L`addolcimento da freddo dei tuberi di patata: nuovi

Review n. 8 – Italus Hortus 15 (4), 2008: 35-45
L’addolcimento da freddo dei tuberi di patata: nuovi approcci biomolecolari per la comprensione di una “vecchia” problematica
Paolo Bagnaresi1*, Anna Moschella2, Bruno Parisi2, Pierdomenico Perata3 e Paolo Ranalli4
CRA-GPG-Centro di Genomica e Post-Genomica Animale e Vegetale, via S. Protaso 302, 29017
Fiorenzuola d’Arda (PC)
2
CRA - Centro di Ricerca per le Colture Industriali, via di Corticella 133, 40128 Bologna
3
Plant and Crop Physiology Lab , Scuola Superiore Sant’Anna, p.za Martiri della Libertà, 56127 Pisa
4
CRA - Dipartimento di Trasformazione e Valorizzazione dei Prodotti Agro-industriali, Roma
1
Ricevuto: 27 maggio 2008; accettato: 11 luglio 2008
Biomolecular approaches for studying potato tuber cold sweetening
Abstract. As it is known by more than 120 years,
cold incubation of tubers cause accumulation of sugars (mainly sucrose, glucose and fructose) at the
expenses of starch. This is detrimental for tuber quality, as, upon cooking at high temperatures, an excess
of dark, bitter tasting melanoidins are produced due to
the Maillard reaction involving reducing sugars and
free amino acids. In recent years, concern for phenomenon has further risen since a specific type of
Maillard reaction involving the amino-acid asparagine
(abundant in potato tubers) and reducing sugars has
been shown to produce the neurotoxic and genotoxic
compound acrylamide. This unexpected finding was
prompted by investigations on the accidental release
of acrylamide in the environment. Attempts have been
conducted in order to identify varieties with reduced
asparagine level, but the extent of reducing sugar
a c c u m u l a t i o n appears by far the major parameter
affecting acrylamide production in potato derivatives
and thus brings the focus back to the sweetening phenomenon. Research on potato cold-induced sweetening (CIS) has implicated several carbohydrate-associated genes in the process. However, still many uncertainties exist, as the relative contribution of each gene
to the process is often unclear, possibly as the consequence of the heterogeneity of experimental systems.
Some enzymes associated to CIS, as β-amylases and
invertases, still await identification at the sequence
level. Additionally, little is known about early events
triggering CIS and involvement/association to CIS of
genes other than CAG. Many of those uncertainties
could be resolved by profiling experiments, but no
GeneChip is available for potato and the production of
the potato cDNA spotted array (TIGR) has recently
been discontinued. In order to obtain an overall picture of early transcriptional events associated to CIS,
we investigated whether the commercially-available
tomato Affymetrix GeneChip could be used to discern
*
[email protected]
among potato cold-responsive gene family members
to be further studied in detail by Real-Time (RT)-PCR
(qPCR). A tomato-potato global match file (GMF) was
generated by matching tomato targets to potato ESTs
in order to establish of a core set of highly homologous
genes. A further, low-scale probe-level (oligonucleotide) approach was also explored to maximize reliability of the heterologous dataset for genes of particular interest. Several cold-responsive genes were identified, and their expression pattern was studied in
detail by qPCR over a 26-d time course. We detected
biphasic behaviour of mRNA accumulation for CAG
and our combined GeneChip-qPCR data identify, at
the sequence level, enzymatic activities as β-amylases
and invertases previously reported to take part to CIS.
Scrutiny of validated GeneChip data further unveils
important processes accompanying CIS, such as the
induction of redox- and hormone-associated genes.
This strategy revealed essential for accurate heterologous dataset interpretation and suggests that similar
approaches can fruitfully be conducted for other
species. Transcript profiling of early events associated
to CIS discloses a complex network of events involving sugars, redox and hormone signalling which may
be either serially linked or act in parallel. Identification
at the sequence level of various enzymes long known
to take part to CIS provides molecular tools for further
understanding of the phenomenon.
K e y wo r d s: M aillard reaction, acry lamide,
asparagine, microarray.
Introduzione
Il fenomeno dell’addolcimento dei tuberi causato
dalle basse temperature fu per la prima volta descritto
nel 1882 da Muller-Thurgau e da allora è stato oggetto
di costante investigazione.
Sotto il profilo strettamente di post-raccolta, l’incubazione a basse temperature dei tuberi presenta vari
vantaggi quali ridotto raggrinzimento, mantenimento
35
Bagnaresi et al.
della sostanza secca e prolungamento del periodo di
dormienza. Il tutto evidentemente si traduce in un
congruo aumento del periodo di valenza commerciale,
senza fare ricorso a prodotti chimici antigermoglianti
che il consumatore vede con sempre maggiore diffidenza (Ranalli et al., 2004). Tuttavia, l’addolcimento
dei tuberi si configura come problema particolarmente
grave in seguito al trattamento ad alte temperature
(maggiori di 150 °C), determinandosi infatti l’annerimento non-enzimatico con acquisizione del noto
gusto amaro. Tale fenomeno è dovuto alla formazione
di melanoidine, composti eterociclici aromatici che si
formano a partire dalla combinazione degli zuccheri
riducenti (abbondanti, per l’appunto, in patate “addolcite”) e da gruppi amminici liberi, il cui livello nei
tuberi è di norma elevato. Tale reazione, detta “di
Maillard”, s’innesca ad alte temperature e, se controllata, conduce alla formazione in moderata quantità di
composti aromatici che conferiscono particolare appetibilità a vari prodotti animali e vegetali sottoposti ad
alte temperature. Tuttavia, a causa dell’accumulo particolarmente pronunciato di zuccheri riducenti che si
verifica nei tuberi incubati a basse temperature, la reazione viene ad esser massiccia fino a tradursi in un
totale annerimento che, evidentemente, compromette
la fruibilità del prodotto. Purtroppo a tale problematica si è aggiunto, come evidenziato in questi ultimi
anni, il riscontro di produzione di acrilammide,
sostanza genotossica e neurotossica che raggiunge
proprio nei prodotti a base di patata (chips, crisps,
sticks) una concentrazione particolarmente elevata.
In questa review, in seguito ad un breve riepilogo
di evidenze ormai consolidate sull’addolcimento
seguito da un aggiornamento sulle importanti novità
del settore (quali, per l’appunto, l’acrilammide), si
focalizzerà l’attenzione su approcci molecolari come
innovativi esperimenti di profiling trascrizionale con
microarrays tesi a identificare gli eventi scatentanti
l’addolcimento. Per una trattazione più completa di
vari aspetti biochimici riguardanti l’addolcimento si
rimanda in particolare a recenti r e v i e w s tra cui
Sowokinos (2001) e Zhang e Zhang (2007). Per una
trattazione più capillare sull’effetto dell’agrotecnica e
fertilizzazione sull’addolcimento si rimanda invece a
due recenti ricerche (De Wilde et al., 2006; Elmore et
al., 2007) e alle referenze ivi contenute.
Il caso acrilammide
Nel 1997, nel sud-ovest della Svezia (penisola di
Bjare) si verificò un incidente nel corso dei lavori di
scavo di un tunnel che determinò il rilascio fortuito di
acrilammide nell’ambiente. L’acrilammide è sostanza
36
mutagena e neurotossica ed è classificata dalla IARC
(Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro)
come probabile cancerogeno per l’uomo (gruppo 2A).
Il limite fissato dall’Unione Europea per la sostanza è
di 0,1 microgrammi/litro in acqua potabile mentre in
vari altri paesi, come Stati Uniti d’America e
Giappone, pur non essendo definite soglie di concentrazione, sono comunque suggerite precise procedure
di trattamento per evitare un accumulo di questa
sostanza. L’acrilammide presenta la peculiare capacità di formare, quando “innescata” da opportuni catalizzatori, “reti” ad alto peso molecolare, che ne determinano la polimerizzazione a poliacrilammide,
sostanza innocua. Da ciò consegue la sua utilizzazione in varie applicazioni, tra cui la separazione elettroforetica di macromolecole e l’impiego come agente
di consolidamento del suolo, il cui uso per l’appunto
determinò la dispersione ambientale nel 1997.
Nell’incidente svedese, il riscontro di alterazioni
comportamentali nella fauna locale (episodi di intossicazione acuta attribuibili alle caratteristiche neurotossiche della molecola) fornì il primo indizio del rilascio ambientale di acrilammide. Immediatamente si
rese necessario l’approntamento di tecniche analitiche
al fine di chiarire in che misura questa contaminazione potesse aver anche coinvolto persone del luogo, e
quindi la definizione di appropriati “controlli” provenienti da aree non interessate al rilascio. Con grande
sorpresa si riscontrò che i anche “controlli” risultarono positivi per l’acrilammide. Fu quindi evidente che
dovevano sussistere ulteriori fonti di contaminazione
ambientale e venne perciò esaminata la possibilità che
la sostanza fosse assunta con la dieta. In effetti, i prodotti derivati dalla trasformazione e frittura delle
patate si rivelarono ben presto come la fonte principale del composto. Nel volger di pochi anni si svilupparono ed affinarono tecniche analitiche basate su cromatografia liquida o gassosa associata a spettrometria
di massa (Tareke et al., 2002; Jezussek and
Schieberle, 2003; Pollien et al., 2003) e si confermò
sperimentalmente che condizione necessaria e sufficiente perché si formino significativi livelli di acrilammide è la presenza di zuccheri riducenti e amminoacidi liberi. In particolare l’asparagina, un amminoacido abbondante in patata (sono riportati valori tra
i 1-3 g/kg peso fresco corrispondenti circa al 40% del
totale degli amminoacidi liberi) si è rivelata estremamente efficace nel sostenere la reazione, spiegando
così l’elevato potenziale per la formazione di acrilammide di patata e derivati (Mottram et al., 2002; Zhang
e Zhang, 2007).
La produzione di acrilammide risultò quindi essere
causata da una particolare sottoclasse della reazione
L’addolcimento da freddo dei tuberi di patata
di Maillard, dove lo zucchero riducente si combina
con il gruppo amminico dell’amminoacido asparagina
(la reazione è schematizzata in figura 1). Si cercò
immediatamente di sperimentare metodiche tese a
ridurre o comunque contenere il contenuto di acrilammide in vari prodotti ma in particolare nei derivati di
patata, che per l’appunto costituiva la fonte di gran
lunga più abbondante della sostanza. In pochi anni
risultò evidente che, mentre la gamma di concentrazioni degli zuccheri poteva fluttuare in modo estremamente cospicuo (migliaia di volte, a causa dell’effetto
dell’addolcimento da freddo), il contenuto dell’amminoacido presentava variazioni molto più modeste, dell’ordine di poche volte. Ne conseguiva evidentemente
che il parametro che più si prospettava come efficace
per contenere la generazione di acrilammide era l’ammontare degli zuccheri riducenti.
L’allarme generato da questi studi ha comprensibilmente alimentato molta ricerca al tentativo di contenere la formazione di acrilammide nei prodotti di
trasformazione di patata. Un gran numero di approcci
eterogenei, tesi sia ad alterare la cinetica della formazione (agendo sulle modalità di cottura e parametri
associati e trattamenti aggiuntivi e/o complementari)
oppure a variare le caratteristiche del materiale di partenza è stato testato. Nel caso di pre-trattamenti, la
logica di tali interventi consiste nel depauperare i precursori dell’acrilammide, quindi zuccheri riducenti e
asparagina, con varie tipologie di trattamento o di rendere più blande le condizioni di frittura con particola-
re riferimento alla durata e temperatura, che condizionano fortemente la formazione della sostanza tossica.
In tal senso, alcuni tra i più recenti approcci di cottura
testati per ridurre l’acrilammide prevedono una riduzione dei tempi e metodiche complementari quali precottura col microonde (Erdogdu et al., 2007; Sahin et
al., 2007). In tabella 1 si è tentato di riassumere sinteticamente (accorpando varie tipologie del prodotto
trasformato, poiché in molti casi si riscontra una
sostanziale similarità) lo stadio di intervento, la tipologia, ed il grado di successo ottenuto nel contenere la
formazione di acrilammide e le eventuali problematiche associate all’intervento correttivo, facendo riferimento, ove non altrimenti specificato, all’eccellente
review di Zhang e Zhang (2007) e alle referenze ivi
contenute.
In linea generale, comunque, il contenimento del
livello di zuccheri riducenti, (livelli non superiori a
0,5-1 g per kg di peso fresco) e la riduzione al minimo
indispensabile del periodo di frittura (evitando che la
colorazione si intensifichi oltre il giallo) sono tra i fattori che maggiormente influenzano lo sviluppo di
acrilammide (fig. 2).
Fig. 1 - Schema sintetico della generazione di acrilammide in
trasformati di patata. La reazione avviene ad alte temperature di
cottura ed è una sottoclasse della reazione di Maillard che
coinvolge l’amminoacido asparagina (abbondante nei tuberi) e
zuccheri riducenti. Tra i vari zuccheri riducenti che possono
sostenere la reazione, in patata prevalgono glucosio e fruttosio.
Molti passaggi sono stati omessi per ragioni di chiarezza.
Fig. 1 - Scheme of acrylamide synthesis in potato derivatives. The
reaction takes place at high cooking temperatures and is a
specific type of Maillard reaction involving the amino-acid
asparagine (abundant in potato tubers) and reducing sugars. In
potato, the main reducing sugars are glucose and fructose Many
steps have been omitted for the sake of clarity.
Fig. 2 - Effetto della temperatura di conservazione dei tuberi sulla
produzione di acrilammide in trasformati di patata. Metà sinistra,
patate conservate a 10 °C (zuccheri riducenti: 0.7 g/kg;
acrilammide sviluppata: 290 µg/kg). Metà destra: conservazione a
4 °C (zuccheri riducenti: 6.9 g/kg; acrilammide: 2500 µg/kg).
Tratto da Koni Grob (2003).
Fig. 2 - Effect of different storage temperaures on acrylamide
production in potato derivatives. On the left side, tubers were
incubated a 10 °C (reducing sugars: 0.7 g/kg; acrylamide
produced: 290 µg/kg). On the right side: tubers were incubated at
4 °C (reducing sugars: 6.9 g/kg; acrylamide: 2500 µg/kg). From
Koni Grob (2003).
37
Bagnaresi et al.
Tab. 1 - Principali strategie finora valutate per contenere lo sviluppo di acrilammide.
Tab. 1-Main approches tested to date in order to limit acrylamide content.
Stadio
Azione
Riduzione di
acrilammide
Problematiche associate
Cultivar di patata
Selezione di cv con bassa
suscettibilità all’addolcimento
Buona
Possibile basso contenuto di
amido
Cultivar di patata
Moderato contenuto di
asparagina
Modesta
-
Tipo di agrotecnica
Alta fertilizzazione azotata
Modesta
-
Stoccaggio tuberi
Temperatura stoccaggio
superiore a 10° C
Ottima
-
Trattamento pre-fittura
Immersione in soluzioni di
varia natura tipo acido
acetico, NaCl, acido citrico, ecc.
Buona
Possibile alterazione
caratteristiche
organolettiche finali
Trattamento pre-fittura
Incubazione con asparaginasi
per ridurre il contenuto di
asparagina
Buona
Trattamento pre-fittura
Blanching (trattamento acqua
calda- varie temperature- per
ridurre il contenuto di
zuccheri riducenti e
asparagina)
Buona
Modalità di frittura
Accorciamento dei tempi
(fermare la colorazione)
Buona
Modalità di frittura
Abbassamento temperatura di
frittura (a.e.160 vs 170°C)
Buona
Rapporto patate/olio
Mantenere il rapporto
prossimo 1:8
Buona
-
Modalità di frittura
Tipo di olio usato
Scarsa
-
Modalità di frittura
Ridurre il tempo di frittura: il
contenuto di umidità
caratteristico del prodotto si
raggiunge in seguito a
essiccamento post frittura
Buona
Possibile alterazione
caratteristiche
organolettiche
Modalità di frittura
Ridurre il tempo di frittura:
pre-cottura con forno a
microonde
Buona
Il ruolo del germoplasma nel controllo dell’acrilammide
Sulla base di quanto descritto, la selezione di cv con
una bassa predisposizione alla formazione di acrilammide si è basata sull’individuazione di varietà con
basso livello basale e/o potenzialità per l’accumulo di
zuccheri riducenti. Recentemente, la varietà americana ‘Ranger Russet’ è stata geneticamente trasformata
esibendo alterazione in alcune caratteristiche dell’amido che ne diminuiscono la suscettibilità alla degradazione e quindi contenendo (anche se in modo
modesto) l’accumulo di zuccheri (Rommens et al.,
2006). Degno di nota il fatto che è stata utilizzata a tal
38
Scarsa disponibilità
dell’enzima
Possibile alterazione
caratteristiche
organolettiche finali
Possibile alterazione
caratteristiche
organolettiche finali
Possibile alterazione
caratteristiche
organolettiche finali
(Erdogdu et al., 2007;
Sahin et al., 2007)
proposito una peculiare tecnica di trasformazione che
ha fatto esclusivo utilizzo di geni di patata (approccio
“intragenico”) diminuendo così possibili fattori di
rischio reali e/o percepiti inerenti a tali tecniche
(Rommens, 2007; Rommens et al., 2007).
Prescindendo da approcci che originano OGM, analisi
condotte da investigatori europei hanno identificato
varietà quali ‘Panda’, ‘Lady Claire’, ‘Markies’,
‘Agria’ e ‘Fontane’ come interessanti. Infatti si sono
dimostrate, dopo stoccaggio ad 8 °C, in grado di contenere la produzione finale di acrilammide anche se
tale caratteristica presentava significative fluttuazioni
stagionali e dipendeva dalla tipologia precisa finale
del trasformato (Heibeisen et al., 2005). Oltreoceano,
L’addolcimento da freddo dei tuberi di patata
d’altro canto, la pressione per lo sviluppo di varietà a
basso contenuto di zuccheri riducenti o addirittura
qualificabili come “cold chippers” (ossia capaci di
esibire un modesto sviluppo di zuccheri riducenti
anche durante stoccaggio a basse temperature) è sicuramente altrettanto intensa e numerose varietà interessanti in tal senso sono state introdotte in questi anni,
quali ‘Ivory Crisp’ (Love et al., 2003), ‘Dakota Pearl’
(Thompson et al., 2005) e ‘White Pearl’ (Groza et al.,
2006).
Un altro aspetto recentemente affrontato in modo
sistematico è la possibilità di contenere l’acrilammide
anche modulando il livello di asparagina. Mentre i
livelli di asparagina, a parità di genotipo, sono scarsamente influenzati da stress abiotici quale il freddo
(Olsson et al., 2004) si è in alcuni casi evidenziata
una certa variabilità in funzione delle varietà considerate (Vivanti et al., 2006), per quanto in numerosi altri
studi le variazioni varietali registrate siano assai
modeste. Tuttavia, l’evidenza sperimentale sulla correlazione tra il livello di asparagina e la formazione di
acrilammide è decisamente più aleatoria (se non spesso addirittura assente) di quanto non si sia verificato
tra livelli di zuccheri riducenti e acrilammide, ed un
cospicuo numero di studi condotti anche molto recentemente, (Vilklund et al., 2008) ribadiscono il ruolo
prioritario rivestito dagli zuccheri riducenti nel predisporre alla formazione di acrilammide rispetto all’asparagina. Si ritiene, infatti, che i livelli di asparagina,
anche nelle varietà a basso contenuto, siano comunque ampiamente sufficienti per consentire la reazione
di formazione di acrilammide. Un altro fatto da tenere
in considerazione è la funzione di stoccaggio d’azoto
dell’asparagina: la riduzione (ad esempio, abbassando
i livelli di fertilizzazione azotata) del contenuto di
asparagina potrebbe infatti risultare in una partizione
preferenziale del carbonio verso carboidrati (e quindi
anche zuccheri riducenti) rispetto a composti azotati,
con un effetto controproducente sull’accumulo di
acrilammide per quanto già esposto sopra (De Wilde
et al., 2006; Elmore et al., 2007).
Perchè le patate addolciscono al freddo?
Nonostante il fenomeno sia oggetto da lungo
tempo di intensi studi, molti aspetti dell’addolcimento
sono a tutt’oggi ancora poco chiari. In particolare, non
esiste neppure uniformità di vedute sul fatto che il
fenomeno si possa inquadrare come una reazione
“fisiologica”, adattativa e quindi tesa a fronteggiare il
freddo oppure rappresenti una semplice disfunzione a
carico del metabolismo dei carboidrati senza alcun
significato protettivo. Tra le ipotesi raggruppate nella
visione “disfunzionale” si annoverano, ad esempio,
l’ipotesi della sensibilità al freddo degli enzimi deputati alle prime fasi della glicolisi (a.e. fosfofruttochinasi) che determinerebbe un disaccoppiamento fra
degradazione dell’amido (processo inevitabile, ma
che decorre lentamente nel tubero conservato a temperature normali al fine di garantire i processi minimi
vitali) e processi a valle (glicolisi, via dei pentosi
fosfati, respirazione mitocondriale, respirazione anaerobica) che, a temperature normali, in varie proporzioni e secondo le condizioni di stoccaggio smaltiscono gli zuccheri evitandone l’accumulo (Sowokinos,
2001). Ulteriori ipotesi disfunzionali fanno riferimento ad un’alterata integrità delle membrane mitocondriali, con conseguente malfunzionamento del catabolismo aerobico ed “intasamento” del flusso del carbonio con l’insorgenza di un meccanismo analogo a
quello sopra descritto. Alternativamente, sono stati
invocati danni a carico della membrana vacuolare, che
causerebbe una perdita di zuccheri dalla sede più
appropriata di accumulo degli stessi (vacuolo). Infine,
altre ricerche hanno proposto un’alterazione temperatura-dipendente dei fenomeni di splicing ( p r o c e s s amento del trascritto di RNA primario nella sua forma
matura) dell’invertasi (enzima chiave che catalizza la
demolizione del saccarosio in glucosio e fruttosio)
(Bournay et al., 1996).
A questa corrente di pensiero “disfunzionale”, tuttavia, se ne è più di recente affiancata un’altra che
assegna all’accumulo di zuccheri un preciso significato difensivo. Infatti, l’accumulo di zuccheri si sta
sempre più dimostrando come un meccanismo crioprotettivo, condiviso da varie specie vegetali sottoposte a basse temperature (Deiting et al., 1998, e referenze ivi incluse). In particolare, le basse temperature
producono effetti che in ultima analisi sono riconducibili a quelli della disidratazione, poichè la formazione
di ghiaccio apoplastica causa un efflusso di acqua dal
citoplasma e quindi prelude alla disidratazione
(Bagnaresi et al., 2004). In questo senso, l’aumento
della concentrazione dei soluti contrasta la perdita di
acqua diminuendo il potenziale osmotico del citoplasma. Inoltre, poiché molti zuccheri sono “soluti compatibili” (Bagnaresi et al., 2004, e referenze ivi incluse; Kaplan et al., 2004) un aumento anche significativo della loro concentrazione è compatibile con un
normale metabolismo citoplasmatico ed anzi, in casi
di disidratazione più estrema gli zuccheri possono stabilizzare le strutture biologiche, vicariando in parte la
funzione esplicata dall’acqua (Hoekstra et al., 2001).
In aggiunta, fatto ancora più importante, molti zuccheri esibiscono più o meno accentuate proprietà di
scavengers con funzioni protettive verso composti
39
Bagnaresi et al.
reattivi (molecole reattive dell’ossigeno; ROS) che
vengono prodotti a tassi particolarmente elevati in circostanze stressanti. Il coniugarsi dei due effetti è ritenuto essenziale per funzioni protettive in vari stress
abiotici che comportano la disidratazione ed, in effetti, come recenti esperimenti di profiling trascrizionale
e di determinazione di metaboliti su varie specie
hanno evidenziato, l’accumulo di vari zuccheri e
quindi una induzione dell’apparato biosintetico associato è un fenomeno interspecifico che si registra
comunemente in seguito alla percezione del freddo
anche in sistemi modello (Gilmour, et al., 2000;
Fowler e Thomashow, 2002; Hannah et al., 2006).
Nonostante questa ipotesi fisiologica acquisti via via
maggiore consenso presso i ricercatori, molte incertezze ancora affliggono la nostra comprensione dell’addolcimento, ed in particolare la successione precisa degli eventi molecolari che innescano l’addolcimento stesso è sostanzialmente ignota. Queste difficoltà almeno in parte derivano dall’eterogeneità dei
sistemi sperimentali utilizzati e/o delle metodiche a
bassa efficienza che, sino a pochi anni or sono, si
sono dovute necessariamente utilizzare in mancanza
di alternative.
Tra gli enzimi che sicuramente esplicano un ruolo
centrale nel fenomeno vi è l’invertasi, infatti già da
alcuni anni un’invertasi acida inducibile da freddo è
stata clonata. Contrariamente alle aspettative, l’inattivazione con procedure antisenso della stessa ha però
quasi esclusivamente alterato il rapporto tra glucosio
+ fruttosio e saccarosio, con modesto impatto sull’accumulo complessivo degli zuccheri (Zrenner et al. ,
1996). Maggiore successo è stato ottenuto con un
ulteriore approccio transgenico che è consistito nell’espressione ectopica di un inibitore di invertasi di
tabacco; in tal modo, infatti, si è ovviato al problema
di isoforme dell’invertasi, raggiungendo un’inibizione
dell’accumulo di esosi con picchi di riduzione fino al
75% (Greiner et al., 1998, 1999). Tuttavia, come
notato da alcuni studiosi (Sowokinos, 2001), la media
di accumulo di zuccheri riducenti che persisteva era
ancora decisamente troppo elevata per gli standard di
processamento di patata. Il ruolo esplicato dalle invertasi è probabilmente più esteso e complesso di quanto
a tutt’oggi sia stato possibile chiarire, anche a causa
della partecipazione alla regolazione della loro attività
di un inibitore dal ruolo poco chiaro (Pressey, 1967;
Rausch e Greiner, 2004) e di fatto un numero maggiore di invertasi rispetto a quelle fino ad oggi investigate
sembra partecipare all’addolcimento da freddo; in
particolare, varie invertasi stimolate da freddo e caratterizzate da un certo grado di varietà in termini di
dipendenza da pH, Km e termostabilità sono state evi40
denziate con tecniche cromatografiche già diversi
anni orsono (Sasaki et al., 1971). Infine, sempre in
merito alle invertasi, un approccio genetico basato sui
Quantitative Trait Loci (QTL) ha suggerito il coinvolgimento di un’invertasi di parete cellulare (invGE),
che è tra l’altro risultata ortologa ad una invertasi
(lin5) di pomodoro che controlla i livelli di glucosio
nella bacca (Fridman e Zamir, 2003). Tuttavia, la
localizzazione extracellulare di invGE non facilita
una chiara comprensione del suo ruolo che resta da
definire con ulteriore sperimentazione (Menendez et
al., 2002; Li et al., 2005).
Altri enzimi candidati per un ruolo nell’addolcimento (vedi anche Fig. 3) sono l’UGPasi (che catalizza l’attivazione del glucosio formando il composto
UDP-glucosio) e la saccarosio fosfato sintasi (SPS)
che combina UDP-glucosio e fruttosio consentendo la
formazione di saccarosio fosfato, poi defosforilato da
una fosfatasi che produce il saccarosio vero e proprio.
Tuttavia, ambo gli enzimi in approcci antisenso non
Fig. 3 - Diagramma semplificato dei principali metaboliti ed
enzimi che si ritiene partecipino allo sweetening. Molte tappe
enzimatiche e metaboliti sono omessi per ragioni di chiarezza.
UGPasi: UDP-glucosio pirofosforilasi; SPS: saccarosio fosfato
sintasi; GWD: Glucan-water Dikinase; PWD: PhosphoglucanWater Dikinase; OPPP: via ossidativa dei pentosi fosfati. Si
evidenzia in particolare il flusso di carbonio che, a fronte della
accentuata degradazione dell’amido scatenata dal freddo, vede il
contributo di vari enzimi amiloplastici tra cui alcuni sono indicati
(molti aspetti della fase amilolitica sono tuttavia ancora da
chiarire). Il carbonio proveniente dall’amido viene incanalato nella
via di generazione degli esosi (a partire dall’azione della UGPasi)
a discapito di altri processi catabolici (tra cui riportiamo Glicolisi
e OPPP) che prevalgono in situazioni fisiologiche.
Fig. 3 - Simplified scheme of the main enzymes and metabolites
thought to be involved in potato tuber cold sweetening. Many
enzymatic steps as well as metabolites were omitted for the sake of
clarity. UGPasi: UDP-glucose pyrophosphorylase; SPS: Sucrose
Phosphate Synthase GWD: Glucan-water Dikinase; PWD:
Phosphoglucan-Water Dikinase; OPPP: Oxidative Pentose
Phosphate Pathway. The carbon flux triggered by cold exposure
prompts the intervention of various amyloplastic enzymes,
including those indicated (however, several aspects of starch
degradation still await a clear understanding). Starch-derived
carbon is channelled for hexogenesis (starting from UGPase) at
the expenses of other catabolic pathways (including glycolysis and
OPPP) prevailing in other physiological contexts.
L’addolcimento da freddo dei tuberi di patata
hanno dimostrato significativa riduzione dell’addolcimento, probabilmente a causa dell’abbondante grado
di espressione costitutivo e quindi controllo dell’attività enzimatica esercitato dai substrati più che dal
grado di espressione dell’enzima stesso (Sowokinos,
2001). Tuttavia, la UGPasi sembra rivestire un ruolo
di una certa rilevanza legato al tipo di isoforme
(Gupta et al., 2003; 2007), mentre la SPS dimostra in
seguito all’incubazione da freddo un’alterazione delle
sue caratteristiche cinetiche e un accumulo dei trascritti (Deiting et al., 1998). Recenti studi di inattivazione tramite RNA interference della saccarosio fosfato fosfatasi hanno invece evidenziato una correlazione
inversa tra l’accumulo di saccarosio fosfato e attività
invertasica, con molti aspetti ancora da chiarire (Chen
et al., 2008).
Procedendo a ritroso, cioè sempre più a monte
degli zuccheri riducenti ma vicino ai probabili eventi
scatenanti lo sweetening, si accetta in generale che
l’addolcimento sia alimentato dai monosaccaridi provenienti dall’amido, e vari enzimi amilolitici sono
stati coinvolti nello sweetening, ossia amido fosforilasi, α-amilasi e β-glucosidasi. L’enzima amido fosforilasi è stato frequentemente in passato coinvolto nella
degradazione dell’amido da freddo (Sowokinos,
2001) e in alcune pubblicazioni approcci transgenici
antisenso, anche recenti, hanno avuto successo, per
quanto modesto, nel ridurre gli zuccheri accumulati
nel corso di tre mesi di stoccaggio (Rommens et al.,
2006). Nessuna modulazione dell’attività fosforolitica
è stata tuttavia evidenziata nel corso dei primi 48 giorni d’incubazione al freddo (Hill et al., 1996). In questi
ultimi anni si tende infatti a dare maggiore credito a
processi di degradazione dell’amido non-fosforolitici,
anche in relazione ad ampie evidenze di degradazione
dell’amido prevalentemente idrolitica in altri distretti
della pianta (Smith et al., 2005, Lu e Sharkey, 2006).
In particolare, un’attività amilasica, dimostratasi sulla
base delle specificità di substrato una β-amilasi, si
rende visibile assai precocemente in tuberi sottoposti
a basse temperature (dopo 3 gg) (Nielsen et al., 1997;
Deiting et al., 1998) per quanto fino ad oggi non fosse
nota a livello di sequenza. Tuttavia, il grado di fosforilazione dell’amido può esplicare una funzione facilitante gli eventi amilolitici: è stato infatti recentemente
proposto che, in altri contesti, la GWD (Glucan-water
dikinase, enzima che fosforila l’amido; Mikkelsen, et
a l ., 2005) faciliti l’azione proprio della β- a m i l a s i
(Edner et al., 2007).
Come si può apprezzare da questa breve panoramica, a parte qualche evidenza episodica, molto resta da
chiarire sull’addolcimento.
Gli eventi trascrizionali precoci associati allo
sweetening
Un grave problema che ha afflitto la ricerca sullo
sweetening nel passato è stata l’eterogeneità dei sistemi sperimentali utilizzati (diversità in termini di cultivar, tempi di stoccaggio, metodologie sperimentali)
che sovente ha prodotto risultati poco riproducibili.
Inoltre, la mancanza fino a pochi anni orsono di metodologie ‘high throughput’ ha costretto di focalizzare
l’indagine ad uno o pochi geni, con risultati spesso
difficilmente collocabili in un contesto complessivo e
coerente. L’approccio ideale, quindi, si configurava
come un monitoraggio a 360° dell’attività di espressione genica (profiling trascrizionale con microarray)
come condizionata dai primi giorni della percezione
del freddo. L’utilizzo di piattaforme microarray, purtroppo, è però limitato dalla disponibilità degli stessi
che, specialmente nel caso delle piattaforme più
accreditate, copre solo poche specie, solitamente specie modello come Arabidopsis o comunque altre specie di primario rilievo commerciale (riso, vite, pomodoro, ecc.) per le quali si siano rese disponibili numerose sequenze, se non addirittura il completo genoma.
Nel caso della patata, pur essendosi resa disponibile
per qualche anno una piattaforma microarray (ora
non più disponibile) basata su cDNA spottati (in
generale ritenuti di qualità modesta), la piattaforma
più accreditata, cioè i GeneChip Affymetrix (microar ray di oligonucleotidi di alta qualità e standardizzati),
non sono ancora stati sviluppati. Si è quindi testato un
approccio di ibridazione eterologa facendo uso del
GeneChip di pomodoro, avvalendosi dell’alta parentela filogenetica delle due specie e delle peculiari caratteristiche tecniche dei GeneChip Affymetrix. Quindi,
una ulteriore valenza di questo approccio è consistito
nell’esplorazione di metodologie di ibridazione eterologa che possono essere di utilità generale per i ricercatori perché applicate nei numerosi casi laddove non
esista un supporto microarray specifico per una specie in studio (Bar-Or et al., 2006; 2007).
La peculiarità dei GeneChip Affymetrix che facilita
approcci di ibridazione eterologa scaturisce dalla
struttura stessa degli array. Infatti, per ciascun mRNA
rappresentato nel microarray stesso, in sede di progettazione del chip viene inizialmente definita la regione
rappresentativa di un trascritto (regioni ‘target’, di
solito non più di 500 paia di basi, localizzate verso la
regione in 3’). Quindi, il confronto della regione target con altri geni di organismi omologhi può già fornire una misura di affidabilità. Sulla base e all’interno
di queste sequenze target vengono sintetizzati in situ
sul chip diversi oligonucleotidi (nel caso di pomodo41
Bagnaresi et al.
Fig. 4 - Analisi del segnale del GeneChip a livello di oligonucleotidi. A titolo di esempio, è stata scelta la saccarosio fosfato sintasi (SPS).
Sulla sinistra, gli oligonucleotidi che rappresentano nel GeneChip la SPS di pomodoro (da 1 a 11) sono allineati a sequenze della SPS di
patata con cui è risultata massima l’identità in seguito ad allineamento. I mismatches, se presenti, sono contrassegnati da un simbolo nero.
A: stress da freddo (4 gg a 4 °C); B: controllo a 17 °C. Si noti come nel solo caso di mismatch multipli e/o centrali (a.e. 9, 5, 11) il segnale
si discosta notevolmente da quello medio (induzione da freddo di circa 3 volte) per gli oligonucleotidi identici. Le barre rappresentano i
segnali associati ai probes ‘perfect match’ (chiare) e ‘mismatch’ (scure).
Fig. 4 - Probe-level analysis of GeneChip signals as affected by sequence mismatches.
SPS ( induced about 3- fold by cold) is shown as an example. On the left, numbered from 1 to 11, tomato probe sequences (perfect match
probes) are aligned to potato sequences and mismatches are highlighted by a black dot. Noteworthy, only signals associated to probes
with multiple and/or central mismatches are severely impaired. Light and dark bars represent signal intensities associated to perfect
match and mismatch probes, respectively.
ro, 11) ciascuno lungo 25 nucleotidi. La logica di tale
concezione progettuale è quella di fornire un ampia
ridondanza di segnali sperimentali, tanti quanti sono
gli oligonucleotidi, per ciascun target, al fine di minimizzare problematiche quali ‘cross-ibridazioni’ molto
comuni negli approcci globali. Va tuttavia rilevato
che spesso un numero ben inferiore di oligonucleotidi
è sufficiente per una buona stima del segnale
(Antipove et al., 2002; Grigoryev et al., 2005). Da ciò
consegue che, nel caso di una ibridazione eterologa, si
possono scartare in sede di elaborazione dei dati i
segnali associati a specifici oligonucleotidi che riflettono sequenze non identiche tra le due specie preservando invece gli oligonucleotidi identici. Va tuttavia
osservato che, ovviamente, tale approccio “correttivo”
è limitato ai trascritti della pianta in studio per i quali
esista informazione di sequenza. Nel caso questi siano
in numero modesto, va tuttavia osservato che il dato
grezzo dell’ibridazione eterologa, riguardante la tota42
lità dei geni rappresentati nel microarray, può sicuramente fornire preziose informazioni sulle tendenze
complessive di espressione anche se va ovviamente
interpretato con cautela.
La peculiarità strutturale dei GeneChip Affymetrix
ha infatti trovato varie applicazioni in contesti di ibridazioni eterologhe. Un approccio sviluppato è
“Xspecies” che, con una metodologia biologica e
informatica, basandosi sui segnali ottenuti in test preliminari di ibridazione con DNA genomico di una
specie di interesse, scarta gli oligonucleotidi che non
producono segnale assumendo che questo fatto rifletta
mancanza di identità nucleotidica tra i trascritti delle
due specie (Hammond et al., 2005; 2006). Per quanto
la fattibilità di tale approccio sia assodata, alcuni fattori tra cui la necessità di sviluppare protocolli biochimici ad hoc ed un certo margine di incertezza relativo
all’uso di sequenze genomiche che includono DNA
non-codificante che potrebbe interferire in modo inat-
L’addolcimento da freddo dei tuberi di patata
teso rende poco attraente l’approccio a molti ricercatori.
Sulla base della struttura dei GeneChip Affymetrix,
sono quindi state esplorate due strategie di approccio.
Globale, a livello di target, con generazione di un
file “Global Match” (Bagnaresi et al., 2008) che, confrontando l’interezza delle sequenze target di pomodoro identifica il miglior corrispettivo di patata, consentendo quindi di assodare la rappresentatività di un
gene di pomodoro per il corrispettivo di patata; poiché, infatti, gli oligonucleotidi del GeneChip che rappresentano tale gene di pomodoro sono definiti entro
la sequenza target, maggiore è l’identità complessiva
tra la sequenza target e un corrispettivo di patata maggiore è evidentemente la possibilità che tali oligonucleotidi abbiano alta identità con le sequenze di patata. Il Global Match File pomodoro-patata è un database ricercabile che consente di identificare immediatamente, a partire da un segnale ottenuto nel GeneChip
di pomodoro, a quale corrispettivo di patata meglio si
attagli, quale sia la annotazione del corrispettivo di
patata e la bontà di tale associazione tramite alcuni
parametri che definiscono la qualità dell’allineamento. Permette inoltre di definire sottoinsiemi di geni
con alta omologia pomodoro-patata. Un alto grado di
omologia, infatti, minimizza l’incertezza nell’ affidabilità dei dati.
Locale (attualmente in sviluppo), a livello degli
oligonucleotidi definiti entro la sequenza target, a
scala più ridotta (al momento, pochi geni possono
essere simultaneamente processati) ma più accurata.
In questo modo, si determina un vero e proprio “adattamento” a livello di sequenza del GeneChip di pomodoro ai geni di patata escludendo dalla valutazione dei
dati gli oligonucleotidi con un grado di omologia
basso tra le due specie. Come si può osservare nella
figura 4, infatti, solo in caso di numerosi mismatch o
mismatch in regioni centrali il dato di espressione
risulta significativamente alterato. In questo modo,
(laddove esista informazioni di sequenza per la specie
d’interesse) si minimizzano potenziali fonti di errore
dovute a differenze di sequenza tra i geni, mentre evidentemente si può sempre osservare l’andamento
“grezzo” dell’espressione genica sulla totalità dei geni
rappresentati nel GeneChip.
La sperimentazione (Bagnaresi et al., 2008) ha
permesso di discriminare specifici membri di famiglie
geniche che sono modulati dal freddo (4 giorni a 4 °C
rapportati al controllo a 17 °C) e l’espressione di tali
geni è stata studiata in modo dettagliato con esperimenti di PCR Real-time nel corso di 24 giorni di incubazione ottenendo una panoramica dettagliata e comprensiva degli eventi trascrizionali precoci indotti dal
freddo. In particolare, si è evidenziato un andamento
bifasico dell’espressione genica per vari geni associati
ai carboidrati, che ben si integra con l’andamento trascrizionale di geni quali l’invertasi acida e la saccarosio fosfato sintasi precedentemente studiati. Di estremo interesse si è rivelata l’identificazione a livello di
sequenza di attività enzimatiche da lungo tempo note
per la partecipazione all’addolcimento, come β-amilasi ed invertasi neutre, fatto che consentirà ai ricercatori di avvalersi di efficaci e precisi strumenti molecolari con tecniche quali RNA interference per una comprensione approfondita del fenomeno. Inoltre, l’attività β-amilasica identificata a livello di sequenza presenta residui critici conservati di cisteina, caratteristici
di altre β-amilasi che hanno dimostrato di essere
oggetto di controllo redox in altri contesti (Sparla et
al., 2006). Appare quindi estremamente probabile che
l’impulso di attività β-amilasica, un tratto saliente dell’addolcimento da freddo, sia controllato da segnali di
tipo redox, così come del resto sta emergendo per vari
processi cellulari in particolare legati all’amido
(Kolbe et al., 2006). Di interesse ancora maggiore l’evidenziazione di processi globali, quali l’induzione di
geni associati ai processi redox ed alla sintesi e risposta a specifici ormoni che potrebbero veicolare il
segnale che conduce all’addolcimento.
In ultima analisi, questo tipo di approccio, in
aggiunta allo sviluppo di metodologie bioinformatiche per condurre ibridazioni eterologhe, già alla luce
dei primi risultati si profila di estremo interesse, avendo reso disponibili strumenti molecolari e concettuali
di sicuro ausilio nella comprensione dell’addolcimento e quindi potenzialmente nel controllo dell’acrilammide nei prodotti di trasformazione di patata.
Conclusioni
Se da un lato la ricerca di metodologie di conservazione naturali come alternative a trattamenti chimici ha riproposto un generale interesse per le basse
temperature, la conservazione dei tuberi a temperature
inferiori a 7-8 °C genera problematiche di estremo
rilievo tra cui l’accumulo di zuccheri riducenti, con
sgradevoli conseguenze come l’annerimento in sede
di frittura a causa della reazione di Maillard. Negli
ultimi anni la ricerca ha evidenziato un fattore di pericolo ben più cospicuo, ossia la formazione di acrilammide, sostanza neurotossica e genotossica, che si produce a causa di una particolare sottospecie della reazione di Maillard tra zuccheri riducenti e l’amminoacido asparagina, particolarmente ricco in patata. A
livello varietale, quindi, il moderato tenore in zuccheri riducenti e asparagina si configurano tra i primi
43
Bagnaresi et al.
obiettivi del breeding per germoplasma con basso
potenziale di sviluppo per l’acrilammide. E’ necessario tuttavia sottolineare che, in accordo con quanto
sino ad oggi sperimentato, ci si attende una fluttuazione molto più marcata nei livelli di zuccheri riducenti
(soprattutto, per l’appunto, a causa di fenomeni quali
l’addolcimento) che non nei livelli di asparagina.
Un’ulteriore sfera di intervento per il contenimento
dell’acrilammide è invece rappresentata dalla tipologia di preparazione e cottura, poiché, infatti, temperatura, durata di cottura e pretrattamenti quali pre-lavaggi finalizzati a depauperare la matrice dei fattori critici (a.e. blanching, pre-incubazioni con acidi e basi,
pre-cottura con microonde) hanno rivelato un certo
grado di efficacia.
La via maestra, tuttavia, per contrastare l’addolcimento si prospetta come una chiara comprensione
della dinamica degli eventi che si innesca a partire
dalla percezione del freddo da parte dei tuberi. A tale
scopo, le ricerche condotte con un approccio di profi ling trascrizionale tramite microarray e ibridazione
eterologa si stanno rivelando cruciali nell’identificazione a livello molecolare di vari enzimi associati allo
sweetening, fornendo ai ricercatori potenti strumenti
molecolari e concettuali per intervenire sul fenomeno.
Riassunto
Si è recentemente appurato che lo stoccaggio dei
tuberi a basse temperature non solo provoca l’addolcimento ma, in seguito a frittura si produce la sostanza
neurotossica e genotossica acrilammide. A tale processo contribuiscono zuccheri riducenti e in minor
misura l’asparagina. Diverse varietà e procedure di
frittura sono state esplorate al fine di contenere lo sviluppo di acrilammide. Tuttavia, l’approccio più promettente appare la prevenzione dell’accumulo degli
zuccheri. A tal proposito, si descrivono recenti ricerche che, con metodologia microarray stanno chiarendo gli eventi trascrizionali precoci associati alla percezione del freddo nei tuberi.
Parole chiave: reazione di Maillard, acrilammide,
asparagina, microarray.
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