I CONSULENTI DEL LAVORO PER IL SOCIALE I

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I CONSULENTI DEL LAVORO PER IL SOCIALE
I tempi di lavoro e non solo
(Pari Opportunità e Buone Pratiche per i lavoratori)
Ci siamo finora occupati dei punti di vista e delle necessità dei Datori di lavoro, cui siamo tenuti a
dedicare prioritariamente le nostre capacità professionali, ma una volta pervenuti ai confini tecnici
della normativa la nostra analisi non può arrestarsi perché trascinata oltre dalla convinzione che il
miglior risultato del nostro lavoro si ottiene da un responsabile riconoscimento del valore centrale
delle risorse umane nell’ambito della gestione aziendale.
La nostra esperienza ed il nostro istinto ci dicono che non è possibile fare progetti o programmi
aziendali in mancanza di un contesto economico-sociale dotato di relativa stabilità, e che le
situazioni di stabilità devono necessariamente coinvolgere anche le maestranze tramite adeguata
formazione ed opportuna fidelizzazione.
Per ottenere tali condizioni bisogna innanzi tutto saper attivare quelle procedure che esprimono
rispetto e giustizia nei confronti di quelli che operano costruttivamente all’interno della struttura
aziendale, il che significa anche non ignorare l’importanza di un corretto equilibrio fra la vita
lavorativa e le esigenze familiari e sociali esterne. E ciò è particolarmente vero nella nostra regione,
dove i relativamente ridotti livelli di disoccupazione denunciano difficoltà logistico-sociali più che
mancanza di posti di lavoro
Anche tenendo conto che è sempre più percepibile la sensazione che i riconoscimenti retributivi
ottengono effetti fugaci sulla soddisfazione lavorativa, e spesso non è chi percepisce alte
retribuzioni quello che restituisce prestazioni corrispondenti. Ed appare invece sempre più pressante
la richiesta di maggiore flessibilità e di più articolate prestazioni previdenziali da parte di diverse
fasce di categorie di lavoratori; lo si nota concretamente dalla enfatizzazione di alcune clausole
presenti negli ultimi rinnovi dei contratti collettivi, quali l’assistenza sanitaria integrativa, il
telelavoro, le banche del tempo.
E non occorre nemmeno andare tanto lontano, ma basta che guardiamo in casa nostra per constatare
che la maggior parte delle nostre forze lavorative, autonome o dipendenti che siano, è composta da
donne, verso le quali diventa elemento centrale per ogni valutazione l’impegno di rispondere alle
loro forti esigenze di coordinare i tempi di lavoro con quelli delle cure familiari.
Recenti segnalazioni della task force del Ministero del lavoro denunciano un progressivo aumento
nel numero di donne che abbandonano il mondo del lavoro, ma anche un confortante aumento dei
progetti di conciliazione ex legge 53/2000: è nostro dovere stare al passo con i tempi ed affrontare
queste problematiche, che ci competono sia come professionisti che come operatori economici.
In pratica bisognerebbe attivarsi per far convergere positivamente vari elementi che interagiscono
sui due versanti, e cioè: orari di lavoro più flessibili, telelavoro, orari dei servizi pubblici e dei punti
di acquisto, trasporti più puntuali ed economici, asili e scuole accessibili fisicamente ed
economicamente, pasti accessibili, visite mediche senza stress, periodi di sospensione lavorativa
non penalizzanti, formazione e ri-formazione, welfare di sostegno, ………
Le famiglie sono essenzialmente consumatrici e, soprattutto quelle con una coppia di lavoratori o
numerose, perennemente in lotta contro il tempo. Occorre coordinare politiche nazionali e politiche
locali sugli orari della distribuzione e dei servizi, creando strisce lavorative fruibili da lavoratori che
privilegiano orari di lavoro non standard a favore di quelli che hanno vincoli familiari e aziendali
che renderebbero problematici gli orari non curricolari
Se sarà possibile calmierare costi e disagi esterni, si avranno lavoratori più disponibili ad accettare
alcuni gravami degli obblighi lavorativi e meno pressanti nelle pretese economiche.
Essendo il nostro ambito operativo centrato sulla dimensione delle piccole e medie imprese, quali
peraltro sono anche i nostri Studi, prioritaria e determinante è sempre la solita questione:
raggiungere la “massa critica” necessaria per giustificare l’economia del progetto e/o per la richiesta
dei finanziamenti. Anche la risposta è sempre la solita: individuare un numero sufficiente di fruitori
nell’ambito dei nostri Studi e dei nostri Clienti.
La componente quantitativa è un elemento essenziale per l’approfondimento dell’analisi delle
possibili iniziative volte al soddisfacimento dell’equilibrio individuale dei lavoratori, e questo
rappresenta un enorme ostacolo in quanto gli stimoli derivanti dall’individuazione di una buona
pratica vengono sistematicamente frustrati dall’evidente pesantezza di eccessivi oneri pro-capite
causati dal ridotto ambito di azione aziendale. Un simile ostacolo si può affrontare solo trovando le
formule per raggiungere i valori numerici di volta in volta necessari, e questo si può ottenere solo
sommando virtualmente le numerose realtà rappresentate dai nostri Studi e dei nostri Clienti.
Fare rete presuppone però un tale balzo culturale che non può essere realizzato se non con la presa
di coscienza collettiva che l’unica risposta possibile sta nella costruzione di soluzioni intese al
superamento dei limiti della dimensione individuale, tese a rafforzare il tessuto professionale contro
le sempre crescenti difficoltà ed ostilità del mercato, nel cui contesto tutti i Professionisti debbono
essere convinti ad alzare la testa dalla loro scrivania per dare un indispensabile contributo di
sostegno. In questa direzione è probabile che spinte determinanti proverranno dai recenti traumatici
provvedimenti legislativi che hanno colpito le categorie professionali.
Sulla scia della “Responsabilità Sociale di Impresa” bisogna sollecitare il Governo ad assumere
misure amichevoli nei confronti delle famiglie, da pubblicizzare adeguatamente in modo da
stimolare le imprese di ogni dimensione, allargando, ad esempio, le esperienze delle Banche ore con
la possibilità di scegliere di essere pagati “in tempo” per le ore extra-ordinarie, o favorendo consorzi
fra piccole aziende e amministrazioni locali per la creazione di asili nido e nuovi servizi per
l’infanzia. I locali delle scuole di ogni ordine e grado, attualmente sottoutilizzati dopo il crollo
dell’onda demografica degli anni 60, potrebbero essere messe a disposizione con modalità di favore
alle famiglie ed a quelle Associazioni o a quegli Enti che possono garantire servizi di assistenza per
i figli e per altri familiari in condizioni di fragilità, cui si potrebbero affiancare servizi
complementari di consulenza e mediazione per affrontare i problemi di queste situazioni di bisogno.
Forse rischiamo di sconfinare in una zona di surroga del servizio pubblico, ma anche il progressivo
ritrarsi delle istituzioni dalle attività sociali, chiaramente denunciato dalle striscianti privatizzazioni
ad ogni livello, deve essere ormai colto come un irreversibile segno del mutare dell’economia
italiana sotto la pressione dell’economia globalizzata: non si può pretendere la riduzione degli oneri
fiscali e previdenziali e nel contempo il mantenimento di servizi sociali avanzati. Come non si può
rinunciare a sostenere la qualità delle prestazioni lavorative, scegliendo di misurarsi su produzioni a
basso costo del lavoro. Su questi argomenti dobbiamo inevitabilmente spenderci come categoria
professionale, anche proponendo interventi normativi ad ogni livello supportate da intelligenti
iniziative giocate sulla nostra pelle.
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Prima di arrivare ad enunciare conclusioni o proposte non possiamo però esimerci dal rivisitare
alcune norme e alcune clausole pertinenti, dalle più attuali fino a quelle meno recenti, che forse
abbiamo troppo trascurato sotto la costante pressione delle scadenze e delle continue modifiche
normative.
IL TELELAVORO
Non possiamo considerare casuale che il nostro ultimo rinnovo contrattuale ha riconosciuto la
rilevanza etico-sociale dell’istituto del telelavoro, dedicando per la prima volta una attenzione
particolare a questa modalità di lavoro che va soprattutto incontro alle esigenze di flessibilità e di
ottimizzazione delle risorse di entrambe le parti, riducendo così costi e tempi dei trasferimenti ( vedi
i Tempi delle città).
In Italia manca una disciplina legale che, nel settore privato, fissi le regole proprie del telelavoro e
che, oltre a dare una definizione di “telelavoratore”, stabilisca diritti e doveri degli stessi, e
disciplini questa forma contrattuale.
Eppure il progresso tecnologico ha avuto un impatto significativo sulle organizzazioni aziendali,
influenzandone non solo le scelte organizzative, ma anche le modalità di esecuzione della
prestazione lavorativa.
Il telelavoro rappresenta un effetto dell’utilizzo in azienda delle più moderne tecnologie
telematiche: nuova modalità di svolgimento dell’attività lavorativa, in relazione alla quale il
lavoratore esegue le prestazioni lavorative in un luogo esterno (ma non necessariamente diverso)
all’azienda, avvalendosi di strumentazioni informatiche che interagiscono con i sistemi informatici
aziendali.
Vengono comunemente distinte dalla contrattazione collettiva e dalla dottrina, quattro tipologie di
telelavoro: quello svolto nel domicilio del telelavoratore, il working out, il lavoro “remotizzato”, il
centro di lavoro comunitario.
Inoltre, nel tentativo di dare una qualificazione giuridica a questo istituto ed alla figura del
telelavoratore, si è giunti alla riflessione che il telelavoro potrebbe essere prestato sotto la forma di
lavoro: subordinato, autonomo, di impresa, nonché sotto varie forme di lavoro parasubordinato in
collaborazione coordinata e continuativa.
Tra le figure di telelavoratore che vengono ricondotte all’art. 2094 del codice civile, sembra essere
predominante quella del prestatore d’opera subordinato che svolge la sua attività lavorativa presso il
proprio domicilio, in collegamento “on line” con il sistema informatico aziendale.
Certamente questa costituisce una forma molto particolare di svolgimento dell’attività lavorativa
“alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore” secondo la definizione che di “prestatore di
lavoro subordinato” viene data dal citato art. 2094 del codice civile. Eppure una interpretazione
evolutiva dell’art. 2094 consente di estendere la nozione che in esso viene data al “lavoratore
subordinato” anche a colui il quale esegue la prestazione lavorativa presso il proprio domicilio
modificando sostanzialmente il luogo di svolgimento dell’attività lavorativa, senza che ci sia una
modificazione delle caratteristiche proprie del rapporto di lavoro subordinato. Lavoratore
subordinato o “lavoratore subordinato a domicilio” (nel senso di prestazione lavorativa inquadrabile
nel lavoro a domicilio) in relazione al fatto che il telelavoratore sia vincolato o meno al rispetto di
un rigido orario di lavoro e che la retribuzione sia commisurata al tempo di lavoro piuttosto che alla
produttività del prestatore d’opera, al numero di pratiche svolte, ecc.ecc.
Il “working out” o “ufficio mobile” è una forma di telelavoro non stanziale, nella quale il lavoratore
esegue la sua prestazione lavorativa con autonomia senza essere vincolato ad una postazione di
lavoro fissa, e con facoltà di scelta e di determinazione del luogo di svolgimento ed i tempi di
esecuzione della stessa. Il luogo di lavoro è sempre variabile ed esterno all’azienda.
Per “lavoro remotizzato” si intende lo svolgimento di attività lavorative in unità produttive aziendali
logisticamente distanti dalla sede centrale dell’azienda. Il lavoratore svolge la sua attività lavorativa
in locali aziendali situati in luoghi distanti dalla sede principale. Costituisce una soluzione
particolarmente preferita quando in una unità aziendale si intende mantenere la sola attività
lavorativa ed operativa, trasferendo le attività di controllo e direttive in un’altra unità, evitando in
tal modo di trasferire anche i lavoratori.
Il “centro di lavoro comunitario” costituisce invece un centro operativo nel quale vengono ospitati
lavoratori che dipendono da imprese diverse tra loro, le quali utilizzano postazioni di lavoro situate
in una sede diversa da quella propria aziendale. Questa soluzione consente di ovviare ai problemi di
isolamento del lavoratore, permettendo di sfruttare gli aspetti positivi legati alla possibilità di
svolgere attività lavorativa in luoghi distanti dai locali aziendali ma vicini all’abitazione del
lavoratore. I centri comunitari di telelavoro potrebbero costituire soluzione privilegiata se situati in
zone dove il pendolarismo ed i tempi impiegati per raggiungere la sede di lavoro sono questioni
sociali di rilevante importanza.
IL TELELAVORO E I LAVORATORI DISABILI
Una soluzione interessante di trasformazione del rapporto in telelavoro riguarda i lavoratori disabili
in forza alle Aziende con l’obbligo del rispetto della L. 68/99.
Per questi lavoratori, soprattutto per coloro che hanno invalidità legate alla deambulazione e di
conseguenza devono affrontare seri problemi di mobilità sia per gli spostamenti casa/lavoro che per
quelli all’interno dell’Azienda, il telelavoro può essere una soluzione estremamente vantaggiosa
semprechè, ovviamente, svolgano una mansione legata all’uso di Personal Computer che consenta
un’attività anche lontano dalla sede aziendale.
Infatti, negli ultimi tempi, si sono verificati sempre più casi di disabili che hanno richiesto e
ottenuto dal datore di lavoro la possibilità di trasformare il rapporto di lavoro come sopradescritto
nel rispetto di tutta la normativa vigente in proposito.
Gli adempimenti da effettuare in questi casi sono i seguenti:
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Modifica del contratto di lavoro con le nuove condizioni del rapporto, le caratteristiche della
prestazione, gli orari di lavoro e l’eventuale reperibilità, gli strumenti informatici messi a
disposizione dall’Azienda in comodato d’uso gratuito ex art. 1803 c.c., la formazione, le
informazioni aziendali in particolare quelle relative ai diritti sindacali, il rispetto della
normativa prevista dal D.LGS. 626/94 in materia di igiene e sicurezza del lavoro, il rispetto
della normativa prevista dal D.LGS. 196/03 in materia di privacy, la garanzia della riservatezza
sulle informazioni di cui il telelavoratore venga in possesso, ecc. ecc.
Stesura di un contratto di comodato d’uso gratuito delle attrezzature per il telelavoro.
Comunicazione al medico competente (se esistente) per eventuali verifiche di carattere
sanitario.
Comunicazione all’INAIL del trasferimento della sede di lavoro del lavoratore.
Eventuale comunicazione al Centro per l’impiego ed al Servizio collocamento obbligatorio
territorialmente competenti nei casi in cui il domicilio del lavoratore si trovi in un Comune
diverso da quello della sede aziendale comunicato all’atto dell’assunzione originaria.
Annotazione sul libro matricola della decorrenza della trasformazione del rapporto in
telelavoro.
Dichiarazione rilasciata dal telelavoratore all’Azienda che l’impianto elettrico domestico è a
norma di legge.
LA REGOLAMENTAZIONE DEL TELELAVORO
Mentre nella Pubblica amministrazione l’utilizzo del telelavoro risulta essere in qualche modo
normato ( Accordo per il lavoro stipulato dalle parti sociali il 2409/1996, legge 16/6/1998 n° 191
art. 4, Regolamento attuativo emanato con D.P.R. n° 70/1999), nel settore privato la
regolamentazione del telelavoro viene lasciata alle parti sociali; le quali, a livello nazionale o
aziendale, hanno prestato la dovuta attenzione al nuovo istituto ed hanno stabilito delle regole di
disciplina cui attenersi nella sottoscrizione dei relativi accordi con il personale telelavoratore.
In particolar modo, con l’accordo interconfederale del 9 giugno 2004, Confindustria,
Confartigianato, Confesercenti, CNA, CONFAPI, Confeservizi, ABI, AGCI, ANIA, APLA,
Casartigiani, CIA, CLAAI, Coldiretti, Confagricoltura, Confcooperative, Confcommercio, Confetta,
Confinterim, Legacooperative, UNCI, da una parte e CGIL, CISL, UIL dall’altra, hanno recepito il
contenuto dell’accordo quadro Europeo sul telelavoro, concluso il 16/7/2002 tra UNICE/UEAPME,
CEEP e CES.
ACCORDO- QUADRO EUROPEO SUL TELELAVORO
(stipulato a Bruxelles il 16 luglio 2002)
Principi generali:
• il Consiglio Europeo ha invitato le parti sociali a procedere alla negoziazione di accordi
diretti a modernizzare l’organizzazione del lavoro, includendo intese riguardanti la
flessibilità sul lavoro, finalizzati alla produttività e competitività delle imprese sul mercato
ed a garantire il necessario equilibrio tra flessibilità e sicurezza
• Il telelavoro viene riconosciuto un mezzo per le imprese e gli enti pubblici di servizi che
consente di modernizzare l’organizzazione del lavoro ed un mezzo per i lavoratori che
permette di conciliare l’attività lavorativa con la vita sociale, offrendo loro maggiore
autonomia nell’assolvimento dei compiti loro affidati.
• Intento di sfruttare al meglio le possibilità insite nella società dell’informazione,
incoraggiare questa forma di organizzazione del lavoro in modo tale da coniugare flessibilità
e sicurezza, migliorando la qualità dei lavori e con lo scopo sociale di offrire alle persone
disabili più ampie opportunità sul mercato del lavoro.
• L’attuazione dell’accordo non deve costituire motivo per ridurre il livello generale di tutela
garantito ai lavoratori
• Gli stati membri, nel dare attuazione all’accordo, devono evitare i porre oneri a carico delle
piccole e medie imprese
Definizioni, campo di applicazione e caratteristiche:
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Il telelavoro costituisce una forma di organizzazione e/ o svolgimento del lavoro che si
avvale delle tecnologie dell’informazione nell’ambito di un contratto o di un rapporto di
lavoro, in cui l’attività lavorativa, che potrebbe anche essere svolta all’interno della sede
dell’azienda, viene regolarmente svolta al di fuori dei locali della stessa. Il telelavoratore è
colui che svolge telelavoro nel senso precedentemente definito.
Carattere volontario: il telelavoro consegue ad una scelta volontaria del datore di lavoro e
del lavoratore. Può essere inserito nella descrizione iniziale delle prestazioni del lavoratore,
ovvero scaturire da un successivo impegno assunto sempre volontariamente
Informazione al lavoratore: il datore di lavoro provvede a fornire al lavoratore le
informazioni scritte relative ai contratti collettivi applicabili, alla descrizione della
prestazione lavorativa ed alle modalità di svolgimento della stessa. Darà informazioni scritte
anche in merito all’unità produttiva cui il telelavoratore è assegnato, il suo superiore diretto
od altre persone cui può rivolgersi per questioni di natura professionale o personale
Volontarietà della scelta: qualora il telelavoro non sia compreso nella descrizione iniziale
dell’attività lavorativa e qualora il datore di lavoro offra la possibilità di svolgere telelavoro,
il lavoratore potrà accettare o respingere tale offerta; in egual modo, qualora il lavoratore
esprimesse l’aspirazione di voler lavorare in modalità di telelavoro, l’imprenditore è libero
di accettare o rifiutare la richiesta
Mantenimento delle condizioni contrattuali: il passaggio al telelavoro, considerato che
implica unicamente l’adozione di una diversa modalità di svolgimento del lavoro, non
incide, di per sé, sullo status del telelavoratore. Il rifiuto del lavoratore di optare per il
telelavoro non può costituire motivo di risoluzione del rapporto di lavoro né di modifica
delle condizioni contrattuali del rapporto di lavoro
Reversibilità della scelta: qualora il telelavoro non sia ricompresso nella descrizione iniziale
della prestazione lavorativa, la decisione di passare al telelavoro è reversibile per effetto di
accordo individuale e/o collettivo. La reversibilità può comportare il ritorno all’attività
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lavorativa nei locali del datore di lavoro su richiesta di quest’ultimo o del lavoratore. Le
modalità di tale reversibilità, sono fissate mediante accordo individuale e/o collettivo.
Condizioni di lavoro: il telelavoratore fruisce dei medesimi diritti previsti per un lavoratore
che svolge la sua attività nei locali dell’impresa;
Protezione dei dati: il datore di lavoro ha la responsabilità di adottare misure appropriate atte
a garantire la protezione dei dati utilizzati ed elaborati dal telelavoratore per fini
professionali, avendo anche l’obbligo di informare il lavoratore in ordine a tutte le norme di
legge e regole aziendali applicabili per la protezione dei dati. Informa anche il lavoratore in
merito ad ogni restrizione riguardante l’uso di apparecchiature, strumenti e programmi
informatici, ed alle sanzioni in caso di violazione
Diritto alla riservatezza: il datore di lavoro rispetta il diritto alla riservatezza del lavoratore;
l’installazione di strumenti di controllo deve risultare proporzionata all’obiettivo perseguito
e deve essere effettuata nel rispetto delle direttive in materia di sicurezza e salute sui luoghi
di lavoro ed in particolare in materia di videoterminali;
Strumenti di lavoro: ogni questione in materia di strumenti di lavoro e responsabilità deve
essere definita prima dell’inizio del telelavoro, come pure ogni questione in materia di costi;
il datore di lavoro è responsabile della fornitura, installazione e manutenzione degli
strumenti e deve fornire al telelavoratore i supporti tecnici necessari allo svolgimento della
prestazione lavorativa; il datore di lavoro si fa carico dei costi derivanti dalla perdita e
danneggiamento degli strumenti di lavoro, nonché dei dati utilizzati dal telelavoratore.
Salute e sicurezza: il datore di lavoro è responsabile della tutela, della salute e della
sicurezza professionale del telelavoratore ed informa lo stesso delle politiche aziendali in
materia di salute e di sicurezza sul lavoro, in particolare in ordine alla esposizione al
videoterminale. Per la verifica della corretta applicazione della disciplina applicabile in
materia di salute e sicurezza, il datore di lavoro, le rappresentanze dei lavoratori e/o le
autorità competenti, hanno accesso al luogo in cui viene svolto il telelavoro, nei limiti della
normativa nazionale e dei CCNL. Se il lavoratore svolge la sua attività nel proprio
domicilio, l’accesso è subordinato a preavviso ed al suo consenso.
Organizzazione del lavoro: il telelavoratore gestisce l’organizzazione del proprio tempo di
lavoro; il carico di lavoro ed i livelli di prestazione del telelavoratore devono essere
equivalenti a quelli dei lavoratori comparabili che svolgono attività nei locali dell’impresa.
Il datore di lavoro deve inoltre curare l’adozione di misure dirette a prevenire l’isolamento
del telelavoratore rispetto agli altri lavoratori che prestano attività nei locali dell’azienda,
come pure l’opportunità di incontrarsi regolarmente con i colleghi e di accedere alle
informazioni dell’azienda.
Formazione: il telelavoratori fruiscono delle medesime opportunità di accesso alla
formazione ed allo sviluppo delle carriere dei lavoratori che prestano attività in azienda e
sono sottoposti ai medesimi criteri valutativi
Diritti collettivi: i telelavoratori hanno i medesimi diritti collettivi dei lavoratori interni
all’azienda ed in particolare non deve essere ostacolata la comunicazione con i
rappresentanti dei lavoratori, i quali sono informati e consultati in merito alla introduzione
del telelavoro.
ACCORDO INTERCONFEDERALE PER IL RECEPIMENTO DELL’ACCORDO QUADRO
EUROPEO SUL TELELAVORO
(stipulato il 9 giugno 2004)
Principi generali:
vengono ripresi quelli dell’accordo quadro europeo, di cui l’accordo interconfederale
costituisce recepimento a livello nazionale.
Definizioni, campo di applicazione e caratteristiche:
anche in questo caso si tratta di un completo richiamo di tutti i contenuti dell’accordo quadro
europeo. Viene solo aggiunto all’art. 11 il richiamo alla contrattazione collettiva, anche
aziendale:
• al fine di tener conto delle specifiche esigenze delle parti sociali interessate ad adottare il
telelavoro, le stesse possono concludere, al livello competente, accordi che adeguino e/o
integrino i principi ed i criteri definiti con l’accordo interconfederale;
• la contrattazione collettiva, o in assenza anche il contratto individuale di lavoro, deve
prevedere la reversibilità della decisione di passare al telelavoro con l’indicazione delle
relative modalità, ai sensi dell’art. 2 comma 6 ( solo nella ipotesi in cui il telelavoro non sia
ricompresso nella descrizione iniziale della prestazione lavorativa)
• si potrà fare ricorso ad accordi specifici integrativi di natura collettiva e/o individuale, al
fine di tener conto delle particolari caratteristiche del telelavoro.
IL TELELAVORO NELLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA NAZIONALE DI LAVORO
Si analizzano i testi dei CCNL per gli Studi professionali e per il settore Terziario – distribuzione e
servizi, i cui più o meno recenti accordi di rinnovo hanno disciplinato la materia del Telelavoro, con
l’intento di dare la più ampia diffusione possibile all’istituto.
1) IL CCNL PER I DIPENDENTI DEGLI STUDI PROFESSIONALI
IL recentissimo accordo di rinnovo del 3 maggio 2006, ha così disciplinato l’istituto del telelavoro:
a) il riconoscimento dell’importanza dell’utilizzo di tecnologie informatiche e di modalità di
lavoro più flessibili, quale risposta efficace e da perseguire a “importanti esigenze
economico-sociali, quali la valorizzazione dei centri cittadini minori, il rispetto
dell’ambiente, il miglioramento della qualità della vita, la gestione dei tempi di lavoro,
l’integrazione delle categorie più deboli” (rilevanza etico-sociale dell’istituto del telelavoro);
b) la dichiarazione di accordo sull’obbiettivo di rendere possibile la destinazione di risorse
economiche finalizzate alla creazione di occupazione aggiuntiva e a permettere, a quella
già in forza, l’opportunità di prestare la propria attività lavorativa presso il proprio domicilio
o in luoghi diversi dalla sede di lavoro. I tutto nell’ambito di diritti e tutele dei lavoratori
come previsti dagli indirizzi europei e dal CCNL
c) Del telelavoro viene data la seguente definizione: “ il telelavoro rappresenta una variazione
delle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, le cui tradizionali dimensioni di
spazio e tempo – in virtù dell’adozione di strumenti di lavoro informatici e/o telematici risultano modificate; quali tipologie di telelavoro, ed a solo titolo esemplificativo, vengono
identificate il “telelavoro mobile" e l’”hoteling” ovvero una postazione di telelavoro di
riferimento della struttura lavorativa per i lavoratori che per le loro mansioni svolgono la
loro attività lavorativa prevalentemente presso realtà esterne”;
d) E’ possibile sottoscrivere contratti di telelavoro al momento di una nuova assunzione,
oppure trasformare quelli già in essere; viene comunque precisato che il telelavoratore è a
tutti gli effetti considerato in organico presso lo Studio di origine, ovvero, in caso di
instaurazione ex novo del telelavoro, presso la unità lavorativa indicata nel contratto di
assunzione
e) Principi di disciplina del telelavoro:
• volontarietà delle parti
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•
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•
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f)
g)
h)
i)
j)
y)
k)
l)
m)
reversibilità del contratto (parrebbe di comprendere in entrambe le tipologie di contratto
stipulato ex novo o di trasformazione di un contratto già in essere); tuttavia in caso di
trasformazione di un contratto “in sede” in un contratto di telelavoro, la reversibilità potrà
essere esercitata dopo che sia trascorso un determinato periodo di tempo che deve essere
pattuito tra le parti nell’atto di trasformazione
divieto di discriminazione del telelavoratore rispetto alle progressioni di carriera e ad
iniziative formative
definizione nell’atto di accordo sul telelavoro delle condizioni relative alla prestazione
lavorativa quali la determinazione dell’orario di lavoro (che può essere a tempo pieno,
parziale o senza vincoli (?) (ma in quest’ultimo caso potremo ancora parlare di lavoratore
subordinato ?) ), comunque sempre nel rispetto dei limiti di legge e di contratto
garanzia del mantenimento di analoghi livelli qualitativi dell’attività svolta nella struttura
lavorativa e dello stesso impegno professionale
esplicazione dei legami funzionali e gerarchici, ivi compresi i rientri nei locali della struttura
lavorativa
necessità dell’atto scritto di inizio o di trasformazione del telelavoro, nel quale andranno
esplicitate le modalità di svolgimento della prestazione lavorativa nella nuova modalità di
telelavoro
identificazione dell’accordo tra le parti, quale condizione necessaria per l’instaurazione del
telelavoro o per la trasformazione di un contratto di lavoro in telelavoro
Retribuzione: viene garantito lo stesso trattamento retributivo del lavoratore che presta
servizio in sede
Obbligo di ciascun telelavoratore – salvo patto contrario espresso – di rendersi disponibile in
una fascia oraria giornaliera, settimanale o mensile, da concordare tra le parti, per la
ricezione di eventuali comunicazioni da parte del datore di lavoro; stesso obbligo di
presenza presso la sede dello Studio, nelle riunioni programmate dal datore di lavoro per
l’aggiornamento tecnico organizzativo, considerando tale periodo come normale orario di
lavoro
Controlli a distanza: i dati raccolti per la valutazione delle prestazioni del lavoratore non
costituiscono violazione dell’art. 4 della legge 300/1970; le eventuali visite di controllo del
datore di lavoro dovranno essere concordate tra le parti
Diritti sindacali: riconoscimento al telelavoratore del diritto di accesso all’attività sindacale
che si svolge nella struttura lavorativa
Assoggettamento del telelavoratore al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro
Divieto di discriminazione del telelavoratore in materia di formazione e informazione, al
fine di salvaguardare un adeguato livello di professionalità e di socializzazione degli addetti
al telelavoro
Postazione di lavoro: il datore di lavoro deve provvedere alla installazione, mediante
contratto di comodato d’uso, di una postazione di telelavoro idonea; le spese di installazione
e gestione della postazione di lavoro presso il domicilio del lavoratore, sono a carico del
datore di lavoro
Interruzioni tecniche della postazione di telelavoro: è considerata facoltà del datore di lavoro
chiedere il rientro del lavoratore in sede, limitatamente al tempo necessario per ripristinare il
sistema
Misure di protezione e prevenzione: il datore di lavoro provvede a stipulare una apposita
convenzione per l’assicurazione dei locali in cui si svolge la prestazione di telelavoro
2) il CCNL per il settore Terziario – distribuzione e servizi (commercio)
L’accordo di rinnovo contrattuale del 2 luglio 2004 conferma la precedente disciplina
dell’accordo del 1997, ritenendola conforme alle disposizioni dell’accordo interconfederale del
giugno 2004.
Tuttavia, in aggiunta al testo precedente, riconoscendo indirettamente il valore etico e
sociale dell’istituto in particolari situazioni dei lavoratori, viene stabilito che nelle aziende che
abbiano più di trenta dipendenti, potranno essere concordate particolari norme riguardanti ………..
“ azioni positive per la flessibilità di cui all’art. 9 della legge 53/2000 ed in particolare
a) progetti articolati per consentire alla lavoratrice madre o al lavoratore padre anche quando uno
dei due sia lavoratore autonomo, ovvero quando abbiamo in adozione o in affidamento un minore,
di usufruire di particolari forme di flessibilità degli orari e di organizzazione del lavoro, tra cui part
- time reversibile, telelavoro e lavoro a domicilio , orario flessibile in entrata o in uscita……;
b) programmi di formazione per il reinserimento dei lavoratori dopo il periodo di congedo”.
Medesimo oggetto di accordo potrà esserci in sede di accordi territoriali tra le associazioni
imprenditoriali territoriali e le corrispondenti organizzazioni sindacali.
Per quanto riguarda la regolamentazione dell’istituto contrattuale, il suo contenuto come
disciplinato dal CCNL Terziario, ricalca quello sopra analizzato degli studi professionali.
Tuttavia, a differenza del primo, identifica, sempre in via del tutto esemplificativa , quali
possibili tipologie di telelavoro:
1) il lavoro a domicilio
2) i centri di telelavoro
3) il telelavoro mobile
4) l’hoteling, ovvero una postazione di telelavoro di riferimento in azienda per i lavoratori
che per le loro mansioni svolgono la loro attività prevalentemente presso realtà esterne
ALCUNE ESPERIENZE DI TELELAVORO IN ITALIA NEI CONTRATTI AZIENDALI
Sono stati analizzati alcuni contratti collettivi aziendali nei quali si è data attuazione alla
sperimentazione dell’istituto del telelavoro.
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1) ENPACL
Il 15 gennaio 1997 tra l’ENPACL e le organizzazioni sindacali dei lavoratori è stato
sottoscritto un accordo sul telelavoro
Principi ispiratori e modalità attuative del telelavoro
riaffermata la centralità della risorsa umana e della necessità del più efficace utilizzo e
valorizzazione della stessa
avviata la sperimentazione di una forma di telelavoro per consentire al personale che ha
dichiarato la propria disponibilità e per il quale tecnicamente ed organizzativamente ciò è
possibile, anche attraverso la negoziazione della mobilità professionale, di lavorare presso la
propria abitazione attraverso l’adozione di quei supporti tecnologici che consentano l
collegamento a distanza e una corretta comunicazione
riaffermazione del principio che il telelavoro costituisce una “semplice modifica del luogo di
adempimento delle prestazioni lavorative e non dei relativi doveri del lavoratore senza
incidere sulla natura giuridica del rapporto di lavoro in essere con l’ENPACL che resta, a
tutti gli effetti contrattuali e di legge, di lavoro dipendente e subordinato e regolato dal
CCNL di categoria”
impegno dell’ENPACL a far beneficiare al telelavoratore di tutti gli interventi, anche di
formazione, finalizzati a facilitare l’inserimento del nuovo processo lavorativo, alla
salvaguardia ed al miglioramento professionale ed al mantenimento di un idoneo livello di
socializzazione
adesione volontaria dei lavoratori
•
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mantenimento del trattamento economico in essere al momento dell’inizio della nuova
modalità di lavoro
al fine di evitare al lavoratore in sperimentazione di sopportare il costo della costituzione di
una postazione di lavoro presso il suo domicilio, ed al fine di contribuire a coprire le spese
per energia elettrica ed altri eventuali disagi, all’inizio del periodo di lavoro presso
l’abitazione veniva corrisposta al dipendente una somma forfetaria netta ed
omnicomprensiva di lire cinquecentomila
periodo di sperimentazione: dal 20 gennaio 1997 al 30 aprile 1997
vengono stabiliti i giorni di prestazione e le fasce orarie di reperibilità del telelavoratore da
concordare con il responsabile dell’ufficio ed in funzione delle esigenze organizzative,
mediante la compilazione di singole schede che dovevano essere sottoscritte dal lavoratore;
l’accordo prevedeva poi che le modalità di svolgimento del telelavoro non avvenissero solo
da casa, ma alternando periodi di lavoro presso il proprio domicilio e lavoro in ufficio.
individuazione nell’abitazione del lavoratore di un ambiente idoneo alla postazione di
lavoro, nel rispetto delle disposizioni di sicurezza, prevenzione ed igiene, certificata da un
tecnico di fiducia dell’ENPACL
l’ENPACL provvede alla fornitura, istallazione e manutenzione presso il domicilio dei
lavoratori di una postazione di lavoro completa ed adeguata alle norme di legge, alle
esigenze della attività lavorativa e in grado di consentire il collegamento con l’ufficio,
comprendendo anche la linea telefonica che non grava economicamente sul lavoratore
mantenimento della copertura assicurativa in essere con l’INAIL poiché l’attività si svolge
presso le abitazioni
garanzia del rispetto della corretta informazione sindacale ai sensi della legge 300/1970 e
puntuale trasmissione da parte dell’ENPACL, anche attraverso le apparecchiature
telematiche utilizzate, delle comunicazioni sindacali e/o aziendali
viene confermata la garanzia che le apparecchiature utilizzate non sono predisposte per
controlli in rete e che il loro utilizzo è conforme alle procedure in essere per i lavoratori
interni, ad eccezione della verifica del rispetto della fascia oraria di reperibilità concordata
2) SARITEL 1994 (primo accordo in materia)
Il contratto interessava inizialmente 16 dipendenti, poi esteso ad una sessantina. Il personale
addetto alle vendite, in forza in alcune grandi città (Torino, Milano, Padova, Firenze, Roma,
Napoli), le cui sedi erano destinate alla chiusura, poteva chiedere, in alternativa al
trasferimento a Pomezia, di rimanere nella città di origine e lavorare da casa in collegamento
con la sede centrale tramite l’attrezzatura fornita dall’azienda (PC, stampante, fax e linea
telefonica). L’azienda si faceva carico di tutte le spese connesse con l’istallazione e la
manutenzione degli strumenti e per l’esercizio della linea telefonica. Al lavoratore veniva
riconosciuto un rimborso forfetario per lo spazio che le attrezzature occupavano nella sua
abitazione e per l’energia elettrica fornita.
Inoltre altri quattro impiegati continuavano a lavorare da Padova sperimentando un centro di
telelavoro , che l’azienda finalizzava alla “costruzione di un nuovo prodotto consulenziale
da offrire sul mercato”
3) ITALTEL (1995)
Con l’espresso riconoscimento che lo scopo del telelavoro doveva favorire possibili benefici
per i lavoratori e per le aziende, ma anche e soprattutto per la società nel suo insieme, si
sottoscrisse un accordo che interessava 13 persone operanti nel settore della ricerca,
dell’analisi dei sistemi e dello sviluppo software. I lavoratori interessati lavoravano da casa
su una postazione di proprietà dell’azienda. Non erano previsti compensi per lavoro
straordinario o notturno, ma era stabilita una gratifica di tre milioni di lire per il periodo in
cui si sarebbe svolta la sperimentazione.
4) TELECOM ITALIA SPA (1° AGOSTO 1995)
L’accordo si proponeva di far lavorare da casa 200 operatori del servizio 12. Nasceva come
alternativa al trasferimento di personale. Infatti Telecom aveva deciso di chiudere alcune
sedi operative dedicate all’assistenza clienti acquisite dopo la fusione con IRITEL. Questa
operazione avrebbe reso necessario il trasferimento di circa 800 persone dal Sud al Nord.
Per risolvere il problema Telecom utilizzò il processo tecnico (remotizzazione) consistente
nel trasferire le chiamate degli utenti dalle zone ad alto traffico verso quelle a basso tasso di
utilizzo degli impianti, “muovendo il lavoro” piuttosto che i lavoratori.
Nell’ambito di tale riorganizzazione venne decisa anche la sperimentazione del telelavoro a
domicilio. Una parte dei dipendenti poteva fare richiesta per lavorare dal proprio domicilio,
a condizione però di passare dal full time al part time e di poter dimostrare l’idoneità del
proprio appartamento ad ospitare le apparecchiature in un ambiente separato o separabile
dalle stanze in cui avveniva la vita familiare.
La scelta del telelavoro e del part time non poteva essere reversibile prima del decorso di tre
anni e l’orario della prestazione doveva essere stabilito dall’azienda.
L’accordo non ebbe molto seguito a causa dell’orario e della retribuzione ridotta, della
rigidità dei turni e della tempistica lunga per poter esercitare il diritto alla reversibilità del
rapporto.
L’iniziativa, con regole diverse e più flessibili, venne rilanciata nel 1998 ed ebbe molto più
seguito da parte dei dipendenti.
5) SEAT 1995
In relazione alla riorganizzazione della struttura commerciale che prevedeva la chiusura di
alcune sedi aziendali, il parziale licenziamento di personale e il trasferimento di altra parte
dei lavoratori, dopo aver individuato quali attività telelavorabili quelle di vendita telefonica
e di telesollecito, venne introdotta questa modalità di svolgimento di prestazione lavorativa
in alternativa al trasferimento del personale.
L’orario di lavoro a tempo pieno o parziale veniva distribuito nell’arco della giornata a
discrezione del telelavoratore in relazione all’attività da svolgere, mentre era l’azienda che
fissava la fascia oraria di reperibilità del lavoratore
6) CARIDATA (1996)
L’azienda, di proprietà della banca Cariplo, con attività di sviluppo software, sottoscrisse un
accordo che per primo, anziché stabilire forme di lavoro domiciliare, regolava il telelavoro
svolto in un “centro di telelavoro” nel comune di Piacenza, agevolando otto dipendenti
addetti a tale attività, che altrimenti avrebbero dovuto spostarsi quotidianamente a Milano
7) ZANUSSI (1997)
Accordo stipulato nel 1997 e destinato alle lavoratrici madri le quali, mediante il lavoro
svolto da casa, avrebbero potuto mantenere l’equilibrio tra le responsabilità familiari e
quelle professionali, evitando il ricorso non necessario alla sospensione del rapporto di
lavoro per accedere ad aspettative facoltative o a lunghe assenze per malattie del bambino,
ovvero per evitare condizioni di lavoro ambientali potenzialmente pregiudizievoli.
IL PART-TIME
La “risistemazione”, ad opera della Legge Biagi, di alcuni aspetti del lavoro a tempo parziale ha
creato per i datori di lavoro reali opportunità di un maggiorre uso di tale strumento contrattuale,
largamente utilizzato in molti paesi europei ma ancora ampiamente sottoutilizzato in Italia. Oltre
alle carenze di flessibilità preesistenti alla legge Biagi, le motivazioni del mancato ricorso a questa
tipologia di contratto sono molteplici e sono riconducibili ad aspetti culturali, organizzativi ed
economici.
Innanzitutto, dal punto di vista culturale e dal lato dei datori di lavoro si è storicamente registrata
una certa resistenza nei confronti di un rapporto di lavoro che non assicurasse la piena e totale
disponibilità del lavoratore, quasi che il datore di lavoro volesse l’esclusiva sulle energie lavorative
dei propri prestatori di lavoro. Da questo punto di vista, si è sempre sposata una concezione del
lavoro subordinato molto aderente al dettato dell’art. 2094 c.c. e cioè al fatto che il prestatore di
lavoro mette a disposizione del datore di lavoro le proprie energie lavorative. Possiamo aggiungere
che, secondo questo orientamento, è preferibile che tali energie lavorative siano poste a
disposizione del datore di lavoro in modo esclusivo e prevalente, in forza di un’esigenza di totale
affidamento sulla piena disponibilità (anche e soprattutto a tempo pieno) del prestatore di lavoro
stesso. Tale resistenza culturale si riscontra anche dal lato sindacale. Il sindacato ha sempre visto
con un certo sfavore il rapporto di lavoro a tempo parziale perché valutato, da un punto di vista
sostanziale, come una forma di sotto-occupazione. Anche il sindacato sposa il concetto tradizionale
del lavoro subordinato: a tempo indeterminato e a tempo pieno, con piena disponibilità delle energie
lavorative, dando prevalenza al fatto che, i lavoratori part-time hanno minori possibilità di carriera
rispetto ai lavoratori a tempo pieno e che tale forma di impiego è generalmente vista come una
forma di “ripiego”.
In realtà, spesso, la scelta del part-time non è una scelta obbligata da parte del lavoratore ma una
volontaria valutazione di convenienza legata alla maggiore disponibilità di tempo per attendere ad
altre occupazioni, non necessariamente lavorative.
Oltre alle appena enunciate motivazioni di carattere culturale, un altro ostacolo alla diffusione del
part-time nelle aziende è determinato da motivazioni di natura organizzativa. I modelli organizzativi
delle aziende italiane (ricordiamo, per la maggior parte, medio-piccole) non tengono conto, nei fatti,
del part-time o meglio, non sono strutturati per prevedere la condivisione del posto e, anzi, la
possibilità di avere un continuo avvicendamento di persone diverse nella gestione della medesima
attività (si pensi alla maggior parte delle mansioni impiegatizie proprie dell’attività di servizi che
caratterizza la nostra realtà economica) è idoneo a creare quasi un “disturbo organizzativo” per il
datore di lavoro. Inoltre, come già detto, il part-time non viene sicuramente percepito come una
tipologia contrattuale idonea a coprire posti apicali e/o di responsabilità: quei posti cioè che
richiedono una certa continuità e una quasi totale disponibilità nell’esecuzione della prestazione.
Infine, legata all’aspetto organizzativo non è da trascurare neppure la resistenza generata da
valutazioni di carattere economico. I lavoratori part-time, infatti, contano sempre e comunque, come
una testa e se vi sono ad esempio due persone che coprono, con quattro ore ciascuno, l’intera
settimana lavorativa di 40 ore, sono sempre e comunque due persone nei confronti delle quali,
anche in forza del generale principio di non discriminazione, saranno applicabili e, di fatto,
applicati, tutti gli istituti contrattuali né più né meno che nei confronti di un lavoratore a tempo
pieno (ticket restaurant, polizze sanitarie e tutti i costi non proporzionabili in ragione delle ore
lavorate).
Per determinare un reale rilancio del rapporto di lavoro part-time, sarebbe forse auspicabile poter
contare su effettivi strumenti di incentivazione che incidano anche su questo aspetto e
“alleggeriscano” un po’ l’azienda non solo mediante la previsione di sgravi contributivi, ma anche
attraverso la previsione, ad esempio, di diverse modalità di computo dei lavoratori part-time o
addirittura escludendoli dai computi numerici.
Non si può continuare a vietare tutto, anche quando la volontà delle parti è diversa e non mina le
tutele del lavoratore. Semmai bisogna prevedere un sistema di assistenza alla formazione della
volontà del lavoratore, ma per questo noi Consulenti del Lavoro siamo totalmente disponibili
ponendo a garanzia delle Istituzioni le nostre strutture dedicate alla Certificazione.
Ci sembra opportuno evidenziare che la certificazione dei contratti di lavoro, nella più pura
interpretazione della legge Biagi, ha come obiettivo quello di accrescere le tutele dei lavoratori già
in fase di incontro fra domanda e offerta di lavoro, garantendo la flessibilità organizzativa nel
rispetto delle norme giuridiche grazie ad un utilizzo strategico ed intelligente delle medesime,
entrando di diritto perciò nelle Buone pratiche della Responsabilità sociale di impresa specialmente
se abbinata ad una adeguata rete di sostegno per il lavoratore.
LE PARI OPPORTUNITA’
L’Unione Europea ha proclamato il 2007 “Anno europeo delle pari opportunità per tutti” .
Il Governo italiano ha licenziato il Dlgs. n. 198 del 11/4/2006, recante il “Codice delle pari
opportunità fra uomo e donna” entrato in vigore il 15 giugno 2006.
Il Codice è composto da quattro libri, recanti rispettivamente disposizioni per:
I ) la promozione delle pari opportunità fra uomo e donna,
II) le pari opportunità tra uomo e donna nei rapporti etico-sociali,
III) pari opportunità tra uomo e donna nei rapporti economici,
IV) pari opportunità fra uomo e donna nei rapporti civili e politici.
Il provvedimento origina dalla legge n. 246 del 28 novembre 2005, che delegava il Governo alla
l'
emanazione di un decreto legislativo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di pari
opportunità tra uomo e donna, nel quale riunire e coordinare tra loro le disposizioni vigenti per la
prevenzione e rimozione di ogni forma di discriminazione fondata sul sesso, apportando, nei limiti
di detto coordinamento, le modifiche necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica della
normativa, anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio normativo.
Dopo aver ridisciplinato obiettivi, compiti e funzioni della Commissione per le pari opportunità fra
uomo e donna, il provvedimento istituisce il Comitato nazionale per l'
attuazione dei principi di
parità di trattamento ed uguaglianza di opportunità tra lavoratori e lavoratrici, avente il compito di
operare per la rimozione dei comportamenti discriminatori per sesso e di ogni altro ostacolo che
limiti di fatto l'
uguaglianza fra uomo e donna nell'
accesso al lavoro e sul lavoro, e la progressione
professionale e di carriera.
Istituito anche il Comitato per l'
imprenditoria femminile – ai sensi della legge n. 215 del 25 febbraio
1992, con compiti di indirizzo e di programmazione generale in ordine agli interventi previsti dal
libro III, ed i promozione di studio, ricerca e informazione sull'
imprenditorialità femminile.
Il libro II disciplina i rapporti tra i coniugi in tema di pari opportunità, richiamando le disposizioni
già vigenti nel codice civile.
In tema di contrasto alla violenza nelle relazioni familiari, si richiamano, invece, le disposizioni di
cui alla legge n. 154 del 4 aprile 2001.
É definita, invece, dal libro III, la nozione di discriminazione in tema di pari opportunità tra uomo e
donna nei rapporti economici. Costituisce discriminazione diretta – recita il provvedimento qualsiasi atto, patto o comportamento che produca un effetto pregiudizievole discriminando le
lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso e, comunque, il trattamento meno favorevole
rispetto a quello di un'
altra lavoratrice o di un altro lavoratore in situazione analoga. Si ha, invece,
discriminazione indiretta, quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un
comportamento apparentemente neutri mettono o possono mettere i lavoratori di un determinato
sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell'
altro sesso, salvo che
riguardino requisiti essenziali allo svolgimento dell'
attività lavorativa, purchè l'
obiettivo sia
legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari.
Affrontata anche la materia delle molestie anche sessuali, considerando anche queste come
discriminazioni, ovvero comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso,
aventi lo scopo o l'
effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un
clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo. Sono, altresì, considerate come
discriminazioni le molestie sessuali, ovvero quei comportamenti indesiderati a connotazione
sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l'
effetto di violare la
dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante,
umiliante o offensivo.
Viene poi vietata qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda l'
accesso al lavoro,
in forma subordinata, autonoma o in qualsiasi altra forma, indipendentemente dalle modalità di
assunzione e qualunque sia il settore o il ramo di attività, a tutti i livelli della gerarchia
professionale.
La discriminazione di cui sopra è vietata anche se attuata:
a) attraverso il riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza;
b) in modo indiretto, attraverso meccanismi di preselezione ovvero a mezzo stampa o con
qualsiasi altra forma pubblicitaria che indichi come requisito professionale l'
appartenenza
all'
uno o all'
altro sesso.
Tale divieto si applica anche alle iniziative in materia di orientamento, formazione,
perfezionamento e aggiornamento professionale, per quanto concerne sia l'
accesso sia i contenuti,
nonchè all'
affiliazione e all'
attività in un'
organizzazione di lavoratori o datori di lavoro o in
qualunque organizzazione i cui membri esercitino una particolare professione, e alle prestazioni
erogate da tali organizzazioni.
Nei concorsi pubblici e nelle forme di selezione attuate, anche a mezzo di terzi, da datori di lavoro
privati e pubbliche amministrazioni la prestazione richiesta dev'
essere accompagnata dalle parole
“dell'uno o dell'
altro sesso”, fatta eccezione per i casi in cui il riferimento al sesso costituisca
requisito essenziale per la natura del lavoro o della prestazione. Non costituisce discriminazione
condizionare all'
appartenenza ad un determinato sesso l'
assunzione in attività della moda, dell'
arte e
dello spettacolo, quando ciò sia essenziale alla natura del lavoro o della prestazione.La lavoratrice –
prosegue il provvedimento- ha diritto alla stessa retribuzione del lavoratore quando le prestazioni
richieste siano uguali o di pari valore. I sistemi di classificazione professionale ai fini della
determinazione delle retribuzioni dovranno, quindi, adottare criteri comuni per uomini e donne.
È altresì vietata qualsiasi discriminazione fra uomini e donne per quanto riguarda l'
attribuzione
delle qualifiche, delle mansioni e la progressione nella carriera. Dal punto di vista previdenziale, le
lavoratrici, anche se in possesso dei requisiti per aver diritto alla pensione di vecchiaia, possono
optare di continuare a prestare la loro opera fino agli stessi limiti di età previsti per gli uomini da
disposizioni legislative, regolamentari e contrattuali, previa comunicazione al datore di lavoro da
effettuarsi almeno tre mesi prima della data di perfezionamento del diritto alla pensione di
vecchiaia.
Relativamente agli assegni familiari, le aggiunte di famiglia e le maggiorazioni delle pensioni per
familiari a carico, questi potranno essere corrisposti, in alternativa, alla donna lavoratrice o
pensionata alle stesse condizioni e con gli stessi limiti previsti per il lavoratore o pensionato. Circa
il divieto di discriminazione nell'
accesso agli impieghi pubblici, è sancito che la donna può accedere
a tutte le cariche, professioni ed impieghi pubblici, nei vari ruoli, carriere e categorie, senza
limitazione di mansioni e di svolgimento della carriera; l’altezza delle persone non costituisce
motivo di discriminazione nell'
accesso a cariche, professioni e impieghi pubblici ad eccezione dei
casi in cui riguardino quelle mansioni e qualifiche speciali, per le quali è necessario definire un
limite di altezza e la misura di detto limite.
Previsto anche il divieto di discriminazione nell’arruolamento nelle forze armate. Permane il divieto
di licenziamento per causa di matrimonio di cui alla legge n. 7 del 9 gennaio 1963, artt. 1, 2 e 6,
stabilendo che le clausole di qualsiasi genere, contenute nei contratti individuali e collettivi, o in
regolamenti, che prevedano comunque la risoluzione del rapporto di lavoro delle lavoratrici in
conseguenza del matrimonio sono nulle e si hanno per non apposte.
Del pari nulli sono i licenziamenti attuati a causa di matrimonio. Il provvedimento indica che è
presunto che il licenziamento della dipendente nel periodo intercorrente dal giorno della richiesta
delle pubblicazioni di matrimonio, in quanto segua la celebrazione, a un anno dopo la celebrazione
stessa, sia stato disposto per causa di matrimonio. Sono altresì nulle le dimissioni presentate dalla
lavoratrice nel periodo suddetto, salvo che siano dalla medesima confermate entro un mese alla
Direzione provinciale del lavoro. Al datore di lavoro è data facoltà di provare che il licenziamento
della lavoratrice, avvenuto nel periodo medesimo, è stato effettuato non a causa di matrimonio, ma
per una delle seguenti ipotesi:
a) colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto
di lavoro;
b) cessazione dell'
attività dell'
azienda cui essa è addetta;
c) ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o di risoluzione del
rapporto di lavoro per la scadenza del termine.
Tali disposizioni si applicano sia alle lavoratrici dipendenti da imprese private di qualsiasi genere,
escluse quelle addette ai servizi familiari e domestici, sia a quelle dipendenti da enti pubblici, salve
le clausole di miglior favore previste per le lavoratrici nei contratti collettivi ed individuali di lavoro
e nelle disposizioni legislative e regolamentari. Il Decreto riporta poi una complessa parte finale che
riguarda la tutela conciliativa e giudiziaria nei casi di denuncia di discriminazioni ed il riordino
delle disposizioni in materia di azioni positive.
Su questo argomento ci sembra doverosa una premessa particolare dedicata alla Collega Silvana
Melegari, Consulente del lavoro e Consigliera di parità per la provincia di Parma, che, in un
convegno sulle opportunità e criticità della conciliazione vita-lavoro in cui si auspicava una corretta
e adeguata informazione ed un dialogo che coinvolga le imprese nell’utilizzo di questo strumento
strategico, ha affermato che ”il nodo irrisolto della conciliazione non è un affare femminile ma una
questione di rilevanza politica e sociale che non deve essere affrontata in modo settoriale. Per
questo è importante rivolgersi alle donne, ma anche a tutti gli attori interessati: i lavoratori, il
mondo datoriale e imprenditoriale, le parti sociali, allo scopo di tutelare fattivamente l’attuazione
dei principi di uguaglianza di opportunità e non discriminazione”.
Poi, un richiamo va fatto all’articolo 9 della legge n. 53/2000 in merito alla flessibilità di orario:
“Al fine di promuovere e incentivare forme di articolazione della prestazione lavorativa volte a
conciliare tempi di vita e di lavoro, nell’ambito del Fondo per l’occupazione di cui all’art. 1 comma
7 del D.L. 20/5/1993 n. 148 convertito dalla legge 19/7/1993 n. 236, è destinata una quota fino a
lire 40 mdi annue a decorrere dall’anno 2000, al fine di erogare contributi, di cui al 50% destinato
ad imprese fino a 50 dipendenti, in favore di aziende che applichino accordi contrattuali che
prevedono azioni positive per la flessibilità, ed in particolare:
a) progetti articolati per consentire alla lavoratrice madre o al lavoratore padre, anche quando uno
dei due sia lavoratore autonomo, ovvero quando abbiano in affidamento o in adozione un
minore, di usufruire di particolari forme di flessibilità degli orari e della organizzazione del
lavoro, tra cui part time reversibile, telelavoro e lavoro a domicilio, orario flessibile in entrata o
in uscita, banca delle ore, flessibilità sui turni, orario concentrato, con priorità per i genitori che
abbiano bambini fino a otto anni di età, o fino a dodici anni in caso di affidamento o di
adozione;
b) programmi di formazione per il reinserimento dei lavoratori dopo il periodo di congedo;
c) progetti che consentano la sostituzione del titolare di impresa o del lavoratore autonomo, che
benefici del periodo di astensione obbligatoria o dei congedi parentali, con altro imprenditore o
lavoratore autonomo”.
I dati emergenti dalla ricerca “Maternità, lavoro, discriminazioni” commissionata all’Isfol dal
Ministero del lavoro ( ufficio nazionale del Consigliere di parità) delineano un quadro in cui la
maternità è vissuta praticamente come un fatto privo di valenze sociali, in cui impera il vecchio
stereotipo che vede la carriera professionale appannaggio dell’uomo e gli obblighi familiari dovere
della donna. I supporti a disposizione delle donne che vogliono/debbono continuare a lavorare sono
forniti in massima parte dalle strutture familiari, anche se il padre sembra mancare in 6 casi su 10, e
l’opzione part-time rappresenta una scelta obbligata per il 70% delle donne.
Dopo essere stata al centro delle campagne elettorali, lo spacchettamento del Ministero del lavoro
ha complicato ulteriormente le politiche del lavoro, frammentando le competenze con quelle per la
famiglia e quelle per le Pari opportunità, e delle conseguenti incertezze se ne sente il riflesso nella
mancanza di chiare iniziative governative.
Forse qualche apertura si nota nel Dpef, che tuttavia appare più che altro un documento di indirizzo
che deve trovare sbocchi concreti nella prossima Finanziaria: e qui è già forse il caso di cominciare
a giocarci qualche carta.
In senso negativo deve essere invece valutata la circolare ministeriale n. 16 del 18/5/2006, relativa
alla applicazione dell’art. 9 della legge n. 53/2000 sulle modalità di presentazione dei progetti di
azioni positive per la flessibilità in favore della conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare, che
non elenca i Consulenti del lavoro fra i destinatari quando invece ci aspettiamo, per la nostra
preparazione e per il nostro impegno nelle PMI, un ruolo di partner privilegiato.
In questo contesto appare di indubbio interesse sinergico l’iniziativa del Centro Studi Nazionale
Ancl denominata “Consulenti donne per il lavoro delle donne”, a proposito della quale si richiama
l’articolo presente nel sito www.ancl.it nella sezione Centro Studi-Ricerca, di cui si trascrivono
alcuni passaggi qui di seguito, che testimonia la estrema attualità di alcune delle intenzioni di questo
convegno:
“L’idea di una iniziativa "progettata da donne e rivolta alle donne" nasce in seno alla Provincia di
Rimini e si radica nell’impegno e nella volontà di mettersi in gioco delle Consulenti del lavoro
Sonia Alvisi e Maria Teresa Conti. Come riportato dai dati ufficiali Union Camere, sarebbe infatti
in Emilia Romagna – ed in particolare nella provincia di Rimini – che la concentrazione delle
imprese femminili raggiunge le quote più elevate a livello nazionale. E proprio questo dato, unito
all’esperienza sul campo delle due Professioniste, ha fornito un prezioso spunto nella elaborazione
di un progetto rivolto non solo agli imprenditori "in rosa" ma anche alle lavoratrici dipendenti.
Quelle che sempre di più sembrano subire le condizioni di scarsa flessibilità del mercato del lavoro.
E quelle stesse che, troppo spesso, si trovano a pagare il prezzo di un doppio ruolo che le vuole
presenti sia in casa che sul lavoro. Ma non è tutto, perché la conciliazione tra i tempi di vita e tempi
di lavoro rappresenta solo uno fra gli altri nodi destinati a rientrare nelle azioni positive previste dal
progetto.
Obbiettivo della commissione sarà infatti quello di approfondire lo studio di ogni normativa vigente
in materia di "lavoratrici". A partire dalla legge n. 215/1992 sull’imprenditoria femminile, passando
dall’art. 9 della legge n. 53/2000 sulle azioni positive per la flessibilità, dalla legislazione relativa
agli sgravi contributivi, alla realizzazione delle pari opportunità in azienda e non solo. Inoltre,
particolare attenzione sarà rivolta alla verifica della loro diffusione a livello nazionale, perché –
come spiegano le due colleghe: "La conoscenza della materia risulta purtroppo ancora scarsa. Tanto
che abbiamo riscontrato una certa carenza di informazione anche presso i Comitati Impresa Donna
presenti su tutto il territorio nazionale". Tra le finalità del progetto figura poi un’azione di
sensibilizzazione rivolta non solo alle aziende ma anche alle lavoratrici attraverso percorsi di
formazione ideati su misura. A questo si aggiunge la volontà di inaugurare un dialogo fruttuoso e
costante con le istituzioni attraverso proposte di legge e costanti confronti. Così come non mancherà
l’organizzazione di eventi congressuali di studio e divulgazione delle competenze specifiche che da
sempre appartengono ai Consulenti del lavoro per valorizzarne e promuoverne la professionalità.
Allo scopo di implementare un tale progetto, che vuole e deve essere di forte impatto ma anche di
capillare diffusione, è prevista inoltre l’organizzazione sul territorio di sottocommissioni regionali.
Queste ultime avranno il compito di monitorare le situazioni e le realtà locali per migliorare gli
eventuali interventi avanzati nelle sedi istituzionali.
All’indomani dell’entrata in vigore del discusso "Codice delle pari opportunità", che riordina la
normativa vigente in materia, il progetto acquista una rilevanza ancora più sentita in una realtà
dibattuta e critica quale si presenta oggi la situazione lavorativa delle donne. Inoltre, la
commissione "Consulenti donne per il lavoro delle donne" si costituisce alla luce del 2007 – anno
europeo delle Pari opportunità – con lo scopo di portare un notevole contributo alla visibilità della
categoria nonché una opportunità di crescita per le consulenti del lavoro che vorranno collaborare al
progetto. “
E’ altresì doveroso ricordare che il DM 15/5/2001, aperto alla presentazione delle domande di
finanziamento per progetti di flessibilità della prestazione lavorativa diretti a conciliare tempi di vita
e di lavoro entro il 10 febbraio, il 10 giugno e il 10 ottobre di ogni anno, consente perfino la
sostituzione del titolare di impresa, compreso il libero professionista, ovvero del lavoratore
autonomo e del lavoratore a progetto, nonché il sostegno di programmi di formazione per il rientro
di lavoratori/lavoratrici dal congedo in relazione alle mansioni svolte in azienda.
I TEMPI DELLE CITTA’
Questo argomento consegue ed integra i passaggi precedenti, che hanno implicitamente denunciato
i costi ed i disagi derivanti dagli spostamenti casa-lavoro (recenti statistiche indicano in 40 minuti il
tempo medio di una tratta dei lavoratori italiani), nonché più remoti riflessi sull’economia familiare
particolarmente opprimenti per le donne.
La normativa per imboccare queste nuove strade è già disponibile da tempo, anche se non emerge
frequentemente o è addirittura ignorata negli atti delle Istituzioni locali alle cui competenze e
dimensioni è particolarmente affidata.
Caso esemplare è rappresentato dalla parte della legge n. 53 del 8/3/2000 che si occupa del
coordinamento dei tempi delle città, che avrebbe dovuto sviluppare nel giro di 6 mesi una serie di
norme regionali e comunali per definire e migliorare gli orari degli esercizi privati, dei pubblici
esercizi commerciali e turistici, delle attività culturali e dello spettacolo, dei servizi pubblici, degli
uffici periferici delle Amministrazioni pubbliche, nonché per la promozione dell’uso del tempo per
fini di solidarietà sociale, anche di valenza di bacino territoriale per i Comuni con popolazione non
superiore a 30000 abitanti. Allo scopo le Regioni debbono prevedere incentivi finanziari per i
Comuni, ed i Ministeri sono autorizzati a predisporre apposite campagne informative, attingendo
principalmente ad un Fondo per l’armonizzazione dei tempi delle città istituito a carico del bilancio
dello Stato a far tempo dal 2001, nonché istituire comitati tecnici in materia di progettazione
urbana, di analisi e di comunicazione sociale, di gestione organizzativa, e corsi di qualificazione di
personale da impiegare nella progettazione di piani territoriali.
A questo proposito è tuttavia doveroso segnalare che la Regione Lombardia ha emanato anche
quest’anno un bando ( decreto Dirigente unità Organizzativa 8/2/2006 n. 1319 pubblicato sul s.s. n.
3 al Bur n. 8 del 24/2/2006) per finanziare progetti relativi alla organizzazione e gestione della
domanda di mobilità ( delle persone e delle merci) volti alla riduzione dell’impatto ambientale
derivante dal traffico e di incentivare interventi di mobilità sostenibile e di Mobility management
(piani di spostamento casa-lavoro, studi di fattibilità, azioni operative riguardanti servizi di carpooling, servizi di car-sharing, sistemi informatici per la gestione dei dati riguardanti gli
spostamenti di dipendenti e utenti, azioni di comunicazione volte a incentivare e promuovere l’uso
di mezzi pubblici o forme alternative all’utilizzo dell’auto privata, organizzazione di servizi di
mobilità aziendali anche in funzione di più imprese associate, sistemi di aree di pertinenza
finalizzate al miglioramento della accessibilità alla rete stradale, collocazione di stalli e pensiline
per il ricovero di cicli e motocicli, sistemi di gestione del trasporto delle merci finalizzati alla
razionalizzazione degli spostamenti connessi con le operazioni di smistamento, consegna, carico e
scarico) secondo quanto previsto dal decreto 27/3/1998 del Ministero dell’ambiente. I soggetti
destinatari sono le singole imprese, anche associate in forma di associazioni temporanee o di scopo
o consorziate; ma sono titolati a presentare la domanda di contributo anche le associazioni di
categoria, le università, gli enti di ricerca, le associazioni di protezione ambientale, purché capofila
di interventi destinati a una o più imprese aderenti all’intervento stesso.
La proposta è quella di attivare contatti con la politica locale, sollecitando impegni e investimenti
mirati alla razionalizzazione dei trasporti ed all’adeguamento degli orari dei servizi pubblici e degli
esercizi commerciali.
In questo contesto si potrebbe, ad esempio, evidenziare una iniziativa moderna quale il Mercato
rionale solidale, impostata sulla tecnica dei Gruppi di Acquisto Collettivo con gestione decisamente
telematica, che rappresenta una risposta ad almeno 3 situazioni:
- lo stimolo a rilanciare un sistema di produzione e commercio locale, sviluppabile nelle aree
vicine a noi e quindi di nostro specifico interesse e competenza,
- la possibilità di ubicarli, almeno virtualmente, con una logistica raggiungibile dalle persone che
lavorano,
- l’utilizzo di mezzi simili a quelli dell’e-commerce, disponibili in ogni studio e fautori di
risparmio,
LA MOBILITA SOSTENIBILE
Su questi argomenti la legge 53/2000 era stata preceduta dal Decreto del Ministero dell’Ambiente
del 27/3/1998, che , accanto all’obbligo di risanamento e tutela della qualità dell’aria, all’incentivo
allo sviluppo dell’auto in multiproprietà (car-sharing), del taxi collettivo, dei veicoli elettrici e a gas,
introduce la figura del responsabile della mobilità aziendale (mobility manager) con l’obiettivo di
coinvolgere anche le aziende ed i lavoratori, che giocano un ruolo importante nei fenomeni di
congestione, e nella progettazione e gestione delle soluzioni alternative. Il Decreto dispone che tutte
le aziende e gli enti con oltre 300 dipendenti per unità locale o con complessivamente oltre 800
dipendenti distribuiti su più unità locali debbano identificare la figura del Mobility Manager
aziendale, avente il compito di ottimizzare gli spostamenti sistematici del personale, puntando
soprattutto a ridurre l’uso dell’auto privata, adottando uno strumento chiamato “Piano degli
spostamenti casa-lavoro”. Tale piano deve essere presentato entro il 31dicembre di ogni anno al
Comune ed entro i 60 giorni successivi deve essere stipulato un accordo di programma per
l’applicazione del piano Azienda/Ente/Comune (sic!). Lo stesso decreto propone la istituzione
presso l’Ufficio Traffico Comunale, o analogo servizio cui viene affidato l’incarico di attuare il
piano del traffico, di una struttura (Mobility Manager di Area) di supporto e coordinamento che
mantenga i collegamenti fra i responsabili aziendali, le strutture comunali e le aziende di trasporto.
Su queste indicazioni la Divisione Sistemi Energetici per la mobilità e l’habitat dell’ENEA
formulava in data 23/12/1999 un corposo documento che sviluppava dettagliatamente una serie di
“linee guida” per la redazione, l’implementazione e la valutazione dei Piani di spostamento Casa-
lavoro, al fine di una migliore organizzazione della mobilità per contribuire a ridurre i livelli di
congestione del traffico urbano e di inquinamento atmosferico con conseguenti vantaggi a livello
sociale ed economico.
I Comuni, anche in forma associata se con popolazione inferiore 30.000 abitanti, dovevano attuare i
piani territoriali degli orari entro il marzo 2001, anche con riferimento alle disposizioni dell’art. 36
comma 3 della legge 8/6/1990 n. 142, pena la nomina di un commissario regionale ad acta, nonché
ad individuare un responsabile della mobilità. Nella elaborazione del piano si deve tener conto degli
effetti sul traffico, sull’inquinamento e sulla qualità della vita cittadina, degli orari di lavoro
pubblici e privati, nonché delle istituzioni formative, culturali e del tempo libero.
All’inizio del 2006 la Commissione europea ha pubblicato la quinta delle sette strategie tematiche
previste all’interno del VI programma di azione per l’ambiente a livello locale, per dare un apporto
al miglioramento della qualità dell’ambiente urbano e ridurre l’impatto negativo della città sul
vivere e sul lavorare. Per aiutare le autorità locali ad intraprendere percorsi di gestione integrata, nel
2006 la Commissione pubblicherà una serie di orientamenti tecnici elaborati sulla base di
esperienze già acquisite e contenenti esempi di buone pratiche, anche tramite un portale tematico
dedicato, fra cui quelli relativi a piani per un trasporto urbano sostenibile che tengano conto dei vari
aspetti inerenti la sicurezza, l’accesso ai beni ed ai servizi, l’inquinamento atmosferico, i consumi
energetici, l’utilizzazione del territorio.
LE BANCHE DEI TEMPI
Al fine di una maggiore completezza dell’esame degli argomenti che fanno parte del contesto socioeconomico, e per il maggior credito sulla visione complessiva delle norme dimenticate, merita un
accenno almeno uno degli altri argomenti trattati dalla legge 53/2000 (art. 27).
Per favorire lo scambio di servizi di vicinato, per facilitare l’utilizzo dei servizi della città e il
rapporto con le pubbliche amministrazioni, per favorire l’estensione della solidarietà nelle comunità
locali e per incentivare le iniziative di singoli gruppi di cittadini, associazioni, organizzazioni ed
enti che intendano scambiare parte del proprio tempo per impieghi di reciproca solidarietà e
interesse, gli enti locali possono sostenere e promuovere la costituzione di associazioni denominate
“banche dei tempi”.
Gli enti locali possono disporre a loro favore l’utilizzo di locali e di servizi e organizzare attività di
promozione, formazione e informazione. Possono altresì aderire alla Banche dei tempi e stipulare
con esse accordi che prevedano scambi di tempo da destinare a prestazioni di mutuo aiuto in favore
di singoli cittadini o della comunità locale. Tali prestazioni devono essere compatibili con gli scopi
statutari delle Banche dei tempi e non devono costituire modalità di esercizio delle attività
istituzionali degli Enti locali.
LE BUONE PRATICHE
Nel 2004 e nel 2005 abbiamo sventolato la bandiera della “Responsabilità sociale di Impresa”.
Considerando che noi operiamo nell’ambito delle piccole imprese ( che altro sono i nostri Studi?) e
che il nostro prioritario interesse è quello di valorizzare le cosiddette “Risorse Umane”, non
possiamo esimerci dall’impegnarci seriamente per attivare Buone pratiche a favore di questo
Stakeholder.
La priorità di tale impegno è insita nel fatto che se non valorizziamo le Risorse umane anche il
nostro lavoro perde di importanza agli occhi dei Clienti. Se non puntiamo sulla qualità finiremo
schiacciati fra le lobbies di capitali che sostengono i cedolinifici a tariffe cinesi e le Associazioni di
categoria Datoriali e Sindacali.
La difficoltà di questo impegno è che il singolo Studio non riuscirebbe quasi mai a raggiungere la
“massa critica” quantitativamente necessaria per giustificare l’investimento necessario ad attivare
una Buona pratica.
Lo sforzo interno della Categoria, e perché no anche di quelle più vicine alla nostra, deve essere
progettato con l’obiettivo di un miglioramento culturale nel settore delle RSI e di costruire una
struttura organizzativa capace di fare rete e sinergie tramite la disponibilità delle numerose
esperienze individuali.
LE LINEE DI AZIONE DELL’ANCL REGIONE LOMBARDIA
Come si può notare, le aree di intervento sono tante, ma spesso non attuabili nelle piccole e medie
imprese proprio per la mancanza della già citata “massa critica”. Abbiamo detto e scritto mille volte
che la struttura portante dell’economia nazionale è costituita dalla rete delle Piccole e Medie
Imprese, imprese che spesso non superano, per i motivi che ben conosciamo, i 15 lavoratori. E sono
i lavoratori di queste imprese i più trascurati. Dei loro bisogni non se ne occupa nessuno, neanche il
sindacato, che spesso è assente in queste realtà produttive. Ma noi Consulenti del Lavoro no. Noi
non siamo assenti in queste realtà, anzi sono la nostra “massa critica”.
Ed è per questo motivo che sentiamo il dovere di doverci far carico dei problemi, non solo delle
aziende, ma anche dei lavoratori in esse occupati. Proviamo a rispondere a queste domande:
- se una lavoratrice ha problemi di asilo nido cosa fa?
- se i lavoratori hanno problemi di trasporto cosa fanno?
- se i lavoratori hanno problemi di orario di lavoro cosa fanno?
- se i lavoratori hanno problemi di mensa cosa fanno?
- ecc.
La risposta è una sola: si arrangiano. Purtroppo è così. Il loro datore di lavoro non può aiutarli, la
pubblica amministrazione non li ascolta, il sindacato è assente. A questo punto noi Consulenti del
Lavoro non possiamo non intervenire.
Prima di tutto perché noi stessi siamo cittadini, coscienti di essere titolari di diritti e di doveri, in
uno scambio fecondo con la pubblica amministrazione con la quale intercorrono comuni interessi di
fondo. Poi perché un buon funzionamento del luogo in cui viviamo, la qualità dei servizi che offre,
il livello della sua burocrazia, sono elementi in grado di semplificare o complicare la vita delle
persone e delle professioni; di diffondere o al contrario soffocare potenzialità ed opportunità; di
valorizzare oppure compromettere il grado di efficienza di un’intera comunità. Un buon piano
regolatore capace di dare armonia allo sviluppo urbano e prevedere le necessarie infrastrutture, una
valida rete di servizi a supporto ai cittadini, alle famiglie e alle imprese, nei campi dell’assistenza
sociale, della scuola, della sanità, della formazione, dei trasporti, del lavoro e del tempo libero, la
semplificazione delle procedure e dei servizi telematici: ognuna di queste voci può costituire un
problema o una risorsa, produrre un effetto sulla vita e sulle attività di tutti. Non si tratta
necessariamente di entrare in politica, ma di non stare solo a guardare e criticare o lamentarsi; anche
perché potremmo essere ottimi consulenti per un sindaco, un’amministrazione comunale, un
assessorato, chiamati a gestire organizzazioni sempre più complesse. Noi conosciamo molto bene i
problemi delle aziende, dei lavoratori e delle loro famiglie, viviamo costantemente al loro fianco e
cerchiamo di armonizzare i contrapposti interessi per farli convergere al fine di consentire lo
sviluppo, la condivisione degli obiettivi e la partecipazione ai risultati economici e sociali. Non ci
può essere sviluppo senza la partecipazione ed i consenso di tutti.
La nostra Associazione, nella nostra regione, intende fare qualcosa di concreto per cercare di
risolvere alcuni problemi di carattere sociale. Questa è la nostra proposta.
L’Organizzazione
A livello regionale stiamo costituendo Gruppi di lavoro (Elaborazione e Supporto) che siano
visibili, accettati e sostenuti dalla maggior parte dei Colleghi. A livello di singola Provincia, ogni
Unione provinciale organizzerà uno o più Distretti, dimensionati in funzione delle caratteristiche del
territorio, con a capo un Collega Coordinatore che condivide le linee del progetto.
Le linee di azione
Una linea di azione dovrà essere indirizzata alla realizzare di proposte pratiche che vadano incontro
ai bisogni, anche piccoli, delle persone che operano nei nostri Studi e presso i nostri Clienti, che
dipendano decisamente dalla nostra volontà (cioè Buone pratiche e Azioni di pari opportunità). E’
possibile fin d’ora enunciare l’oggetto di alcuni progetti, come ad esempio:
- un Gruppo di lavoro (di supporto) che faccia promozione professionale e assistenza discreta per
l’attivazione presso gli Studi dei Colleghi e presso i loro Clienti di corrette iniziative di
Telelavoro,
- un Gruppo di lavoro per la diffusione delle iniziative di car-sharing e, più genericamente, di
mobilità sostenibile,
- un Gruppo di lavoro per la creazione di asili nido e mense interaziendali
- un Gruppo di lavoro per le attività di formazione e per le attività di pari opportunità
- un Gruppo di lavoro per la organizzazione della attività di Acquisto Collettivo e-commerce,
- ecc.
Gli esempi potrebbero essere tanti, una sola la scelta culturale ( serrare i ranghi e fare rete, mettendo
a disposizione le proprie competenze per dare forza e visibilità alla Categoria).
L’altra linea dovrà essere indirizzata al confronto con le Amministrazioni locali, su tutti i temi fin
qui accennati ed anche altri impliciti ed inerenti, strutturata sui Distretti che si riferiranno
direttamente all’esecutivo del Consiglio Regionale.
Siamo convinti che i Professionisti hanno tutte le carte in regola e le competenze per partecipare
alle scelte sociali di ogni livello, e che, in particolare, i Consulenti del lavoro sono i più qualificati
operatori sociali al servizio della società civile ed economica del Paese.
E adesso c’è l’urgenza di sedersi a tutti i tavoli della concertazione.
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