La scuola come “collaboratorio” partecipativo: il collaboratory di

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La scuola come “collaboratorio” partecipativo: il collaboratory
di Caterina Cangià
Una case history
La case history che ci ispira è una poesia di Gianni Rodari, tratta da Il libro dei perché dal titolo:
“Perché si parla?”.
Seguendo le tue parole
Come tracce sul sentiero
Sono entrato nella tua testa,
Ho visto ogni tuo pensiero:
Ho visto che passavano
Le cose che tu dici
Segno che sei sincero
Leale con gli amici.
I miei pensieri e i tuoi
Si sono stretti la mano:
In due si pensa meglio
E si va più lontano.
L’analisi testuale della poesia ci porta nel tessuto del collaboratorio. “In due si pensa meglio
e si va più lontano”. Da qui parte la filosofia che sostiene il collaboratory o “collaboratorio”,
squisito “laboratorio della collaborazione”, ricamo dell’unire le menti, i pensieri, l’esperienza e le
energie motivazionali per “pensare meglio” e “andare più lontano”. Il “riuscire a vedere il pensiero”
dell’altro e la fiducia nella sua lealtà fatta di approfondimento del campo del sapere e di desiderio di
comunicare quanto trovare senza tenersi niente per sé è un’altra decisa caratteristica del
collaboratorio. In effetti, praticando la scuola come collaboratorio “si va più lontano”.
Per i ragazzi di oggi, digitali nati, abituati ad imparare per immersione e votati alla
comunicazione nelle reti e nella realtà, l’aula ideale potrebbe essere il collaboratorio. Ne siamo
convinti. Da questo tessuto di riflessioni, emerse dalla pratica, ecco avanzare qua e là, sul territorio
della scuola italiana, decisioni ed esperienze. Merita focalizzarsi sulle ragioni a fondamento del
collaboratorio, ragioni che sono state dettagliatamente esposte nei contributi precedenti, ma che ora
si raggruppano attorno alla precisa realtà del collaboratorio. E poi, come sempre in questa rubrica,
merita studiare da vicino buone pratiche e tuffarsi nella lettura e nella visita di siti che insegnano e
accompagnano.
1 A spasso con la teoria
È grazie al dialogo, felice “luogo della comunicazione”, che ci realizziamo. Buber parla di
“pedagogia del dialogo” e di “antropologia dialogale”, sottolinea il primato della relazione dove
“l’uomo si fa io nel tu”. Sì, il dialogo è l’elemento qualificante della prassi didattica. Il rapporto iotu non è semplice legame sociale ma reciproca responsabilità. È nella classe che il dialogo va
riscoperto. Come? Tutti possono imparare e tutti possono insegnare qualcosa, non ci sono ruoli
unidirezionali; quindi la parità dei due o più interlocutori e l’assoluto reciproco rispetto; è
fondamentale la disponibilità a imparare attraverso la ricerca comune; tutto in un ritmico alternarsi
di ruoli fatti di ascolto e di parola. Che bello! La classe-collaboratorio è perciò, come punto di
partenza, scambio di risonanze emotive e cognitive e poi luogo di elaborazione culturale e di
ricerca. Il benessere emotivo a scuola è la condizione indispensabile per l’apprendimento perché
quando si sta bene, la mente è aperta, ricettiva e creativa; quando al contrario si creano situazioni di
disagio, non s’impara, la mente si chiude, si impoverisce, e poi forse si spegne.
Chi insegna, dice senza parole: “Conta su di me, ti ascolto”. Senza questa convinzione e
questa pratica, il collaboratorio non prenderà mai consistenza. L’accoglienza predispone a leggere i
bisogni dell’altro e dilata lo spazio di ospitalità. Solo a questa distanza ravvicinata è possibile
“curvarsi” sull’altro-alunno e imparare e leggere i suoi “segni” per capirne i bisogni.
Non si intende qui allargare lo spazio a riflessioni sull’intelligenza emotiva. Si suppone che
siano pane quotidiano nei crocicchi di dibattito fra insegnanti. Qui si decide di essere insegnanti e
studenti entusiasti, protagonisti della propria mission su un fronte e sull’altro. Il collaboratorio,
facendo decidere sui contenuti da approfondire nel proprio percorso formativo rende gli studenti
decisamente coinvolti e motivati, protagonisti della propria vita anche a scuola. Il sovraccarico di
nozioni, compiti, richieste, interrogazioni, viene mitigato e compensato dalla sensazione di capire il
senso dello studio e della collaborazione. La didattica tipica del collaboratorio, carica di
intenzionalità formativa, dirige l’insegnamento su basi di empowerment di ogni singolo studente,
utilizzando le risorse della classe per creare una comunità forte e competente. Queste piccole-grandi
parole, dialogo ed empowerment, creano le condizioni per impostare la scuola come collaboratorio,
con l’attenuazione della predominanza della lezione frontale e la valorizzazione della
collaborazione, della condivisione generosa delle proprie risorse cognitive ed emotive. Il
collaboratorio, mirando allo sviluppo individuale e svolgendosi in un contesto di cooperazione
continua con i pari oltre e con l’adulto, è un vivaio di relazioni umane.
Il collaboratorio in azione
2 Il termine collaboratory nasce dalla crasi delle parole inglesi collaboration e laboratory,
collaborazione e laboratorio. Allora basta con la serie di banchi collocati di fronte alla cattedra, che
propone pochissime cose da fare letteralmente “insieme” a fronte di una massiccia quantità di
lavori individuali da svolgere sia all’interno dell’edificio scuola che a casa? Quanto accade nel
quotidiano sarà forse dovuto al fatto che viviamo in un tipo di società occidentale basata più su
logiche individualiste che collettiviste (Rosengren 2001)? Le reti sociali non ci hanno ancora
insegnato nulla?
La dimensione operativa e progettuale del collaboratorio esige una disposizione diversa
degli ambienti di lavoro. L’ambiente favorisce o meno la possibilità, per ogni ragazzo, di scoprire
propri ambiti di eccellenza e di talentuosità, aprendo spazi di creatività e di generatività delle idee e
consentendo momenti di autostima e di autorinforzo formativo. La presenza di appositi locali
attrezzati con materiali multimediali, scientifici ed espressivi non è ancora molto frequente nelle
nostre scuole per mancanza di formazione specifica dei docenti o per i costi delle attrezzature.
3 Quando poi il collaboratorio si attua fra più scuole o fra scuola e territorio con il
coinvolgimento di insegnanti specialisti di particolari settori culturali o di professionisti si affronta
il sapere con gusto.
Nella pratica, l’articolazione di gruppi all’interno della classe può essere fatta per gruppi di
livello, formati da alunni che presentano un livello cognitivo e di competenze analogo o per gruppi
di compito, formati da alunni eterogenei per livello cognitivo, per stili di apprendimento, per
competenze specifiche che si differenziano nella quantità e qualità delle prestazioni, ma che sono
sapientemente messi insieme per elaborare un compito comune. Anche un’articolazione per gruppi
elettivi formati da alunni che si aggregano sulla base dei loro interessi è auspicabile. Il
collaboratorio precede organizzazioni e formazioni dei medesimi gruppi in un’ottica disciplinare,
inter e transdisciplinare. L’apprendimento significativo che si attua nel collaboratorio è una
garanzia sia a sostegno delle potenzialità di chi apprende, sia a rinforzo della peculiarità delle
discipline. Non sono, quindi, segmenti disciplinari rigidamente precostituiti o lo sono per percorsi
brevi, componibili e scomponibili, ciascuno dotato di una sua relativa autonomia, di un proprio
significato, di una propria certificabilità e spendibilità, ma sempre strettamente ancorato
all’unitarietà del sapere.
Il collaboratorio per gruppi elettivi (dal latino “eligere” = scegliere), rappresenta
un’importante occasione per far emergere gli interessi e per favorire lo sviluppo di competenze
personali in un percorso che si sviluppa non per dare tutto a tutti nello stesso modo, ma a ciascuno
ciò che serve per valorizzare l’unicità della sua persona.
La scuola come collaboratorio, pur essendo un’attività formativa complessa, si presenta
come uno strumento estremamente flessibile che richiede una progettazione puntuale ed articolata,
un lavoro in team ed un monitoraggio continuo affinché il suo funzionamento risulti ordinato ed
efficace.
4 Il collaboratorio funziona per progetti che nascono dalla necessità di promuovere nei ragazzi
competenze complesse, tipiche della cultura postmoderna. Il termine progettare ha un significato
ampio e generale perché non è nato nella scuola ma deriva da altri contesti riferiti in modo
particolare al mondo dell’industria e della produzione. Il progetto, fin dal suo nascere, è
strettamente legato al contesto, ai soggetti, ai loro bisogni, alle condizioni in cui si opera, ai vincoli
e alle risorse, al processo e al prodotto finale. Il progetto va pensato come un insieme di attività
finalizzate al raggiungimento di un prodotto, che deve corrispondere a criteri definiti. Richiede una
programmazione flessibile perché se cambiano le condizioni anche il progetto va modificato. Le
classiche tappe che definiscono un progetto sono (Pellerey 1999): analisi dei bisogni; definizione
dell’idea o del problema; negoziazione; pianificazione del percorso, tenendo conto delle risorse e
dei vincoli; realizzazione; documentazione; presentazione del prodotto; valutazione.
Quali le differenze fra il cooperative learning e il collaboratorio? Se nel primo “ambiente
didattico” il passaggio di conoscenze avviene tra pari in modo spezzettato – ognuno si occupa di
parte del lavoro – quando entriamo nella logica della collaborazione ognuno mette la propria
specificità al servizio di uno scopo comune. Già Mayers (1991, cit. in Bonaiuti - D’Agostino, 2003)
metteva in evidenza come risalendo alla matrice latina delle due parole con il termine collaborare si
poneva l’accento proprio sul processo del lavorare insieme, mentre con il termine cooperazione si
faceva riferimento soprattutto al prodotto. La collaborazione è una filosofia di vita da intrecciare al
quotidiano della classe. Che cosa favorisce, in particolare, un apprendimento così strutturato? In
primo luogo determina un atteggiamento che gli alunni attueranno anche al di fuori del contesto
scolastico. Allo stesso tempo un modo di entrare in relazione con l’altro che sia collaborativo
informa l’alunno circa le proprie potenzialità e competenze, senza, però, che esse prevarichino gli
altri: lavorare gomito a gomito con i compagni è il modo migliore per insegnare quanto sia
importante il rispetto. La responsabilità è condivisa, perché tutto il progetto ricade sulla
responsabilità di tutti e si deve sottostare gli uni agli altri per la sua buona conduzione (Bonaiuti D’Agostino, 2003).
Lo sapevamo che i media digitali sono il luogo più accattivante per sperimentare il
collaboratorio? Nel contesto della serie di articoli che proponiamo, la considerazione maggiore
dovrebbe essere fatta sulle potenzialità dei media digitali per favorire la collaborazione nell’ottica
laboratoriale. Bene. Questo è il primo “compito a casa” per i lettori della rivista.
Per saperne di più
Visitare:
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Il link http://en.wikipedia.org/wiki/Collaboratory ci porta su una eccellente presentazione di
5 cosa sia il collaboratorio nell’ambiente della ricerca scientifica internazionale.
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Il link http://www.ks.uiuc.edu/Research/biocore/ ci illustra le attività del BioCoRE,
l’ambiente di lavoro collaborativo nel campo della ricerca biomedica.
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Per conoscenze approfondite sulla collaborazione nel campo della realizzazione di nuovi
media e di prodotti digitali, visitare il link http://dmc.ic2.org/.
Leggere:
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Ai benefici della classica lezione da chi è padrone della materia a chi la ignora
completamente, affianchiamo il contributo di nuovi approcci teorici, metodologici e
tecnologici leggendo: S. Andrich - L. Miato - M. Polito, Il superamento della lezione
frontale: apprendimento cooperativo e le risorse del gruppo classe. Relazione dello
workshop n. 6 del 3° Convegno di Rimini «La qualità dell’integrazione nella scuola e nella
società», 9-11 novembre 2001. Disponibile online:
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http://www.costruttivismoedidattica.it/articoli/Polito.pdf.
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Raccogliamo gli appelli del costruttivismo approfondendo: T. Butt - G. Chiari, George Kelly
e la psicologia dei costrutti personali, Milano, Franco Angeli, 2009, che ci invitano a
guardare all’apprendimento come a una costruzione individuale e collettiva.
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Per un ripasso proficuo sulla comunicazione, riprendiamo fra le mani K. E. Rosengren,
Introduzione allo studio della comunicazione, Bologna, Il Mulino, 2001.
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Quanto mai interessante il contributo di: G. Bonaiuti - G. D’Agostino, Collaborazione e
cooperazione con le nuove tecnologie: un nuovo paradigma per l’Instructional Technology,
in «Scuola e città», (2003) 2: 80-99. Disponibile online all’indirizzo:
http://www.scuolainretenet.it/media/pdf/Bonaiuti.pdf.
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Facciamo largo all’anima soggettiva dell’apprendimento affrontando l’opera di A. Carletti A. Varani, Presentazione, in «Il costruttivismo e la didattica. L’apprendimento
collaborativo: percorsi di formazione», 2009. Disponibile online all’indirizzo:
http://www.costruttivismoedidattica.it/index.htm.
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Per la progettazione e i suoi passi da seguire rileggiamo: M. Pellerey, Educare. Manuale di
pedagogia come scienza pratico-progettuale, Roma, LAS 1999.
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