutela, applicando i principi garantistici in materia (avviso
di avvio del procedimento; congrua motivazione; adeguata valutazione dell’interesse pubblico e dell’affidamento del contraente).
Per quanto, più in particolare, riguarda la tutela dei soggetti che abbiano ottenuto ragione dinanzi al giudice amministrativo tramite l’annullamento dell’atto di aggiudicazione, nei casi in cui il contratto sia già stato concluso, ritiene
il Collegio preferibile la posizione dottrinale orientata nel senso dell’applica-
320
Capitolo IX
zione della normativa dettata dal codice civile a proposito delle associazioni
e fondazioni, in quanto esprimente principi generali, applicabili anche alla
Pubblica amministrazione, quale persona giuridica ex art. 11 c.c., soggetta,
quindi, oltre che alle norme di diritto pubblico, anche alle norme civilistiche
essenziali che disciplinano le persone giuridiche (cfr., in tal senso, anche se
nell’ambito della teoria della inefficacia del contratto per difetto di un presupposto o di una condizione di efficacia del contratto, Cons. St., Sez. VI, n. 2992
del 2003 cit.). Secondo tali principi, l’annullamento della deliberazione formativa della volontà contrattuale dell’ente “non pregiudica i diritti acquistati dai
terzi di buona fede in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione
medesima” (art. 23 e 25 c.c.). Questo criterio, invero, consente di tutelare la
posizione del contraente di buona fede, ma allo stesso tempo consente di dare
pieno riconoscimento alle ragioni di colui che abbia ottenuto l’annullamento
di atti della fase di formazione (e segnatamente, dell’aggiudicazione) laddove
possa essere esclusa la buona fede del contraente, travolgendo in tal caso detto
annullamento la fattispecie contrattuale nella sua interezza».
Tutto ciò detto, con riferimento alla problematica in oggetto del
presente lavoro, sull’ultima linea ermeneutica incentrata nell’inefficacia del contratto a valle di un’aggiudicazione annullata in via amministrativa, occorre fermare l’attenzione, specie nei corollari logici seguiti
nella Decisione del Consiglio di Stato n. 3465/04.
1.5. La Decisione del Consiglio di Stato n. 3465/2004 e l’art. 246 del
Codice: un’inversione di scelta
Per sostenere tale ultima linea interpretativa, che appare la più
completa ed anche in concreto la più equa, il Consiglio di Stato ha
ripercorso in modo analitico proprio l’art. 14 del d.lgs. 190/2002, cioè
l’articolo richiamato dall’art. 5, comma 12–quater, ultimo periodo,
della l. 80/2005.
Il Consiglio di Stato, in particolare, a favore della tesi dell’inefficacia sopravvenuta ha considerato che
se il legislatore, in applicazione di una facoltà riconosciuta dalla direttiva
89/665 (art. 2, par. 5 e 6) — che postula il principio in forza del quale, di
Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche
321
regola, la stipulazione del contratto non preclude affatto la reintegrazione in forma specifica, anche se gli Stati membri potrebbero introdurre
norme interne con tale contenuto — ha avvertito la necessità di stabilire
una apposita norma derogatoria di tale principio in un particolare settore, allora significa che, in linea generale, la stipulazione del contratto
non è di ostacolo alla tutela in forma specifica della parte interessata,
assicurata attraverso la verificazione del contratto e la conseguente possibilità di subentro. D’altronde, il riferimento del legislatore delegato
(anche se per escluderla) alla risoluzione del contratto conseguente per
annullamento della procedura sembra far propendere per il rifiuto della
categoria dell’invalidità e per l’adesione a quella della perdita di efficacia
del contratto.
Il quadro complessivo rimane con il Codice: basti far riferimento
all’art. 140 comma 4 a all’art. 246, commi 4 e 5.
Ma non si tratta di una mera trasposizione nel Codice delle
norme già esistenti: può sfuggire la impercettibile ma consistente
variazione normativa operata nel maremagnum del d.lgs. 163/06.
Infatti, nel comma 4 dell’art. 246 (invero esteso dal comma 5 anche alle controversie relative alle procedure di cui all’articolo 140)
stabilisce che:
La sospensione o l’annullamento dell’affidamento non comporta la caducazione del contratto già stipulato, e il risarcimento del danno eventualmente
dovuto avviene solo per equivalente.
Come è possibile notare, dal legislatore non viene più esclusa la
“risoluzione” (id est: invalidità), ma la “caducazione” (id est: inefficacia).
Come effetto logico conseguente sembra così da invertito sul piano
ermeneutico il ragionamento percorso efficacemente dal Consiglio di
Stato nella Decisione n. 3465/2004: la norma attualmente rifiuta la
categoria della perdita dell’efficacia del contratto stipulato, a favore
della categoria tradizionale dell’invalidità.
322
Capitolo IX
1.6. La Sentenza della Cassazione n. 27169/2007 e l’indifferenza al problema posto dal Codice dei contratti pubblici
Si doveva attendere pertanto, prima o poi, una nuova sentenza del
giudice ordinario: la Suprema Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, non
ha mancato l’appuntamento in tal senso; però lo ha fatto solo apparentemente, emanando la Sentenza n. 27169 del 28 dicembre 2007.
La Sentenza, invero, nasce dal problema annoso della giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo, anche alla recente luce dell’art.
244 del Codice De Lise.
Dunque, la questione lì nasce non sulle posizioni interpretative relative al contratto stipulato a valle di un atto d’aggiudicazione valutato
illegittimo, bensì sulla competenza del giudice ordinario a giudicare in
materia, invece che del giudice amministrativo in via esclusiva.
Lo “spartiacque”, come lo definisce la Cassazione nella Sentenza
de qua, fra le due giurisdizioni è rappresentato da un preciso momento che separa la gara dall’esecuzione del contratto, cioè quello della
costituzione del rapporto giuridico di diritto comune tramite l’incontro delle volontà delle parti per la stipulazione del contratto.
Simmetricamente a tale questione sta quella che qui si sta esaminando.
Così la Cassazione:
Sicché è proprio la costituzione di detto rapporto giuridico di diritto comune
a divenire l’altro spartiacque fra le due giurisdizioni, quale primo atto appartenente a quella ordinaria, nel cui ambito rientra con la disciplina posta dagli art.
1321 e segg. cod. civ.; e che perciò, comprende non soltanto quella positiva sui
requisiti (art. 1325 e segg.) e gli effetti (art. 1372 e ss.), ma anche l’intero spettro
delle patologie ed inefficacie negoziali, siano esse inerenti alla struttura del contratto, siano esse estranee e/o alla stessa sopravvenute: come si verifica appunto
nelle fattispecie prospettate dalla sentenza impugnata in cui viene a mancare
uno degli atti del procedimento costitutivo della volontà dell’amministrazione
(deliberazione di contrarre, bando, aggiudicazione). E trova giustificazione il
principio da decenni enunciato da dottrina e giurisprudenza, che seppure gli
atti della serie pubblicistica e quelli della serie privatistica sono indipendenti
quanto alla validità i primi condizionano l’efficacia dei secondi, di modo che il
Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche
323
contratto diviene inefficace se uno degli atti del procedimento viene meno per
una qualsiasi causa (Cass. 5 aprile 1976 n. 1197 e succ.).
Nella seconda parte, la Sentenza della Cassazione affronta da vicino, anche se per accidens rispetto al vero oggetto della questione che
è appunto la competenza giurisdizionale, la problematica relativa alle
“variegate posizioni” — così le definisce — della giurisprudenza in
ordine al rapporto fra contratto a valle di provvedimento amministrativo annullato, e ripercorre il quadro di sintesi: nullità assoluta, mera
annullabilità civilistica; caducazione automatica
per il venir meno, con efficacia ex tunc, del requisito della legittimazione
a contrarre o di uno dei presupposti di efficacia del negozio: Cons. St. V,
41/2007; IV, 6666/2 003; VI, 2992/2 003; Cass. 12629/2006), oppure alla
inefficacia (sopravvenuta) del contratto, a sua volta giustificata in base ad
istituti diversi (Cons. St. VI, 4295/2006; V, 6759/2005; 3463/2004; Cass.
6450/2004), che ora comportano il travolgimento dei diritti acquisiti dai
terzi per effetto dell’atto negoziale, ora consentono la salvezza di quelli acquistati in buona fede (Cfr. Cons. St. V,1591/2006; 5194/2005; 7346/2004;
3465/2004).
E qui si innesta una nervatura. Inquadriamola.
La Cassazione nella Sentenza n. 27169/07 riunisce le “variegate posizioni” ermeneutiche con il seguente argomento, che riecheggia del
paradigma dell’elaborazione logico–deduttiva del Consiglio di Stato
nella citata Decisione n. 3465/2004: tutte le interpretazioni plasmate
dai giudici in materia
hanno tutte quale presupposto comune una vicenda propria dell’atto negoziale rientrante nel sistema delle inefficacie–invalidità (significativamente) disciplinate dal codice civile: in forza delle quali non se ne producono gli effetti
perseguiti, o questi vengono a cessare.
Anche nell’opzione prescelta dalla decisione impugnata, la condizione di
inefficacia e l’effetto costitutivo della caducazione del contratto (perciò stesso
non assimilabile ad un mero atto di ritiro) non discendono dalla statuizione
di annullamento adottata dal giudice amministrativo (che pur ne costituisce
il presupposto necessario), ma derivano direttamente dalla legge (cosi come
324
Capitolo IX
avviene per le patologie del contratto dovute a peculiari vizi genetici, e riconosce lo stesso Consiglio di Stato invocando i principi civilistici sui negozi
collegati). La quale, d’altra parte, ben può escluderla come ha fatto l’art. 14
d.lgs. 190 /2002 per le procedure di progettazione, approvazione e realizzazione delle infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici e di interesse
nazionale: disponendo che l’annullamento giurisdizionale della aggiudicazione di prestazioni pertinenti alle infrastrutture non determina la risoluzione
del contratto eventualmente già stipulato dai soggetti aggiudicatori; e che in
tal caso il risarcimento degli interessi o diritti lesi avviene per equivalente,
con esclusione della reintegrazione in forma specifica.
Il riferimento alla possibilità che il Legislatore ha di escludere la
caducazione (rectius, inefficacia) del contratto, suona di vecchio: non
s’avvede la Cassazione che il Legislatore ha sì operato quanto in rebus
ipsis ovviamente è in suo potere, ma che lo ha fatto di recente nel
d.lgs. 163/06, art. 246 comma 4, in cui rifiuta la categoria proprio della caducazione a favore (implicito e perciò deducibile chiaramente in
quanto tertium non datur) dell’invalidità. D’altra parte, l’aver operato
(il Codice) una inversione dei termini proprio quando il Consiglio
di Stato aveva interpretato la stessa norma nel senso su esposto, fa
chiaramente propendere per una diversa scelta del Legislatore: come
effetto di una mutazione della vox legis, la tendenza va a favore di una
opposta ratio legis rispetto a quella seguita dal Consiglio di Stato nel
2004 per fondare la teoria dell’inefficacia.
E che ciò non valga più solo per gli appalti relativi alle grandi infrastrutture ed agli insediamenti produttivi lo attesta il comma 5 dell’art.
246 del Codice, ove è stata estesa la linea a favore della categoria dell’invalidità del contratto stipulato a valle, anche per tutti i contratti pubblici
(art. 140 del Codice). Così, il Legislatore del Codice dei contratti pubblici aveva operato — anche qui — proprio l’opposto di quanto la Cassazione ha di recente affermato nella conduzione — pur giusta e rigorosa
— della sua motivazione nella sentenza del 28 dicembre scorso9.
9.
Però, a margine, è da dirsi che l’inversione legale di fatto operata dal Codice De
Lise rispetto alla Decisione n. 3465/04 del Consiglio di Stato è intervenuta in seguito alla
pronuncia dei giudici di Palazzo Spada.
Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche
325
La Cassazione anche conclusivamente mostra di non avvedersi
dell’intervento a favore della tesi dell’invalidità del contratto, che in
un certo senso avrebbe ulteriormente confermato e rinforzato la propria competenza giurisdizionale; infatti, la Suprema Corte chiaramente conclude che:
spetta al giudice ordinario la giurisdizione sulla domanda volta ad ottenere
tanto la dichiarazione di nullità quanto quella di inefficacia o 1’annullamento
del contratto di appalto, a seguito dell’annullamento della delibera di scelta
dell’altro contraente, adottata all’esito di una procedura ad evidenza pubblica: posto che in ciascuno di questi casi la controversia, non ha ad oggetto
i provvedimenti riguardanti la scelta suddetta, ma il successivo rapporto di
esecuzione che si concreta nella stipulazione del contratto di appalto, del
quale i soggetti interessati chiedono di accertare un aspetto patologico, al
fine di impedirne 1’adempimento; che le situazioni giuridiche soggettive delle quali si chiede l’accertamento negativo hanno consistenza di diritti soggettivi pieni; e che il giudice è comunque chiamato a verificare la conformità alla
normativa positiva delle regole attraverso cui l’atto negoziale è sorto, ovvero
è destinato a produrre i suoi effetti tipici.
Questo risultato non è contraddetto dalla recente decisione 24658/2007 delle Sezioni Unite, che in una controversia in cui il giudice amministrativo aveva annullato l’aggiudicazione di un appalto relativo alla progettazione di un
complesso polifunzionale, ha recepito la tesi della caducazione automatica
del successivo contratto stipulato con l’impresa vincitrice della gara in quanto nella fattispecie esaminata, la sentenza del Consiglio di Stato gravata dal
ricorso, si era limitata ad annullare il provvedimento di aggiudicazione senza
emettere alcuna statuizione in ordine alla successiva vicenda contrattuale.
Ab ovo non appare un problema di competenza fra giurisdizioni:
quello che nella Sentenza n. 27169/2007 della Cassazione doveva essere detto — anche se per accidens — è stato taciuto mediante la conferma di una posizione non più suffragata dalla littera legis: la tesi della
caducazione automatica è stata respinta dal Legislatore nel Codice degli appalti, il quale, essendo legge, travalica i limiti di conoscibilità che
sono da non confondere con i limiti di cognizione giurisdizionale.
Da ultimo, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato Consiglio di
Stato, 30 luglio 2008, n. 9, nell’aderire alla tesi della competenza giuri-
326
Capitolo IX
sdizionale seguito dalla Corte di cassazione nel dicembre 2007, ha però
precisato altri importanti aspetti consequenziali nel giruidizio di ottemperanza al giudicato amministrativo. Così i giudici di Palazzo Spada:
6) l’Adunanza Plenaria ritiene di non doversi discostare dal delineato orientamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, secondo cui sussistente la giurisdizione civile sulla domanda volta ad ottenere, con efficacia di giudicato, l’accertamento dell’inefficacia del contratto, la cui
aggiudicazione sia stata annullata dal giudice amministrativo.
Nel vigente sistema, infatti, non sussiste una espressa previsione normativa di carattere generale sulla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in ordine alle controversie riguardanti la fase dell’esecuzione del
contratto d’appalto: pertanto, nel caso di una specifica domanda intentata
da chi abbia chiesto ed ottenuto dal giudice amministrativo l’annullamento della aggiudicazione, ovvero in presenza di una domanda di una delle
parti del contratto pubblico d’appalto stipulato medio tempore, sussiste
la giurisdizione civile quando si intendano far accertare — con efficacia
di giudicato — le conseguenze che la medesima sentenza ha prodotto sul
contratto.
Resta in tal modo estranea alla cognizione del giudice amministrativo la
domanda di reintegrazione in forma specifica, pure prevista insieme al
risarcimento per equivalente dall’articolo 35 del d.lgs. 80/1998, come
sostituito dall’articolo 7 della legge 205/2000: infatti, posto che nella
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo fissata dall’art. 244 del
d.lgs. 163/2006 rientrano le sole controversie inerenti le procedure di affidamento di lavori, servizi e forniture, con esclusione di ogni domanda
che concerna la fase dell’esecuzione dei relativi contratti, alla richiesta di
annullamento dell’aggiudicazione può conseguire solo il risarcimento del
danno per equivalente, ma non anche la reintegrazione in forma specifica
che, incidendo necessariamente sul contratto e quindi sulla fase negoziale
e sui diritti soggettivi, esula dai poteri giurisdizionali amministrativi.
6.1) tali conclusioni tuttavia non comportano sul piano del sistema della giustizia amministrativa — con specifico riferimento si principi sanciti dagli articoli 24 e 113 della Costituzione — una diminuzione della tutela del soggetto
che abbia ottenuto l’annullamento giurisdizionale dell’aggiudicazione.
6.1.1) innanzitutto, la sentenza di annullamento della aggiudicazione determina in capo all’amministrazione soccombente l’obbligo di conformarsi
alle relative statuizioni, nell’ambito degli ulteriori provvedimenti che ri-
Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche
327
mangono salvi ai sensi dell’art. 26 della legge 1034/1971: in altri termini,
l’annullamento dell’aggiudicazione è costitutivo di un vincolo permanente e puntuale sulla successiva attività dell’amministrazione (Cons. Stato,
Ad. Plen. 19 marzo 1984, n. 6), il cui contenuto non può prescindere
dall’effetto caducatorio del contratto stipulato.
In sede di esecuzione della sentenza, pertanto, l’amministrazione non può
non rilevare la sopravvenuta caducazione del contratto conseguente all’annullamento dell’aggiudicazione (secondo quanto, del resto, ribadito
dalla Corte di Cassazione, sez. I, 15 aprile 2008, n. 9906), similmente a
quanto avviene nel caso di annullamento di una graduatoria di un pubblico concorso che comporta la caducazione degli effetti del contratto
di lavoro su di essa fondato, ovvero di annullamento di una concessione
di un bene o di un servizio pubblico che comporta la caducazione degli
effetti dell’accordo accessivo.
Anche nell’emanare i provveedimenti ulteriori che conseguono all’effetto
caducatorio dell’annullamento dell’aggiudicazione della gara, l’amministrazione deve tenere conto dei principi enunciati nella sentenza di annullamento e delle conseguenze giuridiche determinate dal suo contenuto ed
orientare conseguentemente la sua ulteriore azione.
Rispetto a tali provvedimenti, il sindacato del giudice amministrativo è
pieno e completo, investendo situazioni che restano esclusivamente nel
campo del diritto pubblico e che non si intersecano mai con il piano dei
diritti soggettivi sorti dal vincolo contrattuale imperniato sull’aggiudicazione annullata.
6.1.2) ove poi l’amministrazione non si conformi puntualmente ai principi
contenuti nella sentenza oppure non constati le conseguenze giuridiche
che da essa discendono, ovvero ancora nel caso di successiva sua inerzia, l’interessato può instaurare il giudizio di ottemperanza, nel quale il
giudice amministrativo — nell’esercizio della sua giurisdizione di merito — ben può sindacare in modo pieno e completo (e satisfattivo per il
ricorrente) l’attività posta in essere dall’amministrazione o anche il suo
comportamento omissivo, adottando tutte le misure (direttamente o per
il tramite di un commissario) necessarie ed opportune per dare esatta ed
integrale esecuzione alla sentenza e per consentire una corretta riedizione
del potere amministrativo.
In tal modo, il giudice amministrativo può realizzare il contenuto conformativo della sentenza, di per sé riferibile alla fase pubblicistica successiva
all’annullamento ed emanare tutti i provvedimenti idonei ad assicurare al
ricorrente vittorioso il bene della vita effettivamente perseguito attraverso
328
Capitolo IX
il giudizio di legittimità e reintegrarlo pienamente nella situazione concreta che avrebbe dovuto già conseguire qualora l’amministrazione non
avesse adottato l’atto di aggiudicazione illegittimo: ciò perché la funzione
del giudice dell’ottemperanza è proprio quella di adeguare la situazione
di fatto a quella di diritto nascente dal giudicato, nell’esercizio della potestà di riformare l’atto illegittimo o sostituirlo, espressamente conferitagli
dall’art. 26 della legge 1034/1971.
6.1.3) la separazione imposta dall’art. 103, co. 1, cost. tra il piano negoziale
e quello procedimentale, se preclude ogni pronunzia da parte del giudice
amministrativo sul regolamento dei rapporti con l’aggiudicatario connessi all’annullamento dell’atto illegittimo (Cass. SS. UU. 28 dicembre
2007, n. 27169), non incide in alcun modo sulla realizzazione in concreto
dell’effetto conformativo sia da parte dell’amministrazione, nell’esecuzione spontanea del giudicato, sia da parte del giudice dell’ottemperanza,
nell’eventuale fase dell’esecuzione.
La sostituzione dell’aggiudicatario, quale “reintegrazione in forma specifica” del soggetto che ha ottenuto la statuizione di annullamento, appartiene, invero, agli ulteriori provvedimenti dell’amministrazione che
rimangono comunque salvi dopo la pronunzia emanata nel giudizio di
legittimità.
Di questi provvedimenti, il giudice amministrativo conosce nella sede dell’ottemperanza perché appartengono alle condotte materiali e all’adeguamento della situazione di fatto a quella di diritto, che l’amministrazione è
tenuta a realizzare nel dare esecuzione al giudicato e ripristinare le ragioni
del ricorrente in conformità alle statuizioni dell’annullamento.
Non è pertanto escluso che nel quadro della verifica della corretta conformazione alla sentenza da eseguire, il giudice amministrativo, per effetto
dei suoi ampi poteri derivanti proprio dall’esercizio della giurisdizione
di merito, possa effettivamente reintegrare in forma specifica la parte
vittoriosa nei diritti connessi al giudicato e quindi, eventualmente, nella
sua posizione di aggiudicatario della gara, in luogo del contraente nei cui
confronti l’aggiudicazione è stata impugnata.
Un ultimo aspetto va considerato.
La seconda parte del comma 4 dell’art. 246 del Codice stabilisce
che, in caso di sospensione o l’annullamento dell’affidamento (per cui
non vi è la caducazione del contratto già stipulato), “il risarcimento
del danno eventualmente dovuto avviene solo per equivalente”.
Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche
329
Secondo la divisione delle forme del risarcimento, la forma equivalente corrisponde ad una percentuale monetaria stabilita dal giudice
da corrispondere al ricorrente vincitore; la forma specifica si concretizzerebbe nel subentro del nuovo aggiudicatario al contratto d’appalto
in esecuzione. Tale portata dell’art. 246 sembrerebbe vanificare tutto
quanto fino ad ora esaminato, ma che tale nervatura in verità non sussiste lo dimostra proprio il fatto che ancora oggi tale problematica
giuridica è vivissima. Quale è il motivo?
In ambito UE è stata emanata la c.d. Direttiva ricorsi (2007/66/
CE), in vigore nel nostro ordinamento dal 20 dicembre 2009. In essa,
fra l’altro, viene ad essere previsto in modo espresso l’obbligo che il
risarcimento avvenga sempre in forma specifica nei casi in cui l’annullamento della aggiudicazione sia determinato dal mancato rispetto
delle norme di pubblicità previste per il bando ovvero nei casi in cui
non venga rispettato il c.d. stand still, cioè il termine di trenta giorni
prima dei quali non è possibile stipulare il contratto d’appalto: lo prescrive l’art. 11, comma 9 e comma 10:
9. Divenuta efficace l’aggiudicazione definitiva, e fatto salvo l’esercizio dei
poteri di autotutela nei casi consentiti dalle norme vigenti, la stipulazione del
contratto di appalto o di concessione ha luogo entro il termine di sessanta
giorni, salvo diverso termine previsto nel bando o nell’invito ad offrire, ovvero l’ipotesi di differimento espressamente concordata con l’aggiudicatario.
[…]. 10. Il contratto non può comunque essere stipulato prima di trenta
giorni dalla comunicazione ai controinteressati del provvedimento di aggiudicazione, ai sensi dell’articolo 79, salvo motivate ragioni di particolare urgenza che non consentono all’amministrazione di attendere il decorso del
predetto termine.
Infine, a proposito del risarcimento del danno in tale scenario di
annullamento d’aggiudicazione, occorre segnalare un’importante
pronuncia del Consiglio di Stato, sez. VI, 25 gennaio 2008, n. 213,
in cui i giudici hanno anche esaminato la domanda risarcitoria per il
danno derivante dalla mancata aggiudicazione della gara, precisando
tali aspetti giuridici:
330
Capitolo IX
Tale danno si pone in rapporto di diretta causalità con illegittima mancata
esclusione dell’ATI aggiudicataria e, anche sotto il profilo soggettivo, non può
che rilevarsi la sussistenza della colpa dell’amministrazione appellante, con
conseguente reiezione del relativo motivo di appello proposto dall’Ente […].
Al riguardo, si ricorda che, secondo l’orientamento prevalente, al privato non
è chiesto un particolare sforzo probatorio per dimostrare la colpa della p.a.:
può invocare l’illegittimità del provvedimento quale presunzione (semplice)
della colpa o anche allegare circostanze ulteriori, idonee a dimostrare che
non si è trattato di un errore non scusabile. Spetterà a quel punto all’amministrazione dimostrare che si è trattato di un errore scusabile, configurabile in
caso di contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di rilevante complessità del fatto, di influenza determinante di comportamenti di altri soggetti,
di illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità
della norma applicata (Cons. St., sez. VI, 3 giugno 2006 n. 3981; 9 marzo
2007 n. 1114).
Nessuna di tali circostanze idonee ad integrare l’errore scusabile è presente
nel caso di specie, dove anzi l’ente appellante si è reso responsabile quanto
meno di una grave negligenza in sede di formazione degli atti di gara, oltre
ad aver valutato in modo superficiale la sussistenza del requisito del fatturato
in capo alla ATI aggiudicataria.
Con riferimento al rapporto tra l’azione risarcitoria e gli effetti conformativi
dell’annullamento dell’aggiudicazione si rileva il contratto stipulato con l’aggiudicataria è stato (certamente almeno in parte) eseguito e che per la parte
già eseguita non può che residuare la tutela risarcitoria, secondo i criteri che
saranno di seguito indicati ai sensi dell’art. 35, comma 2, del d.lgs. 80/1998.
La possibilità di indicare i criteri del risarcimento consente di prescindere
dall’accertamento dell’esatto stato di esecuzione del contratto.
Tenuto conto che secondo la prevalente giurisprudenza la stipula del contratto non è di ostacolo al subentro del ricorrente in caso di annullamento
dell’aggiudicazione (v., da ultimo, Cons. Stato, VI, n. 1523/2007 e Cass. Civ.,
I, n. 7481/2007) e non essendo rilevante in questa sede approfondire la questione del tipo di vizio da cui è affetto il contratto, né quella di giurisdizione
connessa, spetterà alla ricorrente l. scegliere se procedere al subentro nel
contratto, qualora questo non sia stato ancora interamente eseguito, o se optare per il risarcimento del danno anche in relazione alla parte del contratto
non eseguita.
Infatti, questa Sezione ha già affermato che spetta al ricorrente la scelta tra il
conseguimento degli effetti della tutela demolitorio–conformativa e la tutela
Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche
331
risarcitoria, nel caso, che qui ricorre, in cui comunque il bene della vita controverso è ormai conseguibile solo in parte (Cons. Stato, VI, 10 novembre
2004, n. 7256).
Infatti, mentre l’interesse originario della impresa è indirizzato all’esecuzione
dell’appalto per il suo complessivo valore, quale identificato dal bando di
gara, la prestazione del servizio per un periodo di limitata durata introduce, invece, condizioni nuove negli aspetti economici ed organizzativi, che
l’impresa può valutare con la più ampia sfera di autonomia con riguardo sia
al diverso impegno di mezzi ed attrezzature, sia al mutato livello di remunerazione che ne può conseguire in relazione all’offerta presentata in sede di
gara.
Del resto, la possibilità di optare per il risarcimento per equivalente e di
rifiutare l’esecuzione, ormai solo parziale, del giudicato deriva anche dall’applicazione del principio di carattere generale, desumibile dall’art. 1181 c.c.,
secondo cui il creditore può sempre rifiutare l’offerta di un adempimento
parziale rispetto all’originaria configurazione del rapporto obbligatorio (ad
un adempimento parziale è equiparabile la possibilità di consentire l’esecuzione solo parziale del contratto).
Deve, quindi, riconoscersi la possibilità per la ricorrente l. di optare per il
solo risarcimento del danno, rinunciando ad avvalersi degli effetti conformativi del giudicato, non essendo l’esecuzione del giudicato più possibile in
modo pieno.
Sulla base di tali ponderazioni questi sono i criteri, in base ai quali, l’ente
appellante dovrà effettuare, entro il termine di 30 giorni dalla comunicazione della presente decisione, la proposta di pagamento alla società l. a titolo
risarcitorio:
a) nel caso in cui la società l. opti per il subentro nel contratto, dovrà essere
corrisposta una somma pari al 10% del valore della parte di contratto
già eseguita, calcolata in base all’offerta presentata in sede di gara dalla
ricorrente;
b) nel caso, invece, che la ricorrente scelga il solo risarcimento del danno,
la suddetta percentuale del 10% dovrà essere rapportata all’intero valore
del contratto, come determinato alla luce dell’offerta presentata in sede
di gara dalla stessa ricorrente.
La percentuale del 10% si giustifica quale utile presuntivo dell’utile economico che sarebbe derivato all’impresa dall’esecuzione dell’appalto (Cons.
Stato, IV, 6 luglio 2004 n. 5012), non ricorrendo, in considerazione della
332
Capitolo IX
peculiarità della fattispecie, i presupposti che hanno condotto questa Sezione
in altre occasioni a ridurre tale percentuale (Cons. Stato, sez. VI, 9 novembre
2006 n. 6607).
Tenuto conto del riconoscimento della percentuale “piena” del 10%, l’importo dovrà ritenersi comprensivo di ogni voce di danno (compresa la lamentata mancata acquisizione dei requisiti di qualificazione e di valutazione invocabili in successive gare) e già attualizzato alla data di pubblicazione della
sentenza e su tale importo dovranno essere riconosciuti gli interessi legali da
tale data di pubblicazione fino all’effettivo soddisfo.
2. La giurisdizione per la procedura ad evidenza pubblica degli appalti pubblici
Oltre a quanto già espresso nel Capitolo I, paragrafo 4 di questo libro, è importante ai fini della presente trattazione il disposto
dell’art. 244 del Codice De Lise, il quale, come è noto, dedica la
Parte IV interamente al contenzioso (amministrativo e civile) relativo agli appalti pubblici di lavori, servizi e forniture10. L’art. 244
afferma:
1. sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte
le controversie, ivi incluse quelle risarcitorie, relative a procedure di affidamento di lavori, servizi, forniture, svolte da soggetti comunque tenuti,
nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione della normativa
comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica
previsti dalla normativa statale o regionale;
2. sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le
controversie relative ai provvedimenti sanzionatori emessi dall’Autorità;
3. sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le
controversie relative al divieto di rinnovo tacito dei contratti, quelle relative alla clausola di revisione del prezzo e al relativo provvedimento applicativo nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, nell’ipotesi
10. Cfr. per quanto segue A. Cancrini, La responsabilità nella fase dell’affidamento, in
Codice dei contratti pubblici, a cura di Rota, Rusconi, UTET, 2007, II, pp. 1215–1239.
Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche
333
di cui all’articolo 115, nonché quelle relative ai provvedimenti applicativi
dell’adeguamento dei prezzi ai sensi dell’articolo 133 commi 3 e 4
Qualche considerazione.
Nell’importante articolo qui richiamato vengono compiute previsioni sull’ambito giurisdizionale del giudice amministrativo: infatti, come
è noto, la sua giurisdizione ha tre ambiti, quello della legittimità (le cui
caratteristiche sono la generalità, la tutela degli interessi legittimi quali
situazioni giuridiche soggettive attive, il potere di annullamento dell’atto amministrativo viziato, di conoscere le «questioni relative all’eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e gli altri diritti patrimoniali consequenziali», art. 7 della l.
1034/71 così come modificata dalla l. 205/2000), quello della giurisdizione esclusiva (è l’eccezione per mezzo della quale il giudice amministrativo conosce nelle tassative e determinate materia anche i diritti soggettivi: la deroga — art. 103 Cost. — è al riparto di competenze basato
sulla natura delle situazioni giuridiche soggettive lese) e quello della giurisdizione di merito (sono i casi tassativi anch’essi di superamento del
limite esterno concesso al giudice amministrativo, il quale così si porta a
sindacare l’opportunità delle scelte dell’amministrazione).
In riferimento alla giurisdizione esclusiva, l’art. 244, comma 1 riproduce l’art. 6 comma 1 della l. 205/00 (pur tenendo necessariamente conto dei recenti interventi giurisprudenziali secondo i quali le controversie in tema risarcitorio relative alla fase di affidamento entrino
nella giurisdizione esclusiva, come corollario del principio più ampio
affermato dalla Corte Costituzionale n. 204/04 e dalla Cass. Civ., sez.
unite, ord. 6745/2005) e l’art. 4, comma 7 della legge Merloni.
La previsione della seconda parte del comma 1 è di estrema importanza ed interviene come interpretazione autentica rispetto a fluttuanti
linee ermeneutiche seguite ultimamente; in particolare, il Consiglio di
Stato (sez. V, n. 7554/2004) ed il TAR Puglia–Bari (sez. I, n. 1899/2005)
hanno interpretato fuori dalla giurisdizione del giudice amministrativo
ex art. 6 della l. 205/00, le controversie eventualmente sorte in procedure d’appalto sotto soglia per le quali i soggetti pubblici siano tenuti
334
Capitolo IX
ad osservare solo i principi del Trattato e non già le regole dell’evidenza
pubblica. Così, infatti, il Consiglio di Stato, sez. V, n. 7554/2004:
Occorre peraltro precisare che l’espressione “soggetto comunque tenuto
nella scelta del contraente all’applicazione della normativa comunitaria” (o
“delle norme comunitarie”) va strettamente collegata alle controversie relative alle procedure di affidamento di lavori, servizi o forniture, per cui la
giurisdizione amministrativa presuppone una controversia su una procedura
di evidenza pubblica specificamente disciplinata dalla normativa comunitaria, in analogia a quanto prescritto dall’ultima parte dell’art. 6, 1° comma. l.
205/2000 che si riferisce appunto «al rispetto dei procedimenti ad evidenza
pubblica previsti dalla normativa statale o regionale». In altri termini, per
radicare la giurisdizione amministrativa non è sufficiente che una Stazione
appaltante sia tenuta, anche per gli appalti sotto soglia, ad osservare i principi
fondamentali del Trattato CE (che in materia sono quelli della libera circolazione delle merci, della libertà e della libera prestazione dei servizi, nonché
dei consequenziali principi di parità di trattamento, non discriminazione, di
riconoscimento reciproco, di proporzionalità e trasparenza (secondo quanto
precisato nel secondo “considerando” della Direttiva CEE n. 2004/18 del
31/3/2004, la cui attuazione è prevista per gli Stati membri per il 31/1/2006),
occorrendo invece l’obbligo di osservare le specifiche procedure ad evidenza pubblica previste dalla normativa comunitaria. D’altra parte, a fronte dei
menzionati principi fondamentali del Trattato CE la posizione della Stazione appaltante è di soggezione, mentre la correlativa posizione del soggetto
privato che ne lamenta la violazione è di diritto soggettivo, non avendo la
stazione appaltante alcun potere autoritativo di disciplina di dette situazioni
soggettive. Per cui non vi è alcuna ragione per ritenere che la giurisdizione
sulle relative controversie spetti al giudice amministrativo, anche in considerazione di quanto recentemente precisato dalla Corte costituzionale (sentenza n. 204 del 6/7/2004) che ha escluso che sia sufficiente, nel vigente assetto costituzionale, il generico coinvolgimento di un pubblico interesse nella
controversia per poterla devolvere in via esclusiva al giudice amministrativo,
dovendo essere particolari le materie da attribuire a tale giudice, nel senso
che, in assenza della specifica previsione legislativa, contemplerebbero pur
sempre, in quanto vi opera la pubblica amministrazione come autorità, la
giurisdizione generale di legittimità.
La formulazione del comma 1 attualmente risolve la questione
prevedendo la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice
Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche
335
amministrativo tutte le controversie relative anche “all’applicazione
della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di
evidenza pubblica”. La ratio risiede nel fatto che anche per l’obbligo
del rispetto dei soli principi del Trattato, comunque per quei tipi di
appalto sotto soglia si devono seguire particolari procedure di scelta
del contraente.
In riferimento alle sanzioni emesse dall’Autorità, rispetto all’art. 4,
comma 7 della legge Merloni, il termine per il ricorso è attualmente
quello ordinario di 60 giorni e non più di 30, come era per la precedente normativa (il comma 2 dell’art. 244 non ha riportato l’indicazione dei 30 giorni): la riduzione dei termini, infatti, è solo di natura
eccezionale, a pena della sua incostituzionalità.
L’art. 6, comma 19 della l. 537/93 è nell’attuale comma 3.
Utile appare richiamare qui ed in breve, il concetto di tacito rinnovo e di proroga dei contratti d’appalto.
Occorre preliminarmente ripercorrere la variegata fisionomia normativa degli ultimi anni.
Lì dove nei contratti d’appalto di servizi fosse stato previsto, accanto alla durata, che contratto stesso non sarebbe stato rinnovato o prorogato tacitamente, nulla vietava comunque la possibilità di rinnovare
in modo espresso il contratto con il contraente, lasciando così all’Amministrazione un’ampia facoltà di rinnovare o prorogare il contratto
una volta ravvisate motivate ragioni di convenienza ed opportunità.
Da ciò scaturiva un’ulteriore interpretazione, sorta dalla lettura dell’art. 44 della legge 23 dicembre 1994 n. 724, (che ha sostituito l’art. 6
della legge 24 dicembre 1993 n. 537) da cui si evinceva la possibilità
per legge di procedere ad un rinnovo o proroga espliciti del contratto
con il medesimo contraente alla scadenza contrattuale, possibilità che
peraltro trovava espressa e reiterata conferma anche in giurisprudenza
(Cons. Stato, Sez. VI, 20 febbraio 1998, n. 371Cons. Stato, Sez. II, 30
aprile 1997, n. 978;) ed ancora
ai sensi dell’art. 44 l. 23. 12. 1994, n. 724, che ha sostituito l’art. 6 della l.
24. 12. 1993, n. 537, è vietato il rinnovo tacito dei contratti delle Pubbliche
336
Capitolo IX
amministrazioni per la fornitura di beni e servizi, essendo invece consentita
la loro rinnovazione, entro tre mesi dalla scadenza, fermo restando l’accertamento della sussistenza di ragioni di convenienza e di pubblico interesse per
la detta rinnovazione (TAR Sardegna, 19. 2. 1998, n. 138);
e ancora,
la facoltà di rinnovo degli appalti di servizi della p.a. deve essere vagliata “ex
post”, in base ai presupposti esistenti e alla luce delle ragioni di convenienza
e di pubblico interesse esistenti in quel momento, entro 3 mesi dalla relativa
scadenza” (Cons. Stato, Sez. III, 4 marzo 1997, n. 269; Cons. Stato, Sez. III,
27 febbraio 1997, n. 2187).
A tale indirizzo si contrappose un’altra linea ermeneutica elaborata dal Consiglio di Stato: in particolare, il Consiglio di Stato con la
sentenza n. 921/2003 del 19/2/2003 aveva espressamente statuito, in
ragione della riforma attuata con la l. 488/1999 e, in particolare, con
gli artt. 26 e 27, che
ormai deve ritenersi implicitamente abrogato per incompatibilità l’art. 44 l.
724/94 nella parte in cui aveva previsto, alle condizioni ivi stabilite, la facoltà
di rinnovare in modo espresso i contratti per la fornitura di beni e servizi
anche per tutte le amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2 d.lgs.
29/93, e successive modificazioni.
Non potevasi disconoscere la portata innovatrice ricavabile da tale
sentenza, che superava di fatto il precedente orientamento giurisprudenziale secondo cui era pacificamente ammissibile il rinnovo espresso dei contratti di servizi ai sensi dell’art. 44 sopra citato.
Comunque, la possibilità per l’Amministrazione di concedere una
proroga del contratto rimaneva concessa a norma dell’art. 4, comma
76 della legge 24 dicembre 2003, n. 350 «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato», dove appunto
veniva sancita la possibilità di prorogare
le convenzioni stipulate, anche in deroga alla normativa vigente relativa ai
lavori socialmente utili, direttamente con i Comuni, per lo svolgimento di
Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche
337
attività socialmente utili (Asu) e per l’attuazione, nel limite complessivo di
20,937 milioni di euro, di misure di politica attiva del lavoro, riferite a lavoratori impiegati in Asu nelle disponibilità degli stessi Comuni da almeno
un triennio, nonché ai soggetti provenienti dal medesimo bacino, utilizzati
attraverso convenzioni già stipulate in vigenza dell’articolo 10, comma 3, del
decreto legislativo 1° dicembre 1997, n. 468, per un periodo che, eventualmente prorogato, non ecceda i sessanta mesi complessivi, al fine di una definitiva stabilizzazione occupazionale.
Attualmente, il dettato normativo risulta chiaramente cambiato, infatti già la stessa legge 18 aprile 2005, n. 25 «Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. legge comunitaria 2004» (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale il 27 aprile 2005, n. 96, s.o.), prevede nell’art. 23 (Disposizioni
in materia di rinnovo dei contratti delle pubbliche amministrazioni
per la fornitura di beni e servizi), che
1. L’ultimo periodo dell’articolo 6, comma 2, della legge 24 dicembre 1993,
n. 537, e successive modificazioni, è soppresso. 2. I contratti per acquisti e
forniture di beni e servizi, già scaduti o che vengano a scadere nei sei mesi
successivi alla data di entrata in vigore della presente legge, possono essere
prorogati per il tempo necessario alla stipula dei nuovi contratti a seguito di
espletamento di gare ad evidenza pubblica a condizione che la proroga non
superi comunque i sei mesi e che il bando di gara venga pubblicato entro e
non oltre novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge. 3.
I contratti che hanno ad oggetto lo svolgimento di funzioni e servizi pubblici
non ricadenti nell’ambito di applicazione dell’articolo 113 del testo unico di
cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni,
in scadenza entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge,
possono essere prorogati per una sola volta per un periodo di tempo non superiore alla metà della originaria durata contrattuale, a condizione che venga
concordata una riduzione del corrispettivo di almeno il 5 per cento. Resta
fermo che la durata dei contratti prorogati ai sensi del presente comma in
ogni caso non può superare la data del 31 dicembre 2008.
Dunque, non sembra possibile alcuna proroga ad un contratto attualmente vigente e/o di prossima scadenza, avendo già la nuova legge
338
Capitolo IX
comunitaria 2004 così disciplinato la proroga dei contratti, escludendola cioè per i casi diversi da quelli elencati nell’art. 23. Una precisazione: già la stessa legge non sembra impedire il rinnovo dei contratti,
come già è stato sostenuto da parte della dottrina sulla base di decisioni del Consiglio di Stato che si basano sulla chiara ed indiscutibile
differenza sostanziale fra proroga e rinnovo (cfr. sez. V, n. 2961/2004;
sez. V, n. 9302/2003; sez. VI, n. 1767/2003; sez. VI, n. 1767/2002).
3. Tipi di responsabilità della P.A.
Quanto ora richiamato in tema di giurisdizione apre lo scenario
alla trattazione proprio della natura della responsabilità della pubblica amministrazione lì ove la stessa abbia non rispettato norme di
azione, così causando una lesione all’interesse legittimo del privato
destinatario del provvedimento illegittimo.
Pertanto, ferma restando la risarcibilità del danno per lesione da
interesse legittimo (art. 35 della l. 205/00), occorre domandarsi che
natura giuridica abbia questa responsabilità.
A monte occorre precisare che l’amministrazione pubblica può incorrere, a seconda del suo comportamento e della fase nella quale essa
lo realizzi, in responsabilità precontrattuale e contrattuale (si pensi, all’immotivato rifiuto di stipulare un contratto d’appalto da parte della
stessa P.A., ovvero agli inadempimenti contrattuali nel caso di danno
da parte di un medico di una struttura sanitaria pubblica); per quanto riguarda invece la lesione di interesse legittimo mediante provvedimento emanato in fase di procedimento ad evidenza pubblica (ad
esempio, l’esclusione da una gara d’appalto pubblico ai sensi dell’art.
38 del Codice), la natura di tale responsabilità oscilla per la giurisprudenza fra quella di tipo contrattuale e quella propria della responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c.
Procediamo con ordine.
Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche
339
4. La responsabilità precontrattuale
Una fattispecie concreata potrebbe essere inquadrata nella responsabilità precontrattuale della Pubblica Amministrazione, ai sensi degli
articoli 1337–1338 del codice civile che impongono alle parti contraenti di assumere, ciascuna nei confronti dell’altra, una condotta improntata a buona fede e, cioè, di attivarsi ciascuna per salvaguardare
l’utilità dell’altra nei limiti di un apprezzabile sacrificio sia “nello svolgimento delle trattative” che “nella formazione del contratto”.
Invero, un provvedimento di revoca da parte di un amministrazione aggiudicatrice in ambito di appalti pubblici, il quale sia privo
di motivazione configura, ad esempio, un ingiustificato recesso dalle
trattative negoziali riconducibile, appunto, nell’alveo della responsabilità precontrattuale (ex multis, Cassazione civile, sez. III, 5 agosto
2004, n. 15040). Tali norme tutelano il contraente di buona fede che
è stato, senza sua colpa, tratto in inganno o favorito da una situazione
apparente, non conforme a quella vera sono ormai da tempo riconosciuti pienamente applicabili anche nei confronti della pubblica amministrazione; è noto infatti il principio secondo il quale
la responsabilità precontrattuale, nella misura in cui si fonda su una condotta ritenuta non conforme al precetto della buona fede e nella misura in cui
tutela in generale il corretto svolgimento della libertà contrattuale, richiama
obblighi comportamentali validi erga omnes ed incombenti perciò anche sulla p.a., la quale, vertendosi in ambito del tutto paritetico e non provvedimentale, non potrebbe al riguardo vantare alcuno statuto particolare. (ex multis,
Consiglio Stato, sez. IV, 7 marzo 2005, n. 920; Consiglio Stato, sez. VI, 19
novembre 2003, n. 7473).
Ed allora, se la violazione di dette regole si traduce, in primo luogo, nell’illegittimità dell’atto, esprime anche l’indice presuntivo della
colpa del soggetto pubblico; infatti “il contatto” procedimentale, una
volta innestato nell’ambito del rapporto amministrativo (caratterizzato da sviluppi istruttori e da un’ampia dialettica tra le parti sostanziali), impone al soggetto pubblico un preciso onere di diligenza che
340
Capitolo IX
lo rende garante del corretto sviluppo del procedimento e della sua
legittima conclusione.
Inoltre, il riconoscimento della responsabilità precontrattuale ben
può prescindere dall’annullamento degli atti eventualmente impugnati dai ricorrenti, nel momento in cui sia comunque dimostrata una
condotta dell’Amministrazione contraria ai canoni di correttezza e
buona fede, quali cause effettive del danno lamentato.
Quella che infatti viene in rilievo è l’antigiuridicità della condotta,
la quale viene oramai dalla costante giurisprudenza riconosciuta anche nel contesto dell’adozione di provvedimenti amministrativi “legittimi” (cfr. Consiglio di Stato, n. 920/2005).
Infatti, una cosa è il provvedimento emanato, che ben può essere
immune da qualsiasi vizio di legittimità e diretto alla migliore realizzazione del pubblico interesse, un’altra è il comportamento tenuto
dall’amministrazione nell’esercizio del potere, che ben può essere fonte di danno a causa delle modalità poco protettive con le quali la P.A.
sia pervenuta ad adottare il detto provvedimento.
Ebbene, la valutazione della colpa dovrà quindi riferirsi ai parametri
di negligenza o imperizia della PA intesa come apparato, che sarà configurabile nel caso in cui l’adozione e l’esecuzione del provvedimento
amministrativo (per ipotesi legittimo) sia accompagnato da una condotta
contraria o non conforme al precetto di buona fede, come canone generale posto a tutela del corretto svolgimento della libertà contrattuale.
Ed allora ciò che viene in rilievo è esclusivamente il diritto dell’impresa a pretendere dall’Autorità Pubblica un comportamento in contrahendo ispirato a quel canone di buona fede già prefissato dall’art.
1337 c.c.
indipendentemente dalla sorte dell’atto amministrativo di recesso il quale si
colloca su un piano diverso, come insegnato dalla giurisprudenza della Corte
di Cassazione, che distingue i doveri del buon amministratore dagli obblighi
del buon contraente (cfr. Consiglio di Stato, n. 920/2005).
In tal senso, il danno non è conseguenza immediata e diretta dell’attività provvedimentale in sé, ma delle modalità con le quali essa è stata
Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche
341
realizzata: conseguentemente la misura riparatoria ben può avere una
vita autonoma rispetto alle vicende che riguardano l’attività amministrativa, non essendo alle stesse minimamente correlata.
Alla luce di quanto ora richiamato a proposito della responsabilità
precontrattuale dell’amministrazione, si rinvia a quanto già esaminato
in relazione agli artt. 11 e 12 del Codice per la sua rilevanza in tema di
appalti pubblici.
5. Ancora sulla responsabilità precontrattuale
Per meglio comprendere la valenza giuridica della c.d. responsabilità precontrattuale o culpa in contrahendo, occorre approfondire
ulteriormente la tematica; a tal fine possono essere utili le ulteriori e
seguenti brevi considerazioni.
L’art. 1337 c.c. regola le trattative e la responsabilità precontrattuale: “Le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione
del contratto, devono comportarsi secondo buona fede”
La responsabilità esiste solo se l’altra parte abbia confidato senza
sua colpa nella validità del contratto: lo prescrive l’art. 1338 – Conoscenza delle cause d’invalidità: “La parte che, conoscendo o dovendo conoscere l’esistenza di una causa d’invalidità del contratto,
non ne ha dato notizia all’altra parte è tenuta a risarcire il danno da
questa risentito per avere confidato, senza sua colpa, nella validità
del contratto”.
Sotto un profilo strettamente letterale, nella disposizione contenuta
nell’art. 1337 c.c. la condotta regolata dalla buona fede è dovuta sia “nello svolgimento delle trattative” sia “nella formazione del contratto”.
La sussistenza di una differenza fra i due momenti espressi dalla
norma in parola rende pertanto possibile giuridicamente di configurare una responsabilità per lesione dell’altrui diritto anche nella fase
antecedente a quella in cui la progressiva formazione del contratto si
sia invece già manifestata e concretizzata mediante contatti protesi
ormai strettamente al prossimo accordo.
342
Capitolo IX
Più in particolare, la responsabilità si configura a carico della parte
che durante le trattative, tali ormai da far sussistere il ragionevole affidamento sul perfezionamento del contratto (Cass. civ., n. 11438/04)
senza giustificato motivo le interrompa; ovvero si configura nel caso
in cui sia stata svolta attività dal contraente con il miraggio causatogli
dall’altra parte di una contrattazione, ovvero nel caso dell’inefficacia
del contratto che mai sarebbe stato concluso da una parte se l’altro
contraente avesse usato la correttezza dovuta11.
In tal senso, la giurisprudenza ha precisato che, “in tema di responsabilità precontrattuale, ai sensi dell’art. 1337 c.c., se lo svolgimento
delle trattative è, per serietà e concludenza, tale da determinare un affidamento nella stipulazione del contratto, la parte che ne receda senza
giusta causa, violando volontariamente l’obbligo di comportarsi secondo buona fede, è tenuta al risarcimento dei danni nei limiti dell’interesse negativo” (Cassazione civile, sez. III, 18 luglio 2003, n. 11243);
ed ancora:
Perché possa ritenersi integrata la responsabilità precontrattuale, è necessario
che tra le parti siano in corso trattative; che le trattative siano giunte ad uno
stadio idoneo a far sorgere nella parte che invoca l’altrui responsabilità il ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto; che la controparte, cui
si addebita la responsabilità, interrompa le trattative senza un giustificato motivo; che, infine, pur nell’ordinaria diligenza della parte che invoca la responsabilità, non sussistano fatti idonei ad escludere il suo ragionevole affidamento
sulla conclusione del contratto (Cassazione civile, sez. lav., 18 giugno 2004, n.
11438; vedi anche Cassazione civile, sez. III, 10 agosto 2002, n. 12147).
Importante è sottolineare che l’art. 1337 c.c. “costituisce applicazione
specifica del più generale principio di correttezza che è diretto a improntare dello spirito di buona fede tutto il campo delle obbligazioni (art.
1175)” (A. Trabucchi, Istituzioni di diritto civile, XXXVIII, p. 652).
L’art. 1337 c.c. è dunque una norma mediante la quale vengono legate fra loro la violazione della buona fede e la responsabilità: A. Tra11.
A. Trabucchi, Istituzioni di diritto civile, XXXVIII, p. 653
Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche
343
bucchi aveva già scritto che «dottrina e giurisprudenza stanno prendendo coscienza del giusto valore di questa norma, che è destinata ad
una vastissima applicazione»12.
E proprio alla luce del fatto che, oltre alle ipotesi espressamente
previste dalla legge, le altre rientrano vieppiù nella generale previsione
ex art. 1337 c.c., sia la dottrina sia la giurisprudenza hanno individuato in sede interpretativa una serie di ipotesi concrete di responsabilità
precontrattuale.
Ma non solo.
Infatti, la dottrina, oltre ad una ermeneutica minoritaria secondo la
quale la natura della responsabilità precontrattuale consiste in quella
“contrattuale” ex art. 1218 c.c. (le trattative farebbero sorgere una
relazione giuridicamente rilevante tra le parti e pertanto la violazione
non ricadrebbe nell’ipotesi della responsabilità extracontrattuale, ex
art. 2043 c.c., che sussiste invece fra soggetti non legati prima dell’illecito da rapporto), ha vieppiù letto la natura della responsabilità
precontrattuale come species della responsabilità extracontrattuale (o
“aquiliana”) ex art. 2043 c.c.:
perché essa trova il suo fondamento nella violazione di un generale dovere di
condotta, indipendentemente dalla preesistenza di una specifica obbligazione da adempiere nei confronti di una controparte13.
In tal senso, si è qui del parere che tale secondo orientamento abbia
elementi di maggior correttezza rispetto a quello basato sulla natura
contrattuale.
Anche la giurisprudenza ha affermato che “la responsabilità precontrattuale, configurabile per violazione del precetto posto dall’art.
1337 c.c. — a norma del quale le parti, nello svolgimento delle trattative contrattuali, debbono comportarsi secondo buona fede — costituisce una forma di responsabilità extracontrattuale, che si collega
alla violazione della regola di condotta stabilita a tutela del corretto
12.
13.
Istituzioni, op. cit., p. 652.
A. Trabucchi, Istituzioni, op. cit., p. 653.
344
Capitolo IX
svolgimento dell’”iter” di formazione del contratto, sicché la sua sussistenza, la risarcibilità del danno e la valutazione di quest’ultimo debbono essere vagliati alla stregua degli art. 2043 e 2056 c.c., tenendo
peraltro conto delle caratteristiche tipiche dell’illecito in questione”
(Cassazione civile, Sez. Un., 16 luglio 2001, n. 9645).
Tali distinzioni circa la riconoscibilità dell’una o dell’altra natura
giuridica della responsabilità precontrattuale non sono meramente
astratte o accademiche, infatti dall’una o dall’altra configurazioni discendono opposte conseguenze, soprattutto in termini di prescrizione
(quinquennale ex art. 2947 c.c. per l’art. 2043 c.c.) e di inversione
dell’onere probatorio.
In riferimento al risarcimento del danno subìto dal contraente,
esso viene limitato al c.d. interesse negativo, cioè “id quod interest
contractum initum non fuisse” che è pari alla diminuzione patrimoniale a sèguito della contrattazione o dell’affidamento alle trattative
(danno emergente) e al vantaggio che la parte lesa avrebbe comunque ottenuto con altro contratto (lucro cessante)14. In giurisprudenza
è stato affermato chiaramente che: “in tema di responsabilità ex art.
1337 c.c., l’ammontare del danno va determinato tenendo conto della
peculiarità dell’illecito e delle caratteristiche della responsabilità stessa, la quale, nel caso d’ingiustificato recesso dalle trattative, postula il
coordinamento tra il principio secondo il quale il vincolo negoziale
sorge solo con la stipulazione del contratto e l’altro secondo il quale
le trattative debbono svolgersi correttamente. Ne consegue che nelle
ipotesi di culpa in contrahendo il danno risarcibile non comprende
quanto la parte avrebbe ricavato dalla stipula del contratto, ma è rappresentato unicamente dalle perdite che sono derivate dall’aver fatto
affidamento nella conclusione del contratto e nei mancati guadagni
verificatisi in conseguenza delle altre occasioni contrattuali perdute (il
cosiddetto “interesse negativo”)” (Cassazione civile, sez. III, 10 giugno 2005, n. 12313); ed ancora: “in tema di responsabilità precontrattuale la liquidazione del danno va operata applicando l’art. 1223 c.c.,
14.
Cfr. A. Trabucchi, Istituzioni, op. cit. p. 653.
Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche
345
essendo pertanto riconoscibili sia il danno emergente, sia quello da
lucro cessante. La liquidazione deve, peraltro, avvenire tenendo conto
delle caratteristiche di detta responsabilità, onde non possono essere
risarciti i danni che sarebbero derivati dall’inadempimento del contratto, atteso che quest’ultimo non si è concluso e che l’interesse leso
— cioè l’affidamento — consiste nel cosiddetto “interesse negativo”.
Il danno per lucro cessante può essere costituito anche dal pregiudizio
economico derivante dalla rinunzia alla stipulazione di un contratto
avente contenuto diverso rispetto a quello per cui si sono svolte le
trattative, tenuto conto che l’art. 1337 c.c. tutela non tanto l’interesse
a perfezionare la trattativa quanto quello a non averla iniziata, con
conseguente perdita di occasioni favorevoli” (Cassazione civile, sez.
III, 23 febbraio 2005, n. 3746).
6. Natura della responsabilità dell’amministrazione: contrattuale da
contatto ed extracontrattuale
Come già anticipato, la responsabilità dell’amministrazione in fase
di procedimenti concorsuali, come quello delle procedure ad evidenza
pubblica in materia di appalti di lavori, servizi e forniture può assumere due parallele vesti interpretative, a seconda della tesi che si intenda
seguire e dalla quale scaturiscono importanti conseguenze sul piano
strettamente processuale (si pensi alla prescrizione ed all’inversione
dell’onere probatorio che sussistono nel confronto fra l’art. 1218 c.c.
e l’art. 2043 c.c.).
Infatti, prendendo le mosse dalla nota Decisione del Consiglio di
Stato, sez. VI n. 1945/2002, ampiamente commentata dalla dottrina15,
si può ripercorrere l’iter ermeneutico in materia:
15. V. Capuzza, Natura giuridica della responsabilità della pubblica amministrazione fra interpretazione del diritto e filologia. Risarcimento del danno ed invalidità
dell’atto come poli dialettici della questione, in «Rivista Amministrativa della Repubblica Italiana», 9/2003, pp. 973–989.
346
Capitolo IX
Giova premettere che la individuazione del danno ristorabile è destinata ad
essere consistentemente condizionata dall’approccio che si ritiene di dover
seguire con riguardo al complesso tema della natura giuridica della responsabilità dell’amministrazione.
Diverso, infatti, può essere il danno risarcibile e il concreto procedimento
da seguire per il suo accertamento a seconda che si qualifichi la responsabilità dell’amministrazione come aquiliana, contrattuale da contatto o, ancora,
precontrattuale.
La prima soluzione è quella accolta nella sentenza n. 500/99 con la quale le
Sezioni Unite di Cassazione, rilevato che “la lesione dell’interesse legittimo è
condizione necessaria, ma non sufficiente, per accedere alla tutela risarcitoria
ex art. 2043 c.c.”, attesa la necessità che risulti leso, per effetto dell’attività
illegittima e colpevole della P.A., l’interesse “al bene della vita al quale l’interesse legittimo si correla, e che il detto interesse al bene risulti meritevole
di tutela alla luce dell’ordinamento positivo”, hanno ritenuto di dover distinguere tra interessi oppositivi, incondizionatamente risarcibili, ed interessi
pretensivi, in relazione ai quali, invece, hanno preteso il giudizio prognostico
sulla spettanza del bene della vita invano chiesto all’amministrazione.
Si tratta di opzione ricostruttiva di recente rimeditata dalla stessa Corte di
Cassazione con sentenza 10 gennaio 2003, n. 157, pronunciata nella causa
Vitali c. Comune di Fiesole, nel corso della quale era già intervenuta, in sede
di regolamento di giurisdizione, la citata sentenza n. 500 del 1999.
Nel prendere le distanze dalla pronuncia n. 500 del 1999, la prima Sezione
della Corte di Cassazione osserva che “nel dibattito sull’eterno problema del
risarcimento da lesione dell’interesse legittimo s’insinua probabilmente oggi,
a differenza che in passato, il disagio di misurare il contatto dei pubblici
poteri con il cittadino secondo i canoni del principio di autorità, della presunzione di legittimità dell’atto amministrativo, e in definitiva emerge l’inadeguatezza del paradigma della responsabilità aquiliana.
In particolare, soggiunge la Corte di Cassazione,
il contatto del cittadino con l’Amministrazione è oggi caratterizzato da uno
specifico dovere di comportamento nell’ambito di un rapporto che in virtù
delle garanzie che assistono l’interlocutore dell’attività procedimentale, diviene specifico e differenziato.
Tali interessi, di partecipare al procedimento, di vederlo concluso tempestivamente e senza aggravamenti, di poter accedere ai documenti in possesso
Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche
347
dell’Amministrazione, di vedere prese in esame le osservazioni presentate, di
veder motivata la decisione che vanifica l’aspettativa, costituirebbero, secondo una lettura estrema, veri e propri diritti soggettivi, tutelati in quanto tali,
e non situazioni strumentali alla soddisfazione di un interesse materiale che
verrebbe quindi protetto sub specie di interesse legittimo.
Da qui la conclusione secondo cui
il fenomeno, tradizionalmente noto come lesione dell’interesse legittimo, costituisce in realtà inadempimento alle regole di svolgimento dell’azione amministrativa, ed integra una responsabilità che è molto più vicina alla responsabilità contrattuale nella misura in cui si rivela insoddisfacente, e inadatto
a risolvere con coerenza i problemi applicativi dopo la sentenza Cassazione
500/99/SU, il modello, finora utilizzato, che fa capo all’articolo 2043 cod.
civ.: con le relative conseguenze di accertamento della colpa.
I Giudici della prima Sezione concludono, quindi, per la risarcibilità del danno a prescindere dalla spettanza del bene della vita osservando che,
l’interesse al rispetto di queste regole, che costituisce la vera essenza dell’interesse legittimo, assume un carattere del tutto autonomo rispetto all’interesse
al bene della vita: l’interesse legittimo si riferisce a fatti procedimentali. Questi a loro volta investono il bene della vita, che resta però ai margini, come
punto di riferimento storico.
La Corte di Cassazione pare aderire, quindi, alla tesi dottrinale che qualifica
la responsabilità dell’Amministrazione per attività provvedimentale come responsabilità contrattuale nascente dall’inadempimento di una obbligazione
senza prestazione, comunque non ricollegata alla lesione dell’utilità finale cui
aspira il privato ma derivante dalla sola violazione di quei particolari obblighi
stabiliti ex lege ed il cui rispetto è funzionale alla garanzia dell’affidamento
del privato sulla legittimità dell’azione amministrativa.
Tesi, per vero, già presa in considerazione dalla giurisprudenza amministrativa
e da questa stessa Sezione, che pure hanno talvolta ricollegato la responsabilità
dell’Amministrazione alla sola violazione degli obblighi di correttezza comportamentale sulla stessa gravanti, ed alla compromissione, quindi, della situazione
soggettiva di affidamento vantata dal privato.
In particolare, con decisione 8 luglio 2002, n. 3796, la quinta Sezione, pronunciandosi su domanda di risarcimento del danno asseritamente subito per
348
Capitolo IX
effetto dell’aggiudicazione di un contratto di appalto a diversa impresa (aggiudicazione successivamente riconosciuta illegittima con sentenza passata in
giudicato), ha riconosciuto che la responsabilità della p.a. presenta profili sui
generis che ne consentirebbero, in taluni casi, l’accostamento alla responsabilità per inadempimento contrattuale.
Ciò in quanto,
la responsabilità aquiliana presuppone, di regola, una lesione dall’esterno
della posizione giuridica della parte interessata, ossia derivante da condotte
di soggetti non legati da una precedente relazione giuridica, mentre la vicenda procedimentale destinata a concludersi con il provvedimento che amplia
la sfera giuridica del privato è caratterizzata dallo svolgimento di un complesso rapporto amministrativo, nel quale sono individuabili particolari obblighi
di comportamento del soggetto pubblico.
Ancora, più di recente, con decisione 20 gennaio 2003, n. 204, la sesta Sezione, chiamata a pronunciarsi su una domanda di risarcimento del danno
provocato dalla Soprintendenza per i beni ambientali che aveva annullato,
per vizi di merito, il nulla–osta paesistico rilasciato dalla Regione, ha rilevato
che
allorché il privato sia titolare di un interesse legittimo di natura pretensiva, il
contatto che si stabilisce fra lui e l’Amministrazione dà vita ad una relazione
giuridica di tipo relativo, nel cui ambito il diritto al risarcimento del danno
ingiusto, derivante dall’adozione di provvedimenti illegittimi presenta una
fisionomia sui generis, non riducibile al modello aquiliano dell’articolo 2043
del codice civile, in quanto, al contrario, caratterizzata da alcuni tratti della
responsabilità precontrattuale e di quella per inadempimento delle obbligazioni.
La questione, come è noto, non è stata risolta dalla recente pronuncia
dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 14 febbraio 2003, n. 2, che ha
respinto l’appello proposto senza affrontare il tema relativo alla natura della
responsabilità della p.a.
L’adesione all’una o all’altra impostazione teorica è foriera, peraltro, di consistenti implicazioni di tipo applicativo.
Nel dettaglio, l’accoglimento della tesi favorevole ad inferire la responsabilità dalla sola violazione dell’obbligo di correttezza ed, in specie di
quella che la qualifica come contrattuale, ha molteplici conseguenze con
Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche
349
riferimento, in particolare, alla distribuzione tra le parti dall’onere di
provare la colpa, al termine di prescrizione, al calcolo di interessi e rivalutazione, nonché, per quel che in questa sede più conta, alla possibilità
di concedere il risarcimento anche a prescindere dal giudizio prognostico sulla spettanza del bene della vita.
A quest’ultimo riguardo, in particolare, una volta ammesso che la responsabilità sanzioni l’inadempimento di quel generico dovere sorto in relazione al
“contatto procedimentale”, il danno finisce per essere individuato nelle perdite economiche subite in conseguenza dell’illegittimità, e, più in generale,
della scorrettezza a prescindere dalla spettanza del bene della vita.
Mutano, di conseguenza, i presupposti necessari affinché venga concessa
tutela risarcitoria: il danno non consiste più, come affermato la Cassazione
nella sentenza n. 500/1999, nella lesione dell’interesse a un bene della vita,
meritevole di tutela, al quale l’interesse legittimo si correla, ma nell’inadempimento degli obblighi sorti da un “contatto amministrativo” qualificato,
tale, cioè, da ingenerare nel privato un obiettivo affidamento.
L’incertezza circa la spettanza del bene della vita, che nella concezione accolta dalla sentenza n. 500 preclude il risarcimento, perde quindi, almeno in
parte, il suo originario rilievo: il danno ristorabile, infatti, non è più ricondotto alla sola perdita dell’utilità sostanziale cui il privato aspira, ma, prima
ancora, all’inadempimento del rapporto che si genera in relazione all’obbligo
imposto dalla norma.
Ciò posto, non può essere obliterato che, non di rado, la pretesa risarcitoria,
in specie quando azionata da soggetti che entrano in contatto con l’Amministrazione in quanto portatori di interessi economici di rilievo, non ha ad oggetto il mero pregiudizio derivante dalla violazione dell’obbligo di comportamento imposto all’amministrazione, a prescindere quindi dalla soddisfazione
dell’interesse finale, ma, al contrario, proprio il pregiudizio connesso alla
preclusione dall’Amministrazione frapposta alla realizzazione del bene finale
anelato.
In ipotesi siffatte, al Giudice non è consentito eludere la domanda, pena
un’inammissibile vanificazione del principio di responsabilità dell’Amministrazione e un’inaccettabile banalizzazione della tutela risarcitoria; con maggiore impegno esplicativo, la ricostruzione della responsabilità dell’Amministrazione in termini di responsabilità derivante dalla mera violazione degli
obblighi imposti a presidio dell’affidamento del privato, meritoria laddove
consente di ristorare in via equitativa il pregiudizio anche nelle ipotesi in
cui non si riesca a comprovare la spettanza dell’utilità finale, non può certo
condurre ad un abbattimento della portata rimediale della tutela ristorato-
350
Capitolo IX
ria, precludendo al privato di invocare, dimostrandolo anche con riguardo
al quantum, il risarcimento del danno pieno, subito per effetto del mancato
conseguimento del bene della vita.
In queste ipotesi il giudice non può né eludere la domanda, né tanto meno
accoglierla a prescindere dalla formulazione di un giudizio, laddove possibile,
sulla certa o statisticamente probabile spettanza del bene dell’utilità finale. Al
più può sostenersi che siffatto giudizio finisca per attenere più direttamente
alla quantificazione del danno ristorabile.
Ciò posto, ed in attesa di verificare i futuri approdi interpretativi ed applicativi dell’odierno Giudice del risarcimento, la Sezione ritiene che debba tenersi conto della specificità del caso di specie nel quale l’appellante incidentale
chiede il ristoro del danno inteso nella sua pienezza.
Proprio recentemente, il TAR Lazio– Latina, con la sentenza
del 24 aprile 2007, n. 291 ha espresso un altro importante punto
in relazione alla rilevanza della domanda; infatti, il giudice amministrativo dapprima hanno ribadito la sussistenza delle due vie percorribili per definire la natura della responsabilità della P.A., nel
senso che la responsabilità dell’amministrazione conseguente alla
emanazione di un atto illegittimo può essere ricostruita sia come
violazione dei doveri connessi al “contatto procedimentale” con il
privato (con conseguente identificazione del danno con i pregiudizi economici conseguenti alla illegittimità e a prescindere dalla
“utilità finale” desiderata) che come responsabilità aquiliana conseguente alla lesione dell’interesse legittimo cui si correla la utilità
finale — è evidente che le voci di danno richieste e cumulate dalla
ricorrente scontano una commistione tra questi due approcci.
Quindi il TAR ha concluso che:
Se ci si pone nella prospettiva della responsabilità per violazione dei doveri
connessi al contatto procedimentale, il danno risarcibile (secondo lo schema
del cd. interesse negativo tipico della responsabilità precontrattuale) sarebbe costituito dalle spese sopportate nell’ambito del procedimento (danno
emergente) e dalla perdita di altre possibili opportunità di guadagno (lucro
cessante); se invece ci si colloca nella prospettiva della responsabilità aquiliana per lesione dell’interesse legittimo e perdita della utilità finale, a parte la
Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche
351
esigenza — allorchè vengano in rilievo interessi di tipo pretensivo — di un
giudizio prognostico in ordine alla effettiva spettanza della utilità finale, il
danno risarcibile sarebbe costituito dalla perdita dei guadagni che sarebbero
derivati dal conseguimento della utilità medesima al netto dei relativi costi.
In forza di tali considerazioni, poi, il TAR Lazio ha concluso che:
Se si qualifica come reintegrazione in forma specifica anche la rinnovazione
dei provvedimenti annullati, si deve concludere che il giudicato demolitorio–conformativo soddisfa direttamente e pienamente l’interesse azionato e
preclude l’esercizio della pretesa risarcitoria generica, quando il provvedimento controverso non ha prodotto effetti irreversibili ed intangibili ed è,
quindi, ancora possibile l’assegnazione al ricorrente (per via amministrativa)
dell’utilità giuridica od economica alla quale egli aspira; al contrario, quando
il conseguimento del bene della vita è divenuto ormai impossibile resta riservata all’iniziativa del danneggiato la scelta tra il risarcimento per equivalente
e la reintegrazione in forma specifica — la quale, tuttavia, sarà di difficile
configurazione ed attuazione — senza che l’omessa richiesta della tutela reintegratoria implichi una preclusione nella concessione del risarcimento per
equivalente.
7. La responsabilità amministrativo–contabile
Infine, considerato quanto ora detto appare utile qualche accenno
relativamente al profilo delle eventuali responsabilità dei dipendenti
pubblici, fornendo il quadro normativo attuale in materia.
Innanzitutto, c’è da precisare che a seguito delle innovazioni legislative intervenute in tema di responsabilità amministrativo–contabile
è stato chiaramente stabilito che l’accertamento di tale responsabilità,
sottoposto alla giurisdizione della Corte dei Conti, è limitato ai fatti
commessi con dolo o colpa grave e che pertanto tali profili soggettivi
devono essere valutati di volta in volta e nella loro concreta e precisa
manifestazione.
Il Legislatore, pertanto, con l’innalzamento della soglia di rilevanza dell’elemento psicologico mediante l’espressa previsione
352
Capitolo IX
contenuta nell’art. 3 del d. l 543/1996, ha fatto sì che il comportamento tenuto dal pubblico dipendente debba sostanziarsi in un
palese distacco o in una sprezzante trascuratezza delle regole amministrative; quindi, soltanto in tali termini viene a concretarsi un
comportamento giuridicamente perseguibile a livello amministrativo. L’evoluzione del concetto di responsabilità ha così determinato che la condotta cui è riconducibile l’evento dannoso per l’erario,
debba potersi qualificare come “gravemente colposa”. Inoltre, il
concetto di responsabilità amministrativa negli ultimi anni ha visto
accentuarsi il rilievo del “nesso di causalità”, di derivazione penalistica (artt. 41 e 42 del codice penale), ed anche legato all’art. 1223
codice civile.
Si tratta di verificare, di volta in volta, il rapporto di causa ed effetto
che intercorre tra la colpa grave (elemento soggettivo), le modalità di
comportamento, azione od omissione ed il danno subito dall’amministrazione (elemento oggettivo). Il rapporto causale, dunque, consiste
nel legame sussistente fra la condotta tenuta dall’indagato e l’evento;
in particolare, l’attore del fatto da cui si genera la responsabilità amministrativa del funzionario o del dipendente pubblico sarà appunto
responsabile solamente se la condotta da lui tenuta ha causato l’evento da cui sia scaturito il danno all’erario. In molti casi risulta difficoltoso stabilire la sussistenza del nesso causale. Per la configurazione
della responsabilità amministrativa, occorre sia l’inadempimento di
obblighi di servizio, fondati appunto nel rapporto di servizio (cfr. anche l’allargamento ex art. 1, comma 4 della l. 20/94), sia il danno erariale, cioè il deterioramento o la perdita di denaro o altri beni (danno
emergente), oppure nella mancato incremento patrimoniale che l’ente
avrebbe ottenuto (lucro cessante).
Interessante in questo contesto è considerare il contenuto del recente disposto dell’art. 2–bis inseriro dalla l. 69/09 alla l. 241/90 (c.d.
legge sul procedimento amministrativo):
Conseguenze per il ritardo dell’amministrazione nella conclusione del procedimento)
Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche
353
1. Le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’articolo 1, comma
1–ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del
procedimento.
2. Le controversie relative all’applicazione del presente articolo sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Il diritto al
risarcimento del danno si prescrive in cinque anni.
Come è evidente, si tratta del paradigma legale della c.d. responsabilità aquiliana (ex art. 2043 del codice civile): danno ingiusto; dolo o
colpa; inosservanza della disposizione del termine di conclusione del
procedimento (ex art. 2 legge 241/90 così come modificato dalla l.
69/09); prescrizione quinquennale.
Parte II
L’esecuzione del contratto
Capitolo X
Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche
1. Le situazioni giuridiche soggettive attive
Le norme giuridiche dettate dal Legislatore1 per disciplinare i rapporti tra i privati, sono contenute nel codice civile e nelle leggi speciali
afferenti la materia privatistica. È bene però anche precisare che nel
settore pubblicistico, talvolta, si assiste ad una mutuazione di forme già
esistenti nel diritto privato, trasformate nei contenuti per meglio adattare il paradigma legale alla ratio legis pubblicistica; un esempio è possibile individuarlo nella figura di appalto pubblico, il quale nasce quasi
come forma speciale, sub alterum graduum, dell’appalto civilistico.
Ma a questo punto bisogna compiere alcune considerazioni sempre più specifiche.
Cominciamo con il dire che non tutte le situazioni che avvengono
naturalmente, sono oggetto di interesse del diritto, infatti il camminare
lungo una strada, il discorrere con alcune persone amiche, il guardare
il cielo sono sì delle situazioni naturali ma non situazioni giuridiche,
cioè giuridicamente rilevanti.
Dunque, tutte le situazioni giuridiche sono anche situazioni naturali, ma non tutte le situazioni naturali sono pure situazioni giuridiche.
Definiremo, pertanto, rapporto giuridico quella situazione rilevan1.
Per quanto qui segue, cfr. V. Capuzza, Appunti di dirtto amministrativo. Lezioni agli
Studenti, Scuola IaD, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, IV edizione, 2009.
357
358
Capitolo X
te per il diritto, in cui si instaura una relazione fra due o più soggetti o
fra un soggetto ed una cosa.
Consideriamo ora nel maggior dettaglio le situazioni giuridiche
e poi il concetto giuridico di soggetto (tratteremo insieme gli aspetti
giuridici di persona fisica e di persona giuridica).
Le situazioni giuridiche sono sempre soggettive, cioè fanno capo
alle persone fisiche o giuridiche; esse possono distinguersi in un lato
attivo (cioè di diritti e altre situazioni di vantaggio) ed in un lato passivo (cioè di doveri o di altre situazioni di subjectione).
Fra le situazioni giuridiche soggettive attive ci sono:
a) diritti soggettivi;
b)interessi legittimi.
2. I diritti soggettivi
La norma è un precetto, è quindi diritto oggettivo (norma agendi);
invece, quando si è nella dimensione soggettiva, cioè del ius est facultas agendi, siamo dinnanzi i diritti soggettivi. Essi si possono definire
come quelle situazioni giuridiche soggettive attive in cui vi è la «signoria del volere, il potere di agire (agere licere) per il soddisfacimento
del proprio interesse, protetto dall’ordinamento giuridico»2.
La natura di tali diritti, che hanno origine secolare e che sono
il motivo generale di tutte le norme giuridiche per cui si stabilisce
l’equilibrio (o equità) nel riconoscere ove esista diritto e ove esista
un dovere in capo ad un altro consociato, è complessa e così in sintesi strutturata.
I diritti soggettivi si possono distinguere in base a tre generali caratteristiche dalle quali scaturiscono altre classificazioni; essi possono essere:
2.
cfr. Torrente, Schlesinger, Manuale di diritto privato, ed. Giuffrè, XV, p. 63.
Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche
359
a) patrimoniali e non patrimoniali;
1) nei diritti soggettivi patrimoniali, cioè suscettibili di valutazione economica, troviamo:
– i diritti reali: si riferiscono a situazioni di vantaggio su cosa
propria (ad esempio la proprietà) o altrui (ad esempio,
usufrutto, servitù);
– i diritti di credito: sono quelle situazioni nelle quali un
soggetto (creditore) ha la pretesa giuridicamente vincolante nei confronti di un altro soggetto (debitore) acché
quest’ultimo assuma un determinato comportamento
(prestazione) ad esclusivo vantaggio del creditore. Dal lato
passivo, questa relazione diviene obbligazione per il debitore, ma su questo bisognerà tornare;
b)assoluti e relativi: assoluti significa che i diritti soggettivi valgono
come tali nei confronti di tutti (erga omnes), mentre quelli relativi fanno riferimento solo ad alcuni soggetti. Basta riflettere un
po’ per individuare subito nei diritti assoluti quelli reali; mentre
fra i diritti relativi si individueranno i diritti di credito (infatti il
debitore ha obbligazione unicamente nei confronti di quel creditore e non con altri per la medesima prestazione in oggetto);
c) trasmissibili ed intrasmissibili: nella prima categoria rientrano
ovviamente i diritti patrimoniali, nella seconda i diritti non patrimoniali.
3. Le obbligazioni
L’obbligazione è il vincolo da parte di un soggetto (debitore) di
compiere una determinata prestazione di natura patrimoniale a vantaggio di un altro soggetto (creditore). La materia è disciplinata dal
codice civile che stabilisce la patrimonialità dell’obbligazione, cioè
la sua natura sempre economicamente valutabile; ma questo concetto non appare completamente nuovo, atteso che poc’anzi abbiamo
360
Capitolo X
esaminato la patrimonialità dei diritto soggettivi di credito, i quali
altro non sono che il medesimo concetto giuridico visto però dalla
visuale della situazione giuridica soggettiva attiva (diritto soggettivo,
di credito), mentre l’obbligazione è la visuale dal lato della prestazione (/o delle prestazioni) da adempiere per parte del debitore (/o
dei debitori).
Come si forma l’obbligazione? Come nasce? Quali sono le sue fonti? Il codice civile stabilisce che l’obbligazione può nascere da:
1. fatto illecito;
2. contratto;
3. ogni altro atto o fatto giuridico che l’ordinamento giuridico riconosce come idonei a creare obbligazioni.
Occorre fissare l’attenzione al contratto anche con la considerazione della mutuabilità che la materia pubblicistica ha, soprattutto in
questi ultimi tempi, attuato con il desumere modelli tradizionalmente
civilistici per porli, con contenuti di specialità, a paradigma di alcuni
istituti pubblici (si pensi alla figura del contratto d’appalto).
L’art. 1321 c.c. definisce il contratto come l’accordo di due o più
parti finalizzato a costituire, a regolare o ad estinguere un determinato
rapporto giuridico patrimoniale. Ci sono determinati elementi previsti dalla legge, che formano il contratto e senza i quali si avrebbe come
effetto la patologia della nullità del contratto stesso. Tali elementi cosiddetti essenziali sono:
1. l’accordo delle parti;
2. la causa;
3. l’oggetto;
4. la forma.
1. l’accordo delle parti è la manifestazione del consenso delle parti
finalizzato a concludere (cioè perfezionare, quindi a dare inizio)
il contratto. Sul concetto del reciproco riconoscimento delle vo-
Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche
361
lontà delle parti contraenti si fondano molte considerazioni, le
quali hanno interessato nel tempo giuristi e filosofi del diritto;
2. la causa è la funzione sociale ed economica del contratto, cioè lo
scopo oggettivo che la legge ha fissato; pertanto la causa deve essere tipica e lecita (cioè non contraria a norme imperative). La causa
va tenuta nettamente distinta dai motivi, che sono gli scopi soggettivi e quindi molteplici per i quali ciascuna persona assume quel
determinato comportamento, il quale pertanto è irrilevante in sé a
livello giuridico. Ad esempio: in un contratto di lavoro subordinato la causa tipica è la determinata attività del lavoratore retribuita
da parte del datore; invece i motivi possono essere diversi (quelli
del lavoratore possono essere il guadagno, la carriera, ecc.);
3. l’oggetto è il contenuto del contratto ed anch’esso deve avere
tre caratteristiche: lecito, possibile, determinato o determinabile. Esiste anche un contenuto cosiddetto naturale, cioè quello
che opera direttamente dalla legge (ope legis) anche quando le
parti non lo esprimono direttamente;
4. la forma è la manifestazione all’esterno dell’accordo delle parti. Nel diritto privato, così come nel diritto amministrativo per
quanto riguarda l’atto della Pubblica Amministrazione (che
pertanto possiede i medesimi elementi essenziali — ed anche
accidentali — del contratto !) vige il principio della libertà delle forme, cioè il contratto non deve avere obbligatoriamente la
forma scritta, eccetto però per quei contratti cosiddetti a forma
vincolata, che obbligatoriamente devono essere conclusi in forma scritta: ad esempio, la compravendita di beni immobili; il
contratto d’affitto di abitazione ad uso privato, dopo l’entrata in
vigore della legge 431/98.
Questi elementi essenziali sono previsti dall’art. 1325 c.c.
Esistono anche i cosiddetti elementi accidentali del contratto (o
clausole accidentali), che sono quegli elementi che le parti possono
prevedere per meglio far aderire lo scopo del contratto alla propria
volontà. Tali elementi sono tre:
362
Capitolo X
1. condizione;
2. termine;
3. modo.
Esaminiamoli brevemente.
1. la condizione è un elemento futuro ed incerto, al verificarsi del
quale o scaturiscono degli effetti giuridici (sospensiva) o quest’ultimi cessano (risolutiva);
2. il temine è un elemento futuro e certo nel suo termine iniziale e
nel suo termine finale; ad esempio, il contratto d’assicurazione,
che ha efficacia a far data dal 1° gennaio fino al 31 dicembre.
3. il modo è una limitazione, nel senso che è un onere (come si è
già detto, non una delle situazioni giuridiche soggettive passive!) facente capo al beneficiario in un atto unilaterale a titolo
gratuito; ad esempio, Tizio dona il proprio terreno al comune
con l’onere di costruzione di un parco giochi.
4. Gli interessi legittimi
Esistono tre distinti ambiti in cui ricondurre la violazione attuata
dalla P.A. con l’emanazione di un provvedimento.
Il provvedimento può violare:
1. norme attributive di potere in astratto, cioè nella fattispecie
astratta la legge non ha mai considerato l’attribuzione di un determinato potere in capo ad un singolo settore della P.A.;
2. norme attributive di potere in concreto, cioè la legge ha in
astratto considerato quel tipo di potere in capo a quel settore
dell’amministrazione, ma in concreto, per una serie di circostanze di non ottemperanza, quel potere non può essere attuabile dalla P.A.;
3. norme di azione, che disciplinano cioè l’esercizio del potere.
Il contratto d’appalto: elementi essenziali e caratteristiche
363
I primi due ambiti sono violazioni di norme di relazione, di norme
quindi che attribuiscono espressamente potere alla P.A.
Commentiamone alcune caratteristiche, seguendo l’indice di violazioni appena esposto.
1. in tal caso il provvedimento è nullo; l’atto infatti è stato emanato
in carenza di potere (senza la causa). Si tratta di rari casi, ma
possibili comunque; l’esempio tipico è quello del provvedimento emanato avente un oggetto impossibile.
2. qui il potere non manca nella sua totalità, perché in astratto sussiste; ma non c’è il rispetto di ultronee norme, le quali pongono
limite all’esercizio e non si riconducono comunque a norme di
azione. Quindi si tratta di un tertium genus, sempre attinente
alle norme di relazione; infatti anche se male esercitato il potere astratto, viene prodotto comunque un effetto: ad esempio, il
decreto di espropriazione emanato dopo la scadenza temporale
prevista da legge nella dichiarazione di pubblica utilità, viola
una norma di relazione. Anche in tal caso l’atto è nullo.
3. la pubblica amministrazione ha potere in astratto ed in concreto, ma assume un comportamento non corretto, cioè non rispettoso delle norme poste per regolare l’esercizio di quel potere
attribuito totalmente. L’atto è annullabile, perché illegittimo.
In tale contesto si inserisce il concetto di interesse legittimo come situazione giuridica soggettiva attiva, che si sostanzia in una pretesa riconosciuta in capo al privato acché la Pubblica Amministrazione svolga correttamente il suo esercizio per il quale le è stato attribuito dalla legge il potere.
Elio Casetta, nel relativo Manuale, presenta una schematica ed utilissima proporzione matematica: la disapplicazione sta all’atto illecito
come l’annullamento sta all’atto illegittimo.
Dunque, quando si parla di illegittimità, si intende l’atto della P.A.
emanato in difformità alle norme di azione, ma nel rispetto di quelle
attributive del potere (norme di relazione).
Concludendo.
364
Capitolo X
Nell’ambito degli appalti pubblici la fase della gara è caratterizzata
dalla sfera pubblicistica: la stazione appaltante produce provvedimenti amministrativi ed in capo alle imprese concorrenti si sostanziano
situazioni giuridiche denominate interessi legittimi; nella fase dell’esecuzione, la Committenza ha stipulato il relativo contratto con l’appaltatore ed in capo ai due soggetti si sono formati diritto soggettivi relativi di credito (sinnallagmatici). Ne consegue che nella fase della gara
la competenza giurisdizionale per dirimere eventuali controversie è
attribuita al giudice amministrativo (Tar e Consiglio di Stato), mentre
per la fase dell’esecuzione — per quanto attiene al contratto — la
giurisdizione è quella del giudice ordinario in sede civile. Ma anche se
si è nella fase dell’esecuzione del contratto, gli eventuali provvedimento amministrativi che sorgono rimangono di competenza del giudice
ordinario (ad esempio, il provvedimento con cui il RUP, nell’ambito
dello svolgimento di un contratto d’appalto, dichiara che nell’organico della Committente non vi siano professionisti che possano svolgere
l’attività di collaudatore; provvedimento di autorità terze che determinano la sospensione per forza maggiore dei lavori).
Capitolo XI
I soggetti
1. Il responsabile del procedimento e la direzione dei lavori
Il Responsabile del procedimento è una figura di vertice dal lato
della Committenza pubblica.
L’articolo 10 del Codice compie un rinvio alla l. 241/90 e s.m.i. In
questa normativa, infatti, la figura del responsabile del procedimento
trova piena e nuova rilevanza nell’ambito dell’attività amministrativa.
La figura del Responsabile del procedimento amministrativo da individuare, come persona fisica che in concreto dovrà agire, da parte della
stessa Amministrazione competente nella cosiddetta Unità Organizzativa per l’istruttoria ed ogni altro onere relativo al procedimento (art. 4).
In particolare, l’art. 6 della l. 241/90 stabilisce che il responsabile
del procedimento:
a) valuta, ai fini istruttori, le condizioni di ammissibilità, i requisiti
di legittimazione ed i presupposti che siano rilevanti per l’emanazione di provvedimento;
b)accerta di ufficio i fatti, disponendo il compimento degli atti
all’uopo necessari, e adotta ogni misura per l’adeguato e sollecito svolgimento dell’istruttoria. In particolare, può chiedere
il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete e può esperire accertamenti tecnici ed
ispezioni ed ordinare esibizioni documentali;
365
366
Capitolo XI
c) propone l’indizione o, avendone la competenza, indìce le conferenze di servizi di cui all’art. 14;
d)cura le comunicazioni, le pubblicazioni e le modificazioni previste dalle leggi e dai regolamenti;
e) adotta, ove ne abbia la competenza, il provvedimento finale, ovvero trasmette gli atti all’organo competente per l’adozione.
Il Codice degli appalti pubblici, invero, si rapporta alla normativa
degenerale del procedimento amministrativo derogando, sulla base
del già espresso principio di specialità, per quanto riguarda le specificazioni contenute specialmente nel comma 3. importante è far rilevare
come la figura del responsabile del procedimento nell’ambito degli
appalti pubblici non operi solo in materia di procedimento amministrativo di gara, ma anche nella fase precipuamente civilistica dell’esecuzione del contratto, svolgendo egli funzioni di vigilanza, controllo,
valutazione e proposta (si pensi, ad esempio, in tema di risoluzione del
contratto negli ex artt. 135 e 136 del Codice).
Il Codice nell’art. 10 riflette quanto già contenuto nell’art. 7 della
legge 109/94 e s.m.i., estendendone la disciplina anche alle altre tipologie di appalti.
Il comma 6, compiendo rinvio alla materia regolamentare, pone
il limite a quest’ultima del rispetto dell’art. 136 in tema di direzione
dell’esecuzione del contratto.
Sul contenuto del comma 9 occorre in breve precisare che esso
stabilisce per iscritto a livello normativo ed in riferimento — ovviamente — alle sole stazioni appaltanti un principio già contenuto nella
l. 241/90 ma da questa fino alla riforma del 2005 evincibile per via
ermeneutica; infatti, la l. 15/2005 ha inserito il comma 1–ter nell’art.
1 ed inoltre ha precisato espressamente la possibilità di nominare diversi responsabili per le diverse fasi del procedimento purché si rispetti il disposto dell’art. 6, comma 1 lett. e): l’organo competente
per l’adozione del provvedimento finale, ove diverso dal responsabile
del procedimento, non può discostarsi dalle risultanze dell’istruttoria
I soggetti
367
condotta dal responsabile del procedimento se non indicandone la
motivazione nel provvedimento finale.
Il Codice, in questa comma 9 dell’art. 10 si muove lungo una direttrice comune agli aspetti ora evidenziati della l. 241/90, infatti il
Codice così precisa: «individuano […] uno o più soggetti cui affidare
i compiti propri del responsabile del procedimento».
Il Responsabile del procedimento è una figura di assoluto rilievo
anche nella fase di esecuzione del contratto; infatti, fungendo da organo di vertice per la Committenza pubblica, assume diversi doveri: ad
esempio, dispone la sospensione dei lavori discrezionale per pubblico
interesse; approva la perizia di variante;L dirime le controversie che
eventualmente insorgono fra diretto dei lavori e appaltatore in tema di
esecuzione delle lavorazioni; propone la risoluzione del contratto per
gravi reati accertati (art. 135 del Codice).
Per quanto riguarda il Direttore dei lavori, la norma dettata nell’art.
130 del Codice riporta il contenuto dell’art. 27 della legge Merloni. Si
riferisce naturalmente ai soli appalti di lavori pubblici1.
L’attuale normativa di riferimento, come già ha operato l’art. 27
della l. 109/94 e s.m.i., dopo aver imposto alle amministrazioni aggiudicatrici di istituire per ogni appalto un ufficio di direzione dei lavori
costituito da un direttore dei lavori ed eventualmente da assistenti, ha
espressamente stabilito che “qualora le amministrazioni aggiudicatici
non possano espletare, nei casi di cui all’articolo 90, comma 6 (era il
comma 4 dell’articolo 17 della legge Merloni), l’attività di direzione
dei lavori, essa è affidata nell’ordine ai seguenti soggetti: a) altre amministrazioni pubbliche, previa apposita intesa o convenzione di cui
all’art. 30 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (la l. 109/94 e
s.m.i. citava, naturalmente, l’art. 24 della legge 8 giugno 1990, n. 142);
1.
Sulla figura del direttore dei lavori vedi: Favara, Il direttore dei lavori negli appalti
pubblici e privati, in Arb. e app., 1963; Miccoli, voce Appalto pubblico, in Enc. del dir., p.
706; Bertuzzi, Il direttore dei lavori nei pubblici appalti, in «Riv. Trim. Appalti», 1987, p. 729;
Azzarelli, La direzione lavori nelle costruzioni edilizie, Milano 1970; Agliata, La direzione dei
lavorio nel suo aspetto tecnico–amministrativo, in «Riv. Trim. Appalti», 1991, p. 195; D’Ambrosio, Responsabile unico e direzione lavori nell’appalto di opere pubbliche, Milano 2001;
Grassi, Russo, Direzione dei lavori, III ed., Roma, 2006.
368
Capitolo XI
b) il progettista incaricato ai sensi dell’articolo 90, comma 6; c) altri
soggetti scelti con le procedure previste da presente codice per l’affidamento degli incarichi di progettazione (la Merloni faceva riferimento alle procedure previste dalla normativa nazionale di recepimento
delle disposizioni comunitarie in materia)”.
Tale disposto evidenzia l’intenzione del legislatore di privilegiare
il cumulo delle funzioni di progettista e direttore dei lavori, laddove
l’Amministrazione si sia comunque determinata a ricorrere a professionisti esterni per ricoprire le funzioni di direttore lavori.
Ciò trova giustificazione nella consapevolezza che le mansioni qualificanti del direttore dei lavori sono quelle di costante verifica dei lavori affinché gli stessi siano eseguiti dall’appaltatore a regola d’arte e,
soprattutto, in conformità al progetto da eseguire. Da qui, l’ulteriore
consapevolezza che il soggetto che può maggiormente garantire tale
finalità è proprio il progettista dell’opera, che, in quanto autore del
progetto, conosce perfettamente e meglio di chiunque altro gli elementi di criticità dell’opera e della sua traduzione progettuale.
A tale esigenza “tecnica” — di per sé pienamente condivisibile
— se ne affianca anche una più prettamente “economica”, derivante
dal fatto che il cumulo delle funzioni di progettista e direttore dei
lavori comporta un indubbio vantaggio economico per le stazioni appaltanti, che in tal modo possono usufruire del trattamento di favore
riservato dall’art. 15 della legge 2. 3. 1949, n. 143; tale norma stabilisce
infatti che
quando per l’esecuzione di una delle opere indicate nel precedente prospetto il professionista presta la sua assistenza all’intero svolgimento dell’opera
— dalla compilazione del progetto alla direzione dei lavori, al collaudo e alla
liquidazione — le sue competenze sono calcolate in base alla percentuale del
consuntivo lordo dell’opera indicata alla tabella A;
viceversa, laddove non vi sia il suddetto cumulo di funzioni, viene
in rilievo il diverso disposto di cui all’art. 18 della medesima legge
professionale, secondo cui
I soggetti
369
quando le prestazioni del professionista non seguono lo sviluppo completo
dell’opera, come si è detto sopra, ma si limitano ad alcune funzioni parziali, alle quali fu limitato l’incarico originario, la valutazione dei compensi a
percentuale è fatta sulla base delle aliquote specificate nell’allegata tabella B
aumentata del 25 per cento.
Il combinato disposto di tali articoli mostra in modo evidente la
“convenienza economica” di un affidamento cumulativo delle due
funzioni in capo al medesimo soggetto.
Ciò posto, si tratta di verificare fino a che punto possa essere privilegiato questo cumulo e, soprattutto, quando debba essere effettuata la
scelta di fondo di far coincidere il progettista con il direttore dei lavori.
Occorre quindi chiedersi se la suddetta scelta debba essere effettuata ab origine, ossia già nel momento in cui si seleziona il progettista esterno cui affidare l’incarico professionale, ovvero se possa anche
essere posticipata rispetto all’indizione della gara per l’individuazione
del progettista.
Iniziando dal primo profilo, si segnala che la normativa oggi vigente — ossia l’art. 130 del Codice — privilegia, sulla scia della legge
Merloni, il cumulo delle due funzioni in capo al medesimo professionista esterno al ricorrere di una condizione, ossia quando l’Amministrazione, per una delle ragioni espresse nel comma 6 dell’articolo
90, si sia determinata a ricorrere a professionisti esterni per svolgere
l’incarico di direzione dei lavori; in tal caso, il soggetto incaricato della
progettazione è certamente da preferire rispetto ad altri professionisti sempre esterni. Ove, invece, l’Amministrazione possa o ritenga di
affidare la direzione lavori internamente o ad altre amministrazioni
(previa intesa) ai sensi dell’art. 130, comma 2, lett. a) del Codice, non
vi è alcuno spazio per privilegiare il progettista esterno e per un affidamento diretto della direzione lavori a tale soggetto.
In altri termini, la preferenza accordata al progettista incaricato
vale, quindi, solo nei confronti degli altri professionisti esterni.
Esaurito il primo aspetto, occorre verificare “quando” debba essere effettuata l’opzione di cumulare in un unico soggetto i due ruoli.
In linea astratta, si contendono il campo due ipotesi.
370
Capitolo XI
Da un lato, si può sostenere che la suddetta scelta debba obbligatoriamente essere effettuata ab origine, in occasione, cioè, dell’individuazione del progettista esterno, restando così precluso l’ulteriore
affidamento del ruolo di direttore dei lavori una volta che sia stato già
selezionato il progettista e nel relativo bando non sia stata prevista la
possibilità del cumulo.
Dall’altro lato, si può sostenere che in mancanza di una chiara e inequivoca previsione in tal senso, l’Amministrazione — anche a distanza
di tempo dall’affidamento dell’incarico di progettazione — può decidere di affidare al progettista incaricato il ruolo di direttore dei lavori,
essendo questi da privilegiare rispetto ad altri professionisti esterni.
A dirimere la questione è intervenuta efficacemente l’allora Autorità
di Vigilanza sui lavori pubblici che con la determinazione n. 10/2000 del
17/2/2000 ha definitivamente chiarito che nella vigenza della l. 109/94
e s.m.i. “all’affidamento diretto” della direzione lavori al progettista incaricato «si può procedere soltanto nell’ipotesi in cui lo stesso sia stato
esplicitamente previsto nel bando di gara di progettazione».
Detto altrimenti, l’Autorità di Vigilanza ha giustamente ritenuto
che a partire dall’entrata in vigore della l. 109/94 l’affidamento diretto della direzione lavori al progettista privato, disciplinato dalla richiamata lett. b) dell’art. 27 (oggi la lett. b) dell’art. 130), può aversi
solo nel caso in cui il bando di gara di progettazione abbia previsto
sin dall’inizio l’affidamento diretto della direzione lavori al medesimo professionista. Se il bando, invece, nulla ha previsto al riguardo, è
successivamente preclusa all’Amministrazione la via dell’affidamento
postumo della direzione lavori a quel progettista; in tal caso, rimarrà
unicamente la via della gara per la scelta del direttore lavori, sempreché come è ovvio, l’Amministrazione abbia deciso di avvalersi di
professionisti esterni a scapito delle strutture interne o di altre amministrazioni.
Tra l’altro, l’allora Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici
chiamata ad esprimersi proprio sulla legittimità dell’affidamento dell’incarico di d.l. al progettista dell’opera, ha in effetti confermato con
nota prot. 61913/03/SEGR del 21/11/2003 che
I soggetti
371
l’elencazione contenuta nell’articolo 27, comma 2, della legge 109/94 e s.
m., in base alla quale l’Amministrazione, in carenza di organico, può rivolgersi a professionisti esterni per l’espletamento della d.l. deve essere seguita
“nell’ordine” individuato dal medesimo articolo, che riveste carattere tassativo, senza ambito di discrezionalità amministrativa. Nel caso in cui non si
possa procedere all’affidamento al progettista esterno, non è ammesso l’affidamento in via fiduciaria ma si dovranno espletare le procedure ad evidenza
pubblica.
Dunque, va preso atto che il legislatore con l’art. 130 del Codice ha
comunque stabilito l’obbligo per l’Amministrazione di dare priorità
al progettista incaricato nel caso di affidamento a terzi della direzione
dei lavori.
Capitolo XII
Le varianti
Dalla lettura dell’art. 132 emerge chiaramente che si tratta pressoché di modificazioni letterali e sistematiche qui operate dal Codice;
iniziamo dalla letterale: il comma b–bis) dell’art. 25 della legge 109/94
e s.m.i. è divenuto ora la lett. c) nell’articolo in esame, adeguandosi
con le altre lettere sempre nel comma 1 dell’art. 132.
La modifica sistematica è rappresentata dal comma 2, ultima parte
dell’art. 134: è esattamente la previsione prima contenuta nell’art. 19,
comma 1–ter al terzo periodo, della legge Merloni.
Veniamo al contenuto dell’articolo 132.
Il Legislatore ha disciplinato la materia prevedendo la possibilità
per l’Amministrazione appaltante di apportare variazioni e addizioni all’opera, cui corrisponde l’obbligo per l’appaltatore di eseguirle
purché siano contenute entro determinati limiti e siano disposte con
determinate forme.
In tema di varianti, occorre premettere che non ogni modificazione può ritenersi
espressione della naturale esecuzione dell’appalto, con conseguente applicazione
dei criteri già previsti contrattualmente per la disciplina del rapporto.
La variante, infatti, ha come necessario punto di riferimento e parametro di
raffronto il progetto: le modifiche non possono, quindi, essere tali da snaturarlo1.
1.
Determinazione dell’Autorità di Vigilanza sui Contratti pubblici n. 1 dell’11 gennaio 2001.
373
374
Capitolo XII
La disciplina che si è succeduta in questa delicata materia è contenuta negli artt. 343 e 344 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, negli
artt. 13 e 14 del cap. generale Min. ll. pp. di cui al d.p.r. 16 luglio 1962,
n. 1063, nell’art. 20 del reg. 25 maggio 1895, n. 350 e, soprattutto,
nell’art. 25 della legge 109/1994 (così come modificata dalla l. 216/95,
dalla l. 415/1998, e dalla l. 166/00), nell’art. 134 del d.p.r. 21 dicembre 1999, n. 554 e, infine, nell’art. 10 del d.m. ll. pp. 19 aprile 2000,
n. 45. Tale ultime disposizioni hanno abrogato la maggior parte delle
prescrizioni ante l. 109/94 e non hanno subito modificazioni da parte
della recentissima l. 166/02.
Ciò premesso, per meglio comprendere l’attuale regime normativo
dell’art. 132 del Codice, appare preferibile esaminare tale istituto così
come disciplinato all’art. 25 della legge Merloni nel sistema previgente all’entrata in vigore della legge 18 novembre 1998, n. 415, per poi
verificare come il nuovo disposto normativo e le nuove norme regolamentari abbiano inciso sul regime delle varianti.
Innanzitutto, è noto che in tema di varianti vige una disciplina alquanto differenziata a seconda che la variazione superi o meno il limite del sesto quinto.
Nel caso in cui l’esercizio dello ius variandi comporti un aumento
(ovvero una diminuzione) dei lavori non superiore al quinto dell’importo complessivo dell’appalto sull’appaltatore incombe un vero
e proprio obbligo di eseguire le variazioni disposte dalla stazione
committente. Peraltro, l’appaltatore è tenuto ad eseguire non solo le
varianti ordinate dall’Amministrazione che rientrino nei limiti quantitativi (quinto dell’importo contrattuale), ma anche tutte quelle varianti che non superino i limiti qualitativi prescritti dalla suddetta
normativa.
Per quanto concerne invece le varianti oltre il sesto quinto, l’appaltatore, ai sensi dell’art. 344 l. 2248/1865 All. F e dell’art. 14, comma 2,
d.p.r. 1063/1962, può recedere dal contratto col solo pagamento dei
lavori eseguiti, valutati ai prezzi contrattuali, ovvero può proseguire i
lavori, indicando a quali diverse condizioni intende farlo. Tale assetto
è stato oggi sostanzialmente mantenuto (pur con qualche innovazio-
Le varianti
375
ne) da parte dell’art. 10 del d.m. 145/2000, anche se è stata prevista, ai
sensi del comma 3, una procedura ad hoc per determinare le nuove e
diverse condizioni di esecuzione.
Sempre con riguardo al quadro normativo vigente prima dell’entrata in vigore della legge 415/1998, si evidenzia, innanzitutto, che nel
testo originario della legge sulle Opere Pubbliche (legge 11. 2. 1994,
n. 109), la disciplina contenuta nell’art. 25 riduceva drasticamente le
possibilità di apportare varianti progettuali in corso d’opera, prevedendosi, inoltre, la risoluzione del contratto e l’indizione di una nuova
gara in tutti i casi di superamento del limite del sesto quinto dell’importo contrattuale.
La successiva disciplina introdotta si è, invece, caratterizzata per
una maggiore elasticità, sia per quanto riguarda le ipotesi in cui è ammesso il ricorso alle varianti, sia per quanto concerne le conseguenze
dell’eventuale superamento del limite del sesto quinto, fermo restando comunque che, rispetto alla disciplina ante l. 109/94, essa ha presentato un maggiore rigore.
In particolare, il regime delle varianti delineato dall’art. 25 della l.
109/94 così come innovato, ha modificato profondamente la regolamentazione recata negli artt. 343 e 344 legge fondamentale sui lavori
pubblici legge 20 marzo 1865 n. 2248 All. F), nell’art. 20 del r.d. 25
maggio 1895 n. 350 e negli artt. 13 e 14 del d.p.r. 1063/1962.
E tale resta anche nell’art. 132 del Codice cd. De Lise.
Ferma restando la sussistenza del diritto potestativo alla variazione in corso d’opera da parte del committente, la suddetta facoltà di
disporre variazioni, in aumento o in diminuzione, al programma contrattuale è stata sottoposta già dalla l. 109/94, a dei stringenti limiti,
che sussistono ancora nel Codice; il legislatore ha individuato, cioè, le
ipotesi tassative in presenza delle quali il progetto può subire variazioni in corso d’opera, mentre, come è noto, la normativa previgente alla
legge–quadro si asteneva dallo specificare i presupposti legittimanti il
ricorso alle varianti (ossia i “motivi”), preoccupandosi soltanto di precisare, ad integrazione di quanto disposto dal Codice Civile, i limiti
quantitativi e qualitativi allo ius variandi dell’amministrazione.
376
Capitolo XII
Ai sensi della ultime modifiche apportate alla l. 109/94 e riprodotte nell’art. 132 del Codice, invece, l’amministrazione può apportare
variazioni al progetto originario solo nei casi espressamente previsti
dall’art. 132 Codice (l’ex art. 25).
Le varianti, dunque, sono state considerate ammissibili solo ed
esclusivamente, sulla base dell’art. 132, comma 1 (l’abrogato art. 25,
comma 1 della l. 109/94 e s.m.i.: a) per esigenze derivanti da sopravvenute disposizioni legislative e regolamentari; b) per cause impreviste e
imprevedibili accertate nei modi stabiliti dal regolamento di attuazione o per l’intervenuta possibilità di utilizzare materiali, componenti e
tecnologie non esistenti al momento della progettazione che possono
determinare, senza aumento di costo, significativi miglioramenti nella
qualità dell’opera o di sue parti, sempre che non alterino l’impostazione progettuale; c) (è il previdente b–bis) dell’art. 25, comma 1 della
legge Merloni) per la presenza di eventi inerenti la natura e specificità dei beni sui quali si interviene verificatisi in corso d’opera, o di
rinvenimenti imprevisti o non prevedibili nella fase progettuale; d)
nei casi previsti dall’art. 1664 secondo comma del Codice Civile (la
cd. sorpresa geologica e cause affini); e) per il manifestarsi di errori
o di omissioni del progetto esecutivo che pregiudichino, in tutto o
in parte, la realizzazione dell’opera ovvero la sua utilizzazione; in tal
caso il responsabile del procedimento ne dà immediato comunicazione all’Osservatorio e al progettista.
L’art. 132, comma 1, lett. c), in particolare, ritiene legittime tutte
quelle varianti che si rendano necessarie «per la presenza di eventi
inerenti la natura e specificità dei beni sui quali si interviene in corso
d’opera, o di rinvenimenti imprevisti o non prevedibili nella fase progettuale».
Il motivo di ammissibilità delle varianti ex lett. c), in parte, si riconnette a quanto previsto dalla norma sub lettera b) dell’art. 132, in materia di cause impreviste e imprevedibili e in parte a quanto stabilito
dalla lettera d), in materia di sorpresa geologica.
Nel caso introdotto con il punto c) viene, infatti, messo in risalto
il problema delle variazioni contrattuali che si rendano necessarie a
Le varianti
377
seguito del verificarsi di due situazioni diverse tra loro, gli “eventi” e
i “rinvenimenti”.
Il termine “evento” evoca un avvenimento o una circostanza che
va ad interessare il bene, incidendo su quest’ultimo a causa della sua
natura e specificità. Si può pensare, per fare un esempio scolastico,
ad un restauro su un bene culturale sul quale venga ad incidere un
fatto imprevedibile. Anche qui il legislatore, riferendosi a non meglio
specificati “eventi” ha utilizzato una formula generica che si presta
quindi a interpretazioni anche più ampie di quella fornita. Considerato, infatti, che la norma non identifica gli eventi a seguito dei quali
potrà farsi ricorso alla variante, si ritiene che qualunque accadimento
non ascrivibile alle cause impreviste e imprevedibili di cui all’art. 132,
comma 1, lett. b), ovvero alla sorpresa geologica di cui alla successiva
lett. d) può essere preso a presupposto per giustificare la variazione
progettuale.
La seconda situazione, concernente i “rinvenimenti”, ha ad oggetto
fattispecie simili alla sorpresa geologica, con la differenza che in tale
ipotesi esse sarebbero determinate da cause diverse da quelle geologiche, idriche e simili.
Si tratta, cioè, di rinvenimenti che non sono da assimilarsi alla categoria dei vizi occulti, ma piuttosto alla possibilità della scoperta nel
corso dei lavori, ad esempio, di beni di interesse culturale, artistico o
archeologico, o di una loro diversa consistenza, che, richiedendo l’utilizzo di particolari tecniche e interventi per la loro salvaguardia e conservazione, imponga quindi la necessità di varianti alla progettazione.
Ci si riferisce, cioè, a qualcosa che esisteva ma che, con tutta la diligenza, il progettista non poteva supporre che esistesse.
Comunque, anche il termine “rinvenimenti” è assai generico e,
dunque, può comprendere una categoria di situazioni ancora più ampia di quella sopra esposta.
In ogni caso — ha precisato il terzo comma dell’art. 132 — non
sono considerate varianti ai sensi del primo comma gli interventi
disposti dal direttore dei lavori per risolvere aspetti di dettaglio,
che siano contenuti entro un importo non superiore al 5% delle
378
Capitolo XII
categorie di lavoro dell’appalto e che non comportino aumenti di
spesa. Sono inoltre ammesse quelle varianti che sono finalizzate al
miglioramento dell’opera e della sua funzionalità, se non comportino modifiche sostanziali e siano motivate da obiettive esigenze
derivanti da circostanze sopravvenute e imprevedibili al momento
della stipula del contratto. L’importo in aumento relativo a tali varianti non può superare il 5% dell’importo originario del contratto
e deve trovare copertura nella somma stanziata per l’esecuzione
dell’opera.
Ciò detto, occorre puntualizzare che, rispettati i limiti di cui all’art.
132 del Codice, presupposto perché l’adozione della variante sia legittima è solo ed esclusivamente la sussistenza dell’interesse pubblico
a introdurre tale variazione, ossia la sussistenza di un effettivo e accertato bisogno; in questo senso si esprimeva anche l’art. 343 della legge
fondamentale, il quale afferma che
verificandosi il bisogno d’introdurre in un progetto già in corso di eseguimento variazioni od aggiunte le quali non siano previste dal contratto […];
e così pure l’art. 344 della stessa legge stabilisce che “occorrendo in corso di
esecuzione un aumento o una diminuzione di opere, l’appaltatore è obbligato ad assoggettarsi.
La ragione giustificatrice di tale ius variandi è, infatti, da rinvenire
nella circostanza che l’appalto è un contratto cd. di durata, trovando
esso il suo svolgimento naturale in un arco di tempo più o meno prolungato, durante il trascorrere del quale possono manifestarsi bisogni
o esigenze od opportunità prima non palesate o sopravvenute.
Come è stato già evidenziato precedentemente, le lettere b), c) e
d) prevedono rispettivamente che le varianti in corso d’opera possono essere ammesse “per cause impreviste e imprevedibili”, “per la
presenza di eventi inerenti la natura e specificità dei beni sui quali si
interviene” e “nei casi previsti dall’articolo 1664, secondo comma del
codice civile” (sorpresa geologica e cause affini).
Appare quindi necessario comprendere innanzitutto che cosa il legislatore intenda per cause impreviste e imprevedibili.
Le varianti
379
L’idea insita nell’“imprevedere” rimanda all’identificazione di un
fatto sopravvenuto consistente nel trovarsi davanti ad un qualcosa che
non era stato “pre–visto”; infatti, l’intento del legislatore è quello di
non farvi rientrare, in questa accezione, quegli eventi che già esistevano ma che non erano stati previsti con la dovuta diligenza.
La nuova previsione normativa sostituisce quella contemplata dall’originario testo dell’abrogato art. 25, lett. b) della l. 109/94, che faceva riferimento alle cause di forza maggiore.
La nuova formula, tuttavia, non sembra che comporti il riferimento
ad un’area concettuale sostanzialmente diversa dalla precedente, in
quanto anch’essa si riferisce a fenomeni naturali (e non), considerati
non suscettibili di previsione secondo criteri di ragionevolezza e anche considerando le professionalità delle parti del rapporto; inoltre,
la natura di tali eventi deve essere tale da impedire l’esecuzione dei
lavori così come originariamente concepiti.
Nel caso dell’applicabilità dell’art. 132, comma 1 lett. b) del Codice, il responsabile del procedimento, su proposta del direttore dei
lavori, descriverà la situazione di fatto, e dovrà accertare che l’evento
verificatosi non sia imputabile alla stazione appaltante; inoltre, dovrà
anche assicurare la sua non imputabilità al momento della redazione
del progetto o della consegna dei lavori, e dovrà precisare le ragioni
per cui si renda necessaria la variazione.
Per quanto attiene, invece, alla relazione tra la previsione normativa
dell’art. 132, comma 1, lett. b) e la lett. c), si può affermare che quest’ultima ipotesi (aggiunta all’art. 25 della legge Merloni dall’art. 9, comma
41, della l. 415/98) si riferisce alla presenza di eventi inerenti la natura e
la specificità dei beni sui quali si interviene verificatesi in corso d’opera,
o di rinvenimenti imprevisti o non prevedibili nella fase progettuale.
La prima parte della norma, sembra, seppure non necessariamente,
voler ampliare le ipotesi di ammissibilità di varianti già previste dalla
precedente lett. b), consentendole anche nel caso in cui si siano verificati eventi sopravvenuti successivamente all’inizio dei lavori e che essi
abbiano inciso su beni di natura peculiare interessati dall’intervento
in corso.
380
Capitolo XII
A speciale salvaguardia di simili beni peculiari, la norma, inoltre, sembra voler ammettere le varianti anche indipendentemente da ogni ulteriore qualificazione dell’evento come imprevisto, imprevedibile o altro.
Per le ipotesi rientranti nell’art. 132, comma 1, lett. c) del Codice
la descrizione del responsabile del procedimento avrà ad oggetto la
verifica delle caratteristiche dell’evento in relazione alla specificità del
bene, o della prevedibilità o meno del rinvenimento.
Nell’ipotesi contemplata appunto dalla lettera d) dell’art. 132,
come detto, disciplina la cosiddetta sorpresa geologica e affini di cui
all’art. 1664, secondo comma del codice civile. Quest’ultimo disposto permette di ritenere legittime tutte quelle varianti che si rendano
necessarie per superare le “difficoltà di esecuzione derivanti da cause
geologiche, idriche e simili, non previste dalle parti”. Per cercare di
dare una definizione quanto più precisa di sorpresa geologica può essere utile considerare le seguenti pronunce giurisprudenziali, che, interpretando anche in modo estensivo il disposto di cui all’art. 1664, 2°
comma, hanno indicato i parametri di riferimento da tenere presenti
nella qualificazione di un evento come sorpresa geologica.
La sorpresa geologica deve intendersi come il manifestarsi di una causa obbiettiva, non prevista né prevedibile dalle parti al momento della stipulazione
dell’appalto (art. 1664, 2° comma c.c.)2.
La formula esemplificativa adottata dall’art. 1664 2° comma c.c. […] consente di ritenere comprese […] tutte le cause naturali che producano tale effetto
e in special modo quelle inerenti alle caratteristiche del terreno3.
Rientra nella previsione di cui all’art. 1664, 2° comma, c.c. ogni sopravvenienza oggettiva che alteri la preesistente situazione dei luoghi tenuta presente dalle parti4.
Un’ulteriore considerazione va fatta sotto il profilo quantitativo in
relazione alle ipotesi di cui al comma 1 dell’art. 132, disciplina questa
che investe ovviamente anche la cd. sorpresa geologica.
2.
3.
4.
Coll. Arbitrale, 24 maggio 1979.
Coll. Arbitrale, 13 febbraio 1988.
Coll. Arbitrale, 14 maggio 1990.
Le varianti
381
Come già detto, ai sensi del Codice, l’amministrazione può apportare variazioni al progetto originario solo nei casi espressamente previsti dall’art. 132.
Lo scopo dell’innovazione operativo già con la l. 109/94 e s.m.i.
all’art. 25, è stato ed è evidentemente quello di ridurre la sfera di discrezionalità delle stazioni appaltanti, in modo da impedire il ripetersi
dei fenomeni degenerativi del recente passato, quando, anche in ragione dell’approssimatività dei progetti, venivano apportate varianti
artificiose volte a favorire la lievitazione del prezzo complessivo dell’opera.
La precisa indicazione dei casi in cui sono ammesse le varianti è
risultata, dunque, in linea con la filosofia di fondo alla base della complessiva l. 109/94 e attualmente del Codice De Lise.
Essa è inoltre apparsa coerente con la nuova più rigorosa disciplina
della progettazione prevista sempre dal codice e già dalla l. 109/94,
che, imponendo l’adozione di progetti realmente esecutivi, definiti in
ogni dettaglio, ha considerato la variante un’eccezione alla regola, ammissibile soltanto in presenza di particolari condizioni.
Rispetto al testo originario della l. 109/94, il testo dell’art. 25 (ora
l’art. 132 Codice), ha presentato però una sostanziale differenza: l’ampliamento dei casi tipici in cui è consentito apportare variazioni al
progetto.
Le varianti, dunque, sono state considerate ammissibili solo ed
esclusivamente nelle ipotesi dell’ex art. 25, 1° comma l. 109/94 (ora
l’art. 132, comma 1 del Codice) nei casi ivi previsti.
Ne deriva che, qualora siano ricompresi nei limiti tipologici di cui
al comma 1, tali interventi in variante possono essere disposti liberamente dal soggetto committente, anche al di fuori delle ipotesi in cui
erano tradizionalmente ammesse le varianti.
In conclusione, si può riassumere il quadro affermando che secondo il testo vigente, alla risoluzione si procede soltanto quando le
varianti eccedenti il quinto d’obbligo dipendano da errori di progettazione (art. 132, comma 4 del Codice). In tal caso, l’appaltatore che
subisce la risoluzione ha diritto non solo al pagamento dei lavori ese-
382
Capitolo XII
guiti e dei materiali utili (come prevedeva il vecchio testo), ma anche
al pagamento del 10% dei lavori non eseguiti, fino a 4/5 dell’importo
del contratto (art. 132, comma 5 del Codice).
Negli altri casi di cui alle lettere a), b), c), d) ed e) del comma 1), sotto il profilo quantitativo l’eventuale superamento del limite del quinto
d’obbligo non è stato considerato più dal legislatore come causa di
risoluzione del contratto — salva l’ipotesi, affatto diversa, di recesso
dell’appaltatore — ed è stato quindi ritenuto pienamente legittimo.
Il diverso regime delle conseguenze del superamento del limite del
quinto d’obbligo, è stato giustificato in ragione del fatto che queste
ultime ipotesi costituiscono circostanze esterne alla sfera di controllo
e di conoscibilità da parte dell’appaltatore, per cui sarebbe stato ingiustificato penalizzare quest’ultimo con la risoluzione del contratto,
mentre nel caso di variante dovuta ad errore di progettazione è ravvisabile una qualche responsabilità dell’appaltatore, al quale può forse
imputarsi di non aver rilevato, in sede di esame del progetto a base di
gara, l’esistenza di carenze od errori progettuali, da lui ravvisabili in
ragione delle proprie conoscenze professionali.
Capitolo XIII
Termini di adempimento, penali, adeguamenti dei prezzi
L’art. 133 del Codice riproduce il contenuto dell’art. 26 della l.
109/94 e s.m.i.
L’abrogazione espressa dell’art. 33 della l. 41/1986, che il comma 2
dell’art. 26 della Merloni esprimeva, compare nel Codice all’art. 256.
Nel presentare un breve excursus1 fino alla disciplina dell’art. 26 della
legge Merloni e quindi dell’art. 133 del Codice De Lise, occorre prima
di tutto far riferimento all’art. 33,comma 4, della legge 28. 2. 1986, n. 41,
che per la prima volta introduceva il “prezzo chiuso” come metodo di
indicizzazione del corrispettivo dell’appalto cui la Pubblica amministrazione aveva facoltà di ricorrere in alternativa alla revisione dei prezzi.
La giurisprudenza nell’analizzare l’istituto aveva chiarito che: “Il
contratto “a prezzo chiuso”, previsto dall’art. 33 comma 4 l. 28 febbraio 1986 n. 41, costituisce un istituto applicabile solo ai contratti (di
qualsiasi natura e indipendentemente dalle modalità di formazione) di
durata superiore all’anno, distinto e alternativo all’istituto della revisione prezzi, dal quale non può mutare criteri e parametri di applicazione:
conseguentemente, ai fini del computo dell’aumento annuale spettante
all’appaltatore, non deve tenersi conto nell’anticipazione da questi ricevuta, né può operare il “congelamento” del primo anno dei lavori”2.
1.
Cfr. A. Cancrini, Commento alla Circolare del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti 4 agosto 2005, n. 871, in Urb. e Appalti, 1/2006, pp. 21 e ss.
2.
Corte dei Conti del 9. 7. 1987, n. 1812.
383
384
Capitolo XIII
L’art. 33 della legge 41/86, nel delineare i confini di un istituto alternativo e sostitutivo della revisione prezzi, trovava la sua ratio nel
tentativo di risolvere il problema degli aumenti di costo delle opere
pubbliche mediante l’eliminazione dei sintomi del fenomeno, senza
tentare di incidere sulle sue cause effettive e sostanziali.
In effetti, a livello operativo il compenso aggiuntivo previsto dal
“prezzo chiuso” doveva essere corrisposto nella misura pattuita sia
che l’aumento non sopraggiunga, sia che sopraggiunga in misura inferiore alla percentuale di aumento pattuito, sia che sopraggiunga in
misura superiore.
La Corte dei Conti intervenuta sull’argomento aveva perciò ritenuto che il “prezzo chiuso” consisteva in ben altra cosa rispetto alla
revisione dei prezzi.
A ciò va aggiunto che, mentre la revisione operava sul concreto
(la percentuale in aumento viene cioè corrisposta su quanto effettivamente l’appaltatore ha speso) l’istituto del “prezzo chiuso” operava
aumentando di anno in anno, in percentuale, le somme che ancora
devono essere corrisposte all’appaltatore.
Alla luce di ciò, quindi, non solo sussisteva uno svincolo dall’andamento del mercato, ma il “prezzo chiuso” sembrava essere svincolato
anche dall’andamento dei lavori; pertanto l’introduzione di un meccanismo come quello del prezzo chiuso rendeva il contratto di appalto
sempre soggetto ad un margine di aleatorietà, dal momento che l’incremento del 5% per ogni anno di durata del contratto prescinde dal
verificarsi di eventi economici incidenti sul costo delle prestazioni.
Successivamente il Legislatore, con l’art. 26 della legge 109/94 è intervenuto nuovamente nell’ambito della revisione prezzi e del prezzo chiuso statuendo perentoriamente che non si può più procedere ad alcuna
forma di revisione dei prezzi e abrogando l’art. 33 della legge 41/86.
Pertanto, a seguito dell’entrata in vigore della legge Merloni per
i lavori pubblici affidati dalle amministrazioni aggiudicatrici e dagli
altri enti aggiudicatori o realizzatori è stato vietato il ricorso all’istituto della revisione prezzi e sancita l’inapplicabilità del primo comma
dell’art. 1664 del codice civile.
Termini di adempimento, penali, adeguamenti dei prezzi
385
L’istituto della revisione prezzi che per la stessa giurisprudenza
aveva una funzione di garanzia circa il mantenimento dell’equilibrio
del sinallagma contrattuale3 è stato quindi definitivamente soppresso
dalla norma in esame.
L’articolo 26 ha, altresì, disposto che per i lavori pubblici affidati
dalle amministrazioni aggiudicatrici e dagli altri enti aggiudicatori o
realizzatori si applica un nuovo sistema denominato sempre “prezzo
chiuso”, ma che, oltre alla vecchia denominazione espressamente attribuitagli dal Legislatore, nella sua riedizione ha poco o nulla a che
fare con l’omonimo istituto a suo tempo introdotto dall’art. 33 della
l. 41/86.
In particolare, il comma 4 dell’art. 26, in sostituzione della revisione prezzi, ha quindi previsto, come meccanismo di mantenimento
dell’equilibrio delle contrapposte prestazioni, il cd. “prezzo chiuso”,
che consiste nel prezzo dei lavori al netto del ribasso d’asta, aumentato di una percentuale da applicarsi, nel caso in cui la differenza tra il
tasso di inflazione reale e il tasso di inflazione programmata nell’anno
precedente sia superiore al 2%, all’importo dei lavori ancora da eseguire per ogni anno intero previsto per l’ultimazione dei lavori stessi.
La suddetta percentuale è fissata con decreto del ministro dei lavori
pubblici da emanarsi entro il 30 giugno di ogni anno nella misura eccedente la predetta percentuale del 2%.
Senonché, per come configurato l’istituto del prezzo chiuso, esso
non ha rappresentato un vero e proprio meccanismo di indicizzazione
del corrispettivo dell’appalto, né ha garantito in effetti il mantenimento dell’equilibrio delle contrapposte prestazioni, neppure in presenza
di fenomeni di manifesto ed eccezionale incremento di alcuni fattori
di produzione.
Ciò ha reso indispensabile una rivisitazione della l. 109/94 anche
per evitare il costante ricorso da parte degli appaltatori all’istituto della risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta di
cui all’art. 1467 del codice civile.
3.
Cons. Stato, sez. IV, 10 gennaio 1990, n. 7.
386
Capitolo XIII
Tale rivisitazione è intervenuta ad opera della finanziaria per il 2005
(legge 30/12/2004, n. 311).
L’art. 1, comma 550, della legge 311 del 30/12/2004 (legge Finanziaria) ha aggiunto all’art. 26 della l. 109/1994 i commi dal 4–bis al
4–septies, che modificano la previgente disciplina reintroducendo un
meccanismo analogo alla revisione dei prezzi.
Il comma 4–bis dispone infatti una deroga al divieto di operare la
revisione prezzi, ammettendo che possa procedersi a “compensazioni” nel caso in cui si registrino variazioni in aumento o in diminuzione
del prezzo di singoli materiali da costruzione (non già della manodopera).
L’operatività dell’istituto della “compensazione” è subordinata a
due condizioni:
a) che la variazione sia dovuta a circostanze eccezionali;
b)che la variazione del prezzo dei materiali espressa in percentuale
sia superiore ad una determinata soglia di rilevanza.
Per quanto riguarda il carattere eccezionale delle circostanze che
hanno determinato la variazione dei prezzi dei singoli materiali, deve
ritenersi che esse ricorrano ogni qual volta gli aumenti o le diminuzioni dipendano da cause non riconducibili a situazioni di normalità
o stabilità.
Con riferimento alla soglia percentuale di rilevanza, si dà luogo
alla compensazione solamente qualora la variazione in aumento o
in diminuzione del prezzo dei singoli materiali sia superiore al 10
per cento rispetto al prezzo corrente nell’anno di presentazione
dell’offerta, come rilevato dal Ministero delle Infrastrutture e dei
Trasporti.
A tal fine, il meccanismo introdotto dall’art. 1, comma 550 della l.
311/2004 prevede che il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti,
con decreto da emettere entro il 30 giugno di ogni anno, rilevi le variazioni percentuali annuali dei singoli prezzi dei materiali da costruzione più significativi.
Termini di adempimento, penali, adeguamenti dei prezzi
387
Ove siano soddisfatte le predette condizioni di operatività dell’istituto, si compie la compensazione (in aumento o in diminuzione) per
la percentuale eccedente il 10 per cento.
La misura della compensazione viene, quindi, determinata applicando la percentuale di variazione che eccede il 10 per cento al prezzo
dei singoli materiali da costruzione impiegati nelle lavorazioni contabilizzate nell’anno solare precedente all’emissione del suddetto decreto ministeriale, nelle quantità accertate dal Direttore dei Lavori.
Il meccanismo revisionale introdotto dall’art. 1, comma 550 della
l. 311/2004 trova applicazione esclusivamente per i lavori eseguiti e
contabilizzati a partire dal 1° gennaio 2004.
A tal fine, il primo decreto ministeriale (che era stato previsto per
il 30 giugno 2005) ha rilevato anche i prezzi dei materiali da costruzione più significativi per l’anno 2003. Per i lavori aggiudicati sulla
base di offerte anteriori al 1° gennaio 2003 il meccanismo revisionale
trova comunque applicazione, ma è previsto che si faccia riferimento
ai prezzi rilevati dal Ministero per l’anno 2003.
La nuova normativa prevede inoltre che le amministrazioni aggiudicatrici e gli altri enti aggiudicatori o realizzatori debbano provvedere ad aggiornare annualmente i propri prezzari, con particolare
riferimento alle voci di elenco correlate a quei prodotti destinati alle
costruzioni, che siano stati soggetti a significative variazioni di prezzo
legate a particolari condizioni di mercato.
Tali prezzari in ogni caso cessano di avere validità il 31 dicembre
di ogni anno e possono essere transitoriamente utilizzati fino al 30
giugno dell’anno successivo solo per i progetti a base di gara la cui
approvazione sia intervenuta entro tale data.
Ove le amministrazioni aggiudicatrici e gli altri enti aggiudicatori o
realizzatori non adempiano puntualmente all’obbligo, i prezzari possono essere aggiornati dalle competenti articolazioni territoriali del
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con le Regioni interessate.
Risulta, pertanto, che l’art. 1, comma 550 della l. 311/2004, derogando al divieto di portata generale di cui all’art. 26, comma 3, l.
388
Capitolo XIII
109/1994, abbia sostanzialmente reintrodotto, seppure in ordine a
presupposti ben più specifici, un meccanismo revisionale di applicazione generale.
Attualmente, la disciplina ultima dell’art. 26 della legge Merloni
viene ad essere il contenuto dell’art. 133 del nuovo Codice.
A proposito della Circolare, a cui fa espressa menzione l’art. 133,
comma 3 Codice, per l’anno 2005 e stata emanata dal Ministero delle
Infrastrutture e Trasporti 4 agosto 2005, n. 8714.
La Circolare menzionata reca l’intitolazione “Modalità operative
per l’applicazione delle nuove disposizioni relative alla disciplina economica dell’esecuzione dei lavori pubblici a seguito dell’emanazione del decreto ministeriale di cui all’art. 26, commi 4–bis, 4–quater e
4–quinquies, della legge 109/1994, e successive modifiche e integrazioni”.
Il Decreto in riferimento è quello del 30 giugno 2005, pubblicato
in gazzetta Ufficiale n. 154 del 5 luglio 2005.
Pertanto, una volta completato il quadro normativo di riferimento
— e che in questa sede si è inteso sintetizzare nei suoi necessari riferimenti — a livello applicativo di dettaglio e quindi per garantire, nel
rispetto della gerarchia delle fonti ordinamentale, uniformità e omogeneità di comportamenti5 il Ministero competente ha inteso emanare
la disciplina contenuta nella Circolare in trattazione.
Essa si compone di tre articoli, rispettivamente: una premessa
contenente i richiami legislativi sin qui operati; la previsione di modalità operative e infine un esempio pratico, applicativo dei principi
espressi.
Quindi, appare logico, che l’articolo 2 sia quello di maggior interesse e quasi il motivo stesso della Circolare n. 871/05.
In particolare, possiamo schematizzare i seguenti punti ritenuti
fondamentali e contenuti nell’art. 2 della Circolare. Punto centrale da
cui partire: qualora il decreto ministeriale annuo rilevi variazioni in
4.
5.
In GU 186 dell’11 agosto 2005.
Cfr. Circolare, in premessa, 1. 2.
Termini di adempimento, penali, adeguamenti dei prezzi
389
aumento o diminuzione (quale effetto di circostanze eccezionali) dei
materiali da costruzione, si fa luogo alla compensazione nelle quantità
accertate dal direttore dei lavori.
a) rimanendo, pertanto, fissi i due parametri già indicati dalla legge (circostanze eccezionali, percentuale del 10%), la Circolare
chiarisce che nel decreto ministeriale annuale il singolo prezzo
del materiale di costruzione è rilevato come prezzo medio annuale: va da sé che debbano essere esclusi dalla compensazione sia i lavori contabilizzati nell’anno solare di presentazione
dell’offerta, sia i lavori contabilizzati in un periodo di tempo
inferiore all’anno solare (diversi da quelli contabilizzati nell’anno solare di presentazione dell’offerta, si applica per intero la
variazione del prezzo di cui al decreto ministeriale. Ad esempio,
possiamo dire che nell’ipotesi di un’offerta presentata nel gennaio 2003, con inizio lavori aprile 2003 e ultimazione dei lavori
2004, per i lavori contabilizzati nel corso del 2003 non opererà
la compensazione, che invece opererà per i lavori contabilizzati
nel 2004. Una prima conclusione: i momenti da tenere i considerazione sono quelli della presentazione delle offerte e della
contabilizzazione, indipendentemente dalla momento esecutivo
dei lavori;
b)la compensazione, qualora il decreto ministeriale annuale rilevi
le suddette variazioni, va calcolata innanzitutto sulle quantità
accertate dal direttore dei lavori e deve essere determinata: —
dal decreto ministeriale si rileva la variazione in percentuale eccedente il 10% del singolo materiale da costruzione nell’anno
solare di presentazione dell’offerta e la si applica al prezzo; —
la variazione del prezzo unitario così determinata va applicata
alle quantità del singolo materiale da costruzione contabilizzate
nell’anno solare precedente al decreto ministeriale annuale, per
effetto del quale è risultata la variazione in parola. L’esempio a
tal proposito contenuto nell’art. 3 della Circolare appare chiaro
ed eloquente. Certo è che i prezzi riportati nel decreto ministe-
390
Capitolo XIII
riale annuo hanno valore unicamente di parametro e non interferiscono assolutamente con i prezzi contrattuali dei singoli
appalti;
c) il comma 2 dell’art. 2 della circolare 871/05 disciplina la determinazione delle quantità del singolo materiale da costruzione, per il quale va applicata la variazione di prezzo unitario e
la relativa compensazione; pertanto, quest’ultima riguarda sia
opere contabilizzate a misura sia opere contabilizzate a corpo.
La determinazione è effettuata dal Direttore dei lavori, il quale, se il singolo materiale da costruzione risulti presente come
tale in contabilità, deve individuarne da registro di contabilità
le quantità contabilizzate (per le opere contabilizzate a misura), ovvero le percentuali di avanzamento cui corrispondono le
quantità determinate sulla base delle previsioni progettuali (per
le opere contabilizzate a corpo). Inoltre, nell’ipotesi in cui il singolo materiale da costruire fosse compreso in lavorazione più
ampia, il Direttore del lavori dovrà ricostruirne la relativa incidenza quantitativa sulla base della documentazione progettuale
e degli allegati elaborati grafici;
d)all’eventuale compensazione non si applica l’istituto della riserva: la compensazione, ove ne ricorrono i presupposti, è un diritto riconosciuto ex lege (art. 2, comma 4);
e) gli ultimi commi dell’art. 2, disciplinano la procedura da seguire, secondo regole fissate nella maggior snellezza possibile. In
particolare:
– avvio su richiesta dell’appaltatore alla stazione appaltante,
successivamente all’emanazione del decreto ministeriale annuale; indicazione nell’istanza dei materiali da costruzione
per i quali si ritiene siano dovute compensazioni;
– onere per la stazione appaltante di verificare, tramite il Direttore dei lavori, l’eventuale maggiore onerosità subita
dall’istante, provata con adeguata documentazione, dichiarazioni di fornitori o subcontraenti o con altri idonei mezzi
di prova relativi al prezzo pagato dall’appaltatore rispetto a
Termini di adempimento, penali, adeguamenti dei prezzi
–
–
–
–
391
quello documentato dallo stesso con riferimento al momento
dell’offerta;
una deroga a quanto ora espresso: in presenza di materiali da
costruzione che hanno subìto variazioni in diminuzione, la
procedura è avviata d’ufficio dalla stazione appaltante entro
90 giorni dall’emanazione del decreto ministeriale annuale.
In tale ipotesi entra in gioco anche la figura del Responsabile
del procedimento, che accerta il credito della stazione appaltante e lo attesta mediante proprio provvedimento, procedendo poi al recupero;
la variazione percentuale relativa alla maggiore onerosità documentata dall’appaltatore è il discrimine e cambia la compensazione. Infatti, se quella sia inferiore alla rilevazione del
decreto, la compensazione è riconosciuta limitatamente alla
predetta variazione inferiore per la parte eccedente al 10%;
se la variazione fosse superiore, la compensazione risulterebbe riconosciuta nel limite massimo della variazione per la
parte eccedente al 10%;
ancora un termine temporale paro a 90 giorni, suddiviso in
due fasi: nei 45 giorni dal ricevimento dell’istanza, il Direttore
dei lavori effettua i conteggi per le compensazioni e li presenta poi alla stazione appaltante; negli altri 45 giorni, che decorrono da quest’ultima presentazione dei conteggi, il Responsabile del procedimento verifica la eventuale disponibilità delle
somme nel quadro economico di ogni singolo intervento e
segue la procedura ex art. 26, comma 4–sexties, ult. periodo,
l. 109/94 e s.m.i. In tale termine ultimo, il Responsabile del
procedimento, verificati e convalidati i conteggi, provvede
all’emissione del certificato di pagamento, dall’emissione del
quale si applica quanto contenuto dall’art. 29, comma 1 del
d.m. 145/2000;
ove sussista la disponibilità finanziaria della stazione appaltante e questa non abbia provveduto all’emissione del relativo certificato pagamento risulta essere causa imputabile alla
392
Capitolo XIII
stazione appaltante stessa e pertanto relativamente agli interessi per ritardato pagamento si applicherà l’art. 30, commi 1
e 2 del d.m. 145/2000;
– se il Direttore dei lavori riscontri un ritardo addebitabile
all’appaltatore relativamente all’andamento dei lavori rispetto al cronoprogramma, ritardo questo relativo a lavorazioni
direttamente incidenti su materiali oggetto di compensazione, non si applicano le compensazioni in aumento dovute al
protrarsi dei lavori oltre l’anno solare entro il quale erano
stati previsti nel predetto cronoprogramma
Pertanto, gli elementi necessari al fine di effettuare la suddetta
comparazione con i valori riportati dal decreto ministeriale annuale
devono essere solamente il prezzo offerto dall’appaltatore e il costo
effettivamente sostenuto da quest’ultimo.
Capitolo XIV
La sospensione dei lavori
Come è noto, l’eventuale sospensione dei lavori1 può avvenire,
in astratto, tanto per iniziativa dell’appaltatore quanto per iniziativa
dell’amministrazione appaltante, fermo restando che il legittimo potere di disporre la sospensione compete solo all’amministrazione appaltante, in quanto l’appaltatore per nessun motivo può interrompere
l’esecuzione dell’opera o rallentarne l’andamento, sussistendo in capo
allo stesso l’obbligo generale di eseguire i lavori in via continuativa
fino alla relativa ultimazione.
La sospensione è legittima o illegittima a seconda della causa che
ne sta alla base.
In particolare, secondo la normativa generale in materia di lavori
pubblici, due sono le ipotesi di legittima sospensione: 1) per circostanze speciali quali la forza maggiore e le condizioni climatologiche (ex art.
30, comma 1 del d.p.r. 16 luglio 1962, n. 1063 e, ai sensi dell’attuale normativa, ex art. 133, comma 1 del d.p.r. 554/99), che consistono appunto
in speciali fattori esterni che impediscono l’esecuzione o la realizzazione
delle opere a regola d’arte; 2) per ragioni di pubblico interesse e necessità (ex art. 30, comma 2 del d.p.r. 16 luglio 1962, n. 1063 e, ai sensi
dell’attuale normativa, ex art. 133, comma 2 del d.p.r. 554/99).
1.
Cfr. sul tema Cianflone, Giovannini, L’Appalto, op. cit. pp. 853 e ss.; P. Carbone, La
disciplina della sospensione dei lavori nel d.p.r. 21 dicembre 1999, n. 554 e nel d.m. 19 aprile
2000, n, 145, in «Riv. Trim. Appalti», 2002, 413; M. Mazzone, L. Loria, Manuale, op. cit., pp.
550 e ss.
393
394
Capitolo XIV
Al di fuori delle ipotesi sopra indicate la sospensione è illegittima
(art. 25, comma 1 del d.m. 145/2000).
La sospensione è illegittima e dà luogo comunque al diritto dell’appaltatore al risarcimento del danno ove si dimostri o sia certo che la
stessa sospensione dipende da fatto imputabile a colpa dell’amministrazione.
La legittimità o meno della sospensione deve essere accertata sulla
base di una valutazione delle cause che obiettivamente l’hanno determinata, a nulla rilevando la motivazione formale addotta dall’amministrazione al relativo provvedimento. In altri termini, l’amministrazione non può dissimulare le proprie inadempienze adducendo sic et
simpliciter la sussistenza di una causa di forza maggiore o di pubblico
interesse.
In tutte le ipotesi in cui la sospensione è determinata da responsabilità della stazione appaltante, essa è illegittima ab origine e determina il diritto dell’appaltatore al risarcimento del danno dal momento in
cui ha avuto inizio.
Tornando alle ipotesi di sospensione legittima, si è detto che esse
sono quelle determinate: 1) da cause di forza maggiore; 2) da ragioni
di pubblico interesse o necessità.
In linea generale, le ipotesi di cui al punto 1) sono tutte riconducibili al concetto di matrice civilistica di “forza maggiore”, in quanto
deve trattarsi di circostanze di carattere oggettivo, nel senso che prescindono dalla responsabilità della stazione appaltante (o dell’appaltatore), impreviste e imprevedibili e comunque inevitabili anche con
la dovuta diligenza professionale.
Nella vigente normativa di cui all’art. 24, comma 1 del d.m.
145/2000 è anche precisato che tra le circostanze speciali che legittimano la sospensione dei lavori è altresì inclusa l’ipotesi in cui la relativa esigenza sia determinata dalla necessità di redigere una perizia di
variante per i motivi di carattere oggettivo di cui all’art. 132, c. 1 lett.
a), b), c), d) del Codice (è l’abrogato art. 25, c. 1 lett. a), b), b–bis) e
c) della l. 109/94 e s.m.i. (sopravvenute disposizioni legislative, cause
imprevedibili sopravvenute, possibilità di utilizzare — senza maggiore
La sospensione dei lavori
395
spesa — materiali migliori o nuove tecnologie, cause di natura geologica, idrica e simili non prevedibili al momento del contratto).
Deve dunque trattarsi di varianti originate da eventi imprevedibili,
posto che, al contrario, sussisterebbe l’ipotesi di errore progettuale e,
quindi, la sospensione sarebbe illegittima.
Peraltro, allorché l’amministrazione, nella redazione e nell’approvazione della perizia, superi i tempi tecnici ragionevolmente necessari,
la sospensione, originariamente legittima — in quanto riconducibile a
causa di forza maggiore — diverrebbe illegittima.
In presenza delle circostanze di carattere speciale come sopra definite, la sospensione dei lavori costituisce un obbligo della stazione
appaltante e determina il diritto dell’appaltatore al differimento del
termine contrattuale per un periodo corrispondente al ritardo prodotto dalla causa a lui non imputabile.
Per converso, secondo quanto previsto dall’art. 30, comma 3 del
d.p.r. 16 luglio 1962, n. 1063 e, oggi, dall’art. 24, comma 5 del d.m.
145/2000 per la sospensione dei lavori legittima, in quanto fondata su
causa di forza maggiore e dunque per fatto non riconducibile a colpa
della stazione appaltante, all’appaltatore non compete alcun compenso o indennizzo.
Peraltro, in linea di principio, in presenza di una sospensione legittima, l’appaltatore resta vincolato al contratto nel senso che deve
necessariamente attendere la cessazione della causa di forza maggiore
e, dunque, la ripresa dei lavori.
Per quanto concerne la sospensione dei lavori per ragioni di pubblico interesse o necessità, si osserva che tale ipotesi, a differenza di
quella determinata da forza maggiore, non si ricollega all’obiettiva impossibilità di eseguire le opere, bensì alla valutazione discrezionale del
responsabile del procedimento della maggiore convenienza, in termini di pubblico interesse o necessità, di sospendere i lavori piuttosto
che di proseguirli.
Resta fermo che, in tal caso, la legittimità della sospensione è strettamente correlata al corretto esercizio del potere discrezionale da parte della pubblica amministrazione. Dunque, la sospensione per “pub-
396
Capitolo XIV
blico interesse” è un provvedimento discrezionale del responsabile
del procedimento, soggetto ad impugnazione (per vizi di legittimità)
da parte dell’appaltatore.
Per quanto riguarda la durata della sospensione, esiste una disciplina diversa a seconda che la causa sia: di forza maggiore ovvero di
pubblico interesse o necessità.
Come è noto, mentre la sospensione per cause di forza maggiore
può avere durata indeterminata — per tutto il tempo cioè in cui permangono le cause ostative alla ripresa — e non dà luogo al diritto dell’appaltatore di recedere dal contratto o ad indennizzi o compensi di
sorta, fatto salvo quanto previsto oggi dall’art. 24, comma 3 del d.m.
145/2000, la sospensione dei lavori per pubblico interesse è soggetta
a limiti temporali prefissati, superati i quali l’appaltatore ha facoltà
di chiedere all’amministrazione l’assenso alla risoluzione consensuale
del contratto.
Tale principio, come accennato, è sancito dall’art. 24, comma 4 del
d.m. 145/2000 (che in ciò ricalca esattamente quanto disposto dall’art. 30, comma 2 secondo periodo del d.p.r. 1063/1962) secondo cui,
qualora la sospensione o, se più di una, le sospensioni complessivamente considerate superino sei mesi o comunque un quarto del tempo
contrattuale, l’appaltatore può chiedere la risoluzione del contratto.
Come accennato, l’assenso dell’amministrazione alla risoluzione contrattuale esclude il diritto dell’appaltatore a qualsiasi forma di risarcimento del danno.
Al contrario, se l’amministrazione nega il suo assenso, l’appaltatore avrà diritto al ristoro dei maggiori oneri e danni per il periodo
eccedente i suddetti termini. Il risarcimento spettante all’appaltatore
in siffatta ipotesi, secondo quanto espressamente previsto dalla disposizione in parola, include solo il ristoro dei maggiori oneri (spese generali variabili, spese per il personale, mancato ammortamento, premi
fideiussori ecc.).
La richiesta di risoluzione del contratto sembrerebbe integrare una
vera e propria condizione per la sussistenza del diritto dell’appaltatore al ristoro dei maggiori oneri.
La sospensione dei lavori
397
Peraltro, la disposizione in parola, nel subordinare alla suddetta
condizione il diritto dell’appaltatore al ristoro dei danni, integra una
norma di carattere eccezionale, che dunque non è suscettibile di applicazione in via analogica o estensiva al diverso caso di sospensione
originata da cause di forza maggiore.
Per quanto riguarda, invece, l’ipotesi di sospensione per forza maggiore che si protragga oltre il tempo strettamente necessario, va rilevata una diversa regolamentazione di ciò nel d.p.r. 1063/1962 rispetto a
quanto previsto nel d.m. 145/2000.
Secondo quest’ultima normativa, la sospensione dei lavori da originariamente legittima (in quanto causata da forza maggiore) può divenire illegittima a seguito di comportamenti colpevoli dell’amministrazione, quali la mancata disposizione della ripresa dei lavori nonostante
la cessazione della causa di forza maggiore ovvero la eccessiva durata
della sospensione disposta per l’adozione di una variante il cui iter si
sia prolungato oltre i tempi tecnici necessari.
Nell’ipotesi in cui la stazione appaltante, pur essendo cessate le
cause di forza maggiore legittimanti la sospensione, non disponga la
ripresa dei lavori, l’impresa esecutrice (ex art. 24, comma 3 del d.m.
145/2000) può diffidare la stazione appaltante alla ripresa e chiedere
il risarcimento dei danni da sospensione per il periodo intercorrente
tra la cessazione della causa della sospensione stessa e il verbale di
ripresa.
In tale ultima ipotesi, il diritto al ristoro del danno subito, secondo quanto previsto espressamente dall’art. 24, comma 3, del d.m.
145/2000 è subordinato alla duplice condizione che l’appaltatore abbia diffidato formalmente la stazione appaltante alla ripresa dei lavori
e abbia, poi, iscritto relativa riserva sul verbale di ripresa.
Lo stesso dicasi nell’ipotesi in cui la durata oltre i tempi tecnici
della sospensione disposta per la necessità di adottare una variante sia
correlata al comportamento negligente della stazione appaltante.
L’articolo 30 del d.p.r. 16 luglio 1962 n. 1063 nulla prevedeva né
in relazione all’ipotesi di protrazione della sospensione oltre la data di
cessazione delle cause di forza maggiore, né in relazione alla protra-
398
Capitolo XIV
zione della sospensione oltre i tempi tecnici per l’adozione di varianti
progettuali.
Come evidenziato, sia nel caso di sospensione determinata da causa di forza maggiore, sia nel caso di sospensione determinata da fatto
imputabile alla stazione appaltante, la stessa stazione appaltante deve,
senza alcuna possibilità di apprezzamento discrezionale, concedere
un termine suppletivo commisurato al ritardo.
Sul piano normativo tale principio è sancito dall’art. 24, comma 6
del d.m. ll. pp. 145/2000 che, appunto, prevede:
in ogni caso, e salvo che la sospensione non sia dovuta a cause attribuibili
all’appaltatore, la sua durata non è calcolata nel tempo fissato dal contratto
per l’esecuzione dei lavori.
Dalla stessa disposizione, peraltro, si evince che in ipotesi di sospensione totale, il termine suppletivo da concedere all’appaltatore
deve essere pari al numero dei giorni residui alla scadenza del termine contrattualmente previsto per l’ultimazione dei lavori, al momento
della sospensione.
In altri termini, la sospensione dei lavori, sotto il profilo temporale,
implica semplicemente la sospensione del termine per l’ultimazione
dei lavori fissato nel contratto d’appalto, termine che, dunque, riprenderà a decorrere dal momento della ripresa dei lavori.
Per quanto concerne l’ipotesi di sospensione parziale dei lavori, il
successivo comma 7 della stessa disposizione di cui all’art. 24 del d.m.
ll. pp. 145/2000 indica il criterio da seguire ai fini del computo del
termine suppletivo da concedere all’appaltatore, disponendo:
alla sospensione parziale dei lavori ai sensi dell’articolo 133, comma 7, del
regolamento, si applicano i commi 1, 2 e 5; essa determina altresì il differimento dei termini contrattuali pari ad un numero di giorni determinato dal
prodotto dei giorni di sospensione per il rapporto tra ammontare dei lavori
non eseguiti per effetto della sospensione parziale e l’importo totale dei lavori previsto nello stesso periodo secondo il programma dei lavori redatto
dall’impresa.
La sospensione dei lavori
399
Dunque, nell’ipotesi di sospensione parziale, il calcolo del termine
suppletivo deve comunque fare riferimento alla tempistica preventivata dall’appaltatore relativamente alle specifiche lavorazioni interessate dalla sospensione e cioè al c.d. cronoprogramma.
Secondo i generali principi, quindi, dall’eventuale illegittimità di una
sospensione disposta deriverebbe non solo il diritto dell’appaltatore al
ristoro delle voci di danno, come specificamente individuate dall’art. 25,
comma 2 del d.m. ll. pp. 145/2000 (spese generali infruttifere, mancato
utile, mancato ammortamento dei macchinari etc.), nonché di quelle
“ulteriori voci di danno solo se documentate e strettamente connesse
alla sospensione dei lavori” (art. 25, comma 3 d.m. 145/2000), ma anche il diritto alla ridefinizione dei tempi esecutivi dell’appalto e, cioè,
alla proroga del termine contrattuale per l’ultimazione dei lavori.
Pertanto, si ritiene che l’appaltatore, in quell’ipotesi, abbia diritto
al ristoro dei maggiori oneri patiti in rapporto a tutto il periodo di
sospensione dei lavori, trattandosi di sospensione illegittima ab origine senza alcuna franchigia temporale e a prescindere dal fatto che la
durata della sospensione si sia protratta oltre i limiti temporali stabiliti
dalla legge e senza che fosse necessario diffidare la stazione appaltante
e/o avvalersi della facoltà di domandare lo scioglimento dal contratto
ex art. 24, comma 4 del d.m. 145/2000.
È, peraltro, appena il caso di ricordare che l’azionabilità delle pretese risarcitorie da parte dell’appaltatore è comunque subordinata alla
tempestiva e rituale iscrizione della relativa riserva nel verbale di sospensione, di ripresa e in contabilità.
Ciò posto, appare utile verificare quali siano in concreto le voci di
danno ristorabili.
Al riguardo, come anticipato, è il legislatore stesso che predetermina e fissa le modalità di calcolo dei danni da risarcire all’appaltatore
in caso di sospensione illegittima (ovvero di sospensione divenuta illegittima), prevedendo all’art. 25, comma 2 del d.m. 145/2000, lettera
a), b), c) e d) i relativi criteri e voci e stabilendo al successivo comma
3 la risarcibilità del danno ulteriore “se documentato e strettamente
connesso alla sospensione”.
400
Capitolo XIV
Con quest’ultima disposizione, si è riconosciuto che l’appaltatore
può ottenere il risarcimento di ulteriori voci di danno diverse da quelle
indicate nel comma 2 con l’unico limite che sia in grado di fornirne prova documentale, il che consente di riconoscergli, ad esempio, i maggiori
premi pagati per fideiussioni e assicurazioni nel periodo di sospensione
come pure il lucro cessante, ossia l’utile che avrebbe potuto realizzare
in altri cantieri ove non fosse stato vincolato all’appalto sospeso, ma
sempreché sia nelle condizioni di provare per iscritto di aver dovuto rinunciare ad altre occasioni di lavoro; nonché i noli di mezzi d’opera, se
dimostri per iscritto di aver dovuto corrispondere i canoni di noleggio
anche nel periodo di sospensione e così via dicendo.
Più difficile è ipotizzare che l’aggiornamento dei prezzi per il lungo
tempo trascorso possa trovare ingresso per tale via, non trattandosi di
voce di danno dimostrabile con “prova documentale” analoga a quella delle fideiussioni, noleggi, assicurazioni o perdita di chance.
Semmai, laddove il sinallagma contrattuale risulti definitivamente
compromesso dal perdurare della illegittima sospensione dei lavori,
l’appaltatore sarebbe legittimato a chiedere la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta ex art. 1467 del codice civile,
il cui effetto, peraltro, potrebbe essere evitato dall’Amministrazione
con la cosiddetta offerta di reductio ad aequitatem, di cui al comma
3 dell’art. 1467 secondo cui “la parte contro la quale è domandata la
risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto”.
In conclusione, all’appaltatore che abbia iscritto tempestiva riserva
compete senza dubbio: 1) il risarcimento dei danni per la sospensione
illegittima come quantificati dall’art. 25, comma 2 del d.m. 145/2000,
più le voci ulteriori comprovabili “documentalmente”; 2) la proroga
del termine contrattuale previsto per l’ultimazione dei lavori.
Infine, laddove a prescindere dal ristoro delle voci di danno, il sinallagma contrattuale sia stato definitivamente compromesso in danno dell’appaltatore, questi può chiedere la risoluzione del contratto
per eccessiva onerosità sopravvenuta ex art. 1467 c.c., a sua volta evitabile dall’Amministrazione attraverso una proposta di riconduzione
La sospensione dei lavori
401
ad equità del contratto, che può passare anche attraverso un aggiornamento dei prezzi di contratto.
Il tutto senza dimenticare che in presenza di ulteriori profili di grave
inadempimento da parte della stazione appaltante, l’appaltatore ha sempre la possibilità di chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento della P.A. e in tale sede chiedere il risarcimento pieno del danno.
L’interrogativo, infine, che si potrebbe porre consisterebbe nel verificare se e secondo quali modalità possano essere fatte valere le eventuali numerose sospensioni dei lavori che possono verificarsi nel corso
di un appalto, mai formalmente disposte dalla stazione appaltante,
anche al fine di ottenere una proroga del termine per l’ultimazione
dell’opera.
Alla luce delle delineate considerazioni, appare evidente come, sia
il diritto ad ottenere una proroga dei termini contrattuali, che il diritto
dell’Impresa ad ottenere il risarcimento dei danni, sia condizionato
dalla legittimità o meno delle cause che hanno determinato le sospensioni.
In particolare, in ogni ipotizzabile fattispecie, occorre in primo
luogo appurare se per contratto l’onere di rimuovere gli ostacoli in
generale che hanno determinato le eventuali sospensioni verificatesi
nel corso dell’esecuzione dei lavori fosse a carico della stazione appaltante, ovvero a carico della stessa Impresa esecutrice.
Una volta accertato che tale onere fosse previsto a carico della stazione appaltante, le sospensioni, sia pure mai formalizzate dalla stazione appaltante, risulterebbero senz’altro illegittime e perciò tali da
costituire il fondamento di istanze risarcitorie da parte dell’Impresa
esecutrice, da far valere mediante iscrizione di apposita riserva.
Tuttavia, alla formalizzazione di sospensioni parziali o totali imputabili alla stazione appaltante non potrebbe provvedersi nell’ipotesi
in cui si tratti di sospensioni risalenti nel tempo ed eventualmente
superate dal venir meno della relativa causa.
Più precisamente, con riferimento a tali ultime sospensioni, l’amministrazione non potrebbe procedere “ora per allora” all’emanazione di un formale provvedimento di sospensione.
402
Capitolo XIV
In tal caso, comunque, le istanze risarcitorie potrebbero essere accolte dalla stazione appaltante, in sede di eventuale accordo bonario
ex articolo 240 del Codice (è l’abrogato art. 31 bis l. 109/94), laddove
per ipotesi la stessa stazione appaltante riconoscesse l’imputabilità a
proprio carico delle cause delle sospensioni pregresse.
Diverso è il discorso per quel che concerne un’eventuale sospensione in corso. In tal caso, l’amministrazione potrebbe disporre un
formale provvedimento di sospensione, mediante apposito verbale,
specificando le ragioni che ne determinano la necessità e specificando
che in relazione alla durata e alla natura totale o parziale della sospensione stessa, sarà concesso all’Impresa un congruo termine di proroga
per l’ultimazione dei lavori.
È appena il caso di precisare che, in ogni caso, il predetto verbale
dovrà essere sottoscritto con riserva dall’Impresa, al fine del successivo verbale di ripresa.
Capitolo XV
Risoluzione del contratto. Recesso
Fallimento dell’appaltatore: questioni
In generale, nelle previsioni conteute nel codicie civile, un contratto può sciogliersi per le seguenti ragioni: perché le prestazioni sono
regolarmente cessate (ad esempio, l’appaltatore ha terminato le lavorazioni e dopo il collaudo l’amministrazione ha accettato definitivamente l’opera); per mutuo consenso delle parti; per risoluzione causata dall’inadempimento di una parte (art. 1453 cod. civ.); per eccessiva
onerosità della prestazione (art. 1467 cod. civ.); per impossibilità sopravvenuta (art. 1463 cod. civ).
La risoluzione segna un momento patologico del contratto, fino a
determinarne lo scioglimento.
Nell’ambito degli appalti di lavori pubblici le caratteristiche della
risoluzione, in coerenza con il c.d. principio di specialità di cui s’è
detto, sono espressamente previste dal Codice De Lise, agli artt. 135
e 136.
Dato il rilievo attribuibile all’atto di risoluzione di un contratto
d’appalto, il legislatore ha dettato, infatti, per la materia dei lavori
pubblici una attenta disciplina al fine di individuare le cause che possono legittimamente determinare la fine di un rapporto contrattuale
di lavori pubblici.
A tale riguardo, occorre premettere che uno dei principi fondamentali del diritto privato è costituito dal c.d. divieto dell’autotutela.
Questo divieto agisce nel senso che, tra i privati, il titolare di una pre403
404
Capitolo XV
tesa non può conseguire la sua realizzazione se non dopo averla fatta
riconoscere dall’autorità giudiziaria e nel senso che, ove si tratti di una
prestazione di carattere materiale, egli non può agire direttamente per
la esecuzione coattiva, ma deve procedervi solo a mezzo degli organi a
ciò preposti e previa sentenza di condanna.
Sennonché, nel settore dei lavori pubblici dapprima gli artt. 118
e 119 del d.p.r. 554/99, poi gli artt. 135 e 136 del Codice sono intervenuti sull’argomento disciplinando in modo autonomo le ipotesi
(di reati accertati, grave inadempimento, grave irregolarità o grave ritardo) che possono condurre alla risoluzione del contratto per fatto
imputabile all’appaltatore, e le stesse modalità con cui agire per la
risoluzione del contratto.
La pronuncia di risoluzione, l’esecuzione di ufficio, il riappalto in
danno rappresentano tutte forme di autotutela, di che, alcune, in via
dichiarativa e, altre, in via di esecuzione coattiva, incidono su di un
rapporto di diritto privato e ciò in deroga al divieto di autotutela che
in linea generale varrebbe anche per la pubblica amministrazione.
Il principio di autotutela è infatti connaturale alla pubblica amministrazione solo rispetto ai rapporti di diritto pubblico, mentre, rispetto ai rapporti di diritto privato, è inteso come mezzo eccezionale
e soltanto un’espressa norma di legge, come nel caso specie, può accordarlo e prevederlo.
Più nello specifico, la risoluzione prevista dall’art. 135 del Codice si
pone in linea con quelli che erano già gli elementi delineati precedentemente con l’art. 340 della l. 2248/1865.
Tale norma è stata intesa dal legislatore come diretta ad individuare e tipizzare le fattispecie sulla base delle quali il responsabile
del procedimento possa valutare discrezionalmente l’opportunità di
procedere alla risoluzione del contratto.
Il presupposto per tale valutazione deve essere necessariamente
l’emanazione di un provvedimento definitivo che dispone l’applicazione di una misura di prevenzione nei confronti di quei soggetti che
possono essere definiti pericolosi per la sicurezza e per la pubblica
moralità ex art. 3 della l. 1423/1956, o per il passaggio in giudicato di
Risoluzione del contratto. Recesso. Fallimento dell’appaltatore: questioni
405
una sentenza di condanna per frodi nei riguardi dei soggetti coinvolti
direttamente nei lavori o dei soggetti comunque interessati ai lavori o
per violazione degli obblighi attinenti alla sicurezza sul lavoro.
Riguardo alla disciplina previgente si può notare come la volontà
del legislatore sia stata quella di restringere quello che era il precedente ambito applicativo dell’istituto; infatti considerando la previgente
disciplina, era sufficiente per poter ricadere in tale ipotesi normativa
il fatto che sussistesse un evento che potesse semplicemente dar luogo
ad un procedimento per frode; cosa che si differenzia profondamente
rispetto alle attuali previsioni normative secondo cui invece è assolutamente necessario che «sia intervenuta sentenza di condanna passata
in giudicato».
Pertanto, come chiaramente emerge dall’attuale disciplina, il legislatore ha inteso posticipare il momento di tutela imponendo che si
possa procedere con la risoluzione del contratto ex art. 135 cit. soltanto nell’ipotesi in cui sussista un reato già definitivamente accertato,
con sentenza passata in giudicato. Ma è bene scendere un pò di più
nel particolare della prescrizione contenuta nell’art. 135.
È un articolo che rispetto all’abrogato art. 118 del d.p.r. 554/99
presenta modifiche che lo rendono più preciso ed aggiunte che lo rendono più ampio.
Il d.lgs. 113/07 opera due in due tempi gli interventi modificativi
sul testo dell’articolo.
Con l’art. 1, comma 1 lett. p) restringe la valutazione del responsabile del procedimento: l’attuale formulazione stabilisce che egli
“propone” (indicativo che, come è noto, in legge vale imperativo) alla
stazione appaltante di procedere alla risoluzione, qualora avvenga una
delle situazioni descritte nel comma 1 dell’art. 135. Ma, come dato
che di poco fa spostare la facoltà in obbligo, rimane l’espressione “in
relazione allo stato dei lavori e alle eventuali conseguenze nei riguardi
delle finalità dell’intervento”.
Pertanto, si assiste con la novella qui operata dal II Decreto correttivo al restringimento della «valutazione dell’“opportunità”» all’«obbligo di proporre» la risoluzione se si è in presenza di una delle
406
Capitolo XV
situazioni indicate dal comma 1, fermo restando, però, che il tutto
deve sempre essere preventivamente giudicato dal responsabile del
procedimento in relazione allo stato dei lavori ed alle conseguenze
eventuali. Solo a sèguito di tale giudizio, sembra allora potersi affermare che il responsabile del procedimento “dovrà” (e non più “potrà”) proporre la risoluzione alla stazione appaltante.
Il secondo intervento del d.lgs. 113/07 sull’art. 135 del Codice è
operato dall’art. 3, comma 1 lett. i), ove al n. 2) è previsto l’inserimento oltre alle misure di prevenzione personali indicate dalla l. 1423/56
all’art. 3, anche le misure previste dalla legge 575/1965, agli artt. 2 e
seguenti. Con tale modifica vengono a rilevare ai fini di quanto sancito
nell’art. 135 del Codice anche quelle misure che, in materia di antimafia (e limitatamente a quelle previste negli artt. 2–bis, 2–ter, 3–bis
e 3–ter della l. 575/65), possono essere poste a base dell’informativa
prefettizia come documenti da cui desumere tentativi di infiltrazione
mafiosa (d.p.r. 252/1998, art. 10, comma 7 lett. b).
Il n. 1) della lett. i), comma 3 del d.lgs. 113/07 modifica, ampliandola, la rubrica dell’art. 135: si aggiunge l’intitolazione in forza
della nuova previsione contenuta nel comma 1–bis (inserito dal n. 3)
della lett. i) dell’art. 3 del II Decreto correttivo).
Fra le ipotesi di risoluzione — stavolta ex opere operato, cioè la
risoluzione avviene senza dubbio al verificarsi di quanto espresso da
comma 1–bis — viene ad essere prevista espressamente quella in cui
sia intervenuta a monte la revoca — risultante dal casellario informatico — dell’attestazione di qualificazione per aver prodotto falsa
documentazione o aver dichiarato con mendacio.
Il riferimento alla revoca dell’attestazione è all’art. 40, comma 9–ter
così come novellato dal d.lgs. 113/07.
È quanto meno singolare che il Legislatore, una volta rivisitato od
ampliato il contenuto dell’art. 135, abbia ancora mantenuto la dizione
di “Risoluzione del contratto per reati accertati” nella prima parte
della rubrica, intitolazione che già era parziale e limitata nella vecchia
formulazione dell’abrogato art. 118 del d.p.r. 554/99 eppoi dell’art.
135, prima della novella suddetta. A fronte della rubrica relativa a
Risoluzione del contratto. Recesso. Fallimento dell’appaltatore: questioni
407
reati accertati il contenuto della disposizione del comma 1 si apre anche alle ipotesi di applicazione di una o più misure di prevenzione
ed alla violazione degli obblighi attinenti alla sicurezza sul lavoro, a
cui giustamente il d.lgs. 113/07 dedica massima attenzione dettando
nuove regole (la mancanza dei piani di sicurezza, invece, ab origine
è causa di nullità del contratto per espressa previsione dell’art. 131,
comma 5).
***
Il successivo art. 136 del Codice, che disciplina l’ipotesi di risoluzione del contratto per grave inadempimento, grave irregolarità e
grave ritardo, deve essere considerato come uno strumento di autotutela disposto a favore della Pubblica Amministrazione, in aggiunta
agli ordinari poteri previsti dalla disciplina privatistica.
Tale disposizione normativa prevede, come presupposto, il fatto
che sia individuato un grave inadempimento idoneo a “compromettere la buona riuscita dell’opera”.
L’art. 136 del Codice sotto il profilo procedurale prevede che il
direttore dei lavori, che abbia accertato un grave inadempimento dell’appaltatore capace di compromettere la buona riuscita dei lavori,
dovrà inviare al responsabile del procedimento una relazione particolareggiata corredata dei documenti necessari, indicando la stima dei
lavori eseguiti regolarmente e che devono essere accreditati all’appaltatore.
La norma in esame è diretta a mettere il responsabile del procedimento in condizione di effettuare l’analisi dei costi–benefici per decidere se promuovere o meno la risoluzione del contratto.
Nelle ipotesi indicate dalla normativa in esame emerge come il legislatore abbia voluto che fosse eseguita, in materia di appalti pubblici,
una valutazione ex ante e in astratto sull’interesse all’adempimento,
visto che il fine ultimo dei contratti di lavori pubblici è quello di assicurare la “buona riuscita dei lavori”.
La disciplina, tuttavia, pur nella genericità espositiva sulla definizione di “inadempimento grave”, ha altresì stabilito che deve necessariamente sussistere uno stretto legame tra quello che è il concetto
408
Capitolo XV
di gravità e quello dell’idoneità a compromettere la buona riuscita
dei lavori.
Pur nell’ampiezza del valore interpretativo che si può attribuire al
termine “inadempimento” — il quale può comprendere un numero
piuttosto ampio di ipotesi identificative — esso va inteso nell’accezione più restrittiva derivante dall’aggiunta dell’aggettivo “grave”.
***
Diverso istituto rispetto alla risoluzione è il recesso in forza del quale si ha comunque lo scioglimento del contratto.
Anche in tema di recesso, rimane la medesima normativa dell’art.
122 del Regolamento d’attuazione della legge Merloni e dell’art. 345
della legge del 1865.
Il recesso ha natura eccezionale nel quadro della suddette cause di
scioglimento del contratto: il recesso è infatti deroga ai principi generali ricavabili dai modi per i quali un contratto può sciogliersi.
Il recesso è esercizio di un diritto potestativo (che una delle situazioni giuridiche soggettive attive) ed è un atto negoziale avente natura
ricettizia in quanto produce i suopi effetti da quando l’appaltatore è
portato a conoscenza. Il ristoro dovuto all’appaltatore, a differenza
di quano avviene per l’appalto di diritto civile ex art. 1671 cod. civ.,
è determinato preventivamente dalla legge (l’art. 134, comma 1 del
codice, appunto).
Per gli appalti pubblici la normativa è speciale e prevede (all’art.
134 del Codice) che la stazione appaltante ha il diritto di recedere in
qualunque tempo dal contratto previo il pagamento dei lavori eseguiti
e del valore dei materiali utili esistenti in cantiere, oltre al decimo dell’importo delle opere non eseguite.
Il decimo dell’importo delle opere non eseguite è calcolato sulla differenza tra l’importo dei quattro quinti del prezzo posto a base di gara,
depurato del ribasso d’asta, e l’ammontare netto dei lavori eseguiti. La
ratio di tale dispozione sui 4/5 è da rinvenirsi nella speculare previsione
contenuta nell’art. 12, comma 1 del d.m. 145/00, in cui è previsto che,
indipendentemente dalle ipotesi previste dall’articolo 132 del Codice
(cioè le varianti), la stazione appaltante può sempre ordinare l’esecuzio-
Risoluzione del contratto. Recesso. Fallimento dell’appaltatore: questioni
409
ne dei lavori in misura inferiore rispetto a quanto previsto in capitolato
speciale d’appalto, nel limite di 1/5 dell’importo di contratto e senza
che nulla spetti all’appaltatore a titolo di indennizzo.
L’esercizio del diritto di recesso è preceduto da formale comunicazione all’appaltatore da darsi con un preavviso non inferiore a venti
giorni, decorsi i quali la stazione appaltante prende in consegna i lavori ed effettua il collaudo definitivo (art. 134, comma 3). Tale termine
minimo di venti giorni, se non rispettato, non sembra avere la forza
giuridica per inficiare il recesso, considerata appunto la ratio della
comunicazione preventiva: consentire all’appaltatore di realizzare nel
tempo a disposizione tutte le operazioni necessarie per consentire all’amministrazione committente di prendere in consegna la parte di
lavori effettuata e collaudarla.
I materiali il cui valore è riconosciuto dalla stazione appaltante a
norma del comma 1 sono soltanto quelli già accettati dal direttore dei
lavori prima della comunicazione del preavviso di cui al comma 3.
La stazione appaltante può trattenere le opere provvisionali e gli
impianti che non siano in tutto o in parte asportabili ove li ritenga
ancora utilizzabili. In tal caso essa corrisponde all’appaltatore, per il
valore delle opere e degli impianti non ammortizzato nel corso dei
lavori eseguiti, un compenso da determinare nella minor somma fra il
costo di costruzione e il valore delle opere e degli impianti al momento dello scioglimento del contratto.
L’appaltatore deve rimuovere dai magazzini e dai cantieri i materiali
non accettati dal direttore dei lavori e deve mettere i predetti magazzini
e cantieri a disposizione della stazione appaltante nel termine stabilito;
in caso contrario lo sgombero è effettuato d’ufficio e a sue spese.
L’amministrazione può recedere dal contratto anche a sèguito della diffida ad adempiere eventualmente presentata dall’appaltatore per la risoluzione di diritto: ma, in tal caso, l’appaltatore può richiedere un risarcimento danni in misura superiore al 10% fissato dal comma 1 dell’art. 1341.
***
1.
Cfr. Mazzone, Loria, Manule, op. cit., 2005, pp. 677 e ss.
410
Capitolo XV
Tra le cause di scioglimento del contratto d’appalto, il nostro ordinamento prevede all’art. 81 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (c.d. legge
fallimentare, ora modificata con il d.lgs. 5/06), il fallimento dell’appaltatore e infatti, tale disposizione normativa prevede che
Il contratto di appalto si scioglie per il fallimento di una delle parti, se il curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori non dichiara di voler
subentrare nel rapporto dandone comunicazione all’altra parte nel termine di
giorni sessanta dalla dichiarazione di fallimento ed offrendo idonee garanzie.
Il richiamo dell’art. 81, l.f., alle norme in materia di opere pubbliche si riferiva all’art. 10, comma 1 ter della l. 109/94 s.m.i. e attualmente all’art. 140 del Codice. In tal caso, la stazione appaltante
stipulerebbe, dunque, un nuovo contratto d’appalto con il secondo
classificato in sede di gara al prezzo offerto da quest’ultimo. Peraltro,
con riferimento a tale disposizione di legge (ovviamente all’art. 10,
comma 1–ter della legge Merloni, ora abrogata) la giurisprudenza ha
avuto modo di chiarire che
l’art. 10 comma 1 ter, l. 11 febbraio 1994 n. 109 (che) prevede la possibilità
di stipula del contratto con il secondo classificato in una gara per l’aggiudicazione di lavori, è norma di stretta interpretazione, poiché costituisce eccezione ai fondamentali principi in materia di contratti della p.a., dell’affidamento
dell’appalto al vincitore della gara; pertanto, il ricorrere della detta possibilità
è subordinato all’esistenza di situazioni oggettive e soggettive, che denotino
una peculiare situazione di urgenza, che ricorrono nel caso in cui i lavori, di
cui all’appalto, siano già iniziati e si verifichi il fallimento o la risoluzione del
contratto per grave inadempimento dell’originario appaltatore2.
Si ricorda, peraltro, per completezza, che una disciplina diversa è
prevista dall’art. 37, commi 18 e 19 del Codice e dall’art. 94 del d.p.r.
554/99, per l’ipotesi specifica, di “fallimento della mandataria o di
un’impresa mandante”.
Dall’attuale 140 del Codice si desume il principio generale — cui
fanno eccezione le fattispecie di cui all’art. 37 del Codice e dell’art.
2.
TAR Campania Salerno, sez. I, 28 novembre 2001, n. 1503.
Risoluzione del contratto. Recesso. Fallimento dell’appaltatore: questioni
411
94 d.p.r. 554/99 — secondo il quale, in ogni caso, «il contratto di appalto di opere pubbliche si scioglie ope legis per effetto del fallimento
dell’appaltatore»3.
Più precisamente, la stessa giurisprudenza ha chiarito che
nel contratto di appalto di opere pubbliche la prosecuzione del rapporto
non è consentita in caso di fallimento dell’appaltatore sia perché trattasi di
contratto “intuitus personae”, in cui costituisce motivo determinante la persona dell’appaltatore, sia perché il sub–ingresso del curatore è generalmente
vietato dalla legge4.
Alla luce della considerazioni che precedono non v’è dubbio che in
ipotesi di fallimento dell’impresa appaltatrice, il contratto d’appalto
(contratto base) si scioglierà di diritto e così, automaticamente, anche
il contratto di subappalto e, più in generale, tutti gli eventuali altri
subcontratti (non solo, dunque i subappalti di lavorazioni, ma anche,
ad es., le subforniture, i noli a caldo etc.).
Il contratto di subappalto verrebbe dunque travolto dalla caducazione del contratto d’appalto quale conseguenza legale del fallimento
del subappaltatore.
Quanto agli effetti del fallimento sulle polizze stipulate dall’appaltatore v’è subito da dire come tale evento non legittimi in alcun in
modo la stazione appaltante alla relativa escussione.
Come è noto, la cauzione definitiva di cui all’art. 129 del Codice5 e
all’art. 101 del d.p.r. 554/99 assolve alla funzione di garantire l’adempimento dell’appaltatore a tutte le obbligazioni nascenti dal contratto
d’appalto e di coprire gli oneri per il mancato o inesatto adempimento.
Più precisamente, l’art. 101, commi 2 e 3 del d.p.r. 554/99 dispone:
la cauzione viene prestata a garanzia dell’adempimento di tutte le obbligazioni del contratto e del risarcimento dei danni derivanti dall’eventuale ina-
3.
4.
5.
Tribunale Roma, 19 maggio 2002.
Tribunale Roma, 14 maggio 2002.
Era l’abrogato art. 30 della l. 109/94 e s.m.i.
412
Capitolo XV
dempimento delle obbligazioni stesse, nonché a garanzia del rimborso delle
somme pagate in più all’appaltatore rispetto alle risultanze della liquidazione
finale, salva comunque la risarcibilità del maggior danno. Le stazioni appaltanti hanno il diritto di valersi della cauzione per l’eventuale spesa sostenuta
per il completamento dei lavori nel caso di risoluzione del contratto disposta
in danno dell’appaltatore. Le stazioni appaltanti hanno il diritto di valersi
della cauzione per provvedere al pagamento di quanto dovuto dall’appaltatore per le inadempienze derivanti dall’inosservanza di norme e prescrizioni
dei contratti collettivi, delle leggi e dei regolamenti sulla tutela, protezione,
assicurazione, assistenza e sicurezza fisica dei lavoratori comunque presenti
in cantiere.
Tale essendo la funzione che la legge in materia di lavori pubblici
attribuisce alla cauzione definitiva, ne discende che la legittimità di
procedere al relativo incameramento da parte della stazione appaltante è strettamente correlata alla sussistenza di fatti e circostanze qualificabili in termini di inadempimento contrattuale dell’appaltatore ad
alcuni obblighi derivanti dal contratto d’appalto.
Il fallimento, dal punto di vista del diritto materiale è certamente
un avvenimento o fatto giuridico che determina una situazione giuridica estremamente complessa. In termini estremamente sintetici
— non essendo questa la sede per accingersi ad una definizione della
natura giuridica del fallimento, questione questa assai dibattuta dalla
dottrina — può senz’altro dirsi che il fallimento è una situazione di
insolvenza dell’imprenditore che si manifesta con fatti esteriori che
dimostrano che l’imprenditore–debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.
Certo è che il fallimento dell’appaltatore, intervenuto nel corso di
un appalto, non integra di per sé un’ipotesi di inadempimento contrattuale e come tale non vale di per sé a determinare il diritto al risarcimento del danno da inadempimento.
In altri termini, nello stato di insolvenza e perciò nella situazione di
fallimento dell’imprenditore può semmai essere ravvisata la causa di
un eventuale inadempimento contrattuale, e non già un’ipotesi che di
per sé integra inadempimento contrattuale.
Risoluzione del contratto. Recesso. Fallimento dell’appaltatore: questioni
413
In tale contesto la giurisprudenza ha più volte avuto modo di esprimersi, affermando che
il fallimento di uno dei contraenti determina ex art. 81 l. fall. lo scioglimento
del contratto di appalto ed esclude di conseguenza la configurabilità di un
inadempimento6.
In tal senso si è espressa la stessa giurisprudenza:
il fallimento determina la scioglimento del contratto di appalto ex nunc e
non ex tunc e non può essere fatto valere come ipotesi di inadempimento
del debitore fallito. Ne consegue che se non esistono cause di inadempimento fatte valere prima del fallimento non può farsi luogo ad alcuna azione risarcitoria nei confronti della curatela fallimentare né analogamente
potrebbe sorgere il diritto all’azione dopo la chiusura del fallimento nei
confronti del fallito tornato in bonis, per la mancata integrale esecuzione
delle opere commesse7.
Ancora, a tale riguardo, secondo la giurisprudenza,
lo scioglimento del contratto di appalto, a seguito della dichiarazione di fallimento di una delle parti, presuppone la pendenza del rapporto negoziale e
costituisce fenomeno diverso dalla risoluzione; non è fondato sull’inadempimento, è previsto a favore del committente (che potrebbe non avere interesse
alla prosecuzione del rapporto), opera con effetti ex nunc e non fa sorgere
alcuna pretesa di danno8.
A conferma dei delineati principi, come già evidenziato, nell’ipotesi
di fallimento dell’impresa mandataria di un’associazione temporanea
di imprese — la cui disciplina si rinviene nell’art. 37 del Codice — non
si prevede il diritto della stazione appaltante di risolvere il contratto
in via di autotutela e cioè di adottare il provvedimento di risoluzione
6.
Cfr. Tribunale di Milano, 2 aprile 2002, n. 281; Tribunale Bari, 10 dicembre 2004;
Tribunale Milano, 11 dicembre 2000; Cassazione civile, sez. I, 11 ottobre 1994, n. 8295.
7.
Tribunale di Milano, 2 aprile 2002, n. 281.
8.
Cfr. Tribunale di Milano, 11 dicembre 2000; Tribunale Bari, 10 dicembre 2004.
414
Capitolo XV
per grave inadempimento, ai sensi dell’art. 136 del Codice9, bensì di
recedere dal rapporto di appalto (art. 134 del Codice).
Più precisamente, secondo quanto stabilito dalla menzionata disposizione normativa, in siffatta ipotesi, il soggetto appaltante, sulla base di
proprie insindacabili valutazioni, ha la possibilità di recedere dall’appalto, oppure di proseguire lo stesso ove, in sostituzione della mandataria fallita subentri altra impresa cui venga conferito mandato ai sensi
dell’art. 93 del d.p.r. 554/99, purché l’impresa subentrante possegga i
requisiti di idoneità per l’esecuzione dei lavori ancora da eseguire.
Ciò significa che in caso di ATI, sussiste in capo alla stazione appaltante la massima libertà di decisione sulla opportunità di proseguire
ovvero di recedere dall’appalto, ma ciò significa, anche e soprattutto
che l’ipotesi di fallimento della mandataria non integra di per sé alcun
inadempimento contrattuale, altrimenti, la stazione appaltante sarebbe
legittimata all’adozione del provvedimento di risoluzione in danno.
Alla luce delle delineate considerazioni, risulta dimostrato il corollario dal quale si è partiti e cioè, quello secondo il quale l’ipotesi di
scioglimento del contratto per fallimento dell’appaltatore, non legittima
in alcun modo la stazione appaltante all’incameramento della cauzione definitiva, la cui funzione, come detto, è quella di garantire l’esatto
adempimento degli obblighi derivanti dal contratto di appalto.
Naturalmente, dallo scioglimento del contratto d’appalto quale effetto ex lege del fallimento dell’appaltatore discende l’estinzione delle polizze fideiussorie «non potendo il rapporto di garanzia perdurare
al venir meno del suo fondamento casuale ed essendo nulla, a norma
dell’art. 1418 c.c., una eventuale pattuizione contraria»10; in altri termini, il rapporto di garanzia non può sopravvivere al venir meno del suo
fondamento causale.
Infatti,
il contratto autonomo di garanzia dà luogo alla costituzione fra le parti di
rapporti giuridici autonomi e distinti tra di loro, ma che hanno pur sempre
9.
10.
È l’abrogato art. 119 del d.p.r. 554/99.
Cassazione civile, sez. I, 20 gennaio 1994, n. 518.
Risoluzione del contratto. Recesso. Fallimento dell’appaltatore: questioni
415
un collegamento teleologico e funzionale con il rapporto di base e un effetto
unitario che attiene però (quasi) esclusivamente al profilo economico11.
Diverse sarebbero le sorti del contratto d’appalto e, dunque, dei
contratti da esso derivati e ad esso funzionalmente collegati (quali
quelli costituitivi di garanzie fideiussorie), nell’ipotesi in cui prima
della dichiarazione di fallimento, l’appaltatore trasferisse ad altro soggetto il ramo d’azienda cui fa capo lo stesso contratto di appalto. Infatti, anche in materia di appalti pubblici,
l’affitto di un ramo d’azienda da un’impresa concessionaria ad un’altra, paragonabile alla cessione, comporta il subentro di quest’ultima nei contratti
di appalto stipulati dalla prima, fermo restando che — secondo quanto disposto dall’art. 35 comma 1 l. 11 febbraio 1994 n. 109 — la sua efficacia è
condizionata, nei confronti dell’amministrazione aggiudicatrice, ad apposita
comunicazione e alla documentazione del possesso dei necessari requisiti in
capo all’affittuaria, ma tali adempimenti costituiscono vera e propria condicio juris idonea a sospendere a tempo indefinito l’efficacia della cessione
rispetto all’amministrazione12.
Più precisamente, la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire
che
il quadro normativo stabilito dall’art. 18 comma 2 l. 55 del 199013, risulta
modificato dal testo vigente dell’art. 35 l. 109 del 1994, che non esclude in
radice la possibilità di subentro di altro soggetto nel contratto di appalto di
opere pubbliche, ma dispone che le cessioni di azienda e gli atti di trasformazione, fusione e scissione relativi ad imprese che eseguono opere pubbliche
non hanno singolarmente effetto nei confronti di ciascuna amministrazione
aggiudicatrice fino a che il cessionario, ovvero il soggetto risultante dall’avvenuta trasformazione, fusione o scissione, non abbia proceduto nei confronti
di essa alle comunicazioni previste dall’art. 1 d.p.c.m. 11 maggio 1991 n. 187,
e non abbia documentato il possesso dei requisiti previsti dagli art. 8 e 9 della
11.
12.
13.
Cassazione civile, sez. III, 11 febbraio 1998, n. 1420.
Consiglio Stato, sez. IV, 29 agosto 2002, n. 4360.
nel testo modificato dall’art. 22 l. 12 luglio 1991 n. 203.
416
Capitolo XV
suddetta legge (comma 1), consentendo alla stazione appaltante di esercitare,
nei sessanta giorni successivi, la facoltà di opporsi al subentro, con effetti
risolutivi sulla situazione in essere, laddove, in relazione alle comunicazioni
di cui al comma 1, non risultino sussistere i requisiti di cui all’art. 10 sexies l.
31 maggio 1965 n. 57514; e ancora, l’art. 35 l. 11 febbraio 1994 n. 109 che, con
riguardo alla materia dell’appalto di opere pubbliche, ammette la cessione
del contratto per effetto della cessione di azienda o di atti di trasformazione, fusione o scissione della società appaltatrice, ferma restando la facoltà
dell’amministrazione appaltante di opporsi al subentro del nuovo soggetto
nella titolarità del contratto con effetti risolutivi della situazione in essere,
riveste carattere di norma di principio, come tale applicabile in via analogica
ad altri contratti dell’amministrazione, diversi da quello per l’appalto di opere pubbliche, e consente il subingresso del cessionario non solo nei contratti
già stipulati, ma anche nelle situazione soggettive inerenti alla gara ancora in
corso15.
Alla stregua delle delineate premesse, dunque, il contratto d’appalto potrebbe “sopravvivere” al fallimento dell’appaltatore, laddove
prima che intervenga il fallimento — e, dunque, lo scioglimento del
rapporto contrattuale con la stazione appaltante — l’appaltatore stesso trasferisce il ramo d’azienda cui fa capo il contratto d’appalto.
Infatti, alle condizioni e nei limiti di cui all’art. 116 del Codice16 — che
è applicabile non più per via analogica ma per estensione espressa normativamente dell’art. 116 Codice anche ai contratti pubblici diversi da quelli di lavori — il cessionario/affittuario dell’azienda o del ramo d’azienda
subentra al proprio dante causa anche nei rapporti contrattuali d’appalto.
Anche le polizze a garanzia dell’appalto stipulate dal precedente
appaltatore potrebbero sopravvivere in esito alla cessione/affitto del
ramo d’azienda, ferma restando la facoltà di recesso ai sensi dell’art.
2558, comma 2 cod. civ. in capo al fideiussore/garante.
Sicché, nell’ipotesi in cui l’impresa subappaltatrice stipulasse un
contratto d’affitto del ramo d’azienda di altra impresa N, la stessa su14. Consiglio Stato, sez. VI, 11 luglio 2003, n. 4151 Consiglio Stato, sez. IV, 29 agosto
2002, n. 4360.
15. TAR Puglia Lecce, sez. I, 2 settembre 2004, n. 6093.
16. recepisce anche l’abrogato art. 35 legge 109/94 s.m.i.
Risoluzione del contratto. Recesso. Fallimento dell’appaltatore: questioni
417
bappaltatrice subentrerebbe all’Impresa N nella titolarità dell’appalto, a meno che la stazione appaltante non si opponga ai sensi dell’art.
116, comma 2 del Codice:
nei sessanta giorni successivi […] con effetti risolutivi sulla situazione in essere, laddove, in relazione alle comunicazioni di cui al comma 1, non risultino
sussistere i requisiti di cui all’art. 10–sexies della legge 31 maggio 1965, n. 575
e successive modificazioni
e cioè, laddove, il cessionario e/o l’affittuario siano privi dei requisiti di cui alla ridetta l. 575/1965 contenente le “Disposizioni antimafia”.
Nell’ipotesi di cessione/affitto di azienda, il cessionario/affittuario
subentrando all’originario appaltatore nel rapporto contrattuale in essere con la stazione appaltante e, dunque, nella sostanza, proseguendo
l’originario rapporto contrattuale, eseguirà le relative prestazioni ai
medesimi patti e condizioni e, in particolare, al medesimo prezzo pattuito dall’originario appaltatore.
Per quanto concerne l’ipotesi che i suddetti canoni d’affitto possano essere commutati come anticipo per un eventuale acquisto di ramo
d’azienda, di cui il contratto d’affitto preveda un diritto di prelazione, va detto da subito che nell’esercizio dell’autonomia contrattuale
sancita dall’art. 1325, «le parti possono liberamente determinare il
contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge. Le parti possono anche concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi
una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi
meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico»; sicché, nulla
osterebbe alla conclusione di un contratto di affitto di azienda munito di una clausola che preveda l’esercizio del diritto di opzione per
l’acquisto in favore del conduttore e la conversione — nell’ipotesi di
esercizio di tale opzione — dei canoni di affitto in acconti/rate sul
prezzo di acquisto.
È altresì noto come secondo l’art. 80 della r.d. 267/1942 — che
è rimasto nella nuova normativa —, «il fallimento del locatore, salvo
patto contrario, non scioglie il contratto di locazione d’immobili, ma il
418
Capitolo XV
curatore subentra nel contratto». Secondo la giurisprudenza è questa
la disposizione che trova applicazione con riferimento ai contratti di
affitto di azienda in ipotesi di fallimento del locatore17.
17.
arg. ex, Cassazione civile, sez. I, 11 febbraio 2004, n. 2576.
Capitolo XVI
Il collaudo dei lavori pubblici
Il collaudo è definito dall’art. 187, commi 1 e 2 del d.p.r. 554/99
come:
1. il collaudo ha lo scopo di verificare e certificare che l’opera o il lavoro
sono stati eseguiti a regola d’arte e secondo le prescrizioni tecniche prestabilite, in conformità del contratto, delle varianti e dei conseguenti atti
di sottomissione o aggiuntivi debitamente approvati. Il collaudo ha altresì
lo scopo di verificare che i dati risultanti dalla contabilità e dai documenti
giustificativi corrispondono fra loro e con le risultanze di fatto, non solo
per dimensioni, forma e quantità, ma anche per qualità dei materiali, dei
componenti e delle provviste, e che le procedure espropriative poste a
carico dell’appaltatore siano state espletate tempestivamente e diligentemente. Il collaudo comprende altresì tutte le verifiche tecniche previste
dalle leggi di settore;
2. il collaudo comprende anche l’esame delle riserve dell’appaltatore, sulle
quali non sia già intervenuta una risoluzione definitiva in via amministrativa, se iscritte nel registro di contabilità e nel conto finale nei termini e
nei modi stabiliti dal presente regolamento.
Dunque, è possibile individuare nell’attività del collaudatore1:
– un giudizio di conformità al progetto approvato, al fine di verificare
se sussistono o meno difformità fra il progetto e l’esecuzione svolta;
1.
cfr. sul tema, Mazzone Loria, Manuale di diritto dei lavori pubblici, ed. 2005., pp.
635 e ss.
419
420
Capitolo XVI
– un giudizio tecnico se l’opera è stata eseguita a regola d’arte;
l’ampiezza di tali prove è rimessa all’apprezzamento tecnico del
collaudatore, in forza del disposto dell’art. 192, commi 2 e 3
regolamento;
– una verifica sotto il profilo contabile se, cioè, i dati della contabilità corrispondono a quanto in pratica eseguito dall’appaltatore:
Come è noto, il collaudo è attualmente disciplinato nel d.lgs. 163/06
e s.m.i. negli artt. 120 (collaudo per i contratti relativi a servizi e forniture) e nell’art. 141 (per i lavori).
Dopo il Codice De Lise ed in attesa del nuovo regolamento ex art.
5 dello stesso Codice, la disciplina vigente in materia di collaudo è
quella dettata dal d.p.r. 554/99.
Come già detto l’art. 24, comma 8 della legge 62/2005 (in sintonia
con quanto la Corte Costituzionale aveva già operato con la Sentenza
n. 302/2003) ha abrogato i commi 8, 9, 10 e 11 dell’art. 188 del d.p.r.
554/99 e non già l’intero articolo. A sèguito di tali abrogazioni, per
la nomina del collaudatore, però, il comma 13 dell’art. 188 del d.p.r.
554/99 doveva essere reinterpretato; l’Autorità per la vigilanza nella
Deliberazione n. 82 del 27 marzo 2007 si era così pronunciata sui criteri d’affidamento. In particolare il Consiglio aveva rilevato:
che le attività di collaudo rientrano tra i servizi assoggettati alla disciplina
del Codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. 163/2006 e pertanto sono
appaltabili con le comuni regole per l’affidamento dei servizi elencati nell’allegato IIA del predetto Codice, non esclusa la possibilità, peraltro residuale,
del ricorso all’affidamento in economia di cui all’art. 125 del Codice, purché
nel rigoroso rispetto dei limiti fissati da detta disposizione e, al momento,
dal d.p.r. 384/2001, ex art. 253, comma 22: tra detti limiti, spicca la necessità
dell’adozione da parte del committente del regolamento interno sull’attività
contrattuale in economia.
Attualmente, il d.lgs. 152/2008 ha inserito all’art. 120 (quindi anche per i servizi e le forniture) il comma 2–bis nel quale viene stabilito
positivamente che nelle ipotesi di carenza d’organico e nelle altre ipo-
Il collaudo dei lavori pubblici
421
tesi previste la stazione appaltante affida l’incarico di collaudatore a
soggetti esterni scelti secondo le modalità prevsitse pe rl’affidamento
di srevizi. Per il collaudo dei lavori l’incarico al soggetto esterno avviene (come per la nomina del d.l. e l’incarico di progettazione) sulla
base dell’art. 91 del Codice.
Dunque gli incarichi di collaudo sono stati valutati dal Legislatore
come appalti di servizi e non come collaborazioni ex art. 7, comma 6
del d.lgs. 165/00. Vedi anche l’Allegato IIA, punto 12.
Tornando allo schema della procedura del collaudo, occorre precisare che dopo l’ultimazione dei lavori, al fine proprio di consentire il
collaudo, devono essere eseguite le seguenti attività:
– redazione del conto finale e relazione del direttore dei lavori;
– trasmissione di tali atti al RUP;
– sottoscrizione dell’appaltatore del conto finale su invito del
RUP;
– redazione del RUP della relazione riservata sulle riserve dell’impresa;
– trasmissione degli atti su menzionati e di quelli indicati nell’art.
190 del d.p.r. 554/99 dal RUP al collaudatore.
La verifica dell’opera da parte del collaudatore, a sua volta, si articola in tre attività:
– la visita del collaudo;
– la relazione di collaudo, la quale contiene il giudizio analitico e
motivato del collaudatore sia contrattuale, sia contabile, sia tecnico. È un atto interno. Le relazioni riservate del collaudatore
(così in parallelo quelle del d.l.) sono sottratte al diritto d’accesso ex Lege n. 241/1990, e s.m.i.: lo ha stabilito il Consiglio di
Stato, Adunanza Plenaria, 13 settembre 2007, n. 11;
– il certificato di collaudo: esso, come disposto dall’art. 192, comma 1 del d.p.r. 554/99, deve essere emesso entro sei mesi dall’ultimazione dei lavori e solamente a sèguito di tale adempimento
422
Capitolo XVI
ha luogo lo svincolo della cauzione, in forza del disposto dell’art.
205 del regolamento. Il certificato deve essere inviato all’appaltatore, il quale deve sottoscriverlo nel termine di 20 giorni dalla
sua ricezione (in caso di rifiuto da parte dell’appaltatore alla firma, vige il disposto dell’art. 165 del regolamento). Dall’emissione del certificato dipendono come conseguenze: presa in consegna dell’opera, svincolo della cauzione definitiva, pagamento
della rata di saldo.
Nell’ipotesi in cui si verifichi la sua mancata emissione; in tal
caso, a fronte del termine dei sei masi indicato dall’art. 192 del
regolamento, si producono in capo all’appaltatore danni consistenti: Comunque, sulla base di quanto disposto dall’art. 37,
comma 1 del DM n. 145/00, alla scadenza dei sei mesi dall’ultimazione dei lavori l’appaltatore ha titolo per chiedere il termine
delle garanzie fideiussorie di cui all’art. 113 del Codice.
Approvazione del collaudo: il certificato di collaudo ha carattere
provvisorio e diviene definitivo o perché è approvato dall’amministrazione o perché sono decorsi due anni dalla data della sua emissione
oppure siano decorsi due anni dalla scadenza di sei mesi se l’emissione del certificato di collaudo è avvenuta dopo il termine fissato dalla
legge.
A fronte di tale quadro normativo, sembra del tutto illegittimo
il comportamento eventuale della stazione appaltante che ritardi o ometta ingiustificatamente di produrre in sede di collaudo il
certificato di collaudo provvisorio; infatti, sembra logico potersi
concludere che tale comportamento della committenza configurerebbe ex se un fatto colposo e quindi ad essa addebitabile. D’altra
parte, a conferma del dovere comunque di procedere che vige in
capo alla committenza, la stessa giurisprudenza ha riconosciuto
che quest’ultima:
Ove […] sia a conoscenza dell’omesso collaudo di un’opera, ovvero del mancato rilascio del certificato di regolare esecuzione dei lavori, ha l’obbligo di
Il collaudo dei lavori pubblici
423
un’assidua vigilanza e di un attento controllo della stessa fino a quando non
sia adempiuto a quanto prescritto, attivandosi affinché detti atti vengano
compiuti nel più breve tempo possibile (Cass. pen, Sez. III, sent. n. 4759 del
18–04–2000, ud. del 22–03–2000), Boccardo – rv 216344).
Ed ancora, la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione,
in relazione al diritto dell’appaltatore ad ottenere una pronuncia sul
collaudo, ha anche affermato che:
In materia di appalto di opere pubbliche, l’appaltatore, […] può agire per far
valere il suo diritto al saldo finale, allo svincolo della cauzione e ad eventuali
compensi aggiuntivi, o comunque a tutela delle proprie ragioni, solo dopo
che l’Amministrazione, a norma dell’art. 109 del r.d. 25 maggio 1895 n. 350,
abbia deliberato sull’approvazione del collaudo e sulle domande dell’appaltatore con provvedimento che deve essere posto in essere in un arco di tempo
compreso nei limiti della tollerabilità e delle normali esigenze di definire il
rapporto senza ritardi ingiustificati, tenuto conto della natura del rapporto medesimo, dell’economia generale del contratto e del rispettivo interesse
delle parti. Di conseguenza, ove l’Amministrazione abbia omesso di adottare e comunicare le sue determinazioni in congruo periodo di tempo, tale
comportamento omissivo denuncia di per sé il rifiuto dell’Amministratore
ed il suo inadempimento, e l’appaltatore può allora far valere direttamente
i suoi diritti, in via giudiziaria o arbitrale, senza necessità di dover mettere preliminarmente in mora l’Amministrazione o di assegnarle un termine,
e tanto meno di sperimentare il procedimento di cui all’art. 1183 del cod.
civ., realizzandosi in tal modo anche le condizioni perché, a norma dell’art.
2935 del cod. civ., incomincia a decorrere il termine di prescrizione del suo
diritto, a nulla rilevando che il momento iniziale di tale termine non sia stato
preventivamente e precisamente determinato, essendo esso determinabile e
individuabile in base ai suddetti oggettivi criteri di valutazione (Cassazione
Civile, Sez. I, sent. n. 5530 del 08 settembre 1983, Di Summo c. Consorzio di
bonifica del Bradano e del Metaponto – rv 430470).
Per cui, alla luce di quanto detto, l’appaltatore (che subisce i danni da oneri di custodia e manutenzione; per i premi di mantenimento della cauzione e da interessi per ritardato pagamento della rata di
saldo), potrebbe perciò stesso chiedere alla committente il relativo
424
Capitolo XVI
risarcimento, calcolabile nell’arco temporale determinato finché
quest’ultima non emetta il relativo certificato di collaudo provvisorio,
per poi approvarlo. Tra l’altro, tra i siffatti danni potrebbe anche annoverarsi l’esecuzione delle lavorazioni di fatto stralciate (in occasione
dell’emissione del certificato di ultimazione) a condizioni economiche
diverse da quelle attuali.
L’articolo 141 del Codice riproduce l’art. 28 della legge Merloni, il
quale, pertanto, è stato abrogato.
A livello testuale, la differenza fra il comma 4 dell’art. 141 Codice e
il comma 4 della legge Quadro consiste nell’abrogazione che la Merloni sancisce (“È abrogata ogni diversa disposizione, anche di natura
regolamentare”) e che il Codice, invece riporta nell’articolo relativo
alle disposizioni abrogate.
I relazione ai commi 4 e 5 riguardanti la figura del collaudatore, va
precisato che, stante la disposizione dell’art. 120, coma 2 del Codice,
che rinvia all’emanando regolamento la disciplina dettagliata al collaudo per i contratti relativi ai lavori, si applicano ancora le previsioni
del d.p.r. 554/99 non derogate in materia.
Come espresso da recente giurisprudenza, il certificato di collaudo
dell’opera pubblica, realizzata in esecuzione di contratto di appalto,
è un mero atto giuridico contenente un accertamento tecnico di parte
non vincolante per l’altra, inidoneo a costituire fonte obiettiva di riconoscimento della responsabilità per vizi e difformità dell’opera stessa
a carico dell’appaltatore2.
L’art. 188 del d.p.r. 554/99 disciplina nel dettaglio la nomina del collaudatore, operando una disciplina per i soggetti sia interni all’amministrazione sia esterni ad essa; in relazione a quest’ultimi prescriveva l’istituzione di elenchi di collaudatori presso il Ministero dei ll.pp., le regioni
e le province autonome ed i requisiti dei professionisti in relazione al tipo
di intervento. Attualmente, tali prescrizioni sono state abrogate dall’art.
24, comma 8 della legge comunitaria n. 62/2005, seguendo quanto già la
Corte Costituzionale aveva affermato con la sentenza n. 302/2003.
2.
Tribunale Napoli, 18 luglio 2002.
Il collaudo dei lavori pubblici
425
In sede regolamentare sono stati altresì individuati i presupposti
per la nomina di un organo di collaudo collegiale; infatti il comma 5
dell’art. 188 del regolamento dispone che, nell’ipotesi in cui i lavori richiedano l’apporto di più professionalità diverse in ragione della
particolare tipologia e categoria dell’intervento, il collaudo può essere
affidato ad una commissione composta da tre membri. La commissione non può essere composta congiuntamente da soggetti appartenenti
all’organico della stazione appaltante e da soggetti esterni; essa è presieduta dal soggetto nominato dalla stessa stazione appaltante.
Il successivo art. 205 del regolamento prescrive che le operazioni della
commissione di collaudo sono dirette dal presidente, mentre i verbali e
la relazione sono firmati da tutti i commissari di collaudo e le conclusioni
del collaudo sono assunte a maggioranza, così come poi deve risultare nel
relativo certificato di collaudo. È infine previsto che il componente dissenziente ha diritto di esporre le ragioni di dissenso negli atti del collaudo.
In tema di responsabilità dei collaudatori che compongono la relativa commissione ex art. 188, comma 5 del regolamento, vanno richiamati i principi generali fissati dalla legge ed enucleati dalla giurisprudenza in materia di responsabilità amministrativa–contabile dei
pubblici dipendenti (dolo o colpa grave; nesso di causalità con l’evento dannoso per l’erario).
Quindi si riconosce ai collaudatori nella Commissione la medesima responsabilità individuale; la responsabilità quindi sussiste in capo a ciascun
firmatario delle certificazioni, con la sola differenziazione del quantum debeatur in sede di Citazione da parte della Procura della Corte dei Conti.
Così, ad esempio, i collaudatori che certifichino, senza nessun accertamento, lavori inesistenti o comunque diversi per qualità e quantità da quelli aggiudicati e pattuiti, sono responsabili, a titolo di colpa
grave, dei danni corrispondenti ai conseguenti pagamenti di somme
non dovute alla ditta appaltante3.
Se si ipotizza l’intendimento di affidare l’incarico di collaudo statico relativamente a tre o più professionisti, si può affermare che ap3.
Corte Conti, sez. I, 30 settembre 2003, n. 324/A.
426
Capitolo XVI
pare chiaro che la differenza rispetto alle previsioni dell’art. 188 del
regolamento (un collaudatore ovvero una commissione di tre o più
membri per i casi ex art. 188, comma 5) riguarderebbe sia le modalità
esecutive del collaudo statico in parola sia il quantum di responsabilità, non già i contenuti esecutivi del collaudo. Pertanto, in assenza di
una norma che vieti espressamente tale modus operandi, esso appare
una via percorribile.
Inoltre, quale fondamento giuridicamente rilevante per giudicare
legittimo un affidamento di collaudo statico a tre o più professionisti in forma separata, sembra opportuno considerare che l’art. 141,
comma 4 del Codice4 prevede che per le operazioni di collaudo le
amministrazioni aggiudicatrici nominano da uno a tre tecnici di elevata e specifica qualificazione con riferimento al tipo di lavori, alla
loro complessità e all’importo degli stessi. Appare lecito considerare
allora che il regolamento abbia poi dettato nel dettaglio la disciplina
(per gli incarichi esterni) sia del singolo professionista incaricato sia
della Commissione, ma che nella ratio della norma sia individuabile
anche la forma di affidamento di collaudo statico a tre professionisti
in forma separata.
4.
È l’abrogato art. 28, comma 4 della l. 109/94 e s.m.i.
Capitolo XVII
Le Riserve e cenni al contenzioso
1. Le riserve: inquadramento generale
Quando nell’esecuzione dell’appalto pubblico di lavori viene utilizzata l’espressione “riserva” si fa riferimento alle pretese dell’appaltatore nei confronti dell’amministrazione Committente1: lo scopo è
che l’esecutore dei lavori abbia la duplice possibilità di far valere le
proprie pretese e di non decadere da tale diritto.
Principio cardine è che l’esecuzione dell’opera pubblica non può
essere messa a rischio da situazioni di conflittualità fra le parti: il contenzioso è posticipato — di regola — a dopo l’ultimazione dei lavori,
o più precisamente a dopo la collaudazione degli stessi.
Tuttavia, al fine di rendere edotta la committenza pubblica della volontà dell’appaltatore di richiedere maggiori somme di danaro a
fronte della realizzazione dell’opera, è stato delineato l’istituto della
“riserva”.
Di fronte ad un sistema in cui la fase realizzativa e l’esborso di
denaro pubblico sono cadenzati e documentati con puntuali registrazioni negli atti contabili redatti unilateralmente dalla parte pubblica,
1.
I paragrafi 1, 2, 3 e 4 del presente Capitolo XVII sono stati elaborati dall’avv.
Pierluigi Piselli. Cfr. per quanto segue, P. Piselli, Le riserve e il contenzioso contrattuale, in
I Contratti con la Pubblica Amministrazione, a cura di C. Franchini, Trattato dei contratti,
diretto da P. Rescigno e E. Gabrielli, UTET, I, pp. 699–721. Sul tema, Coviello, Manuale di
diritto civile, pp. 347 e 492; Forti, Lezioni di diritto amministrativo, II, pp. 214 e ss.
427
428
Capitolo XVII
l’appaltatore — chiamato ad apporre la sua firma — esprime il proprio eventuale dissenso con la formula con “riserva”.
In altri termini, con la firma con riserva l’appaltatore evita che i
fatti registrati divengano per lui incontestabili. La firma “con riserva”,
quindi, rappresenta un mero espediente tecnico volto a far emergere
la volontà dell’appaltatore di avanzare richieste — economiche e non
— rispetto a quanto contabilizzato; le richieste, invece, avanzate con
l’esplicazione della riserva, rappresentano la spiegazione del perché si
è firmato “con riserva”. In altre parole, sono la domanda dell’appaltatore.
Invero, da un punto di vista terminologico dovrebbe parlarsi di
“domanda” dell’appaltatore intendendo con essa la richiesta in senso
stretto, la quale a sua volta deve essere formulata nei quindici giorni
successivi alla firma nei relativi documenti con l’apposizione della dizione “riserva”2.
La domanda, pertanto, a ben guardare l’alveo delle prestazioni contrattuali dell’appalto, può avere ad oggetto: i maggiori corrispettivi
rispetto a quelli determinati nella contabilità dei lavori; le conseguenti pretese ai casi di forza maggiore dai quali siano appunto scaturiti
maggiori oneri prestazionali; pretese risarcitorie derivanti da comportamenti illeciti della Committente (come ad esempio il caso in cui una
sospensione dei lavori sia illegittimamente disposta).
Rimane fermo che l’appaltatore di lavori pubblici ha l’obbligo
di uniformarsi agli ordini di servizio del direttore dei lavori avendo
l’onere di formulare le proprie osservazioni e riserve se le istruzioni
fossero ritenute non conformi a contratto e non può, pertanto, sospendere unilateralmente l’esecuzione dei lavori a meno che non sia
implicata la sua responsabilità verso terzi o una sua responsabilità
penale3.
2.
Lucifredi, L’atto amministrativo nei suoi elementi accidentali, pp. 109 e ss.; Alessi,
Le prestazioni amministrative rese ai privati, p. 76.
3.
Cfr. da ultimo Corte appello Campobasso, 09 marzo 2005 in cui sono stati ritenuti
non rilevanti la mancata consegna di disegni e della relazione geologica per la esecuzione di
lavori di sistemazione e arredo di strade urbane.
Le Riserve e cenni al contenzioso
429
La riserva dunque può essere definita come la dichiarazione con
la quale l’appaltatore denunciando un fatto o un atto esclude che tale
fatto o atto provochi effetti nei suoi confronti.
Tale dichiarazione è soggetta ad una serie di oneri: in primis, l’onere della domanda, nel senso che essa deve essere formulata per iscritto
sui documenti contabili e non può essere assolutamente una richiesta
verbale, come si vedrà tra breve; poi sussistono l’onere della proposizione della riserva e l’onere della esplicazione della riserva.
In tal senso, la riserva presenta diverse caratteristiche: la sua natura
giuridica non costituisce un ricorso amministrativo4 né — secondo la
giurisprudenza prevalente — un atto di costituzione in mora, come
appresso meglio esaminato; la sua sede è costituita come sede esclusiva dagli atti contabili per i quali è prevista la firma; il suo contenuto
consiste nella pretesa che deve avere un oggetto preciso e determinato; la procedura è quella indicata nelle norme appresso descritte (artt,.
165 d.p.r. 554/99 e art. 31 del d.m. 145/00).
La funzione della riserva può essere individuata nella duplice esigenza di fornire, da un lato, alla pubblica amministrazione la possibilità di effettuare con immediatezza i necessari controlli in merito
alla fondatezza delle riserve, e d’altro canto di consentire alla stessa
committente una continua verifica circa l’andamento e l’entità della
spesa: da ciò può conseguire, ad esempio, la reintegrazione dei fondi
o la risoluzione del contratto.
L’esigenza posta dalla norma è quella della immediata denuncia,
definita anche come c.d. tempestività delle riserve5; tale immediatezza
4.
La funzione dell’onere di iscrivere riserva è stata individuata nella triplice veste
di: assicurazione alla P.A. di un efficace mezzo di controllo continuo sui fatti incidenti sulla
spesa pubblica dell’opera; garantire alla P.A. di essere messa immediatamente in condizione
di compiere accertamenti e controlli; per entrambe le esigenze suesposte. Quest’ultima tesi è
attualmente la più seguita, anche dalla giurisprudenza della Cassazione: cfr. Cass. 12 marzo
1973, n. 677; 3 ottobre 1973, n. 2486; 10 gennaio 1974, n. 78; 26 marzo 1975, n. 1148; 18
agosto 1976, n. 3041.
5.
Per la giurisprudenza della Cassazione (19 maggio 1983, n. 3450) l’onere della
iscrizione tempestiva della riserva sul registro di contabilità, imposto all’appaltatore che pretenda il pagamento di compensi aggiuntivi per lavoro non compreso nelle previsioni d’appalto, non subisce deroga nemmeno se di tali opere sia stata eseguita la contabilizzazione da
430
Capitolo XVII
non ammette deroghe se non in quei casi in cui l’osservanza del principio non sarebbe possibile ovvero giustificabile.
Fra tali eccezioni alla immediata denuncia con la riserva possono
essere indicate quelle individuate nel tempo sia dalle pronunce arbitrali sia dagli interventi dei giudici della Cassazione.
Dai primi sono state individuate le eccezioni riguardanti: le controversie riguardanti la generalità dell’opera o i fatti di carattere continuativo o i fatti sempre rilevabili; le ipotesi di contabilità non esatta o
non regolarmente tenuta; ipotesi di omesse contabilizzazioni; controversie su: rimborso di somme depositate dall’appaltatore (ad esempio,
al cauzione), partite contabili registrate senza l’effettuazione di misure
in contraddittorio, fatti e circostanze emerse per colpa grave o dolo
dell’amministrazione, interpretazione su patti contrattuali.
Dalla Cassazione sono state individuate le seguenti eccezioni: fatti
estranei all’oggetto (cioè alle prestazioni) dell’appalto o alle finalità della documentazione cronologica dell’iter esecutivo dell’opera, come ad
esempio, la decorrenza degli interessi di mora; i comportamenti dolosi o
gravemente colposi della Committente nell’eseguire gli adempimenti amministrativo, sempre che questi non incidano direttamente sull’esecuzione come inciderebbe ad esempio un ritardo nell’emissione dei certificati
di acconto, la redazione dello stato finale dei lavori o l’effettuazione del
collaudo; fatti continuativi; la contabilità informe e non ricostruibile.
Dunque, di converso, l’apposizione della riserva è per l’appaltatore
costante, fissa e necessaria; d’altro canto, la mancata apposizione della
riserva ha come conseguenze giuridiche il considerare come accertati
i fatti accaduti e l’impossibilità di far valere le ulteriori pretese dell’appaltatore sia in sede amministrativa — pur se la amministrazione può
rinunziare a far valere la decadenza6 — sia in sede di contenzioso.
parte del direttore dei lavori, essendo questa un’operazione di natura tecnica che non vale di
per sé ad impegnare la volontà dell’amministrazione.
6.
È ormai pacifico in giurisprudenza: Cass. 13 luglio 1983, n. 4759; 23 maggio 1986;
n. 3468; 17 febbraio 1987, n. 1697; per la rinuncia anche tacita o implicita vedi Cass. 28
ottobre 1965, n. 2290: 18 maggio 1977, n. 2015; 23 maggio 1986, n. 3448; 19 marzo 1991, n.
2934.
Le Riserve e cenni al contenzioso
431
2. Quadro normativo di riferimento
Il quadro normativo di riferimento è formato da due norme cardine: la prima è l’art. 165 del d.p.r. 554/99 e la seconda è l’art. 31 del
d.m. 145/00.
L’art. 165, in particolare, detta le regole per l’iscrizione delle riserve
nel registro di contabilità.
Le ipotesi individuate da tale norma sono cinque.
a) firma del registro di contabilità senza riserva (comma 1): i fatti
registrati divengono non più contestabili;
b)omessa firma del registro di contabilità nonostante lo specifico
invito (comma 2): la mancata firma viene verbalizzata ed i fatti
registrati divengono non più contestabili;
c) firma del registro di contabilità con riserva e mancata esplicazione nel termine perentorio di quindici giorni (comma 3): i fatti
registrati divengono non più contestabili;
d)firma con riserva ed esplicazione nei quindici giorni successivi:
divengono non più contestabili soltanto quei fatti non oggetto
di riserva;
e) firma con riserva e contestuale esplicazione: trattasi di situazione identica a quella di cui alla lettera precedente, con la specificazione che, comunque, nei quindici giorni successivi l’appaltatore può inserire nuove e diverse esplicazioni.
Da tale casistica si possono, dunque, individuare — per l’appaltatore — due distinti oneri.
In primo luogo, l’onere della firma “con riserva” per avanzare ulteriori richieste economiche: un comportamento omissivo equivale,
infatti, ad accettazione.
In secondo luogo, l’onere di esplicazione della riserva per specificare con precisione i termini ed i titoli della richiesta economica.
Ulteriori profili emergono dall’art. 31 del CGA, in cui vengono disciplinate la forma ed il contenuto delle riserve.
432
Capitolo XVII
In particolare, deve sottolinearsi l’onere di tempestività delle riserve. Il
secondo comma dell’art. 31 stabilisce che le riserve devono essere iscritte a
pena di decadenza sul primo atto dell’appalto idoneo a riceverle, successivo
all’insorgenza o alla cessazione del fatto che ha determinato il pregiudizio
dell’appaltatore. In ogni caso, sempre a pena di decadenza, le riserve devono essere iscritte anche nel registro di contabilità all’atto della firma immediatamente successiva al verificarsi o al cessare del fatto pregiudizievole.
In altre parole, l’appaltatore è tenuto a segnalare il fatto oneroso
o dannoso non appena ne ha avuto la percezione. Tale principio che
ha avuto ampia elaborazione giurisprudenziale, trova altresì una precisazione nell’art. 165, comma 6 del Regolamento laddove si specifica
che nel caso di registrazioni in partita provvisoria sui libretti l’onere
dell’immediata riserva diventa operante quando in sede di contabilizzazione definitiva delle categorie di lavorazioni interessate vengono
portate in detrazione le partite provvisorie.
Ultimo onere per l’appaltatore è, poi, quello della riconferma delle
riserve nel conto finale atteso che, l’art. 31, comma 2 del d.m. 145/00
stabilisce che le riserve non espressamente confermate sul conto finale
si intendono abbandonate. E la riconferma richiede, quanto meno,
l’indicazione sia pure succinta del titolo e dell’importo della riserva.
In ogni caso, le riserve devono essere formulate in modo specifico
ed indicare con precisione le ragioni sulle quali esse si fondano. In
particolare, le riserve devono contenere a pena di inammissibilità la
precisa quantificazione delle somme che l’appaltatore ritiene gli siano
dovute; qualora l’esplicazione e la quantificazione non siano possibili
al momento della formulazione della riserva, l’appaltatore ha l’onere
di provvedervi, sempre a pena di decadenza, entro il termine di quindici giorni fissato dall’articolo 165, comma 3, del regolamento7.
Dunque, la disciplina giuridica relativa alle c.d. riserve si può sintetizzare nelle seguenti fasi, che in quanto momenti successivi hanno
7.
Maggiori perplessità suscita la previsione del 4° comma dell’art. 31 del CGA secondo cui “la quantificazione della riserva è effettuata in via definitiva, senza possibilità di successive integrazioni o incrementi rispetto all’importo iscritto”. Infatti, le riserve possono essere
aggiornate in funzione di accadimenti successivi all’iscrizione delle stesse.
Le Riserve e cenni al contenzioso
433
indotto parte della dottrina8 a ritenere che la riserva sia una fattispecie
a formazione progressiva, ovviamente quando l’appaltatore ponga in
essere più atti al fine di evitare la decadenza del diritto9.
In primis, deve essere compiuta dall’appaltatore la formulazione
della domanda nel momento successivo al fatto materiale che sia stato la causa del lamentato pregiudizio e nel primo documento che sia
idonea a riceverle la domanda stessa (sempre che ci sia la possibilità
di iscriverla nel senso che esista il documento successivo al momento
pregiudizievole).
Comunque, in seguito deve necessariamente essere iscritta la stessa
domanda nel registro di contabilità, il quale viene sottoposto all’appaltatore per la sottoscrizione all’emissione di ogni s.a.l.10.
Infine, la domanda deve essere confermata sul conto finale, anche
ai sensi del comma 2 dell’art. 174 del d.p.r. 554/99
L’appaltatore, all’atto della firma, non può iscrivere domande per oggetto o
per importo diverse da quelle formulate nel registro di contabilità durante
lo svolgimento dei lavori, e deve confermare le riserve già iscritte sino a quel
momento negli atti contabili per le quali non sia intervenuto l’accordo bonario di cui all’articolo 149, eventualmente aggiornandone l’importo11.
Relativamente al secondo momento dei tre indicati, come s’è visto
nella formulazione dell’art. 31, comma 2 del CGA l’espressione utilizzata dal legislatore “atto d’appalto idoneo a ricevere” la domanda
dell’appaltatore non indica in modo né determinato né tassativo quali
8.
Mazzone, Loria, Manuale di diritto dei lavori pubblici, II ed., p. 573.
9.
Secondo la Cassazione (15 dicembre 1982, n. 6911) l’onere della riserva non resta
escluso per il solo fatto che la Committente conoscesse la situazione richiamata dall’appaltatore come fonte del suo pregiudizio e ne sia stata dal medesimo informata con lettere o altri
strumenti.
10. Capaccioli, Riserve e collaudo, pp. 27 e ss.
11. Nel Lodo arbitrale Torino 10 ottobre 2000 (in Arch. Giur. oo. pp., 2001, 1018), è
stato evidenziato che affinché si determini la decadenza delle pretese dell’appaltatore non è
sufficiente il fatto obiettivo della mancata sottoscrizione del registro di contabilità, ma deve
risultare che il medesimo appaltatore sia stato invitato a firmare detto registro e che rifiuti di
firmare, oltre il termine intimatogli, sia oggetto di espressa menzione.
434
Capitolo XVII
debbano essere — prima dell’iscrizione della riserva nel registro di
contabilità — gli atti sui quali, per obbligo giuridico, debbano essere
scritte le domande dell’appaltatore.
L’esperienza giuridica in materia e l’elaborazione dottrinale hanno tentato — riuscendoci — una efficace individuazione dei suddetti
documenti: verbale di consegna dei lavori, libretti delle misure, liste
settimanali e conto finale, verbali di sospensione e di ripresa lavori,
verbale di ultimazione del lavori.
Al di là di tali documenti — come ad esempio una lettera — non
esiste obbligo giuridico per l’appaltatore di formulare la propria domanda — prima della iscrizione nel registro di contabilità — quando
tra il fatto causale del pregiudizio lamentato e la prima sottoscrizione del registro di contabilità immediatamente successiva la fatto non
si inserisca nel segmento di successione uno di questi documenti su
elencati.
Da un punto di vista processuale ed istruttorio, occorre richiamare
l’attenzione su un recente pronunciamento della Suprema Corte in
cui viene riconosciuto che
L’obiettiva difficoltà, in cui si trovi la parte, di fornire la prova del fatto costitutivo del diritto vantato non può condurre ad una diversa ripartizione del
relativo onere della prova, che grava, comunque, su di essa; né, d’altro canto,
la circostanza che detta prova sia venuta a mancare per fatti imputabili alla
parte che ha interesse contrario alla prova stessa, implica che questa debba
considerarsi acquisita e la domanda debba essere accolta. (Fattispecie relativa
a domanda di pagamento di maggiori somme proposta da un appaltatore di
opere pubbliche in relazione alle riserve formulate nel corso dell’esecuzione
dei lavori, la quale era risultata sfornita di prova a seguito dello smarrimento
della documentazione del rapporto contrattuale, custodita presso gli uffici
del comune appaltante)12.
Lungo la stessa linea ermeneutica si è di recente espressa la Corte
di cassazione precisando che
12.
Cassazione civile, sez. I, 02 settembre 2005, n. 17702.
Le Riserve e cenni al contenzioso
435
In tema di appalto di opere pubbliche, la mancanza della tenuta di una completa
e puntuale contabilità legittima il ricorso ad altre fonti di prova ai fini della determinazione dei lavori eseguiti e del relativo compenso. (Nella fattispecie la s.c. ha quindi ritenuto legittima la statuizione della corte di merito di basare gli accertamenti in
questione su una dichiarazione ed un conteggio del direttore dei lavori)13.
In definitiva, esaminando i profili connessi alle riserve può certamente affermarsi che, in tale contesto, la forma è sostanza.
Il rispetto delle formalità è la condicio sine qua non perché l’appaltatore possa avanzare proficuamente domande tese ad ottenere il
risarcimento di maggiori oneri e danni.
Per contro, il mancato rispetto degli oneri sulle riserve preclude, in
via assoluta e al di là della fondatezza nel merito delle pretese, l’accoglimento di qualsivoglia istanza risarcitoria.
Di qui l’estrema attenzione in giurisprudenza a definire con precisione il contenuto degli oneri a carico dell’appaltatore e le conseguenti eccezioni e deroghe.
3. Natura giuridica della riserva
In relazione alla natura giuridica della riserva c’è innanzitutto da
precisare che essa non ha la natura di ricorsi amministrativi stante la
non posizione di autorità con cui l’amministrazione si pone in tale
momento contrattuale; le riserve sono dunque unicamente domande
dell’appaltatore finalizzate all’ottenimento di maggiori compensi nei
confronti della Committente14.
L’interpretazione giurisprudenziale ha spesso e costantemente rifiutato di qualificare giuridicamente le riserve dell’appaltatore come
un atto di costituzione in mora, significando che
13. Cassazione civile, sez. I, 20 giugno 2006, n. 14278.
14. Giova qui precisare che parte della passata dottrina ha configurato le riserve come
ricorsi gerarchici; in tal senso cfr.: Fragola, Il collaudo delle oo. pp., 1955, p. 88; Terranova,
Natura giuridica delle riserve nei contratti di appalto di oo. pp., in Acque, bon., costr., 1953, pp.
527 e ss.
436
Capitolo XVII
L’iscrizione di riserva nel registro di contabilità, da parte dell’appaltatore di
un’opera pubblica non integra gli estremi di un atto di costituzione in mora,
in quanto la riserva rappresenta una forma di contestazione che investe la
liquidazione del corrispettivo dell’appalto con l’esclusivo scopo di quantificare la pretesa e non già di intimare il pagamento: pertanto la data della suddetta riserva non costituisce il “dies a quo” per l’eventuale riconoscimento
in favore dell’appaltatore del maggior danno derivante da sopravvenuta svalutazione monetaria, ai sensi dell’art. 1224 comma 2 c.c., poiché il fenomeno
inflattivo resta rilevante a tal fine solo per effetto e dal momento della mora
del debitore15.
In tal senso, si è anche detto che le riserve, non costituendo un’intimazione al pagamento,
essendo un rimedio cautelativo diretto solo a far salvi i diritti dell’appaltatore
dalla decadenza da cui verrebbero altrimenti colpite, non valgono a costituire in mora l’amministrazione né varrebbe rilavare che le riserve costituiscono
delle richieste fatte per iscritto (art. 1219 cod. civ.), e ciò sia per la loro sopraccennata finalità ed anche perché esse non implicano un loro soddisfacimento immediato, essendo condizionate dalla consapevole esigenza dello
svolgimento di un apposito procedimento dopo l’ultimazione dell’opera e il
collaudo nonché dopo l’audizione dei pareri necessari da parte dell’amministrazione16.
La linea interpretativa ora esposta presenta caratteristiche di stabilità e di consolidamento da parte della giurisprudenza anche più
recente17.
Contrariamente a tale orientamento, autorevole dottrina18 ha ravvisato, al contrario, la tesi della Cassazione priva di fondamento, riconoscendo invece che
15. Cassazione civile, sez. I, 06 maggio 1985, n. 2833.
16. Cianflone, Giovannini, L’appalto di opere pubbliche, XI ed., p. 1272.
17. Così Cass. 18 gennaio 1992, n. 589; 20 novembre 1990, n. 11209; 19 maggio 19089,
n. 2395; 11 gennaio 1988, n. 68; 10 agosto 1977, n. 3679; 5 gennaio 1976, n. 8;
18. Anche parte della giurisprudenza arbitrale, come ad esempio: Lodo arbitrale Napoli 22 giugno 2000 (in Arch. Giur. Oo. pp., 2001, 905); lodo arbitrale 24 maggio 1993, n.
50.
Le Riserve e cenni al contenzioso
437
con l’iscrizione della riserva si raggiunge l’effetto strumentale dell’inadempimento della decadenza, ma la finalità essenziale resta la domanda di soddisfazione immediata del credito19.
Da tale ultima impostazione, anche in questa sede pienamente condivisibile, discendono poi duplici conseguenze — che la richiamata
dottrina non manca di evidenziare — più note come gli effetti della
mora debendi, cioè la perpetuatio obliogationis, più nota come il transito del rischio al debitore nell’ipotesi in cui la causa divenisse impossibile per fatto a lui non imputabile, e l’obbligo del risarcimento del
danno per il ritardato adempimento.
4. Causa petendi e petitum
Una delle questioni più interessanti, a tal punto, consiste nel verificare la liceità o meno di una formulazione della domanda da parte dell’appaltatore il quale, tenuto — per evitare la decadenza — a iscrivere
riserva sul documento diverso dal registro di contabilità ed immediatamente successivo al fatto pregiudizievole, sia comunque obbligato
all’iscrizione nel caso in cui la propria pretesa sia di contenuto diverso
e non connesso alla natura del documento diverso dal registro di contabilità.
La dottrina prevalente tende a negare la sussistenza di tale onere
in capo all’appaltatore nell’ipotesi posta, anche se a tale conclusione
si è arrivati per via ermeneutica, vista la generica formulazione della
norma. In tal senso, si è sostenuta la negazione dell’obbligo
perché l’idoneità di cui parla l’art. 30, co. 2, CGA20va intesa non in senso materiale (di possibilità materiale, cioè, di scrivere qualcosa), ma in senso logico;
19. Mazzone, Loria, op. cit. p. 594. Cfr. anche P.M. Piacentini, La riserva come atto di
costituzione in mora, in Arch. Giur. oo. pp., 1985, 1335.
20. Il riferimento qui è ovviamente al vecchio capitolato generale d’appalto, cioè la l.
1063/1962.
438
Capitolo XVII
nel senso, cioè, che l’idoneità postula una correlazione tra l’atto dell’appalto
e la doglianza dell’appaltatore21.
L’art. 31, comma 2 del CGA disciplina quindi in modo alquanto
generico i tempi entro i quali la domanda deve essere formulata: la
sottoscrizione dell’atto o del registro di contabilità deve essere immediatamente successivo al verificarsi o dal cessare del fatto pregiudizievole.
Di certo il verbo “verificarsi” indica fatti materialmente istantanei,
cioè che accadendo si esauriscono nella loro pregiudizievolezza; invece il verbo “cessare” implica che gli effetti del fatto siano stati duraturi
e solo al loro esaurirsi obbligano — a pena di decadenza dal diritto
— l’appaltatore alla sottoscrizione ai sensi dell’art. 31, comma 2 del
CGA.
A proposito della tempestività della riserva la giurisprudenza ha riconosciuto che nell’appalto di opere pubbliche, per i fatti continuativi, ovvero prodotti da una causa costante o da una serie causale di non
immediata rilevanza onerosa, non può porsi alcuna deroga al principio
di tempestività delle riserve, giacché non si può addurre l’impossibilità di quantificare una pretesa in un dato momento per sostenere che
in quel momento non esiste l’onere di formulazione della riserva. Occorre, infatti, distinguere tra tempestività della iscrizione delle riserve
e tempestività della loro esplicazione, ragion per cui le riserve devono
essere iscritte con il manifestarsi dell’evento non previsto e dannoso,
indipendentemente dal momento in cui sia possibile l’esatta quantificazione del maggior onere sottoposto dall’appaltatore22. Ed ancora è
stato affermato in giurisprudenza che
nell’appalto di opere pubbliche, l’onere di immediata denuncia di ogni fatto connesso all’esecuzione dell’opera, che l’appaltatore ritenga produttivo
di conseguenze patrimoniali a sè sfavorevoli, è espressione di un principio
generale, e pertanto sussiste anche riguardo ai fatti cosiddetti continuativi,
21.
22.
Mazzone, Loria, op. cit. p. 585.
Cfr. in tal senso Corte appello Milano, 16 novembre 1999.
Le Riserve e cenni al contenzioso
439
come quelli prodotti da una causa onerosa, rispetto ai quali il detto onere
diventa operativo quando la potenzialità dannosa del fatto si presenti obiettivamente apprezzabile, secondo i criteri della diligenza e della buona fede,
da parte dell’appaltatore, e questi disponga di dati sufficienti per segnalare
alla stazione appaltante le cause delle situazioni per lui pregiudizievoli ed il
presumibile onere economico, salvo poi a precisarne l’entità nelle successive
registrazioni o in chiusura del conto finale. L’accertamento del giudice di
merito circa la tempestività in concreto delle riserve, in rapporto alla specifica natura dei fatti oggetto delle medesime ed al manifestarsi dei loro effetti
pregiudizievoli, sfugge al sindacato di legittimità se adeguatamente e correttamente motivato23.
La riserva ai fini della sua efficacia e rilevanza giuridica deve possedere i due elementi essenziali della causa petendi e del petitum, in
altri termini deve esporre le chiare ragioni giuridiche su cui si fonda la
domanda e la quantificazione della stessa24.
La causa pretendi non è da non confondere con l’esatta individuazione formale della norma su cui si poggia la pretesa della domanda:
lo scopo della riserva infatti è l’informazione all’amministrazione che
l’appaltatore deve fornire in ordine al fatto che quest’ultimo ritiene
pregiudizievole per se stesso in ordine all’onerosità della prestazione
inizialmente fissata nel relativo contratto d’appalto.
Pertanto, è pacifico sostenere che in presenza della descrizione di
fatti sostanziali e idonei a sostenere la domanda nelle sue ragioni, di
per sé la causa petendi della riserva sussiste e rende legittimo il suo
contenuto in ordine a questo primo aspetto.
Il petitum si risolve, invero, nella indicazione precisa del compenso
economico che l’appaltatore richiede.
23. Cassazione civile, sez. I, 12 aprile 1986, n. 2599.
24. La riserva che manchi di tali elementi ovvero che sia stata formulata genericamente o imprecisamente deve essere dichiarata improponibile. In tal senso vedi: lodo arbitrale
Roma 25 maggio 1971, n. 43; lodo arbitrale 26 giugno 1972, n. 39; lodo arbitrale 26 maggio
1995, n. 74; lodo arbitrale 18 marzo 1978, n, 18. Cfr. anche Cass. 4 agosto 2000, n. 10261
secondo la quale non è sufficiente che la riserva si limiti ad una generica richiesta di maggiori
compensi non collegabile ad alcun titolo preciso, né è consentito all’appaltatore sostituire la
causale indicata a suo tempo nella riserva con altra non precedentemente indicata.
440
Capitolo XVII
Nell’ipotesi in cui l’appaltatore si riservi di formulare causa pretendi e petitum entro il termine di quindici giorni dalla sottoscrizione con
riserva del documento idoneo a riceverla, lo stesso dovrà poi esplicitare le ragioni e la quantificazione del pregiudizio lamentato.
In relazione a tale possibilità di sottoscrivere con riserva, la lettera
della legge mantiene una certa generalità, anche un po’ ambigua, ma
che la prassi e la dottrina hanno superato nel senso più favorevole
all’appaltatore, cioè riconoscendo la facoltà di apporre riserva alla sottoscrizione: l’art. 165, comma 3 del regolamento indica infatti come
facoltà la sottoscrizione della domanda con riserva mentre l’art. 31
comma 3 del CGA utilizza l’antitetica espressione:
qualora l’esplicazione e la quantificazione non siano possibili al momento
della formulazione della riserva, l’appaltatore ha l’onere di provvedervi, sempre a pena di decadenza, entro il termine di quindici giorni.
5. La transazione: art. 239 del Codice degli appalti
Passando, ora, all’esame delle modalità di valutazione e di riconoscimento delle richieste dell’appaltatore, deve in via immediata affermarsi come, grazie all’art. 239 del Codice degli appalti, la transazione
civilistica sia confermata, con applicabilità generalizzata, pure negli
appalti pubblici di lavori, servizi e forniture25.
Anche al di fuori dei casi in cui è previsto il procedimento di accordo bonario ai sensi dell’articolo 240, le controversie relative a diritti
soggettivi derivanti dall’esecuzione dei contratti pubblici di lavori,
servizi, forniture, possono sempre essere risolte mediante transazione
nel rispetto del codice civile.
Pertanto — ed è questo l’aspetto più rilevante ai fini dell’applicabilità dell’istituto — anche al di fuori dai casi previsti per l’accordo
bonario ex art. 240, è esperibile la via della transazione priva di ritua25. Vedi anche Cancrini, Piselli, Capuzza, La nuova legge degli appalti pubblici. Commentario al Codice dei contratti pubblici, sub art. 239, III ed., 2007.
Le Riserve e cenni al contenzioso
441
lità formale, salvo il caso, per gli importi superiori a 100.000 euro, di
richiesta parere dell’avvocatura competente (comma 2). L’art. 239 fa
riferimento alle controversie relative a diritti soggettivi derivanti dall’esecuzione di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. Prima
di tutto è da notare che la transazione ex art. 239 opera lì dove non
vi siano i diversi presupposti, in base ai quali si possa ricorrere invece all’accordo bonario, di cui al successivo art. 240; infatti, in modo
più specifico, va detto che: per quanto riguarda i lavori (di cui alla
Parte II del Codice), il presupposto per cui sia possibile esperire la
via transattivi, per le controversie relative a diritti soggettivi derivanti
dall’esecuzione dei lavori, consiste nel fatto che non sono state iscritte
riserve sui documenti contabili per cui l’importo economico dell’opera possa variare in misura comunque non inferiore al 10% dell’importo contrattuale; (ad esempio, si considerino in tal caso le controversie
sugli interessi per ritardato pagamento, oppure per la risoluzione del
contratto). Altrimenti, in presenza di riserve iscritte, la via che si potrà
esperire rimarrà quella tradizionale dell’accordo bonario (comma 1
dell’art. 240).
Per quanto, invece, riguarda i contratti pubblici di servizi e forniture, va precisato che il presupposto per adire la via transattiva di
cui all’art. 239 è l’assenza di contestazioni, da parte dell’esecutore del
contratto, verbalizzate sui documenti contabili per cui l’importo economico controverso sia non inferiore al 10% dell’importo stipulato
ab origine. Al contrario, in presenza di tali contestazioni sui documenti contabili, la via, ai sensi del comma 22 dell’art. 240, è quella
dell’accordo bonario, procedura comunque nuova per tali tipologie
di contratti pubblici.
Fra gli elementi essenziali della transazione, v’è quello della forma
che deve essere necessariamente scritta (comma 4), ed è un’ipotesi
speciale rispetto alle regole generali del codice civile per le quali è
richiesta la forma scritta per le controversie aventi ad oggetto beni
immobili (la ratio è nel legame con il contratto pubblico scritto, valevole anche per i servizi e per le forniture): ove mancasse di uno solo
degli elementi essenziali, come lo è appunto la forma scritta quoad
442
Capitolo XVII
substantiam, per l’ordinamento giuridico quell’atto sarebbe tamquam
non esset.
Il riferimento, generalmente espresso dal comma 1 con la formula “transazione nel rispetto del codice civile” per mezzo della quale
risolvere controversie sorte nell’esecuzione del contratto pubblico
(l’estensione opera per i servizi e le forniture), è all’art. 1965 del codice civile: la transazione è il contratto per mezzo del quale le parti
estinguono una lite iniziata o la prevengono, accordandosi su reciproche concessioni; non si tratta di un riconoscimento fra le parti, per cui
viene soddisfatta interamente la pretesa di una controparte, bensì la
sostanza della transazione risiede nell’aliquid dare, aliquid retinere, in
un’ottica di proporzionalità ed accordo.
Pur non escludendo la possibile natura “novativa”, il carattere della transazione di cui all’art. 239 del Codice sembrerebbe soprattutto
“non novativo” (è noto che la transazione può essere “non novativa”,
“novativa” e “mista”), avendo essa operatività sulle rispettive pretese
nell’ambito del rapporto in cui sorge la controversia.
Necessario è precisare26 che, per le parti, la transazione ha il medesimo effetto cristallizzante di una sentenza irrevocabile: all’eccezione
di cosa passata in giudicato, si può opporre l’eccezione cd. exceptio
litis per transactionem finitae al ricorrere dei presupposti: eadem causa,
eadem quaestio, inter easdem personas.
È altrettanto valido in diritto sostenere che, nel caso di inadempimento di una delle parti, la transazione si risolve: la situazione, in
questo caso, torna ad essere quella preesistente ed ogni parte potrà
ricorrere in via giudiziaria. Logico è sostenere, altresì, che la transazione “novativa” non presenta questa caratteristica del ritorno quo
ante: quel rapporto novato si era definitivamente estinto e non può
risorgere (art. 1976 cod. civ.).
26. cfr. sul tema transazione, A. Trabucchi, Istituzioni di diritto civile, ed. XXXVIII,
pp. 811 e ss.
Le Riserve e cenni al contenzioso
443
6. L’accordo bonario: generalità e rapporto con la risoluzione in via
amministrativa delle riserve
Ulteriore modalità di esame delle riserve è quella dell’accordo bonario27.
Trattasi di istituto relativamente nuovo per il nostro ordinamento
in quanto è stato introdotto dall’art. 31 bis della legge 109/94.
Peraltro, introduce forti elementi di novità rispetto alla situazione
precedente.
In primo luogo, infatti, l’accordo bonario capovolge l’impostazione
secondo cui il contenzioso deve essere avanzato dopo la collaudazione
dei lavori.
Ciò deve ricollegarsi principalmente alla esigenza di riavvicinare la
fase dell’istruttoria sul contenzioso al suo momento genetico, al fine di
permettere alla committenza pubblica una completa ed approfondita
valutazione.
Ma non solo. Tale impostazione permette anche una maggiore evidenza ed un maggior controllo della spesa per contenziosi che, in passato, emergendo solo a lavori conclusi, spesso erano sprovvisti della
adeguata copertura finanziaria.
Sotto altro profilo, poi, la procedura dell’accordo bonario si differenzia dalla risoluzione in via amministrativa delle riserve, ancora oggi possibile quale sistema alternativo: in quest’ultima ipotesi si delinea un procedimento tutto interno alla committenza, con la sola esternalizzazione
dell’offerta a tacitazione delle pretese. Viceversa, nell’accordo bonario
emerge un procedimento cui partecipa attivamente anche l’appaltatore,
che deve essere sentito e che può presentare anche specifico memoriale.
La disciplina della procedura di accordo bonario è attualmente
contenuta nell’art. 240 del Codice, che introduce anche una grande
27. B.G. Carbone, La disciplina delle controversie nella legge 109/94 e successive modifiche, in Arch. Giur. oo. pp, 1995, p. 1389; Piselli, La risoluzione delle controversie con particolare riferimento all’accordo bonario, in «Riv. Trim. Appalti», 1996, p. 209; Gentile, Varlaro
Sinfisi, Il procedimento di accordo bonario ex art. 31–bis della legge 109/1994 come condizione
di procedibilità della domanda di arbitrato in corso d’opera, in Urb. e Appalti, 2001, p. 821.
444
Capitolo XVII
novità con il disposto del comma 22, per mezzo del quale vengono
estese queste norme, che erano già valevoli per i lavori, anche ai servizi ed alle forniture, nella misura in cui esse siano compatibili con la
natura della tipologia di tali appalti pubblici.
Il presupposto per l’applicabilità di tali norme sull’accordo bonario
è che per i lavori siano state iscritte riserve (comma 1) o per i servizi e le
forniture siano state verbalizzate nei documenti contabili le contestazioni da parte dell’esecutore (comma 22); infatti, in assenza di tali presupposti, si applicano le norme sulla transazione, di cui all’art. 239.
Occorre a tal punto precisare da subito che, come già riconosciuto
dalla giurisprudenza relativamente all’abrogato art. 31 bis della legge
Merloni, il presupposto dell’accordo bonario indicato dal comma 1
dell’art. 240 del Codice, in cui è affermato che per i lavori pubblici
di cui alla parte II affidati da amministrazioni aggiudicatrici ed enti
aggiudicatori, ovvero dai concessionari, qualora a seguito dell’iscrizione di riserve sui documenti contabili, l’importo economico dell’opera
possa variare in misura sostanziale e in ogni caso non inferiore al dieci
per cento dell’importo contrattuale, si applicano i procedimenti volti
al raggiungimento di un accordo bonario, disciplinati dal presente articolo. Si tratta di una norma che riconosce l’obbligo dell’Ente appaltante di avviare, istruire e concludere il procedimento amministrativo
di componimento delle riserve iscritte dall’impresa appaltatrice nel
registro di contabilità entro i termini indicati, decorrenti dalla formulazione dell’ultima riserva; il silenzio tenuto da un soggetto committente è, pertanto, illegittimo e può essere impugnato con il rito
speciale previsto dall’art. 2 l. 21 luglio 2000 n. 20528.
Il comma 1 dell’art. 240 del Codice, pertanto, coincide, con gli opportuni adattamenti, alla prima parte comma 1 dell’art. 31–bis; il comma 2
invece riproduce in parte contenuto del comma 7 dell’art. 149 del d.p.r.
554/99, rispetto al quale viene precisato che il procedimento d’accordo
bonario riguarda le riserve iscritte fino al momento del suo avvio.
28.
TAR Sicilia Catania, sez. I, 17 aprile 2003, n. 661.
Le Riserve e cenni al contenzioso
445
7. Ambito e presupposti dell’accordo bonario
L’importanza, poi, dell’istituto dell’accordo bonario si ravvisa anche dal suo ambito di applicazione. L’art. 240 del Codice, infatti, si
riferisce indistintamente agli appalti e alle concessioni in materia di
lavori pubblici.
Anche dal punto di vista soggettivo la norma non lascia spazi a
dubbi interpretativi: l’art. 240, come prima anche se in via indiretta
l’art. 31 bis della legge Merloni (che richiamava i soggetti di cui alle
lettere a) e b) dell’art. 2 della stessa legge e l’art. 2, comma 3, includeva espressamente gli artt. 31bis e 32 tra quelli applicabili da parte dei
concessionari) richiama i concessionari unitamente alle amministrazioni aggiudicatici ed agli enti aggiudicatori.
In definitiva, l’accordo bonario trova applicazione per le Amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, gli enti pubblici, compresi quelli economici, gli enti e le amministrazioni locali, le loro
associazioni e consorzi, nonché gli altri organismi di diritto pubblico,
ed ancora i concessionari di lavori pubblici, i concessionari di infrastrutture destinate al pubblico servizio, le società con capitale pubblico,
in misura anche non prevalente, che abbiano ad oggetto della propria
attività la produzione di beni o servizi non destinati ad essere collocati
sul mercato in regime di libera concorrenza, nonché qualora operino in
virtù di diritti speciali o esclusivi i concessionari di servizi pubblici ed i
soggetti di cui alla Parte III del Codice (erano i soggetti di cui all’abrogato d.lgs. 158/1995 di attuazione della direttiva CEE 93/38, relativa
alla disciplina degli appalti e delle forniture nei “settori esclusi”).
In merito ai presupposti, occorre evidenziare la necessità di iscrizione di riserve in contabilità con la potenzialità delle stesse a far variare l’importo economico dell’opera in misura sostanziale e, in ogni
caso, non inferiore al 10% dell’importo contrattuale.
Al riguardo, come già detto, deve evidenziarsi come in tale presupposto risieda l’effettiva ratio della norma: evitare, cioè, che le controversie rappresentino per le Amministrazioni pesanti sopravvenienze
passive e veri e propri debiti occulti fuori bilancio.
446
Capitolo XVII
In funzione di ciò, e quindi per tenere sotto controllo la spesa pubblica, l’art. 240 del Codice impone l’obbligatorietà della procedura
per il tentativo di accordo bonario.
Il verificarsi della sostanziale variazione dell’importo dell’opera è,
poi, affidata ad una valutazione con discrezionalità tecnica e dovrà avvenire sulla base di un prudente apprezzamento da parte del responsabile del procedimento che, indipendentemente dalla tempestività e
fondatezza delle riserve, accerti che l’ammontare delle riserve stesse
sia superiore al 10% dell’importo contrattuale. Ed ovviamente in tale
importo dovranno essere considerati anche gli importi per interessi e
rivalutazione monetaria, se richiesti dall’impresa.
Ne deriva che, mentre nel precedente sistema la rilevanza economica che consentiva l’avvio del giudizio in corso d’opera era affidata allo
stesso giudice che doveva altresì valutare la potenzialità delle riserve
di portare notevole pregiudizio alla continuazione dei lavori, già con
l’art. 31 bis della l. 109/94 e s.m.i. i presupposti sono di esclusiva valutazione del responsabile del procedimento. Soltanto nel caso in cui
sussista contrasto sull’importo delle riserve la valutazione spetterà al
giudice adito a prescindere dal tentativo di accordo bonario.
Ulteriore presupposto è poi quello legato al momento temporale
entro il quale collocare il tentativo di accordo bonario.
Al riguardo, è certamente da condividersi quanto già affermato,
con l’entrata in vigore della legge cd. Merloni bis, dal Ministero dei
LL. PP.29 secondo cui l’applicazione della nuova norma riguarda tutte
le fattispecie per cui — a prescindere dall’ultimazione dei lavori — il
procedimento di esecuzione del contratto non possa dirsi esaurito,
non essendo intervenuto l’atto finale del collaudo delle opere. Viceversa, non sembra completamente convincente l’ulteriore affermazione del Ministero secondo cui sarebbe necessario che non sia
ancora insorta la lite giudiziaria fra impresa e amministrazione.
Se è vero, infatti, che la ratio dell’art. 240 è proprio quello di evitare
contenziosi fra le parti, il raggiungimento di soluzioni transattive ben
29.
Nota prot. 3576/UL del 30 novembre 1995.
Le Riserve e cenni al contenzioso
447
si può configurare anche nel corso di giudizi già avviati evitandosi il
prolungarsi di contenziosi anche per i diversi gradi di giudizio, sempre che — ed è qui la novità del Codice — sussistano i presupposti di
cui al comma 1 dell’art. 240, altrimenti ben può aversi la diversa via
transattiva significata dall’art. 239 del Codice.
In definiva, in presenza dei presupposti, si configura in capo all’affidatario il diritto all’attivazione del procedimento e ciò sia perché
la norma potrebbe permettere un’anticipata soddisfazione, sia pure
a livello transattivo, delle sue pretese, sia perché il mancato raggiungimento dell’accordo consente la tutela giurisdizionale delle stesse a
prescindere dal verificarsi delle condizioni dell’azione proprie della
disciplina previgente.
Conseguenze dell’art. 240 forse non sufficientemente valutate dal
legislatore già dal 1995, sono da un lato, un aumento delle riserve
iscritte in contabilità anche per situazioni dannose non estremamente rilevanti o fondate (e ciò puntando l’affidatario sulla possibilità di
raggiungere un qualche riconoscimento in via transattiva); dall’altro
un ampliamento delle possibilità di contenziosi in corso d’opera che,
se consentono un costante controllo della spesa, certamente non giovano alla buona realizzazione dell’opera e all’economicità dei giudizi
(ben potendosi ipotizzare anche più giudizi nell’ambito di uno stesso
contratto).
8. Procedimento dell’accordo bonario: la soglia di importo
Quanto al procedimento per il tentativo di accordo bonario v’è
da dire che il fulcro dello stesso è nella figura del responsabile del
procedimento che, acquisite le relazioni riservate del direttore dei
lavori e del collaudatore (se nominato) e sentito l’affidatario, formula una proposta di accordo nei 90 giorni dalla data di iscrizione
della riserva che ha fatto superare il 10% dell’importo contrattuale. Sulla proposta, nei 60 giorni successivi, l’Amministrazione deve
pronunciarsi con atto motivato. Ove non si proceda all’accordo
448
Capitolo XVII
bonario e l’affidatario confermi le riserve, si procederà al giudizio
arbitrale.
Rispetto a tale iniziale impostazione, con l’art. 240 del Codice vengono introdotte peculiari varianti.
In particolare, si delinea una disciplina separata per gli appalti
aventi pari o superiori a dieci milioni di euro e quelli aventi importo
inferiore a tale soglia; per i primi la disciplina è espressa nei commi da
5 a 14 dell’art. 240.
Specificamente, l’avvio della procedura coincide con quanto già era
disciplinato nell’art. 31 bis della legge Merloni e nel comma 1 dell’art.
149 del d.p.r. 554/99.
Il comma 5 dell’art. 240 fissa l’obbligatorietà della costituzione di
una commissione per gli appalti o concessioni di importo pari o superiori a 10 milioni di euro; la norma va letta specularmente con il comma 14 sempre dell’art. 240 Codice, il quale per gli appalti di importo
inferiore lascia come facoltà la costituzione della Commissione da parte del responsabile del procedimento (che ne può anche far parte).
9. Accordo bonario e responsabile del procedimento
Se, come detto, il fulcro dell’accordo bonario è il responsabile del
procedimento, debbono tuttavia evidenziarsi alcune problematiche.
In primo luogo, sembra potersi affermare con sufficiente grado di
sicurezza che il responsabile dev’essere soggetto interno alla P.A., anche se il d.lgs. 6/2007 ha modificato il comma 5 dell’art. 10 del Codice, prevedendo espressamente che in caso di accertata carenza dei
dipendenti di ruolo in possesso di professionalità adeguate, le amministrazioni aggiudicativi nominano il responsabile del procedimento
tra i propri dipendenti in servizio.
Tale circostanza sembra minare alla base la procedura di accordo
bonario che (secondo le esperienze di paesi di common law nei quali tali procedure sono notevolmente utilizzate) necessiterebbe — per
essere più efficace — di un soggetto in posizione di assoluta terzietà,
Le Riserve e cenni al contenzioso
449
quale organo super partes, dotato di autonomi ed ampi poteri di indagine e libertà di convincimento.
Ciò non si verifica nell’istituto dell’accordo bonario che, quindi, più
che un tentativo di conciliazione sembra aver procedimentalizzato e pubblicizzato una sorta di risoluzione in via amministrativa delle riserve.
Tale problematica è, poi, ancor più evidente in quei casi in cui il responsabile del procedimento può coincidere con il progettista ovvero
con il direttore dei lavori: in tali casi la terzietà è del tutto assente atteso che il responsabile del procedimento nella sua attività di conciliatore potrebbe trovarsi a dover valutare scelte da esso stesso effettuate
nelle altre vesti.
Proprio in funzione di ciò si potrebbe sostenere che quando l’art.
240 parla di responsabile del procedimento intenda riferirsi non a
quello dell’intero appalto ma ad altro soggetto — esterno all’Amministrazione — responsabile del procedimento per l’accordo bonario.
Tale tesi che si presenta suggestiva però è indubbio che richiederebbe esplicite indicazioni (a livello di regolamento attuativo ex art 5
del Codice) almeno per coordinare l’ulteriore figura con i soggetti già
previsti dal Codice e per fornire ad essa gli elementi da cui desumere
la presenza in contabilità di riserve per rilevanti importi.
L’importanza dell’argomento innovativo dell’accordo bonario è
poi offerta dal comma 6 dell’art. 240, il quale stabilisce che:
il responsabile del procedimento promuove la costituzione della commissione, indipendentemente dall’importo economico delle riserve ancora da
definirsi, al ricevimento da parte dello stesso del certificato di collaudo o di
regolare esecuzione.
Con l’utilizzo della locuzione “promuove”, riferita al responsabile del procedimento per i contratti di cui al comma 5 (importi pari
o superiori a 10 milioni di euro), la norma non disciplina più come
facoltà la costituzione della Commissione neanche quando, indipendentemente dall’importo delle riserve da definirsi, riceva il certificato
di collaudo o di regolare esecuzione.
450
Capitolo XVII
La disposizione vige anche per i contratti di cui al comma 14, ultima ipotesi, (si tratta di appalti e concessioni di importo inferiore a 10
milioni di euro): l’ultima parte del comma ripete il tenore letterale del
comma 6 («La costituzione della commissione è altresì promossa dal
responsabile del procedimento») quando riguarda il ricevimento da
parte del responsabile del procedimento del certificato di collaudo o
di regolare esecuzione.
Dunque, sembra potersi concludere che tutti gli appalti (o concessioni) di lavori, con riserve iscritte sui documenti contabili (altrimenti la via è quella della transazione ex art. 239), ed ove siano stati
ricevuti da parte del responsabile del procedimento il certificato di
collaudo o di regolare esecuzione, sono suscettibili, lì ove si intendesse adire la via dell’accordo bonario, di vedere costituita per essi
la Commissione.
Proprio sotto il profilo della terzietà del soggetto proponente l’accordo bonario, l’aver affidato il compito alla Commissione costituisce un significativo passo in avanti. Peraltro, rimangono perplessità
in relazione al comma 14, prima parte, dell’art. 240 del Codice nella
parte in cui prevede la possibilità che il responsabile del procedimento sia anche componente della Commissione medesima. A parte
i profili di terzietà che vengono nuovamente rimessi, sia pure parzialmente, in discussione, la norma non precisa a chi spetta la scelta
sulla partecipazione o meno del responsabile del procedimento alla
Commissione.
10. La procedura dell’accordo bonario
Innanzitutto, nel considerare la procedura vera e propria, occorre
ribadire come il suo avvio sia obbligatorio per l’Amministrazione in
presenza dei presupposti stabiliti.
L’obbligatorietà della procedura comporta la non necessarietà di
specifiche domande da parte delle imprese che peraltro, con finalità
eminentemente sollecitatorie, spesso hanno provveduto per i contratti
Le Riserve e cenni al contenzioso
451
in essere, ad avanzare istanze volte a far avviare il procedimento di
accordo bonario.
Da qui, prende vita la disposizione contenuta nel comma 3 dell’art.
240 che obbliga il direttore dei lavori a dare immediata comunicazione al responsabile del procedimento delle riserve di cui al comma 1
unitamente alla trasmissione di una propria relazione riservata.
Un aspetto rilevante e recentemente innovato dal d.lgs. 163/06 nel
senso della maggior completezza ed organicità della fattispecie, è il
divieto del diritto d’accesso riguardo alla relazione del direttore lavori
sulle riserve dell’appaltatore.
In particolare, la precedente disciplina era quella espressa dall’art.
10 del d.p.r. 554/99, ora confluita nell’art. 13 del Codice De Lise, al
comma 5, lett. d), ove è stabilito inequivocabilmente che sono esclusi
il diritto di accesso e ogni forma di divulgazione nei confronti delle relazioni riservate del direttore dei lavori e dell’organo di collaudo sulle
domande e sulle riserve del soggetto esecutore del contratto.
La giurisprudenza, specie del Consiglio di Stato, in relazione ovviamente al precedente art. 10 del regolamento (comunque in parte qua
rimasto identico alla particolare previsione contenuta nel più ampio
art. 13 del Codice) aveva già evidenziato che:
Ai sensi del combinato disposto di cui agli art. 10 d.p.r. 554 del 1999 e 24 l.
241 del 1990, sono sottratte all’accesso le relazioni riservate del direttore dei
lavori e dell’organo di collaudo sulle domande e sulle riserve dell’impresa posto che la definizione di “riservata” data ai suddetti atti dall’art. 31 bis l. 109
del 1994, denota come il legislatore abbia voluto impedire la diffusione delle
surriferite relazioni al di fuori delle amministrazioni cui sono indirizzate, in
quanto si inseriscono in una controversia in atto o potenziale tra l’amministrazione e l’appaltatore concernente l’esecuzione del contratto, nella quale
si fronteggiano interessi di natura patrimoniale e che solo indirettamente, per
le possibili conseguenze sulla finanza pubblica, presentano riflessi di ordine
pubblicistico; tale divieto, viceversa, non opera nei confronti di un parere
legale che, laddove oggettivamente correlato ad un procedimento, assume
valenza endoprocedimentale, assumendo il ruolo di mero elemento istruttorio […]. In tema di appalto di lavori pubblici, ai sensi degli art. 10 del
regolamento approvato con d.p.r. 21 dicembre 1999 n. 554 e 24 comma 1 l.
452
Capitolo XVII
7 agosto 1990 n. 241, è legittimo il diniego di accesso alle relazioni riservate
del direttore dei lavori e dell’organo di collaudo sulle domande e sulle riserve
dell’impresa, trattandosi di documenti “riservati” ai sensi dell’art. 31 bis l. 11
febbraio 1994 n. 109, nel testo introdotto dal d.l. 3 aprile 1995 n. 10130.
Tornando alla procedura per l’accordo bonario, in riferimento alla
fase dell’istruzione si potrebbe sostenere che non prevedendo la norma una fase di trattativa vera e propria, sia il responsabile del procedimento ad acquisire tutti gli elementi per formarsi il proprio convincimento e formulare l’ipotesi di accordo.
Tale impostazione, pur ammissibile sotto un profilo di interpretazione letterale della norma, non sembra in grado di assicurare il buon
esito della procedura rimanendo l’ipotesi di accordo bonario del tutto
slegata dalle determinazioni delle parti che interverrebbero, vincolandosi, solo in un momento successivo.
Sicuramente preferibile, anche perché sostanzialmente analoga ad
altra procedura largamente sperimentata nel tempo è l’impostazione
secondo cui il responsabile del procedimento acquisite le relazioni riservate apre un sostanziale confronto con l’interessato che potrà concludersi con la formulazione di una proposta di accordo già accettato
dall’affidatario ovvero non accettato (e con indicazione, in tal caso,
del limite di accettazione). In questa ottica assume valore la previsione del verbale dell’accordo bonario sottoscritto (con, ovvero, senza
accettazione) da parte dell’affidatario.
L’Amministrazione, poi, acquisita la proposta di accordo formulata
dal responsabile31 e conosciuta la posizione dell’interessato, con provvedimento motivato delibera in merito.
Detta delibera:
30. Consiglio Stato, sez. V, 15 aprile 2004, n. 2163, a parziale annullamento della sentenza del TAR Sardegna, 24 giungo 2003, n. 764.
31. Sul tema cfr. Costantini, in Il regolamento della legge sui lavori pubblici, p. 492; P.
Carbone, Brevi considerazioni sull’accordo bonario per la definizione delle controversie nell’esecuzione delle opere pubbliche, in «Riv. Trim. Appalti», 2000, p. 474.
Le Riserve e cenni al contenzioso
453
a) potrà essere di adesione all’accordo bonario al quale l’interessato aveva già prestato accettazione: in tal caso con la comunicazione (nei 60 giorni successivi al ricevimento della proposta del
responsabile del procedimento) si perfeziona l’accordo;
b)potrà adeguare la proposta del responsabile alle maggiori richieste avanzate dall’interessato: anche in questo caso, con la comunicazione, si perfeziona l’accordo;
c) potrà motivatamente non accettare e ridurre l’importo di cui alla
proposta del responsabile (sia essa accettata o meno dall’interessato): con la comunicazione, scatta per l’interessato l’alternativa
fra l’adesione alle minori determinazioni della P.A. ovvero la riconferma delle riserve e l’attivazione del contenzioso arbitrale.
Sotto quest’ultimo profilo occorre chiarire come la conferma delle
riserve costituisca il presupposto dell’azione e come nessun termine
decadenziale specifico sia previsto; con la conseguenza che la riconferma delle riserve può avvenire almeno fino al momento della firma
del conto finale. Del resto la norma non precisa neppure che la riconferma debba avvenire necessariamente nel registro di contabilità
e tale circostanza potrebbe addirittura far concludere nel senso che,
una volta attivato il procedimento per l’accordo bonario, l’intera questione sia svincolata da specifiche previsioni in tema di riserve (es.:
riconferma nel conto finale) e sia soggetto alla sola riconferma (anche
per lettera) delle riserve e alla prescrizione di legge (con decorso dalla
comunicazione dell’amministrazione).
Ovviamente, in caso si mancato accordo, le reciproche concessioni delle parti nel corso della procedura non comportano alcun
riconoscimento di responsabilità o implicita rinunzia a propri diritti: ed infatti le dichiarazioni e gli atti del procedimento non sono
vincolanti per le parti in caso di mancata sottoscrizione dell’accordo
bonario.
Pur tuttavia, atteso che anche in via di fatto, delle ripercussioni in
fase contenziosa delle posizioni espresse nel corso della trattativa non
possono essere escluse, appare di tutta evidenza come in ogni caso le
454
Capitolo XVII
parti presteranno la massima attenzione a non esternare elementi tali
da pregiudicare le reciproche posizioni contrattuali.
11. Tempi del procedimento di accordo bonario
Venendo ai tempi della procedura di accordo bonario, per l’ipotesi
in cui sia obbligatoria la costituzione della Commissione, il responsabile del procedimento promuove la costituzione della commissione
entro dieci giorni dal ricevimento della comunicazione del direttore
dei lavori invitando l’appaltatore a nominare il proprio membro. Il
comma 8 dell’art. 240 delinea le caratteristiche della commissione: la
prima consiste nel numero, pari a tre, di componenti (uno nominato dal responsabile del procedimento, uno nominato dall’appaltatore
ed il terzo — entro dici giorni dalla loro nomina — viene scelto di
comune accordo fra i due appunto già nominati ovvero, in caso di
disaccordo e su richiesta della “parte più diligente”, viene nominato
dal presidente del tribunale competente sul luogo ove si è stipulato
il contratto), la seconda caratteristica consiste nell’assenza sia di incompatibilità ex art. 241, comma 6 del Codice sia di alcuna causa di
astensione mutuata, anche qui come per la commissione giudicatrice
nel caso di aggiudicazione con il criterio dell’offerta economicamente
più vantaggiosa (vedi art. 84, comma 7 Codice), dal codice di procedura civile, nell’art. 51.
Comunque, per quanto disciplinato nei commi 8, 9 e 10 dell’art.
240 il contenuto alla base è quello del comma 1–bis dell’art. 31–bis
della legge Merloni.
Se il soggetto appaltatore non nomina il componente di sua scelta
entro venti giorni dalla richiesta del responsabile del procedimento32,
32. È questo il comma 13 dell’art. 240, che descrive il “facere” nel caso ipotetico in
cui il soggetto che ha formulato le riserve non provveda alla nomina del componente di sua
scelta, è invero l’ultima parte del comma 1–bis dell’art. 31–bis, ma con la modifica del termine: invece di trenta giorni, il Codice qui fissa il dies a quo per mettere in moto la procedura
indicata, in venti giorni.
Le Riserve e cenni al contenzioso
455
la proposta di accordo bonario viene formulata dal responsabile stesso entro sessanta giorni dalla scadenza di venti giorni assegnati all’appaltatore per la nomina del suo componente della commissione33.
Il terzo membro della commissione è nominato entro dieci giorni
dalla nomina dei primi due, che rispettivamente rappresentano l’amministrazione e l’appaltatore.
La Commissione, a sua volta, entro novanta giorni dalla apposizione dell’ultima riserva deve formulare proposta motivata di accordo
bonario.
La variazione del termine ridotto da sessanta a trenta giorni da ricevimento delle proposte, entro il quale devono pronunciarsi il soggetto
che ha formulato le riserve ed i soggetti di cui al comma 1, è opera del
Codice (al comma 12 dell’art. 240), il quale modifica così la parallela
disposizione che era nell’art. 149, comma 3 del d.p.r. 554/99.
Per quanto riguarda, invece, la procedura fissata nell’ipotesi in cui
gli appalti o le concessioni abbiano importo inferiore alla soglia dei
dieci milioni di euro e comunque quanto in genere non sia previsto
l’obbligo di costituire la commissione, (commi 14 e seguenti), rimane
un dubbio causato da una lacuna normativa: atteso che nell’ipotesi in
cui non venisse costituita la commissione (facoltativa), il comma 15
dell’art. 240 si limita a rimandare al comma 13 specificando solamente
che il responsabile del procedimento formula in tal caso la proposta
(quella con le caratteristiche appunto elencate dal comma 12), e visto
che il comma 13 si riferisce alla patologia della costituzione della commissione causata dall’inerzia dell’appaltatore, non si riesce a comprendere quali sia il dies a quo dei sessanta giorni assegnati al responsabile
del procedimento per formulare la proposta nell’ipotesi di sotto soglia
dei dieci milioni di euro: infatti, a ben vedere il richiamato comma 13
fa decorrere espressamente i sessanta giorni del responsabile del procedimento dalla scadenza dei venti giorni assegnati all’appaltatore per
nominare egli stesso il proprio componente della commissione. Ma
33. Trattasi qui di un’altra aggiunta rispetto al comma 1–bis che compare nell’ultima
parte del comma 13 dell’art. 240.
456
Capitolo XVII
l’ipotesi del comma 15 relativa al sotto soglia indicato si basa proprio
sul fatto di prescindere dalla costituzione (facoltativa, appunto) della
commissione. E allora ci si deve chiedere come può in quest’ultimo
caso individuarsi la decorrenza dei sessanta giorni per il responsabile
del procedimento visto che non possono esistere a monte i venti giorni
per l’appaltatore.
Al dubbio, sembra doversi rispondere logicamente facendo decorrere quei sessanta giorni di cui al comma 15 dell’art. 240 dall’iscrizione dell’ultima riserva di cui al comma 1.
In ogni caso, sulla somma riconosciuta in sede di accordo bonario
sono dovuti gli interessi al tasso legale a decorrere dal sessantesimo
giorno successivo alla sottoscrizione dell’accordo.
Postfazione
Riflessioni sull’Università
ontologia e cronologia: il vero e il verosimile
di Vittorio Capuzza
1. Parola come significante1
Si suole individuare l’origine del termine Università nello Studium
ovvero nel segno di Universalità delle scienze; in altre parole, o in un
luogo in senso stretto o un uno spazio in cui si svolgerà l’attività quasi
a “tutto tondo”, circolare della conoscenza.
Eppure, come ho avuto già ormai da tempo modo di scrivere2 e di
relazionare, facilmente appare enucleabile dalla radice e dalla struttura etimologica il “senso unico”, unidirezionale che nasce dalla parola
“uni–versus”: essa, infatti, sembrerebbe celebrare l’uniforme aspetto
della sapienza, che richiede il suo svolgimento d’istruzione e d’esperienza, senza eccezioni, perché identica è la natura umana nei diversi
stili degli altrettanto diversi uomini.
Il termine individua al contempo uno scopo ed un metodo, cioè
quello di sapere, di conoscere attraverso un cammino che porti verso
quel generalissimo fine, il quale si specializzerà nel tempo in rapporto
ai singoli rami del sapere.
1.
Questo mio scritto è stato già in parte pubblicato in M. Grassi e E. Stefani, Il sistema universitario italiano. Normativa e operatività, Cedam, Padova, 2007, pp. 63 e 64.
2. Mi permetto di rinviare, in particolare, al mio Forme e contenuto dell’Università
fra storia e filologia, in M. Grassi e E. Stefani, Il sistema universitario italiano. Normativa e
operatività, Cedam, Padova, 2007, pp. 10–18.
457
458
Postfazione
Uno scopo, che è l’istruzione: id est in–struere, dal verbo “divenuto proprio dell’architettura”, “raccogliere in uno, comporre, ordinare
con metodo”; ad esempio “instruere aciem”; è instrumentum ciò che
“serve a comporre e ordinare”; “insegnare è detto istruire”. Sono tutte idee confluite nelle frasi3.
Un metodo: circulus et calami fecerunt me doctus (S. Agostino); si
enucleano alle origini delle Scholae, specialmente in quelle di diritto,
diverse forme, distinti metodi, continui mezzi di cammino: lecturae,
quaestiones, oppositiones, brocarda, distinctiones, dissertationes dominorum, repetitiones.
Con il tempo, la funzione diventa apparato: Universitates e titoli
dottorali sono legati dal fatto che i titoli diventano sempre più ambiti
e quindi più costosi; la lectura e la punctatio librorum divengono contratti, rinnovabili o meno fino alla trasformazione delle stesse funzioni
del magister, il quale diverrà professore ordinario e straordinario di un
apparato, conservando nel titolo accademico il passato modello delle
distinzioni pratiche che la funzione di lettura ordinaria o straordinaria
del Corpus giustinianeo prevedeva. In altre parole, tutto è pronto per
l’abbandono dell’idea di un’Università degli studenti4 e per la nascita
dell’Universitas studiorum.
Rinveniamo gli effetti della dialettica funzione/apparato in due
esempi ancora attuali.
3. Nicola Nicolini, 326 (II, § 51); cfr. Franco Cordero, Procedura penale, III, p. 538.
4. Come Ennio Cortese ha affermato, l’Università degli scolari era stata la rappresentazione dello “esito finale di un moto associativo portato a buon fine verso la fine del XII secolo
dalla sola massa studentesca, ma ai suoi inizi la vocazione corporativa aveva coinvolto anche i
rapporti tra maestri e allievi, ossia le scholae nel loro complesso” (in Il diritto nella storia medievale, vol. II, Roma, 1995, p. 260). Nelle pagine precedenti (pp. 256 e ss.), Cortese analizza
alcune manifestazioni dello “spirito associativo”, segni di altrettanti ordinamenti “separati da
sfere d’azione diversificate” (p. 259): corporazioni (associazioni di arti e mestieri), consorterie
nobiliari, fraterne compagnie dei ceti minori, compagnie delle armi, confraternite, e appunto
l’università degli scolari.
Riflessioni sull’Università. Ontologia e cronologia: il vero e il verosimile
459
2. Il professore: storia di una funzione5
Alle origini dell’Università, le lezioni nelle Scuole di diritto a Bologna e nelle cosiddette “Scuole minori” si caratterizzano per due
aspetti. Il primo consiste nella ricerca all’interno delle compilazioni
giustinianee della completezza del sistema mediante sia l’applicazione
analogica sia l’armonizzazione delle apparenti antinomia normative;
il tutto svolto secondo lo schema concettuale della concentricità delle
sfere, quanto a dire l’applicazione della dialettica della coincidentia
oppositorum. La seconda caratteristica delle lezioni nell’alba dell’Università degli studenti è determinata dal profondo senso filologico che
animava la mente sia dei docenti che degli scolari; in altri termini, è
noto che l’esigenza sorta all’inizio era proprio quella di ricomporre la
littera dei testi legislativi di Giustiniano, specie del Codex, del Digesto
e delle Istituzioni; quindi, la ricomposizione dei testi doveva consistere nell’opera filologica eseguita mediante l’esegesi sul materiale di
quelle norme stratificato nel tempo. Nascono così le glosse. La lezione, intesa sin dagli inizi come “Lectura”, va trasformandosi seguendo
un’altra forma della logica: il sillogismo sul casus posto dal docente.
La tecnica del sillogismo logico risulta composta da quattro momenti: casus simpliciter et nude ponimus, scrive Giovanni Bassiano (Materia ad Pandectas, Proemio, col. 1143); enunciazione delle contrarietà
normative; inquadramento delle fattispecie concrete (che chiamavano
causae de facto) in una sorta di fattispecie astratte (erano all’epoca i
loci generales ed i brocarda); le questiones ed il relativo dibattito.
La tecnica di studio individuata, che rappresenta anche lo scopo della formazione stessa, è indicata sempre da Giovanni Bassiano nel suo
Proemio: “legere […] et non intelligere negligere est”; pertanto: “lecta
intelligere, intellecta memoriae commendare”. Da qui, anche la funzione
del libro: essere la sedes unificatrice della ricerca svolta e delle glosse che
la materializzano; essere il materiale utile per la memoria.
5. Questo mio scritto è stato già in parte pubblicato in M. Grassi e E. Stefani, Il sistema universitario italiano. Normativa e operatività, Cedam, Padova, 2007, pp. 292–295.
460
Postfazione
Quando, con il passare degli anni, le lezioni nelle universitates vengono ad assumere sempre più fisionomie strutturali, sorgono anche le
esigenze di fissare alcune regole negli Statuti; fra queste, compaiono le
norme la cui funzione fu quella di fermare una certa prassi, forse sorta
in parte dalla stessa tecnica adottata con le glossae, seguita da molti
docenti; infatti, vengono individuati i programmi che i docenti devono seguire: si tratta di elenchi denominati punctatio del libri giustinianei, ovvero taxatio punctorum. È altrettanto noto che i primi nove libri
del Codex ed il Digestum vetus fossero considerati libri “ordinari”, le
cui letture (lezioni) erano appunto “lecturae ordinariae”, a loro volta
divise rispettivamente in due corsi per ogni parte (il Codex: I, C.1–5
e II, C. 6–9; il Digestum vetus: I, D.1–11 e D. 12–24.2); il Digestum
novum e l’Infortiatum sono invece libri “straordinari”.
La taxatio punctorum, ben descritta nello Statuto bolognese del
1252, si compone dunque di norme ordinarie e tale elenco indica
anche il “termine” secondo cui il docente deve svolgere la relativa
“lectura ordinaria”; l’elenco riporta solo le norme ordinarie, lasciando
così intendere come straordinarie i puncta non segnati.
Ma va precisato che le lecturae ordinariae non sono solo e generalmente quelle relative ai libri legali ordinari (Codex e Digestum vetus); infatti, all’interno sia del Codex che del Digestum vetus erano
state formate diverse serie di puncta: relativamente al libro ordinario
si distinguevano ulteriormente puncta ordinaria e puncta extraordinaria. Quindi anche le lezioni sui puncta ordinaria si denominarono così
come lecturae ordinariae.
Anche per i professori che leggevano sull’Infortiatum e sul Digestum novum, cioè extraordinarie, v’erano i programmi cadenzati temporalmente e a loro volta suddivisi alla medesima maniera, secondo
cioè puncta ordinaria e puncta extraordinaria.
Quando la funzione diventerà apparato, quando cioè l’Università
degli studi diverrà la forma strutturale, nell’apparato nuovo i professori manterranno viva nel nome la funzione da cui trasse origine la propria attività, distinguendosi sempre più marcatamente nei secoli successivi sino alla burocratizzazione, in professori ordinari e professori
Riflessioni sull’Università. Ontologia e cronologia: il vero e il verosimile
461
straordinari (oggi la cd. prima fascia), ovviamente riferendo — nella
sola formula verbale — quei titoli alle concrete operazioni medievali
di lettura dei testi ordinari (lectura ordinaria in senso generale del Codex e del Digestum vetus) e non già ai puncta ordinaria, che abbiamo
visto presenti sia per i libri ordinari sia per i libri straordinari.
Esisteva anche la revisione dei puncta taxata, come alcuni Statuti
trecenteschi dimostrano: nessuno dei professori doveva tralasciare o
non rispettare la lettura di quanto così elencato, a fronte della sanzione consistente nel pagamento di una penale per inadempimento
contrattuale; è per tale ragione economica che, a titolo di cauzione,
“doctores tenentur deponere. XXV. Ibras Bon. XV. diebus ante festum
sancti Michaelis pro punctis servandis”, come indica una nota Bolognese del 12526.
Un contratto, pertanto, costituiva il rapporto giuridico fra studente
e professore7.
Per allargare lo sguardo, va detto anche che già dalle origini delle
scholae lo studente si impegnava al pagamento di un onorario annuale
denominato collecta al professore per la sua prestazione sinallagmatica
di “reggere la scuola’, cioè di far lezione. La collecta nel tempo sarà il
6. Cfr. P. Maffei, Un trattato di Bonaccorso degli Elisei e i più antichi statuti dello Studio
di Bologna nel manoscritto 22 della Robbins Collection, in Bullettin of Medieval Canon Law,
5, 1975, p. 94. Sul tema in esame, cfr. per tutti, M. Bellomo, Saggio sull’Università nell’età del
diritto comune, 1999, pp. 190 e ss.
7. Circa il rapporto giuridico esistente fra magister e discepoli si sono nel tempo formulate diverse ipotesi (per la sintesi delle quali cfr. A. Faconda, Riflessioni sulle «societas»
«universitarie» bolognesi, pp. 35–63)): 1) la societas nasceva sulla causa del contratto iuris
gentium (A. Solmi, Il rinascimento nella scienza giuridica e l’origine delle Università nel Medio
Evo, in Il Filangeri, 25, 1900); 2) La societas era un termine solo di uso ma assente di valenza
giuridica (G. Cencetti, Studium fuit Bononiae. Note sulla storia dell’Università di Bologna nel
primo mezzo secolo della sua esistenza, in Studi Medievali, ser. III, 7, 1966, pp. 781 e ss.); 3)
secondo il Bellomo (op. cit., pp. 50–52) i rapporti giuridici vanno distinti in due tipi, il primo
esistente fra gli studenti (denominato consortium) e il secondo fra studenti e docenti (denominato comitiva); 4) la societas sarebbe derivata dalle società delle arti secondo il rapporto esistente fra maestro ed apprendista (A. Guadenzi, Appunti per servire alla storia dell’Università
di Bologna e dei suoi maestri, I, in L’Università, 3, 1889, p. 189). Su tutti questi aspetti, vedi E.
Cortese, op. cit,. II, p. 260, nt. 22.
Riguardo alle caratteristiche dello spirito associativo, vedi F. Calasso, Gli ordinamenti
giuridici del Rinascimento medievale, 1949, pp. 93 e ss.
462
Postfazione
corrispettivo anche per bidelli e per gli affittuari (o domini) del locali
in cui tenere le lecturae; per distinguerle da quest’ultime, quelle dei
professori vennero appellate collectae pro sapientia o pro doctrina.
Con la nascita nei secoli successivi di un sistema, cioè dell’apparato, e soprattutto con la materializzazione del sistema pubblicistico, il
contratto privato con il professore perderà sempre più i suoi contorni,8
fino a diventare una specifica forma negoziale da parte della singola
Università (intesa come pubblica amministrazione) con caratteri d’eccezionalità e limitatezza. Anche in tal senso, una funzione originaria
basata sullo schema civilistico si è trasformata diverse volte dopo essere stata incastonata in un apparato le cui sembianze variano a seconda
del regime giuridico pubblicistico scelto.
3. Il libro per lo studente: storia della funzione9
Nella Premessa alla I edizione del Suo Diritto Amministrativo, edito nel 1970, Massimo Severo Giannini riferiva di sé che due decenni
prima egli esponeva in pubblico un’idea austera: che il magistero dai
politici oggi chiamato di livello universitario, secondo un linguaggio
8. Si assiste oggi ad una apertura negoziale della Pubblica Amministrazione, regolata
secondo il noto principio di specialità. M. S. Giannini, nella Sua premessa al Diritto amministrativo (op. cit., p. IX), aveva intuito saggiamente già nel 1970 questa iniziale tendenza, che
attualmente si è espansa fino a diventare (ratione materiae per i contratti pubblici) previsione
normativa. Giannini infatti annunciava la tendenza dell’ordinamento a formare un nuovo
diritto comune, con normative cioè iscritte in atti normativi qualificati di diritto pubblico e
iscritte in atti qualificati di diritto privato; e concludeva che, disciplinando le medesime fattispecie, non posso più restare divise le conoscenza del diritto pubblico e del diritto privato.
Nel luglio 2006, entra in vigore il d.Lgs.163/06 (Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture) e all’art. 2, comma 4 stabilisce normativamente che: “Per quanto non
espressamente previsto nel presente codice, l’attività contrattuale dei soggetti di cui all’articolo 1
si svolge nel rispetto, altresì, delle disposizioni stabilite dal codice civile”.
In tale cornice di principi giuridici, pur se diversa è la materia, si ascrive perfettamente
la natura e la struttura del contratto d’insegnamento odierno che l’Università stipula, previo
concorso pubblico, con il docente.
9. Questo mio scritto è stato già in parte pubblicato in M. Grassi e E. Stefani, Il sistema universitario italiano. Normativa e operatività, Cedam, Padova, 2007, pp. 561 e 562.
Riflessioni sull’Università. Ontologia e cronologia: il vero e il verosimile
463
mutuato dai geometri, fosse un magistero di scienziati e non di professori, il quale dovesse trovare la sua forma principale nell’insegnamento orale, rivolgendosi a menti già formate e perciò interessate non ad
apprendere nozioni, ma idee, metodi e anche itinerari di analisi e di
sintesi applicati dalla meditazione umana alle diverse discipline; che
entro tale quadro la parola scritta dovesse essere o opera di pensiero,
significativa di un fatto di speculazione scientifica, ovvero un sussidio, quasi un memorizzatore, e in tal caso quelle offerte dal mercato
fossero quasi fungibili tra loro. L’autore però non si atteneva affatto
a questi criteri, e nel 1950 pubblicava un libro, intitolato Lezioni di
diritto amministrativo (p. VII).
È indubbio che l’efficacia, la scientificità e l’elevatura dogmatica di
Massimo Severo Giannini poterono raggiungere Studenti e Studiosi,
servendosi in egual misura del verbo orale e del libro.
Il rischio attuale invece è che il concetto di “utile” sia confuso con
quello di “necessità” e che a fronte di un bisogno di “praticità” non
solo venga amputata la “teoretica”, ma che si modellino lezioni sintetiche e operative. Il libro, di conseguenza, “deve” essere un sunto.
Così il rischio è che, almeno nei comportamenti, non solo sia scomparso il “professore” ma che (per dirla con Giannini) svanisca anche
lo “scienziato”, e il loro posto venga ricoperto dall’“operatore”. Ad
horas, si intende.
Invece, per il professore vale un’altra verità, la cui natura si manifesta nel “suo” libro.
Scrive Francesco D’Agostino:
S. Tommaso ha scritto che docere est actus catitatis et misericordiae. L’espressione può forse apparire enfatica, ma possiede una sua rigorosa plausibilità.
Carità è atteggiamento di assoluto disinteresse; carità è riconoscere che è
bene che l’altro ci sia […]. In questo senso, è maestro chi reputa che il sapere è un bene, che è un bene che il sapere si diffonda e che è bene per lui
poterlo partecipare a coloro che sono i suoi allievi, è maestro chi considera
il suo sapere alla stregua non di un possesso di cui essere gelosi, ma di un
patrimonio da trasmettere in dono. In questa prospettiva si può ritenere che
anche nella dialettica maestro/allievi si confermi la veridicità dell’intuizione
464
Postfazione
di Nietzsche: il tu viene prima dell’io […] chi insegna senza avere questa consapevolezza […] non merita il nome di maestro. Non lo merita chi scrivendo
per la scuola non ha davanti a sé l’immagine reale di quegli innumerevoli tu
[…] ma unicamente se stesso, nelle vesti del nevrotico narcisista, del pragmatico ideologo o del (peraltro inevitabilmente piccolo e cinico) imprenditore
di una non onorevole impresa commerciale incentrata sul lucro che si trae
dalla vendita (in qualche modo forzata) di libri di testo10.
Il libro ha ben altra funzione, direttamente connessa con l’aspetto
ontologico del maestro. Vediamone alcune essenziali caratteristiche
sin dal suo albore.
Negli Statuti di metà XIII secolo compare una formula espressiva,
già presente in una rubrica dello statuto di Bologna del 1216, che indica il valore intrinseco del liber: “nec aliquis doctor legum det ei libruum suum”, infatti, dare librum indica la continuità di ricerca e d’insegnamento (la schola in senso proprio) che passa dal magister al proprio
allievo, quando questi ha già concluso il proprio iter di studi11.
Ma il valore del libro deve essere citato anche da un punto di vista
economico, dunque estrinseco, specie alle origini dell’Universitas medievale; diviene motivo di tensioni il rapporto fra chi crea libri, chi li
vende, chi li esporta.
Materialmente il libro alle origini della Schola è veramente costoso:
120/140 lire come limite massimo riscontrato: per la metà della cifra
si riesce a Bologna a comprar casa12.
Progressivamente, l’apparato protegge la funzione: con l’aumento
delle richieste di libri, le Universitates prevedono forme di garanzia
per lo studente.
Certo non mancano i plagi, infatti, di contro, non esiste alcuna protezione delle opere letterarie e frutto di ingegno. Solamente dalla metà
10. F. D’Agostino, Parole di bioetica, Postfazione. Lo scrittore e il suo lettore, Giappichelli, Torino 2004, p. 225.
11. Cfr. M. Bellomo, Saggio sull’Università, op. cit., pp. 109 e ss.; S. Caprioli, Per uno
schedario di glosse preaccursiane. Struttura e tradizione della prima esegesi giuridica bolognese,
in Per Francesco Calasso, p. 153.
12. Cfr. M. Bellomo, Saggio sull’Università, op. cit., p. 113.
Riflessioni sull’Università. Ontologia e cronologia: il vero e il verosimile
465
del XIX secolo si avrà, grazie alle previsione normative contenute in
una convenzione fra più Stati, una certa forma di garanzia col cd. diritto d’autore: Manzoni intenterà (e vincerà) una causa giudiziaria per
una riedizione nei tipi dell’editore Le Monnier in Firenze dei Promessi
Sposi, e la causa avrà più gradi di giudizio.
Il metodo pratico medievale si muove lungo due funzioni precise:
c’è chi conserva exempla al fine di apporvi, se necessario, eventuali
correzioni, e soprattutto di produrne copie (o di consentire ad altri di
poterli copiare: da qui si svilupperà la prassi poi regolarizzata con apposite regole anche economiche (cd. taxatio peciarum) di consegnare
quaderni del testo (cd. peciae) al fine di evitare lunghissimi tempi di
attesa); questi detentori del libro sono chiamati dalle fonti stationarii
exempla tenentes o stationarius peciarum.
C’è poi chi procura testi per commerciarli: sono i cd. venditores
librorum o stationarii librorum.
Si arriverà a delimitare il diritto d’acquisto dello studente con accorgimenti tali affinché questo non s’immischi e concorra con interessi imprenditoriali di vendita e mercanteggio dei libri: per quest’ordine
d’attività vi sono gli stationarii librorum, ovvero i professori (ad esempio, Martino Sillimani, come d’altronde gli Accursi, è figlio di uno
stationarius e, soprattutto dopo la morte del padre, gestisce l’attività
di questo).
Fa riflettere come la storia possa, nei suoi eventi, determinare un
abbassamento non solo del valore intrinseco ma anche di quello economico: basti pensare alle confische napoleoniche dei monasteri e dei
possedimenti ecclesiastici comprensivi di immobili; Monaldo Leopardi riesce — come egli stesso attesta nella sua Autobiografia poi commentata per la prima volta dall’Avòli nel 1883 — ad acquistare, con
prezzo commisurato al solo peso della carta, gli ingenti volumi, moltissimi dei quali di elevatissimo valore contenutistico ed economico.
Sarà proprio Monaldo Leopardi, ingiustamente tacciato dalla cronaca come antiliberale e miope “spadifero”, ad aprire per la prima
volta in uno stato preunitario (le Marche, come è noto, erano parte
dello Stato Pontificio) la sua grande libreria ai cittadini di Recanati.
466
Postfazione
Dal libro alla biblioteca, senza la quale, nel caso del conte di Recanati, non ci sarebbe stato il grande Giacomo Leopardi.
4. Ius novum Universitatis
Con la nascita della fisionomia unitaria dell’Italia, dapprima realizzata nel senso giuridico–politico, solo successivamente anche nell’assetto economico (l’Europa unita seguirà un senso di marcia opposto),
si fa sempre più vivo il bisogno di una scienza di diritto amministrativo, sull’esempio del modello francese, specie napoleonico13, e di quello riletto dal Romagnosi e dal Rocco14.
L’istruzione, ancora più intensamente e sulla scia appunto napoleonica, viene così assorbita dall’amministrazione statuale preunitaria, fino a perdere la sua “funzione” autonoma di formazione cultu13. Napoleone aveva scritto di sé: “la mia vittoria non sta in quaranta vittorie, e neppure
nell’avere imposto il mio volere ai sovrani. Waterloo cancellerà il ricordo di tante vittorie,
l’ultimo atto fa dimenticare il primo. Ma quello che non può perire è il mio Codice Civile,
sono i protocolli del mio Consiglio di Stato, la corrispondenza coi miei Ministri. […] Il mio
Codice, con la sua semplicità, ha fatto più bene dell’ammasso di tutte le leggi precedenti. I
miei metodi d’insegnamento erano una nuova generazione; durante il mio regno la criminalità
è scemata, mentre è aumentata in Inghilterra. […] Volevo istituire un sistema europeo, un
Codice europeo, una Corte di cassazione europea: vi sarebbe stato un solo popolo in Europa”. In Napoleone, di E. Ludwig, 1991, p. 469. Sul tema, cfr. Vittorio Capuzza, La rivoluzione
culturale portata dall’epopea napoleonica, (Conferenza, Palazzo Barberini, Roma 15 marzo
2003).
14. È un professore francese, tale Poteiez de l’Oise, a chiamarlo diritto amministrativo,
nominando così un suo corso alle Scuole Centrali della Charente Infèrieure, nel 1798. In Italia è Giandomenico Romagnosi nel 1814 a scrivere le Istituzioni di diritto amministrativo, poi
ripubblicato a Firenze nel 1832, aggiornato ed ampliato. La Francia è il terreno fertile in cui il
seme germoglia: cattedra a Parigi nel 1828, analisi della giurisprudenza del Consiglio di Stato,
l’opera di De Girando (in IV volumi, 1828–1830). L’influenza negli Stati preunitari di nord e
sud penisola è elevata: ad esempio, Giovanni Manna scrive Il diritto amministrativo del regno
delle due Sicilie, Napoli 1840 e Antonio Lione è autore di Elementi di diritto amministrativo,
Torino 1850. Lungo tale influenza, Rocco scrive il Dritto amministrativo per un corso a Napoli nella metà dell’Ottocento. Ma la definizione di diritto amministrativo nel secolo XIX ancora sfugge: “Questa debolezza d’impianto teorico, d’altra parte, non è casuale. Essa dipende dalla
difficoltà che la dottrina incontra nel misurarsi con una tipologia di potere pubblico storicamente
inedita”, in L. Mannari, B. Sordi, Storia del diritto amministrativo, Bari, p. 291.
Riflessioni sull’Università. Ontologia e cronologia: il vero e il verosimile
467
rale, unitaria nel concetto di scopo e di metodo, sino ad identificarsi
nell’“apparato” burocratico e giuridico: la Legge 13 novembre 1859,
n. 3725 (c.d. legge Casati) segna all’origine — o quasi — del nostro
Stato, una stabilitas solo nella firmitas; ciò equivaleva a dire che l’Università era ormai un organo dello Stato: la funzione si identifica, organicamente, con l’apparato, unico ente generale e supremo, capace di
garantire il mantenimento futuro e prossimo dei suoi aspetti.
Lo scopo dell’istruzione veniva così a coincidere con i fini esclusivamente e squisitamente statali: ilmetodo era quello rappresentato
dalla stessa l. 3725/1859: ad esempio, di indirizzare la gioventù nelle
carriere pubbliche e private, in cui si richiede la preparazione di accurati studi speciali.
Era universitas limitata nell’identificazione formale del diritto:
dunque, nessuna autonomia, che è invece logico corollario ricavabile
naturalmente e senza discussione se il termine universitas si ricolloca
nella sua alba radiosa, se si riporta alla sua funzione a cui offre garanzia l’apparato esterno: questo, almeno, diverrà lo spirito dell’art. 33
della Costituzione, specialmente dell’ultimo suo comma e della riserva
di legge valevole più come limite alla legge che come limite all’autonomia dell’università degli studi.
Ma lì, dal 1948 cioè, l’autonomia nel suo concetto giuridico verrà
ad essere protetta costituzionalmente.
Dopo la Legge Casati, rimasta in vigore fino al 1923, la riforma conosciuta come riforma Gentile, ovvero la Legge 30 settembre 1923, n. 2101,
porterà a livello normativo ordinario un’embrionale e privo di garanzie
fondamentali riconoscimento all’università di una autonomia intesa in triplice aspetto: di ricerca, di didattica e amministrativa; in buona sostanza
veniva per la prima volta nel nostro Stato riconosciuta all’università la propria soggettività mediante la personalità giuridica.
Ma solo con l’art. 33 della Costituzione della Repubblica Italiana si ha
una vera e propria disciplina fondamentale e innovativa per l’università15.
15. Così infatti l’art. 33 Cost. stabilisce: «L’arte e la scienza sono libere e libero ne è
l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole
468
Postfazione
Nell’enunciato dell’art. 33, sono dunque due i fondamenti costituzionali valevoli per l’università: il primo è costituito dalla libertà
dell’arte e della scienza intese nella loro natura intrinseca, come altrettanto libera ne è la loro estrinsecazione, cioè l’insegnamento.
In relazione a quest’ultimo aspetto di libertà dell’insegnamento,
appare utile rammentare la ben nota sentenza della Corte Costituzionale 14 dicembre 1972, n. 19516.
statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti
di educazione, senza oneri per lo Stato. La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni
un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali. È prescritto
un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di
essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale. Le istituzioni di alta cultura, università
ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi
dello Stato».
16. Nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 38 del Concordato 11 febbraio
1929 fra lo Stato italiano e la Santa Sede, reso esecutivo con la legge 27 maggio 1929, n. 810,
promosso con ordinanza emessa il 26 novembre 1971 dal Consiglio Stato in sede giurisdizionale — sezione VI — sul ricorso di Cordero Franco contro il Ministero della pubblica
istruzione e l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, iscritta al n. 51 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 97 del 12 aprile 1972.
In essa viene per primo in considerazione l’art. 33 della Costituzione, che detta i princìpi e le
regole fondamentali che disciplinano l’insegnamento: «È da rilevare, anzitutto, che, in base
all’art. 33, lo Stato ha, bensì, l’obbligo di provvedere alla pubblica istruzione, dettando le
norme relative ed apprestando i mezzi necessari (apertura di scuole di ogni ordine e grado,
ecc.) ma non ha l’esclusività dell’insegnamento. Che, anzi, contrariamente a quanto asserito
nell’ordinanza di rinvio, è lo stesso art. 33 a porre il principio del pluralismo scolastico, che è
conforme, d’altronde, a quello fondamentale, di cui al primo comma, della libertà dell’arte e
della scienza. Non v’è dubbio che la libertà della scuola si estende a comprendere le università, che sono previste nel contesto del medesimo art. 33; e sarebbe, d’altronde, illogico che le
garanzie di libertà per la scuola in genere non fossero applicabili anche alle università e agli
istituti di istruzione superiore. Accertato che non contrasta con l’art. 33 la creazione di università libere, che possono essere confessionali o comunque ideologicamente caratterizzate,
ne deriva necessariamente che la libertà di insegnamento da parte dei singoli docenti — libertà pienamente garantita nelle università statali — incontra nel particolare ordinamento di
siffatte università, limiti necessari a realizzarne le finalità.
Né vale la dedotta obiezione che l’Università Cattolica, risultando inquadrata, a seguito
dell’intervenuto riconoscimento, tra le università dette “libere” sarebbe da considerarsi, ad
ogni effetto, come persona giuridica di diritto pubblico. Da questa considerazione e dalla
natura del predetto inquadramento, non consegue che dell’Università Cattolica siano state
attenuate la originaria destinazione finalistica e la connessa caratterizzazione confessionale,
riaffermata, anzi, come si è ricordato, nel relativo Statuto debitamente approvato. Invero,
l’art. 33 garantisce “ piena libertà “ a tutte “le scuole non statali che chiedono la parità”:
Riflessioni sull’Università. Ontologia e cronologia: il vero e il verosimile
469
Ma, dell’attuazione di tali fondamentali aspetti, la lenta emanazione a livello di fonti primarie ha visto il proprio avvio solo con la formulazione della Legge 9 maggio 1989, n. 168, cioè circa quaranta anni
dopo l’entrata in vigore dell’art. 33 della Costituzione.
Il secondo pilastro dell’impalcatura dell’art. 33 Cost. è appunto
la riserva di legge prevista nell’ultimo comma; è noto infatti che in
generale la riserva di legge svolge una funzione di certo non più dualistica — intendendo con ciò richiamare la nota funzione nel regime
monarchico di limitazione dell’intervento dell’esecutivo nei confronti
del parlamento —17, ma comunque di natura ancora di “garanzia”,
realizzabile al suo interno su due fronti: la riserva relativa lascia meno
ambito al potere parlamentare permettendo l’intervento dell’esecutivo e delle fonti secondarie; la riserva assoluta, mantenendo tutta la
sua pienezza di garanzia del potere legislativo, preclude qualsivoglia
intervento delle fonti regolamentari e secondarie. E la formulazione
letterale dell’ultimo comma dell’art. 33 Cost. “nei limiti stabiliti dalle
leggi dello Stato” suona come riserva assoluta (pur se la formulazione
nuova dell’art. 117, comma 2 lett. n) ha fatto sorgere in parte della
dottrina dubbi su tale natura assoluta della riserva), ancorché, a ben
vedere, non sia nient’altro che la solenne limitazione per le fonti legi“non statale” appunto, come è ritenuto anche nella più recente giurisprudenza del Consiglio
di Stato, deve considerarsi l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Da quanto precede risulta
di tutta evidenza che, negandosi ad una libera università ideologicamente qualifica il potere
di scegliere i suoi docenti in base ad una valutazione della loro personalità e negandosi alla
stessa il potere di recedere dal rapporto ove gli indirizzi religiosi o ideologici del docente
siano divenuti contrastanti con quelli che caratterizzano la scuola, si mortificherebbe e si rinnegherebbe la libertà di questa, inconcepibile senza la titolarità di quei poteri. I quali, giova
aggiungere, costituiscono certo una indiretta limitazione della libertà del docente ma non ne
costituiscono violazione, perché libero è il docente di aderire, con il consenso alla chiamata,
alle particolari finalità della scuola; libero è egli di recedere, a sua scelta, dal rapporto con
essa quando tali finalità più non condivida». La prima conclusione relativa alla disciplina
costituzionale dell’Università appare chiara: è vietato un insegnamento di Stato, bensì la Pubblica Amministrazione deve favorire lo sviluppo della cultura come parte fondamentale della
propria competenza esecutiva, garantendone al contempo la libertà di contenuto: l’azione
dell’apparato protegge la funzione, tornata libera, almeno nel dettato costituzionale.
17. Cfr. F. Sorrentino, Le fonti del diritto amministrativo, in Trattato di diritto amministrativo (diretto da G. Santaniello), vol. XXXV, 2004, pp. 32 e ss.
470
Postfazione
slative di intaccare l’autonomia stessa. Di qui, la nuova e piena affermazione dell’autonomia a livello costituzionale, di cui si è detto.
In altri termini, a livello di grundnorm, nel nostro ordinamento
giuridico l’autonomia come funzione viene ad essere sciolta dai poteri dell’apparato, il quale, direttamente connesso alla salvaguardia del
principio enucleato nel comma 1 dell’art. 33, deve a livello di fonti
primarie garantire e non offuscare l’autonomia universitaria18.
5. Significato
Una considerazione conclusiva.
Il titolo di riconoscimento che l’ordinamento giuridico assegna alle
Università appare, in via immediata, come una firmitas, che sul piano
degli effetti di diritto trasmette in un atto quella soggettività, affermata e tutelata in potenza dall’art. 33, u.c. della Costituzione.
D’altro canto, in via mediata, senza gli effetti del piano legale non
sussiste l’Università in sé, in quanto non sarebbe inquadrabile nel dettato del comma 1 dell’art. 33 Cost.
Ma, se non leggessimo la firmitas legale come strumento di garanzia
di quelle libertà enunciate dalla Costituzione a proposito dell’arte e della
scienza e del loro insegnamento, l’esigenza tout court di meri riconoscimenti rischierebbe di essere la proclamazione di soli apparati il cui rischio, pertanto, sarebbe quello di generare e difendere una mera forma senza contenuto. Il che è assurdo, perché è senza senso sovrapporre, confondendole, la
firmitas e la stabilitas, anziché leggerne la naturale complementarietà.
Credo che questa riflessione riguardi anche i docenti, l’anima vitale — assieme agli studenti — dell’Università. Un atto amministrativo
18. Sul tema dell’autonomia universitaria cfr. l’interessante saggio di R. Rota, Nubi
sull’autonomia delle Università, in Foro amministrativo TAR, anno IV, fasc. 5–2005, 1510 e
ss.; cfr. anche Atti del Convegno (a cura di A. D’Atena): L’Autonomia del sistema universitario: paradigmi per il futuro, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” – CRUI, Villa Mondragone 22 marzo 2006, (ed. Giappichelli, Torino 2006); A. Berrettoni Arleri, F. Matarazzo,
voce Università degli studi, in Enciclopedia del diritto, XLV, 1992, pp. 822 e ss.
Riflessioni sull’Università. Ontologia e cronologia: il vero e il verosimile
471
non può sostituire un’umanità esemplare, mentre invece un insegnamento ben può vivere anche senza un provvedimento formale.
All’ombra di questo principio fondamentale esiste un rimpianto:
quello dei tempi in cui fra studiosi si dialogava, condividendo le speculazioni sapienziali, confermando le scoperte nell’ottica della circolarità e univocità del sapere.
Eppoi, quella passione per le idee, quel rigore della mente, venivano trasmesse agli studenti, che, nel rispetto dei ruoli e dei doveri, riconoscevano nel professore un maestro, un modello, e anche un
esempio destinato a rimanere indelebile, pur se il tempo, il lavoro, la
vita non li avrebbero più fatti incontrare.
Ogni anno, al termine di un ciclo accademico di lezioni, saluto con
questo spirito gli allievi, che l’anno venturo non saranno più in quell’aula, ove continuerò ad insegnare. All’umano rammarico si unisce
specularmente la gioia di incontrare nuovi volti e di preparare io altre
lezioni.
E il sapere circola, vive e si rigenera, appunto perchè è debole.
Penso che questa sia la vera natura dell’Università, così come l’abbiamo nei nostri cuori, così come apparve nei suoi albori storici: il
diritto la può solo proteggere, ma mai potrà sostituirla o presuntuosamente ricrearla, se non in modo artificiale.
Roma, 5 luglio 2009
AREE SCIENTIFICO–DISCIPLINARI
Area 01 – Scienze matematiche e informatiche
Area 02 – Scienze fisiche
Area 03 – Scienze chimiche
Area 04 – Scienze della terra
Area 05 – Scienze biologiche
Area 06 – Scienze mediche
Area 07 – Scienze agrarie e veterinarie
Area 08 – Ingegneria civile e Architettura
Area 09 – Ingegneria industriale e dell’informazione
Area 10 – Scienze dell’antichità, filologico–letterarie e storico–artistiche
Area 11 – Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche
Area 12 – Scienze giuridiche
Area 13 – Scienze economiche e statistiche
Area 14 – Scienze politiche e sociali
Le pubblicazioni di Aracne editrice sono su
www.aracneeditrice.it
Finito di stampare nel mese di ottobre del 2009
dalla tipografia « Braille Gamma S.r.l. » di Santa Rufina di Cittaducale (Ri)
per conto della « Aracne editrice S.r.l. » di Roma
CARTE: Copertina: Patinata opaca 300 g/m2 plastificata opaca; Interno: Usomano bianco Dune 90 g/m2
ALLESTIMENTO: Legatura a filo di refe / brossura