231 CAPITOLO 11 Gemma Pelargonio Antonio Dello Russo Aritmie 1 Gabriele Ferrario Gaetano A. Lanza Per aritmia si intende qualsiasi alterazione della normale frequenza o regolarità del battito cardiaco, ovvero della sequenza fisiologica di conduzione dell’impulso elettrico dal nodo del seno sino ai ventricoli. Una trattazione adeguata delle aritmie presuppone un’appropriata conoscenza dell’anatomia e della fisiologia del sistema di conduzione elettrica del cuore. © 2010 ELSEVIER S.R.L. Tutti i diritti riservati. Anatomia del sistema di conduzione cardiaco Uno schema del sistema di conduzione cardiaco è illustrato nella figura 11.1. Normalmente l’attivazione del cuore inizia nel nodo del seno (o nodo sinusale o seno-atriale). Il nodo del seno è una struttura allungata, delle dimensioni di 15 × 5 mm circa, situata a livello della giunzione fra vena cava superiore e atrio destro. Esso è costituito da almeno tre tipi di cellule, di cui quelle funzionalmente più importanti sono le cellule P (pacemaker o segnapassi). Queste cellule hanno la proprietà di depolarizzarsi spontaneamente a intervalli regolari. L’impulso sorto a livello del nodo del seno si diffonde agli atri e raggiunge il nodo atrioventricolare (AV). Sembra peraltro ormai abbastanza dimostrata l’esistenza, a livello atriale, di alcuni fasci, costituiti da cellule specializzate, che connettono direttamente il nodo del seno con il nodo AV (tratti internodali), trasportandovi l’impulso elettrico in modo più rapido che attraverso il miocardio comune. Di norma il nodo AV costituisce l’unica struttura che consente la trasmissione dell’impulso elettrico dagli atri ai ventricoli. Esso è situato alla base del setto interatriale, a ridosso dell’anulus tricuspidale, 1-2 cm davanti al seno coronarico, ed è costituito da cellule specializzate che conducono l’impulso elettrico in modo rallentato. Superato il nodo AV, l’impulso prosegue verso i ventricoli attraverso il fascio di His, le due branche, destra e sinistra, e il sistema di Purkinje. Queste strutture sono costituite da tessuto di conduzione specializzato, in particolare da cellule tipo Purkinje, che, contrariamente alle cellule del nodo AV, hanno la proprietà di condurre l’impulso elettrico molto rapidamente. L’insieme formato dal nodo AV e dal fascio di His viene indicato con il termine di giunzione atrioventricolare (AV). Il fascio di His è lungo circa 15 mm; esso nasce dal bordo antero-inferiore del nodo AV e, correndo lungo la parte membranosa del setto interventricolare, raggiunge il setto interventricolare muscolare. Qui si dirama in due branche. La branca destra è un fascio sottile, ben individualizzato, che scende lungo il lato destro della porzione muscolare C0055.indd 231 del setto interventricolare. La branca sinistra, viceversa, è una struttura meno organizzata e mostra anche una spiccata variabilità individuale; poco dopo la sua origine essa può dividersi in due principali fascicoli, il fascicolo anteriore e il fascicolo posteriore, ma in diversi casi non è possibile individuare suddivisioni ben definite da un punto di vista anatomico. Le due branche si suddividono lungo il loro decorso in numerosi fascetti, che danno origine a una fitta rete di fibre, il sistema di Purkinje, che si distribuisce diffusamente agli strati subendocardici dei ventricoli. Le cellule del sistema di Purkinje sono in stretta connessione con le cellule miocardiche contrattili degli strati subendocardici, alle quali trasmettono alla fine l’impulso elettrico che è alla base della loro attività meccanica. L’impulso elettrico continua poi a trasmettersi per continuità tra le cellule miocardiche comuni verso l’epicardio. La funzione emodinamica del cuore si realizza in maniera ottimale solo quando la contrazione atriale e quella ventricolare si susseguono con la sequenza che risulta dall’ordinata trasmissione dell’impulso dal nodo del seno ai ventricoli attraverso il tessuto atriale, il nodo AV, il fascio di His, le branche e la rete di Purkinje. A questo proposito va osservato che il ritardo che l’impulso subisce nel nodo AV fa sì che la contrazione dei ventricoli avvenga qualche tempo dopo quella degli atri; ciò consente che la sistole atriale partecipi efficacemente al riempimento diastolico, ottimizzando la gittata sistolica dei ventricoli. È importante ricordare che il nodo del seno viene irrorato da un’arteria che prende origine, in circa la metà dei casi, dall’arteria coronaria destra e, nell’altra metà, dall’arteria circonflessa dell’arteria coronaria sinistra, mentre il nodo AV è irrorato nel 90% dei casi dall’arteria discendente posteriore sinistra, che origina dall’arteria coronaria destra. Il fascio di His e le branche sono irrorati per lo più da vari rami dell’arteria coronaria sinistra. Elettrofisiologia delle cellule miocardiche Il potenziale di azione Come detto, il normale ciclo cardiaco prende origine dalla spontanea insorgenza dell’eccitazione nel nodo del seno; da qui l’eccitazione si propaga a tutto il miocardio. Sia la formazione sia la propagazione degli impulsi derivano da alcune proprietà elettriche delle cellule miocardiche, che possono essere ben comprese analizzando il loro potenziale di azione. Con questo termine si intende la curva 6/9/10 9:48:09 AM 232 Parte 1 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO Destra Sinistra TI NS FAS BS TI BD TI Figura 11.1 Schema del sistema di conduzione dell’impulso elettrico del cuore, visto dalla parte destra e sinistra del setto interatriale e interventricolare. TI BS NAV H FPS FP FP A sinistra si notano il nodo del seno (NS), i tratti internodali (TI), il nodo AV (NAV), il fascio di His (H) e la branca destra (BD) con le fibre di Purkinje (FP). A destra è messa in evidenza la branca sinistra (BS) con i suoi due fascicoli, anteriore (FAS) e posteriore (FPS), e la rete di Purkinje. È da notare la differente struttura delle due branche. che descrive le variazioni del potenziale elettrico di una cellula in risposta a uno stimolo esterno. Il potenziale di azione cardiaco presenta cinque fasi (Fig. 11.2), che si verificano per una ben definita serie di variazioni di flussi ionici attraverso la membrana della cellula in seguito alla sua stimolazione. I flussi ionici possono avvenire attraverso la membrana cellulare grazie alla presenza di canali situati lungo la sua superficie; questi canali sono Voltaggio transmembrana (mV) 50 VNG 1 0 0 -50 Soglia 2 3 Soglia Figura 11.2 4 4 (a) Potenziale VK -100 di azione delle cellule miocardiche. (b) 0 100 200 300 400 500 Movimenti degli a Tempo (ms) ioni attraverso la membrana 0 1 2 3 4 4 cellulare relativi + + + + Esterno Na K K K Na+ alle varie fasi del potenziale m Membrana h di azione; sono evidenziate le Interno K+ Na+ ClNa+Ca2+ Ca2+ No+ K+ variazioni dello stato dei canali Canali del Na+ Pompa Na+ -K+ degli ioni Na+. b C0055.indd 232 specifici per un determinato ione e sono prevalentemente formati da proteine che, a seconda della conformazione che assumono, aprono o chiudono il canale, consentendo o impedendo, rispettivamente, il passaggio dello ione specifico. Quando il canale è in posizione di apertura, lo ione può fluire liberamente attraverso la membrana in base al gradiente elettrochimico presente ai due lati della membrana stessa (la conduttanza elettrica della membrana per quello ione è cioè elevata); quando il canale è invece chiuso, lo ione non può passare attraverso la membrana (la conduttanza elettrica della membrana per quello ione è cioè nulla). Quando un canale è aperto, il flusso dello ione e la sua concentrazione finale ai due lati della membrana dipenderanno sia dalla differenza delle sue concentrazioni (gradiente chimico) sia, anche, dalla differenza di potenziale presente ai due lati della membrana (gradiente elettrico). Come si vedrà, i canali ionici che intervengono nel determinare la tipica sequenza del ciclo elettrico della cellula cardiaca (cioè il potenziale di azione) sono canali per gli ioni sodio (Na+), gli ioni calcio (Ca2+), gli ioni potassio (K+) e, in piccola parte, per gli ioni cloro (Cl−) (si veda Fig. 11.2). È da notare che per uno stesso ione possono esistere più tipi di canali, attivabili o disattivabili in momenti e per condizioni differenti. In stato di riposo, cioè durante la diastole, le cellule miocardiche non sono elettricamente neutre, ma presentano uno stato di polarizzazione. Il loro interno, infatti, ha un potenziale elettrico negativo, cioè inferiore rispetto a quello che esiste sulla superficie esterna della membrana cellulare (e nei tessuti circostanti). Il valore di questo potenziale delle cellule miocardiche (a parte quelle del nodo del seno e del nodo AV) è di circa − 80/ − 90 mV. Questo potenziale transmembrana a riposo dipende dal fatto che, in questa fase, la cellula è dotata di un patrimonio di ioni negativi che è leggermente maggiore del patrimonio di 6/9/10 9:48:09 AM Capitolo 11 - ARITMIE ioni positivi. Il contrario si verifica nel liquido extracellulare che circonda le cellule, il quale contiene un leggero eccesso di cariche positive. Questa situazione dipende dal fatto che, a riposo, la membrana delle cellule miocardiche è in pratica impermeabile a molti ioni che non possono quindi fluire liberamente attraverso di essa per raggiungere un equilibrio sulla base delle loro differenze di concentrazione e di potenziale ai due lati della membrana stessa. Per esempio, nelle cellule vi è una concentrazione di K+ 30 volte superiore a quella presente all’esterno delle cellule; la concentrazione di Na+ e di Ca2+ è, rispettivamente, 15 e 10.000 volte inferiore a quella esterna. Queste differenze rientrano nella fisiologica diversa composizione dell’ambiente cellulare rispetto ai liquidi extracellulari. In effetti, tuttavia, a riposo la membrana delle cellule miocardiche è permeabile agli ioni K+ (cioè, alcuni canali del K+ sono aperti). Ne consegue che il potenziale di membrana che esse presentano dipende sostanzialmente dall’equilibrio raggiunto dal K+ ai due lati della membrana, sulla base del suo gradiente elettrochimico. Si osservi come, potendosi muovere liberamente attraverso la membrana, il K+ sarà, da un lato, portato a fuoriuscire dalla cellula sulla base della differenza di concentrazione (come visto, molto maggiore all’interno della cellula), ma sarà, dall’altro lato, portato a entrare nella cellula sulla base del gradiente elettrico (essendo l’interno della cellula carico negativamente). L’equilibrio raggiunto dal K+ sulla base di questi due opposti flussi determinerà il potenziale della cellula, che si può prevedere matematicamente sulla base dell’equazione di Nernst: Em = RT/zF × InPao/Pai dove Em è il potenziale di membrana, R la costante dei gas, T la temperatura assoluta, z la valenza ionica, F la costante di Faraday, P la permeabilità allo ione, ao e ai le attività (concentrazioni) dello ione all’esterno e all’interno della membrana. Come detto, nelle cellule del miocardio comune, atriale e ventricolare e in buona parte delle cellule costituenti il tessuto di conduzione (in particolare le fibre di Purkinje), questo potenziale transmembrana a riposo è di circa − 80/ − 90 mV e, cosa importante, è di per sé stabile. Se una cellula, però, viene stimolata elettricamente, si verifica un’improvvisa e rapida inversione del potenziale di membrana; in pochissimi millisecondi da negativo l’interno della cellula diviene carico positivamente, arrivando a un potenziale di + 20 mV o più. Questa rapida inversione del potenziale della cellula (overshoot) prende il nome di depolarizzazione e corrisponde alla fase 0 del potenziale di azione. Essa è dovuta all’improvvisa apertura dei canali rapidi di Na+ della membrana cellulare determinata dalla stimolazione elettrica (si veda Fig. 11.2). Attraverso questi canali una certa quantità di ioni Na+ entra velocemente nella cellula trasportando cariche positive, che diventano predominanti. È importante notare che, per poter innescare la depolarizzazione, lo stimolo elettrico deve essere sufficientemente intenso da causare l’apertura di un numero di canali adeguato a determinare l’ingresso di una quantità di Na+ sufficiente a far raggiungere un potenziale-soglia (intorno a − 60 mV) perché si inneschi C0055.indd 233 il processo completo di depolarizzazione. Se lo stimolo è debole, si aprono solo pochi canali e le poche cariche di Na+ che riescono a entrare possono essere insufficienti a far raggiungere il potenziale-soglia. In questo caso si osserva solo un piccolo, transitorio aumento del potenziale di membrana, senza che si inneschi il processo di depolarizzazione. Dopo l’inversione del potenziale di membrana si osserva una fase di lieve riduzione del potenziale stesso (fase 1 del potenziale di azione) seguita da una fase in cui il potenziale rimane positivo e su livelli piuttosto stabili per un certo periodo di tempo (fase 2 o plateau del potenziale di azione). Questi fenomeni si verificano perché, mentre i canali del Na+ si chiudono rapidamente dopo la depolarizzazione, bloccando l’ulteriore flusso di questo ione, l’inversione del potenziale avvenuta con la fase 0 causa l’apertura di un altro tipo di canali del K+, di canali del Cl− e, cosa importante, di canali “lenti” del Ca2+. L’apertura dei primi e dei secondi (questa di breve durata) permette, rispettivamente, un flusso di K+ verso l’esterno e un lieve, transitorio flusso di Cl− nella cellula, spiegando la lieve caduta del potenziale della fase 1. L’apertura dei canali del Ca2+ causa invece un lento ma prolungato flusso di questo ione nella cellula, portandovi cariche positive; l’afflusso di Ca2+ in questa fase viene controbilanciato da un continuo efflusso di K+ (che può muoversi all’esterno anche per un vantaggioso gradiente elettrico); ne risulta che il potenziale intracellulare rimane stabile e su valori intorno allo 0 o poco superiori per un certo tempo. Dopo un certo periodo, il potenziale di membrana torna in modo relativamente rapido a negativizzarsi, riportandosi sui valori che esso aveva a riposo. Questa fase è detta di ripolarizzazione cellulare o fase 3 del potenziale di azione. Essa è dovuta all’apertura di un altro tipo di canali del K+ (mentre i canali del Ca2+ si chiudono), che causa un aumento piuttosto rapido del flusso di K+ all’esterno. Alla fine della fase 3, la cellula è tornata alla sua condizione di base e rimane in una condizione stabile, con il potenziale di membrana negativo (fase 4 del potenziale di azione), finché non viene eccitata di nuovo. Durante la fase 4, la cellula provvede a ripristinare la composizione qualitativa e quantitativa del patrimonio ionico intracellulare basale, espellendo in particolare gli ioni Na+ e Ca2+ entrati nella cellula con la depolarizzazione, e riportando all’interno della cellula ioni K+. Queste attività sono in larga parte svolte da pompe ioniche di membrana, che, lavorando contro gradienti elettrochimici, richiedono energia. Ciò è importante da sottolineare, in quanto un ridotto apporto di ossigeno al miocardio può essere causa di una compromissione della funzione di queste pompe ioniche che finisce con l’alterare il normale bilancio elettrolitico delle cellule, predisponendo, così, allo sviluppo di aritmie. Tra le pompe, una delle più importanti è proprio la pompa Na+-K+, che determina l’espulsione di tre ioni Na+ per ogni due ioni K+ che essa riporta nella cellula (si veda Fig. 11.2). 233 1 Proprietà elettrofisiologiche delle cellule Le cellule miocardiche possono essere suddivise in due tipi fondamentali: le cellule del miocardio comune o “da lavoro” (atriali e ventricolari), il cui compito fondamentale è garantire la portata cardiaca con la contrazione e 6/9/10 9:48:10 AM 234 Parte 1 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO le cellule specializzate del sistema di conduzione, che, come visto, hanno il compito di garantire una corretta trasmissione dell’impulso elettrico a tutto il miocardio. Entrambi i tipi di cellule sono caratterizzati da tre proprietà elettriche: l’eccitabilità, la conducibilità e la refrattarietà. Inoltre, alcune cellule del sistema di conduzione (le cellule pacemaker) hanno una quarta proprietà, che è l’automatismo. Eccitabilità Con questo termine si intende l’attitudine di una cellula miocardica a rispondere a uno stimolo elettrico depolarizzandosi e sviluppando un potenziale di azione, come descritto in precedenza. Conducibilità Per conducibilità si intende la capacità delle cellule di trasmettere l’eccitazione (quindi la depolarizzazione) alle cellule vicine. Questa trasmissione avviene perché la cellula depolarizzata rimane priva di cariche elettriche positive in superficie; questo “vuoto” di cariche positive attrae le cariche elettriche positive che tappezzano la faccia esterna della membrana delle cellule vicine. In conseguenza, il potenziale transmembrana di tali cellule diventa minore di –90 mV e, quando raggiunge il potenziale-soglia, le cellule si eccitano a loro volta. La conducibilità di una cellula miocardica è maggiore o minore a seconda della velocità con cui essa trasmette l’impulso alle cellule circostanti e in funzione della velocità con cui la cellula si depolarizza. Infatti, se la fase 0 di una cellula è molto ripida, essa causa una rapida sottrazione di cariche elettriche positive dalla superficie delle cellule vicine, che vengono quindi fatte eccitare in poco tempo. Se, viceversa, la fase 0 è poco ripida, la sottrazione di cariche elettriche positive dalla superficie delle cellule avverrà più lentamente e la propagazione dello stimolo sarà rallentata. La capacità intrinseca di eccitazione e di conducibilità di una cellula dipende, in particolare, da una diversa composizione in canali ionici delle membrane cellulari, essendo tanto maggiore quanto più la cellula è ricca di canali rapidi del Na+, e viceversa. Così, nel nodo AV, in cui buona parte delle cellule non ha o ha pochi canali per il Na+ e la depolarizzazione è mediata essenzialmente da canali lenti del Ca2+ (si veda oltre, Automatismo), la velocità di conduzione è lenta (circa 200 mm/sec); nel fascio di His, nelle branche e nella rete di Purkinje, viceversa, dove le cellule tipo Purkinje hanno numerosi canali del Na+, la conduzione è molto rapida (circa 4000 mm/sec), mentre nei ventricoli è intermedia (400 mm/sec). Refrattarietà Il termine refrattarietà indica la condizione in cui una cellula miocardica non è eccitabile come di norma dopo la depolarizzazione. Il periodo di refrattarietà si divide in due parti. In un primo periodo la cellula non è eccitabile da parte di alcuno stimolo (periodo refrattario Figura 11.3 Potenziale di azione del nodo del seno. o Soglia Si può notare l’instabilità della fase 4, la lenta ascesa della fase 0 e l’assenza del plateau. Cellule pacemaker di altri centri automatici (come nel nodo AV) hanno un potenziale di azione simile a quello del nodo del seno, ma con pendenza della fase 4 meno ripida. C0055.indd 234 assoluto o effettivo); in un secondo periodo la cellula è rieccitabile ma la sua risposta è anomala (periodo refrattario relativo). Il periodo refrattario assoluto corrisponde alle fasi 0, 1 e 2 del potenziale di azione, quando la cellula, essendo totalmente depolarizzata, non può ovviamente essere eccitata; il periodo refrattario relativo corrisponde alla fase 3 del potenziale di azione, quando la cellula sta recuperando lo stato di polarizzazione di riposo, per cui si può riuscire a rieccitarla, ma la velocità di rieccitazione è più lenta e fornisce un potenziale di azione anomalo. Come conseguenza, anche la conducibilità dell’impulso da parte della cellula sarà minore. Trasferiti al cuore in toto, questi principi indicano che se una parte di miocardio (per esempio, i ventricoli) è stata eccitata da un primo stimolo, essa può essere rieccitata da un secondo stimolo solo se è trascorso un certo tempo. In particolare, se il secondo stimolo segue il primo dopo un intervallo di tempo molto breve, il miocardio può essere ancora in periodo refrattario assoluto e, quindi, non rispondere per niente; se il secondo stimolo segue il primo dopo un intervallo di tempo più lungo, quando il miocardio è in periodo refrattario relativo, quest’ultimo può eccitarsi, ma lentamente; se il secondo stimolo segue il primo quando il miocardio ha recuperato completamente, quest’ultimo si rieccita normalmente. Nel primo caso la velocità di conduzione dell’eccitazione nell’ambito del miocardio considerato è zero, nel secondo caso è rallentata rispetto alla norma, nel terzo caso è normale. Automatismo Come si è detto, l’automatismo è caratteristica esclusiva delle cellule pacemaker. Con esso si intende la capacità che queste cellule hanno di autoeccitarsi, al contrario di tutte le altre cellule miocardiche, che si eccitano solo se ricevono uno stimolo dall’esterno. Questa capacità deriva dal fatto che, in queste cellule, il potenziale transmembrana a riposo non è stabile. Esso, viceversa, tende a ridursi spontaneamente e progressivamente con il tempo, per cui, quando raggiunge un potenziale-soglia, si innesca il potenziale di azione e la cellula si depolarizza (Fig. 11.3). Nel cuore umano vi sono diversi centri con cellule che hanno proprietà di pacemaker: nel nodo del seno, anzitutto, ma anche negli atri (in particolare vicino al nodo AV e lungo le presunte vie internodali), nel nodo AV, nel fascio di His e nelle vie del sistema di conduzione intraventricolare, fino al sistema di Purkinje. Inoltre, cellule miocardiche, soprattutto del tessuto di conduzione, che non hanno normalmente proprietà di automatismo possono acquisirle in condizioni patologiche (per esempio, ischemia). La capacità di autodepolarizzazione (la frequenza, cioè, con cui le cellule pacemaker si attivano) è diversa tra i vari centri automatici del cuore. Ciò dipende dal fatto che la rapidità con cui avviene la depolarizzazione spontanea durante la fase 4 è diversa nelle diverse cellule pacemaker. Più la variazione è rapida, maggiore è la frequenza di attivazione e di scarica del pacemaker. La pendenza della variazione del potenziale è maggiore nelle cellule del nodo del seno, è intermedia nelle cellule del nodo AV e minore nei pacemaker ventricolari. Così, la frequenza di attivazione è, in media, circa 70 bpm per il nodo del seno, circa 50 per la giunzione AV, ma solo 30 o meno per le fibre di Purkinje. 6/9/10 9:48:10 AM Capitolo 11 - ARITMIE Poiché il nodo del seno ha la frequenza di autodepolarizzazione maggiore, è questo che guida, in condizioni normali, il ritmo del cuore (segnapassi primario). Infatti, le cellule degli altri pacemaker cardiaci (pacemaker secondari, o sussidiari, o latenti) vengono a ogni battito eccitate dall’impulso sinusale prima che possano raggiungere il loro potenziale-soglia. Se per ragioni patologiche (o anche fisiologiche) il nodo del seno riduce marcatamente la sua frequenza, il centro automatico che si trova ad avere in quel momento la maggiore capacità di autodepolarizzazione prende il comando del ritmo cardiaco. È da notare che nelle cellule pacemaker non vi sono canali veloci, ma solo un tipo di canale lento per gli ioni Na+. Nel momento in cui viene raggiunto il potenziale-soglia, si aprono i canali lenti del Ca2+, che sono in questo caso i responsabili della depolarizzazione cellulare; essendo però l’ingresso di questi ioni piuttosto lento, la fase 0 del potenziale di azione non è verticale, ma obliqua. Il potenziale cellulare, inoltre, oltrepassa di poco il valore 0 e manca la fase 1 del potenziale di azione. Anche la fase 2 è breve, e la 3 è più graduale e prolungata. La fase 4, infine, è caratterizzata dal fatto che il potenziale transmembrana non si mantiene, ma, da un valore massimo iniziale, si riduce lentamente, fino ad arrivare al potenziale-soglia (si veda Fig. 11.3). Il motivo per cui le cellule pacemaker vanno incontro ad autodepolarizzazione è dovuto al fatto che la membrana cellulare in fase di riposo (diastolica) non è totalmente impermeabile agli ioni Na+ e, probabilmente, agli ioni Ca2+ (alcuni canali, cioè, sono aperti), per cui ioni Na+ e Ca2+ possono entrare lentamente nelle cellule riducendo progressivamente il potenziale sino a quello soglia. Il canale responsabile della depolarizzazione della cellula, e quindi dell’automaticità, è un tetramero denominato HCN attraverso cui passa una corrente detta If. La pendenza della fase 4 del nodo del seno può essere modificata da vari fattori (meccanici, chimici), ma è soprattutto influenzata fisiologicamente dall’attività del sistema nervoso autonomo. L’attività simpatica, infatti, aumenta la pendenza, causando così un aumento della frequenza di scarica del nodo (e quindi della frequenza cardiaca), mentre il sistema parasimpatico (vago) riduce la pendenza, causando così una riduzione della frequenza di scarica del nodo (e quindi della frequenza cardiaca). questione, in caso di ricorrenza, può mettere a rischio la vita del paziente o gravare pesantemente sulla sua qualità di vita, per cui necessita di un’attenzione terapeutica adeguata; (3) infine, bisogna chiarire se il paziente ha una patologia cardiaca organica di base e, comunque, il contesto clinico in cui l’aritmia si verifica, in quanto ciò può condizionare il significato prognostico dell’aritmia stessa e il suo trattamento. Le varie forme di bradiaritmia e tachiaritmia presentano caratteristiche elettrofisiologiche, cliniche e terapeutiche peculiari, che saranno trattate nei relativi paragrafi. Tuttavia, conseguenze fisiopatologiche, manifestazioni cliniche e indagini diagnostiche sono spesso comuni a varie aritmie, per cui si ritiene utile discutere questi argomenti in generale prima di trattare le singole anomalie del ritmo cardiaco. 1 Conseguenze fisiopatologiche delle aritmie Le aritmie possono interferire con la corretta funzione del cuore attraverso alcuni possibili effetti conseguenti a: (1) variazioni della frequenza cardiaca; (2) perdita della contrazione atriale; (3) variazioni del consumo miocardico di ossigeno e del flusso coronarico; (4) alterato sincronismo della contrazione ventricolare. Inquadramento delle aritmie Conseguenze delle variazioni della frequenza cardiaca In condizioni normali il cuore mantiene costante la portata cardiaca (quantità che il sangue espelle in un minuto) anche con ampie variazioni della frequenza (da circa 40 a circa 160 bpm). Ciò è possibile perché il cuore normale varia adeguatamente la quantità di sangue espulsa a ogni sistole (gittata sistolica): la aumenta in caso di bradicardia e la riduce in caso di tachicardia. Quando vi è una disfunzione del miocardio, il cuore può non riuscire a incrementare adeguatamente la gittata sistolica in corso di bradicardia e, nella situazione opposta, può ridurre eccessivamente la gittata sistolica in corso di tachicardia. In entrambi i casi la prestazione di pompa del cuore può essere compromessa e la portata cardiaca diminuire. In alcuni casi, inoltre, una tachiaritmia improvvisa, che determina un’elevata frequenza ventricolare può di per sé determinare una secondaria depressione della contrattilità miocardica (tachimiocardiopatia), con conseguente insufficienza contrattile. Tipicamente, questa forma di disfunzione miocardica è reversibile e si risolve con la normalizzazione della frequenza. Le aritmie vengono suddivise clinicamente in due grandi gruppi, le bradiaritmie (dette anche aritmie ipocinetiche) e le tachiaritmie (dette anche aritmie ipercinetiche). Le prime sono caratterizzate da una riduzione della frequenza cardiaca, mentre le seconde sono caratterizzate da una frequenza cardiaca elevata. Dal punto di vista clinico vi sono tre punti fondamentali che, di fronte a un’aritmia, è necessario chiarire: (1) bisogna stabilire se, in quel momento, essa è pericolosa per la vita del paziente, per cui va trattata immediatamente (per esempio, una tachicardia ventricolare o un blocco AV completo), oppure può essere risolta con calma (per esempio, una tachicardia parossistica sopraventricolare) o non necessita di alcun trattamento (per esempio, semplici extrasistoli); (2) bisogna poi chiedersi se l’aritmia in Conseguenze della perdita della contrazione atriale Normalmente gli atri completano il riempimento diastolico dei ventricoli. In alcune aritmie l’attivazione atriale è assente o inefficace (per esempio, nella fibrillazione atriale). In altre aritmie (per esempio, alcuni blocchi AV, ritmi giunzionali, tachicardie parossistiche sopraventricolari, tachicardie ventricolari) la sistole atriale è presente, ma non ha un effetto emodinamicamente utile perché non coordinata con quella ventricolare. Nel cuore normale la perdita della contrazione atriale comporta, in condizioni di riposo, solo un modesto effetto emodinamico. Durante l’esercizio fisico o in presenza di un’alterata funzione contrattile, tuttavia, la perdita della normale sistole atriale può comportare una significativa riduzione della gittata sistolica. La sistole atriale è particolarmente C0055.indd 235 235 6/9/10 9:48:10 AM 236 Parte 1 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO importante ai fini di un adeguato riempimento ventricolare nelle condizioni caratterizzate da ipertrofia del ventricolo sinistro. Infatti, quando il ventricolo sinistro è ipertrofico (come nella stenosi aortica, nell’ipertensione arteriosa e nella miocardiopatia ipertrofica), la distensibilità ventricolare sinistra è compromessa; ciò determina un ostacolo al riempimento protodiastolico ventricolare, per cui il riempimento globale ventricolare può dipendere, in buona parte, dalla validità della sistole atriale. Conseguenze delle variazioni del consumo miocardico di ossigeno e del flusso coronarico La frequenza cardiaca è uno dei determinanti principali del consumo miocardico di ossigeno. Infatti, un raddoppio della frequenza cardiaca raddoppia il consumo di ossigeno. La frequenza cardiaca, inoltre, condiziona il flusso coronarico e, quindi, l’apporto di ossigeno al miocardio. Il flusso coronarico, infatti, avviene pressoché interamente durante la diastole, essendo ostacolato, durante la sistole, dall’elevata pressione intramiocardica che si sviluppa con la contrazione, che occlude di fatto i vasi intramiocardici. La diastole è più lunga in corso di bradicardia ed è più breve in corso di tachicardia. Pertanto, in presenza di stenosi coronariche, l’improvvisa comparsa di una tachiaritmia può causare ischemia, in quanto determina sia un aumento del consumo miocardico di ossigeno sia una riduzione della perfusione miocardica causata da una riduzione del periodo diastolico (si veda il Capitolo 5). Inoltre, in presenza di stenosi coronariche, l’ipotensione causata da tachiaritmie o bradiaritmie gravi può causare ischemia miocardica in conseguenza della riduzione della pressione di perfusione. Conseguenze della desincronizzazione della contrazione ventricolare La funzione ottimale del ventricolo dipende in buona parte anche da un’ottimale sequenza di attivazione, e quindi di contrazione, del miocardio ventricolare. Alcune aritmie comportano un’alterazione di questa sequenza fisiologica di attivazione, determinando un desincronizzazione della contrazione ventricolare. Esempi di questa desincronizzazione sono l’extrasistolia ventricolare, la tachicardia ventricolare, le tachiaritmie sopraventricolari con conduzione aberrante, o anche il semplice sviluppo di un blocco di branca, soprattutto sinistra. In cuori strutturalmente normali la perdita della sincronizzazione della contrazione ventricolare non ha in genere ripercussioni significative sulla funzione meccanica cardiaca. Tuttavia, una contrazione asincrona può avere effetti particolarmente importanti quando si instaura in soggetti con grave disfunzione ventricolare sinistra. Il caso estremo di perdita della sincronia di contrazione ventricolare è rappresentato dalla fibrillazione ventricolare, in cui l’attivazione dei ventricoli è del tutto scompaginata e caotica, per cui l’attività contrattile è del tutto assente (arresto cardiaco). Manifestazioni cliniche In generale, i sintomi che più frequentemente sono determinati dalle aritmie sono legati alla percezione di anomalie del battito cardiaco. La presenza di semplici extrasistoli (sia sopraventricolari sia ventricolari) può essere percepita come sensazione di un battito mancante (per la pausa C0055.indd 236 post-extrasistolica) o come un battito “forte” (dovuto alla maggiore gittata sistolica del battito post-extrasistolico) o anche come un “tonfo al cuore” o un senso di “sfarfallio” intratoracico (quando le extrasistoli sono frequenti o in brevi episodi di tachicardia). Nelle tachicardie parossistiche sopraventricolari, che talora si sbloccano con stimoli che attivano il vago, come colpi di tosse, manovra di Valsalva, interruzione brusca di uno sforzo, il sintomo dominante è in genere legato alla percezione del cuore che batte velocemente (cardiopalmo). In caso di fibrillazione atriale, oltre che tachicardia, il paziente può apprezzare una totale irregolarità dei battiti, con pause di durata variabile. Anche una tachicardia ventricolare sostenuta è spesso semplicemente percepita come un ritmo veloce del cuore. Le bradiaritmie significative, d’altro canto, possono dar luogo a sensazioni di battiti “lenti” o “mancanti” e talora “forti”. Sebbene di solito le aritmie consentano una buona portata cardiaca, le tachiaritmie a frequenza molto alta (soprattutto tachicardia ventricolare e fibrillazione/flutter atriale) e le bradiaritmie marcate possono causare una riduzione improvvisa della portata cardiaca, con grave ipotensione e conseguente ischemia cerebrale, che possono determinare lipotimia o sincope. La riduzione della portata cardiaca può anche accompagnarsi a segni di scompenso retrogrado (dispnea) e anterogrado (pallore, confusione mentale, sudorazione) fino allo shock cardiogeno. Queste conseguenze emodinamiche possono verificarsi più facilmente in pazienti con funzione contrattile miocardica depressa. In pazienti con malattia aterosclerotica ostruttiva del circolo coronarico, sia tachiaritmie sia bradiaritmie possono compromettere la perfusione coronarica causando angina pectoris. Esami strumentali Elettrocardiogramma (ECG) L’ECG consente in genere la corretta diagnosi di un’aritmia quando questa è presente al momento della registrazione del tracciato. In alcuni casi, comunque, una tachiaritmia registrata durante un ECG standard può rimanere di dubbia origine. In questi casi, l’uso di derivazioni particolari, l’attuazione di alcune manovre e/o l’uso di farmaci possono aiutare a chiarire la diagnosi. In molti casi, tuttavia, i pazienti ricorrono al medico per sintomi potenzialmente riferibili ad aritmie, ma di cui non si riesce ad avere documentazione durante la breve registrazione di un ECG standard. In questi casi è necessario ricorrere ad altri mezzi diagnostici per cercare di documentare eventuali aritmie. ECG dinamico secondo Holter Dopo l’ECG standard, il monitoraggio ECG secondo Holter è, in genere, il primo passo nella diagnostica strumentale delle aritmie. Esso è un esame che consente la registrazione continua dell’ECG, in genere per 24-48 ore, sulla memoria di un piccolo registratore al quale il paziente è collegato durante tutte le sue normali attività giornaliere. L’ECG Holter può quindi catturare gli eventi aritmici di cui un paziente soffre transitoriamente, e consentire una valutazione della corrispondenza tra i sintomi del paziente ed eventuali fenomeni aritmici; tuttavia, poiché l’esame è limitato nel tempo, la probabilità di documentare l’aritmia è sufficientemente elevata solo quando i sintomi e/o le aritmie sono abbastanza frequenti. 6/9/10 9:48:10 AM Capitolo 11 - ARITMIE Registratori di eventi e loop recorder In diversi casi le aritmie si verificano solo occasionalmente, per cui l’ECG Holter, anche ripetuto, non riesce a evidenziarle. Esistono perciò registratori dell’ECG di cui il paziente può essere munito per settimane o mesi, che hanno più probabilità di documentare l’eventuale aritmia quando essa si verifichi. Alcuni di questi registratori possono essere attivati dal paziente (o anche da un suo familiare) nel momento in cui avverte i sintomi, in modo da catturare l’eventuale anomalia del ritmo che ne è responsabile. Essendo attivati solo in caso di sintomi, essi sono detti registratori di eventi. In caso di sincope, tuttavia, il paziente non è in grado di attivare il registratore, se non al suo risveglio, per cui l’evento aritmico potrebbe non essere memorizzato. Per tale motivo sono stati ideati registratori a memoria ciclica, o “loop recorder”, i quali registrano di continuo il ritmo del paziente, tenendo in memoria sempre gli ultimi 20-30 minuti dell’ECG; in questo caso, anche se ha una perdita transitoria della coscienza, il paziente può, al risveglio, attivare il salvataggio sulla memoria del registratore degli ultimi 20-30 minuti del suo ritmo, che comprenderà anche il periodo dell’evento sincopale, consentendo così l’individuazione dell’eventuale aritmia. Alcuni di questi registratori hanno anche una capacità di analisi del ritmo e di tenere in memoria eventuali eventi aritmici asintomatici occorsi in un dato periodo. Alcuni di questi registratori sono molto piccoli e vengono impiantati sottocute, consentendo un monitoraggio ECG continuo per circa 2 anni; essi possono analizzare e memorizzare eventi aritmici e sono interrogabili dall’esterno. Esistono anche piccoli registratori portatili esterni, analoghi a registratori ECG Holter, che presentano queste caratteristiche; essi evitano l’incisione cutanea necessaria con l’uso di registratori impiantabili, ma necessitano di un collegamento al paziente tramite elettrodi cutanei, che, alla lunga, possono presentare problemi nella registrazione del segnale. ECG da sforzo In alcuni casi, nell’iter diagnostico delle aritmie è utile l’esecuzione di un ECG da sforzo. Alcune aritmie, infatti, si innescano più facilmente in condizioni di aumentata attività adrenergica, quali sforzi, attività sportive o stati emotivi. Inoltre, questo test può dare informazioni utili sul significato clinico di alcune aritmie (per esempio, extrasistoli ventricolari frequenti di base che sono soppresse dallo sforzo hanno, in genere, un carattere benigno), oltre che sull’eventuale relazione tra aritmie e comparsa di ischemia miocardica. Tilt test Il tilt test consiste nel porre e mantenere il paziente in posizione semiortostatica (a 60-70°), mediante un apposito lettino, per 30-40 min, valutando la risposta della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca (mediante monitoraggio continuo dell’ECG). In soggetti predisposti questa situazione porta a un’attivazione del sistema nervoso vagale associata a ipotensione e/o bradiaritmie. È quindi indicato per valutare l’eventuale origine neurovegetativa di episodi sincopali, consentendo anche di individuare la natura vasodepressiva (sviluppo di marcata ipotensione) e/o cardioinibitoria (sviluppo di marcate bradiaritmie) degli episodi stessi. Per aumentare C0055.indd 237 la sensibilità del test, si possono somministrare nella parte finale dell’esame, quando esso è fino a quel momento negativo, farmaci in grado di potenziare la stimolazione vagale riflessa (come isoproterenolo o nitrati). Studio elettrofisiologico transesofageo Lo studio elettrofisiologico (SEF) transesofageo si esegue introducendo per via orale o nasale un sondino sottile che contiene, nella parte finale, alcuni piccoli elettrodi e viene fatto avanzare in esofago sino a portarsi a ridosso della parete posteriore dell’atrio sinistro. Il sondino consente sia la registrazione dell’attività elettrica cardiaca (mediante collegamento esterno a un elettrocardiografo standard) sia la stimolazione degli atri. Il sondino può essere collegato, infatti, a un pacemaker artificiale esterno, i cui impulsi elettrici sono in grado di stimolare gli atri. Il SEF transesofageo può, in alcuni casi, essere utilizzato al posto del SEF intracavitario per studiare la funzione del nodo seno-atriale e del nodo AV. La stimolazione atriale può, inoltre, essere utilizzata per valutare l’inducibilità di tachiaritmie sopraventricolari (tachicardia parossistica, flutter, fibrillazione atriale), in particolare in età pediatrica, nella quale è preferito per la diagnosi e la guida alla terapia farmacologica delle aritmie sopraventricolari come metodica meno invasiva rispetto al SEF intracavitario. Consentendo di evidenziare bene l’attività atriale, la registrazione di una derivazione mediante catetere esofageo può, infine, essere utile per la diagnosi differenziale delle tachiaritmie (in particolare per distinguere una tachicardia ventricolare da una tachicardia sopraventricolare condotta con aberranza). 237 1 Studio elettrofisiologico intracavitario Il SEF intracavitario è uno studio invasivo dell’attività elettrica cardiaca, condotto con cateteri avanzati attraverso vene centrali o periferiche (vena giugulare, succlavia, femorale) e posizionati prevalentemente nelle camere destre del cuore, in cui consentono sia di registrare il segnale cardiaco endocavitario sia di stimolare localmente la porzione di cuore a contatto con la loro punta. In questo modo il SEF consente anzitutto di esaminare in dettaglio la funzione delle principali strutture del sistema di conduzione elettrico cardiaco (nodo del seno, nodo AV, fascio di His) e di documentare la presenza di anomalie della formazione e della conduzione elettrica dell’impulso. I cateteri sono posizionati in genere in tre punti strategici: (1) nell’atrio destro alto, in prossimità del nodo seno-atriale, dove registra essenzialmente un’onda di attivazione atriale (onda A), corrispondente all’onda P di superficie; (2) a livello del nodo AV-fascio di His, a cavallo cioè della valvola tricuspide, in modo da registrare il segnale elettrico che entra nel nodo AV e che passa poi dall’atrio al ventricolo attraverso il fascio di His; nel canale di registrazione di questo catetere si evidenziano, in sequenza, tre tipi di onde elettriche: l’onda di attivazione atriale (onda A), l’onda di attivazione del fascio di His (onda H), che, per la sua bassa ampiezza, non ha un corrispettivo sull’ECG di superficie, e l’onda di depolarizzazione dei ventricoli (onda V), che corrisponde al QRS sull’ECG di superficie; (3) all’apice del ventricolo destro, dove si registra essenzialmente l’onda V di depolarizzazione ventricolare. Talora un quarto catetere multielettrodo viene avanzato lungo il seno coronario, struttura che decorre intorno all’anulus mitralico, da destra verso sinistra, al fine 6/9/10 9:48:10 AM 238 Parte 1 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO di registrare i potenziali sia atriali sia ventricolari della porzione settale interatriale e dell’atrio sinistro. La registrazione contemporanea dei potenziali endocavitari e di una o più derivazioni elettrocardiografiche di superficie consente di ottenere i seguenti due tipi principali di informazione. 1. Scomporre il tempo di conduzione atrioventricolare (intervallo PR all’ECG di superficie) in tre componenti (Fig. 11.4): • intervallo P-A, che va dall’inizio dell’onda P all’ECG di superficie all’inizio dell’onda A ed è normalmente di 30-55 msec; • intervallo A-H, che va dall’inizio dell’onda A all’inizio dell’onda H, ed è normalmente di 60130 msec; • intervallo H-V, che va dall’inizio dell’onda H all’inizio dell’onda V, ed è normalmente di 35-55 msec. 2. Conoscere in dettaglio la via seguita dall’impulso elettrico. I II 21 22 23 aVR V1 V5 A HRA p HBE p Figura 11.4 Registrazione dei potenziali cardiaci durante studio elettrofisiologico endocavitario, con indicazione dei periodi in cui può essere suddiviso l’intervallo di conduzione AV (intervalli P-A, A-H, H-V). A-H V A H HBE d P-A H-V RVA p A V CS 9-10 CS 7-8 CS 5-6 CS 3-4 CS 1-2 Page: IC Speed: 100 mm/s HRA = registrazione da un elettrodo posto nella parte alta dell’atrio; HBEp = registrazione da un elettrodo posto nella parte prossimale del fascio di His; HBEd = registrazione da un elettrodo posto nella parte distale del fascio di His; RVA = registrazione da un elettrodo posto nel ventricolo destro; CS = registrazioni da un catetere elettrodo posto nel seno coronarico. In alto si evidenzia la registrazione di alcune derivazioni ECG di superficie. Analizzare in dettaglio la conduzione AV è importante in quanto, in caso di una sua compromissione, il significato clinico-prognostico e l’approccio terapeutico sono diversi a seconda che la sede del blocco sia soprahissiana o sottohissiana. L’ECG di superficie, al proposito, consente in genere di orientarsi sulla sede del disturbo di conduzione, ma soltanto la registrazione dei potenziali endocavitari permette di documentarla con certezza. Per esempio, in caso di un rallentamento del tempo di conduzione AV all’ECG di superficie, espresso dall’allungamento dell’intervallo PR (si veda Blocco AV di I grado), la registrazione ECG endocavitaria consente di stabilire se il rallentamento è a livello intra-atriale (allungamento dell’intervallo P-A), a livello del nodo AV (allungamento dell’intervallo A-H) o a livello delle branche (allungamento dell’intervallo H-V). Come detto, i cateteri possono essere usati non solo per registrare, ma anche per stimolare il cuore attraverso uno stimolatore esterno al quale sono collegati. La stimolazione cardiaca può essere utilizzata sia per studiare meglio la funzione del sistema di conduzione sia per valutare se, in pazienti con sintomi aritmici non chiariti, sono inducibili tachiaritmie che potrebbero esserne la causa. A questo scopo si procede con la semplice introduzione di stimoli prematuri (extrastimoli), isolati, o in coppia o triplette, sul ritmo regolare del paziente (spontaneo o stimolato), a intervalli programmati e progressivamente più precoci. Oltre ad avere valore diagnostico, l’induzione di tachiaritmie permette di studiarne in dettaglio le caratteristiche (origine, meccanismo fisiopatologico, pericolosità), ottenendo così informazioni utili ai fini della prognosi e dell’impostazione della terapia. Per una diagnosi dettagliata delle tachiaritmie, sia atriali sia ventricolari, sono oggi disponibili nei laboratori di elettrofisiologia sistemi di mappaggio sofisticati. Questi sistemi consentono, con tecniche diverse, di ricostruire una mappa tridimensionale dei voltaggi delle varie zone del miocardio e una mappa di attivazione temporale del miocardio stesso, permettendo così di individuare la sede, il substrato e le modalità di innesco delle aritmie e di mirare un eventuale trattamento di ablazione dell’area aritmogena. Bradiaritmie Come detto, il termine bradiaritmia indica un ritmo cardiaco anomalo caratterizzato da una bassa frequenza cardiaca. Ciò può avvenire per un’alterazione della formazione dell’impulso sinusale o per un’alterazione della conduzione dell’impulso in qualche punto del sistema di conduzione (dal nodo seno-atriale ai ventricoli). Una sinossi delle principali bradiaritmie rilevabili con l’ECG è riportata nella tabella 11.1. Bradicardia sinusale Nella bradicardia sinusale l’impulso nasce come di norma dal nodo del seno, ma con una frequenza inferiore a 60 bpm (Fig. 11.5). La bradicardia sinusale è una condizione fisiologica in molti soggetti giovani e negli atleti, dovuta a una predominanza dell’attività vagale sul nodo seno-atriale. In alcuni casi, tuttavia, può essere una spia iniziale di una malattia del nodo del seno (si veda oltre), soprattutto C0055.indd 238 Tabella 11.1 Principali bradiaritmie rilevabili all’elettrocardiogramma Bradicardia sinusale Aritmia sinusale Blocchi seno-atriali di II grado tipo 1 䊉 di II grado tipo 2 䊉 Pause / arresto sinusali Blocchi atrioventricolari di I grado 䊉 di II grado tipo 1 䊉 di II grado tipo 2 䊉 di II grado avanzato 䊉 di III grado o completo 䊉 6/9/10 9:48:10 AM Capitolo 11 - ARITMIE quando si rileva in circostanze che di norma si associano a un aumento della frequenza cardiaca (scompenso cardiaco, esercizio fisico, emozioni ecc.), o può verificarsi in alcune condizioni patologiche (infarto miocardico inferiore, ipotiroidismo). Essa, infine, può essere espressione di un effetto farmacologico o di una tossicità da farmaci (digitale, -bloccanti, antiaritmici ecc.). Aritmia sinusale L’aritmia sinusale non è una vera bradiaritmia, ma si presenta più spesso in presenza di bradicardia sinusale (si veda Fig. 11.5). Essa è caratterizzata da una variabilità significativa degli intervalli P-P (≥ 120 msec), con attività elettrica cardiaca per il resto normale. Nella sua forma più tipica le variazioni del ciclo sinusale avvengono in modo fasico, in relazione al ciclo respiratorio, con un’accelerazione della frequenza durante l’inspirazione (per l’inibizione riflessa del vago) e una riduzione durante l’espirazione (aritmia sinusale respiratoria). Questa forma è fisiologica e presente soprattutto nei bambini e nei giovani. Le forme di aritmia sinusale non respiratoria (con variazioni anche marcate del ciclo sinusale non correlate agli atti respiratori), d’altro canto, possono essere una manifestazione iniziale di disfunzione sinusale o essere comunque correlate alla presenza di patologie cardiache. Blocchi seno-atriali Nel blocco seno-atriale l’impulso nasce normalmente a livello del nodo del seno, ma la sua conduzione agli atri attraverso la via che connette le cellule pacemaker del nodo al miocardio atriale (giunzione seno-atriale), è alterata. Come per i blocchi AV (descritti in seguito), sono descritte tre forme di blocco seno-atriale. Nel blocco seno-atriale di I grado vi è solo un rallentamento della conduzione senoatriale. Il tempo di conduzione seno-atriale non è valutabile all’ECG, che registra solo la depolarizzazione atriale, per cui questo tipo di blocco non può essere, in pratica, diagnosticato al tracciato elettrocardiografico. Nel blocco seno-atriale di II grado, l’impulso nato nel nodo seno-atriale viene bloccato in maniera intermittente nella giunzione seno-atriale, per cui alcuni impulsi non attivano gli atri. Dal punto di vista elettrocardiografico ne risulta una pausa con assenza di onde P (e dei relativi QRS). Poiché, come detto, la formazione dell’impulso sinusale è intrinsecamente regolare, la pausa che risulta dal blocco (l’intervallo, cioè, fra le due onde P che contengono la pausa) è multipla dell’intervallo P-P di base, e precisamente è n + 1 volte il numero (n) di impulsi bloccati. Per esempio, se tre impulsi normalmente originati nel nodo sinusale sono bloccati in successione nella giunzione seno-atriale, la pausa sarà quattro volte il ciclo P-P di base; nel caso, più frequente, di un solo impulso bloccato, la pausa è uguale al doppio del ciclo sinusale (P-P) di base (si veda Fig. 11.5). Questo blocco seno-atriale di II grado è detto di tipo 2. Esiste, infatti, anche un blocco seno-atriale di II grado di tipo 1, caratterizzato da un allungamento progressivo della conduzione seno-atriale prima che un impulso venga bloccato (periodismo di Wenckebach), analogamente a ciò che avviene nel nodo AV in caso di blocco AV di II grado tipo 1. Questo tipo di blocco è caratterizzato da pause C0055.indd 239 239 A. Bradicardia sinusale 1 B. Aritmia sinusale respiratoria C. Blocco seno-atriale di II grado 1,96 s 3,92 = 1,96 x 2 D. Pausa/arresto sinusale Figura 11.5 Esempi di aritmie sinusali. (a) Bradicardia sinusale (frequenza cardiaca circa 50 bpm); (b) aritmia sinusale respiratoria fisiologica; (c) bradicardia marcata di base (frequenza sinusale appena superiore a 30 bpm), con episodio di blocco seno-atriale di II grado (intervallo delle onde P comprendente la pausa uguale al doppio dell’intervallo P-P di base); (d) ritmo sinusale con due pause sinusali, una breve e una più lunga, interrotta da un battito di scappamento ventricolare; si noti che la prima pausa non ha relazione matematica con l’intervallo P-P di base. di durata inferiore al doppio dell’intervallo P-P di base e precedute da un progressivo accorciamento dell’intervallo P-P (che corrisponde all’accorciamento dell’intervallo R-R dell’analogo blocco AV di II grado). Nel blocco seno-atriale di III grado, infine, nessuno degli impulsi originati dal nodo del seno può essere condotto agli atri. Se non intervengono altri centri ad attivare gli atri, quindi, l’attività atriale è assente. Poiché la persistenza di un’attività regolare del nodo del seno (non condotta) non può essere rilevata all’ECG, ne deriva che, come quello di I grado, anche il blocco seno-atriale di III grado non può essere diagnosticato al tracciato elettrocardiografico. Blocchi seno-atriali di II grado possono essere semplicemente espressione di una predominanza del tono vagale sul nodo seno-atriale, soprattutto in soggetti giovani o che svolgono attività sportiva, o anche essere dovuti a un effetto farmacologico (digitale, calcio-antagonisti, β-bloccanti ecc.). Spesso, però, sono espressione di un’alterazione patologica dell’attività del nodo sinusale (si veda Malattia del nodo del seno). Arresto o pausa sinusale Questa condizione indica un’alterazione della genesi dell’impulso nel nodo del seno. Come nel blocco senoatriale, all’ECG si noteranno alcune pause con assenza di onde P (e del relativo QRS). Tuttavia, in questo caso, gli intervalli di inibizione dell’attività automatica del nodo del seno responsabili delle pause sono in genere variabili, per cui, contrariamente al blocco seno-atriale, non vi è alcuna relazione matematica tra la durata delle pause e l’intervallo P-P normale (si veda Fig. 11.5). Valgono per il significato clinico delle pause sinusali le stesse considerazioni fatte per i blocchi seno-atriali. Malattia del nodo del seno Il termine malattia del nodo del seno viene riferito al rilievo di bradiaritmie che indicano un’alterata formazione e/o conduzione agli atri dell’impulso sinusale per 6/9/10 9:48:11 AM 240 Parte 1 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO una compromissione patologica della funzione del nodo seno-atriale. Le aritmie di solito rilevabili all’ECG nella malattia del nodo del seno comprendono, in modo variabile da soggetto a soggetto, la bradicardia sinusale marcata e/o inappropriata, i blocchi seno-atriali e le pause (o arresti) sinusali. In alcuni casi, in associazione e in alternanza alle bradiaritmie, il paziente può presentare ricorrenti episodi parossistici di tachiaritmie atriali (tachicardia, flutter e fibrillazione atriali). Questa forma particolare di malattia del nodo del seno viene definita sindrome bradicardiatachicardia ed è verosimilmente dovuta a una compromissione diffusa del miocardio atriale da parte della patologia responsabile anche della disfunzione sinusale. Eziopatogenesi I meccanismi patogenetici della malattia del nodo del seno sono eterogenei e comprendono processi ischemici, infiammatori e, più spesso, degenerativi. Come detto le alterazioni patologiche possono essere circoscritte al nodo del seno o possono essere più estese, coinvolgendo talora, oltre il tessuto atriale, anche il nodo AV, con evidenza di relative turbe di conduzione AV associate. Manifestazioni cliniche e diagnosi I sintomi della malattia del nodo del seno si manifestano quando la frequenza cardiaca è molto bassa o si verificano pause molto prolungate. In caso di bradiaritmie sinusali marcate, in effetti, l’attività cardiaca è spesso garantita dall’emergenza di battiti o ritmi da pacemaker secondari, atriali o giunzionali (ritmi di scappamento) (si veda Fig. 11.5). Tuttavia, nella malattia del nodo del seno, l’arresto o i blocchi seno-atriali non sempre si accompagnano all’emergenza di ritmi di scappamento, per cui possono verificarsi periodi di asistolia anche prolungati. I sintomi sono in genere secondari soprattutto all’ipoperfusione cerebrale che consegue alla marcata riduzione della portata cardiaca, dovuta alla bassa frequenza cardiaca, e consistono di episodi lipotimici o di vera e propria A. Blocco AV di I grado B. Blocco AV di II grado tipo 1 C. Blocco AV di II grado tipo 2 Figura 11.6 Esempi di blocchi atrioventricolari. D. Blocco AV di III grado (a) Normale ritmo sinusale, con semplice allungamento dell’intervallo P-R (0,28 sec); (b) blocco AV di II grado tipo 1, con conduzione AV 3:2-4:3; si noti l’allungamento progressivo del P-R prima dell’onda P bloccata (non seguita da QRS); (c) blocco AV di II grado tipo 2, con conduzione AV 3:2-2:1; si noti la costanza dell’intervallo P-R delle onde P condotte e il QRS slargato, che indica la presenza di un’alterazione della conduzione intraventricolare di base; (d) blocco AV di III grado; si noti l’assenza di qualsiasi relazione tra onde P e QRS; i ventricoli sono attivati da un ritmo di scappamento giunzionale a frequenza 37 bpm. C0055.indd 240 sincope; se la bradiaritmia marcata, e quindi l’ipoperfusione cerebrale, si prolunga per più di 15-20 sec, alla perdita di coscienza si possono associare scosse tonicocloniche, cianosi, respiro stertoroso e incontinenza degli sfinteri (con perdita di feci e/o urine). Questo quadro clinico, che può essere causato da qualsiasi forma di grave aritmia cardiaca che determina ipoperfusione cerebrale (soprattutto blocco AV completo, ma anche tachiaritmie), è noto come sindrome di Morgagni-Adam-Stokes (MAS). È da sottolineare che se l’ischemia cerebrale si protrae ulteriormente (oltre i 30 sec) il paziente va in arresto respiratorio e muore se non compare rapidamente un ritmo cardiaco efficiente o non si instaurano appropriate manovre rianimatorie in breve tempo. Inoltre, se un circolo efficace viene ripristinato solo dopo 2-3 min dall’esordio della sincope, possono residuare lesioni ischemiche cerebrali irreversibili, a causa della prolungata ipoperfusione cerebrale. Questo rischio è presente soprattutto nei pazienti anziani, che spesso hanno già di base un’importante compromissione del circolo vascolare cerebrale. In caso di sindrome bradicardia-tachicardia, alla presenza dei sintomi legati alle bradiaritmie, il paziente presenta sintomi dovuti alla comparsa di tachiaritmie sopraventricolari (palpitazioni, in particolare). Se si visita il paziente nel momento in cui presenta le alterazioni del ritmo, si riscontra una frequenza cardiaca molto bassa con toni ritmici o aritmici a seconda del tipo di aritmia presente. Spesso, tuttavia, il paziente si rivolge al medico quando è asintomatico e non aritmico, riferendo sintomi lipotimici, sincopali, o anche tachiaritmici. In questo caso, l’obiettività e l’ECG possono essere del tutto normali. L’esecuzione di un ECG dinamico di 24-48 ore è spesso sufficiente a identificare anomalie dell’attività sinusale che orientano la diagnosi. Blocchi atrioventricolari I blocchi AV sono una condizione caratterizzata da un’anomala diffusione dell’impulso dagli atri ai ventricoli. Classicamente, vengono suddivisi in tre gradi, di progressiva gravità. Blocco AV di I grado Nel blocco AV di I grado (Fig. 11.6) tutti gli impulsi che originano dal nodo del seno vengono condotti ai ventricoli, ma con una velocità ridotta rispetto al normale. Ciò si esprime all’ECG con un allungamento dell’intervallo P-R, che risulta superiore al valore massimo normale, che è di 0,20 sec. Blocco AV di II grado Nel blocco AV di II grado uno o più impulsi sinusali non raggiungono i ventricoli in quanto sono bloccati in qualche punto del sistema di conduzione AV. Il blocco AV di II grado viene ulteriormente suddiviso in due varianti principali: il blocco AV di II grado tipo 1 (o Mobitz I) e il blocco AV di II grado tipo 2 (o Mobitz II). Blocco AV di II grado tipo 1 In questo caso il tempo di conduzione atrioventricolare (P-R) si allunga progressivamente fino a che un impulso sinusale non 6/9/10 9:48:12 AM Capitolo 11 - ARITMIE viene condotto (viene, cioè, bloccato nel sistema di conduzione AV). L’ECG mostra una serie di complessi P-QRS in cui, mentre le P sono ritmiche (gli intervalli P-P, cioè, sono sempre uguali), l’intervallo P-R diventa progressivamente più lungo, fino a che un’onda P non è seguita dal QRS (si veda Fig. 11.6). Il complesso P-QRS che segue l’onda P bloccata solitamente riprende con un intervallo P-R normale; esso inizia una nuova serie di complessi P-QRS, con l’allungamento progressivo del P-R sino al nuovo blocco della P, e così via. Il progressivo allungamento del tempo di conduzione AV indica che in questo tipo di blocco vi è un progressivo peggioramento della conduzione AV fi no a che questa non avviene. Questo fenomeno è denominato “fenomeno di Luciani-Wenckebach”. È da notare che, in questo tipo di blocco AV, a fronte di un allungamento progressivo dell’intervallo P-R, l’intervallo tra i QRS (R-R) si riduce progressivamente, per cui l’intervallo R-R più breve è quello immediatamente precedente l’onda P bloccata. La riduzione dell’intervallo R-R si ha perché l’entità dell’incremento dell’intervallo P-R diminuisce progressivamente sino al blocco. Blocco AV di II grado tipo 2 In questo caso, per quanto riguarda la conduzione AV, vige la legge del tutto o nulla: alcune volte l’impulso atriale raggiunge i ventricoli, altre volte no. Quando l’impulso raggiunge i ventricoli il tempo di conduzione AV è costante. All’ECG si osservano onde P ritmiche seguite regolarmente dal QRS, con un intervallo P-R costante. In modo più o meno frequente, però, alcune onde P sono bloccate, non sono cioè seguite dal complesso QRS (si veda Fig. 11.6). Il blocco AV di II grado (sia Mobitz I, sia Mobitz II) può manifestarsi con una cadenza regolare; si può avere, cioè, un’onda P bloccata ogni dato numero di onde P. Questa caratteristica del blocco è in genere indicata più frequentemente come rapporto di conduzione AV (rapporto cioè tra numero di onde P e numero di QRS della sequenza ritmica). Così, si parla di blocco AV 2:1, 3:2 o 4:3 quando un’onda P è bloccata rispettivamente ogni 2, 3 o 4 onde P. Blocco AV di II grado avanzato Si parla di blocco AV di II grado avanzato quando più onde P non sono condotte ai ventricoli in successione. Così si può avere, per esempio, un blocco AV 3:1 o 4:1 (una sola onda P, cioè, è condotta ai ventricoli ogni 3 o 4 onde P, rispettivamente), o anche maggiore. Blocco AV di III grado o completo Nel blocco AV di III grado nessuno degli impulsi che origina negli atri viene condotto ai ventricoli. All’ECG si osserva una sequenza di onde P regolari prive del loro QRS corrispondente. In genere, i ventricoli vengono attivati in modo regolare da un pacemaker posto distalmente alla sede del blocco (si veda Fig. 11.6). Poiché nel blocco AV di III grado gli atri e i ventricoli sono attivati da due ritmi tra loro indipendenti e non vi è alcuna possibilità di influenza dell’uno sull’altro, è presente una dissociazione atrioventricolare. All’ECG questa è evidenziata dal fatto che le onde P sono tra loro C0055.indd 241 ritmiche e i QRS sono anch’essi tra loro ritmici, ma i rapporti temporali fra complessi atriali e ventricolari sono del tutto casuali e variabili, indicando, appunto, che i due ritmi non hanno tra loro alcuna relazione. Dal punto di vista clinico è importante diagnosticare la sede dei blocchi AV, differenziando i blocchi che si realizzano nelle strutture situate al di sopra del fascio di His da quelli che si realizzano nelle strutture situate al di sotto. Questa distinzione in blocchi soprahissiani e blocchi sottohissiani ha, infatti, implicazioni prognostiche e terapeutiche fondamentali. Nei blocchi completi soprahissiani (nodali), infatti, l’attività automatica del cuore e l’eccitazione ventricolare sono garantite da pacemaker posti nello stesso nodo AV o nel fascio di His, che hanno una frequenza intrinseca di scarica di 40-60 bpm, sufficiente a garantire una buona funzione cardiaca; quasi mai, inoltre, questi blocchi si associano a riduzioni critiche della frequenza cardiaca. All’ECG si noterà un ritmo di attivazione dei ventricoli con complessi QRS di morfologia analoga a quella di QRS sinusali (QRS stretti, di durata 0,08-0,10 sec), in quanto l’attivazione dei ventricoli avviene attraverso le normali vie di conduzione (si veda Fig. 11.6). Nei blocchi completi sottohissiani, la conduzione AV è bloccata a livello delle branche di conduzione, per cui il ritmo sostitutivo dovrà necessariamente originare dai ventricoli. I ritmi ventricolari, tuttavia, hanno solitamente una frequenza di scarica molto bassa (25-30 bpm, o addirittura meno); ne consegue che i pazienti con questo tipo di blocco completo hanno spesso riduzioni molto critiche della frequenza, con episodi sincopali; frequenze così basse, inoltre, più frequentemente favoriscono uno scompenso emodinamico e predispongono anche allo sviluppo di tachiaritmie ventricolari gravi, sino alla fibrillazione ventricolare. All’ECG si noterà un’attivazione ventricolare regolare caratterizzata da complessi QRS slargati (in genere di 0,12 sec o più) e atipici (si veda Fig. 11.6). La diagnosi della sede del blocco AV è possibile con certezza solo mediante registrazione dell’ECG endocavitario. Esistono, tuttavia, dati desumibili dall’ECG di superficie che consentono di porre una diagnosi corretta con ragionevole certezza. Così, si può affermare che, in presenza di un QRS stretto, qualunque tipo di blocco AV ha sede soprahissiana. In presenza di un QRS largo, viceversa, la situazione è un po’ più complessa: (1) un blocco AV di II grado tipo 1 è, anche in questo caso, indicativo di una localizzazione soprahissiana del blocco; infatti, il nodo AV, ma non il sistema di conduzione sottohissiano, ha la proprietà di presentare il periodismo di Wenckebach; (2) il blocco AV di II grado tipo 2 ha sede sottohissiana; infatti, le branche di conduzione hanno la caratteristica di rispondere nella maniera “tutto o nulla” agli stimoli che gli provengono dagli atri; (3) i blocchi AV di III grado nei quali il ritmo di scappamento è sostenuto da complessi QRS slargati sono probabilmente sottohissiani se la frequenza del ritmo di sostituzione ventricolare è molto bassa, ma sono verosimilmente soprahissiani se la frequenza del ritmo sostitutivo è > 40-50 bpm (in questi casi l’impulso è probabilmente di origine nodale, ma la conduzione ai ventricoli è a blocco di branca). 241 1 6/9/10 9:48:12 AM 242 Parte 1 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO Eziologia I blocchi AV possono essere congeniti o acquisiti. I blocchi AV congeniti sono rari, possono avere andamento familiare ed eventualmente associarsi ad altre cardiopatie. Una causa relativamente frequente di blocco AV congenito è il lupus eritematoso sistemico materno. L’attivazione dei ventricoli in questi pazienti è data da un ritmo giunzionale che garantisce una sufficiente frequenza cardiaca sia a riposo sia, entro certi limiti, sotto sforzo. I blocchi AV acquisiti possono essere secondari a processi infettivi, possono manifestarsi per la prima volta in corso di cardite reumatica, nella cardiopatia ischemica e nelle cardiomiopatie primitive. Forme acquisite di blocchi sono anche quelle indotte da farmaci, tra i quali quelli più spesso responsabili sono il verapamil, i -bloccanti, la digitale, l’amiodarone e vari altri antiaritmici. La conduzione nel nodo AV è sottoposta prevalentemente alla regolazione vagale. Forti stimoli vagali possono quindi aggravare anomalie della conduzione nodale AV preesistenti; stimoli vagali sufficientemente intensi, inoltre, possono indurre blocchi AV nodali, anche di grado elevato, anche in soggetti sani. Tra i blocchi AV meritano un commento quelli che insorgono in corso di infarto miocardico acuto (si veda il Capitolo 5). Da un punto di vista pratico, è opportuno distinguere i blocchi che compaiono in corso di infarto miocardico inferiore da quelli che compaiono in corso di infarto miocardico anteriore. Nel primo caso i blocchi sono in genere soprahissiani (il nodo AV è infatti irrorato nella maggior parte dei casi dall’arteria coronaria destra). Nell’infarto anteriore il blocco è, viceversa, sottohissiano (essendo l’irrorazione di tale territorio pertinenza in prevalenza dell’arteria coronaria sinistra), mostra una maggiore evoluzione verso il blocco AV completo ed è gravato da una prognosi infausta. Manifestazioni cliniche e diagnosi I sintomi dei blocchi AV dipendono da due fattori: (1) dalla gravità del blocco e, in caso di blocco AV completo, dalla frequenza dei pacemaker sussidiari; (2) dalla cardiopatia di base che ha determinato il blocco e da altre patologie eventualmente associate. Il blocco AV di I grado non complicato è asintomatico e non può essere diagnosticato se non con l’ECG. Il blocco AV di II grado può essere sintomatico se è di grado elevato e determina pause sufficientemente lunghe e/o frequenze cardiache basse. Il blocco AV di III grado è quasi sempre sintomatico, anche se diversi blocchi AV completi nodali possono essere scoperti del tutto casualmente a un ECG di routine, essendo spesso la frequenza del pacemaker sussidiario sufficientemente alta. Analogamente a quanto visto per le malattie del nodo del seno, i sintomi predominanti sono legati alla scarsa irrorazione cerebrale: quindi, lipotimie e sincope, con caratteristica evoluzione della sindrome di MorgagniAdam-Stokes in caso di bradicardia estrema o arresto prolungato. In alcuni casi possono comparire sintomi di scompenso cardiaco, soprattutto quando il blocco si manifesta in soggetti in compenso labile a causa di una cardiopatia organica di base. C0055.indd 242 Alla visita clinica, in un paziente con blocco AV di II grado si apprezzano al polso e all’auscultazione cardiaca alcune pause più o meno frequenti. Tipicamente, nel blocco AV di III grado la frequenza è molto bassa sia all’auscultazione sia alla palpazione del polso, ma il ritmo è regolare. Il primo tono cardiaco ha intensità variabile, in quanto, per la presenza di dissociazione AV, il rapporto temporale fra la sistole atriale e la sistole ventricolare varia continuamente. Quando la sistole atriale è sincrona con la sistole ventricolare, il primo tono è particolarmente intenso e viene definito “a colpo di cannone”. L’ECG consente, in questo caso, di confermare la diagnosi utilizzando i criteri esposti in precedenza. Spesso, tuttavia, il paziente si rivolge al medico quando è asintomatico e non è aritmico, riferendo sintomi lipotimici o sincopali. In questo caso l’obiettività e l’ECG possono essere del tutto normali. L’esecuzione di un ECG dinamico di 24-48 ore spesso è sufficiente a identificare le anomalie della conduzione AV. Se nemmeno l’Holter consente la diagnosi, diventa opportuno utilizzare i registratori di eventi o i loop recorder. Blocchi di branca Si definisce blocco di branca la condizione nella quale la conduzione dell’impulso trasmesso attraverso il fascio di His è alterata a livello di una delle sue suddivisioni, la branca destra (blocco di branca destra o BBD) o la branca sinistra (blocco di branca sinistra o BBS). I blocchi di branca possono essere completi o incompleti. Nel blocco di branca completo, la conduzione nella branca è completamente interrotta; nel blocco incompleto la conduzione nella branca è solo rallentata. Nei cenni di anatomia si è già visto che la branca destra è un’entità anatomica discreta, mentre la branca sinistra ha un’anatomia più variabile. Sia da un punto di vista funzionale sia da un punto di vista elettrocardiografico, tuttavia, si è soliti raggruppare le suddivisioni della branca sinistra in due gruppi di fibre: il gruppo anteriore e il gruppo posteriore. Sebbene questi (soprattutto il gruppo di fibre posteriori) non costituiscano necessariamente dei fasci unici, li si denominerà per comodità, e anche in accordo con una terminologia ormai consolidata e tuttora utile nella pratica clinica, fascicolo anteriore sinistro e fascicolo posteriore sinistro. In diversi casi la compromissione della conduzione riguarda uno solo dei due fascicoli. In questi casi si parla di blocco fascicolare o emiblocco, rispettivamente anteriore sinistro (BFAS) e posteriore sinistro (BFPS). Quando una delle due branche è bloccata, lo stimolo che proviene dall’atrio può raggiungere comunque tutto il miocardio ventricolare percorrendo la branca indenne e diffondendosi poi al miocardio normalmente attivato dalla branca malata attraverso il tessuto muscolare non specifico. La stessa cosa avviene se si ha un blocco dell’impulso nella branca destra e in uno dei due fascicoli della branca sinistra (definito blocco bifascicolare). In questo caso l’unica via percorribile è il fascicolo della branca sinistra non interessato dal blocco. Se, in presenza di un blocco bifascicolare di base, anche il fascicolo che consentiva la trasmissione dell’impulso ai ventricoli viene a sviluppare un blocco, l’impulso che 6/9/10 9:48:12 AM Capitolo 11 - ARITMIE proviene dagli atri non potrà più raggiungere i ventricoli, per cui si ha un blocco AV completo (di III grado, sottohissiano). In alcuni casi è possibile ipotizzare un’alterazione della conduzione nella branca destra e in entrambi i fascicoli della branca sinistra, una condizione definita blocco trifascicolare. In particolare, si può ipotizzare un blocco trifascicolare in presenza dei seguenti quadri ECG: (1) BBD più BFAS o BFPS, più blocco AV di I grado (che può essere dovuto a rallentamento della conduzione piuttosto che nel nodo AV, nel fascicolo della branca sinistra apparentemente indenne); (2) BBD più alternanza di BFAS e BFPS. Il termine blocco trifascicolare esprime una condizione nella quale l’unica struttura che in un dato momento è ancora in grado di condurre l’impulso ha già anch’essa problemi di conduzione, per cui il rischio di sviluppare un blocco AV completo è elevato. La prognosi dei blocchi di branca è legato all’evolutività verso una compromissione progressiva del sistema di conduzione che può portare al blocco AV completo. Questo rischio, tuttavia, è, in genere, ampiamente dipendente dal contesto clinico nel quale i blocchi di branca sono rilevati. Esso, per esempio, è elevato quando un blocco di branca compare durante una patologia cardiaca acuta come l’infarto miocardico, mentre è molto basso in pazienti con cuore strutturalmente sano nei quali il blocco è riscontrato occasionalmente a un controllo ECG. Si descrivono di seguito gli aspetti principali dei blocchi di conduzione intraventricolare, i cui criteri diagnostici ECG sono riassunti nella tabella 11.2. Blocco di branca destra Nel BBD la durata dell’attivazione ventricolare è prolungata in quanto il miocardio, di norma attivato dalla branca destra, viene attivato tardivamente e lentamente da un’onda che proviene dal ventricolo sinistro attraverso il miocardio comune del setto interventricolare, che, come visto, ha una velocità di conduzione molto meno rapida di quella del tessuto specifico di conduzione. Il BBD si definisce completo quando determina una durata del QRS uguale o maggiore di 0,11 sec. Per semplicità, la sequenza di attivazione ventricolare in presenza di BBD può essere distinta in quattro fasi (Fig. 11.7). 1. Durante la prima fase, poiché la branca sinistra è intatta, viene attivata, come di norma, la parte sinistra del setto interventricolare, generando un vettore diretto da sinistra a destra; ciò determina all ECG l’inscrizione di una normale piccola onda r in V1 e di una piccola q in V6 e in D1. 2. Nella seconda fase, mentre continua l’attivazione del setto da sinistra a destra, inizia anche l’attivazione del ventricolo sinistro; ne deriva un vettore diretto sempre in avanti, ma un po’ a sinistra, che determina il completamento dell’onda R nelle precordiali destre e l’inizio dell’onda R nelle precordiali sinistre e in D1. 3. Nella terza fase continua l’attivazione del setto (sempre da sinistra a destra) e si completa quella del ventricolo sinistro nelle regioni antero-laterale e basale; i potenziali dominanti del ventricolo C0055.indd 243 Tabella 11.2 Principali criteri elettrocardiografici dei blocchi di branca Blocco di branca destra (BBD) 䊉 QRS di durata ≥ 0,11 sec 䊉 Complesso rSR’ nelle precordiali destre (V -V ), con onda R’ 1 2 ampia (≥ 0,04 sec) e di solito di ampiezza maggiore di R 䊉 Complesso qRS nelle precordiali sinistre (V -V ) e in D -aVL, 5 6 1 con S finale larga (≥ 0,04 sec) 䊉 Tratto ST slivellato verso il basso e onda T negativa nelle precordiali destre (V1-V2) 䊉 Nel BBD incompleto i criteri di diagnosi elettrocardiografica sono analoghi a quelli del BBD completo, ma la durata del QRS è tra 0,10 e 0,11 sec 243 1 Blocco di branca sinistra (BBS) QRS di durata ≥ 0,12 sec 䊉 Complesso QS o rS nelle precordiali destre (V -V ). 1 4 䊉 Complesso R, RR’ o RsR’ nelle precordiali sinistre e in D -aVL 1 䊉 Tratto ST slivellato in basso e onda T negativa nelle precordiali sinistre e in D1-aVL 䊉 Nel BBS incompleto i criteri di diagnosi elettrocardiografica sono analoghi a quelli descritti per il BBS completo, ma la durata è tra 0,11 e 0,12 sec 䊉 Blocco fascicolare anteriore sinistro 䊉 QRS di durata normale (< 0,11 sec) 䊉 Complesso qR in D -aVL 1 䊉 Complesso rS in D -D -aVF 2 3 䊉 Asse elettrico tra − 30 e − 90° Blocco fascicolare posteriore sinistro QRS di durata normale (< 0,11 sec) 䊉 Complesso qR in D -D -aVF 2 3 䊉 Complesso rS in D -aVL 1 䊉 Asse elettrico oltre + 120° 䊉 sinistro causano un vettore diretto verso sinistra, inferiormente e posteriormente; ciò determina un’onda S nelle precordiali destre e un’onda R nelle precordiali sinistre e in D1. 4. Nell’ultima fase si ha il completamento dell’attivazione settale, l’attivazione della parete apicale del ventricolo destro e, infine, della parete libera e della parte restante del ventricolo destro; il vettore della quarta fase è diretto a destra e anteriormente, per cui all’ECG si inscrive un’onda R nelle precordiali destre e una S nelle precordiali sinistre e in D1. Il BBD apporta anche modificazioni della ripolarizzazione che derivano direttamente dall’alterata depolarizzazione ventricolare. Le alterazioni più significative si osservano nelle precordiali destre, dove il segmento ST è slivellato verso il basso e l’onda T è invertita (si veda Fig. 11.7). Blocco di branca sinistra Nel BBS la durata dell’attivazione ventricolare è aumentata per motivi analoghi a quelli già esposti per il BBD. 6/9/10 9:48:12 AM 244 Parte 1 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO Essendo la massa di tessuto miocardico attivato dalla branca sinistra molto maggiore, tuttavia, la quantità di miocardio attivato tardivamente attraverso il miocardio comune nel BBS è maggiore rispetto al BBD. Ne deriva che l’allungamento della durata del QRS è, in media, anch’esso maggiore nel BBS. Anche nel BBS la sequenza di attivazione ventricolare può essere schematicamente divisa in quattro fasi (Fig. 11.8). 1. Nella prima fase si ha l’iniziale attivazione del setto, che, in questo caso, comincia dal lato destro, essendo la branca sinistra bloccata, e, contemporaneamente, dall’apice e dalla porzione anteriore del ventricolo destro; ne deriva un vettore diretto da destra a sinistra e dall’apice verso la base; all’ECG ciò si esprime con la comparsa di un’iniziale onda R nelle derivazioni laterali (D1-aVL-V5-V6) e un’iniziale onda negativa (inizio di un QS finale) o di una piccola onda r in V1. 2. Nella seconda fase, continua e si completa l’attivazione del setto (in direzione destra-sinistra) e si completa l’attivazione del ventricolo destro; poiché i potenziali settali sono dominanti ne deriva un vettore diretto a sinistra e posteriormente; all’ECG continua l’inscrizione del QS (o compare Fase 1 3 Fase 2 Figura 11.7 Blocco di branca destra. Modalità di propagazione dell’impulso, vettori corrispondenti alle quattro fasi in cui l’attivazione ventricolare può essere suddivisa ed esempio tipico di BBD all’ECG (si vedano il testo per la spiegazione e la tabella 11.2 per i criteri diagnostici elettrocardiografici). 2 1 4 V5 Fase 3 V4 Fase 4 aVR V1 V4 aVL V2 V5 aVF V3 V6 V1 V2 V3 3 Fase 1 4 2 Figura 11.8 Blocco di branca sinistra. Modalità di propagazione dell’impulso, vettori corrispondenti alle quttro fasi in cui l’attivazione ventricolare può essere suddivisa ed esempio tipico di BBS all’ECG (si vedano il testo per la spiegazione e la tabella 11.2 per i criteri diagnostici elettrocardiografici). C0055.indd 244 V6 Fase 2 V6 Fase 3 V5 V4 Fase 4 V1 aVR V1 V4 aVL V2 V5 aVF V3 V6 V2 V3 6/9/10 9:48:12 AM Capitolo 11 - ARITMIE una S dopo la piccola r iniziale) in V1 e della R nelle derivazioni laterali. 3. Nella terza fase ha luogo l’attivazione delle porzioni posteriore e basali del ventricolo sinistro, per cui si avrà un vettore diretto a sinistra e posteriormente; all’ECG questa fase coincide con il nadir dell’onda negativa (QS o S) in V1 e lo zenit dell’onda R nelle derivazioni laterali. 4. Nell’ultima fase si completa l’attivazione delle pareti anteriore e laterale del ventricolo sinistro; il vettore che ne deriva è sempre diretto a sinistra, ma un po’ più anteriormente rispetto al precedente; all’ECG si completa l’inscrizione del QS (o della S) in V1 e quella dell’onda R nelle derivazioni laterali. Anche nel BBS la ripolarizzazione è alterata secondariamente all’anomala sequenza della depolarizzazione ventricolare. In particolare, il segmento ST è slivellato verso il basso e l’onda T è invertita nelle precordiali sinistre e in D1-aVL (si veda Fig. 11.8). Emiblocchi Normalmente l’onda di eccitazione diffonde in modo uniforme lungo i due fascicoli in cui viene schematicamente divisa la branca sinistra. Se la conduzione viene bloccata in uno dei due fascicoli, la sequenza di attivazione ventricolare viene alterata in modo caratteristico. Nel BFAS (o emiblocco anteriore sinistro) l’onda di eccitazione percorre la branca destra e il fascicolo postero-inferiore della branca sinistra e diffonde solo in un secondo tempo in avanti e in alto, attraverso il miocardio contrattile. Ne deriva che il vettore terminale del QRS è diretto a sinistra e in alto; all’ECG l’asse elettrico è quindi deviato a sinistra (oltre − 30°), dando un aspetto qR in D1-aVL e rS in D2-D3-aVF; il QRS può essere lievemente slargato, ma, in genere, è entro valori normali. Nel BFPS (o emiblocco posteriore sinistro) l’onda di attivazione percorre la branca destra e il fascicolo anterosuperiore e poi diffonde inferiormente e posteriormente attraverso il tessuto di conduzione non specializzato. Ne deriva che il vettore terminale del QRS è diretto a destra e in basso; all’ECG l’asse elettrico è quindi deviato a destra (oltre + 120°), dando un aspetto qR in D2-D3-aVF e rS D1-aVL; anche in questo caso il QRS può essere lievemente slargato, ma, in genere, è entro valori normali. Prognosi delle bradiaritmie La prognosi delle bradiaritmie è legata essenzialmente alla patologia cardiaca di base, in quanto i problemi strettamente connessi all’aritmia sono efficacemente risolti dall’impianto di un pacemaker definitivo. Terapia delle bradiaritmie Il trattamento delle bradiaritmie è indicato in due condizioni principali: (1) quando l’aritmia è sintomatica; (2) quando, anche se l’aritmia non è sintomatica, C0055.indd 245 le sue caratteristiche e/o il contesto clinico nel quale si verificano fanno ritenere che vi è un rischio sufficientemente alto che l’aritmia possa evolvere verso forme più gravi, pericolose per la vita del paziente. La terapia delle bradiaritmie può essere farmacologica o elettrica. La terapia farmacologica viene impiegata solo in condizioni di emergenza, quando il paziente è sintomatico per la bassa frequenza cardiaca, per lo più in attesa di intraprendere, appena possibile, una stimolazione elettrica cardiaca artificiale. Il farmaco di elezione per tutte le bradiaritmie legate a disfunzioni del nodo seno-atriale (blocchi, arresto) e del nodo AV (blocchi di II e III grado) è l’atropina per via endovenosa (0,5-1 mg in bolo rapido, eventualmente ripetibili). L’atropina, infatti è un farmaco vagolitico, che, nelle forme aritmiche suddette, è in grado di determinare sia un rapido aumento della frequenza sinusale cardiaca, sia un miglioramento della conduzione del nodo AV. I suoi effetti, tuttavia, sono transitori ed essa può causare tachicardia eccessiva (indesiderabile in alcune condizioni, come nell’infarto miocardico acuto) e altri effetti collaterali, come ritenzione urinaria. L’atropina non ha effetti in caso di blocchi AV sottohissiani (di II grado tipo Mobitz II e di III grado), né sulla frequenza dei ritmi di scappamento ventricolari (idioventricolari). In questi casi un effetto può essere ottenuto, ma spesso in modo insufficiente, con l’uso di farmaci simpaticomimetici -stimolanti, come l’isoproterenolo e il metaproterenolo, o anche, in casi estremi, l’adrenalina. In presenza di blocchi sottohissiani sintomatici, tuttavia, è in genere necessario procedere in tempi veramente rapidi all’impianto di uno stimolatore elettrico cardiaco per ottenere un aumento soddisfacente e stabile della frequenza cardiaca. Sebbene alcune forme di trattamento farmacologico siano state tentate per la prevenzione o il miglioramento di bradiaritmie nodali seno-atriali o AV (per esempio, teofillina, belladonna, cortisonici), esse hanno dato in genere risultati insoddisfacenti, per cui il trattamento curativo e profilattico delle bradiaritmie, quando indicato, è rappresentato dalla stimolazione elettrica cardiaca mediante stimolatori elettrici (pacemaker). La stimolazione elettrica cardiaca può essere temporanea o definitiva. La stimolazione elettrica temporanea è indicata in tutte le condizioni di urgenza dovute a bradiaritmie sintomatiche o a immediato rischio di aggravamento. Essa può essere mantenuta per alcuni giorni, in attesa di effettuare l’impianto di un pacemaker definitivo, se si considera l’aritmia irreversibile o a rischio di recidiva, o sino alla risoluzione della bradiaritmia, quando questa è dovuta a cause reversibili (per esempio, ischemia acuta, farmaci, disordini elettrolitici). La stimolazione viene effettuata mediante un catetere elettrodo, che viene inserito attraverso una vena periferica (vena femorale, succlavia o giugulare interna) e fatto avanzare, sotto controllo radioscopico, sino a essere posto a contatto 245 1 6/9/10 9:48:13 AM 246 Parte 1 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO Figura 11.9 Rappresentazione schematica (a) e radioscopica (b) del corretto posizionamento in apice del ventricolo destro di un catetere elettrodo per la stimolazione permanente. Valvola tricuspide a con la parete del ventricolo destro (in genere l’apice) (Fig. 11.9). All’estremità opposta (che rimane fuori dalla vena) il catetere viene collegato a un generatore di impulsi elettrici (pacemaker artificiale esterno), che può stimolare così i ventricoli alla frequenza desiderata dal cardiologo. Nella stimolazione elettrica definitiva, si possono introdurre, a seconda del tipo di bradiaritmia, uno o due cateteri a contatto con le pareti delle cavità cardiache destre (solo in ventricolo, solo in atrio, oppure un catetere in ventricolo e uno in atrio). I cateteri, in questo caso, sono introdotti tramite una vena succlavia (in genere la sinistra) e collegati sottocute a un piccolo pacemaker artificiale, della dimensione di una scatoletta di cerini, che viene, a sua volta, impiantato nel sottocute del paziente in un’apposita “tasca” precedentemente preparata, solitamente situata sopra il muscolo pettorale in regione sottoclaveare sinistra. La frequenza di scarica del pacemaker (insieme ad altri parametri) può essere programmata dall’esterno mediante un telecomando. A seconda del numero e della sede dei cateteri introdotti, il pacemaker potrà essere in grado di stimolare solo l’atrio destro, solo il ventricolo destro o entrambe le camere cardiache. I pacemaker con un solo catetere elettrodo impiantato sono detti monocamerali, mentre quelli con due cateteri elettrodi impiantati nelle due camere cardiache sono detti bicamerali. Il tipo di pacemaker utilizzato e la sua programmazione dipendono dal tipo di aritmia ipocinetica che si deve trattare. In generale, si cerca, comunque, di programmare il pacemaker in modo da favorire il più possibile l’attivazione cardiaca da parte del ritmo spontaneo e far subentrare il pacemaker solo quando si manifesta la bradiaritmia. Questo si può ottenere grazie alla possibilità di programmare il C0055.indd 246 b pacemaker a domanda. Infatti, gli attuali pacemaker, oltre alla capacità di stimolare il cuore (proprietà di cattura), hanno anche la capacità di percepire (proprietà di “sentire”, o sensing) l’attività spontanea della camera cardiaca con cui il catetere è a contatto. Ne deriva che il pacemaker emette impulsi per stimolare il cuore solo quando l’attività spontanea è assente o sotto una certa frequenza; quando, invece, è presente un’attività spontanea valida, il pacemaker la percepisce e si inibisce, lasciando che il cuore sia attivato dall’attività elettrica spontanea. Per indicare il tipo di pacemaker di cui un paziente è portatore viene correntemente utilizzato un codice a tre lettere, che ne riassumono le modalità di funzionamento. La prima lettera stabilisce quale camera può essere stimolata dal pacemaker. Essa può essere una A, una V o una D. La lettera A indica che il pacemaker può stimolare solo l’atrio, la lettera V indica che il pacemaker può stimolare solo il ventricolo, la lettera D (che sta per dual chamber) indica che il pacemaker può stimolare sia l’atrio sia il ventricolo (è, quindi, un pacemaker bicamerale). La seconda lettera del codice definisce di quale camera il pacemaker può percepire l’attività spontanea (funzione di sensing). Essa può essere una A, una V, una D o una O. Anche in questo caso le lettere A, V e D vengono utilizzate per indicare se questa funzione è presente, rispettivamente, solo per l’altrio, solo per il ventricolo o per entrambe le camere. La lettera O, invece, indica l’assenza di qualsiasi funzione di sensing da parte del pacemaker. La terza lettera definisce il tipo di comportamento del pacemaker in risposta al segnale di sensing. Essa può essere una O, una I, una D o una T. La lettera O, in questo caso, indica che il pacemaker impiegato 6/9/10 9:48:13 AM Capitolo 11 - ARITMIE 247 A. Pacemaker ventricolare (VVI) non prevede alcun tipo di risposta a un eventuale segnale di sensing; la lettera I indica che il pacemaker inibisce l’elettrodo stimolatore in risposta al segnale di sensing della camera principale stimolata; la lettera D indica un doppio controllo, atriale e ventricolare, del sensing (pacemaker bicamerale). Infine, la lettera T (da triggered) indica che il pacemaker risponde alla percezione di un’attività spontanea emettendo una scarica. Come detto, la scelta del tipo di pacemaker da impiegare dipende dalla situazione clinica e dal tipo di aritmia ipocinetica da correggere. A dispetto dell’ampia gamma di possibili programmazioni di un pacemaker, quelli di gran lunga più impiegati sono i pacemaker VVI e quelli DDD. Sulla base di quanto detto, il pacemaker VVI ha un unico catetere elettrodo, che stimola in ventricolo (prima V), sente l’attività ventricolare (seconda V) ed è inibito quando è presente un’attività spontanea dei ventricoli a frequenza superiore a quella di stimolazione del pacemaker (lettera I). Esso, quindi, subentra a stimolare il ventricolo solo quando la frequenza ventricolare spontanea cala al di sotto di un certo valore (in genere, 60-70 bpm) (Fig. 11.10). Sebbene un pacemaker di questo tipo sia efficace e potrebbe essere impiantato in qualsiasi tipo di bradiaritmia, attualmente viene applicato soprattutto nei casi di fibrillazione atriale cronica con bassa frequenza ventricolare. Il pacemaker DDD è oggi preferito in molte condizioni, in quanto consente un’attivazione atrioventricolare più fisiologica. Questo pacemaker consente sia la stimolazione atriale sia quella ventricolare; ha una funzione di sensing sia in atrio sia in ventricolo e dà una risposta sequenziale al segnale di sensing dell’attività sia atriale sia ventricolare. Pertanto, se sono presenti una normale attivazione degli atri e una normale conduzione atrioventricolare, il pacemaker è totalmente inibito. Se però è presente una normale attività sinusale, ma la conduzione atrioventricolare tarda ad arrivare, il pacemaker risponde all’atrio stimolando il ventricolo, ottenendo così un’attivazione sequenziale fisiologica della conduzione (e dell’attivazione) AV. Se viene a mancare l’attività atriale, il pacemaker risponde stimolando l’atrio; se lo stimolo atriale è seguito da una conduzione spontanea ai ventricoli, la stimolazione ventricolare del pacemaker viene inibita, mentre se, come prima, la conduzione atrioventricolare tarda ad arrivare, dopo l’atrio il pacemaker stimola anche il ventricolo (si veda Fig. 11.10). Il vantaggio di questo tipo di pacemaker, quindi, è che viene preservata, quando possibile, la normale attività sinusale e/o la normale conduzione AV, e viene, allo stesso tempo, sempre garantita una stimolazione sequenziale atrioventricolare di tipo fisiologico. Una sintesi delle principali indicazioni cliniche all’impianto di un pacemaker definitivo nei soggetti adulti è riportata nella tabella 11.3. C0055.indd 247 B. Pacemaker bicamerale (DDD) (a) Attivazione ventricolare da stimolazione artificiale (pacemaker VVI a frequenza 70 bpm); si noti lo stimolo elettrico inviato dal pacemaker (frecce) seguito dal complesso QRS; si noti anche che, in questo caso, vi è una costante attivazione degli atri per via retrograda da parte del pacemaker, come indicato dalla presenza di onde P che seguono il complesso ventricolare. (b) Ritmo da pacemaker bicamere (DDD) a frequenza 60 bpm; si noti la costante presenza di due spike (indicati dalle linee verticali) da stimolazione atriale e ventricolare in sequenza. 1 Figura 11.10 Esempi di ritmo da pacemaker all’ECG. Tabella 11.3 Indicazioni assolute all’impianto di pacemaker permanente nell’adulto Malattia del nodo del seno 1. Bradiaritmie sinusali sintomatiche spontanee (sincopi, lipotimie, instabilità emodinamica) 2. Bradiaritmie sinusali sintomatiche causate da farmaci (per esempio, -bloccanti) che non possono essere sospesi in quanto necessari per il paziente 3. Mancato aumento della frequenza cardiaca durante sforzi (incompetenza cronotropa) responsabile della comparsa di sintomi (per esempio, dispnea, lipotimie) Blocco atrioventricolare (AV) acquisito 1. Blocco AV di III grado o di II grado sintomatico (sincopi, lipotimie, instabilità emodinamica) 2. Blocco AV di III grado o di II grado sintomatico causato da farmaci (per esempio, -bloccanti) che non possono essere sospesi in quanto necessari per il paziente 3. Blocco AV di III grado o di II grado avanzato asintomatico, presente in stato di veglia, con periodi di asistolia ≥ 3 sec, ritmo di scappamento < 40 bpm o ritmo di scappamento di origine ventricolare 4. Blocco AV di III grado asintomatico, presente in stato di veglia, in ritmo da fibrillazione atriale, con pause di durata ≥ 5 sec 5. Blocco AV di III grado o di II grado avanzato secondario ad ablazione transcatetere della giunzione AV o insorto successivamente a intervento cardiochirurgico 6. Blocco AV di III grado o di II grado avanzato, anche asintomatico, associato a malattie neuromuscolari a rischio di asistolia, come distrofia miotonica, distrofia di Erb, amiotrofia peroneale, sindrome di Kearns-Sayre 7. Blocco AV di III grado asintomatico con frequenza ventricolare da sveglio ≥ 40 bpm se è presente cardiomegalia o disfunzione ventricolare sinistra, o se la sede del blocco è sottonodale 8. Blocco AV di II o III grado indotto dall’esercizio in assenza di ischemia miocardica Altre indicazioni 1. Blocco bifascicolare con blocco AV di blocco AV di III grado intermittente, di II grado avanzato o di II grado Mobitz 2 2. Blocco bifascicolare con blocco di branca alternante 3. Sincope ricorrente causata da stimolazione spontanea e compressione del seno carotideo che induce asistolia ventricolare > 3 sec 6/9/10 9:48:14 AM 248 Parte 1 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO Tachiaritmie Per tachiaritmie (o aritmie ipercinetiche) si intendono aritmie di origine sopraventicolare o ventricolare che determinano un’accelerazione del battito cardiaco, subentrando e sostituendosi attivamente al regolare ritmo sinusale. Le principali tachiaritmie che si riscontrano nella pratica clinica sono le seguenti (Tab. 11.4): • extrasistolia; • tachicardie sopraventricolari; • flutter e fibrillazione atriali; • tachiaritmie ventricolari. Prima di discuterle è opportuno rivedere la loro patogenesi. È inoltre opportuno farle precedere dalla descrizione dei principali tipi di trattamento, al fine di una migliore comprensione delle loro indicazioni nelle singole forme cliniche. Patogenesi Le tachiaritmie possono essere generate da tre principali meccanismi: (1) accentuato automatismo cellulare; (2) rientro; (3) triggered activity. Tabella 11.4 Principali tachiaritmie rilevabili all’elettrocardiogramma Battiti ectopici prematuri Extrasistoli atriali 䊉 Extrasistoli giunzionali 䊉 Extrasistoli ventricolari 䊉 Parasistolia 䊉 Tachicardie sopraventricolari Tachicardia sinusale 䊉 Tachicardia sinusale inappropriata 䊉 Tachicardia da rientro seno-atriale 䊉 Tachicardia atriale (ectopica e da rientro) 䊉 Tachicardia atriale polifocale 䊉 Ritmo atriale accelerato 䊉 Ritmo giunzionale accelerato/tachicardia giunzionale automatica 䊉 TPSV da rientro nodale AV 䊉 TPSV da rientro AV 䊉 Flutter atriale Fibrillazione atriale Accentuato automatismo Come visto in precedenza a proposito dell’elettrofisiologia cellulare, l’automatismo è una proprietà presente in diverse cellule del tessuto specializzato di conduzione del cuore, ma normalmente non si evidenzia per la dominanza delle cellule del nodo del seno. In alcune condizioni patologiche, tuttavia, cellule pacemaker di altri centri possono aumentare la propria capacità di autodepolarizzazione prendendo il sopravvento sull’attività sinusale. L’attività del focus ectopico può esplicarsi solo saltuariamente con singoli battiti che si sovrappongono, disturbandolo, al ritmo sinusale di fondo (extrasistoli), ma può essere ripetitiva e durare nel tempo, generando una tachicardia. X A Figura 11.11 Meccanismo del rientro. X B C A B C Il substrato del rientro è rappresentato dalla presenza di un ostacolo alla conduzione dell’impulso (area triangolare colorata), per cui per attivare il miocardio C l’impulso si sdoppia e si trova a percorrere due vie, A e B, di cui la prima conduce l’impulso più rapidamente (linee continue), ma ha un periodo refrattario maggiore e la seconda conduce l’impulso più lentamente (linee tratteggiate), ma ha un periodo refrattario minore. A sinistra è illustrato cosa avviene durante un normale battito sinusale. A destra le linee in blu indicano un impulso prematuro che trova la via B ancora refrattaria, per cui esso si trova a percorre solo la via lenta A. Se arrivato distalmente a B la zona del blocco ha recuperato l’eccitabilità, la via B può essere percorsa in senso retrogrado (linea rossa) dando origine al rientro (si veda il testo per la spiegazione dettagliata). Si noti che ogni volta che arriva nel punto di origine delle due vie (X), l’impulso è trasmesso ai ventricoli dando origine a un battito ectopico. C0055.indd 248 Tachicardia ventricolare Monomorfa 䊉 Polimorfa 䊉 “A torsione di punta” 䊉 Flutter ventricolare Fibrillazione ventricolare I centri responsabili di tachiaritmie possono essere localizzati a livello di qualsiasi punto del sistema di conduzione AV e, negli atri, lungo il setto interatriale e la crista terminalis a destra, e allo sbocco delle vene polmonari e nel seno coronarico a sinistra. In caso di patologie cardiache (ischemia, infiammazione ecc.), inoltre, anche cellule cardiache muscolari comuni possono assumere capacità di automatismo ed essere responsabili di tachiaritmie. Rientro Il meccanismo del rientro è responsabile di numerose aritmie clinicamente rilevanti. Esso può verificarsi quando la conduzione verso una struttura o una zona più o meno ampia di tessuto miocardico avviene attraverso due vie differenti. Il fronte d’onda inizialmente unico, cioè, si trova davanti un ostacolo, di tipo anatomico (per esempio, una cicatrice), o anche solo funzionale (cellule vitali, ma incapaci di essere attivate), per cui si sdoppia, girando intorno all’ostacolo, per poter attivare il tessuto a valle dell’ostacolo stesso. Il motivo per cui una tale situazione predispone al rientro e alle relative aritmie è illustrato nella figura 11.11. Durante il normale ritmo sinusale, il fronte di attivazione elettrica, giunto a livello dell’ostacolo, si propaga contemporaneamente lungo le fibre di miocardio che costituiscono le due vie (denominate A e B nella figura), contribuendo insieme ad attivare il miocardio a valle 6/9/10 9:48:15 AM Capitolo 11 - ARITMIE (C nella figura). Se però le due vie hanno un differente periodo refrattario, può accadere che uno stimolo (per esempio, un battito ectopico prematuro) che giunga con una certa precocità trovi la via che ha il periodo refrattario maggiore (B nella figura) ancora non eccitabile, quando l’altra (A nella figura) ha già recuperato la sua eccitabilità. Ne deriva che l’impulso verrà condotto solo lungo la via A. Avanzando lungo il tessuto miocardico distale (C), l’eccitazione arriverà anche alla parte distale della via B. Se le cellule di questa hanno nel frattempo recuperato la loro eccitabilità, l’impulso potrà attivare la via in senso retrogrado. Da qui, l’impulso può tornare a rieccitare la via A in senso anterogrado (potrà, cioè, rientrare lungo A), riattivare il miocardio distale C e rientrare retrogradamente attraverso B, e così via. Si crea, quindi un circuito, grazie al quale l’impulso elettrico si automantiene percorrendolo continuamente. È da notare che ogni volta che l’impulso, rientrando in via retrograda attraverso B, arriva al punto dove le due vie originano (X nella figura), può diffondersi ad attivare il miocardio attraverso (nell’esempio) la via prossimale comune, dando origine a un battito anomalo. Il perpetuarsi del rientro genera, d’altro canto, una tachicardia, la cui frequenza dipenderà dal tempo di percorrenza del circuito da parte dell’impulso. Da quanto illustrato si può evincere che, perché un rientro possa avere luogo, sono necessarie tre condizioni: 1. deve esistere un circuito, anatomico o funzionale, piccolo o grande, caratterizzato da due vie di conduzione (A e B) in grado di attivare una struttura o una zona di tessuto miocardico a valle (C); 2. deve, per qualche motivo, instaurarsi un blocco unidirezionale; l’impulso, cioè, durante la conduzione anterograda deve essere bloccato in una delle due vie (B); perché ciò sia possibile, come detto, è necessario che esista una differenza di periodo refrattario tra le due vie; 3. la conduzione lungo la via non bloccata (A) deve essere sufficientemente lenta da arrivare alla parte distale della via bloccata (B) solo dopo che questa ha recuperato la condizione di eccitabilità; se infatti arrivasse troppo presto troverebbe B ancora refrattaria, e quindi il rientro non potrebbe avvenire. Quando il circuito attraverso cui si verifica il rientro è piccolo (come nel caso della tachicardia da rientro nel nodo AV; si veda oltre), il fenomeno è definito microrientro; quando esso è invece grande (come nella tachicardia parossistica della sindrome di Wolff-Parkinson-White; si veda oltre), si parla di macrorientro. Triggered activity Le aritmie causate da questo meccanismo (che in italiano si potrebbe tradurre come “attività innescata”) sono dovute alla presenza di oscillazioni del potenziale di membrana durante la fase 3 (o la fase 2), oppure durante la fase 4 del potenziale di azione, dovute a brevi correnti in entrata nella cellula che causano un transitorio aumento del potenziale di membrana, cioè una parziale depolarizzazione cellulare. Quando queste correnti si verificano durante la fase 3 o la fase 2 del potenziale di azione si parla di postdepolarizzazione precoce, mentre C0055.indd 249 249 Postdepolarizzazione precoce O 1 a Postdepolarizzazione tardiva O b Figura 11.12 Esempi di potenziali di postdepolarizzazione precoce in fase 3 e di postdepolarizzazione tardiva (in fase 4) (si veda il testo per la spiegazione dettagliata). se si verificano nella fase 4, si parla di postdepolarizzazione tardiva (Fig. 11.12). Se la piccola corrente in entrata raggiunge un potenziale-soglia, si innesca una vera e propria depolarizzazione della cellula, che si diffonde poi a eccitare tutto il miocardio, generando un battito ectopico prematuro. Il ripetersi del fenomeno porta all’origine di una tachicardia. La postdepolarizzazione precoce è stata documentata in fibre di Purkinje e in tessuti cardiaci isolati sottoposti a stiramento, ipossia, acidosi, alterazioni elettrolitiche e vari agenti farmacologici (in particolare antiaritmici). La sua comparsa è, in particolare, favorita da condizioni che causano allungamento della fase di ripolarizzazione e dalla bradicardia marcata; in alcuni casi, tuttavia, l’insorgenza di postdepolarizzazioni precoci è favorita dalla tachicardia. Il meccanismo ionico sembra complesso, ma coinvolge principalmente una diminuzione della conduttanza del canale della corrente in uscita del potassio e/o un aumento della corrente in entrata del calcio. In campo clinico, la postdepolarizzazione precoce si ritiene implicata nella genesi delle tachicardie ventricolari a torsione di punta che insorgono in condizioni di allungamento congenito o acquisito dell’intervallo QT, oltre che di alcune aritmie che insorgono in pazienti con ipertrofia ventricolare o scompenso cardiaco. Le correnti di postdepolarizzazione tardiva insorgono soprattutto in condizioni che favoriscono l’attivazione di correnti depolarizzanti del Ca2+, con aumento significativo della concentrazione intracellulare di questo ione, e sono favorite dalla tachicardia. Tra le cause più tipiche vi è l’intossicazione digitalica; altre cause comprendono l’ischemia, condizioni di iperattivazione adrenergica e, anche in questo caso, ipertrofia ventricolare e scompenso cardiaco. 6/9/10 9:48:15 AM 250 Parte 1 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO Terapia Non sempre una tachiaritmia necessita di un trattamento farmacologico specifico. L’indicazione alla terapia si pone per tre motivi principali: (1) quando la presenza dell’aritmia compromette la funzione di pompa del cuore, alterandone l’emodinamica in maniera significativa; (2) quando l’aritmia è potenzialmente associata a un rischio significativo di degenerare in aritmie più gravi (in particolare in fibrillazione ventricolare); (3) quando l’aritmia determina sintomi comunque fastidiosi per il paziente. Queste condizioni possono essere presenti singolarmente o in modo variamente combinato, per cui si crea una vasta gamma di circostanze nelle quali l’indicazione al trattamento è più o meno presente e più o meno imperativa o urgente. Da quanto detto risulta evidente che una stessa aritmia può richiedere o meno una terapia a seconda del contesto clinico nel quale si manifesta e del quadro clinico che determina. Per esempio, i battiti prematuri ventricolari, anche frequenti, che insorgono in soggetti con un cuore sano, non vengono avvertiti dal paziente e non compromettono la funzione cardiaca, non necessitano di alcun trattamento antiaritmico. D’altro canto, questo diventa necessario se l’aritmia causa disturbi fastidiosi (palpitazioni, colpi di tosse, salti al cuore, lipotimie) che compromettono le normali attività del paziente. Analogamente, il trattamento di una tachicardia atriale parossistica oligosintomatica, che insorge in un soggetto giovane, apparentemente esente da cardiopatie organiche, può essere dilazionata, mentre la stessa aritmia che si presenti in un soggetto anziano con compromissione del sistema cardiovascolare e che induca sintomi (di ischemia cerebrale o miocardica o di scompenso cardiaco) richiede un trattamento d’urgenza. Manovre di stimolazione vagale Nel caso di una tachicardia parossistica sopraventricolare da rientro che coinvolga in qualche modo il nodo AV (si veda oltre), spesso l’aritmia può essere risolta ricorrendo a una manovra molto semplice, rappresentata dal massaggio del seno carotideo (MSC). L’MSC determina una stimolazione riflessa del vago che inibisce la conduzione a livello del nodo AV, impedendo che l’impulso elettrico prosegua attraverso di esso e interrompendo quindi il circuito che è alla base dell’aritmia. L’MSC si effettua con il paziente supino, con il capo esteso e ruotato leggermente dalla parte opposta a quella dove si intende effettuare la manovra. Il massaggio deve essere praticato a livello della biforcazione della carotide, immediatamente al di sotto dell’angolo della mandibola, sotto controllo elettrocardiografico. Esso non deve essere prolungato (non più di 5-6 sec), deve essere inizialmente praticato con cautela (possibilità di riflessi eccessivi) e deve essere esercitato con prudenza in presenza di un fremito carotideo (soprattutto in soggetti anziani); questo, infatti, sugerisce la presenza di un grado significativo di ostruzione a C0055.indd 250 carico del circolo carotideo, per cui la manovra potrebbe far precipitare un’ischemia cerebrale. È importante notare che, poiché l’MSC ha un effetto terapeutico solo su tachicardie sopraventricolari, nei casi in cui esistano dubbi sull’origine sopraventricolare o ventricolare di una tachicardia, lo sblocco dell’aritmia con questa manovra consente anche di effettuare la corretta diagnosi aritmologica. L’MSC è inoltre utile a scopo diagnostico anche in tachiaritmie di origine atriale (per esempio, un flutter o una tachicardia atriale). Grazie al suo effetto inibitorio sul nodo AV, infatti, esso determina una riduzione della risposta ventricolare all’aritmia atriale, per cui, aumentando gli intervalli tra i QRS, l’attività atriale si rende meglio visualizzabile sul tracciato ECG (più onde P senza QRS), consentendo la corretta diagnosi della tachiaritmia. Effetti simili a quelli dell’MSC si possono ottenere con altre manovre di attivazione vagale, quali la manovra di Valsalva (espirazione forzata a glottide chiusa) e la compressione dei globi oculari. Farmaci antiaritmici La terapia farmacologica delle tachiaritmie mira a intervenire sul meccanismo che è alla base di una determinata aritmia. I farmaci antiaritmici sono variamente in grado di influenzare l’automatismo di eventuali foci ectopici automatici (modificando la pendenza della fase 4 del potenziale di azione), di inibire le correnti di depolarizzazione alla base della triggered activity, e di interrompere i circuiti di rientro (variando la refrattarietà e/o la conduzione delle due vie che sono alla base del fenomeno). Quando il meccanismo di un’aritmia è palese (per esempio, nelle tachicardie da rientro della sindrome di Wolff-Parkinson-White), la scelta del farmaco può essere fatta su basi razionali. In molti casi, tuttavia, il meccanismo dell’aritmia è ipotetico e la scelta del farmaco è più empirica. I farmaci antiaritmici vengono abitualmente classificati in quattro classi in base ai loro principali effetti elettrofisiologici, che si esplicano spesso in modo differenziato sui vari tipi di cellule miocardiche del sistema di conduzione, e anche del miocardio comune. Classe I Appartengono a questa classe i cosiddetti farmaci stabilizzatori di membrana, che agiscono principalmente inibendo i canali rapidi del sodio durante la fase 0 del potenziale di azione. Questi farmaci vengono, a loro volta, suddivisi in tre gruppi (A, B e C) sulla base del loro effetto sul periodo refrattario. I farmaci della classe IA aumentano il periodo refrattario cellulare, quelli di classe IB lo riducono, mentre quelli di classe IC hanno scarso effetto sul periodo refrattario, ma rallentano in modo significativo la velocità di conduzione dell’impulso. I farmaci di classe IA e IC hanno effetti negativi sulla contrattilità cardiaca, per cui non vanno utilizzati (o vanno utilizzati con molta cautela, e possibilmente solo in acuto) in presenza di una compromissione significativa della contrattilità 6/9/10 9:48:15 AM Capitolo 11 - ARITMIE meno cardiodepressivi, per cui è il farmaco da preferire ogni volta che la funzione ventricolare sinistra è compromessa. L’amiodarone può essere usato per lo sblocco e la prevenzione della fibrillazione atriale e in altre tachiaritmie sopraventricolari, oltre che nelle tachicardie ventricolari, soprattutto in quelle postinfartuali. ventricolare. I farmaci di classe IA, inoltre, sono quelli che hanno il maggior rischio di causare tachicardie ventricolari a torsione di punta. I farmaci di classe IA e IC sono impiegati più spesso per lo sblocco e la prevenzione di tachiaritmie sopraventricolari. Quelli di classe IC sono comunque utilizzati anche per sbloccare o prevenire, in assenza di controindicazioni, aritmie ventricolari. I farmaci di classe IB non hanno effetti rilevanti sulla contrattilità e possono essere utilizzati per lo sblocco di tachicardie ventricolari, in particolare se a eziologia ischemica. Classe III Appartengono a questa classe i farmaci che hanno come effetto principale l’allungamento della fase 3 del potenziale di azione, e quindi del periodo refrattario delle cellule. Comprendono l’amiodarone e il sotalolo (che ha anche azione -bloccante), più altri farmaci (per esempio, ibutilide, dofetilide, dronedarone) attualmente non disponibili in Italia. A causa della loro azione intrinseca, allungano il QT, aumentando potenzialmente il rischio di tachicardia ventricolare a torsione di punta. Tuttavia, un aumento significativo di questo effetto proaritmico è presente per il sotalolo, ma non per l’amiodarone, con il quale il rischio di questa complicanza è molto basso. L’amiodarone è tra i farmaci antiaritmici Chinidina Disopiramide Lidocaina Mexiletina Propafenone Flecainide -bloccanti Amiodarone Sotalolo Verapamil Diltiazem Adenosina Digossina 1 Classe IV Appartengono a questa classe i farmaci calcio-antagonisti non diidropiridinici, il verapamil e il diltiazem. Questi farmaci inibiscono la corrente lenta in entrata del calcio nella fase 2 del potenziale di azione, riducendo la velocità di conduzione e allungando il periodo refrattario soprattutto delle cellule nodali AV e del nodo del seno, di cui rallentano anche la fase 4 di autodepolarizzazione. Sono utilizzati elettivamente per il trattamento e la prevenzione di varie forme di tachiaritmie sopraventricolari. Oltre ai farmaci inquadrabili in una delle precedenti quattro classi, ve ne sono alcuni comunemente utilizzati nel trattamento di alcune tachiaritmie sopraventricolari che non rientrano nella classificazione, come l’adenosina e la digossina. Entrambi questi farmaci hanno la capacità di prolungare il periodo refrattario e rallentare la conduzione del nodo AV. L’adenosina ha un’emivita molto breve, per cui può essere utilizzata solo acutamente, endovena, per sbloccare episodi di tachicardia parossistica sopraventricolare. La digossina trova oggi la principale indicazione nel controllo della frequenza ventricolare (in acuto e in cronico) in pazienti con tachiaritmie atriali (fibrillazione atriale in primo luogo) che presentino anche una significativa compromissione della funzione ventricolare. I principali effetti esplicati dai farmaci antiaritmici più utilizzati nella pratica clinica sulle varie strutture cardiache e su alcuni parametri ECG sono riassunti nella tabella 11.5. Classe II Appartengono a questa classe i -bloccanti, che esercitano la loro azione antiaritmica antagonizzando l’azione aritmogena delle catecolamine. Molto utili nella prevenzione del rischio aritmico (e non solo) nel postinfarto, vengono ampiamente utilizzati per il controllo della risposta ventricolare in corso di aritmie sopraventricolari quali fibrillazione atriale e flutter atriale, e per il trattamento di aritmie ventricolari o sopraventricolari associate a condizioni di aumentata attivazione adrenergica (sforzo, stress, ipertiroidismo). Tabella 11.5 251 Caratteristiche dei principali farmaci antiaritmici utilizzati nella pratica clinica Classe Nodo del seno Conduzione nodo AV Conduzione sottonodale Durata QRS QTc IA IA IB ↓ ↓ 0 0 0/↓ 0/↓ ↓↓ ↓ ↓↓ ↓ ↓ ↓ ↓ 0 0 0 0 0/↓ 0/↓ ↓↓ ↓ ↓↓ ↓↓ ↓↓ ↓↓ ↓ ↓ 0/↓ 0 0/↓ ↓↓ ↓↓ 0 0/↓ 0 0 0 0 0 ↑↑ ↑ 0 0/↓ ↑↑ ↑↑ 0 0 0 0 0 0 0 ↑↑ ↑ 0 0 0/↑ 0/↑ 0 ↑↑ ↑↑ 0 0 0 ↓ IC IC II III II-III IV IV - Conduzione in vie accessorie* ↓ ↓ 0/↓ 0/↓ ↓ ↓ 0 0/↓ 0 0/↑ 0/↑ ↑ 0/↑ ↑ = aumenta; ↓ = deprime; 0 = assenza di effetti rilevanti. * Fasci atrioventricolari di Kent. C0055.indd 251 6/9/10 9:48:15 AM 252 Parte 1 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO Cardioversione e defibrillazione elettrica La cardioversione elettrica consiste nell’applicazione sulla superficie del torace di una scarica o shock elettrico a corrente continua. Lo shock elettrico ha lo scopo di provocare una depolarizzazione simultanea di tutto il miocardio, che consente un’equalizzazione rapida e omogenea dei potenziali transmembrana di tutti i miocardiociti. Ciò causa l’inibizione di tutti i foci ectopici e degli eventuali circuiti di rientro attivi, dando modo al nodo sinusale (che, di norma, è il primo centro a riattivarsi dopo lo shock) di riprendere il comando del ritmo del cuore. Teoricamente la cardioversione elettrica può essere utilizzata per sbloccare qualsiasi tipo di tachiaritmia resistente alla terapia farmacologica. Essa si rende spesso necessaria nella fibrillazione e nel flutter atriale, nonché nelle tachicardie ventricolari sostenute. L’applicazione tempestiva di uno shock elettrico è infine l’unico trattamento possibile in caso di fibrillazione ventricolare per evitare la morte del paziente. Lo shock elettrico viene applicato mediante un apparecchio chiamato defibrillatore. La corrente, la cui intensità può essere regolata dall’operatore, viene erogata attraverso due elettrodi, rappresentati da due piastre, connesse all’apparecchio. Le piastre del defibrillatore vengono poste sul torace del paziente (tipicamente alla base e all’apice della regione cardiaca) e la scarica elettrica viene erogata attraverso un comando manuale. Se è vigile, il paziente viene prima addormentato mediante la somministrazione di una benzodiazepina endovena. In presenza di un’attività ventricolare organizzata, la scarica del defibrillatore viene sincronizzata con la sistole ventricolare (picco del QRS); esiste, infatti la possibilità che una scarica applicata in corrispondenza dell’onda T causi l’induzione di una fibrillazione ventricolare. Nel caso che il paziente presenti una fibrillazione ventricolare, invece, si effettua la scarica elettrica in asincronia (defibrillazione elettrica), non essendo presente alcuna attività cardiaca organizzata. L’intensità della corrente da erogare per risolvere l’aritmia varia a seconda dell’aritmia stessa. Se il primo shock non ha successo le scariche vengono ripetute aumentando l’intensità della corrente erogata. Stimolazione elettrica o pacing In pazienti con tachiaritmie da rientro che si presentino emodinamicamente stabili, un’alternativa alla cardioversione elettrica, in caso di insuccesso farmacologico, è rappresentata dallo sblocco dell’aritmia mediante stimolazione elettrica artificiale con un catetere elettrodo introdotto nell’appropriata camera cardiaca per via percutanea. L’introduzione di un extrastimolo prematuro in un momento critico del ciclo della tachicardia, infatti, può penetrare nel circuito di rientro e depolarizzarne la parte in quel momento eccitabile, che viene così resa refrattaria al fronte d’onda del rientro che arriva subito dopo. Il circuito viene così interrotto e l’aritmia sbloccata. C0055.indd 252 In molti casi, però, singoli extrastimoli sono incapaci di terminare l’aritmia, per cui si ricorre all’erogazione di brevi salve di extrastimoli a frequenza più elevata di quella della tachicardia (burst), che rendono probabile la penetrazione di uno di essi nel circuito per sbloccare l’aritmia. In alcuni casi, la stimolazione ad alta frequenza viene prolungata per alcuni secondi (overdrive), aumentando ulteriormente la probabilità di sblocco dell’aritmia. Attualmente queste forme di terapia elettrica non vengono quasi mai utilizzate per sbloccare una tachiaritmia, se non in casi particolari. Viceversa, il pacing antitachicardia viene utilizzato abitualmente dai defibrillatori impiantabili (ICD, Implantable Cardioverter Defibrillator) per tentare di sbloccare una tachicardia ventricolare. L’overdrive atriale, effettuato mediante sondinopacemaker introdotto per via transesofagea, come descritto in precedenza, viene talora utilizzato per sbloccare le tachicardie sopraventricolari e il flutter atriale. Ablazione con radiofrequenza Le tecniche di ablazione di un’aritmia consistono nel causare un danno (in genere permanente) alle strutture cardiache responsabili o coinvolte nell’aritmia, o in prossimità di esse, in modo da renderle incapaci di generare o sostenere la tachiaritmia. Nella forma ormai più consolidata esse utilizzano, a tale scopo, energia a radiofrequenza, che viene erogata mediante cateteri introdotti nel cuore per via percutanea, come descritto a proposito del SEF. L’ablazione con radiofrequenza è utilizzata in molti tipi di tachiaritmie, con successo variabile a seconda dell’aritmia e del tipo di paziente. Esistono anche tecniche chirurgiche elaborate allo stesso scopo, ma ormai sono utilizzate solo nei casi in cui il paziente debba sottoporsi a un intervento cardiochirurgico per altri motivi. Defibrillatore impiantabile L’ICD è un apparecchio sostanzialmente simile a un pacemaker (si veda in precedenza), anche se di dimensioni maggiori, che quando rileva, con la sua funzione di sensing, un’aritmia a elevata frequenza, come una tachicardia o una fibrillazione ventricolare, eroga, attraverso i cateteri, una corrente elettrica (di energia sino a 30-40 J) che determina una defibrillazione elettrica intracavitaria in grado di sbloccare l’aritmia. Esso è dunque impiantato in pazienti con aumentato rischio di aritmie fatali o potenzialmente fatali, come la tachicardia ventricolare sostenuta e la fibrillazione ventricolare, al fine di prevenire la morte improvvisa con l’immediato riconoscimento e trattamento dell’aritmia, qualora essa si verifichi. Gli ICD moderni sono in grado di eseguire l’analisi del segnale ECG intracavitario per cercare di distinguere un’aritmia ventricolare pericolosa (che necessita del trattamento) da una tachiaritmia sopraventricolare o una semplice tachicardia sinusale (che non necessita 6/9/10 9:48:16 AM Capitolo 11 - ARITMIE 253 Extrasistolia di trattamento), e attivarsi, così, solo in presenza di forme ventricolari rapide. Una diagnosi errata è, tuttavia, possibile, per cui l’apparecchio a volte eroga degli shock inappropriati, che possono essere fastidiosi per il paziente. È possibile comunque programmare l’ICD in modo che esso, in caso di tachicardia regolare, tenti prima di sbloccare l’aritmia con salve di stimolazioni ventricolari rapide a frequenza superiore a quella della tachicardia (pacing antitachicardia).Le principali indicazioni all’impianto di un ICD sono riassunte nella tabella 11.6. Tabella 11.6 Indicazioni all’impianto di defibrillatore automatico (ICD) nell’adulto Indicazioni assolute 1. Pazienti sopravvissuti ad arresto cardiaco dovuto a FV o TV sostenuta emodinamicamente instabile dopo esclusione di qualsiasi causa reversibile 2. Pazienti con TV sostenuta emodinamicamente instabile o stabile in presenza di una cardiopatia organica 3. Pazienti con sincope di origine non determinata che hanno induzione di FV o TV clinicamente rilevante indotta allo studio elettrofisiologico 4. Pazienti con FEVSn inferiore al 35% dovuta a pregresso infarto miocardico a distanza di almeno 40 giorni dall’infarto, in classe funzionale NYHA > II* 5. Pazienti con FEVSn inferiore al 30% dovuta a pregresso infarto miocardico a distanza di almeno 40 giorni dall’infarto, in classe funzionale NYHA I* 6. Miocardiopatia dilatativa non ischemica con FE inferiore o pari al 35% in classe funzionale NYHA > II* Le extrasistoli costituiscono la forma più elementare e, per certi versi, l’elemento base di tutte le tachiaritmie. Si definisce extrasistole un battito originato da un punto del cuore diverso dal nodo sinusale, che interviene prematuramente rispetto al ciclo sinusale interrompendo la normale regolarità del ritmo cardiaco. In base alla sede di origine, le extrasistoli possono essere suddivise in atriali, giunzionali e ventricolari. Poiché le extrasistoli atriali e giunzionali hanno in genere analoghe implicazioni cliniche, che possono invece essere differenti per le ventricolari, esse sono abitualmente raggruppate insieme a formare il più ampio gruppo delle extrasistoli sopraventricolari. All’esame clinico è pressoché impossibile distinguere tra i vari tipi di extrasistoli, per cui per una corretta diagnosi è necessaria la loro registrazione e analisi all’ECG. Le extrasistoli più spesso si presentano isolate, ma in molti pazienti sono più o meno frequenti le forme ripetitive; le extrasistoli, cioè, si presentano in successione di due battiti (coppie) o di tre o più battiti (salve o run). Quando frequenti, inoltre, le extrasistoli possono presentarsi, per un periodo più o meno lungo, con una cadenza ritmica: intervenire cioè costantemente dopo un certo numero di battiti sinusali. Extrasistoli che intervengono dopo ogni battito sinusale sono dette bigemine (e il ritmo che ne deriva bigeminismo extrasistolico); quelle che intervengono dopo ogni due battiti sinusali sono dette trigemine (e il ritmo che ne deriva trigeminismo extrasistolico) (Fig. 11.13) e così via. In uno stesso paziente, infine, le extrasistoli (atriali o ventricolari) possono avere tutte la stessa morfologia (extrasistoli monomorfe), indicando un’origine da un 1 A. Extrasistolia atriale Indicazioni discusse 1. Pazienti con TV sostenuta e funzione ventricolare sinistra normale o lievemente ridotta 2. Pazienti con miocardiopatia ipertrofica che abbiano uno o più fattori di rischio maggiori per morte improvvisa cardiaca 3. Pazienti con displasia ventricolare destra aritmogena che abbiano uno o più fattori di rischio per morte improvvisa cardiaca 4. Pazienti con sindrome del QT lungo che presentino sincope e/o TV durante terapia con -bloccanti 5. Pazienti con sindrome di Brugada e storia di sincope o di TV documentata che non abbia provocato arresto cardiaco 6. Pazienti non ospedalizzati in attesa di trapianto cardiaco 7. Pazienti con TV polimorfa catecolaminergica con sincope e/o TV sostenuta documentata durante terapia con -bloccanti 8. Pazienti con sarcoidosi cardiaca, miocardite a cellule giganti o malattia di Chagas FEVSn = frazione di eiezione del ventricolo sinistro; FV = fibrillazione ventricolare; NYHA = New York Heart Association; TV = tachicardia ventricolare. * Sebbene gli studi clinici siano a sostegno di queste indicazioni, diversi autori ritengono tuttavia che in questi gruppi di pazienti sarebbe indicato identificare sottogruppi effettivamente a più alto rischio di andare incontro ad arresto cardiaco da tachiaritmie ventricolari, nei quali l’impianto di ICD può significativamente ridurre l’incidenza di morte improvvisa con un favorevole rapporto costo-beneficio. C0055.indd 253 B. Extrasistolia giunzionale e ventricolare C. Extrasistoli ventricolari trigemine D. Parasistolia ventricolare 1,76 sec Figura 11.13 Esempi di extrasistolia sopraventricolare e ventricolare e di parasistolia ventricolare. (a) Extrasistole atriale: il quarto battito della striscia mostra un’onda P anticipata e con morfologia diversa dalle onde P sinusali, seguita da un QRS normale. (b) Extrasistole giunzionale: il terzo battito della striscia è rappresentato da un QRS identico a quello dei battiti sinusali, ma non preceduto da onda P; sono presenti nella striscia anche due extrasistoli ventricolari (quinto e ultimo battito). (c) Extrasistoli ventricolari: sono presenti 4 battiti slargati e aberranti, tipici delle extrasistoli ventricolari, che cadono ritmicamente dopo ogni due battiti sinusali (trigeminismo); si noti la copula costante dei battiti prematuri ventricolari. (d) Parasistolia ventricolare: il primo, terzo, sesto e ultimo battito della striscia (pallini rossi) sono atipici e non preceduti da onde P (battiti ectopici ventricolari); la copula di questi battiti con il precedente battito sinusale è tuttavia variabile e l’intervallo tra i QRS ventricolari è uguale a 1,76 o a un suo multiplo; il pallino giallo indica dove il battito parasistolico sarebbe dovuto comparire, ma non compare, in quanto in quel momento i ventricoli sono in periodo refrattario (onda T) (si veda il testo per i dettagli). 6/9/10 9:48:16 AM 254 Parte 1 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO unico centro ectopico, o avere due o più morfologie differenti (extrasistoli polimorfe), suggerendo una possibile origine polifocale. È da notare, infine, che l’intervallo tra un determinato tipo di extrasistole e il battito precedente (l’onda P sinusale precedente per le extrasistoli atriali e il QRS del battito sinusale precedente per le extrasistoli giunzionali e ventricolari) è sostanzialmente costante, suggerendo un legame fisiopatologico della scarica ectopica con il precedente battito normale. Per tale motivo questo intervallo è definito intervallo di copula (o di accoppiamento) dell’extrasistole. Extrasistolia atriale Le extrasistoli atriali possono nascere in punti diversi degli atri. Esse possono insorgere sia in cuori malati sia in cuori sani. Nei soggetti sani esse sono favorite dallo stress (psichico e fisico), dall’abuso di sostanze eccitanti (tè, caffè, tabacco, droghe) e da disturbi gastroesofagei (reflusso, distensione gastrica). Nei soggetti con problemi medici, esse si manifestano più spesso in condizioni caratterizzate da una distensione della parete degli atri (cardiopatie valvolari, scompenso cardiaco) e nella cardiopatia ischemica, e a volte preludono ad aritmie clinicamente più importanti, quali la fibrillazione atriale o le tachicardie sopraventricolari. All’ECG le extrasistoli atriali sono caratterizzate da onde P che hanno una morfologia diversa da quella dell’onda P del normale ritmo sinusale. L’onda P ectopica extrasistolica (definita, in genere, onda P’) è inoltre prematura: presenta, cioè, un intervallo dall’onda P sinusale del complesso precedente inferiore all’intervallo compreso fra due P sinusali del ritmo di base (si veda Fig. 11.13). La morfologia dell’onda P consente di individuare da quale zona degli atri l’extrasistolia origina. Se l’onda P’ è negativa in V1, essa verosimilmente origina da destra; se l’onda P’ è negativa in sede inferiore (D2, D3, aVF), il focus è in prossimità della porzione atriale destra bassa; se essa è negativa nelle derivazioni laterali, allora il focus extrasistolico è in atrio sinistro. Una durata breve dell’onda P’, intorno a 0,10 sec, suggerisce un’origine nel setto interatriale. L’impulso che nasce dal focus ectopico atriale diffonde, come i battiti sinusali, al nodo AV, al fascio di His e, quindi, ai ventricoli. Tale diffusione avviene in genere in maniera del tutto normale, per cui la morfologia del complesso QRS del battito prematuro atriale è identica a quella dei battiti sinusali. Tuttavia, se l’impulso ectopico atriale è molto prematuro, esso può giungere al nodo AV quando questo è ancora in condizioni di refrattarietà assoluta o relativa. Nel primo caso (refrattarietà assoluta) l’impulso ectopico non potrà attivare il nodo AV, per cui viene “bloccato” e non raggiunge i ventricoli (all’ECG l’onda P ectopica non è seguita dal QRS); nel secondo caso (refrattarietà relativa) il nodo AV può essere attivato, ma in modo più lento, per cui il tempo di conduzione dell’impulso dagli atri ai ventricoli risulta allungato rispetto a quello rilevabile durante il ritmo sinusale (allungamento dell’intervallo P’-R all’ECG). Un comportamento anomalo della conduzione ai ventricoli di un’extrasistole atriale può verificarsi anche a livello del sistema specifico di conduzione intraventri- C0055.indd 254 colare. Il periodo refrattario della branca destra, infatti, è abitualmente più lungo di quello della branca sinistra. L’onda di depolarizzazione di un’extrasistole atriale può quindi giungere alle branche quando la branca destra è ancora in condizioni di refrattarietà, ma la branca sinistra ha già recuperato la sua eccitabilità. In questo caso l’impulso elettrico sarà bloccato nella branca destra e potrà attivare i ventricoli solo attraverso la branca sinistra. All’ECG il QRS che ne risulta, che segue la P extrasistolica, avrà una morfologia che indica una conduzione dell’impulso diversa da quella del normale ritmo sinusale (per questo definita conduzione aberrante), e per la precisione, in questo caso, tipica del blocco di branca destra (si veda Fig. 11.7). È da osservare tuttavia che, in diversi casi (soprattutto in presenza di alcune cardiopatie), è la branca sinistra a presentare un periodo refrattario più lungo rispetto alla branca destra, per cui un’extrasistole atriale suffi cientemente precoce verrà bloccata nella branca sinistra e il QRS all’ECG avrà una morfologia “aberrante” a blocco di branca sinistra. Abitualmente un’extrasistole atriale, insorgendo prematuramente dopo una scarica del nodo del seno, nel depolarizzare gli atri riesce anche a penetrare nello stesso nodo del seno, depolarizzando precocemente le cellule segnapassi in un momento della loro fase 4. Ciò comporta un “azzeramento” del ciclo di autodepolarizzazione delle cellule sinusali, che inizieranno il nuovo ciclo dal momento in cui hanno recuperato dalla depolarizzazione indotta dall’extrasistole. Se non intervengono altri fenomeni, il nodo del seno emetterà il primo impulso di attivazione degli atri dopo l’extrasistole con un intervallo di tempo simile a quello del ciclo sinusale. All’ECG questa sequenza di eventi è manifestata dai seguenti reperti: 1) l’intervallo tra l’extrasistole (P’) e l’onda P precedente è più corto di un normale intervallo P-P sinusale; 2) l’intervallo tra l’extrasistole e l’onda P sinusale successiva è simile a quello del normale intervallo P-P sinusale; 3) come risultato, l’intervallo tra le due onde P sinusali che contengono l’extrasistole, che è dato dalla somma dei due intervalli precedenti, è inferiore al doppio di un normale ciclo P-P sinusale. In realtà, l’intervallo che segue l’extrasistole atriale è in genere leggermente più lungo del normale ciclo sinusale, in quanto al tempo che il nodo del seno impiega per raggiungere nuovamente il potenziale di soglia dopo la depolarizzazione da parte dell’extrasistole (che corrisponde al ciclo sinusale) bisogna sommare il tempo che l’extrasistole impiega per raggiungere e depolarizzare il nodo del seno. In ogni caso, la somma degli intervalli che separano l’extrasistole dalla P sinusale precedente e dalla P sinusale seguente rimane inferiore al doppio dell’intervallo tra due battiti sinusali; si può dire, perciò, che la breve pausa che segue il battito extrasistolico non è sufficiente a compensare l’accorciamento dell’intervallo di copula, per cui questa pausa è definita non compensatoria (si veda Fig. 11.13). Le extrasistoli atriali di solito non influenzano in modo significativo l’attività di pompa del cuore. Esse sono spesso asintomatiche, ma in diversi casi possono essere avvertite come sensazione di “cuore che si ferma”, “salti del cuore” o, se frequenti, di “sfarfallio” nel petto. 6/9/10 9:48:16 AM Capitolo 11 - ARITMIE All’esame obiettivo del paziente si apprezza un polso regolare, ma interrotto più o meno frequentemente dall’apparente salto di un battito o da un battito anticipato di scarsa ampiezza; ciò è dovuto al fatto che l’extrasistole, inducendo la contrazione dei ventricoli in una fase in cui il riempimento ventricolare è limitato, determina una gittata sistolica ridotta rispetto al normale, per cui l’onda sfi gmica corrispondente può essere ridotta a tal punto da non essere percepita o essere appena percepita al polso radiale. Parallelamente, all’auscultazione del cuore si avvertono saltuariamente dei toni anticipati. Si è visto che le extrasistoli giunzionali diffondono ai ventricoli in modo normale, determinando la formazione di QRS con morfologia analoga a quella dei complessi sinusali. Come per le extrasistoli atriali, tuttavia, se il battito prematuro giunzionale è molto precoce, la diffusione dello stimolo ai ventricoli può avvenire con conduzione aberrante (si veda in precedenza). Cause, fisiopatologia, sintomi e segni clinici delle extrasistoli giunzionali sono analoghi a quelli dei battiti prematuri atriali. Anche le extrasistoli giunzionali hanno di solito un andamento benigno e non richiedono abitualmente un trattamento specifico. 255 1 Extrasistolia ventricolare Terapia In genere le extrasistoli atriali sono aritmie benigne che non richiedono uno specifico trattamento antiaritmico. Quando possibile, vanno eliminati o corretti eventuali fattori che possono favorire l’aritmia (fumo, sostanze eccitanti, stress, disordini elettrolitici, disturbi gastroesofagei, distiroidismo, scompenso cardiaco ecc.). Spesso, però, non è possibile individuare specifici fattori favorenti. Se i sintomi sono frequenti e poco tollerati, farmaci utili sono quelli di classe I, II e III. Extrasistolia giunzionale Le extrasistoli giunzionali sono meno comuni di quelle atriali e ventricolari. Hanno origine nella giunzione AV (nodo AV e fascio di His) e possono diffondere sia verso gli atri sia verso i ventricoli. L’ordine con cui l’impulso ectopico diffonde verso gli atri e i ventricoli dipende anzitutto dalla sede di origine dell’extrasistole. Se l’extrasistole ha origine nella parte media del nodo AV, l’impulso attiverà pressoché contemporaneamente gli atri e i ventricoli. All’ECG si osserverà un complesso QRS prematuro, di morfologia identica a quello sinusale (l’attivazione dei ventricoli, infatti, avviene anche in questo caso attraverso le normali vie di conduzione) ma non preceduto da onde P (si veda Fig. 11.13); l’attivazione atriale, infatti, avvenendo contemporaneamente a quella ventricolare, sarà mascherata dal QRS, che ha un’ampiezza molto maggiore. Se l’extrasistole giunzionale ha origine nella parte bassa del nodo AV (o nel fascio di His), l’impulso arriverà prima ai ventricoli che, per via retrograda, agli atri. All’ECG si osserverà ancora un QRS normale prematuro, questa volta con un’onda P subito dopo la sua fine. Se, infine, l’extrasistole giunzionale ha origine nella parte alta del nodo AV, l’impulso arriverà prima, per via retrograda, agli atri che, per via anterograda, ai ventricoli; in questo caso all’ECG si osserverà ancora un QRS normale prematuro, ma immediatamente preceduto da un’onda P ectopica, con un intervallo P’-R molto breve (≤ 0,10 sec). È importante osservare che l’attivazione retrograda degli atri da parte di un impulso che provenga dal nodo AV avviene con una sequenza tipica, con direzione inferosuperiore e postero-anteriore; all’ECG ciò dà origine a un’onda P caratteristica, negativa nelle derivazioni inferiori (D2, D3, aVF) e positiva e appuntita in V1. C0055.indd 255 Le extrasistoli ventricolari costituiscono la forma di aritmia più frequente. Anch’esse si possono manifestare sia in presenza sia in assenza di cardiopatia. In assenza di cardiopatia riconoscono gli stessi fattori favorenti descritti per le extrasistoli atriali. In presenza di cardiopatia si manifestano molto frequentemente in corso di infarto miocardico e scompenso cardiaco. All’ECG le extrasistoli ventricolari sono caratterizzate da complessi QRS prematuri più larghi di quelli del normale ritmo sinusale (di solito la durata è superiore a 0,12 sec), non preceduti da onde P (si veda Fig. 11.13). Nella maggior parte dei casi l’extrasistole ventricolare non riesce ad arrivare ad attivare gli atri e, quindi, a penetrare nel nodo del seno, in quanto l’impulso elettrico è in genere bloccato nel nodo AV; ne deriva che l’extrasistole non interferisce con la formazione ritmica dell’impulso sinusale e la relativa attivazione sinusale degli atri. Tuttavia, l’onda P sinusale che cade all’interno del battito ventricolare prematuro non riesce a sua volta a propagarsi ai ventricoli, in quanto trova le vie di conduzione o gli stessi ventricoli ancora in uno stato di refrattarietà, causata dall’extrasistole ventricolare appena occorsa. Ciò determina una pausa dopo l’extrasistole, che termina con la comparsa del successivo battito sinusale. Poiché l’extrasistole ventricolare non influenza il ciclo sinusale, ma causa comunque la mancata conduzione della P che interviene subito dopo la sua comparsa, ne deriva che l’intervallo tra le due P sinusali condotte che precedono e seguono l’extrasistole è pari al doppio del normale ciclo sinusale; poiché questo intervallo è dato dalla somma dell’intervallo prematuro di copula dell’extrasistole e dall’intervallo della pausa postextrasistolica, si dice che quest’ultima è compensatoria, in quanto è lunga tanto da compensare la brevità dell’intervallo di copula, facendo risultare l’intervallo fra il complesso normale che precede e quello che segue il battito prematuro uguale a due cicli sinusali (si veda Fig. 11.13). Quando la frequenza del nodo del seno è sufficientemente bassa, tuttavia, è possibile che il battito del ritmo sinusale immediatamente successivo all’extrasistole giunga al sistema di conduzione e ai ventricoli quando essi hanno già recuperato una normale eccitabilità, e quindi riesca ad attivare i ventricoli. In questo caso anche questa P sinusale è seguita da un QRS normale, per cui l’extrasistole ventricolare si viene a porre fra due battiti sinusali consecutivi normalmente condotti. Quando si verifica questa circostanza, si parla di extrasistole ventricolare interpolata. 6/9/10 9:48:16 AM 256 Parte 1 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO Si deve anche osservare che, in alcuni casi, i battiti prematuri ventricolari possono diffondere per via retrograda agli atri (battiti “retrocondotti”); la retroconduzione può essere, in genere, identificata all’ECG dalla presenza di un’onda P anomala che si inscrive sul tratto ST dell’extrasistole. In questi casi, l’extrasistole ventricolare può arrivare a depolarizzare il nodo del seno e, quindi, non essere seguita da una pausa compensatoria (si veda in precedenza, Extrasistolia atriale). Le extrasistoli ventricolari possono essere considerate più o meno rilevanti dal punto di vista clinico in base ad alcune loro caratteristiche, ma il loro significato dipende soprattutto dal contesto clinico nel quale si manifestano. I caratteri ECG considerati potenzialmente a rischio comprendono: (1) una frequenza elevata (≥ 10 per ora); (2) la presenza di forme ripetitive (coppie, salve di tachicardia ventricolare non sostenuta); (3) polimorfismo; (4) una precocità marcata, indicata dall’occorrenza delle extrasistoli all’apice o nella branca discendente dell’onda T del battito sinusale precedente (fenomeno “R su T”). Quest’ultimo fenomeno è una condizione a rischio, in quanto l’extrasistole interviene in un momento (onda T) in cui vi è una disomogeneità dello stato elettrico delle cellule ventricolari, essendo alcune già ripolarizzate, ma altre ancora nel loro periodo refrattario assoluto o relativo. La lenta eccitazione di queste ultime potrà favorire la successiva eccitazione delle cellule colte durante il periodo refrattario assoluto, creando le premesse per meccanismi di rientro che rischiano di degenerare in fibrillazione ventricolare. Il valore che le forme “a rischio” delle extrasistoli ventricolari hanno, tuttavia, dipende in modo fondamentale dal quadro clinico in cui si verificano. Così, in presenza di un cuore strutturalmente e funzionalmente sano, il rischio di eventi aritmici maggiori a esse connesso è sostanzialmente nullo. D’altro canto, il loro riscontro in alcune forme di cardiopatia indica un aumento significativo del rischio di eventi aritmici potenzialmente fatali. In questo senso il contesto clinico di maggiore pericolo è l’infarto miocardico acuto, in cui le extrasistoli ventricolari, soprattutto ripetitive e precoci, possono innescare aritmie mortali. Dal punto di vista emodinamico, l’extrasistole ventricolare interrompe il riempimento diastolico rapido dei ventricoli e priva il riempimento ventricolare della quota dovuta alla sistole atriale. Questa interferenza è tanto maggiore quanto più il battito ectopico è precoce. La sistole indotta dal battito prematuro svuota un ventricolo che ha potuto riempirsi solo parzialmente e genera pertanto una gittata sistolica ridotta. D’altro canto, la pausa compensatoria che segue l’extrasistole consente un tempo di riempimento diastolico più lungo. Ne consegue che la quantità di sangue presente al termine della pausa postextrasistolica è maggiore di quella presente al termine di una normale diastole, per cui la gittata sistolica del battito sinusale postextrasistolico è maggiore del normale, tanto da poter essere avvertita dal paziente come un “battito forte” o un “colpo nel petto”. L’interferenza delle extrasistoli ventricolari sull’emodinamica cardiaca è, comunque, insignificante quando esse sono isolate, ma può essere significativa se sono frequenti, ripetitive e il miocardio presenta alterazioni funzionali. C0055.indd 256 Come le sopraventricolari, anche le extrasistoli ventricolari sono nella maggior parte dei casi asintomatiche. In diversi casi, tuttavia, esse possono causare disturbi legati alla percezione dell’aritmia, come senso di irregolarità del battito cardiaco, o sensazioni tipo “cuore che si ferma, che perde colpi o che dà colpi più forti”. Raramente, e in genere solo in pazienti che presentano gravi deficit contrattili di base, extrasistoli ventricolari frequenti possono facilitare la comparsa di segni di scompenso cardiaco (dispnea e segni di bassa portata periferica). L’esame obiettivo evidenzia reperti analoghi a quelli delle extrasistoli sopraventricolari, principalmente polso regolare interrotto da pulsazioni anticipate di scarsa ampiezza oppure da brevi pause senza apparenti pulsazioni, con battito successivo (postextrasistolico) particolarmente ampio. Se a livello del polso radiale le extrasistoli si manifestano solo come saltuaria mancanza di battiti, l’auscultazione cardiaca permette di apprezzare la presenza dei battiti prematuri, consentendo la diagnosi corretta. L’auscultazione del cuore, insieme alla palpazione del polso radiale, può essere importante anche nei casi di bradicardia regolare al polso. Questa, infatti, potrebbe essere legata, piuttosto che a una bradicardia vera, alla presenza di un’extrasistolia ventricolare bigemina, che simula una bradicardia al polso perché in periferia si apprezzano solo i battiti sinusali e non quelli extrasistolici. Terapia La terapia delle extrasistoli ventricolari deve essere principalmente rivolta alla rimozione o al miglioramento di eventuali condizioni che ne favoriscono la manifestazione. In particolare, va interrotta l’eventuale assunzione di sostanze eccitanti, va corretto uno stato di scompenso cardiaco o un’eventuale ipokaliemia e vanno sospesi farmaci potenzialmente proaritmici, come la digitale, in caso di sospetto o accertato sovradosaggio. L’indicazione a un trattamento antiaritmico farmacologico è legata alla frequenza con cui l’aritmia si manifesta (numero di extrasistoli all’ora), ai sintomi che induce e alla condizione patologica alla quale è associata. Durante un infarto miocardico acuto, in particolare, i battiti prematuri ventricolari non richiedono un trattamento farmacologico specifico. I farmaci principalmente impiegati sono quelli della I e II classe e l’amiodarone. Nei casi, veramente eccezionali, di extrasistoli ventricolari molto frequenti, fortemente sintomatiche e refrattarie al trattamento medico, può essere tentato un trattamento di ablazione transcatetere del focus aritmico, individuato al SEF mediante mappaggio intracavitario. Parasistolia La parasistolia è una forma rara di aritmia dovuta alla presenza di un centro automatico ectopico (atriale, 6/9/10 9:48:16 AM Capitolo 11 - ARITMIE giunzionale o ventricolare) che ha la caratteristica di essere protetto dal ritmo sinusale (e da altri ritmi esterni) da un blocco in entrata, per cui esso non può essere depolarizzato da nessun impulso elettrico che attivi il cuore; allo stesso tempo, però, gli impulsi da esso generati possono attivare normalmente il miocardio ogniqualvolta questo può essere eccitato (quando non è, cioè, in uno stato di refrattarietà). La parasistolia di gran lunga più frequente è quella ventricolare, che all’ECG può essere diagnosticata sulla base di tre criteri: (1) la copula dei battiti ectopici ventricolari è variabile; infatti, il focus parasistolico ha una sua frequenza di scarica regolare che non è influenzata dal ritmo sinusale, quindi non ha con questo alcuna relazione; (2) gli intervalli tra i battiti ectopici sono multipli di un comune denominatore (che rappresenta il ciclo intrinseco di scarica del focus) (si veda Fig. 11.13); (3) sono spesso presenti battiti di fusione ventricolare; infatti, in diverse occasioni la scarica del centro parasistolico avviene casualmente contemporaneamente all’arrivo ai ventricoli dell’impulso sinusale, per cui i ventricoli saranno attivati da due fronti d’onda; ne risulterà un QRS intermedio tra quello sinusale e quello parasistolico. La parasistolia non ha in genere un significato clinico particolare e non necessita di trattamento, a meno che la sua frequenza di scarica sia molto elevata e dia origine a una tachicardia ventricolare (tachicardia parasistolica), evenienza peraltro molto rara. 257 A. Tachicardia sinusale B. Tachicardia atriale con conduzione AV 2:1 C. Tachicardia atriale polifocale D. Ritmo giunzionale accelerato (a) Semplice tachicardia sinusale; (b) tachicardia atriale a frequenza 160 bpm, con conduzione (o blocco) AV 2:1; (c) tachicardia atriale polifocale; si notino la presenza di onde P con diverse morfologie e la notevole irregolarità degli intervalli tra le onde P; (d) ritmo giunzionale accelerato; si notino i complessi QRS stretti, non preceduti da onde P; all’inizio della striscia sono in effetti presenti tre onde P sinusali (frecce) appena prima dei complessi QRS; queste onde P, tuttavia, non sono condotte (intervallo P-R troppo corto): dissociazione AV. 1 Figura 11.14 Alcune forme di tachiaritmie sopraventricolari. All’auscultazione il medico avverte toni frequenti, leggermente variabili con gli atti del respiro; spesso l’intensità dei toni è ridotta quando la tachicardia è secondaria a scompenso cardiaco. In questo caso sono in genere presenti anche altri segni di scompenso. Non è necessaria una terapia specifica della tachicardia sinusale, se non quella di evidenziare e curare eventuali patologie che ne sono causa. Tachicardie sopraventricolari Tachicardia sinusale inappropriata Per tachicardia si intende, in generale, un ritmo con una frequenza cardiaca superiore o uguale a 100 bpm. Esistono in clinica vari tipi di tachicardia, che vengono classificate in base alla loro sede di insorgenza e ai meccanismi che ne sono responsabili (si veda Tab. 11.4). Tachicardia sinusale La tachicardia sinusale è caratterizzata da una sequenza ritmica di battiti con frequenza ≥ 100/min che partono, come di norma, dal nodo del seno e danno luogo a una normale successione dell’onda di attivazione del cuore (Fig. 11.14). Essa, in genere, rappresenta semplicemente una risposta normale a condizioni fisiologiche (classicamente uno sforzo o una situazione di stress emotivo) o patologiche (per esempio, febbre, anemia, ipotensione, ipertiroidismo, scompenso cardiaco) che aumentano, in modo diretto o indiretto, l’attività adrenergica che, come visto in precedenza, insieme alla riduzione dell’attività vagale è la principale causa dell’accelerazione della frequenza di scarica del nodo sinusale. All’ECG la tachicardia sinusale si presenta come una successione regolare di onde P di morfologia normale, seguite regolarmente dal QRS. L’intervallo P-R è entro valori normali. L’MSC determina solo una lieve e transitoria riduzione della frequenza cardiaca, che risale rapidamente ai valori precedenti dopo la sua interruzione. La tachicardia sinusale insorge e termina di solito in modo graduale, senza quelle variazioni repentine della frequenza cardiaca che sono, viceversa, tipiche della tachicardie ectopiche. C0055.indd 257 Questa rara forma di tachicardia presenta tutte le caratteristiche ECG di una tachicardia sinusale fisiologica, con onda P tipica di un’origine sinusale. Essa ricorre in modo incessante senza apparenti cause (sia fisiologiche sia patologiche) o in seguito a sforzi anche leggeri, per cui l’accelerazione del ritmo sinusale appare appunto “inappropriata”. Le cause di questa tachicardia non sono chiare, ma essa potrebbe essere legata a un nodo sinusale intrinsecamente tendente a una frequenza di scarica elevata, a un’attività adrenergica di base più elevata o anche all’attività di un focus ectopico molto vicino al nodo del seno che dà origine a onde P sostanzialmente identiche a quelle sinusali. La tachicardia sinusale inappropriata si riscontra più frequentemente in ragazze e giovani donne e, se causa disturbi (palpitazioni), può essere trattata con farmaci di classe II e IV. Tachicardia da rientro seno-atriale Questa rara forma di tachicardia, come dice il termine, è dovuta a un rientro nei tessuti perinodali sinusali. È caratterizzata da onde P del tutto identiche a quelle sinusali, con una frequenza in genere relativamente bassa, intorno a 120-130 bpm (range 110-150). Per tale motivo essa è di solito ben tollerata. Contrariamente alle precedenti, ha un’origine improvvisa ed è innescata da extrasistoli. L’aritmia può essere sbloccata con il semplice MSC. La terapia farmacologica è basata su antiaritmici di classe II e IV (-bloccanti e calcio-antagonisti). 6/9/10 9:48:16 AM 258 Parte 1 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO Tachicardia atriale La tachicardia atriale si caratterizza per la presenza all’ECG di un ritmo atriale regolare con onde P identiche, ma diverse dalla P sinusale. La tachicardia atriale può avere origine da un centro atriale ectopico (tachicardia atriale automatica o focale) o essere dovuta a un circuito di rientro intra-atriale. La frequenza abituale è di 130-220 bpm. L’attivazione dei ventricoli avviene attraverso le normali vie di conduzione, e quindi il QRS è in genere normale. La conduzione AV può avvenire con un rapporto 1:1; in questo caso, la frequenza ventricolare è tachicardica e uguale a quella atriale. Nei casi in cui la frequenza atriale è elevata (in genere > 200 bpm), tuttavia, la conduzione AV può avvenire con un rapporto AV maggiore (per esempio, 2:1-3:1), configurando la cosiddetta tachicardia atriale bloccata (si veda Fig. 11.14), spesso dovuta a intossicazione digitalica o ipokaliemia. La tachicardia atriale risponde soprattutto a farmaci di classe IA, IC e III. Se si vuole controllare semplicemente la frequenza cardiaca, si possono utilizzare farmaci di classe II e IV. Sporadicamente è necessario ricorrere alla cardioversione elettrica per sbloccare l’aritmia. il ritmo ectopico prende il sopravvento sull’attivazione fisiologica del nodo del seno. Dal punto di vista elettrocardiografico, questi ritmi si esprimono come successione regolare di complessi QRS di morfologia normale non preceduti da onde P sinusali. Gli atri possono essere attivati per via retrograda, con onde P tipiche della retroconduzione dal nodo AV (si veda in precedenza, Extrasistolia giunzionale) oppure continuare a essere attivati, come di norma, dal nodo del seno. In quest’ultimo caso, le onde P hanno aspetto normale, ma non hanno alcuna relazione con i complessi QRS, cioè con l’attività ventricolare. Atri e ventricoli, cioè, presentano due ritmi differenti del tutto indipendenti (dissociazione atrioventricolare). Queste aritmie sono relativamente frequenti in condizioni di tossicità digitalica, di febbre reumatica o di infarto miocardico diaframmatico, ma possono verificarsi anche in soggetti con cuore del tutto sano. La frequenza di attivazione aumenta con l’esercizio fisico e può essere rallentata dall’MSC. Il ritmo giunzionale accelerato di solito non dà sintomi e raramente richiede una terapia specifica; la tachicardia giunzionale si avvale principalmente del trattamento con calcio-antagonisti e -bloccanti. Tachicardia atriale polifocale Questa forma particolare di tachicardia atriale è così chiamata in quanto sono presenti due o più onde P ectopiche a morfologia differente, che suggeriscono un’origine da almeno due foci ectopici atriali; gli intervalli tra le onde P sono irregolari; come risultato, anche l’attività ventricolare è irregolare, simulando, in diversi casi, una fibrillazione atriale (si veda Fig. 11.14). Questa aritmia insorge con una certa frequenza in pazienti con broncopneumopatia cronica ostruttiva o insufficienza respiratoria. La terapia è mirata soprattutto alla patologia di base ed eventualmente al controllo della frequenza cardiaca con calcio-antagonisti e, in casi selezionati, -bloccanti. Ritmo atriale accelerato Si parla di ritmo atriale accelerato quando un centro ectopico atriale aumenta la sua frequenza di scarica a valori superiori a quella del nodo del seno, in modo da prendere il comando del ritmo cardiaco. L’ECG mostra un ritmo regolare, a frequenza inferiore a 100 bpm e l’onda P è morfologicamente atipica. Questa aritmia può verificarsi in soggetti sani, come in varie malattie cardiache, ma è assolutamente benigna e non richiede alcuna forma di trattamento. Ritmo giunzionale accelerato e tachicardia giunzionale automatica Il ritmo giunzionale accelerato e la tachicardia giunzionale automatica sono caratterizzati da un esaltato automatismo di pacemaker situati nel nodo AV. La distinzione tra i due ritmi è basata essenzialmente su un criterio di frequenza. Si parla di ritmo giunzionale accelerato se la frequenza è inferiore a 100 bpm (si veda Fig. 11.14), di tachicardia giunzionale se superiore o uguale a 100 bpm. Come visto in precedenza, in condizioni normali la frequenza di attivazione intrinseca di questi pacemaker è di circa 40-60 bpm. In alcune condizioni la loro frequenza aumenta e C0055.indd 258 Tachicardia parossistica sopraventricolare da rientro nel nodo AV o reciprocante nodale Si definisce tachicardia parossistica sopraventricolare (TPSV) una tachicardia di origine sopraventricolare, di durata variabile da pochi minuti a ore, che insorge e termina improvvisamente. La TPSV da rientro nel nodo AV è la forma più frequente di queste tachicardie, rappresentando circa i due terzi dei casi. Essa si manifesta più di frequente in età giovanile, ma si può presentare anche nella fascia di età superiore ai 40 anni, soprattutto tra le donne. Patogenesi Il substrato anatomofunzionale della TPSV da rientro nel nodo AV è costituito dall’esistenza, nel nodo AV di questi pazienti, di due vie di conduzione, con proprietà elettrofisiologiche diverse: una con capacità di conduzione rapida (via veloce o fast pathway) e una a conduzione meno rapida (via lenta o slow pathway) (Fig. 11.15). Le due vie, inoltre, differiscono anche per il periodo refrattario, che è significativamente più lungo nelle cellule della via veloce. Poiché il circuito di rientro è localizzato interamente nel nodo AV, esso costituisce un tipico esempio di microrientro. La TPSV da rientro nodale AV è, nella maggior parte dei casi, innescata da un’extrasistole atriale. Quando questa, infatti, arriva al nodo AV in un momento in cui la via rapida è ancora nel periodo di refrattarietà, mentre la via lenta ha già recuperato la sua eccitabilità dopo la precedente attivazione (periodo refrattario più corto), l’impulso sarà bloccato nella prima e potrà essere condotto solo lungo la seconda. Tuttavia, mentre prosegue anterogradamente verso il fascio di His, l’impulso elettrico può attivare la via rapida in senso retrogrado, qualora questa abbia recuperato l’eccitabilità nella zona in cui l’impulso era stato bloccato. L’attivazione retrograda della via rapida continua con la trasmissione retrograda dell’impulso agli atri, ma, contemporaneamente, con una 6/9/10 9:48:17 AM Capitolo 11 - ARITMIE nuova attivazione anterograda della via lenta, innescando e perpetuando il rientro. È da notare che, per le differenti proprietà elettrofisiologiche delle due vie, il tempo che l’impulso impiega a scendere lungo la via lenta (e poi andare ai ventricoli) è più lungo rispetto al tempo che l’impulso impiega a risalire lungo la via rapida (e agli atri). Ne risulta che l’attivazione dei ventricoli e degli altri è pressoché contemporanea. All’ECG la TPSV da rientro nodale AV si presenta con QRS regolari, di solito normali e, in genere, senza chiare onde P visibili, in quanto queste sono situate dentro il QRS, oppure con onde P appena visibili, come piccole incisure, nella parte terminale del QRS o immediatamente dopo. Ne deriva che, quando le onde P sono visibili, l’intervallo P-R (tra un’onda P e il QRS successivo) è maggiore dell’intervallo R-P (tra un QRS e la P successiva), che non misura mai più di 70-80 msec (Fig. 11.16). La tachicardia descritta è la forma di gran lunga più frequente e tipica di TPSV da rientro nodale AV, ed è detta tipo slow-fast, perché utilizza la via lenta per la conduzione anterograda e la rapida per quella retrograda. In un piccolo numero di casi, tuttavia, il rientro avviene in senso inverso al precedente, dando origine alla TPSV da rientro nodale AV tipo fast-slow. In questo caso, infatti, l’impulso scende lungo la via rapida e risale lungo la via lenta. All’ECG, durante la tachicardia, le onde P retrograde sono visibili dopo il QRS e l’intervallo R-P è maggiore di 80 msec, in genere circa 110-120 msec, e il P-R è simile a quello del ritmo sinusale. In questo caso è più difficile la diagnosi differenziale con la tachicardia parossistica della sindrome di Wolff-Parkinson-White (WPW). Manifestazioni cliniche La tachicardia ha insorgenza improvvisa e termina altrettanto improvvisamente. Può talora comparire in seguito a sforzi, emozioni o tutto ciò che in un paziente contribuisce alla comparsa di extrasistoli, che, come detto, rappresentano il “trigger” della tachicardia. La durata è molto variabile, da qualche minuto a ore. Anche la frequenza è variabile (da 130 a 220 bpm), ma di solito è sui 170-200 bpm. Per lo più la TPSV da rientro nodale AV dà solo palpitazioni, mentre raramente il paziente riferisce lipotimie. Il comportamento nel tempo è anch’esso variabile, anche se spesso vi è una tendenza all’aumento della frequenza e della durata degli episodi, che possono anche diventare più difficili da prevenire con una terapia farmacologica. La TPSV da rientro nodale AV si verifica di solito in soggetti esenti da cardiopatie strutturali. Diagnosi Deve sempre essere sospettata in soggetti giovani che riferiscono episodi di tachicardia improvvisa. L’ECG al di fuori della tachicardia è in genere del tutto normale. La diagnosi all’ECG durante la tachicardia è abitualmente semplice da porre. Nei casi in cui non si riesca a documentare la tachicardia, può essere utile un monitoraggio continuo dell’ECG o un SEF transesofageo che in genere consente di indurre l’aritmia e di porre diagnosi. Un SEF endocavitario diventa necessario solo in previsione di una procedura di ablazione. C0055.indd 259 Terapia La TPSV da rientro nodale AV può essere risolta in molti casi dall’applicazione di manovre di stimolazione vagale (MSC anzitutto). I farmaci di elezione per lo sblocco dell’aritmia sono l’adenosina e il verapamil, somministrati per e.v., sebbene diversi altri farmaci antiaritmici (-bloccanti, propafenone ecc.) siano potenzialmente in grado di sbloccare l’aritmia. I farmaci di prima scelta per la prevenzione degli episodi di TPSV sono quelli di classe IV (verapamil, diltiazem) e classe II (-bloccanti). Il trattamento definitivo si può ottenere con l’ablazione, con radiofrequenza o con crioablazione, della via lenta, eseguita con successo nel 99% dei casi. Vista comunque la vicinanza della porzione compatta del nodo AV, l’ablazione ha un rischio, seppure a oggi estremamente basso, di lesione del nodo AV, con sviluppo di blocco AV completo. Nodo AV I aVR V1 V4 II aVL V2 V5 II aVF 1 Nodo AV Il substrato è rappresentato dalla presenza di una doppia via di conduzione all’interno del nodo AV (qui schematizzato), che presenta diverse proprietà elettrofisiologiche. Una (via veloce) conduce l’impulso più rapidamente (linee continue), ma ha un periodo refrattario maggiore; l’altra (via lenta) conduce l’impulso più lentamente (linee tratteggiate), ma ha un periodo refrattario minore. A sinistra è illustrato che cosa avviene durante un normale battito sinusale. A destra le linee in blu indicano un impulso prematuro che trova la via rapida B ancora refrattaria, per cui esso si trova a percorre solo la via lenta A. Arrivato al punto di congiunzione distale, tuttavia, l’impulso può percorrere la via rapida in senso retrogrado (linea rossa), se questa ha recuperato l’eccitabilità, dando origine al microrientro. L’impulso attiva gli atri (retrogradamente) e i ventricoli (anterogradamente) ogni volta che transita, rispettivamente, nel punto di divisione e di ricongiunzione delle due vie (si veda il testo per i dettagli). III 259 V3 V6 Figura 11.15 Meccanismo della tachicardia da rientro nodale AV. Figura 11.16 Esempio di tachicardia parossistica sopraventricolare da rientro nodale AV (frequenza 200 bpm). 6/9/10 9:48:17 AM 260 Parte 1 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO Tachicardia parossistica sopraventricolare da rientro AV La TPSV da rientro AV è dovuta a un meccanismo di rientro il cui circuito comprende una via di conduzione atrioventricolare accessoria anomala, insieme al miocardio atriale, alla normale via di conduzione AV e al miocardio ventricolare (macrorientro). Abbiamo già visto come, in condizioni normali, atri e ventricoli siano elettricamente isolati e che l’unica via di connessione tra di essi sia rappresentata dalle strutture della giunzione AV. In alcuni soggetti, tuttavia, possono essere presenti vie accessorie anomale che connettono atri e ventricoli in aggiunta alla giunzione AV. Queste vie accessorie sono costituite da piccoli fasci di fibre muscolari lungo le quali lo stimolo può essere condotto sia in senso anterogrado (dagli atri ai ventricoli) sia in senso retrogrado (dai ventricoli agli atri). In questa situazione, se un impulso atriale sufficientemente prematuro (per esempio, un’extrasistole) trova la via anomala in condizioni di refrattarietà quando il nodo AV è ancora normalmente eccitabile, esso sarà bloccato nella via accessoria, mentre potrà essere condotto ai ventricoli seguendo la via normale. Nell’attivare i ventricoli, l’impulso arriverà anche nella zona di inserzione della via anomala ai ventricoli. Se questa ha intanto recuperato la sua normale eccitabilità, essa può condurre l’impulso per via retrograda agli atri (rientro). Dagli atri, l’impulso può nuovamente ripercorrere per via anterograda la via normale e così via, dando origine alla His Fascio di Kent a Figura 11.17 Meccanismo della tachicardia parossistica. b (a) Meccanismo della tachicardia parossistica da rientro AV ortodromica. Il substrato è rappresentato dalla presenza di una doppia via di conduzione AV, rappresentata dalla via normale (nodo-His-branche) e da una via accessoria atrioventricolare (fascio di Kent), la quale conduce l’impulso più rapidamente, ma ha un periodo refrattario maggiore rispetto alle normali strutture di conduzione AV. A sinistra è illustrato che cosa avviene durante un normale battito sinusale: l’impulso è condotto sia attraverso la via normale sia attraverso il fascio anomalo. Al centro si osserva ciò che succede in caso di extrasistole atriale: l’impulso è bloccato nel fascio di Kent per il suo maggiore periodo refrattario, per cui è condotto solo attraverso la via normale. Arrivato al punto di connessione del fascio anomalo al ventricolo, tuttavia, l’impulso può percorrere la via accessoria in senso retrogrado, se questa ha intanto recuperato l’eccitabilità, dando origine al macrorientro. (b) Analogo schema che mostra il meccanismo e il circuito di rientro della tachicardia parossistica da rientro AV antidromica (si veda il testo per la spiegazione dettagliata). C0055.indd 260 tachicardia (Fig. 11.17). Il tempo di percorrenza di questo circuito (atrio-giunzione AV-ventricolo-via accessoriaatrio) avviene, in genere, in tempi molto brevi, per cui si genera una tachicardia abbastanza veloce (in genere, 170-220 bpm). Questo tipo di TPSV da rientro AV è di gran lunga la forma più frequente ed è definita ortodromica in quanto, durante la tachicardia, la conduzione anterograda avviene attraverso le normali vie di conduzione AV e quella retrograda attraverso la via anomala. Poiché la conduzione anterograda avviene attraverso la giunzione AV, il QRS della tachicardia è stretto e di morfologia di solito normale. Tuttavia, in una piccola percentuale di pazienti (circa il 5%), il rientro può avvenire in senso inverso a quello descritto in precedenza. La via accessoria, cioè, è utilizzata per condurre l’impulso in senso anterogrado, mentre la conduzione retrograda avviene attraverso la giunzione AV. Questa forma di TPSV da rientro AV è definita antidromica. In questo caso, i ventricoli sono attivati interamente attraverso la via anomala, per cui la tachicardia sarà caratterizzata da QRS molto slargati e atipici (si veda Fig. 11.17). Manifestazioni cliniche e diagnosi Le crisi di TPSV da rientro AV possono cominciare molto presto nella vita di soggetti portatori di vie accessorie AV o possono insorgere nella fase adolescenziale, quando gli stimoli ormonali e la crescita improvvisa fanno aumentare i trigger (le extrasistoli) che possono scatenare l’aritmia. La durata e la frequenza degli episodi aritmici variano molto da soggetto a soggetto e possono cambiare significativamente con il tempo nello stesso soggetto. La sintomatologia è altrettanto varia. La tachicardia è molto spesso l’unico sintomo. In alcuni casi può essere presente dispnea o una sensazione lipotimica all’innesco dell’aritmia. Nella maggior parte dei casi il cuore è strutturalmente sano; tuttavia, è riportata una maggiore prevalenza di vie accessorie nei pazienti con anomalia di Ebstein, trasposizione delle grandi arterie, prolasso mitralico e cardiomiopatia ipertrofica. In un paziente con riferite crisi di tachicardia parossistica, il riscontro all’ECG di un quadro di pre-eccitazione ventricolare di Wolff-Parkinson-White (WPW), che è diagnosticato dalla presenza di una via di conduzione anomala (si veda Sindrome di WPW), suggerisce che gli episodi siano dovuti a TPSV da rientro AV. Tuttavia, il riscontro di WPW non indica necessariamente che è la via accessoria la responsabile della tachicardia, così come non si può escludere una TPSV da rientro AV in assenza di segni ECG che indicano la presenza di una via anomala. In molti casi, infatti, la via anomala è occulta, ma può essere utilizzata ugualmente come via retrograda per dare origine a una TPSV da rientro AV. Se, come di solito avviene, si può registrare la tachicardia all’ECG, la diagnosi di TPSV da rientro AV ortodromica può essere abitualmente posta facilmente, o quanto meno sospettata. La tachicardia ha frequenza 170-220 bpm, per quanto può variare da 150 anche sino a 250 bpm; il QRS è stretto e regolare ed è possibile in genere evidenziare l’onda P retrograda dopo il QRS (di solito nel tratto ST del complesso ventricolare) (Fig. 11.18). 6/9/10 9:48:19 AM Capitolo 11 - ARITMIE Più difficile è la diagnosi dei rari casi di TPSV da rientro AV antidromica, che, presentandosi come una tachicardia a QRS slargati e atipici, può non essere differenziata facilmente da una tachicardia ventricolare (si veda oltre). Un’anamnesi positiva per WPW può, tuttavia, fare sospettare la diagnosi. Nei casi dubbi, lo studio elettrofisiologico endocavitario consente in genere di porre la diagnosi corretta e dà inoltre informazioni sulle proprietà elettrofisiologiche e sulla localizzazione esatta della via accessoria, cosa importante per poter procedere alla sua ablazione quando si ritenga indicato (si veda sotto). Terapia Come la TPSV da rientro nodale, la TPSV da rientro AV può essere sbloccata in diversi casi con manovre di attivazione vagale (massaggio del seno carotideo). Se queste sono inefficaci, i farmaci di elezione per lo sblocco dell’aritmia sono quelli che allungano il periodo refrattario del nodo AV e facilitano, quindi, il blocco dell’impulso a questo livello, interrompendo il rientro. Questi farmaci comprendono l’adenosina, i calcio-antagonisti non diidropiridinici (verapamil, diltiazem) e i -bloccanti (propranololo, metoprololo ecc.), somministrati per via venosa. Il trattamento farmacologico profilattico degli episodi di tachicardia parossistica è anch’esso basato sull’uso di farmaci di classe II e IV, anche se possono essere utilizzati farmaci di classe IC o III. La terapia definitiva delle TPSV da rientro AV consiste nell’ablazione mediante radiofrequenza o crioablazione della via accessoria in corso di SEF. La percentuale di successo va dal 95 al 99%. Sindrome di Wolff-Parkinson-White Con il termine sindrome di Wolff-Parkinson-White si dovrebbe intendere una storia clinica di TPSV in presenza del tipico quadro ECG di pre-eccitazione ventricolare da via anomala atrioventricolare (si veda oltre). Tuttavia, nella pratica clinica il termine è spesso usato per indicare il quadro ECG tipico della pre-eccitazione ventricolare, anche in assenza di tachiaritmie. Con il termine pre-eccitazione ventricolare si intende, in generale, una condizione nella quale una parte del miocardio ventricolare viene attivata precocemente dall’impulso che proviene dagli atri attraverso una via diversa dal normale sistema di conduzione AV, rappresentata da una via accessoria atrioventricolare. Queste vie accessorie sono costituite da fibre muscolari lungo le quali lo stimolo viene condotto più velocemente che lungo il nodo AV. L’attivazione che proviene dagli atri, quindi, utilizzando una di queste vie, arriva a stimolare una zona della base dei ventricoli prima che l’impulso possa giungere ai ventricoli seguendo la via di conduzione AV normale (Fig. 11.19). Anatomia Durante le fasi iniziali dello sviluppo del cuore, le camere cardiache non sono separate dal punto di vista C0055.indd 261 elettrico; al contrario, esse sono strettamente interconnesse senza soluzione di continuo. Quando si costituisce il tessuto fibroso che forma la struttura del trigono centrale e i due anelli atrioventricolari, scompaiono pian piano tutte le fibre muscolari di connessione tra gli atri e i ventricoli, residuando solo il sistema di conduzione specializzato della giunzione AV. Talora, però, alcuni di questi fasci muscolari di connessione atrioventricolare non scompaiono, costituendo una potenziale via accessoria di conduzione AV. Queste vie possono essere localizzate ovunque nel solco atrioventricolare (si veda Fig. 11.19), eccetto che nella sede in cui la valvola mitrale è in stretta continuità con l’aorta. Intorno al 50-60% esse sono localizzate a livello della parete libera del ventricolo sinistro. I fasci anomali atrioventricolari di conduzione (denominati anche fasci di Kent) sono costituiti da fibre Na+dipendenti, la cui capacità di conduzione è del tipo “tutto o nulla”. Infatti, a differenza del nodo AV, che ha proprietà decrementali, per cui uno stimolo progressivamente più precoce rispetto al suo ciclo è condotto sempre più lentamente, sino a essere bloccato, queste vie o non conducono affatto l’impulso elettrico, o lo conducono normalmente. La conduzione può avvenire, in genere, sia dall’atrio al ventricolo sia viceversa. I fasci anomali di conduzione AV sono localizzati quasi sempre a livello subendocardico, ma talora essi sono intramiocardici o anche subepicardici. Quelli che più frequentemente sono localizzati più in profondità nel tessuto miocardico sono le vie postero-settali, mentre le vie accessorie destre sono più spesso epicardiche rispetto alle vie sinistre. Nella maggior parte dei casi, in un individuo è presente una sola via accessoria. In un piccolo numero di soggetti, tuttavia, si possono avere due o più vie anomale di conduzione (vie accessorie multiple). Una via anomala atrioventricolare presente in un paziente può essere manifesta, ossia conduce in modo precoce l’impulso dagli atri ai ventricoli rispetto al nodo AV, e questa pre-eccitazione può essere chiaramente evidenziata all’ECG, oppure può essere occulta. In questo caso, pur essendo anatomicamente presente, il fascio anomalo non conduce mai l’impulso dagli atri ai ventricoli, per cui all’ECG non viene notata alcuna anomalia. Una via anomala presente in un paziente può a volte rendersi manifesta e a volte può essere occulta (pre-eccitazione intermittente). 261 1 Figura 11.18 Esempio di tachicardia parossistica sopraventricolare da rientro AV (frequenza 250 bpm circa). Si notino le onde P chiaramente visibili dopo il QRS (frecce). 6/9/10 9:48:19 AM 262 Parte 1 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO 1 10 65 2 35 Figura 11.19 A sinistra: rappresentazione schematica della conduzione. A destra: possibili localizzazioni delle vie anomale lungo l’anello atrioventricolare. 30 80 H 9 3 8 45 7 6 1 Parasettale anteriore destra 2 Anteriore destra 3 Laterale destra 4 Posteriore destra 5 Parasettale destra 5 6 7 8 9 10 4 Parasettale posteriore sinistra Posteriore sinistra Laterale sinistra Anteriore sinistra Parasettale anteriore sinistra AV in presenza di un fascio di Kent (K); la conduzione attraverso la via anomala è complessivamente più rapida (in questo caso 60 msec + 35 msec = 95 msec) rispetto a quella che avviene attraverso la via di conduzione AV normale (in questo caso 35 msec + 80 msec + 45 msec = 160 msec), per cui l’attivazione ventricolare inizierà nella zona del miocardio dove ha sede la via accessoria prima che l’impulso possa giungere ai ventricoli attraverso il nodo AV, dando origine al quadro della pre-eccitazione ventricolare (si veda il testo per i dettagli). Diagnosi e manifestazioni cliniche Nel caso di una via accessoria manifesta l’ECG in ritmo sinusale presenta il quadro caratteristico della pre-eccitazione di WPW, caratterizzato da: • normali onde P; • intervallo P-R più corto del normale (inferiore o uguale a 0,12 sec); • presenza di un impastamento iniziale nel QRS (denominato onda ); • complessi QRS di morfologia anomala e di durata aumentata, con alterazioni di vario grado della ripolarizzazione (Fig. 11.20). L’onda P è normale perché l’eccitazione atriale avviene come di norma. Il P-R è più corto del normale perché lo stimolo raggiunge i ventricoli più precocemente del solito attraverso la “scorciatoia” rappresentata dal fascio anomalo. L’onda (o onda di pre-eccitazione) è dovuta all’eccitazione del settore di muscolo ventricolare che riceve l’impulso precocemente attraverso la via anomala. La lenta e precoce attivazione di questa parte del muscolo ventricolare è inoltre responsabile dello slargamento e dell’alterata morfologia del QRS. Il QRS, infatti, rappresenta la “fusione” di due fronti di attivazione dei ventricoli, quello che scende precocemente lungo la via anomala e quello che, un po’ dopo, raggiunge i ventricoli attraverso la via normale. Figura 11.20 Tipico quadro di WPW tipo A (localizzazione posteriore della via anomala). Si osservi il P-R corto e l’impastamento della branca ascendente del QRS ben evidente nelle precordiali e in D1-aVL (onda ). C0055.indd 262 Classicamente, sono distinti all’ECG due tipi di WPW in base alla morfologia dell’onda δ: il WPW tipo A e il WPW tipo B. Il WPW tipo A si caratterizza per l’onda positiva nelle derivazioni precordiali anteriori (in V1 in particolare) (si veda Fig. 11.20); questo quadro è dovuto al fatto che la pre-eccitazione avviene nel ventricolo sinistro, per cui i vettori dell’onda sono diretti in avanti. Il WPW tipo B, d’altro canto, si caratterizza per l’assenza di onda o onda negativa nelle precordiali anteriori, a indicare una pre-eccitazione a carico del ventricolo destro, per cui i vettori iniziali sono diretti posteriormente e a sinistra. In realtà, questa suddivisione è semplicistica. Infatti, i quadri ECG determinati dalla pre-eccitazione ventricolare variano signifi cativamente in base alla sede dell’inserzione del fascio anomalo nel ventricolo, sede che, come detto, può essere in un punto qualsiasi della circonferenza dell’anello atrioventricolare. Un’analisi vettoriale dettagliata dell’onda di pre-eccitazione all’ECG consente di localizzare con un’approssimazione molto buona la sede della via anomala. Per esempio, un’onda negativa in V1 identifica una via destra, una negativa nelle derivazioni inferiori (D 2, D 3, avF) una via posteriore, un’onda negativa in D1 e aVL una via laterale. La manifestazione clinica tipica della sindrome di WPW è la TPSV da rientro AV ortodromica. In molti casi, tuttavia, i pazienti con WPW sono asintomatici e la presenza della pre-eccitazione è rilevata occasionalmente a un ECG eseguito di routine. È importante notare che all’ECG l’onda δ scompare durante la TPSV da rientro AV ortodromica, in quanto la via accessoria è utilizzata per la conduzione retrograda. Nei rari casi di TPSV da rientro AV antidromica, d’altro canto, l’attivazione dei ventricoli avviene interamente attraverso la via accessoria, per cui la tachicardia sarà caratterizzata da QRS anomali (si veda TPSV da rientro AV). Prognosi La prognosi dei pazienti con sindrome di WPW è generalmente buona. Per un piccolo gruppo di pazienti, 6/9/10 9:48:21 AM Capitolo 11 - ARITMIE tuttavia, esiste il rischio di sviluppare aritmie che possono causare sincope e morte improvvisa, un evento particolarmente drammatico in questi casi perché colpisce soggetti giovani, o anche solo adolescenti. L’incidenza di questa grave complicanza è, in ogni caso, molto bassa (<1 per 1000 per anno). Essa, inoltre, solo eccezionalmente costituisce la prima manifestazione sintomatica della malattia, mentre di solito si verifi ca in pazienti sintomatici per tachiaritmie, che quindi devono essere ben valutati per escludere la presenza di un rischio significativo di morte improvvisa. Il fattore più importante in questo senso è l’evidenza di un periodo refrattario della via anomala particolarmente corto (< 250 msec). La ragione per cui in questo gruppo di pazienti con WPW vi è un certo rischio di morte improvvisa risiede nel fatto che l’elevata frequenza della TPSV da rientro AV può facilitare la degenerazione dell’aritmia in fi brillazione atriale, e la sindrome di WPW rappresenta, infatti, una delle principali cause di fibrillazione atriale in età giovanile. La fibrillazione atriale è un’aritmia che interessa esclusivamente gli atri ed è caratterizzata da un’attività elettrica del tutto caotica, irregolare e ad alta frequenza (si veda oltre, Fibrillazione atriale). In presenza di una sindrome di WPW, la conduzione ai ventricoli può avvenire, in modo irregolare e variabile da battito a battito, solo attraverso la via normale (QRS normale), solo attraverso la via accessoria (QRS totalmente atipico) o contemporaneamente attraverso le due vie (con onda e QRS di fusione come nel ritmo sinusale con pre-eccitazione). Il prevalere dei diversi tipi di battiti e la loro frequenza dipenderà notevolmente dal periodo refrattario delle due vie. Quando il periodo refrattario della via anomala è molto breve, essa potrebbe condurre numerosi impulsi durante la fibrillazione atriale, con conseguente attivazione ventricolare a frequenze molto alte (> 300 bpm), il che espone il paziente allo sviluppo di una fibrillazione ventricolare e, quindi, alla morte improvvisa. Il periodo refrattario della via anomala può essere studiato con precisione durante un SEF. Tuttavia, il comportamento della pre-eccitazione durante le normali attività e durante un test da sforzo può già fornire indicazioni chiare sull’assenza del rischio di aritmie fatali. Per esempio, sono a bassissimo rischio di potenziali eventi fatali pazienti con WPW intermittente e quelli in cui la pre-eccitazione scompare durante lo sforzo. Terapia Il paziente con pre-eccitazione di WPW asintomatico non necessita abitualmente di alcun tipo di trattamento, mentre del trattamento e la prevenzione della TPSV da rientro AV si è detto in precedenza. In caso di episodi di fibrillazione atriale con elevata frequenza ventricolare in un paziente con WPW, il trattamento immediato è rappresentato dalla cardioversione elettrica o, se questa per qualche motivo non è possibile, dall’uso di farmaci della classe IC o III, che hanno la capacità di aumentare il periodo refrattario della via anomala, riducendo i C0055.indd 263 rischi secondari all’elevata frequenza di attivazione ventricolare attraverso di essa. Come detto, il trattamento definitivo delle aritmie della sindrome di WPW è l’ablazione della via accessoria. Varianti di pre-eccitazione ventricolare 263 1 Oltre ai classici fasci anomali atrioventricolari di Kent, una pre-eccitazione ventricolare, può, in alcuni casi, essere dovuta alla presenza di altri tipi di fasci anomali, che presentano caratteristiche elettrofisiologiche analoghe (Fig. 11.21). I fasci atrio-hissiani (o fasci di James) sono così chiamati in quanto connettono direttamente il tessuto atriale al fascio di His (scavalcando così il nodo AV); ne deriva che essi determinano all’ECG un intervallo P-R corto, ma il QRS ha morfologia normale. Per un certo periodo si è ritenuto che questi fasci potessero essere utilizzati come via retrograda per TPSV da rientro, dando origine alla cosiddetta sindrome di Lown-Ganong-Levine (TPSV, P-R corto, assenza di onda ), ma attualmente si ritiene che sia improbabile che ciò possa avvenire. Altri tipi di fasci anomali, che non sembrano associati a tachiaritmie, sono quelli nodo-ventricolari (che collegano il nodo AV con il ventricolo, scavalcando così la parte terminale del nodo AV e il fascio di His) e quelli atrio-nodali (che uniscono l’atrio alla parte distale del nodo AV). Un tipo piuttosto particolare, molto raro, di via anomala di conduzione è rappresentato dai fasci atrio(nodo)fascicolari di Mahaim , che connettono quasi sempre l’atrio destro alla branca destra, scavalcando il nodo AV e il fascio di His. Questi fasci sono costituiti da fibre non comuni, con proprietà elettrofisiologiche simili al nodo AV (tempo di conduzione non breve; proprietà decrementali). Essi sono in genere localizzati lungo la zona posteriore o postero-laterale dell’anello tricuspidale e sono capaci di condurre gli impulsi solo in senso anterogrado. I fasci di Mahaim formano il substrato per una forma di tachicardia da rientro di cui costituiscono la via anterograda, mentre quella retrograda è costituita da branca destra-His-nodo AV. In virtù del tipico decorso di questi fasci la morfologia della TPSV è tipicamente a blocco di branca sinistra. I fasci di Mahaim si possono riscontrare associati con una certa frequenza all’anomalia di Ebstein. Tachicardia giunzionale non parossistica incessante Anche questa forma di tachicardia, nota anche come tachicardia tipo Coumel , è rara. Essa è caratterizzata da episodi incessanti di TPSV, cioè ricorrenti dopo solo alcuni battiti sinusali dalla risoluzione di un episodio. All’ECG si notano onde P tipicamente da retroconduzione atriale dal nodo AV e un intervallo P’-R minore dell’intervallo R-P’. Si ritiene che questa tachicardia sopraventricolare sia dovuta a un rientro che coinvolge un fascio accessorio postero-settale a conduzione lenta, che costituisce la via retrograda del circuito di rientro, la cui via anterograda è rappresentata dalla giunzione AV. 6/9/10 9:48:21 AM 264 Parte 1 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO Atrio NAV BS NAV C His His BS BD BS BD BD Ventricolo Ventricolo Ventricolo A sinistra: fascio accessorio atrio-hissiano (fascio di James); al centro: fasci accessori nodo-ventricolare (A), atrio-nodale (B) e fascicolo-ventricolare (C); a destra: fascio accessorio atrio-fascicolare (fascio di Mahaim). BD = branca destra. BS = branca sinistra. NAV = nodo atrioventricolare. Flutter e fibrillazione atriali Flutter atriale Si definisce flutter atriale un’aritmia regolare in cui l’atrio ha un’attivazione molto rapida, con una frequenza superiore a 240 impulsi/min. Essendo la frequenza atriale così rapida, non tutti gli impulsi di attivazione atriale riescono in genere a essere condotti ai ventricoli attraverso il nodo AV. Spesso la conduzione AV avviene, infatti, con un rapporto 2:1, per cui la frequenza ventricolare è la metà di quella atriale, e quindi comunque tachicardica e regolare; altre volte la conduzione AV ha un rapporto maggiore (per esempio, 3:1, 4:1), per cui la frequenza ventricolare è regolare e non elevata; in molti casi, tuttavia, il rapporto di conduzione AV è molto variabile, per cui la frequenza ventricolare (e quindi il battito cardiaco) è irregolare. Patogenesi Il flutter atriale è dovuto a un rientro intra-atriale, legato ad alterazioni anatomiche e/o funzionali, che, nella forma più tipica, interessa gran parte dell’atrio destro (macrorientro). Il fronte d’onda in questo caso parte dal basso e attiva l’atrio verso la parete laterale; quindi seguono il tetto e il setto interatriale. Il circuito, che ha l’area di blocco unidirezionale e di conduzione rallentata che sostiene il rientro tra lo sbocco della vena cava inferiore e la tricuspide (istmo cavo-tricuspidale), viene percorso quindi in senso antiorario (flutter atriale tipico comune). In diversi casi, tuttavia, si può avere una progressione in senso orario del fronte d’onda nel circuito di rientro (flutter atriale tipico non comune). In altri casi il circuito di rientro ha forme più complesse (per esempio, a otto) o si verifica in altre zone degli atri (per esempio, in atrio sinistro), dando origine a quadri ECG differenti da quelli del flutter tipico (flutter atriale atipico). Manifestazioni cliniche e diagnosi Il fl utter atriale è un’aritmia che si verifi ca in genere in presenza di alterazioni strutturali della parete atriale, per lo più associate a dilatazione degli atri. Tra le cause più frequenti vi sono varie forme di cardiopatie C0055.indd 264 B NAV A His Figura 11.21 Schema di alcune vie accessorie (linee rosse) diverse dai fasci atrioventricolari di Kent. Atrio Atrio (scompenso cardiaco congestizio, valvulopatie, miocardiopatie, cardiopatie congenite); processi infiammatori (per esempio, in caso di pericardite) o infiltrativi che interessano gli atri, cuore polmonare acuto ed embolia polmonare, e cuore polmonare cronico e broncopneumopatia cronica. Il sintomo più frequente è la percezione di una frequenza cardiaca elevata (palpitazione), regolare o irregolare a seconda delle caratteristiche della conduzione AV (si veda in precedenza). In diversi casi, tuttavia, il sintomo dominante può essere una dispnea improvvisa, soprattutto in presenza di una malattia cardiaca di una certa gravità. In questi pazienti, infatti, il flutter atriale può scatenare uno scompenso cardiaco sia perché determina la perdita di una sistole atriale efficace sia perché determina la riduzione del tempo diastolico di riempimento ventricolare e coronarico, a causa della frequenza cardiaca solitamente elevata. Per questo motivo, in pazienti con malattia coronarica di una certa gravità, il flutter può anche causare la comparsa di angina. L’obiettività è caratterizzata, in genere, dall’auscultazione di toni frequenti (ritmici o aritmici) accompagnati eventualmente da una riduzione della pressione arteriosa e, raramente, da segni di bassa portata. Il polso è tachicardico (anch’esso ritmico o aritmico). L’ECG del flutter atriale è piuttosto caratteristico. L’attivazione atriale è rappresentata dalla successione regolare di onde di aspetto costante (dette onde F, o di fl utter) ben visibili nelle derivazioni D 2 D 3, aVF e V 1 (Fig. 11.22), soprattutto quando la conduzione AV ha un rapporto superiore a 2:1 (due o più onde F in successione, cioè, non trasmettono l’impulso al ventricolo). Nella forma caratteristica del flutter tipico comune le onde F sono negative nelle derivazioni inferiori e positive in V1 e si succedono l’una dopo l’altra senza essere separate da tratti di linea isoelettrica, configurando così il tipico aspetto a denti di sega. Nel flutter atriale tipico non comune, in cui l’impulso procede in senso orario nello stesso tipo di circuito di rientro, le onde F sono in prevalenza positive nelle derivazioni inferiori e negative in V1. Nei casi di flutter atriale atipico la morfologia delle onde F è differente da quelle descritte per le forme tipiche e la 6/9/10 9:48:21 AM Capitolo 11 - ARITMIE frequenza atriale tende a essere più elevata. È importante saper discernere tra un flutter tipico e atipico, in quanto il primo è più sensibile ai farmaci e all’overdrive, rispetto al secondo. a. Flutter atriale Terapia La terapia del flutter atriale può essere mirata a due obiettivi: (1) ridurre la frequenza cardiaca, in genere elevata, oppure (2) sbloccare l’aritmia ripristinando il ritmo sinusale. Il primo obiettivo è indicato quando il paziente presenta angina o sintomi iniziali di scompenso e quando è controindicato procedere a una cardioversione dell’aritmia (si veda oltre), e si ottiene con la somministrazione di farmaci che riducono la conduzione AV, e cioè -bloccanti, calcio-antagonisti non diidropiridinici o, in caso di significativo scompenso cardiaco, digossina. Lo sblocco dell’aritmia può essere ottenuto con l’uso di farmaci (cardioversione farmacologica) o mediante cardioversione elettrica. La cardioversione (farmacologica o elettrica) non è indicata quando l’aritmia data da più di 48 ore, a causa di un aumento del rischio di fenomeni tromboembolici conseguenti al ripristino del ritmo sinusale dopo questo periodo (si veda Fibrillazione atriale). I farmaci usati per lo sblocco dell’aritmia sono soprattutto quelli di classe III (amiodarone), di classe IC (propafenone, flecainide) e di classe IA (chinidina, disopiramide). Nel caso l’aritmia non si sblocchi in breve tempo con la terapia farmacologica, si ricorre alla cardioversione elettrica, che è efficace praticamente nella totalità dei casi, con l’applicazione, peraltro, di basse dosi di corrente (sono sufficienti, in genere, scariche di soli 50 J). Gli stessi farmaci antiaritmici possono essere impiegati per la prevenzione delle recidive dell’aritmia, con un’efficacia, tuttavia, spesso limitata. Anche i farmaci che migliorano le patologie associate (ipertensione, scompenso ecc.) sono utili per ridurre gli episodi. L’ablazione con radiofrequenza del circuito alla base del flutter rappresenta una valida terapia per trattare in modo definitivo l’aritmia, con una percentuale di successo molto elevata. In caso di flutter atriale tipico, l’ablazione consiste nel creare una barriera lineare al passaggio del fronte d’onda con lesioni tra la valvola tricuspide e la vena cava inferiore. In pazienti con aumentato rischio di fenomeni tromboembolici, in caso di recidiva dell’aritmia, è indicato effettuare una terapia anticoagulante orale a lungo termine. Fibrillazione atriale Epidemiologia Come il flutter, la fibrillazione atriale è più frequente in presenza di patologie cardiache strutturali. Essa, tuttavia, è un’aritmia relativamente frequente in persone anziane senza evidenti anomalie cardiache e può C0055.indd 265 b. Fibrillazione atriale 265 1 Figura 11.22 Esempi all’ECG di flutter atriale e fibrillazione atriale. presentarsi anche in soggetti giovani o adulti in assenza di apparenti cause organiche, una condizione definita fibrillazione atriale solitaria (lone atrial fibrillation). La fi brillazione atriale si presenta, infi ne, con una certa frequenza in pazienti con ipertiroidismo, ipertensione o diabete. Patogenesi Nella fibrillazione atriale gli atri vengono eccitati in maniera caotica, disorganizzata, con una frequenza di attivazione variabile da 400 a 650 impulsi/min. Per lo più questo deriva dalla formazione negli atri di molteplici, piccoli circuiti di rientro che collidono, si estinguono e si riformano. Questi fronti d’onda multipli viaggiano attraverso l’atrio in modo del tutto casuale e le cellule miocardiche ne risultano attivate ogni volta che un impulso le raggiunge in uno stato di eccitabilità. Di recente è stato riconosciuto che la fibrillazione atriale è spesso innescata dalla presenza di uno o più foci ectopici che scaricano a elevata frequenza, situati di solito allo sbocco di una o più vene polmonari. Il numero di impulsi atriali che, in modo irregolare e caotico, raggiunge il nodo AV è elevato, ma viene variamente bloccato nel nodo AV stesso, limitando la frequenza ventricolare. L’attivazione dei ventricoli avviene, comunque, sempre in modo del tutto irregolare e con una frequenza di solito elevata (spesso 140-150 impulsi/min). Manifestazioni cliniche Il paziente quasi sempre presenta sintomi all’insorgenza dell’aritmia, anche se non sono infrequenti casi di fibrillazione atriale del tutto asintomatici che vengono scoperti casualmente durante una visita clinica o l’esecuzione di un ECG. Il sintomo più frequente è rappresentato da “palpitazioni”, che il paziente riferisce presentarsi come battiti accelerati, ma allo stesso tempo irregolari, con pause variabili. In diversi casi la fibrillazione atriale può manifestarsi con sintomi di scompenso cardiaco (dispnea), soprattutto quando è presente una patologia cardiaca di base. Infatti, la perdita di una sistole atriale efficace e la tachicardia favoriscono lo scompenso emodinamico. L’aumentata frequenza cardiaca, inoltre, può causare la comparsa di angina, in caso di sottostante cardiopatia ischemica. 6/9/10 9:48:22 AM 266 Parte 1 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO Il medico può sospettare una fibrillazione atriale già alla valutazione del polso radiale, dove apprezzerà una frequenza totalmente aritmica e una variabile ampiezza dei battiti. Analogamente, all’auscultazione del cuore i toni saranno completamente aritmici, con pause sempre diverse tra il II tono di un battito e il I tono di quello successivo; l’intensità del I tono, inoltre, varia continuamente. A questo proposito va ricordato che, in presenza di fibrillazione atriale, la frequenza cardiaca va valutata con l’auscultazione piuttosto che al polso periferico. Infatti, il polso consente di rilevare solo le sistoli emodinamicamente efficaci, mentre non consente di percepire quelle che insorgono molto vicino alla sistole che le precede, a causa di un riempimento ventricolare (e, quindi, di una gittata sistolica) insufficiente (si veda quanto già detto a proposito delle conseguenze emodinamiche delle extrasistoli ventricolari precoci). Diagnosi All’ECG, la fibrillazione atriale è caratterizzata dall’assenza di onde di attivazione atriale regolari e morfologicamente simili. L’attività elettrica consiste, viceversa, di defl essioni assolutamente irregolari, di ampiezza e polarità molto variabili, non separate da un’evidente linea isoelettrica e, come detto, ad alta frequenza (onde “f”); analogamente, i complessi QRS di attivazione ventricolare si succedono a intervalli totalmente irregolari (si veda Fig. 11.22). La fibrillazione atriale può verificarsi in crisi episodiche ed è definita parossistica quando si risolve spontaneamente entro 7 giorni dall’esordio dei sintomi (l’aritmia si risolve nel volgere di 24 ore in circa due terzi dei casi), persistente quando si risolve dopo 7 giorni (spesso con terapia farmacologica o elettrica). In diversi casi e soprattutto con il passare del tempo e/o in presenza di cardiopatie strutturali, la fibrillazione atriale non si risolve (né spontaneamente né con interventi medici), per cui diventa permanente. Prognosi Tranne che nei casi di fibrillazione atriale solitaria, la fibrillazione atriale è associata a un’aumentata incidenza di eventi cardiovascolari durante il follow-up. L’aumento del rischio sembra in gran parte connesso all’evoluzione naturale della sottostante cardiopatia, più che all’aritmia in sé. Tuttavia, anche se molte persone con questo disordine possono condurre a lungo una vita soddisfacente, la fibrillazione atriale può avere di per sé alcune conseguenze negative. Come detto, essa può facilitare l’insorgenza di scompenso cardiaco e facilitare l’ischemia miocardica e, soprattutto, espone al rischio di fenomeni tromboembolici in misura anche maggiore di quanto avvenga per il flutter. Per ragioni anatomiche, le embolie originate da formazioni trombotiche atriali si localizzano prevalentemente nel distretto encefalico e sono un’importante causa di attacchi ischemici transitori e ictus cerebrali ischemici. Terapia La terapia può avere due obiettivi principali: (1) controllare semplicemente la frequenza cardiaca o (2) C0055.indd 266 ripristinare il ritmo sinusale. Dal punto di vista prognostico, le due strategie sono equivalenti; pertanto l’impiego dell’una o dell’altra va valutato caso per caso, tenendo presenti anche le preferenze del paziente. Come nel flutter, lo sblocco dell’aritmia può essere ottenuto con l’uso di farmaci o mediante cardioversione elettrica. I farmaci indicati per ottenere questo obiettivo sono soprattutto quelli di classe III (amiodarone), IC (flecainide, propafenone) o IA (chinidina, disopiramide). La cardioversione (farmacologica o elettrica) non è tuttavia indicata quando l’aritmia data da più di 48 ore. Durante la fibrillazione (e il flutter) atriale vi è, infatti, la possibilità che si formino trombi in atrio. Ciò è dovuto al rallentamento del flusso ematico nelle camere atriali, provocato dal ridotto svuotamento in ventricolo conseguente alla riduzione del tempo diastolico e alla perdita della contrazione atriale, nonché, a volte, alla riduzione della contrattilità miocardica secondaria alla tachicardia. La formazione di trombi in atrio sinistro (in particolare nell’auricola) aumenta significativamente quando l’aritmia si protrae per oltre 48 ore, esponendo il paziente al rischio di embolie periferiche (cerebrali in particolare); questo rischio è ulteriormente aumentato nel momento del ripristino del ritmo sinusale, quando la ripresa della contrazione atriale può favorire il dislocamento di emboli in circolo dall’atrio sinistro. Per questi motivi, quando la fibrillazione atriale è presente da più di due giorni non è consigliabile procedere a una cardioversione immediata dell’aritmia, a meno che la cardioversione elettrica non si renda necessaria per la presenza di condizioni cliniche gravi (edema polmonare, grave ipotensione) che suggeriscono l’utilità di un rapido ripristino del ritmo sinusale. Negli altri casi è bene mirare solo a controllare la frequenza ventricolare ed effettuare, per almeno 4-6 settimane, un trattamento anticoagulante prima di procedere al ripristino del ritmo sinusale. In questi casi, peraltro, si ricorre alla cardioversione elettrica per sbloccare l’aritmia, in quanto quella farmacologica ha una probabilità di successo solo del 10-30% quando tentata a una così lunga distanza dalla comparsa dell’aritmia. Nei pazienti in cui sia ripristinato il ritmo sinusale, per la prevenzione delle recidive dell’aritmia possono essere impiegati gli stessi farmaci utilizzati per la cardioversione. L’amiodarone si è dimostrato, a questo proposito, più efficace degli altri farmaci antiaritmici, ma presenta un significativo numero di effetti collaterali a lungo termine. Nei pazienti che tollerano bene la fibrillazione atriale cronica (non hanno cioè sintomi né una compromissione significativa della capacità funzionale) può essere indicato non intervenire sulla fibrillazione atriale controllando semplicemente la frequenza cardiaca con l’uso di -bloccanti, 6/9/10 9:48:23 AM Capitolo 11 - ARITMIE calcio-antagonisti o digossina (anche se quest’ultima è sempre meno utilizzata per il possibile rischio di intossicazione, specialmente in pazienti con disfunzione renale). Diversi studi, infatti, hanno dimostrato come non vi siano differenze prognostiche tra i pazienti in cui si tenta di ripristinare e mantenere il ritmo sinusale (strategia per il controllo del ritmo) e quelli in cui si interviene solo per mantenere la frequenza su valori accettabili (inferiori a 100 bpm a riposo: strategia per il controllo della frequenza cardiaca). Nei pazienti con un rischio significativo di fenomeni tromboembolici è inoltre indicato il trattamento con anticoagulanti orali. Questi pazienti comprendono anzitutto quelli con cardiopatie valvolari reumatiche (o anche di altra natura), nei quali il trattamento anticoagulante è sempre indicato. In altri pazienti sono considerati fattori di rischio per tromboembolie un pregresso episodio ischemico cerebrale, lo scompenso cardiaco, l’ipertensione arteriosa, il diabete mellito e l’età avanzata (> 75 anni). Questi fattori sono considerati nella formazione di un punteggio di rischio (il CHADS2 score) per guidare l’indicazione alla terapia anticoagulante (Tab. 11.7). L’indicazione deve comunque essere sempre valutata tenendo conto della capacità del paziente di seguire correttamente la terapia anticoagulante. Questa prevede, infatti, controlli periodici dello stato della coagulazione del sangue mediante valutazione dell’attività protrombinica con la misurazione dell’INR (International Normalized Ratio), il quale va mantenuto costantemente tra valori di 2,0 e 3,.0, al fine di evitare un eccessivo rischio tromboembolico (in caso di valori < 2,0) o emorragico (in caso di valori >3,0). Va osservato, a questo proposito, che le persone anziane, con questi trattamenti, sono più facilmente soggette a emorragie. Inoltre, uno scompenso che determini una stasi cronica a livello epatico rende molto sensibile un paziente all’azione degli anticoagulanti orali. Perciò, nel giudizio sulla terapia anticoagulante si devono valutare vantaggi e pericoli. Nei pazienti a più basso rischio e in quelli in cui si ritiene inadatta la terapia anticoagulante, la prevenzione degli episodi tromboembolici è basata sull’uso di antiaggreganti piastrinici (in particolare acido acetilsalicilico a basse dosi). Quando la fibrillazione atriale, parossistica o cronica, causa sintomi importanti per il paziente e non si riesce a controllarla con la terapia farmacologica, sono indicate altre forme non farmacologiche di trattamento, che riassumiamo brevemente di seguito. • Ablazione della fibrillazione atriale. L’ablazione dell’aritmia consiste nell’isolare i foci ectopici a rapida scarica, che sono spesso il trigger dell’aritmia, mediante la formazione con radiofrequenze di aree cicatriziali attorno allo sbocco delle vene polmonari, dove in genere questi centri sono C0055.indd 267 Tabella 11.7 Punteggio CHADS2 per la stima del rischio tromboembolico in pazienticon fibrillazione atriale C H A D S2 Condizione Scompenso cardiaco congestizio (Congestive heart failure) Ipertensione arteriosa, anche se trattata (Hypertension) Età > 75 anni (Age) Diabete mellito (Diabetes mellitus) Precedente ictus o attacco ischemico transitorio Punteggio 1 267 1 1 1 1 2 Punteggio = 0: rischio tromboembolico basso; indicata terapia con sola aspirina (100-325 mg/die). Punteggio = 1: rischio tromboembolico medio (indicata terapia con acido acetilsalicilico (100-325 mg/die) o terapia anticoagulante orale (tenere l’INR a un valore compreso tra 2,0 e 3,0), considerando anche le preferenze del paziente e altri fattori individuali. Punteggio = 2: rischio tromboembolico alto; indicata terapia con anticoagulanti orali (tenere l’INR a un valore compreso tra 2,0 e 3,0), in assenza di controindicazioni. situati; le lesioni sono invece estese a più aree atriali sinistre, ed eventualmente anche destre (zone comunque ritenute coinvolte nel mantenimento dell’aritmia), qualora ci sia una fibrillazione permanente. In questo caso, infatti, non sono tanto i foci ma le modificazioni strutturali degli atri conseguenti alla patologia di base e alla stessa aritmia (infiammazione, fibrosi, alterazioni delle proprietà elettriche del tessuto) a sostenere la fibrillazione; • Intervento del “labirinto” (maze). È questo un intervento cardiochirurgico il cui impiego è attualmente limitato a pazienti con fibrillazione atriale permanente (o anche parossistica) sottoposti a interventi cardiochirurgici per altre indicazioni cliniche (malattia coronarica, valvulopatie). Esso consiste nell’esecuzione di incisioni nella parete degli atri, in modo da creare una via stretta e tortuosa per la propagazione dello stimolo dal nodo seno-atriale a quello AV. Le incisioni sono collocate in modo tale che nessuna area sia larga abbastanza da consentire multipli circuiti di rientro; • Ablazione del nodo AV. Questo tipo di intervento può essere indicato quando la fibrillazione atriale si associa a un’elevata frequenza cardiaca che non si riesce in alcun modo a controllare e i tentativi di ablazione sono inefficaci. Poiché l’ablazione del nodo AV causa un blocco AV completo, si impianta contestualmente un pacemaker per la stimolazione ventricolare (tecnica cosiddetta di ablate and pace); • Impianto di pacemaker. Il semplice impianto di un pacemaker sembra utile in pazienti con fibrillazione atriale parossistica che hanno di base un ritmo sinusale bradicardico. La stimolazione atriale a più alta frequenza potrebbe prevenire le 6/9/10 9:48:23 AM 268 Parte 1 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO crisi di fibrillazione riducendo la disomogeneità della conduzione interatriale o intra-atriale che predispone allo sviluppo dell’aritmia. Il successo di questo trattamento è tuttavia molto dubbio. Tachiaritmie ventricolari Tachicardia ventricolare La tachicardia ventricolare è un’aritmia ipercinetica caratterizzata dalla sequenza di un minimo di tre battiti ectopici di origine ventricolare in immediata successione, con una frequenza uguale o superiore a 100 bpm. Le tachicardie ventricolari insorgono molto spesso in soggetti portatori di cardiopatie strutturali (cardiopatia ischemica e miocardiopatie in primo luogo). Esse inoltre, come si vedrà, sono la manifestazione clinica principale di alcune malattie cardiache caratterizzate esclusivamente o principalmente da anomalie della sola attività elettrica delle cellule miocardiche, senza coinvolgimento sostanziale della sua attività meccanica. Tuttavia, in alcuni casi, episodi di tachicardia ventricolare possono insorgere in soggetti con cuore sano, cioè senza apparenti alterazioni cardiache sia strutturali, sia dell’attività elettrica. La tachicardia ventricolare può essere non sostenuta o sostenuta. È definita non sostenuta se dura meno di 30 sec; è sostenuta se dura più di 30 sec o, pur durando meno, determina una rapida compromissione emodinamica, con ipotensione, lipotimia o sincope. La tachicardia ventricolare, inoltre, può essere monomorfa o polimorfa. Nella maggior parte dei casi una tachicardia ventricolare sostenuta monomorfa è dovuta a un meccanismo di rientro a livello di alterazioni strutturali dei ventricoli (si veda Fig. 11.11). Le tachicardie ventricolari che insorgono in cuori apparentemente esenti da cardiopatie organiche, d’altro canto, sono spesso dovute a meccanismi di automatismo o di triggered activity. All’ECG la tipica tachicardia ventricolare sostenuta monomorfa si presenta come una successione ritmica di complessi QRS larghi, di durata in genere superiore a 0,12 sec, a frequenza più spesso compresa tra 130 e 200 bpm (range 100-250 bpm). La morfologia dei complessi è atipica e varia a seconda della sede da cui origina l’aritmia (Fig. 11.23). La tachicardia ventricolare deve essere distinta dalla tachicardia sopraventricolare a QRS largo per la presenza di un blocco di branca nella conduzione dagli atri ai ventricoli (tachicardia sopraventricolare a conduzione Figura 11.23 Esempio di tachicardia ventricolare sostenuta monomorfa. C0055.indd 268 aVR V1 V4 aVL V2 V5 aVF V3 V6 aberrante). La distinzione è molto importante dal punto di vista clinico, perché una tachicardia ventricolare è associata a un rischio di eventi infausti (nell’immediato e a distanza) che le TPSV non hanno, e ha, quindi, implicazioni terapeutiche diverse. La diagnosi differenziale è basata soprattutto sulla presenza o meno di una dissociazione AV. Nella tachicardia ventricolare, infatti, quasi sempre l’impulso ectopico originato nei ventricoli non riesce a raggiungere gli atri, che sono attivati indipendentemente dal ritmo sinusale (o da un altro ritmo). Viceversa, nella tachicardia sopraventricolare è presente una relazione costante tra onde P e QRS. Una morfologia del QRS a blocco di branca destra tipico (rSR’ in V1 e qRs in V6) è, inoltre, più suggestiva di una tachicardia sopraventricolare aberrante. La diagnosi differenziale è spesso possibile con il solo ECG di superficie sulla base di questi criteri e di altri riassunti nella tabella 11.8. Tuttavia, in diversi casi può persistere un dubbio sulla diagnosi, che può essere chiarita solo con ulteriori indagini. Tabella 11.8 Alcuni dei criteri più affidabili e utilizzati per la diagnosi differenziale all’ECG tra tachicardia ventricolare e tachiaritmia sopraventricolare con aberranza in presenza di una tachicardia a QRS largo Dissociazione atrioventricolare Diagnosi Tachicardia ventricolare Battiti di cattura sinusali o battiti di fusione* Tachicardia ventricolare Morfologia del QRS concordante in tutte le derivazioni precordiali† Tachicardia ventricolare Morfologia del QRS a BBD: qR, R o RR’ in V1 䊉 rsR’ o RsR’ in V 1 Tachicardia ventricolare Tachicardia sopraventricolare Morfologia del QRS a BBS: qR o QS in V6 䊉 rS in V -V e R in V 1 2 6 Tachicardia ventricolare Tachicardia sopraventricolare 䊉 䊉 Manovre di stimolazione vagale 䊉 Inefficaci 䊉 Interruzione o slatentizzazione di attività atriale da flutter o tachicardia Tachicardia ventricolare‡ Tachiaritmia sopraventricolare * I battiti di cattura sinusali sono battiti prematuri a QRS stretto nell’ambito della tachicardia e si verificano in presenza di dissociazione atrioventricolare quando un’onda P riesce a condurre normalmente l’impulso ai ventricoli cadendo casualmente in un momento in cui questi (e le vie di conduzione) sono in una fase di eccitabilità; i battiti di fusione sono legati allo stesso fenomeno, ma la cattura dei ventricoli da parte dell’impulso sinusale avviene in contemporanea con l’attivazione dei ventricoli da parte del centro aritmico (per cui ne risulta un battito con morfologia intermedia tra il QRS della tachicardia e quello sinusale). † Il QRS, cioè, è tutto o prevalentemente positivo o negativo in tutte le derivazioni precordiali, da V1 a V6. ‡ La mancata risposta alla stimolazione vagale può solo fare sospettare l’origine ventricolare dell’aritmia. 6/9/10 9:48:23 AM Capitolo 11 - ARITMIE La tachicardia ventricolare interferisce con la normale funzione del cuore attraverso quattro principali meccanismi: (1) priva il riempimento diastolico ventricolare della componente dovuta alla sistole atriale; (2) l’elevata frequenza cardiaca riduce il tempo di riempimento diastolico del ventricolo e del flusso ematico nel circolo coronarico; (3) la contrazione ventricolare indotta dall’impulso ectopico non è coordinata in maniera fisiologica e pertanto non è completamente efficace; (4) può di per sé causare una depressione contrattile tachicardia-dipendente. Tutto ciò, in pazienti cardiopatici, può favorire lo sviluppo di uno scompenso cardiaco, uno stato di shock o un’ischemia miocardica. La tachicardia ventricolare è un’aritmia da trattare con urgenza perché, anche se emodinamicamente stabile, può sia essere causa di un rapido deterioramento emodinamico sia degenerare in fibrillazione ventricolare, causando un arresto cardiaco. Il paziente con tachicardia ventricolare avverte principalmente sintomi legati alla bassa portata (sincope, lipotimia, scompenso) o alla ridotta perfusione coronarica (angina), ma, in non pochi casi, essa è ben tollerata e l’unico sintomo è rappresentato da un senso di palpitazione. Il medico riscontra tachicardia al polso, che appare anche piccolo o può essere inapprezzabile, e può notare i segni obiettivi della bassa portata (ipotensione, ipoperfusione cutanea, dispnea, sudorazione). All’auscultazione del cuore i toni sono di ridotta intensità, frequenti, ritmici. Terapia La terapia deve essere instaurata con urgenza. Se il paziente è in stato di shock o ha addirittura perso coscienza, va effettuata subito la cardioversione elettrica (in genere è sufficiente una scarica di 100 J). Se le condizioni emodinamiche sono stabili si può cercare di sbloccare l’aritmia con l’uso di farmaci e.v., come l’amiodarone, il propafenone o la lidocaina. Il farmaco da scegliere dipende dal contesto clinico. Se il tentativo è inefficace, bisogna procedere appena possibile con la cardioversione elettrica. La terapia dell’aritmia deve sempre essere accompagnata dall’individuazione e correzione di eventuali fattori che ne hanno favorito l’insorgenza. In particolare vanno corretti eventuali squilibri elettrolitici ed eliminati eventuali farmaci proaritmici. La prevenzione delle recidive della tachicardia ventricolare (e della sua possibile degenerazione in fibrillazione ventricolare) è basata soprattutto sull’uso di -bloccanti e dell’amiodarone, oltre che sul trattamento ottimale della patologia cardiaca di base. Farmaci di classe IA e IC possono essere indicati in alcuni casi in presenza di una normale funzione ventricolare sinistra, mentre vanno evitati in presenza di una depressa contrattilità miocardica. Le forme di tachicardia ventricolare in cuore sano (idiopatica) a origine dal tratto di efflusso del ventricolo destro (morfologia a BBS e asse verticale o deviato a destra) o dal fascicolo posteriore sinistro (morfologia a BBD e iperdeviazione assiale sinistra) rispondono spesso efficacemente al verapamil. C0055.indd 269 Nella maggior parte dei casi di tachicardia ventricolare sostenuta, tuttavia, per l’aumentato rischio di sincope e morte improvvisa che essa comporta, è indicato l’impianto di un ICD (si veda Tab. 11.6). In diversi casi è possibile prevenire la tachicardia ventricolare mediante l’ablazione con radiofrequenze del substrato aritmogeno individuato con il mappaggio intracardiaco (Fig. 11.24). 269 1 Tachicardia ventricolare a torsione di punta o “torsade de pointes” La tachicardia ventricolare a torsione di punta è una forma di tachicardia ventricolare polimorfa, caratterizzata all’ECG da una variazione della morfologia del QRS, che da una polarità (per esempio, positiva) passa più o meno gradatamente, nella stessa derivazione, a una polarità opposta (nell’esempio, negativa) (Fig. 11.25). Insorge più tipicamente in soggetti che presentano un ritmo molto bradicardico e un intervallo QT allungato. Quest’ultimo dato indica che vi sono zone del miocardio ventricolare che si ripolarizzano con molto ritardo, causando una condizione favorevole all’instaurazione di fenomeni di rientro; anche fenomeni di triggered activity, tuttavia, sembrano importanti nella genesi di questa aritmia. L’allungamento del QT può essere congenito o acquisito (si veda oltre). L’aritmia viene per lo più iniziata da un’extrasistole ventricolare tardiva, è in genere molto rapida (> 200 bpm), e spesso si autolimita ma recidiva, però, nel volgere di poco tempo. Se non trattata adeguatamente può infine degenerare in fibrillazione ventricolare. Terapia La terapia della torsione di punta deve mirare a: (1) rimuovere la causa che ha favorito l’allungamento dell’intervallo QT (correzione degli squilibri elettrolitici e sospensione di eventuali farmaci); (2) aumentare la frequenza cardiaca. La frequenza può essere aumentata con la stimolazione endocavitaria mediante catetere stimolatore. Se ciò non è rapidamente possibile, è opportuno tentare di indurre un aumento della frequenza del cuore con atropina o isoproterenolo. Ritmo idioventricolare accelerato (RIVA) Il RIVA si manifesta per esaltato automatismo di un pacemaker situato nel tessuto di conduzione distalmente al fascio di His. I pacemaker ventricolari hanno abitualmente una frequenza di eccitazione intrinseca di circa 30-40/min, per cui la loro attività può emergere solo in caso di grave malattia Figura 11.24 Tachicardia ventricolare a torsione di punta: progressivo cambiamento della polarità del QRS nelle tre derivazioni e l’intervallo QT lungo del battito sinusale prima della tachicardia. 6/9/10 9:48:24 AM 270 Figura 11.25 (a) Tracciato endocavitario di ablazione di tachicardia ventricolare monomorfa in un paziente con miocardiopatia dilatativa postischemica e portatore di pacemaker. (b) Mappaggio elettroanatomico con metodica CARTO. Parte 1 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO a b La mappa di attivazione permette di identificare il circuito della tachicardia ventricolare mostrando un rientro nel setto interventricolare con punto di uscita sul versante destro (freccia). Le aree con colore rosso e arancione-giallo sono zone anomale con bassi potenziali e bassa velocità di conduzione. del nodo seno-atriale e del nodo AV (si veda in precedenza, Blocchi atrioventricolari). In alcune condizioni patologiche, tuttavia, l’automatismo di questi centri può aumentare fino a 60-90/min e subentrare, quindi, attivamente al ritmo sinusale. Episodi di RIVA sono frequenti soprattutto in presenza di infarto miocardico acuto, tossicità digitalica e ipokaliemia. La diagnosi di RIVA è in genere semplice da porre all’ECG, dove l’aritmia si presenta con una frequenza ritmica di complessi QRS di aspetto anomalo e con una durata superiore ai 0,12 sec. In genere sono visibili onde P sinusali dissociate dai QRS, e possono essere presenti battiti di fusione per la contemporanea attivazione dei ventricoli da parte dello stimolo sinusale, normalmente condotto attraverso il nodo AV, e di quello originato dal focus ectopico ventricolare. di attivazione ventricolare che possono assumere in alcuni casi un aspetto quasi sinusoidale. Dal punto di vista meccanico, il cuore riesce a determinare solo una bassissima gittata sistolica o appare addirittura fermo, per cui il paziente perde rapidamente coscienza. Se non si interviene rapidamente, il flutter degenera in poco tempo in fibrillazione ventricolare e, quindi, in arresto cardiaco e morte del paziente. Terapia L’unico trattamento valido è l’immediata cardioversione elettrica. Fibrillazione ventricolare Terapia Solitamente il RIVA non dà sintomi, ha un’evoluzione favorevole e non richiede trattamento. Eccezionalmente può essere necessaria una terapia medica se la dissociazione fra attività atriale e ventricolare comporta una compromissione emodinamica. In questi rari casi, sono di solito sufficienti piccole dosi di atropina per via venosa per aumentare la frequenza sinusale e sopprimere l’attività del centro ectopico o utilizzare un farmaco antiaritmico (di classe II, III o IC). Flutter ventricolare Il flutter ventricolare si può considerare una tachicardia ventricolare a frequenza molto alta (> 250 bpm), per cui all’ECG, per il breve intervallo tra i complessi ventricolari, non è in genere possibile distinguere bene il tratto ST e l’onda T. Si osserva, viceversa, un serie ravvicinata e ritmica di complessi C0055.indd 270 La fibrillazione ventricolare definisce una condizione di attività elettrica caotica e disorganizzata dei ventricoli, che sono simultaneamente percorsi da fronti d’onda di eccitazione multipli e incoordinati che si modificano in continuazione, in rapporto al fatto che ognuno di essi si trova davanti cellule che, di volta in volta, hanno recuperato la loro eccitabilità o sono ancora in fase di refrattarietà. All’ECG si nota anzitutto la completa assenza di qualsiasi attività elettrica organizzata. Non sono, quindi, riconoscibili onde P-QRS-T, mentre si osserva una serie di onde sinusoidali di ampiezza, intervalli e direzione continuamente variabili, e a frequenza in genere molto alta (Fig. 11.26). Dal punto di vista meccanico, il cuore in fibrillazione ventricolare è fermo e non c’è alcuna gittata sistolica; il paziente è quindi in arresto cardiaco. Una volta insorta, la fibrillazione ventricolare abitualmente non tende a cessare, e quindi, se non si interviene rapidamente, l’esito è la morte del paziente; in effetti, la fibrillazione ventricolare è la causa più frequente di morte improvvisa per arresto cardiaco. 6/9/10 9:48:25 AM Capitolo 11 - ARITMIE 271 1 Terapia L’unica terapia della fibrillazione ventricolare è la defibrillazione elettrica (scariche da 200 sino a 360 J). Se questa non è immediatamente attuabile, è indispensabile eseguire il massaggio cardiaco esterno e la ventilazione assistita per garantire un minimo di circolo e di apporto ematico soprattutto all’encefalo. L’interruzione del circolo per un tempo superiore a 2-3 min comporta, infatti, lesioni cerebrali irreversibili. Figura 11.26 Episodio di tachicardia ventricolare polimorfa degenerata in fibrillazione ventricolare. Malattie dei canali ionici e dei recettori di membrana Sindrome del QT lungo Un intervallo QT lungo comporta un aumento del rischio di aritmie ventricolari gravi, che possono esitare in morte improvvisa. Esso, infatti, è spesso indicativo di una significativa differenza dei periodi refrattari delle cellule miocardiche (dispersione della refrattarietà), per cui predispone a tachiaritmie da rientro. Anche meccanismi triggerati, tuttavia, possono essere coinvolti nella genesi di tachiaritmie in questa condizione, in quanto le cellule miocardiche possono presentare instabilità del potenziale cellulare con formazione di post-potenziali precoci e tardivi. La sindrome del QT lungo può essere congenita o acquisita. La sindrome del QT lungo congenito è una condizione geneticamente determinata, individuabile solo per il riscontro di un allungamento dell’intervallo QT corretto per la frequenza cardiaca all’ECG, al quale possono associarsi anomalie morfologiche dell’onda T (Fig. 11.27). Sono state descritte sinora 12 varianti genetiche di questa patologia, designate con una sigla che va da LQT1 a LQT12 (dove LQT sta per “long” QT), la maggior parte dovute ad anomalie funzionali di diversi canali di membrana del potassio, ma alcune, come la forma LQT3, dovute ad alterazioni funzionali dei canali del sodio, e una dei canali del calcio. Le forme decisamente più frequenti, comunque, sono la LQT1, la LQT2 e la LQT3, che costituiscono il 95% o più di queste sindromi. Tutte le forme sono trasmesse in modo autosomico dominante. La penetranza di questi geni è, tuttavia, ridotta e l’espressione fenotipica è variabile. Una forma clinica particolare di sindrome del QT lungo congenito, che è associata a sordità, è la sindrome di Jervell- Lange Nielsen, che è causata da una mutazione del gene responsabile della sindrome LQT1 o LQT5, ma è trasmessa in modo autosomico recessivo. I soggetti con sindrome del QT lungo congenito possono stare benissimo, ma hanno una predisposizione a sviluppare episodi di tachicardia ventricolare polimorfa, a torsione di punta e fibrillazione ventricolare. Possono perciò andare incontro a episodi di sincope e a morte improvvisa. Una sindrome del QT lungo deve essere sospettata in tutti i casi di persone giovani che presentano episodi C0055.indd 271 sincopali, soprattutto se esiste una familiarità per morte improvvisa. Cosa importante, in questa sindrome il fenotipo è in larga parte gene-specifico, cioè le mutazioni genetiche delle singole forme determinano quadri clinici specifici per ogni genotipo. Così, nella sindrome LQT1 le tachiaritmie sono favorite dall’attivazione simpatica, per cui le sincopi (o l’arresto cardiaco) da tachiaritmie si verificano tipicamente durante sforzo. La sindrome LQT2 è invece caratterizzata da eventi sincopali indotti da forti stress acuti conseguenti più tipicamente a stimoli uditivi (per esempio, il suono improvviso di una sveglia). D’altro canto, nella sindrome LQT3 le tachiaritmie si verificano più frequentemente durante il sonno o il riposo. Tachiaritmie analoghe a quelle delle forme congenite si possono osservare nelle sindromi del QT lungo acquisite, che sono principalmente legate a disordini elettrolitici (ipokaliemia, ipomagnesiemia) e all’uso di alcuni farmaci (chinidina, disopiramide, sotalolo, alcune fenotiazine, antidepressivi triciclici, alcuni antibiotici). In presenza di I aVR V1 V4 II aVL V2 V5 III aVF V3 V6 a aVR V1 V4 II aVL V2 V5 aVF V3 V6 Figura 11.27 ECG tipici di un paziente con intervallo QT lungo (a) e di un paziente con intervallo QT corto (b). b 6/9/10 9:48:31 AM 272 Parte 1 - MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO tachiaritmie ventricolari o sincope associate al riscontro di un QT lungo all’ECG vanno, quindi, sempre esclusi tali fattori causali (si veda in precedenza, Tachicardia ventricolare a torsione di punta). to ST molto breve nelle derivazioni precordiali (si veda Fig. 11.27). A causa del basso numero di casi sinora riportati in letteratura (solo circa 50) non è possibile avere un’indicazione precisa sulla storia naturale e la stratificazione del rischio di questi pazienti. Terapia Nei pazienti con sindrome LQT1 il trattamento con farmaci β-bloccanti è molto efficace nel ridurre il rischio di tachiaritmie gravi e, quindi, di morte improvvisa, per cui costituisce il trattamento di scelta iniziale. D’altro canto, la terapia β-bloccante è meno efficace nella prevenzione della morte improvvisa nella sindrome LQT2 e, ancor più, LQT3. La differente risposta alla terapia β-bloccante sottolinea l’importanza della corretta diagnosi della forma di QT lungo. Mentre altri farmaci antiaritmici non sono utili per migliorare la sopravvivenza di questi pazienti, l’impianto di un ICD costituisce l’unico trattamento efficace per ridurre l’incidenza di morte improvvisa nei pazienti a rischio che non possono essere protetti con la terapia β-bloccante. Il trattamento delle sindromi del QT lungo acquisito consiste essenzialmente nella correzione o rimozione dei fattori che ne sono causa. Sindrome del QT corto La sindrome del QT corto è stata descritta di recente come una forma ereditaria di malattia aritmogena caratterizzata da un intervallo QT corretto ≤ 320 msec associato a vari tipi di aritmie, sopraventricolari (fibrillazione e flutter atriale, in particolare) e ventricolari, sino alla fibrillazione ventricolare. Il paziente può presentarsi con palpitazioni o episodi sincopali, ma l’esordio della malattia avviene in circa un terzo dei casi con un arresto cardiaco e i pazienti hanno comunque un elevato rischio di morte improvvisa. Le mutazioni genetiche responsabili di questa sindrome causano un’aumentata attività di alcuni canali del K+ o una ridotta attività di canali del Ca2+, con marcato accorciamento del periodo refrattario delle cellule miocardiche. La sindrome è diagnosticata all’ECG, che oltre all’intervallo QT corto, mostra onde T alte e appuntite e un trat- I aVR II Figura 11.28 (a) ECG di un paziente con sindrome di Brugada. (b) ECG in bambina con tachicardia ventricolare. III aVL aVF V1 V4 V2 V5 V3 V6 a b La tachicardia ventricolare bidirezionale è degenerata in una breve fase di tachicardia ventricolare polimorfa e seguita da fibrillazione ventricolare, in una bambina di 9 anni con tachicardia ventricolare polimorfa catecolaminergica confermata dall’analisi genetica. C0055.indd 272 Terapia Tra i farmaci antiaritmici solo la chinidina sembra essere promettente per controllare le aritmie ventricolari. Per l’alto rischio di morte improvvisa, tuttavia, l’impianto di un ICD sembra al momento indicato in molti di questi pazienti. Sindrome di Brugada La sindrome di Brugada è caratterizzata dall’occorrenza o predisposizione a tachiaritmie ventricolari potenzialmente fatali in associazione alla presenza di un quadro ECG piuttosto tipico di morfologia a blocco di branca destra (completo o incompleto) e sopraslivellamento del tratto ST nelle derivazioni precordiali anteriori (V1-V3) ( Fig. 11.28 ). La presentazione clinica è in genere la sincope o l’arresto cardiaco durante il sonno o in coincidenza con febbre o consumo di alcol. Colpisce nella maggioranza soggetti maschi, con netta prevalenza per la razza asiatica, e con esordio intorno ai 40 anni. Si ritiene legata a mutazioni genetiche che causano un’alterazione funzionale dei canali di membrana del sodio (gli stessi responsabili della sindrome LQT3, con la quale presenta diverse analogie), ma tale alterazione genetica è dimostrabile solo nel 30% dei casi; sono comunque allo studio nuove mutazioni genetiche riguardanti altre proteine di membrana come causa della sindrome. In circa un quarto dei pazienti è presente familiarità, suggerendo che numerosi casi sono conseguenti a nuove mutazioni genetiche. Il cuore si presenta strutturalmente sano. La sindrome di Brugada va sospettata nei soggetti che, insieme al quadro ECG descritto, presentano storia di sincope o familiarità per morte improvvisa. Terapia Sebbene alcuni dati suggeriscano un certo effetto protettivo dell’idrochinidina, nei casi a rischio di morte improvvisa è attualmente indicato l’impianto di un ICD. Tachicardia ventricolare polimorfa catecolaminergica La tachicardia ventricolare polimorfa catecolaminergica (TVPC) è una forma rara di tachicardia ventricolare tipicamente indotta da sforzi o condizioni di iperattività adrenergica, a elevato rischio di degenerazione in aritmie ventricolari fatali. Anche la morfologia della tachicardia ventricolare è tipica, presentando un’alternanza battito- 6/9/10 9:48:32 AM Capitolo 11 - ARITMIE battito di due tipi di QRS con asse elettrico opposto (tachicardia ventricolare bidirezionale) (si veda Fig. 11.28). La TVPC è una forma geneticamente determinata, dovuta a mutazioni del gene che codifica per il recettore cardiaco della rianodina (RyR2). Questa svolge un ruolo centrale nella regolazione dei flussi intracellulari di calcio e nell’accoppiamento eccitazione-contrazione, in particolare a livello del reticolo sarcoplasmatico. La sincope, indotta da sforzo o da un’emozione improvvisa, costituisce spesso la prima manifestazione di TVPC, sebbene un arresto cardiaco possa verificarsi in soggetti fino ad allora asintomatici. In circa il 30% dei casi l’anamnesi familiare 273 rivela una o più morti improvvise premature, verificatesi di solito durante l’infanzia. Terapia Il trattamento antiadrenergico con i -bloccanti è il fulcro della terapia di questi pazienti. L’impianto di un ICD può essere indicato se il test ergometrico e il monitoraggio Holter suggeriscono che con i -bloccanti si ottiene solo un’incompleta protezione dall’aritmia. 1 Bibliografia Anderson RH, Yanni J, Boyett MR et al. The anatomy of the cardiac conduction system. Clin Anat 2009;22:99–113. Arruda MS, McClelland JH, Wang X et al. 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