2
Morfologia ingenua
Nel capitolo precedente abbiamo osservato che la parola parola è ambigua, in quanto nel nostro
parlare quotidiano la usiamo per riferirci a oggetti di tipi diversi, tra i quali possiamo distinguere,
con appositi termini tecnici, almeno lessemi, loro forme flesse e loro forme contestuali, e loro
occorrenze.
Nel seguito di questo libro continueremo, soprattutto nei primi capitoli, a usare qualche volta la
parola parola, quando non sia utile, necessario o indispensabile fare riferimento alle distinzioni
sopra introdotte.
Tutti noi usiamo le parole continuamente, e abbiamo delle idee su come esse siano fatte. Alcune di
queste idee sono parte della nostra competenza di parlanti nativi di una lingua.
Altre delle idee che abbiamo su come sono fatte le parole non ci vengono dalla nostra competenza
di parlanti, ma da quello che abbiamo studiato a scuola. A partire dalle elementari, e in alcuni casi
fino alla fine delle superiori, ci è stato presentato un insieme di termini con cui nominare le
caratteristiche e le parti delle parole dell’italiano e delle altre lingue che abbiamo studiato.
Questa terminologia non è neutra: è invece il frutto di una serie di tradizioni di studio, spesso
distinte tra loro e incrociate in epoca moderna, a volte dando luogo ad incoerenze.
Esula dagli obiettivi di questo volume ripercorrere la storia del metalinguaggio utilizzato per le
nozioni che rientrano nel campo di studio della morfologia. Qui di seguito richiameremo però
alcuni dei termini e dei concetti più comunemente utilizzati nelle opere descrittive non
specialistiche, quali vocabolari, grammatiche e manuali per lo studio delle lingue straniere, e
nell’insegnamento pre-universitario (e qualche volta anche in corsi universitari di materie diverse
dalla linguistica). Molti dei concetti e dei termini introdotti in questo capitolo saranno messi in
discussione nei capitoli successivi, ma conoscerli è comunque indispensabile per avere un
vocabolario minimo comune per fare riferimento ai fenomeni in discussione.
L’insieme dei concetti e dei termini utilizzati nell’insegnamento scolastico per far riferimento agli
oggetti che ricadono nell’ambito di studio della morfologia può essere considerato una “morfologia
ingenua”, nel senso in cui Graffi (1994, pp. 25-33), ispirandosi a concetti sviluppati nell’ambito
della matematica e della fisica, parla di una “sintassi ingenua”, che comprende l’uso intuitivo di
nozioni che fanno riferimento a oggetti che cadono nell’ambito di indagine della sintassi (ad
esempio, “frase”) e la formulazione di descrizioni non fondate su principi espliciti. Anche noi
dovremo passare, nel corso dei diversi capitoli di questo libro, dalla presentazione di una
morfologia ingenua a quella dei principi fondamentali del livello di analisi morfologica delle lingue.
2.1
L’analisi grammaticale
Molto di quello che sappiamo delle parole può essere riassunto in quello che nella terminologia
dell’insegnamento scolastico tradizionale si chiamava analisi grammaticale.
L’analisi grammaticale si occupa di analizzare le parole intese come occorrenze delle forme (flesse
o contestuali) dei lessemi, non direttamente i lessemi. Ad esempio, l’analisi grammaticale minima
di una parola come casa è “sostantivo1 femminile singolare”; un’analisi più ricca può definire casa
come “nome comune di cosa, concreto, femminile, singolare”.
Si osservi che alcune delle informazioni che vengono date nell’analisi grammaticale di
un’occorrenza si riferiscono all’intero lessema che l’occorrenza rappresenta, mentre altre si
riferiscono solo alla specifica forma che l’occorrenza rappresenta: le proprietà “nome comune di
cosa, concreto, femminile” rimangono vere anche se analizziamo un’occorrenza della forma case
1
Nella terminologia tradizionale, i termini sostantivo e nome sono usati abbastanza intercambiabilmente. Nella
tradizione lessicografica italiana prevale l’uso di sostantivo, mentre nella linguistica moderna prevale l’uso di nome, per
evitare le connotazioni filosofiche del termine sostantivo. Nel seguito di questo libro utilizzeremo il termine nome.
del lessema CASA, mentre la proprietà “singolare” è vera per la forma casa, ma se analizziamo case
l’analisi grammaticale dovrà essere “nome comune di cosa, concreto, femminile, plurale”.
Vediamo ora un altro esempio. Se facciamo l’analisi grammaticale della forma belle, diremo che si
tratta di un “aggettivo qualificativo, femminile, plurale”. Anche qui, una parte di questa
informazione è vera per tutte le forme del lessema BELLO: tutte le forme di questo lessema sono
infatti aggettivi qualificativi. Ma, diversamente da quanto accade per il nome, un lessema italiano di
categoria aggettivo non mantiene sempre lo stesso genere, ma ha forme flesse per i due generi, oltre
che per i due numeri: il lessema italiano BELLO ha quindi le quattro forme flesse bello, bella, belli,
belle, rispettivamente maschile singolare, femminile singolare, maschile plurale e femminile
plurale.
Da questo esempio scopriamo che le proprietà delle parole prese in considerazione dall’analisi
grammaticale possono presentare caratteristiche diverse in combinazione con lessemi di categorie
diverse: mentre il genere nei nomi è una proprietà del lessema, che rimane invariata in tutte le sue
forme flesse (non esiste “il maschile di CASA”!), negli aggettivi il genere non è una proprietà del
lessema: gli aggettivi hanno forme flesse dei due generi.
Analizziamo ora una forma verbale, ad esempio mangiano. Si tratta della “terza persona plurale del
presente indicativo attivo del verbo transitivo MANGIARE”. Qui troviamo, al solito, informazioni che
riguardano l’intero lessema MANGIARE (il fatto che si tratta di un verbo transitivo) e informazioni
sulla specifica forma mangiano (il fatto che si tratta della terza persona plurale del presente
indicativo attivo). Il numero di informazioni contenute nell’analisi grammaticale di questa forma è
molto superiore a quello delle informazioni riguardanti forme di nomi o di aggettivi, e la natura di
queste informazioni si sovrappone solo parzialmente: sia nell’analisi della forma verbale che in
quella delle forme di nomi e aggettivi abbiamo trovato l’informazione “plurale”, ma solo per i nomi
e gli aggettivi abbiamo trovato un’informazione come “femminile”, e solo per il verbo abbiamo
trovato informazioni come “terza persona”, “presente”, “indicativo”, “attivo”.
L’analisi di questi pochi esempi ci è servita per richiamare alla mente una serie di conoscenze che
abbiamo sulle parole.
Una prima cosa che sappiamo è che i lessemi appartengono a categorie diverse, come per esempio
nomi, verbi, aggettivi. Queste categorie sono tradizionalmente chiamate parti del discorso; nella
terminologia della linguistica moderna, le parti del discorso sono spesso denominate classi di
parole (denominazione che porta con sé la ormai a noi ben nota ambiguità del vocabolo parola),
oppure categorie lessicali, o anche, con termini che presentano alcuni svantaggi che tra breve
illustreremo, categorie sintattiche o categorie grammaticali2. Nel seguito di questo libro useremo
intercambiabilmente il termine tradizionale parti del discorso e quello moderno categorie lessicali,
mentre eviteremo di usare, per riferirci a categorie come “nome”, “verbo”, ecc., gli altri termini
appena elencati.
Le diverse parti del discorso, cioè le diverse categorie lessicali, se non comprendono solo lessemi
invariabili (come ad esempio la categoria degli avverbi) presentano un numero e un tipo di forme
flesse diverso per ogni categoria. Le forme flesse dei lessemi di una certa categoria portano
informazioni di vario tipo: ad esempio, le forme flesse degli aggettivi italiani portano informazioni
sul genere e sul numero della forma, quelle dei verbi su persona, numero, tempo/ aspetto, modo e
diatesi. La terminologia dell’insegnamento grammaticale tradizionale non comprende un iperonimo
sotto il quale siano raggruppate categorie come persona, numero, modo, ecc.; nella terminologia
della linguistica moderna, queste categorie sono denominate categorie grammaticali o proprietà
morfosintattiche.3 Nel seguito di questo libro useremo intercambiabilmente questi due termini.
2
Così Serianni
Dunque il termine categoria grammaticale da alcuni autori è usato per indicare una parte del discorso (per esempio,
nome), da altri per indicare una proprietà dei lessemi o delle forme flesse appartenenti a una determinata parte del
discorso (per esempio, il numero). Nei principali manuali di linguistica in lingua italiana Berruto Graffi / Scalise Nespor
/ Napoli, Simone check. Il termine categoria sintattica è usato per lo più nel senso di parte del discorso, ma a volte
anche nel senso di categoria morfosintattica. In questo libro…
3
Le categorie grammaticali, o proprietà morfosintattiche, presentano in lessemi diversi, e/o in forme
flesse diverse di uno stesso lessema, diversi valori: ad esempio, il lessema CASA presenta il valore
femminile nella categoria del genere, mentre il lessema LIBRO presenta il valore maschile della
stessa categoria; nel caso del lessema BELLO, che appartiene alla categoria lessicale degli aggettivi,
la forma flessa bello presenta il valore singolare nella categoria grammaticale numero, e il valore
maschile nella categoria grammaticale genere, mentre la forma flessa belle presenta il valore plurale
nella categoria numero, e il valore femminile nella categoria genere. Nella terminologia
dell’insegnamento grammaticale tradizionale non esiste un termine specifico per indicare quelli che
qui abbiamo chiamato valori delle categorie grammaticali; nella terminologia della linguistica
moderna, questi elementi vengono chiamati valori o anche tratti morfosintattici.4
Osserviamo infine che l’analisi grammaticale tradizionale non prevede una trattazione particolare
del problema posto da quelle che nel cap. 1 abbiamo chiamato forme contestuali dei lessemi. Bello è
una forma flessa di BELLO, ma anche una sua forma contestale, che è in distribuzione
complementare con le forme bel e bell’ (un bel / *bello / *bell’ ragazzo, un bell’ / *bello / *bel
amico, un amico bello / *bell’ / *bel); l’analisi grammaticale tradizionale non fa menzione di questo
aspetto della forma bello, limitandosi alla specificazione dei valori presentati da questa forma
nell’ambito delle categorie grammaticali proprie della categoria lessicale aggettivo in italiano.
Riassumendo, i lessemi appartengono a categorie lessicali (o parti del discorso); alcune categorie
lessicali (quelle che non comprendono solo lessemi invariabili) esprimono determinate categorie
grammaticali o, detto in altri termini, presentano determinate proprietà morfosintattiche; ogni
categoria grammaticale o proprietà morfosintattica presenta in ciascuna forma flessa di un lessema
un determinato valore o tratto morfosintattico.
2.2
Le classi di flessione: coniugazioni e declinazioni
Ci sono anche altre informazioni che abbiamo sulle parole, perché siamo parlanti nativi di una
lingua o perché la abbiamo studiata. Ad esempio, tutti noi parlanti nativi dell’italiano sappiamo
rispondere alle domande in (1):
(1)
a.
b.
c.
qual è il plurale di CASA?
qual è il plurale di ALA?
qual è il plurale di PILOTA?
Sappiamo che il plurale di CASA è case, quello di ALA è ali, e quello di PILOTA è piloti. A pensarci
bene, non si tratta di conoscenze banali: noi sappiamo che due nomi femminili che al singolare
finiscono in -a, come CASA e ALA, formano il plurale in modo diverso, uno sostituendo la -a finale
con -e e l’altro sostituendola con -i; e sappiamo anche che il nome PILOTA, che al singolare finisce
anch’esso con -a, ma è maschile, forma il plurale sostituendo la -a con -i, come ALA che è
femminile, ma non come CASA, che è femminile quanto ALA e finisce con -a quanto ALA e PILOTA.
Tutte queste cose le sappiamo in quanto parlanti nativi dell’italiano. Se interrogati su perché questi
nomi si comportano così, probabilmente non sapremmo che cosa aggiungere: sappiamo che è così
perché ce lo dice la nostra competenza di parlanti nativi, ma probabilmente non sappiamo
inquadrare il fenomeno facendo ricorso a concetti teorici di un livello superiore.
Come parlanti dell’italiano, sappiamo anche eseguire le istruzioni in (2):
(2)
4
a.
b.
mettere all’imperfetto la frase lo chiamo spesso
mettere all’imperfetto la frase lo temo molto
Spesso inoltre non si distingue terminologicamente tra una categoria grammaticale e i suoi possibili valori, e si trovano
formulazioni quali “la categoria del numero” e “la categoria del singolare”, o anche “il tratto di numero” e “il tratto di
singolare”, anche in uno stesso autore. In questo libro cercheremo di osservare invece sempre una distinzione
terminologica tra i due tipi di concetti.
c.
mettere all’imperfetto la frase dormo poco
Sappiamo che alle tre forme di prima persona singolare del presente indicativo chiamo, temo e
dormo corrispondono le tre forme dell’imperfetto chiamavo, temevo e dormivo, e non, per esempio,
*chiamevo, *temivo e * dormavo. Se interrogati sul perché è così, potremmo rispondere che è così
perché chiamo è una forma del verbo CHIAMARE, e il verbo CHIAMARE è un verbo della prima
coniugazione, e tutti i verbi della prima coniugazione hanno una prima persona singolare
dell’imperfetto che finisce in -avo, e non in -evo (come i verbi della seconda coniugazione) o in -ivo
(come i verbi della terza coniugazione). Questo tipo di spiegazione riusciamo a darla perché ci è
stato detto esplicitamente che i verbi dell’italiano si raggruppano in diverse classi, dette
coniugazioni: i verbi che appartengono a una stessa coniugazione formano le proprie forme flesse
nello stesso modo, e in un modo che può essere diverso da quello adottato in una coniugazione
diversa.
A questo punto potremmo ripensare ai casi italiani visti in (1), e chiederci se i diversi modi di
formare il plurale dei diversi nomi visti in (1) non si possano spiegare come dovuti al fatto che
questi nomi appartengono a diverse classi, così come i diversi modi di formare l’imperfetto da parte
di verbi che alla prima persona singolare del presente indicativo finiscono tutti in -mo (come
chiamo, temo, dormo) sono dovuti al fatto che i tre verbi appartengono a tre diverse classi, dette
coniugazioni. La risposta è sì: anche i nomi italiani, come i verbi, possono essere raggruppati in
classi in base al modo in cui formano le proprie forme flesse. CASA appartiene alla stessa classe di
ARPA, VITA, ROSA, e migliaia di altri nomi che hanno il singolare in -a e il plurale in -e; ALA e
PILOTA appartengono alla stessa classe di POETA, PAPA, CLIMA, e alcune centinaia di altri nomi che
hanno il singolare in -a e il plurale in -i. Solo che nella tradizione grammaticale italiana non si è
affermata una classificazione delle classi di flessione del nome, con classi ben definite e addirittura
numerate, come le tre coniugazioni del verbo (o le cinque declinazioni del nome in latino). 5 I nomi
italiani sono raggruppabili in diverse classi di flessione, ma nella nostra tradizione di insegnamento
grammaticale non si è fatto molto uso di questa possibilità, e non si è affermato quindi un sistema di
denominazione o numerazione delle classi da tutti condiviso, probabilmente perché il numero di
forme flesse dei nomi italiani è molto basso (si hanno solo due forme, il singolare e il plurale). La
possibilità di raggruppare lessemi di una stessa categoria in classi è invece stata adottata nella
tradizione grammaticale italiana per quanto riguarda i verbi: tutti noi abbiamo imparato fin dalle
elementari la classificazione tradizionale dei verbi italiani in tre coniugazioni, che vengono indicate,
facendo riferimeno alla terminazione della forma di citazione dei lessemi verbali italiani (l’infinito):
la prima coniugazione comprende i verbi in -are, la seconda i verbi in -ere, la terza i verbi in -ire.
Riassumendo, in questo paragrafo abbiamo riflettuto sul fatto che parte della nostra conoscenza
delle parole comprende l’informazione che i lessemi che appartengono a una certa parte del
discorso (i nomi, i verbi, ecc.) possono essere raggruppati in classi di flessione, che comprendono
tutti i lessemi che formano le proprie forme flesse nello stesso modo. Le diverse tradizioni
grammaticali possono dare riconoscimento esplicito all’esistenza di queste classi (come si è fatto
per le declinazioni del nome in latino, e per le coniugazioni del verbo sia in italiano che in latino),
oppure no (come nel caso delle classi di flessione del nome in italiano).
2.3
Rapporti tra parole
Un tema che finora non abbiamo affrontato esplicitamente è quali siano i rapporti tra le diverse
forme flesse di uno stesso lessema, che innegabilmente presentano parziali identità nel significante
e nel significato.
Nella trattazione sulle forme flesse fin qui svolta, abbiamo usato formule del tipo “belli è la forma
flessa maschile plurale di BELLO”, “belle è la forma flessa femminile plurale di BELLO”, ecc. Questo
5
Per approfondimenti sulle classi di flessione del nome italiano si rimanda a D’Achille, Thornton, 2003.
modo di concepire i rapporti tra queste forme è quello proprio della tradizione grammaticale grecolatina, ed è stato denominato modello a “parola e paradigma” (in inglese, “word and paradigm”).
Dopo quello che abbiamo detto sull’ambiguità del termine parola, ci renderemo conto che sarebbe
più corretto denominare il modello “lessema e paradigma”: tuttavia, poiché la formula “parola e
paradigma” (e soprattutto il suo equivalente inglese) è in uso da decenni, potremo continuare ad
usarla, a patto di tenere ben presente che in essa parola va intesa nel senso di lessema.6 Il
paradigma di un lessema è l’insieme delle sue forme flesse.7 In un modello a parole e paradigma,
le forme flesse di un lessema appartenente a una certa categoria lessicale sono concepite come
realizzazioni di determinati valori delle proprietà morfosintattiche proprie dei lessemi di quella
categoria lessicale. La realizzazione di questi valori è concepita come proprietà dell’intera forma
flessa, e non di sue singole sottoparti. È l’intera forma bello a essere maschile e singolare, non sue
singole componenti.
Tutti noi abbiamo però ben presente che è possibile assumere un punto di vista diverso sui rapporti
tra le diverse forme flesse di un lessema. Secondo questo nuovo punto di vista, che è confluito con
il precedente nel corpus di conoscenze che costituiscono l’oggetto dell’insegnamento grammaticale
scolastico tradizionale, sono certe specifiche sottoparti delle forme flesse a portare certi valori delle
proprietà morfosintattiche che la forma realizza. Sicuramente ci sono familiari formulazioni quali la
seguente: “in bello, bell- è la radice e -o la desinenza del maschile singolare”.
Questo tipo di formulazione esprime un punto di vista completamente diverso da quello del modello
a parole e paradigmi, il punto di vista secondo cui le forme flesse sono scomponibili in diversi
elementi, ciascuno portatore di una parte del significato globale dell’intera forma. Il modello che
assume questo punto di vista sulla costituzione delle forme flesse è stato chiamato modello a
“entità e disposizioni” (in inglese, “items and arrangement”).
Il modello a entità e disposizioni ha avuto grandissimo successo nella linguistica del ventesimo
secolo: è stato sviluppato soprattutto da studiosi appartenenti alla scuola dello strutturalismo
nordamericano, ed è quello comunemente presentato nei manuali introduttivi di linguistica. Nel
prossimo capitolo, quindi, lo presenteremo nel dettaglio. Anticipiamo però che questo modello,
come vedremo nei capitoli successivi, presenta dei limiti, e che molti studiosi specialisti di
morfologia recentemente si sono pronunciati in favore di un ritorno all’adozione di un modello a
parole e paradigmi per spiegare la natura delle relazioni tra le diverse forme flesse di uno stesso
lessema.
Esercizi
1.
Fare l’analisi grammaticale delle forme flesse di lessemi italiani elencate nella seguente
tabella, utilizzando la terminologia introdotta in questo capitolo.
categoria lessicale categorie
grammaticali
valori
quelli
i
mela
vedrei
2.
Osservare le seguenti coppie di forme flesse di nomi del bulgaro:
singolare
6
7
Hockett Robins Matthews ecc
Dressler- altre terminologie…
plurale
‘sedia’
‘donna’
‘fornaio’
‘temperamatite’
‘villaggio’
‘nonno’
‘padre’
‘città’
stol
žena
pekar
ostrilka
selo
djado
bašta
grad
stolove
ženi
pekari
ostrilki
sela
djadovci
bašti
gradove
I lessemi elencati appartengono a diverse classi di flessione? se sì, a quante? come possiamo
classificarle?
3.
Formulazioni seguenti sono carateristiche di un modello a parole e paradigmi o di un
modello a entità e disposizioni?
a. la forma inglese oxen è il plurale di ox
b. -en è una possibile desinenza di plurale in inglese
c. la forma latina amabatur contiene la radice am-, la vocale tematica -a-, la desinenza
dell’imprfetto –ba-, la desinenza di persona -t- e la desinenza del passivo -ur
d. la forma latina veni è la prima persona singolare del perfetto indicativo di VENIO