Diritto commerciale II – I contratti

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LEZIONI DI DIRITTO COMMERCIALE II
a cura di Michele Faggion
Capitolo I
I CONTRATTI
1.1 Introduzione
Evoluzione delle
normativa
La continuità
d’impresa
I Contratti speciali sono diversi l’uno dall’altro. Prima del 1942 quando c’erano due codici
contemporaneamente, i contratti avevano una duplice disciplina:
- da una parte, nel codice di commercio, quei contratti che il legislatore pensava in maniera precisa
all’imprenditore;
- e i contratti destinati ai privati, nel codice civile;
Nessuno discuteva sull’esistenza dei contratti d’impresa, perché erano quelli nel codice di
commercio; viceversa i contratti privati, erano quelli del codice civile.
Nel 1942 ci fu la riunificazione dei codici, con i contratti dedicati alla contrattazione e alle
obbligazioni fra le parti.
Si assiste ad uno sdoppiamento dei contratti. La dottrina si chiede se esistano ancora i contratti
commerciali e i contratti d’impresa; piuttosto oggi bisogna dire che esiste solo la contrattazione
tout court?
L’esistenza di una categoria dei contratti d’impresa, non è una domanda sterile, ma mirava ad un
risultato giuridico e pratico. Se in una politica futura dovessi valutare se un certo problema ha
rilievo che si trattasse di un problema d’impresa, ciò ha un risvolto pratico.
Secondo alcuni ci sarebbe “una categoria” dei contratti d’impresa: ci sarebbero degli indici
normativi nel nostro sistema:
Ad esempio, l’art. 1330 cc. si occupa della proposta e dell’accettazione che siano fatte o rivolte ad
un imprenditore.
La regola generale è che quando chi ha fatto la proposta, muore, questa decade; invece per
l’imprenditore c’è una deroga: la proposta fatta dall’imprenditore nell’esercizio dell’attività
d’impresa non perde efficacia se muore o diventa incapace.
In questa norma si stabilisce una deroga in funzione della qualifica imprenditoriale di uno dei
soggetti coinvolti: quindi l’essere imprenditore ha rilevanza!
Ogni qual volta una parte è un imprenditore, emerge l’esigenza d’assicurare la continuità
dell’impresa.
Questo è il primo principio dei contratti d’impresa: c’è sempre una continuità oltre la persona,
agganciata alla continuità d’impresa.
Stessa dinamica nell’art. 1722 sul mandante. Normalmente la morte o l’interdizione del mandante,
estingue il mandato. Però se avviene nell’esercizio dell’impresa, non si estingue. Anche qui c’è
l’idea di continuità costante.
Altro esempio. Negli art. 2203 ss. sulla rappresentanza commerciale sta nell’art. 2203, diversa
dalla rappresentanza privata che ha altre regole.
Di conseguenza si può dire che c’è un sistema, regolato da una sua ratio.
Primo tentativo di distinguere questi contratti da quello dei privati.
Di pari passo, questo fenomeno è stato accentuato dalla produzione legislativa: il legislatore si è
andato delineando un ius speciale dettato in relazione all’attività d’impresa.
Molte leggi si sono susseguite, sia sotto il profilo generale sia sotto il profilo particolare.
Una prima indicazione di una disciplina diversa per i contratti commerciali sia è avuta con il
provvedimento della disciplina dei consumatori, di tutela del consumatore.
Questo processo ha portato all’approvazione di numerose leggi specifiche che si occupano di
singoli contratti (subfornitura, franchising), e dall’altra parte c’è stata una disciplina più generale
contenuta nel Codice del consumo, che riguarda la contrattazione del consumatore.
L’imprenditore è assoggettato ad una normativa a se riguardo il Codice del consumatore, e inoltre
in relazione a specifici contratti qualora siano posti in essere da degli imprenditori, come
l’attività bancaria che può essere svolta solo da un imprenditore.
Ancora una volta, l’imprenditore non è soggetto alla disciplina generale:
- perchè se tratta con il consumatore, gli si applica la disciplina del Codice del consumo;
- perchè per esso sono riservati determinati contratti (come quelli relativi all’attività bancaria).
1
I contratti
d’impresa
La categoria dei contratti d’impresa è un nucleo di normativa:
- speciale per regole (codice del consumo);
- per tipi bancari (contratti bancari);
E come tale una categoria che probabilmente è anche una categoria di norme che ha dei suoi
principi e delle sue regole: discipline così differenziate ha portato alla concludere che i contratti
d’impresa rispondano ad una disciplina normativa diversa dai contratti fra privati.
Oltre l’unificazione dei codici, ci sono un gruppo di norme che si applicano specificatamente alla
contrattazione d’impresa, dove sicuramente almeno parte almeno è imprenditore, ma alle volte
intendiamo anche quei contratti che solo un imprenditore potrebbe fare.
Ad esempio, la compravendita può essere conclusa da chiunque, se però a concludere è un
imprenditore, allora la stessa compravendita potrebbe essere soggetta ad un corpus normativo
diverso.
Questa particolarità si riflette sulla disciplina in concreto applicabile ad un singolo contratto.
Le principali fonti normative di cui abbiamo a che fare con la contrattazione d’impresa.
E’ una disciplina che attraversa tutta la contrattazione d’impresa, a prescindere dal contratto.
1.2 I contratti di massa
I contratti di
massa
Le principali regole:
- la contrattazione d’impresa è una contrattazione di massa;
- ex. art. 1341 cc. si ritrovano le condizioni generali di contratto. E’ una norma che si disciplina le
norme principali e le previsioni disposte unilateralmente da uno dei due soggetti per regolare in
maniera standard una massa di contratti uguali con parti diverse. E’ una norma che disciplina le
regole valide dei contratti di massa.
Caratteristica principali dei contratti di massa (come i contratti di assicurazione o di conto
corrente):
- le regole sono unilateralmente predisposte;
- sono fatte per una contrattazione di massa, quindi standardizzata;
Da una parte per la validità del contratto è necessario il consenso di entrambe le parti, ogni parte
dovrebbe conoscere tutte le condizioni, quindi l’imprenditore dovrebbe spiegare tutte le condizioni
e ciò che non è stato convenuto.
Il legislatore si è trovato due poli confliggenti:
- la necessità di garantire una parvenza volitiva da parte chi deve contratto;
- sollevare chi deve fare la contrattazione di massa a contrattare più velocemente;
Il contratto si basa sulla mera conoscenza o conoscibilità delle singole clausole: non è necessario
che la parte ne sia a conoscenza, ma che le abbia conosciute o solo che sia stato in condizione di
conoscerle.
E’ il foglio delle Condizioni generali di contratto.
Le clausole
vessatorie nella
disciplina
codicistica
L’imprenditore che predispone le clausole in maniera unilaterale, “prendere o lasciare” è gravato
dalla condizioni che esse debbano essere conosciute o almeno conoscibili.
C’è una tutela più forte che è quella del secondo comma, quello delle clausole vessatorie:
- una clausola vessatoria, per essere efficace, deve essere almeno conoscibile (regola generale);
- c’è però una regola diversa per talune clausole indicate nel secondo comma che il legislatore
valuta negativamente per il soggetto (utente) che si trova a contrattare in condizione di inferiorità;
esse non hanno effetto, anche se sono state rese conoscibili, salvo un’unica situazione: è
necessario che siano specificamente approvate per iscritto.
- fra queste, quelle, ad esempio, che stabiliscono in favore di colui che ha predisposte, di recedere
al contratto che stabiliscono decadenze, ecc.
Normalmente ci si trova a fare la prima firma, poi altre firme. Solitamente le seconde firme servono
per il clausole vessatorie.
Affinché tutto l’intero contenuto contrattuale sia efficace, è necessario che tutte le condizioni siano
efficaci.
La terza firma è quella della privacy.
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Quando la legge sancisce che devono essere approvate “per iscritto” intende che deve essere
ripetuta la firma: ma non unica per tutte le clausole vessatorie, ma una firma per ogni clausola
vessatoria, riguardo specifici contenuti. Ogni clausola deve essere approvata specificatamente.
E’ necessario che sia indicato anche l’articolo di riferimento per ogni clausola vessatoria, questo
“specificatamente”, è stato inteso come la firma che richiama una certa clausola: è necessario il
titolo dell’articolo che ha ad oggetto la clausola vessatoria.
La sola passiva accettazione: la tutela è stata ritenuta dai più eccessivamente insufficiente. Questa
si configura come una tutela formale, perché di fonte alle clausole vessatorie non ha sancito
un’inefficacia assoluta, ma che la loro efficacia è subornitata ad una firma.
Per concludere il contratto, il consumatore non è nella posizione di contrattare e sarà costretto ad
accettare le clausole vessatorie.
Una volta che la prassi della “seconda firma” è divenuta abituale, e la tutela, oltre che sostanziale,
ormai anche quella formale è sfumata.
La dottrina ha ritenuto di criticare questa tutela formale, divenuta ridicola nei confronti
dell’impresa. Al singolo non rimane altro che firmare, e non leggere.
In seguito è arrivata una direttiva comunitaria del 1992 sui contratti dei consumatori che ha
disciplinato tutta la contrattazione che si svolge fra un professionista e un consumatore: riguardo a
questa specie di contratti, ha disposto una tutela più forte del legislatore nazionale.
La direttiva ha trovato attuazione con una legge del 1996 che aveva introdotto gli art. 1469 bis e
seguenti del Codice civile.
Fino al 2005, anno in cui queste norme e altre sono state trasferite nel Codice del consumo.
1) la tutela del Codice del Consumo si aggiunge a quella civilistica appena vista.
2) la disciplina del Codice del Consumo riguarda solo i contratti conclusi fra un professionista e
un consumatore.
Conseguenze:
a) con condizioni unilaterali o le condizioni generali di contratto avremmo sempre la necessità che
queste siano rese conoscibili, a prescindere che sia o meno un consumatore.
b) stesso dicasi per la “seconda firma”;
c) attenzione: la disciplina consumeristica si applica solo fra professionista e consumatore, perchè
se invece non c’è il BTC (business to consumer), ma business to business (BTB): non ha senso
il codice del consumo, ma si applica l’art. 1341 (normativa codicistica).
La normativa codicistica si applica sempre; per i consumatori si applica pure il codice del consumo.
Diritto dei
consumatori
1.3 Il codice del consumo
L’obiettivo è riassumere le norme rivolte al consumatore.
La disciplina consiste nel concetto normatistico fra consumatore e professionista.
Il consumatore
Individuazione del consumatore: definizione art. 1, Decreto legislativo n. 206/2005.
Non ogni provvedimento può essere letto tramite la definizione di “consumatore” ex Codice del
Consumo, ma solo per alcune del Codice del Consumo, infatti si dice “ove non diversamente
previsto”.
Ad esempio, all’art. 18: non è la definizione del Codice del consumo.
La definizione del consumatore (inclusa nel Codice del Consumo) lo identifica con la persona
fisica, lasciando fuori tutto ciò che che è persona giuridica o ente collettivo, perchè la norma dice
che deve essere persona fisica.
La persona fisica deve agire per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, ecc. Cioè
agisce per scopi personali. Gli esempi sono questi: compravendita non per attività commerciale (un
avvocato che acquista un telefono connesso all’esercizio di un’attività economica).
La dottrina ha criticato questa previsione.
Importante è il fatto che questo agisca per scopi legati alla sua attività normale.
Il punto promiscuo: tutto ciò che è effettuato in vista, in una prospettiva inerente all’attività
economica è come se fosse svolto nell’esercizio dell’attività economica: anche gli atti funzionali
all’esercizio di un’attività ancora non intrapresa si considerano non estranei.
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Il professionista
Persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio di una propria attività economica o
imprenditoriale. In tal caso può trattarsi sia di singolo che di organizzazione: avvocato,
commercialista, imprenditore. Art. 2341
La tutela
Per i contratti “prendere o lasciare”, il codice del consumo prevede una tutela più sostanziale,
perché dispone l’inefficacia di alcune clausole.
L’art. 33: si considerano vessatorie le clausole che malgrado la buona fede determinano a
causa del consumatore uno squilibrio dei diritti e degli obblighi;
L’art. 36, le clausole considerate qui vessatorie sono nulle. Anche se firmate, queste clausole
non sono mai efficaci nel contratto. La tutela è rafforzata, perché la sanzione è uno scudo.
Le clausole che determinano uno “significativo squilibro del diritti e degli obblighi”: quando siamo
in grado di provare che la clausola determina una situazione di squilibrio?
Ex art. 33, il codice del consumo, al secondo comma, sancisce che si presumono vessatorie che le
clausole che hanno ad oggetto: escludere o limitare la volontà e i diritti al consumatore: per
questa lista, detta lista grigia, ci si avvale della presunzione di relativa nullità, questo al di là
della conoscibilità.
Altro passo avanti, ex art. 36, si dice che sono nulle le clausole che hanno per oggetto [...](lista di
clausole detta black list): si ha una presunzione di assoluta nullità.
Sono stare stabilite anche delle norme favorevoli in caso di giudizio.
Al comma 4 art. 34 si dice che, non sono vessatorie le clausole che sono state oggetto di
trattativa individuale. Quindi le precedenti tutele valgono nel caso di contrattazione di massa.
Per le clausole contenute nella blak list, però, la norma dice che esse sono nulle anche se
fossero oggetto di trattativa.
Ci sono numerose fonti normative che problema difficile il loro coordinamento.
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Capitolo II
I CONTRATTI DI ALIENAZIONE E DI DISTRIBUZIONE
2.1 La vendita
E’ un contratto di scambio per eccellenza. L’imprenditore potrà servirsene come venditore o come
acquirente. E’ un istituto di grande utilità per l’imprenditore, ma non solo.
L’art. 1470 ci dice che la vendita è il contratto che ha per oggetto il trasferimento della proprietà
di una cosa o di un altro diritto verso il corrispettivo di un prezzo”.
Art. 1470 - Vendita
La vendita è il contratto che ha per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa o il trasferimento di un
altro diritto verso il corrispettivo di un prezzo.
Il primo concetto ha a che fare la struttura: la vendita è un contratto traslativo ad efficacia reale,
ovvero produce il trasferimento di diritti su cose determinate ex art. 1376, e tale effetto viene
prodotto per il solo consenso manifestato
La vendita non solo si perfeziona con il consenso, ma produce anche in forza del consenso l’effetto
traslativo.
Quando si dice che un soggetto è venuto proprietario in forza di una compravendita, lo si è
divenuta in forza del consenso.
Quindi il contratto consensuale necessita dello scambio del consenso. Produce l’effetto solo in
corrispondenza di questo consenso.
Efficacia reale
Di regola, l’efficacia è reale (effetto traslativo), ma non sempre l’effetto è immediato.
Il diritto si trasferisce al momento della conclusione del contratto quando la vendita ha per oggetto
il trasferimento:
- il trasferimento della proprietà di una cosa determinata o di un diritto reale su cosa altrui (per es.
vendita di usufrutto) o di altro diritto (come la cessione onerosa del credito);
- lo stesso principio si applica anche alla vendita di una massa di cose.
- occorre naturalmente che le parti si accordino sul trasferimento immediato ovvero non stipulino
ne un termine iniziale ne una condizione sospensiva (come per la vendita a prova).
Efficacia
obbligatoria
Ci sono delle eccezioni per cui la proprietà, l’usufrutto o altro contratto si trasferiscono non con il
consenso: in questo caso la vendita non ha efficacia reale, ma obbligatoria, esempio è la vendita di
cosa altrui o di cosa futura o di cosa parzialmente altrui, o di cosa generica.
La vendita non ha efficacia reale immediata quando riguarda cose determinate solo nel genere (art.
1378). La proprietà in tal caso si trasmette solo con l’individuazione del bene.
Ci sono dei casi in cui non basta il consenso, ma serve un altro evento: nella vendita di cosa altrui
è l’acquisto della proprietà del venditore, o di cosa generica l’individuazione del bene, o di cosa
futura, quando la cosa viene ad esistenza.
Fino a quando non si verificano questi eventi non si realizza l’effetto traslativo, ma c’è solo
l’effetto obbligatorio: e il venditore è obbligato a fare quanto necessario per far si che si si realizzi
l’effetto reale, ovvero assume le obbligazioni che derivano sempre dal contratto.
Solo quando la cosa è specifica, la proprietà passa con la consegna e non ci vuole altro.
Se invece la cosa non è di proprietà o inesistente, occorrerà quell’evento in più e l’effetto allora è
obbligatorio.
All’effetto traslativo si succede l’effetto obbligatorio. Infatti, la vendita:
a) è destinata comunque ad avere un effetto reale, in mancanza del quale risulta inefficace o si
risolve;
b) la vendita ha sempre un efficacia obbligatoria, sia rispetto al venditore sia rispetto al compratore.
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Il contenuto del
contratto
Altra cosa riguarda il contenuto.
La vendita deve avere ad oggetto un dare, un diritto una proprietà, un diritto reale sulla cosa, e
per il compratore il pagamento di un prezzo.
Per il legislatore il prezzo è un corrispettivo pecuniario.
Non si può avere vendita in senso stretto, quando il corrispettivo è un bene in natura o un facere.
Non sarebbe una vendita, ma un contratto do ut facias.
La vendita è il contratto che ha per oggetto il trasferimento di proprietà di una cosa (un bene) o
di un altro diritto: che potrebbe essere la vendita di un usufrutto, di un abitazione, ecc. Quello che
in realtà è meno intuibile che anche quando si cede un diritto di credito si ha una vendita di credito.
Se un credito è ceduto verso denaro.
Il contratto di vendita trova la sua disciplina non solo sul codice civile, ma anche all’esterno della
disciplina codicistica, ma principalmente nel codice del consumo o nella Convenzione di Vienna
(ha ad oggetto la vendita internazionale di beni mobili).
Le obbligazioni
del venditore e
del compratore
Le obbligazioni che discendono dal contratto del vendita
Alla efficacia reale (traslativa), si accompagna anche un’efficacia obbligatoria.
Le obbligazioni del venditore
Art. 1476.
Obbligazioni principali del venditore.
1. Le obbligazioni principali del venditore sono:
1) quella di consegnare la cosa al compratore;
2) quella di fargli acquistare la proprietà della cosa o il diritto, se l'acquisto non è effetto immediato del
contratto;
3) quella di garantire il compratore dall'evizione e dai vizi della cosa.
Le obbligazioni principali del venditore sono:
- consegnare la cosa;
- far acquistare la proprietà della cosa o del diritto, se l’acquisto non è effetto immediato del
contratto;
- garantire il compratore dall’evizione e dai vizi della cosa.
Le prime due dicono che: la consegna non serve a perfezionare la compravendita, il diritto è già
passato, il contratto è perfetto. E la prima obbligazione quindi è consegnare la cosa (trasferire al
compratore il possesso della cosa, in modo effettivo o simbolico).
La seconda è trasferire la proprietà, quando questo non è effetto del contratto. Se si vende una cosa
generica c’è l’obbligo di individuare il bene, altrimenti non si realizza la causa per la quale si è
stipulato il contratto.
Nel caso di inadempimento all’obbligazione di consegna, l’acquirente può esercitare l’azione
ordinaria di risoluzione del contratto o adempimento che secondo la giurisprudenza è svincolata da
termini di decadenza e prescrizione. Se la consegna deve farsi successivamente alla conclusione del
contratto, il venditore ha anche l’obbligazione di custodire la cosa.
Poi dice che c’è l’obbligo di garantire il compratore dall’evizione e dai vizi.
L’adempimento dell’obbligazione può avvenire anche in più rimesse frazionate nel tempo, se le
parti lo hanno previsto e se si tratta di un’obbligazione divisibile (vendite a consegne ripartite).
Le obbligazioni del compratore
Delle obbligazioni del compratore
Art. 1498.
Pagamento del prezzo.
1. Il compratore è tenuto a pagare il prezzo nel termine e nel luogo fissati dal contratto.
2. In mancanza di pattuizione e salvi gli usi diversi, il pagamento deve avvenire al momento della consegna
e nel luogo dove questa si esegue.
3. Se il prezzo non si deve pagare al momento della consegna, il pagamento si fa al domicilio del venditore.
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Il compratore è tenuto a pagare il prezzo nel termine e nel luogo stabilito dal contratto. Salvo gli
usi, il pagamento del prezzo deve avvenire al momento della consegna e nel luogo ove la si esegue,
altrimenti presso il domicilio del compratore.
E’ una vendita fra due imprenditore. I rimedi per l’acquirente.
Il prezzo deve essere in denaro, normalmente fissato dalle parti nel contratto (arbitraggio): in
mancanza è il prezzo di mercato (il prezzo normalmente applicato dal venditore, o al prezzo di
Borsa o di mercato, ecc.) e ancora in mancanza sarà stabilito dal giudice. C’è una disciplina
suppletiva di dettaglio.
I rimedi a tutela dell’acquirente
Tutti i giorni si sente parlare di garanzie: cosa succede se il bene venduto è viziato.
La disciplina codicistica e la normativa generale
Per un certo tempo l’unica esistente, e poi in seguito alla direttiva. L’importante è che una delle
parti non sia un imprenditore.
I vizi giuridici
I vizi giuridici sono coperti dalla garanzia per evizione: si vende una cosa che non è mia. Se il
compratore acquista una cosa non di proprietà del venditore, c’è l’obbligo da parte del venditore di
far acquistare la cosa al compratore.
Se il compratore non sapesse che la cosa era altrui e fosse stato in buona fede: è possibile che si
trovi chiamato in causa dal proprietario del bene che rivendica la sua cosa.
Il vero proprietario rivuole la sua proprietà attraverso l’esercizio di un’azione di rivendica.
Ottenuta la sentenza, l’acquirente deve essere tutelato e agisce in garanzia.
Art. 1483.
Evizione totale della cosa.
1. Se il compratore subisce l'evizione totale della cosa per effetto di diritti che un terzo ha fatti valere su di
essa , il venditore è tenuto a risarcirlo del danno a norma dell'articolo 1479.
2. Egli deve inoltre corrispondere al compratore il valore dei frutti che questi sia tenuto a restituire a colui dal
quale è evitto, le spese che egli abbia fatte per la denunzia della lite e quelle che abbia dovuto rimborsare
all'attore.
Se il compratore subisce l’evizione totale della cosa (= gli viene tolta per effetto di diritti che un
terzo ha fatto valere su essa), il venditore è tenuto a risarcirlo del danno ex art. 1479. Questo è il
diritto per l’acquirente. La garanzia è il risarcimento del danno.
Anche in caso di evizione parziale, si ha ad esempio quando acquisita la proprietà e arrivasse un
terzo che fosse usufruttuario, accertata quest’ultima il compratore diventa titolare di nuda proprietà.
Quale che sia, totale o parziale, il rimedio è sempre il risarcimento del danno da parte del venditore
(secondo le regole della vendita di cosa altrui).
Quindi se la cosa è parzialmente evitta (art. 1484), il contratto si risolve o il prezzo si riduce, salvo
il risarcimento del danno.
Tale garanzia può essere esclusa o modificata ex art. 1487, se stabilito dalle parti: è nella
disponibilità delle parti. E’ un effetto naturale, ma non inderogabile, ma non ha effetto se il
venditore ha in mala fede taciuto al compratore dei vizi della cosa o che avrebbe facilmente potuto
conoscere.
I vizi di tipo
materiale
Questi sono i vizi giuridici, oppure possono esserci vizi di tipo materiale.
La garanzia per i vizi della cosa venduta protegge il compratore contro quei vizi materiali della
cosa, che la rendono inidonea all’uso cui è destinata (o ne diminuiscono il valore). Si deve trattare
di vizi preesistenti alla conclusione del contratto
La garanzia per vizi è un effetto naturale, ma non inderogabile. Il compratore ha due strade:
1) l’acquirente può chiedere la risoluzione del contratto (e si fa ridare indietro i soldi);
2) o la riduzione del prezzo;
A questi due rimedi che operano sul contratto, si aggiunge sempre il risarcimento del danno.
Se ha utilità il bene allora opterà per la seconda strada, altrimenti per la prima.
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Nel sistema codicistico non è possibile chiedere l’esecuzione coattiva, c’è solo nel codice del
consumo.
Il codice del consumo
La garanzia nel
codice del
consumo
Si applica solo per i contratti conclusi da consumatore appunto fra professionista e consumatore
e stabilisce un regime di garanzia con oggetto beni di consumo:
1) sfera d’applicazione soggettiva: professionista (fra cui anche gli imprenditori) e
consumatore (persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale e
professionale);
2) oggettiva: beni di consumo è qualsiasi bene mobile materiale, non diritti.
La garanzia non riguarda solo la compravendita riguarda un’amplia sfera di contratto e che hanno
ad oggetto un facere, come un appalto, somministrazione e tante altre fattispecie.
E’ un regime inderogabile, non può essere derogato a sfavore del consumatore. Si rinuncia alla
garanzia perché non è rinunciabile, perché vuole dare una posizione forte al consumatore.
I rimedi
Il grande vantaggio di questa garanzia è che offre più rimedi, se il vizio sussiste al momento della
consegna del bene:
- si può chiedere la sostituzione del bene;
- la riparazione del bene, qualora sia possibile.
Oltre naturalmente il risarcimento del danno. Si possono si modulare meglio le esigenze del
consumatore.
Questo è il quadro fondamentale. Si ricordi che:
- in questo regime non si ha veramente quattro rimedi, ma solo due più due. Il legislatore dice “si
può chiedere gli ultimi due quando precedenti non sono praticabili o siano impossibili”. Quelli
tradizionali sono praticabili solo in seconda battuta, qualora quelli previsti dal codice del
consumo siano impossibili.
- questa garanzia dura due anni dalla consegna. Inoltre il consumatore decade dalla tutela se non
denunzia il vizio entro due mesi dalla scoperta.
2.2 Particolari ipotesi di vendita
Particolari ipotesi di vendita: hanno una costruzione un po’ particolare che le rende speciali. Il
codice così le distingue:
- della vendita di cose mobili;
- con riserva di proprietà;
A rigore questo schema dovrebbe essere utilizzato solo per alcune fattispecie, ma dottrina e
giurisprudenza ha sancito che tali schemi possono essere utilizzati tanto per beni mobili quanto per
immobili.
Vendita con patto di riscatto
Art. 1500.
Patto di riscatto.
1. Il venditore può riservarsi il diritto di riavere la proprietà della cosa venduta mediante la restituzione del
prezzo e i rimborsi stabiliti dalle disposizioni che seguono.
2. Il patto di restituire un prezzo superiore a quello stipulato per la vendita è nullo per l'eccedenza.
Vendita con
patto di riscatto
Il venditore può riservarsi il diritto di vendere la cosa venduta quando contestualmente alla vendita
si riserva il diritto di riscattarla, di ritornare in proprietà della cosa, e quindi di risolvere il
contratto e tornare alla situazione di partenza.
In un momento di difficoltà economica, si pattuisce che se verrà restituito il prezzo entro un dato
termine, il contratto si considererà risolto: è un diritto di riavere ad una condizione.
Il riscatto si realizza con una dichiarazione unilaterale del venditore, che non basta, e deve anche
tornare a restituire anche i soldi: volontà più soldi fanno tornare in proprietà il bene, altrimenti il
riscatto non si produce.
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Vendita con riserva di gradimento
Art. 1520.
Vendita con riserva di gradimento.
1. Quando si vendono cose con riserva di gradimento da parte del compratore, la vendita non si perfeziona
fino a che il gradimento non sia comunicato al venditore.
2. Se l'esame della cosa deve farsi presso il venditore, questi è liberato, qualora il compratore non vi proceda
nel termine stabilito dal contratto o dagli usi, o, in mancanza, in un termine congruo fissato dal venditore.
3. Se la cosa si trova presso il compratore e questi non si pronunzia nel termine sopra indicato, la cosa si
considera di suo gradimento.
Vendita con riserva della proprietà
Della vendita con riserva della proprietà
Art. 1523.
Passaggio della proprietà e dei rischi.
Nella vendita a rate con riserva della proprietà , il compratore acquista la proprietà della cosa col pagamento
dell'ultima rata di prezzo , ma assume i rischi dal momento della consegna.
Vendita con
riserva di
proprietà
E’ l’ipotesi di vendita a rate con riserva di proprietà, con le seguenti caratteristiche:
a) concluso il contratto, la proprietà non passa immediatamente al compratore, ma rimane al
venditore fino al pagamento dell’ultima rata di prezzo: è un eccezione al principio
consensualistico.
b) la cosa viene però consegnata al compratore, il quale ne acquista immediatamente il godimento;
c) il rischio per il perimento, anzichè a carico del proprietario, è collegato con la detenzione
(anche nel caso di perimento senza colpa del compratore).
Si ha quando nella vendita a rate il compratore acquista la proprietà della cosa con il pagamento
della cosa.
Anche qui c’è difficoltà economica, allora si stabilisce la vendita a rate, allora il compratore paga a
rate, ma il venditore nel momento in cui quello non pagasse, si troverebbe senza bene e senza soldi.
Tale figura mette insieme di esigenze contrapposte, per il venditore di tenere una garanzia: la
proprietà non passa immediatamente, ma solo quando il compratore avrà pagato l’ultima rata di
prezzo. Il venditore in caso di mancato pagamento avrà comunque la proprietà.
Per beni che conservano il loro valore, tenere la proprietà è una garanzia forte.
E’ una vendita con pagamento del prezzo differito, che assegna al compratore il diritto di utilizzare
il bene così come i rischi, e che prevede che la proprietà passerà solo quando sarà pagata l’ultima
rata del prezzo.
Il pagamento della sola rata non dà luogo alla risoluzione del contratto, In ogni caso, c’è una
disciplina che regola che cos’è il problema delle rate passate.
La giurisprudenza ritiene che esso sia un contratto sottoposto a condizione sospensiva del
pagamento dell’ultima rata di prezzo; per altri di una vendita obbligatoria (tesi preferibile) ovvero
di un negozio collegato ad uno scopo di garanzia.
Opponibilità e
risoluzione del
contratto
La legge dispone inoltre che la riserva della proprietà sia opponibile ai creditori solo se stipulata
con atto avente data certa anteriore al pignoramento.
Infine, l’inadempimento del compratore che non paga le rate determina la risoluzione del contratto.
A tutela del compratore la legge stabilisce che il mancato pagamento di una sola rata, che non
superi l’ottava parte del prezzo, non è causa di risoluzione del contratto.
La risoluzione determina l’obbligo del venditore di restituire le rate, salvo il diritto a un equo
compenso per l’uso della cosa, oltre al risarcimento del danno.
Infine, l’ultimo comma dell’art. 1526 prevede che la stessa disposizione si applichi al caso in cui il
contratto sia configurato come locazione (vendita in forma di locazione) e sia pattuito che la
proprietà passi al conduttore per effetto del pagamento dei canoni pattuiti.
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2.3 Il contratto di leasing
2.3.1 Introduzione
E’ un contratto nominato, ma non tipico. Il legislatore di tanto in tanto parla del leasing, dimostra di
conoscerlo, ma mai ci dice cos’è. La definizione non è normativa.
Il contratto è nato dalla prassi, dall’autonomia contrattuale. Gode di un regime fiscale agevolato.
Nozione
E’ il contratto ha ad oggetto la locazione (to lease = prestare) di beni mobili o immobili
acquistati o fatti costruire dal concedente su scelta e indicazione dell’utilizzatore che ne
ottiene il godimento per un certe tempo verso pagamento di un canone.
C’è un soggetto che vuole un certo bene da utilizzare. C’è una società di leasing che fa
l’intermediario che compra un bene da un terzo e lo concede in locazione finanziaria all’utilizzatore
che non ha i soldi per comprarselo da sé.
Il suo guadagno lo fa solo nei canoni. Può avere ad oggetto beni mobili o immobili.
“Su scelta ad indicazione dell’utilizzatore”
La società di leasing fa da tramite economico. L’utilizzatore fa si che chiede determinati beni.
Spesso sarà l’utilizzatore ad indicare le caratteristiche dei beni.
Al termine del contratto, sarà possibile per l’utilizzatore:
•Rinnovare la locazione (presumibile per canone inferiore)
•La riconsegna semplice oppure se il bene si è rovinato, l’utilizzatore potrà riconsegnare il bene e
quindi far cessare il rapporto.
•Oppure potrà riconsegnare l’acquisto a determinate condizioni. Il leasing lascia all’utilizzatore la
scelta di diventare proprietario del bene. C’è il diritto di riacquistare il bene a determinate
condizioni. In tal momento si sarà perfezionato anche un altro contratto di vendita.
Inquadramento
e disciplina
Il ruolo decisivo nell’elaborazione di questa figura spetta alla giurisprudenza e alla prassi. Nel
testo unico bancario, si mette il leasing fra le operazioni di finanziamento, quelle riservate, gestite
solo da determinate soggetti. Quindi l’attività di leasing potrà essere svolto da soggetti muniti di
determinate caratteristiche di stabilità economica (banche, sim) e soggetti a controllo prudenziale
(Tub). Alla fine infatti il leasing è un prestito.
L’attività infatti è riservata: tale riserva vale però solo in caso di attività continuativa, però si può
fare sia come privati sia come imprenditori individuali una tantum.
Altrimenti deve essere volta a determinate condizioni previste dal Tub, se professionalmente e
continuamente ex 106 TUB.
Ci sono tre punti fondamentali del leasing:
1) la risoluzione del contratto di leasing in caso di mancato pagamento dell’utilizzatore;
2) cosa succede quando il bene viene consegnato all’utilizzatore è viziato;
3) sale and lease back.
2.3.2 Il regime in caso di risoluzione in caso di inadempimento dell’utilizzatore
L’orientamento
della Cassazione
Cassazione, 28 Ago 2007 n. 18.195
Una società di leasing e un utilizzatore, e questo non paga più. La società di leasing chiede la
risoluzione del contratto, la ottiene e l’utilizzatore chiede la restituzione delle rate già pagate ex art.
1458.
La Cassazione dice questo perché la risoluzione ha effetto retroattivo fra le parti!
Chiaramente con questa soluzione, l’utilizzatore ha utilizzato un bene gratis.
Cassazione: premesso che questi negozi atipici devono trovare una disciplina nelle norme generali
per contratti tipici vicini a quelli atipici, ma non essendoci una disciplina del leasing, in tal caso la
disciplina più vicina, bisogna distinguere fra:
1) leasing traslativo: fattispecie nella quale l’interesse predominante della parti è rivolto verso
la futura acquisizione di proprietà bene. E’ una questione di intenzione delle parti. Ciò che è
da indagare è se il bene è suscettibile di conservare il valore dopo il periodo di leasing o se
sono beni che per la loro rapida obsolescenza sono destinati a perdere valore. Con il leasing
traslativo il bene ha valore residuo ancora elevato, è presumibile che le parti arrivi
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all’acquisto del bene, nel caso di un computer ad esempio no. Con un immobile è più facile
che vi sia l’acquisto. Con un criterio interpretativo indiziario basato sulla conservazione del
valore del bene; nel secondo caso, con un bene di rapida obsolescenza, si parla di un leasing
destinato al solo godimento.
2) nel leasing di godimento, il canone è solo di godimento, allora la fattispecie è simile a quella
di locazione. Nel pagare il canone è possibile che l’utilizzatore abbia pagato anche una parte
di prezzo: anche qui ci possono essere dei casi in cui la vendita assomiglia alla proprietà.
Nel leasing traslativo invece posso prevedere un riscatto e con lo scopo di finanziamento oltre al
canone sarà inglobata anche una parte di prezzo. Quindi nel canone non c’è solo strettamente una
parte di godimento, ma anche una porzione data come anticipo sul prezzo.
Art. 1458.
Effetti della risoluzione.
1. La risoluzione del contratto per inadempimento ha effetto retroattivo tra le parti, salvo il caso di contratti
ad esecuzione continuata o periodica, riguardo ai quali l'effetto della risoluzione non si estende alle
prestazioni già eseguite.
2. La risoluzione, anche se è stata espressamente pattuita , non pregiudica i diritti acquistati dai terzi , salvi
gli effetti della trascrizione della domanda di risoluzione.
Disciplina nel
leasing di
godimento
Quando c’è un leasing di godimento, allora si applica l’art. 1458, perchè assomiglia alla locazione,
si dice che in caso di risoluzione, la seconda parte del 1458, i contratti ad esecuzione periodica o
continuata, non si applica alle prestazioni già eseguite: la risoluzione non ha effetto retroattivo.
“bene di godimento” = bene deprezzando e quindi nella mente delle parti l’obiettivo è la possibilità
di usufruire di determinati beni: per questi non si applica la retroattività della risoluzione.
Art. 1526.
Risoluzione del contratto.
1. Se la risoluzione del contratto ha luogo per l'inadempimento del compratore, il venditore deve restituire le
rate riscosse , salvo il diritto a un equo compenso per l'uso della cosa, oltre al risarcimento del danno .
2. Qualora si sia convenuto che le rate pagate restino acquisite al venditore a titolo d'indennità , il giudice
secondo le circostanze, può ridurre l'indennità convenuta.
3. La stessa disposizione si applica nel caso in cui il contratto sia configurato come locazione, e sia
convenuto che, al termine di esso, la proprietà della cosa sia acquisita al conduttore per effetto del pagamento
dei canoni pattuiti.
Disciplina nel
leasing traslativo
Quando invece si tratta un leasing traslativo, nei canoni si dilaziona anche un prezzo di acquisto,
l’utilizzatore ha dato di più del canone, ha dato anche parte di un prezzo, e con riguardo a questo
caso, la Cassazione applica l’art. 1526, vendita con riserva di proprietà.
Nel leasing traslativo si acquista piano piano. Se si realizza risoluzione del contratto, il venditore
deve restituire le rate riscosse, c’è retroattività. bisogna restituire la rate, ma è salvo il diritto ad
un equo compenso per l’uso della cosa (che non è la parte del prezzo!). Che poi il giudice possa
fare un gioco di compensazione è un altro conto, a rigore questo è un indennizzo che potrebbe
addirittura non essere monetario. Oltre che il risarcimento del danno.
2.3.3 Il problema della ripartizione dei rischi: il bene viziato
La particolarità è che si tratta di un contratto trilaterale:
- parte esecutiva è la società di leasing;
- parte interessata è all’utilizzo è l’utilizzatore;
Questi soggetti creano dei problemi nel caso di un bene viziato.
La clausola di
traslazione dei
rischi
Ci sono dei rimedi per un bene viziato. Il problema è che la società di leasing spesso e volentieri
s’accorda con il terzo affinché questo venga in possesso del bene.
L’utilizzatore però può trovarsi con un bene viziato. Questo problema dei rischi è che la società di
leasing ha cercato di risolvere a proprio vantaggio imponendo all’utilizzatore una clausola di
traslazione dei rischi = la società di leasing non risponde nei confronti dei terzi per eventuali
rischi.
La giurisprudenza su questa clausola ha sostenuto questa posizione: premesso che c’è un divario
soggettivo fra chi la garanzia per i vizi e chi invece ha il possesso materiale il bene e ha la
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possibilità di riscontrare i vizi: queste clausole non sono valide se non sono associate anche ad
una traslazione delle azioni poste a rimedio del compratore.
La traslazione del rischio va bene purché tu conceda all’utilizzatore la possibilità di esperire i
rimedi a disposizione del compratore. Con questo congegno, la clausola di traslazione del rischio è
accettabile: si elimina questo diaframma soggettivo. A rigore lui non potrebbe esperire le azioni di
rimedio, potrebbe farlo la società di leasing, che però non ne ha interesse.
Supponiamo che i vizi siano in capo all’utilizzatore, il quale avrà l’onere di verificare la presenza
di vizi, ma anche il diritto di farli valere.
Qui è evidenziato il rapporto trilatero, il collegamento fra i due contratti.
La sentenza dice che quando gli viene consegnato il bene, l’utilizzatore ha l’obbligo di
controllare se il bene è viziato oppure no. In quel caso, ha il dovere di salvaguardare l’interesse
della società di leasing controllando che sia integro.
La Cassazione ha detto “male hai fatto a ricevere il bene senza sollevare alcuna eccezione, dovevi
controllare l’integrità del bene”.
In linea generale c’è l’obbligo di cooperazione fra società di leasing e utilizzatore, e in
alternativa si può eliminare questo co-rischio, e di dare rischi e di poteri all’utilizzatore.
Se rimaniamo separati: rischi per società di leasing e poteri all’utilizzatore, in tal caso l’utilizzatore
avrà l’obbligo di essere accorto.
Se l’utilizzatore solleva l’eccezione e lo comunica alla società di leasing, questa dovrà fare in
modo di mettere a disposizione all’utilizzatore un bene conforme, altrimenti l’utilizzatore potrà
chiedere la risoluzione del contratto di leasing.
Per la responsabilità oggettiva del leasing, il fatto che la disponibilità del bene è all’utilizzatore, si
assimila questa posizione al quella del proposizione.
Ad esempio, nel codice della strada, anziché al proprietario, la responsabilità va all’utilizzatore. Per
compensare la responsabilità reale e rischi, in tal caso si sostituisce al proprietario, il proprietario
sostanziale, colui che può controllare la disponibilità del bene.
2.3.4 Sale and lease back
Nozione
“Vendita e leasing di ritorno” è un contratto atipico che in parte si rifà al leasing. Si caratterizza
per la presenza di soli due soggetti. Un soggetto proprietario di un certo bene di cui vuole
mantenere la disponibilità, ma che per altre ragioni, vuole alienare. Allora vende il bene ad una
società di leasing, la quale glielo ridarà indietro.
Il vantaggio per il venditore è la disponibilità di denaro. Finito il periodo di leasing potrà scegliere
se restituire il bene, proseguire nel leasing o riacquistarlo.
Qual’è il problema che genera questa figura contrattuale?
Il problema del
divieto del patto
commissorio
E’ quello della compatibilità con l’art. 2744, che fissa il divieto del patto commissorio.
Il patto commissorio è quel patto che può accedere a qualsiasi garanzia reale e con il quale si
conviene che in mancanza del pagamento del credito, la proprietà passa in proprietà del creditore.
Il credito, in caso di mancato pagamento della rata, è la proprietà del bene. Questo patto però è
nullo.
Nel caso di lease-back, venduto il bene, e fatto il lease-back, scaduto il quale avrà la possibilità di
acquistare la proprietà oppure no. Tale contratto quindi è assimilabile al mutuo con pegno, nel
leasing la proprietà passa subito ma il diritto di diventare di proprietà del bene è collegato al pegno.
Anche in questo caso il lease-back potrebbe essere utilizzato come strumento fraudolento per
infrangere il divieto del patto commissorio.
Il risultato è comune: la perdita di bene nel caso di mancato pagamento, è una misura di
coercizione nei confronti del debitore.
La Cassazione si è resa conto di questo: il lease back può essere utilizzato come mutuo con patto
commissorio. Gli elementi indiziali possono essere:
- lo scopo di mutuo e non far passare la proprietà, allora il contratto è nullo con la stessa forza del
divieto del patto commissorio, in quanto contratto in frode alla legge.
- le difficoltà economiche dell’impresa venditrice.
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Lease back e
vendita con
riserva di
proprietà
Differenza
Mentre nel leasing è un elemento futuro ed incerto, nella vendita con riserva della proprietà ciò che
si paga è il prezzo e lo si diventerà automaticamente. Nel leasing invece alla fine del contratto non
si diventa proprietari, bisogna dichiararlo e pagare un riscatto. Nel caso di pagamento di prezzo
(vendita con riserva di proprietà), nel leasing subordinatamente all’opzione dell’acquisito e al a
pagamento di un prezzo per l’acquisto.
Comune
Sia l’utilizzatore sia chi acquista con riserva di proprietà entrano in possesso subito del bene.
Art. 1526, ultimo comma
La stessa disposizione su come si regolano i rapporti si applica anche nel caso in cui il contratto sia
configurato come locazione.
La locazione a
scopo di vendita
Le parti non stipulano un contratto di vendita e l’utilizzatore non sceglie subito di a uatare:
Stipulano di locare il bene per 8 anni, e alla fine, pagati tutti , si diventerà proprietario. Ma nel caso
non sarà più interessato all’acquisto, recederà al contratto di locazione e non si arriverà una
vendita. E’ un contratto di locazione a cui si accedere un contratto di vendita.
Nella vendita con riserva di proprietà si prende solo in locazione e hai al facoltà, nel rispetto delle
regole convenute, si diverrà proprietà per effetto del pagamento dei canoni. Non si vorrà alcuna
volontà o pagamento di surplus, ma in ragione del pagamento dei canoni si diverrà proprietari.
2.4 Il contratto estimatorio
Nozione e
disciplina
Una parte consegna una o più cose mobili all’altra e questa si obbliga a pagare il prezzo salvo
consegni le cose nel prezzo stabilito.
Art. 1556.
Contratto estimatorio
1. Con il contratto estimatorio una parte consegna una o più cose mobili all'altra e questa si obbliga a pagare
il prezzo, salvo che restituisca le cose nel termine stabilito.
Il giornalaio dice “100 copie del giornale” e quelle che vendo le altre le restituisco. Tale contratto
consente al venditore al dettaglio di rifornirsi di un’ampia gamma di prodotto, non pagandoli
subito e non assumendosi il rischio dell’invenduto.
Se vende pagherà un prezzo e sarà obbligato a corrispondere un prezzo al fornitore, se non vende
restituirà il bene al fornitore.
L’interesse di chi si serve del contratto è realizzare una rete di vendita capillare. L’edicolante non
riceve uno “stipendio” dall’editore, ma questo crea una rete distributiva senza pagare. Lo stesso
vale anche per i gioielli.
E’ un contratto reale, oneroso.
Un contratto reale si perfeziona con la consegna. E non basta una consegna giuridica, ma
materiale: deve entrare nella concreta disponibilità della controparte del bene, perché
quest’ultima deve aver e la possibilità di disporne ed alienarlo.
“oneroso” perché colui che riceve tali beni è obbligato a pagarne il prezzo.
“trasferimento della proprietà verso il prezzo”: la cose è discussa. Secondo una certa lettura del
contatto, la proprietà passerebbe immediatamente alla consegna materiale del bene, e se poi non li
vende la restituzione ha effetto cancellativo, demolitorio, risolutivo di un contratto.
Art. 1558.
Disponibilità delle cose.
1. Sono validi gli atti di disposizione compiuti da chi ha ricevuto le cose; ma i suoi creditori non possono
sottoporle a pignoramento o a sequestro finché non ne sia stato pagato il prezzo .
2. Colui che ha consegnato le cose non può disporne fino a che non gli siano restituite.
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Problema
interpretativo
Secondo alcuni nel momento in cui si perfeziona il contratto estimatorio ci sarebbe un passaggio
integrale della proprietà. Ed è per questo che se restituisce non deve pagare il prezzo.
Questa idea è argomentata dalle norme che seguono:
- art. 1557: il rischio del perimento delle cose grava a carico di colui che le riceve. Allora lui rischia
ed è responsabile del suo perimento
- art. 1558: colui che le vende effettivamente, sono suoi!
Trasferisce rischi, proprietà e potere di disporre immediatamente. La restituzione del bene ha
effetto di restituire la parte traslativa e insieme a questo cancellare l’obbligo del pagamento del
prezzo.
Altri invece dicono che è solo un potere di disporne: ma allora il terzo come fa a diventare di
proprietà del bene, se chi glielo cede non è proprietario di un bene?
1) Secondo alcuni sarebbe che quando lo vende al terzo, farebbe si che diventasse anche
proprietario, doppio effetto. Ci sarebbe un duplice effetto traslativo: il giornalaio diventa
proprietario e automaticamente lo passa al terzo.
2) Secondo altri, il fatto che il giornalaio abbia il potere di alienare farebbe in modo che il bene
passi direttamente dal fornitore al cliente finale. Giuridicamente il giornale non lo
compreremmo dal giornalaio, ma dall’editore.
Oppure secondo la precedente ipotesi lo compreremmo dall’edicolante, soggetto che trasferisce la
proprietà, perché quando lo compro anche quest’ultimo viene travolto dall’effetto traslativo.
Di fatto gli aspetti più importanti sono comunque regolati dal codice.
Comunque che il rischio sia legato alla proprietà o meno, a livello pratico non cambia molto.
La possibilità però è che il contratto sia cancellato per la volontà di colui che riceve il bene
(l’edicolante) di rendere i beni, e far sparire in un colpo solo tanto l’effetto traslativo tanto l’effetto
obbligatorio di pagare il prezzo.
Art. 1557.
Impossibilità di restituzione.
1. Chi ha ricevuto le cose non è liberato dall'obbligo di pagarne il prezzo, se la restituzione di esse nella loro
integrità è divenuta impossibile per causa a lui non imputabile .
Rischio di
perimento del
bene
Altra particolarità. Chi ha ricevuto le cose non è liberato dall’obbligo di pagare il prezzo, se la
restituzione di esse è divenuta impossibile per causa a lui non imputabile. Questo è il problema del
rischio del perimento.
Secondo la tesi che noi sposiamo secondo cui “la proprietà passa subito”, questa norma non è
altro che l’espressione del principio. Se l’edicolante espone i giornali e viene un acquazzone, sarà
tenuto comunque a pagare i giornali perchè non dovrà più restituirli. Visto che non è in grado di
recedere, l’obbligazione del prezzo gli sta a capo. E quindi questo è da ricordare perchè è vero che
ne ha la disponibilità, perchè anche un’impossibilità a lui non imputabile.
Anche se lui provasse d’aver fatto tutto ciò che poteva per evitarla, questo non lo salva
dall’obbligo di pagare il prezzo.
Siccome c’è la norma a prevedere che lui risponde, si dice che questa fissa un’eccezione al
principio res..
Quindi alla fine cambia poco ed è per quello che questa è una questione un po’ di dottrina della
qualificazione degli effetti. Però alla fine ci sono norme specifiche che dettano la disciplina e
quindi dire che questa è un’eccezione.
“merci in conto deposito”: se le vendo le pago, altrimenti no.
La facoltà dell’accipiens è la facoltà di chi riceve di ridare indietro se non vuole pagare il prezzo.
L’oggetto: devono essere beni mobili.
Differenze con
altri contratti
Nel deposito, chi riceve il bene non ha il potere di disporne.
Per la vendita, fa passare la proprietà subito e qui non lo sappiamo.
Commissione: ma l’edicolante non è obbligato a vendere le cose.
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2.5 Il contratto di somministrazione o di fornitura
2.5.1. Disciplina
Art. 1559.
Nozione.
1. La somministrazione è il contratto con il quale una parte si obbliga, verso corrispettivo di un prezzo, a
eseguire, a favore dell'altra, prestazioni periodiche o continuative di cose.
Nozione e
disciplina
E’ detto anche “di fornitura” perché l’esempio più ovvio è la fornitura di energia elettrico o
standard. Si sottoscrive un contratto con un ente che verso il pagamento di un prezzo si offre a
metterlo a disposizione continuativamente, senza interruzioni; in alternativa la prestazione può
essere eseguita ciclicamente o periodicamente.
Ad esempio, la fornitura ogni primo del mese di x dose di caffè per un distributore.
E’un contratto di durata, un contratto nel quale le prestazioni vengono essere reiterate nel tempo.
Questa durata può apprezzarsi in un senso periodico o continuativo. Può essere a tempo
determinato o indeterminato.
Il contratto deve avere ad oggetto un dare: “si obbliga a eseguire prestazioni periodiche di cose”,
cioè quello che è l’oggetto delle prestazione sono cose “messe nella disponibilità del
somministrato”.
A fronte di questa disponibilità, il somministrato paga un corrispettivo, un prezzo. Anche
quest’ultimo può essere pattuito che sia pagato in via continuativa o periodica, ma quello che
caratterizza la somministrazione, è la prestazione somministrante, non il prezzo.
Per esempio, si discute se l’abbonamento sia un contratto di somministrazione. Si paga subito per
una serie di prestazioni continuativa. La particolarità è far durare la somministrazione di cose,
quindi non la durata del pagamento del prezzo.
Somministrazion
e di consumo e
di godimento
“cose generiche” se di deve fare una prestazione continuativamente, è difficile farlo se la cosa è
individuata. Quindi è più probabile che siano stabilite cose non individuate o non determinate/
specifiche, cose generiche.
Una somministrazione si distingue fra: somministrazione di consumo (1) o di godimento (2) a
seconda che la cosa che viene data al somministrato sia una cosa che un soggetto ha diritto di
consumare o di non restituire come l’energia elettrica o il gas, e si ha la disponibilità di goderne e
contemporaneamente di consumarla (siamo nel primo caso).
Oppure la cosa non è consumabile e in quel caso il somministrato non potrà disporne in maniera
assorbente (secondo caso), ma dovrà trarne l’uso convenuto e restituire la cosa. Ad esempio, una
somministrazione di computer per due ore a settimana per il corso. In tal caso l’interesse del
somministrato non è poter avere l’esclusiva disponibilità della cosa, ma semplicemente di poterne
godere. Finito il godimento, il bene sarà restituito.
E’ proprio la serie infinita di prestazioni che consente di realizzare l’interesse delle parti. Il
contratto di somministrazione è caratterizzato che solo se dura, soddisfa le parti, se invece è
istantaneo non realizza più l’interesse della parti.
Esempio. Necessito di tronchetti: “Non so quanto me ne verrò e preferisco avere un fornitore che
me dia quanto me ne serve”. L’interesse della parte è soddisfatto mano a mano. L’interesse del
cliente-imprenditore è essere coperto da una fornitura continua. Non è l’oggetto che gli interessa,
ma la continuità.
Somministrazione
e vendita a
consegne ripartite
Una cosa è il contratto di somministrazione, dove la durata è intrinseca nell’interesse delle parti,
un altra cosa è vendita con consegne ripartite, dove l’interesse delle parti è focalizzato
sull’acquisto di tutte le cose e la consegna rappresenta solo una modalità con la quale si adempie
all’obbligo di consegnare.
Invece qui, nella somministrazione, il vantaggio ad avere un soggetto obbligato ad eseguire queste
prestazioni nel tempo.
Alcune volte le cose vengono date con il potere di consumarle, altre volte solo in godimento:
ovviamente dipenderà anche dalla natura delle cose (se è consumabile, allora è di consumo e
viceversa sarà di godimento).
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Effetti giuridici
del contratto
Questa divaricazione di interessi riflette una divaricazione di effetti. Nella somministrazione di
consumo si arà anche un effetto traslativo, cioè nel momento in cui mi vengono consegnate le
cose, ne acquisto la proprietà.
Viceversa quando mi viene data una cosa in godimento attraverso un contratto di
somministrazione, non ci sarà un passaggi del diritto di proprietà, ma un passaggio del diritto di
godimento, cioè un diritto di godere della cosa consegnata.
Quindi, dal punto di vista degli effetti giuridici (fermo restando gli effetti obbligatori del pagamento
del prezzo, delle consegne, ecc.), si può aggiungere un effetto traslativo che si aggiungerà quando
si avrà ad oggetto un bene di consumo (per il quale cioè si può attribuire un potere di consumo). Il
bene si distinguere per l’interesse che si va a realizzare, per il fatto di poterlo consumare. Se invece
non si può consumare e lo devi rendere, è evidente che non sarà il proprietario, ma assimilabile ad
un conduttore.
Poi si parla di “cose generiche”: ci potrebbero essere anche cose specifiche. Nel senso che se ho
una somministrazione di godimento, si potrebbero avere anche delle cose specifiche perché tanto le
riconsegno.
Art. 1560.
Entità della somministrazione.
1. Qualora non sia determinata l'entità della somministrazione, s'intende pattuita quella corrispondente al
normale fabbisogno della parte che vi ha diritto, avuto riguardo al tempo della conclusione del contratto .
2. Se le parti hanno stabilito soltanto il limite massimo e quello minimo per l'intera somministrazione o per le
singole prestazioni, spetta all'avente diritto alla somministrazione di stabilire, entro i limiti suddetti, il
quantitativo dovuto.
3. Se l'entità della somministrazione deve determinarsi in relazione al fabbisogno ed è stabilito un
quantitativo minimo, l'avente diritto alla somministrazione è tenuto per la quantità corrispondente al
fabbisogno se questo supera il minimo stesso.
Entità della
somministrazione
“quante cose devono essere somministrate”, ovviamente la risposta più facile è “quante le parti lo
stabiliscono”.
Ma quando la misura non è determinata l’entità della somministrazione, s’intende pattuita quella
corrispondente al normale fabbisogno della parte che vi ha aderito.
Se le parti non dicono nulla, c’è un criterio suppletivo: per cui s’intende dovuta la quantità che
oggettivamente fa parte del fabbisogno normale del soggetto somministrato.
Non potrebbe il somministrato richiedere una quantità oltre il normale fabbisogno: se il
somministrante non fosse in grado di assecondare questa volontà, il suo rifiuto sarebbe legittimo,
perché in mancanza di una pre-determinazione, il somministrante è tenuto a dare solo il normale
fabbisogno, non può obbligare il somministrato a prendere di più, ma neanche il somministrato può
obbligare il somministrante a mettergliene a disposizione di più.
Minimo e
massimo
Oppure è possibile che le parti non siano state così vuote nell’accordo, ma abbiano stabilito un
minimo e un massimo: al secondo comma, spetterà all’avente diritto alla somministrazione
stabilire entro i limiti il suddetto quantitativo dovuto. In questo caso non potrà chiedere una cifra
oltre l’intervallo.
Quindi è possibile stabilire:
- l’esatta quantità;
- un minimo o un massimo;
- nulla.
Somministrazione
a piacere o a
richiesta
Ultima possibilità è che si faccia una così detta somministrazione a piacere o a richiesta. Si può
prevedere che la quantità sia determinata liberamente dal somministrato.
Il somministrante accetta il rischio di questa chiamata a piacere. Ci sono imprese in grado di
fornire una dovuta capacità produttiva, altre no. Le parti sono libere di determinare le quantità.
Poi si parla anche dell’impegno di potenza che si ha nei contratti con oggetto “energia elettrica”.
Nel contratto c’è scritto quanti kwatt per la casa. Si può usufruire dell’energia elettrica, ma fino ad
un massimo. Per avere quel massimo, si paga di più. Avere una disponibilità maggiore significa
pagare di più un fisso. Si può aggiungere alla clausola di somministrazione a piacere o a richiesta,
si può aggiungere un tetto di potenza, un tetto massimo.
16
Art. 1562.
Pagamento del prezzo.
1. Nella somministrazione a carattere periodico il prezzo è corrisposto all'atto delle singole prestazioni e in
proporzione di ciascuna di esse.
2. Nella somministrazione a carattere continuativo il prezzo è pagato secondo le scadenze d'uso.
Il prezzo
E’ una realtà che si vive continuamente, come luce e gas, sono prestazioni con cadenza ad esempio
bimestrale. Invece le somministrazione, in via generale, possono anche cadere con scadenze
determinate.
Mentre quelle periodiche vengono pagate all’atto della somministrazione, in proporzione alla
quantità. C’è molta disponibilità di questo contratto. Le parti hanno vasta liberà di stabilire il
contratto.
Art. 1569.
Contratto a tempo indeterminato.
1. Se la durata della somministrazione non è stabilita, ciascuna delle parti può recedere dal contratto , dando
preavviso nel termine pattuito o in quello stabilito dagli usi o, in mancanza, in un termine congruo avuto
riguardo alla natura della somministrazione.
Durata e recesso
Il punto di partenza normativo è l’art. 1569. Se la durata di somministrazione non è stabilita,
ciascuna delle parti può dare un preavviso del termine pattuito, ciascuna delle parti può recedere ad
nutum senza giusta causa. Tale previsione refugge agli obblighi di durata indeterminata.
Quando invece il contratto non è a tempo indeterminato, ma a tempo determinato, questa facoltà
non esiste e la dottrina si interroga se ci sia la possibilità del recesso per giusta causa. Di certo è
escluso un recesso discrezionale.
Art. 1564.
Risoluzione del contratto.
1. In caso d'inadempimento di una delle parti relativo a singole prestazioni, l'altra può chiedere la risoluzione
del contratto, se l'inadempimento ha una notevole importanza ed è tale da menomare la fiducia nell'esattezza
dei successivi adempimenti.
Risoluzione del
contratto
Altro invece è il problema della risoluzione del contratto, in caso di inadempimento di una delle
parti. A tale proposito, l’art. 1564 ci dice che in caso di inadempimento di una delle parti relativo a
singole prestazioni, l’altra parte ha la possibilità di chiedere la risoluzione del contratto, solo se
l’inadempimento risponde a due requisiti.
Ha una certa importanza:
- inadempimento non lieve, non rilevante. Il legislatore vuole salvaguardare la continuità del
rapporto, a giudicarli non fondanti un motivo di risoluzione.
- quindi deve essere d’entità notevole da menomare la fiducia nei successivi adempimenti.
Presumibilmente si potrà far riferimento a diverse prestazioni in toto. Se il somministrante sta per
fallire. In tal caso, la prestazioni di cose potrebbe legittimare la richiesta di risoluzione del
somministrato. Quindi un’entità rilevante, di per sé, ma rilevante anche in una prospettiva futura,
per cui ha senso interrompere un rapporto.
Quando però l’inadempimento non soddisfa queste condizioni e non dà luogo ad una causa di
risoluzione, in quell’ipotesi c’è una possibilità di reazione. E’ comunque un inadempimento, ma
non grave da prestare una qualche tutela da parte del legislatore.
Art. 1565.
Sospensione della somministrazione.
1. Se la parte che ha diritto alla somministrazione è inadempiente e l'inadempimento è di lieve entità , il
somministrante non può sospendere l'esecuzione del contratto senza dare congruo preavviso.
Inadempimento
di lieve entità
L’art. 1565 dice che se la parte che ha diritto alla somministrazione è inadempiente e
l’inadempimento è di lieve entità (che non legittima il somministrante ad interrompere il rapporto),
allora il somministrante può sospendere la prestazione, dando congruo preavviso. Quindi quando
l’inadempimento è di lieve entità o é momentaneo, il rimedio è rappresentato dalla possibilità di
sospendere la prestazione. Il rapporto si congela, ma c’è.
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Lo stesso diritto di sospendere la somministrazione, ce l’ha anche il somministrato, ma questo
risponde al principio generale dell’art. 1460/61, l’accezione dell’inadempimento.
In tal caso, si prevede che la parte che non riceve l’inadempimento altrui, può rifiutare il proprio
adempimento.
Per il contratto dei consumatori si applica anche la normativa del codice del consumo.
I vizi sono coperti in un modo diverso dall’inadempimento.
2.5.2. Il patto di preferenza
Art. 1566.
Patto di preferenza.
1. Il patto con cui l'avente diritto alla somministrazione si obbliga a dare la preferenza al somministrante nella
stipulazione di un successivo contratto per lo stesso oggetto, è valido purché la durata dell'obbligo non
ecceda il termine di cinque anni. Se è convenuto un termine maggiore, questo si riduce a cinque anni .
2. L'avente diritto alla somministrazione deve comunicare al somministrante le condizioni propostegli da
terzi e il somministrante deve dichiarare, sotto pena di decadenza, nel termine stabilito o, in mancanza, in
quello richiesto dalle circostanze o dagli usi, se intende valersi del diritto di preferenza.
Il patto di
preferenza
E’ una sorta di prelazione, nel senso che le parti si accordano in modo tale che se dopo la
stipulazione del contratto, se ne vorranno stipulare un altro, in quel caso il somministrato si
obbligherà ad eseguire una denuntiatio e a dare all’attuale somministrante la preferenza a parità di
condizioni.
Se un giorno vorrò fare un altro contratto ti assicurerò la prelazione. E’ un obbligo a denunciare
eventuali proposte contrattuali e a preferire l’attuale somministrante per il futuro.
Quest’obbligo viene disciplinato con riferimento al somministrato. Il somministrato si obbliga ad
are preferenza al somministrante.
Tuttavia, sebbene non sia disciplinata, nulla esclude che l’autonomia contrattuale sfoci in un patto
opposto: il somministrante dà prelazione al somministrato.
Oppure si può avere un cumulo. Entrambi si obbligano in confronto dell’altro a dare la preferenza.
Tutto ciò vale anche per il patto di esclusiva.
Limiti al patto
La norma dice che il patto è valido, purchè sia previsto un termine massimo di cinque anni. La
limitazione va bene purché non sopra i cinque anni. Se fosse stabilito un termine superiore ai
cinque, verrà ridotto automaticamente ex lege a cinque anni.
Va bene questa limitazione, purché non sopra i cinque anni a partire dalla stipulazione, perché
potremmo avere un contratto che pur avendo lo stesso oggetto, potrebbe avere condizioni differenti.
Le parti potrebbero aver convenuto che il nuovo contratto sarà efficace alla scadenza del nuovo
contratto o se gli effetti si produrranno in contemporanea. E’ importante ricordare che si riferisce
ad un diverso contratto, non a quello in corso.
Si potrà prevedere “nel caso si voglia fare un altro contratto” verrà data preferenza.
Chi è obbligato a dare la prelazione dovrà comunicare le condizioni propostagli da terzi e l’avente
diritto dovrà dichiarare se intende avvalersi della prelazione oppure no.
Forma scritta
ad probationem
La dottrina unanime ritiene che sebbene la norma parli di un termine di durata, questo limite deve
essere integrato con un altro limite. Sebbene la norma fissi un termine massimo di durata, questa
deve fissare un altro limite: la forma scritta ad probationem prevista in generale dell’art. 1556 per
i patti che limitano la concorrenza. E’ un vincolo di tipo formale.
C’è un sencolo vincolo:
- uno di tipo temporale;
- l’altro di tipo formale.
La forma ad probationem o forma richiesta per la prova (come per la transazione), se il contratto
non è fatto in quella forma, il contratto non potrà essere provato ne per testimoni ne per
presunzioni. Non significa che non ci sarà modo di dare la prova, ma resterà un ultimo strumento
del giuramento.
La mancata osservanza di una forma ad probationem ma solo in senso limitativo. Dovrà provare
che ci sia un contratto di somministrazione, magari producendo un documento; ma se non ha un
documento non potrà avvalersi di prova per testimone.
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2.5.3 Esclusiva
Art. 1567.
Esclusiva a favore del somministrante.
1. Se nel contratto è pattuita la clausola di esclusiva a favore del somministrante, l'altra parte non può
ricevere da terzi prestazioni della stessa natura, né, salvo patto contrario, può provvedere con mezzi propri
alla produzione delle cose che formano oggetto del contratto .
L’art. 1567 parla di esclusiva a favore del somministrante, quando quest’ultimo ha l’esclusiva.
Quando viene concessa l’esclusiva al somministrante, l’altra parte non potrà ricevere da terzi
prestazioni della stessa natura, ne, salvo patto contrario, potrà provvedere da sé alla produzione di
beni oggetto della somministrazione.
Sarà obbligato a rifornirsi dal somministrante, ne comprarle da altri, ne produrle da se, perché c’è
un esclusiva a favore del somministrante.
Art. 1568.
Esclusiva a favore dell'avente diritto alla somministrazione.
1. Se la clausola di esclusiva è pattuita a favore dell'avente diritto alla somministrazione, il somministrante
non può compiere nella zona per cui l'esclusiva è concessa e per la durata del contratto, né direttamente né
indirettamente, prestazioni della stessa natura di quelle che formano oggetto del contratto.
2. L'avente diritto alla somministrazione, che assume l'obbligo di promuovere, nella zona assegnatagli, la
vendita delle cose di cui ha l'esclusiva, risponde dei danni in caso di inadempimento a tale obbligo, anche se
ha eseguito il contratto rispetto al quantitativo minimo che sia stato fissato.
In questo caso, il somministrante non potrà compiere nella zona in cui l’esclusiva è stata concessa
e per la durata del contratto, ne direttamente ne indirettamente, prestazioni della stesa natura, cioè
lui non potrà in quella stessa zona rifornire altri soggetti dello stesso bene, perché l’esclusiva la
deve avere il somministrato.
Si mette un vincolo territoriale perché altrimenti si limiterebbe eccessivamente la possibilità del
somministrante d’avere uno sbocco sul mercato, un’esclusiva assoluta a favore del somministrato
sarebbe eccessiva.
Ci potrà essere un’esclusiva in favore in favore del somministrante o del somministrato. Chi ha
l’esclusiva potrà rifornire un certo soggetto o vuole poter avere l’esclusiva nella distribuzione di un
certo bene. Dall’altra parte, il somministrante potrebbe avere l’interesse affinché le sue cose siano
commercializzate soltanto in un certo posto.
Anche in questo caso tuttavia si nega che quest’ultimo si configuri come un patto limitativo della
concorrenza, e quindi in questo caso non trova applicazione il limite dell’art. 2596.
Le due ipotesi possono pure combinarsi, ma il legislatore non esclude che le parti si vincolino
reciprocamente. Anche questo caso tuttavia si nega sia un patto limitativo della concorrenza e
quindi anche in questo caso non trova applicazione dell’art. 2596.
Secondo la dottrina non si realizza una preclusione rispetto alla concorrenza ma si vuole
disciplinare lo stesso rapporto di somministrazione.
La violazione di questi due patti dà solo diritto al risarcimento del danno e la possibilità di
chiederne la risoluzione del contratto, è un effetto obbligatorio.
Figure affini alla
somministrazione
Figure affini alla somministrazione:
a) vendita a consegne ripartite: la volontà è diretta ad un quantitativo già determinato e lo
scaglionamento è solo una comodità, ma l’interesse potrebbe realizzarsi anche con una
consegna integrale. Nella somministrazione l’interesse è poterne disporre continuamente.
b) appalto: una parte si obbliga a realizzare una certa opera; se il somministrante produce anche i
beni si confonde con l’appalto. La distinzione è stata trovata sulla base del criterio di
prevalenza: se prevale l’aspetto produttivo rispetto alla commercializzazione, allora si parla di
appalto, viceversa si parla di somministrazione. La giurisprudenza precisa che: se certi beni
sono prodotti in scala dal somministrante, allora prevale la somministrazione; se invece quello
che viene fornito è un bene particolare allora si parla di appalto ed è la produzione che assume
un rilievo preminente.
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2.6 Il contratto di concessione di vendita
Nozione e
disciplina
Contratto tipico delle concessionarie d’auto. E’ un contratto atipico e nessuna norma lo disciplina
ed è caratterizzato da vari pezzi di contratti tipici e alla fine risulta lontano da altri schemi.
E’ un contratto consensuale, obbligatorio.
Un soggetto “concessionario” si obbliga ad acquistare dal produttore i suoi articoli per un
certo tempo, ma anche a promuoverne stabilmente la commercializzazione. Il fornitore dal
canto suo si obbliga a mettere a disposizione i prodotti.
C’è un obbligo a curare la distribuzione dei prodotti. Quest’obbligo c’è nel mandato, nell’agenzia.
Il commerciante (distributore) commercializza nel proprio interesse e realizza anche l’effetto di
distribuzione nei confronti del fornitore, ma li commercializza nel suo interesse.
In questo senso, si distingue con l’agenzia, perché l’agente ha diritto ad una provvigione, mentre il
distributore lucra sul margine. Le cose che vende l’agente non sono sue, mentre nel distributore si!
Spesso il contratto potrà accompagnarsi ad altre pattuizioni. In particolare si può prevedere che il
distributore possa utilizzare i segni distintivi del fornitore.
Il fatto di parlare di un contratto atipico, presenta un profilo particolare: quale disciplina applicare?
Qual’è la norma più simile?
Vizi: norme sulla compravendita.
Patto di esclusiva preferenza: somministrazione.
Risoluzione contratto: somministrazione.
Il profilo possibile: l’oppressione del fornitore da parte del fornitore.
Il fornitore avrà dimensioni economiche e giuridiche più forti e per questo potrà imporre
determinati comportamenti.
Quali atti sono lesivi e pur formalmente ineccepibili e lesivi del suo interesse. Un esempio è
ritenere che in un contratto a tempo determinato, la giurisprudenza dice che in base ad un patto di
buona fede il produttore possa recedere in un lasso di tempo tale da consentire al concessionario di
recuperare gli investimenti fatti.
La giurisprudenza dice che questo potere va contemperato con l’esigenza di protezione del soggetto
debole che non deve trovarsi in balia del soggetto forte.
Addirittura la giurisprudenza è arrivata a ritenere che sia possibile applicare le norme di tutela per
il lavoro subordinato, in alcuni casi i distributori sono obbligati ad acquistare la disciplina solo
dalla casa madre. C’è un rapporto talmente stretto delle parti, forse in tal caso c’è subordinazione.
E questo si ripercuote sulle tutele del lavoratore.
2.7 Il contratto di franchising
E’ un contratto nato nella prassi per rispondere all’esigenza degli imprenditori di poter
commercializzare in maniera capillare determinati prodotti. Prima c’era una piccola disciplina in
regolamenti comunitari, poi in codici deontologici.
Su questa scia comunitaria o della prassi, il legislatore comunitario nel 2004 ha dato origine alla
legge 129/2004.
Il legislatore intervenne e predispose una tutela per gli imprenditori in franchising. Una cosa è la
casa madre, potente, altra i piccoli distributori che si trovano in condizioni di disagio economico e
giuridico che li rende più deboli.
Art. 1.
(Definizioni)
1. L’affiliazione commerciale (franchising) è il contratto, comunque denominato, fra due soggetti giuridici,
economicamente e giuridicamente indipendenti, in base al quale una parte concede la disponibilità all’altra,
verso corrispettivo, di un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale relativi a marchi,
denominazioni commerciali, insegne, modelli di utilità, disegni, diritti di autore, know-how, brevetti,
assistenza o consulenza tecnica e commerciale, inserendo l’affiliato in un sistema costituito da una pluralità
di affiliati distribuiti sul territorio, allo scopo di commercializzare determinati beni o servizi.
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2. Il contratto di affiliazione commerciale può essere utilizzato in ogni settore di attività economica.
3. Nel contratto di affiliazione commerciale si intende:
a) per know-how, un patrimonio di conoscenze pratiche non brevettate derivanti da esperienze e da
prove eseguite dall’affiliante, patrimonio che è segreto, sostanziale ed individuato; per segreto, che il knowhow, considerato come complesso di nozioni o nella precisa configurazione e composizione dei suoi
elementi, non è generalmente noto né facilmente accessibile; per sostanziale, che il know-how comprende
conoscenze indispensabili all’affiliato per l’uso, per la vendita, la rivendita, la gestione o l’organizzazione dei
beni o servizi contrattuali; per individuato, che il know-how deve essere descritto in modo sufficientemente
esauriente, tale da consentire di verificare se risponde ai criteri di segretezza e di sostanzialità;
b) per diritto di ingresso, una cifra fissa, rapportata anche al valore economico e alla capacità di sviluppo
della rete, che l’affiliato versa al momento della stipula del contratto di affiliazione commerciale;
c) per royalties, una percentuale che l’affiliante richiede all’affiliato commisurata al giro d’affari del
medesimo o in quota fissa, da versarsi anche in quote fisse periodiche;
d) per beni dell’affiliante, i beni prodotti dall’affiliante o secondo le sue istruzioni e contrassegnati dal
nome dell’affiliante.
Nozione
L’affiliazione commerciale è il contratto comunque denominato fra due soggetti giuridici
economicamente e giuridicamente indipendente in base al quale una parte concede all’altra di
un insieme di diritti, inserendo l’affitto in un sistema costituito in una pluralità di soggetti
affiliati.
E’ un contratto fra due imprese che devono trovarsi in una condizione di indipendenza economica e
giuridica. L’uno, la casa madre, affiliante, si obbliga a concedere all’altra la disponibilità del
package (diritti di proprietà industriale, Know how, prodotti, assistenza, ecc.) e ad inserirlo in una
rete di affiliati.
La contro parte si obbliga a pagare un diritto di ingresso (un corrispettivo per il fatto d’essere
immesso in questa rete) e talvolta anche delle royalties, cioè dei corrispettivi per continuare questo
rapporto (proporzionali, un fisso, ecc.).
Quello che è fondamentale per comprendere il franchising è che ci sia una rete (1), non un singolo
distributore, e che questa sia funzionale ad una distribuzione capillare di un certo prodotto o
servizio e che ci sia il package (2), ovvero che l’affiliato sia messo in condizioni di operare
mediante l’utilizzo di determinate conoscenze, segni distintivi, di agire come tutti gli altri, secondo
quello che avrebbe fatto l’affiliante.
Art. 2
(Ambito di applicazione della legge)
1. Le disposizioni relative al contratto di affiliazione commerciale, come definito all’articolo 1, si
applicano anche al contratto di affiliazione commerciale principale con il quale un’impresa concede all’altra,
giuridicamente ed economicamente indipendente dalla prima, dietro corrispettivo, diretto o indiretto, il diritto
di sfruttare un’affiliazione commerciale allo scopo di stipulare accordi di affiliazione commerciale con terzi,
nonché al contratto con il quale l’affiliato, in un’area di sua disponibilità, allestisce uno spazio dedicato
esclusivamente allo svolgimento dell’attività commerciale di cui al comma 1 dell’articolo 1.
Tipi di
franchasing
Il distributore viene inserito in una rete allo scopo di commercializzare determinati beni o servizi.
Affinché vengano commercializzati questi beni, essi dovranno essere trasferiti all’affiliante:
1) franchasing di distribuzione: quando l’affiliato si obbliga a commercializzare beni: tutti
hanno la stessa insegna, sono fatti uguali, hanno le stesse regole di commercializzazione,
ecc. La formula commerciale è costruita a monte e l’affiliato è un esecutore materiale del
programma economico: è un vantaggio affiliato.
2) franchising di servizi: in questo caso non si commercializzano beni, ma prestazioni
(Tecnocasa). L’affiliato potrà avere consulenza, know how, notorietà del marchio, ecc.
3) il franchising di produzione: elaborato nella prassi prima del 2006; l’affiliato si obbliga a
produrre dei beni secondo il disciplinare dato dall’affiliante. Ad esempio, McDonald’s. Non
commercializzano beni già fatti, ma devono produrseli secondo determinate direttive. Questo
franchising, in cui oltre a commercializzare, produce, rientra o meno nella disciplina della
legge 129? Perchè la legge parla di “commercializzazione di beni o servizi”. Se non rientra
non si applica questa legga o non la si applica in via indiretta.
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Masterfranchasing
Cornerfranchasing
Figure particolari di franchising
Quelli distinti fin ora erano franchising diversi sotto il profilo oggettivo. Quelle che seguono hanno
ad oggetto un diverso profilo ex art. 2 della legge 129.
Questa legge si applica anche al contratto di affiliazione principale con il quale un’impresa affida
ad un’altra il diritto a stipulare accordi di franchising (affiliazione commerciale) con terzi: è il
mater-franchising. E’ un contratto di franchising che ha ad oggetto la stipulazione di subcontratti.
E’ il caso in cui la posizione dell’affiliato è quella di un soggetto che assume l’obbligo di stipulare
altri contratti di franchising, come un intermediario, e potrà creare una sub-rete.
Oppure il corner-franchising: tipo Rinascente, ci sono degli “angoli” con marche specifiche. Pur
non avendo ad oggetto solo quei prodotti e quelle formule, in un ambiente di un più ampio
contratto commerciale si realizza un franchising. E’ il contratto con il quale l’affiliante nelle sue
disponibilità allestisce uno spazio destinato allo svolgimento dell’attività commerciale in
franchising.
La funzione
Categoria dei contratti d’impresa - Ci sono dei contratti che realizzano una distribuzione la cui
funzione sociale è rappresentata dalla possibilità per l’affiliante di realizzare una struttura
commerciale che appaia unitaria sul mercato al punto che i consumatori possano credere d’avere a
che fare con l’affiliante. Il vantaggio per l’affiliane è godere della fiducia del marchio viene
contagiata all’affiliato. Sotto questo profilo, la rete unitaria crea un vantaggio sia per l’affiliato, ma
anche per l’affiliante che potrà gestire la commercializzazione come lo ritiene più opportuno.
Con il franchising c’è pure una ripartizione del rischio: in caso di merce invenduta è a carico del
distributore.L’altro riesce a sfruttare una formula commerciale nota con grosso vantaggio.
Natura giuridica
Il franchasing è un contratto sinallagmatico, oneroso, di durata, concluso per adesione. C’è una
parte più porte dell’altra. Attenzione all’art. 1341 contratti predisposti unilateralmente in serie
richiedono accorgimenti per produrre pienamente i suoi effetti.
La legge 129 tutela per l’affiliato, ma allo stesso tempo non voleva imbrigliare in schemi rigidi il
contratto, preferendo che si modulasse sulle esigenze del mercato.
Così ha costruito una disciplina che fornisse una tutela generica, tenendo ferma la liberà delle parti.
Sono poche le norme imperativo che hanno a che fare con problemi di tipo formale o precontrattuale; per esempio, l’obbligo di una certa forma scritta, la conciliazione, che debba essere
data copia all’affiliato: la tutela è formale e blanda. L’affiliato non riesce comunque a contrattare.
Poi tanto è poco incisiva che ci si è chiesti se ci troviamo di fonte a un contratto tipico o nominato?
Cioè queste poche norme, ci si è chiesto se basti per tipizzare il contratto. Forse il problema della
disciplina rimane aperto.
Art. 4.
(Obblighi dell’affiliante)
1. Almeno trenta giorni prima della sottoscrizione di un contratto di affiliazione commerciale l’affiliante
deve consegnare all’aspirante affiliato copia completa del contratto da sottoscrivere, corredato dei seguenti
allegati, ad eccezione di quelli per i quali sussistano obiettive e specifiche esigenze di riservatezza, che
comunque dovranno essere citati nel contratto:
a) principali dati relativi all’affiliante, tra cui ragione e capitale sociale e, previa richiesta dell’aspirante
affiliato, copia del suo bilancio degli ultimi tre anni o dalla data di inizio della sua attività, qualora esso sia
avvenuto da meno di tre anni;
b) l’indicazione dei marchi utilizzati nel sistema, con gli estremi della relativa registrazione o del deposito, o
della licenza concessa all’affiliante dal terzo, che abbia eventualmente la proprietà degli stessi, o la
documentazione comprovante l’uso concreto del marchio;
c) una sintetica illustrazione degli elementi caratterizzanti l’attività oggetto dell’affiliazione commerciale;
d) una lista degli affiliati al momento operanti nel sistema e dei punti vendita diretti dell’affiliante;
e) l’indicazione della variazione, anno per anno, del numero degli affiliati con relativa ubicazione
http://www.camera.it/parlam/leggi/04129l.htm Pagina 2 di 4L 129/2004 26/11/10 18.02
negli ultimi tre anni o dalla data di inizio dell’attività dell’affiliante, qualora esso sia avvenuto da meno di tre
anni;
f) la descrizione sintetica degli eventuali procedimenti giudiziari o arbitrali, promossi nei confronti
dell’affiliante e che si siano conclusi negli ultimi tre anni, relativamente al sistema di affiliazione
commerciale in esame, sia da affiliati sia da terzi privati o da pubbliche autorità, nel rispetto delle vigenti
norme sulla privacy.
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2. Negli allegati di cui alle lettere d), e) ed f) del comma 1 l’affiliante può limitarsi a fornire le informazioni
relative alle attività svolte in Italia. Con decreto del Ministro delle attività produttive, da emanare entro
novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono definite le informazioni che, in
relazione a quanto previsto dalla predette lettere d), e) ed f), dovranno essere fornite dagli affilianti che in
precedenza abbiano operato esclusivamente all’estero.
Obblighi per
l’affiliante
Contenuto
minimo del
contratto
Non concessione
del termine di
riflessione
Gli obblighi che discendono dal contratto di franchising.
Almeno 30 giorni prima della sottoscrizione del contratto di franchaising, l’affiliante dovrà
consegnare all’aspirante affiliato copia completa del contratto da sottoscrivere.
In modo che l’aspirante affiliato avrà modo di controllare che il contratto sia conforme alle sue
aspettative.
Nel contratto dovranno essere indicati alcuni elementi: cioè tutti quelli che sono i punti essenziali
del contratto che si andrà a concludere.
Si potrà anche implementare il contenuto da un minimo previsto dalla legge.
Quali sono gli elementi che vanno indicati dalla bozza di contratto:
Riguardo a questo arrichimento, la dottrina si è chiesta se il periodo di 30 giorni è sufficiente anche
per tutte le altre pattuizioni disposte dall’autonomia contrattuale. Le tesi sono le più varie:
- solo quelle essenziali, indicate dalla legge: tutti e solo gli elementi necessari, se li indichi, poi
puoi cambiarli, altrimenti no.
- tutti quelle generali: altri invece ritengono che questo obbligo abbraccierebbe tutto il contratto,
inteso come le condizioni generali ovvero tutte quelle che normalmente l’affiliante è solito
inserire nel contratto di franchising. Questa seconda tesi ha lo scopo di contemperare le esigenze.
Non si richiede che tutte le clausole stipulate siano inserite nella bozza. Tra la consegna,
l’informazione si contempera con la possibilità delle parti di modificare in sede di stipula le
condizioni, ed è per questo che nessuno dice che la bozza deve essere identica a tutte le
condizioni che si stipuleranno al momento della stipulazione.
L’affiliato deve avere la possibilità di studiare il contratto per valutarne la convenenza.
Cosa succede se il termine di riflessione non viene concesso?
Se questo periodo di riflessione non viene rispettato, e l’affiliante sia inadempiente a questo
obbligo ex art. 4. La conseguenza, ci sono varie posizioni:
1) secondo una prima tesi, il mancato rispetto dell’obbligo di concedere il termine di riflessione
darebbe luogo a responsabilità pre-contrattuale, quindi la conseguenza sarebbe
obbligatoria e in particolare l’obbligo di risarcire il danno;
2) un’altra soluzione proposta, di maggior tutela per l’affiliato che dice che “se questi 30 giorni
non vengono dati prima del contratto, si sposteranno dopo il contratto e si sposteranno a valle
dopo il periodo di riflessione”; significherà che durante questo periodo di riflessione post
stipula, l’affiliato potrà recedere. Se si accetta l’idea che, accettato il contratto, ci sia un
periodo di riflessione: sarà si vincolato, ma potrà svincolarsi con il recesso ad nutum.
Art. 5.
(Obblighi dell’affiliato)
1. L’affiliato non può trasferire la sede, qualora sia indicata nel contratto, senza il preventivo consenso
dell’affiliante, se non per causa di forza maggiore.
2. L’affiliato si impegna ad osservare e a far osservare ai propri collaboratori e dipendenti, anche dopo lo
scioglimento del contratto, la massima riservatezza in ordine al contenuto dell’attività oggetto
dell’affiliazione commerciale.
Obblighi
dell’affiliato
Sono obblighi che si aggiungono al pagamento del canone. Sono obblighi specifici previsti dalla
legge.
L’affiliato non può trasferire la sede, quando la sede è indicata dal contratto, senza il consenso
dell’affiliante. Di regola se la sede è indicata nel contratto, potrà spostarla solo con il consenso
dell’affiliante, oppure per forza maggiore.
Quindi è necessario:
- il consenso;
- la forza maggiore.
Se l’affiliato cambia la sede senza il consenso o fuori dai casi di forza maggiore, allora è
inadempiente rispetto all’obbligo legale dell’art. 5. L’affiliante potrà richiedere il risarcimento del
danno ed eventualmente potrà chiedere anche la risoluzione.
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Il fatto che la sanzione sia quella del risarcimento del danno significa che, nei fatti, questo divieto
di cambiare la sede non sia un divieto assoluto perché nel caso in cui il cambiamento di sede non
produca alcun danno, di fatto il trasferimento diviene privo di conseguenze.
In alcuni casi, se i cambiamento della sede porterà benefici, il comportamento illecito verrà
neutralizzato: esso è subordinato al prodursi di un danno. Se non si produce alcun danno l’affiliante
non avrà nulla da lamentare.
Eccezioni al
divieto di
trasferimento
della sede
In tal caso il divieto subisce tre eccezioni:
1) forza maggiore;
2) le parti si accordano diversamente o non indicano la sede nel contratto;
3) non c’è danno dal cambiamento della sede per l’affiliato.
Segreto
Secondo obbligo in capo all’affiliato è il segreto.
L’affiliato si impegna a tenere la massima riservatezza. Ovviamente il segreto riguarda ciò che non
è di pubblico dominio: non tutti i segreti di produzione o le tecniche di commercializzazione, ma
quelle non considerate di pubblico dominio.
Se invece ci sono, l’affiliato è obbligato a preservarne la segretezza anche dopo.
Se viene violato tale obbligo, la sanzione è la responsabilità contrattuale ex art. 1218, alla quale
si può aggiungere anche la responsabilità per concorrenza sleale.
Art. 6.
(Obblighi precontrattuali di comportamento)
1. L’affiliante deve tenere, in qualsiasi momento, nei confronti dell’aspirante affiliato, un comportamento
ispirato a lealtà, correttezza e buona fede e deve tempestivamente fornire, all’aspirante affiliato, ogni dato e
informazione che lo stesso ritenga necessari o utili ai fini della stipulazione del contratto di affiliazione
commerciale, a meno che non si tratti di informazioni oggettivamente riservate o la cui divulgazione
costituirebbe violazione di diritti di terzi.
2. L’affiliante deve motivare all’aspirante affiliato l’eventuale mancata comunicazione delle informazioni e
dei dati dallo stesso richiesti.
3. L’aspirante affiliato deve tenere in qualsiasi momento, nei confronti dell’affiliante, un comportamento
improntato a lealtà, correttezza e buona fede e deve fornire, tempestivamente ed in modo esatto e completo,
all’affiliante ogni informazione e dato la cui conoscenza risulti necessaria o opportuna ai fini della
stipulazione del contratto di affiliazione commerciale, anche se non espressamente richiesti dall’affiliante.
Altri obblighi
Altri obblighi previsti dall’art. 6, pre contrattuali
In realtà non sono solo obblighi pre-contrattuali, ma sono clausole generali che si proiettano anche
durante la vita del rapporto.
L’affiliante deve tenere un comportamento di buona fede.
Parla della durata del rapporto. Qualora il contratto sia a tempo indeterminato, l’affiliante dovrà
comunque indicare all’affiliato una durata minima, determinata in base ad un criterio funzionale e
in parte statico:
- quella sufficiente all’ammortamento dell’investimento e, comunque non inferiore ai tre anni.
- se tre anni sono sufficienti, allora tre anni diventerà il tempo minimo.
Nel determinare la durate, le parti non godono della libertà assoluta, perché la durata indeterminata
o determinata deve rispettare il criterio di recupero dell’investimento. Non potranno pattuire una
durata inferiore a questo termine o comunque una soglia minima stabilita in via inderogabile di tre
anni.
La durata potrà essere stabilita in ampiezza, ma in caso di determinazione del tempo indeterminato,
il legislatore si preoccupa di garantire una certa continuità.
Se la durata è inferiore o non è prevista, quanto durerà questo rapporto?
- Secondo alcuni, se non è previsto un termine di contrario al principio di cui sopra, la clausola
indicata è considerata nulla, e sostituita di diritto con la durata triennale ovvero con la durata
adeguata stabilita dal giudice.
- con riguardo alla mancata previsione di un termine: potrebbe anche essere che le parti non hanno
previsto alcun termine, perché volevano il tempo indeterminato: allora, mettere ex lege un tempo
di tre anni, potrebbe essere contrario alla volontà delle parti (occorrerà indagare): allora più che
alla sostituzione automatica della clausola, il contratto è da determinarsi a tempo indeterminato
(senza indicazione della durata). Allora la particolarità è il recesso con giusta causa. Il periodo
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di salvaguardia rimarrà comunque di tre anni: non si potrà recedere prima dei tre anni o del
tempo necessario per recuperare l’investimento.
Quando invece il contratto è già concluso.
Art. 3.
(Forma e contenuto del contratto)
1. Il contratto di affiliazione commerciale deve essere redatto per iscritto a pena di nullità.
2. Per la costituzione di una rete di affiliazione commerciale l’affiliante deve aver sperimentato sul mercato la
propria formula commerciale.
3. Qualora il contratto sia a tempo determinato, l’affiliante dovrà comunque garantire all’affiliato una durata
minima sufficiente all’ammortamento dell’investimento e comunque non inferiore a tre anni. È fatta salva
l’ipotesi di risoluzione anticipata per inadempienza di una delle parti.
4. Il contratto deve inoltre espressamente indicare:
a) l’ammontare degli investimenti e delle eventuali spese di ingresso che l’affiliato deve sostenere prima
dell’inizio dell’attività;
b) le modalità di calcolo e di pagamento delle royalties, e l’eventuale indicazione di un incasso minimo da
realizzare da parte dell’affiliato;
c) l’ambito di eventuale esclusiva territoriale sia in relazione ad altri affiliati, sia in relazione a canali ed unità
di vendita direttamente gestiti dall’affiliante;
d) la specifica del know-how fornito dall’affiliante all’affiliato;
e) le eventuali modalità di riconoscimento dell’apporto di know-how da parte dell’affiliato;
f) le caratteristiche dei servizi offerti dall’affiliante in termini di assistenza tecnica e commerciale,
progettazione ed allestimento, formazione;
g) le condizioni di rinnovo, risoluzione o eventuale cessione del contratto stesso.
Forma del
contratto
Il contratto essere redatto per iscritto a pena di nullità, quindi forma scritta ad substanziam.
Anche qui la domanda che ci si posti è: la forma ad substantiam deve abbracciare tutte le clausole
individuali, oppure è sufficiente che interessi gli elementi caratterizzanti ed essenziali?
Questo è un problema che riguarda i vincoli di forma in generale. Due tesi:
- c’è chi dice tutte le clausole;
- c’è chi invoca il principio di libertà delle forme e la forma va limitata al nucleo essenziale di
clausole: quindi solo gli elementi caratterizzanti. Ma quali sono gli elementi caratterizzanti?
Diritto d’ingresso o royalties? Formula commerciali? E Forse si. Ma condizioni di rinnovo o
cessione del contratto? Anche.
Nessuna di queste strade ci convince più di un altra perché ognuna ha qualche elemento di
arbitrarietà e il problema resta aperto. Una soluzione non c’è, la giurisprudenza deve ancora
pronunciarsi.
Qual’è la domanda che ci poniamo? Il requisito di forma si riferisce a tutto il contratto o a una
parte? E se a solo una parte qual’è? Quali sono quelle essenziali?
La domanda che si è posti: quali sono le sanzioni? La nullità del contratto. E’ in discussione se
questa sia una nullità assoluta o relativa (concetto nato nei contratti con il consumatore, può essere
fatta valere non da chiunque, in deroga, la legge attribuisce il potere di far valere la nullità del
rapporto solo ad alcune parti, ovvero la parte debole). Secondo alcuni la nullità relativa è a sua
protezione, se non aveva capito certi elementi del contratto, potrà farli dichiarare nulli. La stessa
possibilità non ce l’ha l’affiliante. Questa però è una ricostruzione della dottrina.
Solo un discorso che va a fondo con l’atteggiarsi del contratto, per la dottrina c’è un’interpretazione
diversa della norma.
Nei contratti del consumatore, invece, la legge prevede la nullità relativa in favore del
consumatore, in questo caso no.
L’art. 7 non ci interessa.
25
Art. 8.
(Annullamento del contratto)
1. Se una parte ha fornito false informazioni, l’altra parte può chiedere l’annullamento del contratto ai sensi
dell’articolo 1439 del codice civile nonché il risarcimento del danno, se dovuto.
L’art. 8 prevede l’annullamento del contratto e la possibilità di chiedere il risarcimento del danno,
quando una parte ha fornito ad un altra false informazioni.
La durata è una buona protezione, oppure l’annullamento nel caso di falsità di informazioni rese,
sono tutele forti. Altri profili, invece, come la forma e la buona fede sono esili, sono più delle tutele
di tipo formale che sostanziale. Il legislatore doveva evitare che questi fattori fossero oggetto di
contrattazione privata. Tale rapidità nel disciplinare questa fattispecie, pecca su due profili:
- non crea una tutela forte;
- crea incertezza.
Figure affini
Figure affini al contratto di franchasing:
- concessione di vendita: contratto atipico con il quale un soggetto si obbliga ad acquistare e
commercializzare prodotti. L’elemento comune è che entrambi acquistano i beni per rivenderli.
Spesso alla concessione di vendita si associa il marchio, ecc. Altri profili sono diversi: il fatto che
il franchasing dovrebbe essere possibile anche di produzione, mentre la concessione di vendita ha
a che fare solo con la vendita di prodotti. Una seconda distinzione si potrebbe cogliere sotto il
profilo patrimoniale perché il concessionario di vendita normalmente non è tenuto a pagare
alcunché, ma normalmente è tenuto a pagare un quantitativo di merci, ma non ha la royalties da
corrispondere. Una prima distinzione quindi riguarda l’oggetto del contratto, la seconda l’assenza
di royalties.
- concessione di licenze: i segni distintivi o le licenze possono essere cedute. Nel franchising
senz’altro tale possibilità c’è, ma non solo questo. C’è ben di più. L’affiliato entra in una rete di
distribuzione e non gli viene assegnato un diritto fine a se stesso. Non c’è solo la concessione dei
diritti, è tale è strumentale alla costruzione di una rete! D’altra parte occorre anche dire che nel
caso del franchising si può trasferire anche un know how, che non è solo una licenza, ma pure una
conoscenza non brevettata. Anche la concessione di licenze. Spesso c’è anche la concessione in
uso di licenze diverse, che tuttavia sono sempre destinate alla creazione della rete. Nel franchising
c’è qualcosa in più.
- la commissione e l’agenzia: in entrambi i casi, la distinzione attiene al fatto che, mentre nel
franchising di commercializzare c’è un doppio passaggio, dall’affiliante all’affiliato e
dall’affiliato al consumatore finale. Nel caso dell’agenzia, il trasferimento al consumatore finale
avviene senza passaggi intermedi. L’agente agisce come intermediario giuridico, non acquista i
beni!
26
Capitolo III
I CONTRATTI DI PROMOZIONE
Introduzione
Art. 1703- 1730. Fino a questo momento abbiamo parlato dei contratti che realizzano la
distribuzione dei prodotti attraverso un doppio passaggio. Ora invece ci occupiamo di una serie di
contratti che realizzano l’effetto della distribuzione in maniera diretta. Dal fornitore al consumatore
finale. Questi contratti cioè hanno per oggetto la promozione, ovvero la conclusione diretta di un
affare che però è concluso nell’interesse non di chi lo promuove ma di un altro soggetto, detto il
fornitore o produttore.
L’affare non sarà concluso fra lui e il destinatario finale, ma fra il produttore e il consumatore
finale. L’intermediazione può essere svolta per un singolo affare o per una serie infinita di affari.
C’è un soggetto che si inserisce di terzietà ma senza divenite destinatario degli effetti giuridici del
contratto. Si mette in una posizione di ausiliario gestorio.
Mentre quando c’è una serie ampia di contratti, anche chi svolge l’attività di intermediazione sarà
un imprenditore. Per un singolo atto l’intermediario non è imprenditore.
Questo perché c’è un organizzazione di mezzi che permette di svolgere un’attività commerciale.
Questo gruppo di contratti è formato essenzialmente dal contratto di mandato, dal contratto di
commissione, di agenzia e di mediazione.
3.1 Il mandato
Art. 1703.
Nozione.
1. Il mandato è il contratto col quale una parte si obbliga a compiere uno o più atti giuridici per conto
dell'altra.
Nozione
Il mandato è un contratto consensuale ad effetti obbligatori, che si perfeziona con lo scambio di
consensi ma che produce effetti di natura obbligatoria. Questi obblighi si identificano in modo
essenziale con l’obbligo per il mandatario di compiere uno o più atti giudici nell’interesse del
mandante.
Lo scopo è realizzare una sostituzione giuridica. Il mandante si avvale di una terza persona e per
stipulare i suoi contratti.
Nome proprio, ma interesse altrui: questa definizione si riferisce al mandato senza rappresentanza.
Il mandato può essere con o senza rappresentanza.
Art. 1704.
Mandato con rappresentanza.
Se al mandatario è stato conferito il potere di agire in nome del mandante, si applicano anche le norme del
capo VI del titolo II di questo libro.
Il mandato con
rappresentanza
All’art. 1704 si parla del mandato con rappresentanza.
Se al mandatario è stato conferito il potere di agire in nome del mandante si applicano anche le
norme sulla procura.
La differenza sul piano degli effetti
Nel mandato senza rappresentanza si agisce in nome proprio, con la rappresentanza si agisce in
nome altrui, del mandante. Invece per conto è sempre. Ma sul piano degli effetti giuridici il fatto di
spendere il nome che effetti produce?
“mandato con rappresentanza” significa che il mandatario agirà in nome e per conto del mandante.
“senza rappresentanza”, agirà in nome proprio ma nell’interesse altrui.
Da un punto di vista giuridico la distinzione si riflette sugli effetti del contratto così concluso e, in
particolare, se il contratto è concluso con rappresentanza, ciò significa che gli effetti del contratto
saranno imputati in capo al mandante.
Quando si dice “per conto” allora la proprietà è già passata direttamente in capo al mandante. Cioè
il mandatario, avendo speso il nome, gli effetti giuridici produrranno in capo al mandante.
27
Se invece il mandato è, senza rappresentanza, e conclude un contratto in nome proprio, in quel
caso, la proprietà sarà in capo al mandatario, il quale dovrà ritrasferirla al mandante.
Quando c’è spendita del nome, l’interposizione del terzo è materiale, ma gli effetti sono gli stessi
che se fosse stato il mandante stesso a concludere il contratto. Viceversa quando è senza
rappresentanza e non c’è spendita del nome il fatto che si agisce nell’interesse altrui obbliga a
trasferire le posizioni.
Ma parte sostanziale e giuridica si identificano: è sempre il mandatario: è lui che conclude il
contratto. Gli effetti saranno in capo a lui.
C’è da aggiungere una cosa: dire mandato con rappresentanza o senza rappresentanza non
individua due tipi di mandato, ma la possibilità che a un contratto di mandato si associ un negozio
di procura! Con rappresentanza è mandato più procura; mentre senza rappresentanza è senza
procura.
Il senso è: mentre il mandato è un contratto con il quale il mandato si obbliga a concludere per
conto del mandante uno o più negozi giuridici.
Al quale mandato, si può aggiunge una procura ovvero la procura è un negozio unilaterale con il
quale si conferisce il potere di spendere il nome del dominus ovvero del rappresentato.
Quando c’è questa fusione fra più negozi, avremo un mandato con rappresentanza, ed è quel
mandato che obbliga a compiere atti giuridici per conto altrui, ma che dà il potere di spendere il
nome altrui, realizzandosi gli effetti di cui sopra, ovvero che il contratto è come se fosse stato
concluso direttamente dal mandante.
Art. 1705.
Mandato senza rappresentanza.
Il mandatario che agisce in proprio nome acquista i diritti e assume gli obblighi derivanti dagli atti compiuti
con i terzi, anche se questi hanno avuto conoscenza del mandato.
I terzi non hanno alcun rapporto col mandante. Tuttavia il mandante, sostituendosi al mandatario, può
esercitare i diritti di credito derivanti dall'esecuzione del mandato, salvo che ciò possa pregiudicare i diritti
attribuiti al mandatario dalle disposizioni degli articoli che seguono.
Mandato senza
rappresentaza
Il mandatario che agisce in proprio nome acquista i diritti e assume gli obblighi derivanti con i
terzi: non spende il nome altrui e quindi tutti gli effetti ricadono a lui!
I terzi non hanno rapporti con il mandante: tuttavia il mandatario può esercitare i diritti di prezzo,
essendo rappresentante del mandante. Se però il mandante lo ritiene può sostituirsi nell’esercitare il
diritto di credito: questa norma falsa il discorso appena fatto. Perché il mandante può ingerirsi
nell’esercizio dei diritti di credito?
Questa norma ha dei profili di anomalia, rispetto alla regola enunciata sopra. Per riportare la
questione in armonia la dottrina ha cercato di interpretare la norma in questo modo: non é che il
diritto di credito ricade in capo al mandante, ma dice “sostituendosi al mandatario”: quindi il
diritto discredito a rigore rendita in caso al mandatario, a il mandatario con azione surrogatoria
può ingerirsi nell’esercizio del credito, per un diritto che rimane in capo ad altri.
Però questa idea subisce un altro colpo dall’art. 1706.
Art. 1706.
Acquisti del mandatario.
Il mandante può rivendicare le cose mobili acquistate per suo conto dal mandatario che ha agito in nome
proprio, salvi i diritti acquistati dai terzi per effetto del possesso di buona fede.
Se le cose acquistate dal mandatario sono beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri, il
mandatario è obbligato a ritrasferirle al mandante. In caso d'inadempimento, si osservano le norme relative
all'esecuzione dell'obbligo di contrarre.
Azione di
rivendica
Se l’oggetto non è un credito ma una cosa mobile, allora il mandante può rivendicarla. La rivendica
però è un’azione che spetta al proprietario. Allora perché il legislatore dà un’azione di matrice
proprietaria a chi non è titolare?
Trasferimento diretto
Terzo-mandante (diretto). Se abbiamo diritti reali su beni immobili, il diritto viene acquistato
direttamente in capo al mandate ed è per quello che ha l’azione petitoria, perché lo è divenuto
secondo il contratto stesso.
28
Seconda tesi che cerca di salvaguardare il principio generale del codice è quella del doppio
trasferimento.
in tal caso il soggetto non diviene proprietario per effetto del contratto del mandatario, ma si
verificherebbe un doppio trasferimento del contratto: (Terzo-mandatario/mandatario- mandante).
Il diritto automaticamente ed ex lege subirebbe un secondo trasferimento in capo al mandante.
Quando il mandatario acquisisce un diritto reale su un bene mobile, automaticamente si trasferisce
al mandante.
In ogni caso è la legge che dice che il mandante può rivendicare.
Per beni immobili, o beni mobili registrati non sussistono deroghe al principio sancito dall’art. X.
Per far acquistare la proprietà in capo al mandante si dovrà curare un atto di trasferimento
successivo rispetto all’acquisto da lui compiuto. Non ci sarà un solo negozio: acquisto del
mandatario e del mandante. Ci sarà una sequenza di negozi. Il mandatario è obbligato a compiere
un distinto atto di trasferimento.
Forma del
contratto
Il mandato è un contratto a forma libera, quindi qualsiasi forma può essere impiegata.
Questo perché nessuna norma del codice richiede una forma particolare e nel codice vige il
principio di libertà delle forme.
Al di là di questa regola, la dottrina ha integrata quest’ultima norma con un altra regola in materia
di beni immobili o mobili registrati. Quando il mandato ha ad oggetto beni immobili o mobili
registrati o contratti che trasferiscono diritti reali su beni immobili o mobili registrati, in questo
caso il mandato deve avere forma scritta.
Questa seconda regola secondo cui, il mandato sarebbe un contratto formale (richiede la forma
scritta) sarebbe stata ricavata ex art. 1350-1351.
Art. 1351.
Contratto preliminare.
1. Il contratto preliminare è nullo, se non è fatto nella stessa forma che la legge prescrive per il contratto
definitivo.
Mancato in
presenza di
contratto
preliminare
L’art. 1351 rappresenta il punto di partenza di questa teoria, dominante in giurisprudenza, e dice
che il contratto preliminare di contratti formali va in forma scritta: siccome la norma ogni volta
che il mandatario che acquista beni immobili o mobili registrati è obbligato a ri-trasferire i beni che
ha acquistato, ciò significa che il mandato crea in capo a lui (il mandatario) l’obbligo di eseguire il
ritrasferimento dei diritti immobiliari acquisiti e siccome il trasferimento deve essere fatto in forma
scritta, anche in mandato nei sensi dell’art. 1351 sarà da fare in forma scritta.
Giocando su questo parallelismo, la giurisprudenza sostiene che anche il mandato è sottoposto al
requisito di forma dell’art. 1351, cioè dovrà essere fatto nella stessa forma richiesta per il ritrasferimento, detta anche in forma scritto.
In definitiva, il contratto di mandato è a forma libera, tuttavia quando il mandato ha ad oggetto beni
immobili o mobili registrati allora sarà necessaria ad substanziam la forma scritta.
No obblighi del mandante o del mandatario.
Art. 1709.
Presunzione di onerosità.
Il mandato si presume oneroso. La misura del compenso, se non è stabilita dalle parti, è
determinata in base alle tariffe professionali o agli usi; in mancanza è determinata dal giudice.
Onerosità del
contratto
L’art. 1709 parla della presunzione di onerosità, cioè dice che il mandato si presume oneroso. Se
le parti non dicono nulla fra gli obblighi del mandante, oltre a quello di rimborso speso, si verserà
l’obbligo di attribuire un compenso al mandatario.
Ma le parti potrebbero dire “questo è un mandato gratuito”. Tra le obbligazioni del mandante ci
sarà quella di pagare il compenso, salvo garantire la gratuità del mandato.
29
Art. 1722.
Cause di estinzione.
1. Il mandato si estingue:
1) per la scadenza del termine o per il compimento, da parte del mandatario, dell'affare per il quale è stato
conferito;
2) per revoca da parte del mandante;
3) per rinunzia del mandatario;
4) per la morte, l'interdizione o l'inabilitazione del mandante o del mandatario. Tuttavia il mandato che ha per
oggetto il compimento di atti relativi all'esercizio di un'impresa non si estingue, se l'esercizio dell'impresa è
continuato, salvo il diritto di recesso delle parti o degli eredi.
Cause di
estinzione del
contratto di
mandato
Il mandato si estingue per:
- scadenza del termine;
- compimento da parte del mandatario dell’affare per il quale è stato conferito;
- morte del mandatario;
- rinunzia o per revoca, dove per revoca s’intende recesso del mandante, mentre la rinunzia il
recesso del mandatario.
Art. 1723.
Revocabilità del mandato.
1. Il mandante può revocare il mandato; ma, se era stata pattuita l'irrevocabilità, risponde dei danni, salvo che
ricorra una giusta causa.
2. Il mandato conferito anche nell'interesse del mandatario o di terzi non si estingue per revoca da parte del
mandante, salvo che sia diversamente stabilito o ricorra una giusta causa di revoca; non si estingue per la
morte o per la sopravvenuta incapacità del mandante.
Revoca del
mandato
La revoca è il punto più delicato. Una volta che il mandante ha conferito il mandato può revocare
l’incarico.
Tendenzialmente il mandato deve intendersi revocabile, salvo il pagamento delle spese, il mandate
può revocare il mandato conferito.
Questa regola può subire delle eccezioni, in particolare si distingue fra un:
- irrevocabilità pattizia: l’irrevocabilità è oggetto di una clausola contrattuale, ovvero le parti
convengono che quel mandato sia da considerare irrevocabile.
- irrevocabilità legale: quando è la legge a decidere che un certo mandato sia da considerare
irrevocabile. Sono i seguenti casi:
- il mandato che ha ad oggetto il compimento di atti relativi all’esercizio dell’impresa:
allora il mandato non si estinguerà per morte, per interdizione o tantomeno per revoca;
- mandato in rem propriam: conferito anche nell’interesse del mandatario. E’ il caso in cui
il mandato viene dato dal debitore al creditore affinché curi la vendita del bene e soddisfi
il credito sul ricavato.
In questo caso, l’irrevocabilità ha fonte legale. La differenza si coglie sul piano degli effetti della
revoca compiuta. Se il mandante revoca il mandato, mentre nell’irrevocabilità legale si determina
l’inefficacia della regola compiuta, la revoca che sia in violazione di un patto di irrevocabilità
(pattizio) sarà efficace ex art. 1723.
La sua violazione può portare al limite al risarcimento dei danni, mentre non produrrà alcun effetto
quando ci sarà giusta causa.
Invece, il mandatario potrà sempre rinunziare.
3.2 Il contratto di commissione
Art. 1731.
Nozione.
1. Il contratto di commissione è un mandato che ha per oggetto l'acquisto o la vendita di beni per conto del
committente e in nome del commissionario.
Nozione e
disciplina
E’ un mandato che ha per oggetto l’acquisto o la vendita di beni per conto del committente e in
nome del commissionario. La particolarità della commissione è avere un effetto specifico: acquisto
o vendita di beni.
•Altra caratteristica che lo contraddistingue è essere un mandato senza rappresentanza.
•E’ un mandato sempre oneroso. Non con presunzione di onerosità, ma con onerosità necessaria.
30
Commissione = comprare
Si applicano tutte le norme disciplinate per il mandato, in quanto compatibili con quelle dettate per
la commissione. Tendenzialmente la disciplina del contratto di commissione si ritrova all’interno
delle norme sul mandato.
In particolare, all’ultimo punto “patto dello Star del credere”. E’ un clausola che si ritroverà con
l’agenzia.
Art. 1736.
Star del credere.
1. Il commissionario che, in virtù di patto o di uso, è tenuto allo «star del credere» risponde nei confronti del
committente per l'esecuzione dell'affare. In tal caso ha diritto, oltre che alla provvigione, a un compenso o a
una maggiore provvigione, la quale, in mancanza di patto, si determina secondo gli usi del luogo in cui è
compiuto l'affare. In mancanza di usi, provvede il giudice secondo equità.
Star del credere
Il commissionario non è, in linea di massima, tenuto allo star del credere ovvero a garantire
l’adempimento della controparte e deve solo concludere l’affare. Poi se la controparte non esegue
il contratto, non risponde dell’inadempimento.
La norma dice che il commissionario non è tenuto all’adempimento, tuttavia è possibile che questa
garanzia sia convenuta in via pattizia, ovvero oggetto di obbligo espresso specificamente pattuito
dalle parti. In tal caso, al commissionario sarà dovuto un aumento di commissione.
Il mandante dovrà pagare un supplemento per questa ulteriore prestazione di garanzia.
Le parti potranno accordarsi sulla misura del supplemento, in mancanza, dagli usi o, ancora, dal
giudice secondo equità.
E’ possibile che il mandate non risponda?
Dovremo determinare la responsabilità extracontrattuale per chi ha cooperato nell’adempimento di
una prestazione.
star del credere = dare la parola
3.2. Il contratto di agenzia
Introduzione
Il commissionario è un mandatario senza rappresentanza, è incaricato di concludere determinati
contratti di vendita o di acquisto, e li concluderà in nome proprio perché è senza rappresentanza.
Nel contratto di agenzia, l’agente è incaricato di promuovere la conclusione di affari, nel contratto
di commissione è il commissionario stesso a concludere i contratti. A volte al contratto di agenzia,
si accompagna di stipulare i contratti, ma quando c’è questo potere, ecco che li la differenza è che:
il commissionario conclude sempre in nome proprio, mentre l’agente, quando munito del potere di
concludere contratti, dovrà avere una procura, e quindi concluderà i contratti in nome e per conto
del proponente.
L’agente di solito, comunque non conclude, ma procaccia contratti, e quando li conclude deve
avere una procura.
Anche quando le figure si avvicinano c’è sempre la spendita del nome.
Altra differenza riguarda:
- provvigione è un compenso fisso;
- l’agenzia è una percentuale del prezzo, del valore degli affari conclusi.
Questo contratto trova ampia regolamentazione anche in taluni provvedimenti comunitari ed anche
in contratti collettivi, oltre che in talune leggi speciali oltre che in un quadro normativo complesso.
Nozione.
Col contratto di agenzia una parte assume stabilmente l'incarico di promuovere, per conto dell'altra, verso
retribuzione, la conclusione di contratti in una zona determinata.
Il contratto deve essere provato per iscritto. Ciascuna parte ha diritto di ottenere dall'altra un documento della
stessa sottoscritto che riproduca il contenuto del contratto e delle clausole aggiuntive. Tale diritto è
irrinunciabile.
31
Nozione
Una parte, detta agente, assume stabilmente l’incarico di promuovere per conto dell’altra,
verso retribuzione la conclusione di contratti in una zona determinata.
Le parole chiave sono rappresentate da: stabilmente e dalle parole zona determinata.
Un primo dato su cui soffermarsi è l’obbligo di promuovere contratti. Il fatto che l’obbligo debba
essere stabile ci dice cose importanti sul contratto, in particolare ci dice che non ci sarà agenzia
quando l’agente incaricato di promuovere un affare, ma tutti i contratti per conto del proponente,
ossia di colui che gli ha conferito l’incarico.
Se l’agente è colui che si occupa di promuovere la stipulazione di negozi, ciò significa che l’agente
sarà lui stesso un’imprenditore per via della stabilità e dell’organizzazione ex art. 2082.
Cioè l’agente sarà un soggetto imprenditoriale che da una posizione di autonomia collabora con il
proponente promuovendo la stipulazione di contratti.
Procura
Tale contratto può arricchirsi con il rilascio di una procura. Normalmente l’agente ha solo l’onere
di promuovere contratti, ma è possibile che abbia anche il potere di concluderli da sé questi
contratti perché dispone di una procura: quando ha questo potere andrà a concludere negozi in
nome altrui: è l’agente con rappresentanza.
Tendenzialmente l’agente senza rappresentanza, la figura base, viene detto agente di commercio,
mentre quello con procura rappresentanza di commercio.
Tendenzialmente quando il contratto verrà concluso, l’agente non risponde dell’adempimento e
risponde solo se il contratto sia concluso: l’agente si disinteressa delle sorti del contratto e il diritto
di vedersi corrispondere la provvigione scatta a prescindere dall’esito del contratto. Egli ha diritto
alla provvigione per tutti gli affari promossi, quando l’azione si è conclusa per effetto del suo
intervento.
C’è un attenuante a questa regola che disciplina il profilo dell’esigibilità del credito.
Pur essendo il creditore, l’agente diventa creditore per il fatto che ha concluso il contratto, ma la
provvigione spetta all’agente dal momento che il proponente ha eseguito la prestazione.
Il credito non potrà essere riscosso prima del momento in cui il proponente ha eseguito la sua sua
prestazione ex art. 1748.
Il legislatore si preoccupa di vedere se e in che misura competa all’agente una provvigione nel
caso i contratti siano conclusi dopo la data di scioglimento dell’agenzia, che abbia concluso
direttamente il preponente.
Il legislatore si preoccupa di tutelare l’attività dell’agente.
Inquadramento
Se non ci sono due figure imprenditoriali nell’agenzia, siamo fuori dall’agenzia in cui l’agente ha
diritto ad un compenso fisso, che non risente della sua attività. In tal caso, c’è un lavoratore
subordinato il cui incarico è promuovere contratto: l’inquadramento non è agenzia (autonomo), ma
del lavoro subordinato.
Quando il compenso dell’agente non risente del rischio d’impresa, siamo più vicini allo schema
del lavoro subordinato.
I confini sono comunque più flebili, e saremmo fuori dall’agenzia, a che quando mancano le
direttive.
L’agente deve promuovere la conclusione dei contratti, ma non ha il potere di concluderli. Ha il
dovere di concluderli o può valutarli? E’ possibile che il preponente rifiuti la stipulazione dei
contratti e limiti i diritto di provvigione dell’agente?
Se il preponente, concluso il contratto, poi quest’ultimo viene risolto, ha diritto comunque alla
provvigione.
Si è dedotto che anche un rifiuto sistematico di concludere contratti che l’agente fosse riuscito a
promuovere darebbe comunque luogo al diritto alla provvigione.
Ciò non di meno bisogna riconoscere il diritto dell’agente di vedersi corrisposto la provvigione.
Potrà valutare nel merito le proposte. Tuttavia se un suo rifiuto divenisse pregiudizievole per
l’agente, non lo assolverebbe dall’obbligo di corrispondere la provvigione, che sarà comunque
dovuta.
32
Il Ruolo degli
agenti
Gli agenti sono tenuti ad iscriversi nel Ruolo degli agenti di commercio, istituito presso le Camere
di Commercio.
Qual’è la sorte di un contratto di agenzia con un agente non iscritto a ruolo ovvero di chi non ha
adempiuto di questo onere pubblicitario?
La tesi che si era diffusa era la nullità del contratto. Chi non si è iscritto a ruolo non può concludere
un contratto “agenzia” perché non è un agente.
Da questo presupposto per cui un contratto è nullo, ci si era posto il problema di salvaguardare il
diritto alla provvigione, ma anche riguardo a questa problematica successiva, la risposta era
negativa. L’agente iscritto a ruolo non merita alcuna provvigione, essendo il contratto nullo,
nessuna provvigione gli sarà dovuta.
L’iscrizione a ruolo è scelto come presupposto alla validità del contratto e il diritto alla
provvigione.
Tuttavia tali previsioni sono incompatibili con il diritto comunitario le norme nazionali che
limitano la possibilità di eseguire prestazioni lavorative subordinandole all’iscrizione dei ruoli
nazionali.
L’animo che spingeva la Corte di giustizia é: se un agente francese prende un contratto di agenzia
in Italia, non potrà essere iscritto anche al ruolo italiano e quindi queste nome limiterebbero la
libertà di circolazione delle attività d’impresa, dei professionisti nell’unico ambiente europeo. Fu
necessario rimuovere eventuali barriere.
In tal senso si è vista l’iscrizione a ruolo come una limitazione intollerabile rispetto ai principi
comunitari. In seguito a questo pronunciamento, la Corte di Giustizia ha chiesto di disapplicare
questi principi e, di conseguenza, oggi la prestazione di attività di agenzia non è più vincolata
all’iscrizione al ruolo e si deve intendere un’attività libera.
Indennità di
scioglimento del
rapporto
L’agente ha diritto anche ad un’indennità di scioglimento del rapporto ex art. 1751: all’atto di
cessazione del rapporto, il preponente è tenuto a corrispondere all’agente un’indennità. A quali
condizioni?
Che l’agente abbia procurato nuovi clienti o abbia sensibilmente sviluppato affari con i clienti
pregressi e il preponente riceva ancor avvantaggi da eventuali clienti: E’ necessario che la gestione
dell’agente conservi un’utilità futura per il preponente.
E’ stata così prevista un’indennità di scioglimento. Si dice che questa indennità svolge due
funzioni:
- compensare l’agente rispetto a quell’arricchimento cui beneficia il preponente quando gli effetti
della gestione superano gli effetti della durata del rapporto e si proiettano oltre;
- ristorare l’agente rispetto alla perdita che avrà per le provvigioni che non conseguirà;
Da un lato si riconosce il ruolo svolto ed è come se l’avesse prodotto esso stesso.
Questa indennità viene corrisposta da un’ente detto ENASARCO, che è l’ente che gestisce la
previdenza degli agenti di commercio.
Art. 1743.
Diritto di esclusiva.
Il preponente non può valersi contemporaneamente di più agenti nella stessa zona e per lo stesso ramo di
attività, né l'agente può assumere l'incarico di trattare nella stessa zona e per lo stesso ramo gli affari di più
imprese in concorrenza tra loro.
Esclusiva
Il preponente non può avvalersi di altri agenti nella stessa zona e dall’altra parte l’agente non può
assumere l’incarico di trattare nella stessa zona per conto di altre imprese concorrenti: si presume
che il contratto di agenzia preveda un’esclusiva bi-laterale. Il tutto è limitato a zona ed oggetto del
contratto di agenzia.
Nulla esclude però che l’agente promuova prodotti diversi per preponenti diversi, quindi solo
limitatamente al contratto di agenzia: d’altra parte nulla esclude che agente e preponente
escludano in tutto o in parte questa esclusiva: agente multi-carte.
La clausola naturale è invece quella del non star del credere: normalmente l’agente non garantisce
l’adempimento del terzo. Come si è visto precedentemente, ciò non esclude che questo sia un patto
inseribile nel contratto, volontariamente.
Figure affini
L’agente quindi conclude sempre in nome altrui, mentre il commissionario sempre in nome proprio.
Lavoro subordinato: si può riscontrare un lavoro dipendente senza rischio mentre l’imprenditore
normalmente sarà un agente con autonomia, ma senza rischio.
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3.3. La mediazione
Mediatore.
È mediatore colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad
alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza.
Nozione
E’ mediatore colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza
essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, dipendenza o rappresentanza.
SI intende mediazione come attività spontanea: fungeva da ponte fra due soggetti che non si
conoscevano o che non hanno dialogo fra loro a proposito di un certo affare. In questo senso, il
codice non ci fornisce una definizione di contratto di mediazione, e parte della figura del
mediatore.
Imparzialità
Questa definizione ha sempre suscitato l’idea che il mediatore non svolge la sua posizione in modo
parziale, non svolge mai la sua attività su incarico di una sola parte, perché altrimenti lo
pregiudicherebbe dell’imparzialità che lo contraddistingue.
In seguito, si è giunti a una diversa definizione di imparzialità: è sufficiente cioè che questo
mediatore non sia legato da rapporti di dipendenza o rappresentanza, che non ci sia un rapporto
giuridico più vasto, tale per cui questo soggetto farà solo l’interesse della parte che lo ha incaricato.
Il mediatore non è alle dipendenze e gode di una libertà di azione. In tal caso sarà imparziale,
nonostante l’esistenza di un incarico unilaterale.
Un mediatore che agisce su incarico di una delle parti, di entrambe le parti o di sua spontanea
iniziativa: in tutti i casi, sempre che non sia rinvenibile un rapporto di subordinazione e garantita
l’imparzialità del mediatore, avremmo un rapporto di mediazione.
Natura giuridica
E’ un rapporto contrattuale?
Si parla di mediazione anche quando l’incarico è unilaterale, e può essere pure senza incarico
come sembra configurare la norma dell’art. 1754. Ma quando il mediatore si attiva di sua
spontanea iniziativa, qui il rapporto è contrattuale oppure no?
Siamo di fronte ad un contratto di mediazione, quando il mediatore si attiva di sua iniziativa?
O si dice che anche quando si attiva di sua iniziativa, si costituisce un contratto di mediazione con
quelle parti che accettano la collaborazione e per questo tacitamente concludono un contratto per
fatti concludenti, oppure è possibile dire che di mediazione si può parlare al di fuori di una
fattispecie contrattuale e quindi le obbligazioni che sorgono da questa attività spontanea sono
obbligazioni trovano la loro fonte nella legge. E in tal senso avremmo un rapporto giuridico di
mediazione (non un contratto).
Quello che è fondamentale è che comunque il mediatore possa agire con autonomia e libertà di
azione.
Il contratto avrà sempre ad oggetto affari determinanti ed occasionali; invece se avesse ad oggetto
una serie di affari, ci troveremmo in un contratto di agenzia.
Il Ruolo
Anche per i mediatori è previsto l’obbligo di iscrizione a ruolo, diviso in tre sezioni. Una di
queste é dedicata agli agenti immobiliari. Tale ruolo è istituito presso la Camera di commercio.
Bisogna chiedersi che cosa succede nel caso in cui il contratto di mediazione sia conferito ad un
soggetto non iscritto a ruolo.
Al ruolo si devono iscrivere anche i mediatori occasionali (l’agente non può mai essere
occasionale). Il mediatore potrebbe esserlo anche per un singolo affare. A tale riguardo, ciò detto, il
mediatore non iscritto a ruolo che svolga anche un’attività occasionale è un contratto nullo e non
ha diritto alla provvigione.
Si potrebbe interrogarsi anche in questo caso in relazione all’orientamento della Corte di Giustizia.
Anche in questo caso si può applicare il principio della Corte di Giustizia e dire che questo limite è
incompatibile con il diritto comunitario e che quindi devo disapplicare?
Su questo punto, non sono da rilevare orientamenti chiari, per cui ci sono argomenti per sostenere
una diversa soluzione: in particolare, mentre l’agente svolge un’attività “su incarico”, allora per
aprire il mercato dell’incarico è necessario eliminare il vincolo del ruolo. Con riguardo al
mediatore, per garantire una certa professionalità a chi svolga questa attività , è da ritenersi che tale
limite non sia eliminabile.
Di conseguenza, è meglio svolgere attività di mediazione senza essere iscritti all’albo.
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Art. 1755.
Provvigione.
1. Il mediatore ha diritto alla provvigione da ciascuna delle parti, se l'affare è concluso per effetto del suo
intervento.
2. La misura della provvigione e la proporzione in cui questa deve gravare su ciascuna delle parti, in
mancanza di patto, di tariffe professionali o di usi, sono determinate dal giudice secondo equità.
Provvigione
Il mediatore ha diritto alla provvigione se l’affare è concluso grazie al suo intervento. Tanto il
locatore quanto il locatario pagano l’obolo all’agente.
E’ necessario focalizzare l’attenzione del significato di “affare concluso”. Se nel carico di incarico
conferito venga concluso un contatto di compravendita.
E’ più difficile in questi casi riconoscere una provvigione al mediatore. E’ tutto da vedere se quel
negozio concluso sia stato concluso per effetto dell’intervento. Altro problema consiste nel capire
quando un contratto può dirsi concluso.
Se è un contratto definitivo, e se le parti dovessero arrivare solo ad una preliminare, nasce un diritto
alla provvigione?
Siccome si crea un vincolo forte derivante dal contratto preliminare, è come se fosse già stata atta a
vendita, e quindi ha diritto alla provvigione.
E’ utile dare delle definizioni sotto il profilo dell’oggetto e sul quando è stato concluso il contratto
che dà luogo alla provvigione.
3.4 La subfornitura
Art. 1.
Definizione
1. Con il contratto di subfornitura un imprenditore si impegna a effettuare per conto di una impresa
committente lavorazioni su prodotti semilavorati o su materie prime forniti dalla committente medesima, o si
impegna a fornire all'impresa prodotti o servizi destinati ad essere incorporati o comunque ad essere utilizzati
nell'ambito dell'attività economica del committente o nella produzione di un bene complesso, in conformità a
progetti esecutivi, conoscenze tecniche e tecnologiche, modelli o prototipi forniti dall'impresa committente.
2. Sono esclusi dalla definizione di cui al comma 1 i contratti aventi ad oggetto la fornitura di materie prime,
di servizi di pubblica utilità e di beni strumentali non riconducibili ad attrezzature.
Funzione
E’ possibile che il produttore si avvalga di altre imprese affinché producano componenti dei
prodotti o fasi del processo produttivo. Potrebbe derivare dall’esigenza di flessibilità. Quindi è nata
l’esigenza per ripartire il rischio d’impresa. C’è un’impresa che si avvale della collaborazione di
altre imprese autonome che lavorano parzialmente i prodotti.
Tale schema è nato dall’esigenza della prassi, dall’autonomia contrattuale.
Solo con la Legge 192/1998 è stata disciplinata questa prassi. Il legislatore ha sentito la necessità di
porre alcuni principi nel tentativo di proteggere la parte debole. Da cosa dobbiamo capire che il
subfornitore è una parte debole?
Disciplina
E’ il contratto con il quale il subfornitore produce prodotti destinati ad essere incorporati o utilizzati
nell’ambito dell’attività economica del committente, in conformità delle esigenze tecniche del
committente.
In questa definizione si ritrovano due elementi essenziali:
a) la dipendenza tecnologica; il subfornitore di suo non sa far niente ma grazie al progetto del
committente riesce a realizzare un prodotto apprezzabile; il subfornitore sfrutta il design e
l’elaborazione tecnica offertagli dal committente;
b) e li non dipende solo tecnologicamente, ma ciò che produce entra nella catena produttiva del
committente. Questa destinazione nella catena produttiva fa si che di regola l’unico cliente del
subfornitore è il cliente stesso!
In questo quadro, si capisce perché il subfornitore è debole. Specialmente perché è un oggetto che
lavora per conto terzi. Questo dipende dal successo dei committenti, i quali squali del mercato
tirano dalla loro parte.
Il legislatore europeo ha dovuto riequilibrare la situazione, cercando il modo di far si che i
committenti non si accordassero fra loro e dall’altra parte che ai subfornitori fosse garantito un
minimo di tutela.
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Con riguardo a questa figura ci si è chiesti se è possibile configurare un contratto tipico: contratto
di fornitura, un contratto d’impresa, ossia che può esser fatto solo da imprenditori.
Il legislatore invece ci ha proposto un quadro di tutela minima: singole disposizioni che non danno
origine ad un contratto di subfornitura, ma di una categoria contrattuale, un modo di atteggiarsi di
un certo rapporto, che può essere di vendita, di appalto, ecc. ovvero un appalto in regime di
subforntura.
Questo è un rapporto come appalto, opera, ecc. che siccome è attuato in regime di subfornitura
troverà disciplina anche nelle norme dettate in tema di subornitura: non esiste un contratto di
subfornitura, ma tanti contratti tipici che possono dar luogo ad un contratto di fornitura.
C’è una combinazione di normative. Non si dice il contratto ma “i contratti”: esistono dei rapporti
di subfornitura.
Art. 2.
Contratto di subfornitura: forma e contenuto
1. Il rapporto di subfornitura si instaura con il contratto, che deve essere stipulato in forma scritta a pena di
nullità. Costituiscono forma scritta le comunicazioni degli atti di consenso alla conclusione o alla
modificazione dei contratti effettuate per telefax o altra via telematica. In caso di nullità ai sensi del presente
comma, il subfornitore ha comunque diritto al pagamento delle prestazioni già effettuate e al risarcimento
delle spese sostenute in buona fede ai fini dell'esecuzione del contratto.
2. Nel caso di proposta inviata dal committente secondo le modalità indicate nel comma 1, non seguita da
accettazione scritta del subfornitore che tuttavia inizia le lavorazioni o le forniture, senza che abbia richiesto
la modificazione di alcuno dei suoi elementi, il contratto si considera concluso per iscritto agli effetti della
presente legge e ad esso si applicano le condizioni indicate nella proposta, ferma restando l'applicazione
dell'articolo 1341 del codice civile.
3. Nel caso di contratti a esecuzione continuata o periodica, anche gli ordinativi relativi alle singole forniture
devono essere comunicati dal committente al fornitore in una delle forme previste al comma 1 e anche ad essi
si applica quanto disposto dallo stesso comma 1.
4. Il prezzo dei beni o servizi oggetto del contratto deve essere determinato o determinabile in modo chiaro e
preciso, tale da non ingenerare incertezze nell'interpretazione dell'entità delle reciproche prestazioni e
nell'esecuzione del contratto.
5. Nel contratto di subfornitura devono essere specificati:
a) i requisiti specifici del bene o del servizio richiesti dal committente, mediante precise indicazioni che
consentano l'individuazione delle caratteristiche costruttive e funzionali, o anche attraverso il richiamo a
norme tecniche che, quando non siano di uso comune per il subfornitore o non siano oggetto di norme di
legge o regolamentari, debbono essere allegate in copia;
b) il prezzo pattuito;
c) i termini e le modalità di consegna, di collaudo e di pagamento.
Forma
La forma scritta a pena di nullità. Anche se nullo, la subfornitura prevede comunque il
pagamento delle rate. Si dice poi che in questa forma devono essere indicati alcuni elementi del
contratto:
- caratteristiche del bene;
- prezzi, ecc,
Art. 3
Termini di pagamento
1. Il contratto deve fissare i termini di pagamento della subfornitura, decorrenti dal momento della consegna
del bene o dal momento della comunicazione dell'avvenuta esecuzione della prestazione, e deve precisare,
altresì, gli eventuali sconti in caso di pagamento anticipato rispetto alla consegna.
2. Il prezzo pattuito deve essere corrisposto in un termine che non può eccedere i sessanta giorni dal
momento della consegna del bene o della comunicazione dell'avvenuta esecuzione della prestazione.
Tuttavia, può essere fissato un diverso termine, non eccedente i novanta giorni, in accordi nazionali per
settori e comparti specifici, sottoscritti presso il Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato da
tutti i soggetti competenti per settore presenti nel Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro in
rappresentanza dei subfornitori e dei committenti. Può altresì essere fissato un diverso termine, in ogni caso
non eccedente i novanta giorni, in accordi riferiti al territorio di competenza della camera di commercio,
industria, artigianato e agricoltura presso la quale detti accordi sono sottoscritti dalle rappresentanze locali
dei medesimi soggetti di cui al secondo periodo. Gli accordi di cui al presente comma devono contenere
anche apposite clausole per garantire e migliorare i processi di innovazione tecnologica, di formazione
professionale e di integrazione produttiva.
3. In caso di mancato rispetto del termine di pagamento il committente deve al subfornitore, senza
bisogno di costituzione in mora, interessi corrispondenti al tasso ufficiale di sconto maggiorato di
cinque punti percentuali, salva la pattuizione tra le parti di interessi moratori in misura superiore e salva la
prova del danno ulteriore. Ove il ritardo nel pagamento ecceda i trenta giorni dal termine convenuto, il
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committente incorre, inoltre, in una penale pari al 5 per cento dell'importo in relazione al quale non ha
rispettato i termini.
4. In ogni caso la mancata corresponsione del prezzo entro i termini pattuiticostituirà titolo per l'ottenimento
di ingiunzione di pagamento provvisoriamente esecutiva ai sensi degli articoli 633 e seguenti del codice di
procedura civile.
5. Ove vengano apportate, nel corso dell'esecuzione del rapporto, su richiesta del committente, significative
modifiche e varianti che comportino comunque incrementi dei costi, il subfornitore avrà diritto ad un
adeguamento del prezzo anche se non esplicitamente previsto dal contratto.
Pagamento
Si tratta di una normativa inderogabile. Il legislatore ci dice che il prezzo deve essere corrisposto in
un termine che non può eccedere i 60 giorni e che potrebbero essere di più. Si è preoccupato di
fissare un termine massimo: è una forma di tutela.
In caso di mancato rispetto del pagamento del termine, il committente deve al subfornitore un
prezzo: scaduto il termine, avrà l’agevolazione rappresenta dalla non necessità di costituzione in
mora.
Scaduto il termine, gli si dovrà gli interessi senza fare alcunchè.
Questa normativa ha subito una robusta modifica in seguito all’emanazione della direttiva 35/2000,
attuata con una legge del 2002 sui ritardi di pagamento.
Esiste oggi un provvedimento che predispone tutta una serie di regole volte a favorire l’esecuzione
delle prestazioni pecuniarie fra imprenditori, perché il legislatore comunitario si era reso conto del
fatto che il sistema mette in crisi società che lavorano bene perché i loro subfornitori non pagano.
Ci sono state queste norme che facilitano l’esecuzione del tardato o mancato pagamento, come
ottenere titoli esecutivi più rapidamente del solito.
Se, a sua volta, il subfornitore concede la subfornitura ad un altro fornitore (fare da soli).
Art. 6.
Nullità di clausole
1. È nullo il patto tra subfornitore e committente che riservi ad uno di essi la facoltà di modificare
unilateralmente una o più clausole del contratto di subfornitura. Sono tuttavia validi gli accordi contrattuali
che consentano al committente di precisare, con preavviso ed entro termini e limiti contrattualmente
prefissati, le quantità da produrre ed i tempi di esecuzione della fornitura.
2. È nullo il patto che attribuisca ad una delle parti di un contratto di subfornitura ad esecuzione continuata o
periodica la facoltà di recesso senza congruo preavviso.
3. È nullo il patto con cui il subfornitore disponga, a favore del committente e senza congruo corrispettivo, di
diritti di privativa industriale o intellettuale.
Nullità delle
clausole
E’ nullo il patto fra subfornitore e committente che riserva a una delle parti facoltà di recesso
senza preavviso o al committente modificare le condizioni del contratto.
Ci sono delle clausole considerate vessatorie. Il legislatore si muove verso un riequilibrio delle
posizioni di forza contrattuale.
Art. 9.
Abuso di dipendenza economica
1. È vietato l'abuso da parte di una o più imprese dello stato di dipendenza economica nel quale si trova, nei
suoi o nei loro riguardi, una impresa cliente o fornitrice. Si considera dipendenza economica la situazione in
cui un'impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un'altra impresa, un eccessivo
squilibrio di diritti e di obblighi. La dipendenza economica è valutata tenendo conto anche della reale
possibilità per la parte che abbia subito l'abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti.
2. L'abuso può anche consistere nel rifiuto di vendere o nel rifiuto di comprare, nella imposizione di
condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie, nella interruzione arbitraria delle
relazioni commerciali in atto.
3. Il patto attraverso il quale si realizzi l'abuso di dipendenza economica è nullo.
Tutela del
subfornitore
Con una sorte di clausola di tutela del subfornitore, si dice che è che vietato l’abuso da parte di uno
o più imprese dello stato di dipendenza economica nello quale si trova un’impresa cliente o
fornitrice. Il patto tramite cui si realizza l’abuso è nullo.
Non solo una clausola, ma ogni comportamento sarà sanzionato, quest’ultimo non sarà sanzionato
con la nullità ma con il risarcimento.
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