RIVISTA SVIZZERA DI
ARCHITETTURA, INGEGNERIA
E URBANISTICA
SCHWEIZERISCHE ZEITSCHRIFT
FÜR ARCHITEKTUR, INGENIEURWESEN UND STADTPLANUNG
3 / 2 0 15
LA LUCE ARTIFICIALE
KÜNSTLICHES LICHT
testi / texte
Katrin Albrecht | Jutta Glanzmann |
Isabella Sassi Farias | Giuseppina Togni
progetti / projekte
Bearth & Deplazes Architekten + Morger+Dettli Architekten |
Ernst Basler+Partner | Graber Pulver Architekten |
Hübscher | Mettler+Partner | Juan Navarro Baldeweg |
Reflexion | Shigeru Ban Architects + Jean De Gastines
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7 INTERNI E DESIGN
a cura di Gabriele Neri
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a cura di Daniele Graber
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13 SIA COMUNICATI
a cura di Frank Peter Jäger
18 TI NOTIZIE
a cura di Stefano Milan
22 TI DIARIO DELL’ARCHITETTO
a cura di Paolo Fumagalli
26 TI PROGETTI
a cura di Stefano Milan
31 TI LIBRI
a cura di Mercedes Daguerre
L A LUCE ARTIFICIALE
a cura di Mercedes Daguerre,
Graziella Zannone Milan
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EDITORIALE
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per ridisegnare l’architettura
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42 L’illuminazione delle città
Giuseppina Togni
43 Spazio notturno visibile
Jutta Glanzmann
46 La fotografia e la luce artificiale
Isabella Sassi Farias
50 Edificio Tamedia, Zurigo
Shigeru Ban Architects, Jean De Gastines,
Ernst Basler+Partner
58 Piscine, fitness e spa, St. Moritz
Bearth & Deplazes Architekten,
Morger+Dettli Architekten, Reflexion
66 Centrale elettrica Forsthaus, Berna
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74 Edificio amministrativo
nel Campus Novartis, Basilea
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Favilla. Ogni luce
una voce
1.
Attilio Stocchi e il mistero della luce
Anche quest’anno, nel numero di Archi successivo al Salone
del Mobile presentiamo un progetto apparso e – purtroppo –
scomparso nei pochi giorni della kermesse milanese, particolarmente in linea con il tema trattato nelle pagine seguenti.
Mentre nei padiglioni della Fiera di Rho-Pero l’esercito di lampade di Euroluce 2015 si contendeva l’attenzione dei visitatori prima di approdare negli showroom di tutto il mondo, nella più tranquilla piazza
San Fedele, a due passi dal Duomo, un cubo nero
all’apparenza inespugnabile faceva riflettere sul significato fisico della parola luce e sul mistero in essa
contenuto.
«Favilla», l’installazione concepita dall’architetto Attilio Stocchi, è in pratica una grande camera oscura,
che all’interno si accende all’improvviso grazie a una
sinfonia di lampi accecanti, tenui bagliori e affilatissimi raggi luminosi che si specchiano sulle sue pareti,
disegnate frantumando il parallelepipedo in decine
di facce simili a quelle di un prezioso minerale. «È
la metafora del geode – spiega Stocchi rievocando
l’immagine della pietra che, se tagliata in due, svela
inaspettati cristalli –, la scoperta di un mondo interno che genera meraviglia e stupore». Varcando la soglia del cubo, i visitatori sono dunque immersi in uno
spettacolo luminoso organizzato secondo una precisa
struttura narrativa ispirata a quella delle tragedie greche, con un prologo, quattro episodi, quattro stasimi
e un epilogo. Più che una semplice installazione è un
racconto, in cui il tema della luce viene scomposto e
ricomposto trasformando una curiosità «aristotelica»
per la natura in una favola-favilla architettonica, sensoriale e persino didattica.
Nei quattro episodi centrali, i raggi che trafiggono la
vista degli spettatori corrispondono alle quattro caratteristiche di movimento della luce (propagazione
rettilinea, diffrazione, riflessione e rifrazione), citando in maniera esplicita gli esperimenti fatti da Newton tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento
sullo spettro visibile e sull’ottica in generale, pubblicati nel volume Opticks del 1704. Colpendo con un fascio di luce la superficie di un prisma di vetro secondo un certo angolo di incidenza, lo scienziato inglese
ne osservò la scomposizione in sette bande colorate
(rosso, arancio, giallo, verde, blu, indaco, violetto),
2.
1.
2.
Backstage
dell’installazione
(Cour tesy At tilio Stocchi)
Sezione di proget to
(Cour tesy At tilio Stocchi)
7
INTERNI E DESIGN
che egli fece corrispondere al numero dei pianeti allora conosciuti e a quello delle note musicali. Come
anticipa il sottotitolo dell’opera («Ogni luce una
voce»), la vista non è l’unico senso ad essere stimolato, dal momento che a ogni impulso luminoso è associata la voce di una persona, accrescendo la teatralità
di questa esperienza.
Si parte dalla scienza, mischiando fisica, biologia e
astronomia – immagini proiettate e raggi luminosi
mostrano la fotosintesi clorofilliana, la luce riflessa
della luna, le fibre ottiche ecc. – per approdare in discipline e territori molto diversi tra loro, almeno a
prima vista. La coda di un pavone e l’arcobaleno possono rimandare alla Teoria dei colori di Goethe (1810),
mentre il prologo e l’epilogo evocano il concetto di
creazione: si comincia con una citazione della Genesi
– dixitque Deus fiat lux et lux facta est – e si conclude con
il «venire alla luce», metafora di una nuova esistenza.
Il titolo scelto da Stocchi, come sempre molto attento
alle parole, ci porta infine in Paradiso: «Poca favilla
gran fiamma seconda», scriveva il Sommo Poeta.
Chi conosce l’attività di Attilio Stocchi troverà diversi
gradi di parentela tra quest’opera e i suoi progetti
passati. Geometrie «cristalline», ispirate al mondo
della mineralogia, si incontrano ad esempio nella pavimentazione di Galaverna (piazza realizzata tra il
2001 e il 2005 a Castel Rozzone, Bergamo) e nella
Galleria Bulbo a Milano (2007-2008). In quest’ultima, una costruzione ipogea con superfici interne irregolari che riflettono la luce zenitale, ritroviamo il
tema del contrasto tra luce e oscurità, come pure in
Attesa, installazione fatta al Padiglione Italia alla Biennale del 2010. In altro modo, Stocchi ha ragionato
sulla scomposizione della luce in colore in progetti
come Lumen – un parco a Lumezzane (Brescia) nel
quale le cromie sono date da fiori e piante – e soprattutto nell’eccezionale spettacolo Luceguagliavoce, che
nel 2007 ha messo in scena un fantastico e surreale
dialogo tra i santi che popolano le guglie di marmo
4.
3.
3.-5. Vedute interne dell’installazione nelle diverse fasi:
DIFFR AC TE , DIREC TE (Cour tesy At tilio Stocchi)
del Duomo di Milano (per maggiori dettagli consigliamo di visitare il sito www.attiliostocchi.it). Come
in quest’ultimo progetto, anche in Favilla è difficile
stabilire quali siano i confini tra architettura e teatro,
tra arte e narrazione, tra design e scenografia. Un
po’ come quando guardiamo una stella, l’aurora boreale o un arcobaleno: difficile stabilire esattamente
il confine tra godimento estetico, ragioni scientifiche
e puro stupore.
5.
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Il Direttore
dei lavori esiste?
La domanda posta si riferisce alla carenza di direttori
dei lavori non solo in Ticino, ma in tutta la Svizzera,
all’incomprensibile decisione presa dal Parlamento
ticinese nel mese di dicembre 2014, alla necessità di
creare uno specifico registro nazionale dei direttori
dei lavori e alla creazione della piattaforma svizzera
dei direttori dei lavori.
Andando con ordine: Dopo un’analisi del contesto ticinese e aver constatato un forte fabbisogno di direttori dei lavori, otia, congiuntamente alla sezione Ticino
della ssic, all’Amministrazione cantonale e alla supsi,
hanno ideato e organizzato nel 2011 uno specifico
corso post-diploma (cas Direttore dei lavori). A oggi
siamo alla terza edizione. L’iniziativa è stata ed è un
successo, a tal punto da indurre una buona parte dei
diplomati a creare nel 2013 l’Associazione Direttori
Lavori della Svizzera italiana adl, diventata il 27 marzo 2015 membro del Consiglio di fondazione del Registro svizzero dei professionisti nei rami dell’ingegneria, dell’architettura e dell’ambiente (reg).
L’adesione al reg è una prima tappa. L’obiettivo finale è la creazione di uno specifico registro nazionale
dei direttori dei lavori. La sua creazione permetterà
di aumentare la trasparenza a favore dei committenti
pubblici e privati e far chiarezza sulle competenze necessarie per svolgere la funzione di direttore dei lavori nel settore dell’edilizia e del genio civile per i campi
professionali architettura, ingegneria civile e ingegneria impiantistica. Il futuro registro dei direttori dei lavori permetterà pure di riconoscere ulteriormente il
lavoro svolto dai (veri) direttori dei lavori, anche dai
dipendenti di studi d’architettura e d’ingegneria o
presso le amministrazioni pubbliche cantonali e comunali. In effetti, l’attività di direttore dei lavori è oggigiorno definita in modo sintetico unicamente nei
regolamenti sia102 a 108, senza però nessun riconoscimento legale esplicito a livello della Confederazione e dei cantoni. Un’eccezione l’art. 34 cpv. 2 lett. a del
Regolamento cantonale sulle commesse pubbliche
rlcPubb/ciap. Esso prescrive che nel campo della
progettazione e direzione lavori possono ricevere dei
mandati dall’ente pubblico unicamente singoli professionisti o uffici che operano con titolari o membri
dirigenti effettivi che soddisfano i requisiti previsti
dalla Legge cantonale sull’esercizio delle professioni
di ingegnere e di architetto lepia.
La creazione del Registro reg dl permetterà inoltre
di diminuire l’impatto negativo dell’infelice decisone
presa nel mese di dicembre 2014 del Parlamento cantonale. In sintesi, esso ha imposto al Consiglio di Stato di definire delle regole per imperativamente e in
modo sistematico dividere, «dal punto di vista personale e dal punto di vista giuridico», la direzione dei
lavori dalla progettazione. Le associazioni professionali degli architetti e degli ingegneri ritengono controproducente istaurare un obbligo imperativo e sistematico, che imponga sempre la separazione della
direzione dei lavori dalla progettazione. Ad esempio,
per il vincitore di un concorso di progetto non sarà
più possibile occuparsi della direzione dei lavori
dell’opera da lui progettata. Se in certi casi potrebbe
essere sensato, in molti altri la scelta politica risulterà
controproducente. A pagarne le conseguenze negative sarà la collettività nel suo insieme e non chi ha imposto la separazione.
La scelta del Parlamento potrà eventualmente essere
l’occasione concreta per migliorare l’attuale situazione, autorizzando l’esercizio della funzione di dl solo
a professionisti in grado di fornire le necessarie garanzie tecniche e di deontologia professionale. Ora il
Consiglio di Stato dovrà formulare le modalità di attuazione della decisione parlamentare. Le associazioni professionali di categoria si batteranno per un loro
coinvolgimento. Ad esempio, si potrebbe estendere
pure ai committenti privati quanto già in vigore per i
committenti pubblici (art. 34 cpv. 2 lett. a rlcPubb/
ciap).
Lo sta(tu)to precario del direttore dei lavori è stato
constatato pure nel resto della Svizzera. Le maggiori
associazioni professionali elvetiche del settore della
costruzione hanno istituito, in collaborazione con le
scuole universitarie, una specifica piattaforma di dialogo denominata Plattform Bauleitung. Essa ha lo
scopo di definire il profilo professionale del direttore
dei lavori e di unificare la formazione di base e la formazione continua in Svizzera. La Conferenza delle
Associazioni Tecniche del Cantone Ticino (cat) e la
sezione Ticino della ssic partecipano attivamente ai
lavori. Il profilo professionale definito in seno alla
Piattaforma svizzera dei direttori dei lavori potrà servire al reg per definire i relativi Registri dl.
Valutando le diverse iniziative in corso possiamo tutto sommato essere fiduciosi. In particolare, gli sforzi
profusi dalle associazioni professionali di categoria
permettono di affermare senza nessun punto di domanda che il direttore dei lavori esiste.
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Claudia Schwalfenberg*
Cultura della costruzione:
una strategia nazionale
A partire dal 2016, la cultura contemporanea della costruzione dovrebbe diventare parte integrante della politica culturale nazionale. L’obiettivo è di definire una strategia interdipartimentale rivolta a questo ambito specifico.
La Confederazione prevede inoltre di adottare in merito
alcune prime misure di sensibilizzazione.
Alla fine di maggio il Consiglio federale ha presentato
il Messaggio per la promozione della cultura negli
anni 2016-2019. Il bilancio preventivo contempla un
budget di quasi 895 milioni di franchi da destinare alla
promozione della cultura a livello nazionale. Due milioni, distribuiti nell’arco di quattro anni, saranno destinati al nuovo ambito politico della «cultura architettonica», così la Confederazione definisce quella che
internamente è correntemente chiamata «cultura della costruzione». Benché, considerato l’importo complessivo, i mezzi finanziari destinati a questo ambito
appaiano di primo acchito piuttosto modesti, si apre
decisamente una breccia sul piano simbolico. Infatti,
anche se la cultura contemporanea della costruzione
non è menzionata nella legge sulla promozione della
cultura, per la prima volta essa entra a far parte della
politica culturale federale. Il Messaggio sulla cultura
2016-2019 dunque non è che l’inizio. Un gruppo di lavoro interdipartimentale, incaricato di elaborare una
strategia per la cultura architettonica, è inoltre chiamato a presentare un piano d’azione, aggiornato periodicamente con misure concrete spettanti ai singoli
uffici federali. In altre parole, il vero e proprio incoraggiamento si concretizzerà solo con il Messaggio sulla
cultura successivo. Il Messaggio sulla cultura 2016-2019
contempla innanzitutto alcuni progetti pilota, tra cui
una serie di pianificazioni test o misure per promuovere l’ambito dei concorsi.
A differenza delle arti visive, del design, del teatro, della letteratura, della danza, della musica e del cinema,
nel Messaggio sulla cultura, la cultura architettonica
non compare nella rubrica «creazione artistica e culturale», bensì alla voce «cultura e società», unitamente al
patrimonio culturale e ai monumenti storici. I mezzi
finanziari in favore di tale ambito fanno parte del credito quadro per il patrimonio culturale e i monumenti
storici e sono pertanto subordinati alla salvaguardia
del patrimonio culturale architettonico. A medio termine si impone un chiarimento a questo proposito: la
cultura della costruzione, trattandosi di un concetto
generale, racchiude in sé il patrimonio culturale e i
monumenti storici da un lato, e la cultura architettonica contemporanea dall’altro. Il patrimonio culturale e
i monumenti storici non possono dunque continuare a
essere considerati alla stregua di un iperonimo della
cultura della costruzione. In questo contesto, la cultura contemporanea della costruzione è a cavallo tra un
ambito culturale specifico e un tema trasversale che
coinvolge anche altri ambiti politici, oltre a quello della
politica culturale. È pertanto buona cosa che la Confederazione abbia deciso di appoggiarsi a un gruppo di
lavoro interdipartamentale. L’Ufficio federale della
cultura non può tuttavia limitarsi a coordinare il gruppo di lavoro e l’elaborazione di una strategia generale,
deve anche fare in modo che il gruppo di lavoro tenga
conto delle esigenze specifiche della creazione culturale contemporanea.
Con la Tavola rotonda sulla cultura della costruzione
in Svizzera, la sia ha lanciato nel marzo 2010 un dibattito e un programma d’intervento per aprire una breccia in favore di questo nuovo ambito politico. Nella sua
presa di posizione di inizio giugno, la Società ha accolto favorevolmente il progetto in consultazione concernente il prossimo Messaggio sulla cultura. Il presidente
della sia Stefan Cadosch ha sottolineato quanto segue:
«L’ancoraggio della cultura della costruzione nella promozione della cultura a livello federale rappresenta un
passo importante e per troppo tempo posticipato. Tale
ancoraggio è per noi motivo di grandi soddisfazioni e
risponde a innumerevoli aspettative sia sul piano nazionale che internazionale». La sia richiede tuttavia che
siano precisati alcuni punti e raddoppiati i mezzi finanziari preannunciati. Anche i posti di lavoro a metà tempo previsti andrebbero portati a tempo pieno.
Alla base dell’imminente cooperazione e concettualizzazione e in vista della discussione parlamentare la
sia chiede altresì che il concetto di cultura della costruzione sia definito in modo preciso. Dato che la
strategia per la cultura architettonica portata avanti a
livello nazionale dovrà essere elaborata su un piano
interdipartimentale da numerosi uffici federali, occorre ora definire in modo esaustivo gli uffici coinvolti e interpellare esperti esterni. Per quanto attiene
alle misure di sensibilizzazione adottate, la sia è del
parere che, accanto alle pianificazioni test e alla promozione dei concorsi, sia ora imperativo sostenere
anche la diffusione della cultura della costruzione.
Da ultimo, la Società chiede che sia istituito un premio federale per la cultura contemporanea della costruzione.
* responsabile Cultura della costruzione sia
Per scaricare il Comunicato stampa e la Risposta della SIA
in merito alla bozza del Messaggio sulla cultura 2016-2019,
consultare www.sia.ch/it/temi/cultura-della-costruzione
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C OMUNIC ATI SI A
Dani Ménard*
[email protected]
Discutere le condizioni
contrattuali
Gli architetti si imbattono sovente in committenti che non
giocano a carte scoperte. A che cosa bisogna prestare attenzione quando si entra in trattative e si stipula un contratto?
Chi si guadagna da vivere fornendo prestazioni intellettuali sa bene quanto sia difficile definire e quantificare in anticipo il servizio erogato e calcolare una
retribuzione equa e appropriata. I regolamenti sia
102 e segg. aiutano entrambe le parti contrattuali a
definire nel dettaglio le regole del gioco e a pattuire
la formula esatta per una corretta remunerazione.
A tutti i livelli dell’organigramma (politica, legislazione, società, mandante, progettista e via di seguito),
diverse condizioni quadro influiscono da tempo su
questo patrimonio sia, anche se ultimamente i modelli contrattuali sono sempre più spesso messi sotto
pressione. Per esempio è cambiata la giurisprudenza
legata alla questione degli aspetti da regolamentare
nel rapporto di mandato ai sensi di quanto definito
dal diritto del contratto di appalto.
Nella prassi gli operatori di mercato si impegnano
alacremente, spesso però senza collaborare, e con
obiettivi diversi.
Contratto
La sottoscrizione di un contratto, in cui è definito nel
dettaglio il servizio fornito, tutela entrambi i partner
contrattuali e garantisce loro un futuro meno imprevedibile. Si presentano infatti diverse possibilità e rischi a livello imprenditoriale, spesso persino diametralmente opposti, che idealmente possono essere
discussi con spirito collaborativo, aperto e trasparente, per trovare soluzioni confacenti.
Nel contratto d’architetto sono descritti i diritti e gli obblighi di entrambe le parti. Esso definisce le parti integranti, le prestazioni e le retribuzioni corrispondenti, la
modalità secondo cui determinare tempo necessario e
onorario, spese accessorie, scadenze e termini.
Per esperienza penso che i contratti migliori siano
quelli che presentano una formulazione chiara ed
esaustiva a livello tecnico e giuridico, ma che poi, nel
migliore dei casi, sono messi da parte per tutta la durata della collaborazione. Tuttavia, come si svolgono le
trattative per sottoscrivere un contratto del genere?
Trattative contrattuali
Con il termine trattativa contrattuale si definisce la
fase che conduce le parti a un accordo e alla relativa e
reciproca dichiarazione di volontà, in altre parole il
periodo che precede la sottoscrizione contrattuale
vera e propria. Il mandatario ha tutto l’interesse a
fare in modo che le trattative portino a una situazione win win, bisogna insomma riuscire a convincere il
cliente delle proprie competenze in modo che si dichiari disposto, di propria spontanea volontà, a pagare un onorario confacente alla prestazione fornita. In
virtù delle nostre argomentazioni, egli riconoscerà
l’importanza di assegnare il mandato a uno studio di
progettazione valido e di comprovata esperienza, onde
evitare spese considerevoli nelle fasi successive, durante la costruzione e l’utilizzo.
Concretamente, durante una trattativa contrattuale,
si distinguono le seguenti fasi:
1. chiarire i reciproci interessi;
2. ponderare gli argomenti;
3. ponderare gli interessi comuni;
4. trovare un compromesso (ancora meglio
se per via consensuale);
5. stipulare il contratto.
Costo dell’opera determinante
il tempo necessario
In gran parte dei contratti negoziati attualmente si
applica il concetto di «costo dell’opera determinante
il tempo necessario».
Si parte dal presupposto che la portata, la complessità e altri fattori di un progetto determinino il tempo
necessario espresso in ore - elementi che, tra le altre
cose, sono rilevati ogni anno dal Centro di ricerche
congiunturali del Politecnico federale di Zurigo
(kof). Ogni studio include nel calcolo il numero di
ore necessarie che, in base alla propria esperienza, sa
di aver bisogno per svolgere il mandato assegnato. Lo
studio di progettazione dovrà poi riuscire a cavarsela,
attenendosi alla somma pattuita. Con quanta competenza, esperienza ed efficacia svolga il lavoro è un segreto aziendale. È importante tuttavia essere sempre
consapevoli che si tratta di un modello che poggia su
valori empirici e statistici e che pertanto non potrà
mai corrispondere perfettamente alla realtà. Questo
modello determinante il tempo necessario potrebbe,
a ragione, essere confrontato con il modello sia basato sulle tariffe orarie, come avviene per esempio per
le spese di un avvocato. Un’ora è fatturata pari pari
alla tariffa fissata. Anche per le prestazioni di progettazione sarebbe un metodo trasparente, equo e responsabile. Eppure questo principio è applicato solo
con i piccoli mandati. Io personalmente lavorerei volentieri più spesso con questo modello. Oltre alla tariffa basata sui costi e il tempo, esistono anche altri
modelli come il sistema bonus-malus, gli onorari forfettari o una combinazione di modelli diversi. Nessuno di questi tuttavia si è finora imposto in grande stile.
Un contratto forfettario o globale è sensato se le prestazioni da fornire possono essere descritte in modo
preciso e con il necessario tempismo. Spesso tuttavia
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C OMUNIC ATI SI A
ciò si rivela fattibile e sensato solo dopo aver stilato un
preventivo. A che cosa devono fare attenzione gli architetti se il committente presenta una bozza contrattuale formulata in base al modello del costo dell’opera determinante il costo necessario? Ecco qui di
seguito alcune delle manovre e degli stratagemmi più
in auge tra mandatari e committenti.
scettici, e ponderate bene, dove si situa per voi il limite, dal punto di vista economico ma anche emozionale.
– Non di rado sono incluse «clausolette scritte in piccolo» (cg) che contraddicono radicalmente le raccomandazioni sia. Ma allora come proteggersi da
imbrogli e truffe?
Stratagemmi tipici del committente
Ecco qui di seguito alcuni consigli fondamentali.
– Occupatevi personalmente delle trattative contrattuali: è una questione di cruciale importanza.
– Offrite soltanto servizi e competenze che padroneggiate realmente.
– Procuratevi il business plan e il progetto di costruzione del committente per essere informati al meglio. Focalizzatevi sul cliente.
– Studiate bene i corrispondenti regolamenti sia.
– Durante le trattative fate appello a tutta la vostra intelligenza e sensibilità, attingendo alla vostra capacità di negoziazione, oppure chiedete supporto a
qualcuno che possiede tali competenze.
– Durante le trattative e anche nelle situazioni più
difficili e delicate non perdete il controllo, ma restate calmi, padroni della situazione e professionali.
– I costi dell’opera determinanti il tempo necessario
sono patteggiati al ribasso con deduzioni ingiustificate, spesso in assenza di spiegazioni plausibili. Purtroppo tale procedura è corrente per molti grandi
committenti, tanto che questa prassi, anzi malcostume, ha ormai numerosi seguaci.
– La categoria «n» è corretta verso il basso (p. es. nella questione appartamenti in locazione contro proprietà per piani).
– I diversi fattori (r, i, s) sono corretti verso il basso
senza una motivazione plausibile ed equa.
– Le spese accessorie si considerano comprese.
– Il concetto di «partecipazione al rischio» è frainteso, e i termini di pagamento giunti a scadenza sono
posticipati in modo considerevole, vale a dire di parecchi mesi. Inoltre gli eventi su cui l’architetto non
ha alcuna influenza determinante (p. es. concessione della licenza edilizia in caso di ricorsi del vicinato o coinvolgimento degli investitori per la determinazione del prezzo) sono impropriamente sfruttati
come movente per abbassare parte dell’onorario.
Se un evento non si realizza, l’importo da tempo
pendente non viene mai più retribuito. Per evitare
che la procedura diventi una strada a senso unico,
bisognerebbe piuttosto parlare anche di «partecipazione alle opportunità».
– Si impone un onorario forfettario, senza poter prima formulare nel dettaglio una presa di posizione
su mandato, architettura, programma, prodotto,
gruppi mirati e così via. Spesso risulta particolarmente fastidioso che da un lato si richieda un forfait e dall’altro si argomenti che il breve tempo fissato per la fornitura della prestazione non sia neppure
sufficiente per prestare le ore di lavoro conteggiate.
Al proposito non si dice che, nel caso di un contratto forfettario, fondamentalmente possibile, questa
questione non deve in alcun modo interessare il
committente. Non è forse un rischio, anzi piuttosto
un’opportunità, che il progettista possa fornire le
proprie prestazioni con procedure più snelle e innovative di quanto previsto dal modello di calcolo?
Insomma, questo atteggiamento, di volere sempre
la botte piena e la moglie ubriaca, è irritante!
– Spesso il mandante detta legge e se ne esce con argomentazioni del tipo: «… tanto sul mercato non
c’è che l’imbarazzo della scelta e se non firma il vostro studio ne troviamo sicuramente un altro…»).
In queste situazioni siate particolarmente critici e
Potenziali
Sarebbe auspicabile che gli eterni criticatori dei contratti sia ideassero una soluzione migliore al proposito. Personalmente, trovo che sarebbe interessante se
si potesse sviluppare un modello contrattuale basato
molto di più sulla fiducia reciproca, dando maggior
peso alle capacità imprenditoriali dell’architetto, e
più orientato ai risultati effettivi.
Inoltre è estremamente positivo che un ampio numero di grandi committenti pubblici, tra cui la Città e il
Cantone di Zurigo, si sia dichiarato disposto a intrattenere un dialogo con la sia e altri rappresentanti
della kzpv (Conferenza delle associazioni degli studi
di progettazione zurighesi) sul tema dei contratti in
ambito architettonico. Questo dialogo costruttivo è
stato aperto tre anni fa e da allora si è giunti a conclusioni importanti con carattere esemplare anche per
altri Comuni della Svizzera che, in materia di onorari
e aggiudicazioni, si ispirano in parte alle pratiche in
corso a Zurigo.
* architetto eth, fondatore e partner della
«ménard partner projekte ag», Zurigo.
Dal 2005 è membro del Comitato sia Sezione Zurigo,
negli ultimi anni in veste di presidente.
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C OMUNIC ATI SI A
Convegno SIA nuovi edifici sostitutivi
nuovi edifici sostitutivi | risanamento, criteri decisionali
Anna Suter*
Thomas Kessler**
Risanare o costruire
ex novo?
24 settembre 2015 a Berna, dalle 9.00 alle 16.30
Contributo per le iscrizioni entro il 31 maggio 2015:
CHF 300.–. Oltre tale termine, ditte SIA : CHF 350.–,
membri individuali SIA : CHF 400.–, non membri: CHF 450.–.
Ulteriori informazioni e iscrizioni www.sia.ch/energia
Il consiglio di esperti SIA Energia ha scelto di dedicare il convegno annuale che si terrà in settembre 2015 ai «nuovi edifici
sostitutivi», un tema che polarizza le opinioni dei progettisti. Un’efficienza energetica lacunosa è sufficiente a legittimare lo smantellamento di edifici e interi quartieri? Qui di seguito sono riportate le posizioni nettamente opposte di due
esperti che interverranno al convegno in veste di relatori.
PRO gli edifici sostitutivi
Thomas Kessler
CONTRO gli edifici sostitutivi
Anna Suter
Riqualificare i vecchi edifici costa caro
Conser vare gli edifici è un obbligo culturale
Sovente sostituire un edificio esistente con uno nuovo
è più conveniente sotto il profilo dei costi. Nel caso di
un risanamento, l’adozione di provvedimenti in materia di sicurezza sismica, l’installazione di sistemi impiantistici al passo con i tempi e la realizzazione di strutture accessibili senza ostacoli sono interventi spesso
particolarmente e sproporzionatamente onerosi. Inoltre, con una nuova costruzione, l’aspetto della sicurezza è curato con maggiore attenzione, dato che le fasi
di edificazione e progettazione possono essere adattate e armonizzate tra loro. Quando si costruisce ex
novo possono confluire nell’edificio, in modo completo ed esaustivo, le ultime notivà e i concetti architettonici e impiantistici più all’avanguardia. Inoltre, al
momento della progettazione si può tener facilmente
conto delle esigenze abitative e lavorative. L’impiego
di materiali edili riciclati contribuisce a mantenere
basso il fabbisogno di energia grigia. Per minimizzare i costi correnti di manutenzione ed esercizio si può
optare per un approccio improntato alla bassa tecnologia, evitando complicati sistemi impiantistici,
senza tuttavia rinunciare al comfort abitativo. Con il
risanamento di un edificio, sussistono delle limitazioni per quanto concerne l’utilizzo passivo dell’energia solare, con una nuova costruzione invece è possibile scegliere la soluzione ottimale per sfruttare
appieno questa fonte energetica. Si può ad esempio
decidere di costruire una casa a bilancio energetico
positivo. Ciò soddisfa anche le future prescrizioni in
materia energetica, attualmente in elaborazione con
il Modello di prescrizioni energetiche dei Cantoni
(MoPEC) che entrerà in vigore a partire dal 2020.
Considerata la situazione geopolitica, risulta palese la
necessità di renderci indipendenti il prima possibile
dai vettori energetici fossili. Da ultimo, se pensiamo al
tema della densificazione, appare evidente che, mentre
nel caso di un risanamento, le riserve legate alle superfici complessive non possono sempre venire attivate, e ciò
per ragioni statiche ed economiche, un nuovo edificio
offre facilmente l’opportunità di portare a realizzazione anche questo aspetto.
Non vi è alcun dubbio sul fatto che dobbiamo ridurre
l’utilizzo delle risorse, ma anche sulla necessità di ripensare il nostro sviluppo insediativo e urbanistico. È
inevitabile trovare una formula di sviluppo che tenga
conto di questi due requisiti.
Uno sviluppo lungimirante è possibile solo se il nuovo si
integra in modo risoluto e convincente con ciò che lo
procede. In altre parole, se si traspone questo stesso
pensiero all’ambiente costruito, significa che possiamo
sviluppare le città e gli insediamenti solo se prima dedichiamo un’accurata analisi e conferiamo il dovuto rispetto alle epoche e agli stili architettonici del passato.
Gli obiettivi della svolta energetica mettono il patrimonio edificato sotto un’enorme pressione: la sostituzione
o un risanamento architettonico eseguito in modo disattento possono mettere a repentaglio l’integrità e la
qualità della sostanza costruita, negandoci l’opportunità di vivere la nostra storia architettonica.
Non basta trattare con rispetto soltanto quegli edifici il
cui valore è riconosciuto e attestato. Dobbiamo avere
cura anche delle costruzioni di medio interesse e verificare con cautela un’eventuale sostituzione.
Quando si deve decidere se optare per una sostituzione o un risanamento è necessario un cambiamento di
paradigma: tutte le persone coinvolte dovrebbero innanzitutto considerare l’opzione della conservazione
dell’edificio. Una sostituzione è giustificata solo se,
presi in considerazione tutti i fattori e, nella fattispecie,
i valori culturali, storico-architettonici e sociali, è appurato che l’edificio non possa essere salvato.
Circa un terzo del nostro parco immobiliare risale agli
anni compresi tra il 1960 e il 1973, ovvero l’epoca precedente la crisi petrolifera. In materia di consumo
energetico si tratta di un’architettura oggi ormai insostenibile e bisognosa di un risanamento attento e creativo. Tuttavia, smantellando tutti questi edifici e sostituendoli con nuove costruzioni, creiamo all’interno
delle città e degli insediamenti dei veri e propri «buchi» storico-architettonici.
* titolare dello studio di architettura «Suter + Partner ag
Architekten» di Berna e dal 2014 membro del Comitato sia
** responsabile del servizio «Kantons- und Stadtentwicklung»
nel dipartimento presidiale del Cantone di Basilea-Città.
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4
esperienza
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Tetti verdi · Sistemi energetici
NOTIZIE TI
Alberto Caruso
Milano, due idee
alternative di città
Expo 2015 e Fondazione Prada
Expo propone uno spazio che è certamente di una
dimensione e una qualità adeguata al livello mondiale dell’evento. Il percorso centrale che innerva l’intero insediamento – il «decumano» – ha una scala proporzionata ai 150.000 visitatori. Le sue dimensioni,
circa 1600 metri per 50 metri, richiamano addirittura
quelle degli Champs Elisées (circa 1900 metri per 88
metri), la cui percezione è tuttavia impedita dalle alberature, mentre il decumano è un piano libero e
vuoto. La copertura, pensata per alleviare la calura
estiva, definisce verso il cielo lo spazio favorendone la
percezione completa. Ai lati, i padiglioni formano un
limite irregolare, ma la lunghissima prospettiva dei
pilastri bianchi della tensostruttura determina un allineamento ordinato e infinito.
Il concetto urbanistico deriva ancora dal masterplan
originario, poi bocciato dal Bureau International des
Exposition. Già l’Expo di Hannover (il cui masterplan
era stato concepito da Arnaboldi e Cavadini a seguito
di un concorso) prevedeva una trama, anch’essa delimitata sui bordi da vie d’acqua, costruita intorno a
un grande asse longitudinale. Per Milano si tratta certamente di una novità, un grande spazio collettivo
condiviso da molte decine di migliaia di persone di
culture diverse, che si scambiano conoscenze scoprendo mondi lontani e prima ignorati.
Dal punto di vista spaziale, Expo è il decumano, e
poco altro. Ma la straordinaria urbanità del decumano è soltanto virtuale, perché Expo è un enclave, chiusa tra quartieri industriali, ferrovie e autostrade. Il
decumano è privo di sbocchi e connessioni con i percorsi della città, la cui trama qui è già rotta dalle infrastrutture in brani separati. La connessione tra la
stazione della metropolitana e della ferrovia e l’ingresso principale è complessa e faticosa, mediata
da un lungo ponte e da rampe ortogonali. È l’effetto della scelta errata del sito, che ha comportato
l’isolamento dalla città del grande insediamento
espositivo temporaneo, e quindi dell’isolamento delle attività – qualsiasi esse siano – che ne prenderanno
definitivamente il posto. Il fatto che si tratti di un limite comune a quasi tutte le esposizioni universali e a
quasi tutti i siti residenziali delle Olimpiadi – l’unica
vera eccezione è Barcellona – non allevia il danno
subìto dalla città, che avrebbe potuto utilizzare il
grande evento, e i finanziamenti relativi, per ridisegnare, o rigenerare, una o più aree dismesse, per riattivarle a tutti gli effetti nell’impianto urbano.
È meglio astenersi dal commentare, invece, la qualità
dello spazio del cardo, con il retorico fondale dell’orrendo «albero della vita» e con quel pasticcio modaio-
1. Milano, Expo 2015, il decumano
2. Milano, Expo 2015, l’ingresso al Padiglione svizzero
lo del padiglione italiano. Gli altri padiglioni fanno a
gara per relazionarsi, con atteggiamenti e linguaggi
diversi, al grande decumano e per trattare, in modo
polifonico e sovente con efficacia, il tema della scarsità e della distribuzione iniqua delle risorse alimentari.
Tra i concetti più chiari c’è sicuramente quello del padiglione svizzero, che è elementare, totalmente interattivo, coinvolgente. Peccato che l’architettura (di Netwerch GmbH di Brugg) sia molto debole, vecchia, non
attrattiva, con l’ingresso alla mostra sbagliato – nascosto sotto alla grande rampa che porta al ristorante.
Il difetto nasce da lontano, dal bando di concorso sul
concetto progettuale, che prevedeva la figura dell’architetto solo in seconda fase – per «vestire» il concetto
selezionato – e una giuria priva di architetti.
La cultura architettonica elvetica, tuttavia, riscatta la
sua qualità con i tre fabbricati lignei del padiglione di
Slow Food progettati da Herzog e De Meuron, essenziali e bellissimi, completamente smontabili e rimontabili.
Per il dopo Expo sarà necessario insediare nel sito delle attività di alto valore, per utilizzare pienamente l’elevato investimento in infrastrutture. E sarà indispen-
18
NOTIZIE TI
sabile promuovere un nuovo impegno progettuale
perché non venga annullata la potenzialità spaziale
del decumano, e soprattutto per studiare connessioni
più dirette e compiute, anche spazialmente, con il trasporto pubblico.
La scelta del sito di Expo è stata, in ultima analisi, la
massima espressione dell’idea di una città che continua
a espandersi nel territorio periurbano anziché disegnare nuovi progetti di densità nelle aree già costruite.
La nuova sede della Fondazione Prada, progettata da
oma, propone invece un’idea di città opposta e alternativa. Alle spalle dello scalo ferroviario abbandonato
di Porta Romana, nella grande area industriale novecentesca, Rem Koolhaas ha lavorato sugli edifici di una
ex distilleria costruita nel 1910. La complessità è la caratteristica dell’insediamento, formato da sette fabbricati ai quali sono stati aggiunti tre fabbricati nuovi.
«Il progetto della Fondazione Prada – scrive Koolhaas – non è un’opera di conservazione e nemmeno l’ideazione di una nuova architettura. Queste due dimensioni, in genere distinte, qui coesistono e si
confrontano reciprocamente in un processo di continua interazione, quasi fossero frammenti destinati a
non formare mai un’immagine unica e definita, in
cui un elemento prevale sugli altri».
I fabbricati sono volumetricamente diversi, come spesso avviene negli insediamenti industriali che sono oggetto di successive aggiunte corrispondenti a segmenti
specifici dell’attività produttiva, e diversi sono anche
gli spazi aperti compresi tra di loro, sui quali il progetto ha investito moltissimo in termini di attrattività, giocando proprio sulla molteplicità delle condizioni.
La nuova torre svetta dal recinto stabilendo relazioni
con gli altri edifici alti della città, ed è l’unico volume
ancora in cantiere. I 19.000 mq della fondazione ospitano oggi otto mostre, curate da critici e studiosi
come Germano Celant e Salvatore Settis.
Per la mostra più importante, curata da Settis,
Koolhaas ha configurato il nuovo grande padiglione – che riassume magistralmente la lezione di
Mies – inventando un paesaggio nel quale le sculture
antiche sono raccolte in gruppi assecondando la sequenza narrativa di Settis.
Risolti con grande appropriatezza e chiarezza concettuale, i dettagli costruttivi dell’accostamento e della
transizione tra i manufatti preesistenti e quelli nuovi
evidenziano la ricerca avanzata sui materiali che caratterizza da sempre il lavoro di oma. La complessità
delle relazioni architettoniche tra vecchio e nuovo e
tra pieno e vuoto ha un riscontro di corrispondente
intensità nella complessità urbanistica dell’insediamento. Il sito industriale di Porta Romana è in fase di
trasformazione, soprattutto con sostituzioni complete degli immobili produttivi esistenti con nuovi e banali immobili per attività terziarie e residenziali, sostituzioni favorite dalla cultura immobiliare prevalente
e assecondate da una normativa che non prevede
differenze di diritti. Questa della Fondazione Prada è
una lezione su come si può trasformare la città e produrre nuova qualità utilizzando il patrimonio esistente, senza preconcetti ideologici, sia nel senso della museificazione dell’esistente che nel senso del suo forzato
rinnovamento. La «radicalità» che Rem Koolhaas ha
sempre cercato nelle sue riflessioni sull’architettura,
qui non viene moderata, ma viene declinata dal confronto con la sostanza costruita della città, colma di
memorie e di segni delle fatiche dei suoi abitanti.
Le dimensioni non consentono, ovviamente, paragoni con Expo, ma in questo progetto l’idea di una città
che si costruisce sul costruito è indicata con grande
chiarezza. I visitatori lo comprendono, e rimangono
allibiti dalla bellezza di spazi antichi recuperati con
colta maestria contemporanea.
Oggi alcuni architetti stranieri – come Grafton Architects con l’ampliamento dell’università Bocconi, come
Peter Eisenmann con la trasformazione dell’ex Carlo
Erba, e come Rem Koolhaas con questo lavoro – dimostrano di essere capaci, più degli architetti italiani,
di interpretare Milano e le potenzialità della sua possibile rigenerazione.
3. Milano, Fondazione Prada, vista di uno spazio aper to
4. Milano, Fondazione Prada, vista del padiglione Pudium
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NOTIZIE TI
Bando del Premio
SIA Ticino 2016
Il Premio sia Ticino intende promuovere il lavoro di
quei progettisti che si distinguono nella loro opera
per uno sguardo attento, innovativo e valorizzante
verso il territorio quale bene culturale dell’intera società e, nel contempo, premiare i committenti che
rendono possibile che questo avvenga. Per la prima
volta dalla sua introduzione, in occasione della sua
quarta edizione, il premio si apre oltre che agli architetti, anche alle altre categorie di progettisti nell’ambito della costruzione e della pianificazione, per allargare la propria pertinenza in un raggio d’azione
ancor più ampio.
1.
1.1.
1.2.
2.
2.1.
2.2.
2.3.
3.
3.1.
3.2.
3.3.
3.4.
SCOPI
Por tare a conoscenza del grande pubblico le peculiarità delle professioni svolte dai nostri associati; in modo par ticolare sot tolineare il ruolo
qualitativo delle nostre professioni nel processo
di costruzione e gestione del territorio e l’impatto del nostro operato sulla società in par ticolare
del Ticino e della Svizzera italiana.
Av vicinare alla cultura del proget to i futuri commit tenti tramite la divulgazione di esempi concreti di opere di architet tura e di ingegneria.
IL PREMIO
Il premio è assegnato a commit tenti che, grazie
alla loro competenza e professionalità, hanno
contribuito a promuovere la realizzazione di opere par ticolarmente significative.
Il premio è at tribuito all’opera tramite il suo commit tente.
Il premio SI A Ticino consiste in una targa di acciaio, da applicare o collocare nel luogo del proget to
premiato, sulla quale saranno incisi il logo della
SI A , il nome del commit tente, il nome dei progettisti, la data di realizzazione e la data del premio.
Nel corso della cerimonia di premiazione al commit tente sarà consegnata la targa e un at testato
che sarà consegnato anche al proget tista.
MODALITÀ E CONDIZIONI DI PARTECIPA ZIONE
Il concorso è aper to a tut ti i commit tenti che hanno promosso la realizzazione di opere di architettura, di ingegneria e di pianificazione nella Svizzera italiana.
Il principio è di premiare un’opera di architet tura,
di ingegneria realizzate o un proget to di pianificazione concluso e approvato che ha saputo illus tr are nel modo migliore l’e c c ellenz a nei r ami
rappresentati dalla SI A , in par ticolare per il suo
influsso sul territorio e sulla società.
Le opere possono essere presentate diret tamente dai commit tenti oppure tramite i proget tisti.
Sono ammesse candidature per opere concluse e
pianif ic a zioni appr ovate e in v igor e, r e aliz z ate
dal 01.01.2009 al 30.09.2015.
3.5.
3.6.
Opere realizzate da membri della giuria, da loro collaboratori o da progettisti legati da parentela con i
giurati non possono partecipare al concorso.
Opere già candidate nelle edizioni precedenti non
sono più candidabili.
4.
4.1.
MODALITÀ D’ISCRIZIONE E TERMINI
Le condizioni di par tecipazione all’assegnazione
del premio sono pubblicate sul Foglio Uf ficiale
del Cantone Ticino, sulle riviste Archi, Tec21, Tracés, sulla stampa locale e sul sito internet della
SI A Ticino www.sia- ticino.ch.
4.2. I formulari per l’iscrizione sono scaricabili dal sito
internet www.sia-ticino.ch oppure possono essere
richiesti alla SI A Ticino al seguente indirizzo: Segretariato SI A Ticino, Piazza Nosetto 3, 6500 Bellinzona,
tel +41 91 825 55 56, fax +41 91 825 55 58.
4.3. Gli at ti si possono scaricare dal sito internet
www.sia- ticino.ch oppure facendone richiesta
all’indirizzo e- mail: info@sia- ticino.ch
4.4. I documenti di concorso dovranno per venire al segretariato SI A entro il 30.09.2015.
5.
5.1.
5.2.
DOCUMENTI RICHIESTI PER L A PARTECIPA ZIONE
Per par tecipare alla selezione della giuria dovranno essere inviati al segretariato, entro i termini stabiliti, i documenti elencati di seguito:
• Il formulario d’iscrizione debitamente compilato;
• Due tavole, formato A1 orizzontale contenenti gli
elementi principali del progetto (elaborati grafici,
fotografie, testi ecc.);
• Una relazione tecnica esplicativa dei concet ti e
degli obiet tivi (massimo 8 pagine A4, corpo 10pt
e interlinea singola);
• Un CD contenente i documenti dei punti precedenti in formato pdf e foto rappresentative dell’opera di architettura o di ingegneria (almeno 3 immagini 2100 x 2800 pixel in formato .tif o pdf).
Il materiale dovrà essere di qualità suf ficiente affinché possa essere pubblicato nel catalogo del
concorso.
6.
6.1.
CRITERI DI VALUTA ZIONE DELLE OPERE
La giuria valuterà l’eccellenza dell’opera in base
ai seguenti criteri:
• Il rappor to con il territorio e la società;
• La funzionalità, la soluzione tecnica proposta e
lo spirito innovatore;
• La chiarezza e la coerenza del processo progettuale. I criteri s ar anno sp e cif ic ati in de t t aglio
dalla giuria.
7.
7.1.
L A GIURIA
Il presidente e i membri della giuria sono nominati
dalla SI A Ticino.
La giuria del premio SIA 2016 è cosÌ composta: Presidente: avv. Dick Marty, Lugano; Membri: arch. Christina
Zoumboulakis, Losanna; prof. Virginio Bettini, Venezia;
arch. Martin Boesch, Zurigo; arch. Francesco Della
Casa, Ginevra; ing. Gabriele Guscetti, Ginevra; ing. Jobst Willers, Rheinfelden.
La giuria svolge il suo ruolo autonomamente.
La giuria decide, oltre all’assegnazione del premio principale, di segnalare altre opere meritevoli di at tenzione.
7.2.
7.3.
7.4.
20
NOTIZIE TI
7.5.
I membri della giuria mantengono il riserbo assoluto sui processi di assegnazione.
Il verdet to della giuria sarà reso pubblico per il
tramite della SI A a tut ti i par tecipanti, alle associa zioni pr ofes sionali inter es s ate, alle ri v is te
specializzate e ai media del Cantone.
7.6.
8.
8.1.
8.2.
8.3.
9.
9.1.
PREMIA ZIONE
Il premio sarà attribuito nell’ambito di una manifestazione pubblica, alla presenza dei partecipanti,
della giuria, degli sponsor e dei media.
Tut te le opere presentate saranno esposte e pubblicate su un catalogo che testimonierà l’importanza della manifestazione.
Per dare ulteriore risalto all’impor tanza della manifestazione le opere premiate saranno divulgate
tramite il sito internet della SI A .
ESPOSIZIONE DELLE OPERE
La SI A organizzerà a Castelgrande di Bellinzona,
l’esposizione di tut te le opere presentate dal 26
febbraio 2016 al 06 marzo 2016. L’inaugurazione
avrà luogo in concomitanza con la cerimonia di
assegnazione del premio il 26 febbraio 2016.
10. RESTITUZIONE DEI MATERIALI
10.1. I materiali inviati dai concorrenti, relativi alle
opere premiate, resteranno di proprietà dell’ente
banditore.
10.2. Tut ti gli altri lavori potranno essere ritirati entro
un massimo di 5 g g. dalla chiusura dell’esposizione, presso il segretariato della SI A .
11.
ASPET TI LEGALI
11.1. I par tecipanti riconoscono con la loro firma sul
formulario d’iscrizione di accet tare il regolamento del premio SI A Ticino.
11.2. Il giudizio della giuria è inappellabile; sono escluse le vie legali.
11.3. I concorrenti confermano, con la loro par tecipazione, di essere i commit tenti rispet tivamente i
proget tisti delle opere inoltrate e ne approvano
la pubblicazione.
12.
DISPOSIZIONI FINALI
12.1. Il presente bando è approvato dalla
dalla Giuria.
SI A
Ticino e
Le superfici sono
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D I A R I O D E L L’ A R C H I T E T T O T I
Paolo Fumagalli
São Paulo
1.
Citta, metropoli, megalopoli
Questa volta scrivo proprio un Diario come si deve,
un diario personale: quello di un papà che va trovare
il figlio che vive a San Paolo. In questa città incredibile, la più grande città del Brasile: 21 milioni di abitanti nell’ininterrotta continuità urbana della sua regione metropolitana. Ma attenzione, non è la città liquida
o la città diffusa come da noi qui in Europa, né San
Paolo è una città americana – Phoenix o Dallas o
Houston – con il gruppo di grattacieli a formare quel
downtown vuoto alle 18.30 e deserto i giorni festivi.
Qui no. Certo, San Paolo è anch’essa una città estesa
senza fine. Ma è una città vera, densa fino ai suoi limiti estremi, dove anche laggiù lontano chilometri dal
centro si ergono i grattacieli, circondati da quartieri
di abitazione, fabbriche e shopping e ex favelas (che
anno dopo anno hanno sostituito le lamiere con il
mattone) e altre nuove favelas – queste sì fatte di lamiere e residuati di demolizioni o discariche. E qua e
là grandi macchie di verde, talvolta disegnate a parchi, talvolta ancora vergini nel ricordo di antiche foreste. Oltretutto, questa gigantesca metropoli non è
adagiata su una piatta pianura, ma si estende su colline e riempie valli, trovando una propria identità
nell’ininterrotta gerarchia di episodi dominanti nel
paesaggio urbano.
Uno, due, tre centri città
Ed è lassù su una di queste colline che si trova il centro
nevralgico più conosciuto di San Paolo. Un centro costituito dalla perfetta infilata di grattacieli a cadenzare e disegnare il magnifico spazio lungo 3 chilometri
dell’Avenida Paulista. Grattacieli alternati a istituti
scientifici, a ristoranti e cinema e teatri e musei e a
giardini e parchi, un concerto urbano pulsante di vita
24 ore al giorno, tutti i giorni della settimana. Altro
che downtown all’americana. Non solo, ma se si scende
nella valle sottostante e ci s’incammina verso Praça da
Sé si entra in un altro centro della città – i quartieri
Consolaçao e Sé – i più antichi, con la Cattedrale, e
più oltre la Stazione ferroviaria, Estaçao da Luz. Ma se
invece di scendere da questo lato dell’Avenida Paulista
si scende dall’altro, ci si imbatte quasi subito in un altro centro – il quartiere Jardim Paulista – con le boutique e i negozi di lusso, i ristoranti e sushi e pizzerie e
Starbucks e bar, fino alla pasticceria Douce France. E
più oltre, passato il Parque Ibirapuera e il quartiere
Brooklin Paulista si raggiunge gli ultimi quartieri realizzati, Cidade Monçoes e Vila Coldeiro e Vila Gertrudes, con gli alti grattacieli delle multinazionali lucenti
nei riflessi vetrati della loro arroganza.
1. San Paolo, la città
Una storia, una città
I quartieri di Sao Paulo non costituiscono solo la suddivisione amministrativa di questa immensa città, ma
ogni quartiere – in una metropoli che conta 20 milioni di abitanti – è anche una città a sé con i suoi di milioni di abitanti, con strade e spazi e piazze e giardini
e architetture che le sono specifici. Insomma, quartieri con una loro propria identità. Ognuno città dentro la grande città. Vi è gente di un quartiere – la sua
città – che non è mai stata in un altro quartiere, magari distante chilometri dal suo.
Così, camminando per le strade di San Paolo e andando di quartiere in quartiere e guardando l’architettura che vi circonda, nonostante l’affastellarsi di
edifici di mole ed epoche e stili molto diversi, parecchi decadenti sotto il peso degli anni, si vive non solo
la storia dell’architettura dalla metà dell’Ottocento a
oggi, ma si comprende quali sono stati i momenti storici di San Paolo – e del Brasile.
Dal latifondo all’urbano
La colonizzazione portoghese – iniziata nell’anno
1500 – termina nel 1822 con l’indipendenza del Brasile, e la proclamazione della Repubblica Federale del
Brasile nel 1889. È anche il primo periodo di crescita
del Paese, che dura fino al crollo della Borsa di New
York del 1929, determinato dalla produzione del caffè, e poi di gomma, zucchero e cacao, che costituivano il 90% dell’esportazione del Paese. A fianco dei
grandi latifondi prendono anche forma centri urbani
e porti, necessari per il commercio e l’esportazione:
San Paolo e Rio de Janeiro per il caffè; Recife per lo
zucchero; Salvador per il cacao; Belém e Manaus per
la gomma.
22
D I A R I O D E L L’ A R C H I T E T T O T I
Soprattutto dall’Europa partono allora, in questa
fine Ottocento, milioni di emigranti a lavorare nei vasti possedimenti agricoli o ad abitare le città di nuova
formazione. Ma non è solo una questione di numeri.
La progressiva importanza delle città si traduce nella
graduale autorevolezza della élite urbana progressista e cosmopolita, a detrimento del conservatorismo
della società tradizionale, legata alla produzione agricola. È il momento del passaggio dal «latifondo
all’urbano», è il momento della formazione delle città brasiliane, è l’abbandono del carattere coloniale
per abbracciare la modernità urbana: creare le infrastrutture necessarie – igienico-sanitarie, acqua,
gas – e riorganizzare lo spazio fisico in un primo tentativo di urbanizzazione razionale.
2.
Il potere, la modernità
La depressione del 1929 sfociò nel colpo di stato di
Getulios Vargas, che sarebbe rimasto al potere fino al
1954. Vargas dà progressiva importanza allo Stato
nazionale a detrimento delle politiche locali, e, al di
là del carattere autoritario e della cancellazione delle libertà politiche, provvede alla creazione di organi pubblici centrali, di leggi e servizi nazionali, di ministeri, strutture, insomma, che furono di premessa
alla modernizzazione del paese. È con orgoglio che il
governo fascista di Vargas partecipa all’Esposizione
mondiale del 1938 a New York con un proprio padiglione. E ottiene un primo riconoscimento internazionale grazie ai due architetti che lo progettarono: Lucio Costa e Oscar Niemeyer. Che saranno poi, assieme
agli altri colleghi dell’epoca, protagonisti nel 1943
dell’esposizione Brazil Builds al moma di New York,
che accende i riflettori sull’architettura del Brasile.
Ma con la mostra Brazil Builds gli Stati Uniti di Roosevelt avevano anche un altro obiettivo: promuovere
una politica di buon vicinato e ottenere l’appoggio
del Brasile nel conflitto mondiale contro la Germania. Vargas esercitò allora una politica di neutralità:
vicino sia ai nazisti e sia ai nordamericani. In cambio,
ottenne cospicui finanziamenti: il periodo bellico fu
per il Brasile un momento di prosperità, a differenza
di quanto capitava nel resto del mondo.
La caduta di Vargas aprì un breve periodo democratico. Il presidente Juscelino Kubitschek, che come governatore dello Stato di Minas Gerais aveva promosso la
riqualificazione urbana di Belo Horizonte poggiandosi
su Oscar Niemeyer, promuove una forte industrializzazione del paese e importanti lavori pubblici, tra cui la
realizzazione della nuova capitale Brasilia, affidata a
Lucio Costa e Oscar Niemeyer. Nel 1961 il nuovo presidente Joao Goulart ereditò una difficile situazione economica che sfociò nel 1964 nella violenta dittatura militare, durata fino al 1984. Molti scapparono all’estero,
tra cui anche Oscar Niemeyer, che si rifugiò a Parigi.
Poi la storia è quella recente. La caduta della dittatura
aprì di nuovo il paese verso l’esterno, pur se afflitto da
3.
2. Ar tacho Jurado, Edificio Parque das Hor tensias, 1957
3. Oscar Niemeyer, Edificio Copan, 1951
problemi economici, corruzione dilagante, inflazione,
fughe di capitali e forti tensioni sociali, con una divaricazione sempre più feroce tra classi ricche e classi povere. Sarà con l’affermazione alle elezioni del 2003 di
23
D I A R I O D E L L’ A R C H I T E T T O T I
Luiz Inácio Lula da Silva che avverrà una decisiva svolta politica, con provvedimenti a favore di una maggiore giustizia sociale, riforma delle pensioni, programmi
di aiuto alle famiglie indigenti. In parallelo, in un difficile equilibrio, Lula affronta l’economia dissestata e
riesce a rendere economicamente indipendente il Paese dai provvedimenti del Fondo Monetario. In questo
approfittando dello sviluppo economico mondiale che
favorisce i paesi a basso costo lavorativo.
Il resto è storia di oggi.
Nulla si distrugge: da un quartiere all’altro la
storia della città e della sua architettura
Per chi ama l’architettura, camminare da un quartiere all’altro di San Paolo è percorrere la storia, non
solo quella della città come ovvio, ma della stessa architettura. Perché San Paolo non è cresciuta e non si
è sviluppata per sostituzioni, non ha demolito vecchi
quartieri per sostituirli con dei nuovi – come nelle città europee o asiatiche – ma ha conservato quelli esistenti e vi ha costruito a fianco quelli nuovi. Nuovi
quartieri che si sono aggiunti a quelli esistenti ognuno con logiche urbane proprie, dando forma a una
metropoli cresciuta in progressione, discontinua e
sempre estremamente densa. Ma è prorpio in questo
che San Paolo è affascinante. Salvo le ville padronali
e gli antichi quartieri coloniali, qui nulla è stato distrutto, tutto è ancora conservato. Tutto qui è moderno. Dentro questa formidabile densità, di quartiere
in quartiere emergono le architetture dell’eclettismo
del Teatro Municipal (1911), gli spazi a carattere industriale degli interni della Estaçao da Luz (1901) e del
neoclassico Mercado Central (1928), lo spazio della Biblioteca dell’Edificio Mackenzie (1894 e 1926), le torri
del Prédio Martinelli (1929) e le geometrie dell’Edificio Esther (1938) e del Prédio do Banespa (1939).
E poi i capolavori del Dopoguerra. A iniziare con il
gesto clamoroso dell’edificio Copan (1951) di Oscar
4.
Niemeyer, che si infila come un’anguilla tra gli edifici
circostanti, e ancora di Niemeyer strutture e edifici
nel Parco di Ibirapuera – con la stupefacente Grande
Marquise del 1954 – e l’insieme del Memorial da
America Latina (1989). E poi Rino Levi con l’Edificio
Prudencia (1948), Franz Heep (e il contributo dell’ingegner Roncati, padre di Flora Ruchat) con l’Edificio
Italia (1965), Artacho Jurado con l’Edificio Parque
das Hortensias (1957), un David Libeskind razionalista con il Conjunto Nacional (1962), Lina Bo Bardi
con i due magnifici edifici del Museo de Arte Moderna (1968) e del SESC (1986).
Infine – per necessità occorre chiudere – le opere di
due grandi dell’architettura brasiliana: Joao Batista
Vilanova Artigas con il capolavoro della Faculdade de
Arquitetura (1969) all’Università di San Paolo e Paulo
Mendes da Rocha con la Galeria de Arte fiesp (1998),
il Museo di scultura (1988), la ristrutturazione della
Pinacoteca do Estado (1998) e l’intervento a Praça
Patriarca (2002).
Ora però la metropoli San Paolo – anzi, tutto il Brasile – è messa a confronto, dopo una velocità di crescita economica e urbana enorme, a un grave deficit
infrastrutturale. L’economia privata ha delle dinamiche tali che lo Stato e gli enti pubblici – oltretutto
afflitti da importanti carenze organizzative – non riescono a seguire. Per forza di cose ha bisogno di tempi
più lunghi. Il compito ora per il Brasile è realizzare
quelle infrastrutture oggi insufficienti – elettricità,
acqua, aeroporti, strade e autostrade, reti ferroviarie
– così come San Paolo, alle prese con un traffico automobilistico caotico, cui cerca di far fronte con nuove
linee della metropolitana e con un trasporto su monorotaia. Mentre a un lato della marginal, l’ingolfata
strada di distribuzione del traffico verso il centro della città, scorre l’acqua maleodorante del fiume Tietê,
sull’altro lato crescono a ogni istante nuove favelas.
San Paolo è anche questo.
4. Paulo Mendes da Rocha,
Praça Patriarca, 2002
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PROGETTI TI
Lorenzo Felder
testo Vincent Mangeat*
foto Pino Brioschi
Ristrutturazione
di una banca, Lugano
Exact, vous avez dit «exact»!
Il progetto di ristrutturazione della Banque de Dépôt
et de Gestion di Lugano, ex casa Taddei, è per diversi
motivi esemplare.
Prima di tutto, la banca ha la lungimiranza di affidarsi
a un architetto con il quale ingaggia un dialogo fecondo e di qualità, accompagnato dagli enti comunali
e cantonali per le questioni urbanistiche e culturali.
Questo restauro e riabilitazione è altrettanto esemplare per il rapporto che si instaura tra la scala dell’edificio e la scala urbana.
Per la città, offerto alla città… è un notevole contributo alla riqualifica della piazza Riforma dove il potere
politico con la sua amministrazione si impone scenograficamente.
Osservate come tutt’attorno gli edifici gli si inchinano toccandosi tra di loro. È come se un po’ di Siena si
sia accasata ai piedi del massiccio alpino.
Maltrattato dal tempo, cattivo consigliere, e dagli uomini che troppo spesso ne fanno le veci, l’edificio reinventato era «un malato grave». Scosso, rotto, asfissiato,
in stato di apoplessia. Si scommette sulla sua prospettiva di vita.
Non è quindi strano che un banchiere preoccupato di non rovinare il suo patrimonio si affidi a un architetto per riportarlo alla vita.
Per il suo progetto l’architetto curatore fa un’anamnesi domandando all’edificio di raccontargli il suo passato e la storia della sua decadenza. Lo ascolta, e
poi lo ausculta. Sulle radiografie rilevate, l’architetto
diagnostica il male che lo divora. È quindi di insufficienza respiratoria che soffre l’edificio.
Al centro, dentro la cassa toracica dove risiedeva il
vuoto polmonare, nel corso del tempo, hanno costruito locali di servizio, e ancora dei locali di servizio …
Ancora più grave, la pleura era stata perforata. Sapete, quella membrana che avvolge il centro. Il centro
vuoto della corte «ventilata» attorno alla quale sono
disposte le sale. L’edificio era quindi una domus, una
casa, un palazzo con le sale attorno a una corte. Un
vuoto circondato da un pieno. Un vuoto… sempre
tanto fragile che lo si vuole colonizzare.
Al malato l’architetto prescrive un trattamento radicale riassunto in un concetto: «riabilitare il vuoto centrale, generatore». Il centro attorno al quale tutto potrà riprendere il suo posto. Al suo posto.
Nel centro, vuoto e liberato, l’architetto fa, gli uni su
gli altri, degli ampi pianerottoli che segnano l’elegante «percorso della scala» che si snoda attorno a una
colonna di luce zenitale.
Nel progetto tutto ritorna in modo chiaro, leggibile,
visibile, evidente. L’unità tematica dell’attività bancaria potrà svolgersi nuovamente sviluppandosi dal vuoto centrale verso la periferia delle sale delimitate dalla bella facciata di Giuseppe Pagani.
Si è dunque riportato in vita l’edificio. Lo spazio, la
struttura e la luce si riunificano e si riconciliano.
Tre sono i «materiali» presenti, scelti con precisione.
Lo gneiss di Cresciano, il legno di rovere massiccio e
un colore grigio chiaro con una punta di giallo. Insieme in relazione tra di loro creano una «necessità» interna che dà senso all’opera intera. Una trinità di cui
il terzo elemento è congruente agli altri due.
Con questa esemplare realizzazione, il committente
si presenta, mostrando ai suoi clienti e ai suoi ospiti la
sua stima. Alla città di Lugano dice ciò che gli deve.
A voi che osservate il cielo del portico, vi sono offerti
dei fiori. Forse delle asclepiadi dai petali rosa, odoranti. Che piacevole profumo!
* architetto, professore emerito epfl
26
PROGETTI TI
RISTRUT TUR A ZIONE BANQUE DE DÉPÒTS E T DE
GESTION, PIA ZZ A RIFORMA 3, LUGANO
Committente Banque de Dépòts et de Gestion; Lugano |
Architettura studio di architettura Lorenzo Felder sa; Lugano Collaboratori G. Radice, A . Tendeiro, L. Brügger, G.
Pellegrini | Direzione lavori Giovanni Motta, Edilstudio
Motta; Agno | Ingegneria civile Michele Lepori, Gian Tomaso Arnold, Studio d’ingegneria Lepori sa; Canobbio | Ingegneria impiantistica Antonio Ariemma, Francesco Visani,
Studio d’ingegneria Visani Rusconi Talleri; Taverne | Ingegneria elettrotecnica Mauro Ciriello, Ricardo Francisco,
Elettroconsulenze Solcà sa; Mendrisio | Protezione antincendio Ida Puricelli; Mendrisio | Fisica della costruzione
Andrea Boletti, ifec Consulenze sa; Rivera | Ingegneria ambientale Mauro Gandolla, Econs sa; Bioggio | Metalcostruttore Teresio Boto; Arcisate | Fotografia Fotobrioschi;
Bellinzona | Grafica Isabella Steiger; Lugano | Date progetto 2008, realizzazione 2009-2012
27
PROGETTI TI
Pianta piano tipo, situazione prima dell’inter vento
Pianta piano tipo
Pianta piano terra
28
PROGETTI TI
Sezione trasversale
Sezione longitudinale
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Sara SA
Via alle Brere 5
CH-6598 Tenero
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LIBRI TI
Andrea Roscetti
Vincent Laganier
e Jasmine van der Pol
Light and Emotions
Birkhäuser, Basel 2011
Ser vizio ai lettori
Avete la possibilità di ordinare i libri recensiti all’indirizzo [email protected]
(Buchstämpfli, Berna), indicando il titolo
dell’opera, il vostro nome e cognome, l’indirizzo di fatturazione e quello di consegna.
Riceverete quanto richiesto entro 3/5
giorni lavorativi con la fattura e la cedola
di versamento.
Buchstämpfli fattura un importo forfettario di CHF 8.50 per invio + imballaggio.
Il libro è il frutto di una ricerca, sponsorizzata da un grande produttore di
sistemi per l’illuminazione, e presenta
lo stato dell’arte della progettazione
illuminotecnica grazie alle interviste a
un gran numero di lighting designer.
L’attenzione crescente all’illuminazione in architettura, accentuatasi negli
ultimi anni grazie alle nuove tecnologie
che permettono maggiore flessibilità,
fornisce la base del dialogo con gli
specialisti.
Il sottotitolo stesso rende chiaro l’obiettivo della pubblicazione: «Esplorando le culture dell’illuminazione.
Colloquio con i progettisti della luce».
Nel libro vengono alla luce i differenti
approcci dovuti al background eterogeneo degli intervistati in fatto di
formazione e esperienza professionale. La provenienza geografica dei designer rappresenta nella ricerca un
ulteriore fattore di interesse: dai contributi raccolti, a detta degli autori, è
però possibile esclusivamente definire dei trend dettati dalle similitudini e
dalle differenze culturali senza poter
trarre delle conclusioni generali.
Il primo capitolo della pubblicazione
si focalizza sui parametri del progetto
luce. Sono definiti il ruolo della lumi-
nosità per la percezione degli oggetti,
il contrasto come composizione di
chiaro e scuro e di creazione di ritmo
nello spazio, la dinamica della luce per
dare vita agli oggetti, il colore e il contrasto nel colore per saturare o sfumare e dare sensazione di calore o
freddo, invitare o creare distacco, la
direzionalità della luce per creare
ombre e determinare la posizione e la
qualità della fonte di luce.
I concetti base sono presentati con
brevi testi introduttivi alla tematica,
completati dalle immagini dei diversi
progetti realizzati dagli specialisti
intervistati, corredati anche da brevi
citazioni degli autori, veri e propri
slogan che esprimono il concetto di
base delle realizzazioni.
Il capitolo «Emozioni» è strutturato in
maniera simile al precedente, dando
più spazio agli aspetti percettivi ed
emozionali. Come nella sezione precedente le immagini sono corredate
da brevi commenti dei designer, molto
più personali e che esprimono gli
obiettivi personali e gli effetti delle
singole realizzazioni nel campo delle
sensazioni.
Il capitolo centrale tratta il dialogo con
i progettisti di illuminotecnica. Sono
presentati estratti da interviste con
47 professionisti con esperienza pluridecennale, provenienti da 12 paesi
in cui la professione è riconosciuta e
ben codificata da almeno 10-15 anni:
Brasile, Corea del Sud, Francia, Germania, Giappone, India, Italia, Messico, Regno Unito, Stati Uniti, Taiwan e
Tailandia.
I contributi provengono da interviste
con soggetti attivi e appartenenti alle
associazioni nazionali e internazionali del settore, riconosciuti quindi come
opinion leader nei campi dell’illuminazione di interni ed esterni, delle performance artistiche, dello spettacolo
e del cinema.
Durante il dialogo vengono affrontati
i temi più tecnici, gli aspetti personali
delle realizzazioni, quelli relativi alle
peculiarità dovute alle provenienze
culturali e quelli legati ai campi emozionali del progetto illuminotecnico.
Rimangono sempre comunque in primo piano la formazione, l’interesse
personale e lo sviluppo del percorso
professionale dei singoli. Rispetto ai
due capitoli precedenti, il contenuto
delle interviste esalta, oltre a specifici interventi, anche altri aspetti del
progettare con la luce: l’ispirazione, il
Mohamed Boubekri
e Christian Bartenbach
Daylighting Design
Birkhäuser, Basel 2014
Othmar Humm, a cura di
Stadtlicht
«Faktor – Architektur, Technik,
Energie», n. 41, 2015
Stefan Gasser, e Daniel Tschudy
Licht Im Haus
Energieeffiziente Beleuchtung
Faktor Verlag, Zürich 2011
ruolo comunicativo, sociale, dell’impatto sull’esistente e sull’ambiente,
l’aspetto commerciale e del ruolo delle
mode e delle influenze tra i progettisti.
All’interno del testo sono presenti anche
immagini in formato ridotto, come richiamo a quelle già presentate nella
parte teorica relativa ai concetti di base.
Sono presenti, a fianco ai testi delle
interviste, anche brevi citazioni di altri
designer, in modo da spingere il lettore alla lettura di altri contributi che
esprimono concetti simili o contrapposti, creando una sorta di dialogo tra
tutti gli intervistati.
Al termine della pubblicazione viene
riportato il sommario della ricerca, che
presenta gli aspetti principali per il
progetto illuminotecnico: la generazione di emozioni, le caratteristiche
del contesto, il profilo personale del
progettista e le fonti di ispirazione per
il concetto iniziale.
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LA LUCE ARTIFICIALE
KÜNSTLICHES LICHT
LUCE SEDUCE.
archi RIVISTA SVIZZERA DI ARCHITETTURA, INGEGNERIA E URBANISTICA
fondata nel 1998, esce sei volte all’anno. ISSN 1422-5417 | tiratura
REMP dif fusa: 2681 copie, di cui 2662 vendute | via Cantonale 15, 6900
Lugano – tel. 091 921 44 55, [email protected] – www.espazium.ch
DIRETTORE
Alberto Caruso AC
COORDINAMENTO EDITORIALE
Stefano Milan SM
ASSISTENTI AL COORDINAMENTO
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REDAZIONE
Debora Bonanomi DB | Andrea Casiraghi AnC | Laura Ceriolo LC | Piero
Conconi PC | Gabriele Neri GN | Andrea Pedrazzini AP | Andrea Roscet ti
AR | Enrico Sassi ES | Stefano Tibiletti ST | Graziella Zannone Milan GZM
REDAZIONE COMUNICATI SIA
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IMPAGINAZIONE
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CORRISPONDENTI
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Basilea | Ruggero Tropeano, Zurigo | Daniel Walser, Coira
TRADUZIONI ITALIANO-TEDESCO
Alexandra Geese
CORREZIONE BOZZE
Fabio Cani
CONSIGLIO EDITORIALE
Tonatiuh Ambroset ti, fotografo, Losanna | Nicola Baserga, arch. ETHZ,
Muralto | Jacqueline Burkhardt, storica dell’architet tura, Zurigo |
Marco Della Torre, arch. POLIMI, Milano-Como | Franco Ger vasoni,
ing. ETH, Bellinzona | Nicola Nembrini, ing. STS, Locarno | Nathalie
Rossetti, arch. ETHZ, Zollikon | Armando Ruinelli, arch., Soglio | Nicola
Soldini, storico dell’architettura, Novazzano
EDITORE
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8045 Zurigo – tel. 044 380 21 55, fax 044 380 21 57 | Walter Joos presidente | Katharina Schober, direttrice | Hedi Knöpfel, assistente
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l’autorizzazione scritta dell’editore e con la citazione della fonte.
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Alberto Caruso
Le ombre sono necessarie
quanto la luce
Gli occhi sono fatti per vedere le forme nella luce
Le Corbusier, 1928
Henry Moore definiva la Pietà Rondanini di Michelangelo come la più commovente tra le sculture di
ogni tempo. L’ultima opera di Buonarroti, scolpita,
modificata, abbandonata, poi ripresa e non finita per
la scomparsa dello scultore, ha rappresentato, fino ad
aprile di quest’anno, il gran finale del percorso museale dei Musei Civici al Castello Sforzesco di Milano.
Sistemati dallo studio bbpr nel 1956, i Musei Civici
sono uno degli esempi più insigni della museografia
del dopoguerra, per la colta raffinatezza delle soluzioni spaziali e dei dettagli dell’allestimento, ancora oggi
considerati un esempio magistrale, insieme al Museo
di Castelvecchio a Verona di Carlo Scarpa e al Tesoro
di San Lorenzo di Franco Albini a Genova.
Il lungo percorso attraverso la scultura medioevale e
rinascimentale si concludeva nella sala degli Scarioni,
il cui spazio, scalinato per collegare la quota sopraelevata del museo a quella dell’uscita, ospitava la Pietà,
protetta da un paramento curvo di blocchi di pietra
serena e illuminata da uno dei grandi finestroni gotici
del Castello.
Gli autori del progetto museale avevano capito che l’effetto drammatico era determinato dalla luce, che invadeva il manufatto lateralmente, esaltando le sue forme
bianche, rispetto al grigio intenso del muro lapideo
retrostante, e formando le ombre necessarie a percepire ogni dettaglio del modellato. Il visitatore, dopo una
prima sosta sulla seduta collocata davanti all’opera, compiva immancabilmente un lento giro intorno
alla Pietà per scoprire le altre viste, i lati abbozzati e
non finiti, per cercare dove era generata una potenza
espressiva così intensa. Chi ha visto i Prigioni, ospitati
alla Galleria dell’Accademia di Firenze, che tentano di
liberarsi dai blocchi di marmo riconoscibili come tali,
può capire come in questo caso Michelangelo avesse
intenzionalmente scelto la vista frontale per la percezione dell’opera, mentre nel caso della Pietà Rondanini
il non finito era l’effetto della complessa e sofferta vicenda della sua concezione ed esecuzione, interrotta
dalla morte dell’autore. Il non finito della Pietà andava
scoperto dietro alla luce, con la lentezza e il raccoglimento necessari. E l’illuminazione artificiale, attivata
alla sera, era direzionata e diretta, pensata per integrare e sostituire quella naturale, con le medesime caratteristiche della luce introdotta dal finestrone.
Il mirabile allestimento progettato dai bbpr ha cominciato ad essere criticato negli anni ’90, perché lo spazio non consentiva l’accesso a visitatori molto numerosi – se non dopo lunghe code – nonché ai disabili – per
via delle scale che attorniavano il suo spazio. Alla fine
degli anni ‘90 fu bandito un concorso per il progetto
della sua ricollocazione, vinto da Alvaro Siza. Poi,
dopo lunghi anni di silenzio, è stata l’Expo e la previsione della moltitudine di turisti a riportare di attualità la ricollocazione della Pietà, che dall’inizio di maggio si può visitare, nel nuovo allestimento progettato
da Michele De Lucchi. Il nuovo sito, a poca distanza
dai Musei Civici, è la sala dell’ex Ospedale Spagnolo,
un edificio seicentesco addossato alle mura del Castello e originariamente destinato al ricovero dei soldati
spagnoli appestati. Al posto della Pietà, nell’allestimento dei bbpr verrà collocata un’altra delle preziose
sculture dei Musei Civici.
All’ex Ospedale Spagnolo, la scultura è stata posata al
centro della grande sala voltata. I visitatori in fila entrano dal lato corto e vedono subito la scultura illuminata, collocata in modo da mostrare loro le spalle. La
fila procede girando intorno alla Pietà, sosta alla vista
frontale, e ritorna al lato dell’ingresso. Il pavimento
della sala, dotato di un complesso marchingegno antisismico, è di doghe di legno. L’illuminazione a led di
ultima generazione impedisce l’abbagliamento ed è
morbidamente uniforme, su tutti lati dell’opera.
Un grande successo di pubblico e di critica ha accolto
il nuovo allestimento, salvo poche voci critiche, alle
quali vogliamo aggiungere la nostra. Consapevoli delle
democratiche esigenze dell’utenza di massa delle opere d’arte più eccellenti, ci è sembrato tuttavia sbagliato
liquidare completamente i concetti spaziali che avevano informato il progetto dei bbpr. Nella nuova collocazione, la Pietà galleggia senza riferimento in mezzo a
uno spazio troppo grande, allestito con un’eleganza
che ci sembra estranea alla sua ruvida tragicità. Il percorso della lenta scoperta è annullato, tutto è esposto
subito, a cominciare dal lato posteriore non finito. Ma
il problema centrale è la luce, la sua uniformità riduce
le ombre al minimo, appiattisce le tensioni espressive,
arrotonda l’effetto drammatico. Lo spettacolo per tutti
prevale sull’intensità della percezione. Ci chiediamo:
non è possibile trovare il modo di coniugare le esigenze dell’utenza di massa con la appropriatezza culturale
della fruizione delle opere d’arte?
Le ombre sono necessarie quanto la luce, come le
pause nella musica, come i vuoti nell’architettura.
Le ricerche sulla tecnologia della luce artificiale e sulle
sue applicazioni spaziali, delle quali in questo numero
di Archi documentiamo qualche esempio, sono molto
avanzate e ci mettono a disposizione strumenti tecnici
ed espressivi un tempo impensabili. Dobbiamo impadronircene e aggiornare la nostra cultura progettuale
per controllarne gli effetti e dominarne gli esiti.
35
EDITORIALE LA LUCE ARTIFICIALE
Alberto Caruso
Schatten sind genau so notwendig
wie Licht
Augen sind gemacht, um Formen im Licht zu sehen
Le Corbusier, 1928
Henry Moore bezeichnete die Pietà Rondanini von Michelangelo als die bewegendste Skulptur aller Zeiten. Das letzte
von Buonarroti gemeisselte, veränderte, aufgegebene, dann
wieder bearbeitete und schliesslich beim Tod des Künstlers unvollendet gebliebene Werk bildete bis April dieses Jahres den
Höhepunkt des Arrangements der Städtischen Museen im
Mailänder Castello Sforzesco.
Die 1956 vom Studio BBPR eingerichteten Städtischen Museen sind aufgrund der Eleganz der räumlichen Lösungen
und der Details des Arrangements gemeinsam mit dem Museo
di Castelvecchio in Verona von Carlo Scarpa und dem Tesoro
di San Lorenzo von Franco Albini in Genua eines der wichtigsten Beispiele der Museumskultur der Nachkriegszeit und
gelten auch heute noch als vorbildlich.
Der lange Weg durch die Bildhauerei des Mittelalters und der
Renaissance endet im Scarioni-Saal. In diesem mit Stufen
versehenen Raum, der die höher gelegenen Ausstellungsräume mit dem Ausgang verbindet, stand – geschützt durch
eine geschwungene Wandfläche aus Pietra Serena und erhellt
durch das Licht, das durch eines der grossen Gotikfenster des
Gebäudes einfiel – die Pietà.
Die Urheber des Museumskonzepts hatten den dramatischen
Effekt des Lichts verstanden, das seitlich auf die Skulptur fällt
und die weissen Formen vom kräftigen Grau der dahinterliegenden Steinwand abhebt. Durch die so entstehenden Schatten
nimmt man jedes Detail der Plastik wahr. Der Besucher nahm
zunächst Platz auf der Bank vor dem Kunstwerk und umrundete es dann langsam, um es aus allen anderen Blickwinkeln
zu erforschen, die nur angedeuteten und unvollendeten Seiten
zu betrachten und dem Entstehungsort einer so starken Ausdruckskraft auf den Grund zu gehen. Wer in der Galleria dell’
Accademia in Florenz gesehen hat, wie die Sklaven versuchen,
sich aus den als solche erkennbaren Marmorblöcken zu befreien, begreift, dass Michelangelo sich in diesem Fall bewusst für
die frontale Sicht zur Betrachtung des Kunstwerks entschieden
hatte. Im Fall der Pietà Rondanini ging das Unvollendetsein
auf die komplexe und mühevolle Geschichte ihrer Konzeption
und Ausführung zurück, die durch den Tod des Bildhauers
unterbrochen wurde. Das Unvollendete der Pietà muss hinter
dem Licht mit der erforderlichen Langsamkeit und Besinnlichkeit entdeckt werden. Die abends eingeschaltete künstliche Beleuchtung ist zielgerichtet und direkt und soll das Tageslicht mit
den gleichen Merkmalen wie das durch das grosse Fenster einfallende Licht ergänzen und ersetzen.
Das meisterhafte Arrangement von BBPR wurde in den
1990er-Jahren kritisiert, da der Raum keine grossen Besucherzahlen ermöglicht – zumindest nicht ohne lange Wartezeiten – und für Besucher mit Behinderungen aufgrund der
Stufen nicht zugänglich ist. Zum Ende der 90er-Jahre wurde
ein Wettbewerb für die Neugestaltung ausgeschrieben, aus
dem Alvaro Siza als Sieger hervorging. Nach langen Jahren
der Stille wurde eine neue Aufstellung der Pietà angesichts
der hohen Besucherzahlen, die im Zuge der Weltausstellung
erwartet werden, wieder aktuell. Seit Anfang Mai kann man
die Pietà jetzt an dem neuen, von Michele De Lucchi gestalteten Standort bewundern. Dabei handelt es sich um einen
Raum des ehemaligen «Spanischen Krankenhauses» (Ospedale Spagnolo), einem Gebäude aus dem 17. Jahrhundert in
der Nähe der Städtischen Museen, das an die Mauern des
Castello Sforzesco grenzt und ursprünglich als Lazarett für
an Pest erkrankte spanische Soldaten diente. Anstelle der
Pietà wird in der von BBPR konzipierten Ausstellung eine andere wertvolle Plastik der Städtischen Museen zu sehen sein.
Im ehemaligen «Spanischen Krankenhaus» steht die Pietà im
Zentrum eines grossen Saals mit Gewölbedecke. Die Besucher
betreten den Raum nacheinander von der kürzeren Seite aus
und sehen die beleuchtete Skulptur sofort. Sie zeigt sich dem
Besucher zuerst mit den Schultern. Dann kann man die Statue umrunden, sie in Ruhe von vorn betrachten und zur Eingangsseite zurückkehren. Der Boden des aufwendig gegen
Erdbeben gesicherten Raums besteht aus Holzdielen. Die technologisch fortschrittlichen LED-Leuchten vermeiden Blendeffekte und sorgen für eine weiche und gleichmässige Beleuchtung auf allen Seiten des Kunstwerks.
Der neue Standort wurde vom Publikum und von der Kritik
sehr positiv aufgenommen. Nur wenige kritische Stimmen
wurden laut. Dazu gehört die unsere: Wir sind uns zwar bewusst, dass es im Rahmen eines demokratischen Umgangs
mit Kunst vielen Menschen möglich sein muss, herausragende Kunstwerke zu erleben. Trotzdem halten wir es für falsch,
die räumliche Konzeption des Arrangements von BBPR vollständig aufzugeben. Am neuen Standort schwebt die Pietà
haltlos in einem übermässig grossen Raum, der mit einer
Eleganz aufwartet, die in unseren Augen der rauen Tragik
der Skulptur nicht angemessen ist. Ein langsames Entdecken
ist nicht mehr möglich. Alles ist auf den ersten Blick zu sehen,
angefangen bei der unvollendeten Rückseite. Das zentrale
Problem ist das Licht, dessen gleichmässige Verteilung Schatten auf ein Minimum reduziert, expressive Spannungen glättet und den dramatischen Effekt abflacht. Das Erlebnis für
alle erhält Vorrang vor der Intensität der Wahrnehmung. Wir
fragen uns: Ist es nicht möglich, einen Weg zu finden, um die
Bedürfnisse der Besuchermassen mit einem niveauvollen kulturellen Genuss der Kunstwerke zu vereinen?
Schatten sind ebenso wichtig wie Licht. Sie sind wie Pausen
in der Musik, wie leere Räume in der Architektur.
Die Forschung zur Technologie des künstlichen Lichts und
seinen räumlichen Anwendungen, zu der wir in dieser Ausgabe von archi einige Beispiele dokumentieren, ist weit fortgeschritten und stellt uns früher unvorstellbare technische und
expressive Instrumente zur Verfügung. Es ist unsere Aufgabe,
sie uns anzueignen und unsere Planungskultur zu erneuern,
um ihre Effekte zu steuern und ihre Wirkung zu beherrschen.
36
LA LUCE ARTIFICIALE
Katrin Albrecht*
traduzione Anna Ruchat
L’illuminazione notturna strumento
per ridisegnare l’architettura
È la luce che mette in evidenza la sapiente distribuzione delle
masse, che ci fa distinguere l’alto dal basso, il rotondo dal
diritto, il curvo dal piatto, il liscio dal ruvido, il bianco dal
nero. È la luce che giocando nelle modanature, ammorbidendosi nelle nicchie, riflettendosi sul marmo, diffondendosi
sulle pietre e sui cementi, crea per l’occhio dell’osservatore il
quadro meraviglioso dell’opera architettonica.
Guido Jellinek, 1929
Luce elettrica e architettura nell’Italia
degli anni Trenta
All’inizio degli anni Trenta, circa cinquant’anni dopo
il brevetto delle prime lampadine, in Europa e in
Nordamerica la luce elettrica si era ormai imposta
con successo per l’illuminazione sia degli interni che
degli esterni e tuttavia l’illuminotecnica in relazione
all’architettura era considerata ancora poco sviluppata: «Per trovare una intima unione di luce e architettura bisogna rifarsi, in Europa, quasi ai nostri giorni
o per lo meno a un molto prossimo passato»,1 sostenevano Giovanni Canesi e Antonio Cassi Ramelli, autori
del ricco volume Architetture luminose illustrato con
esempi internazionali. Il volume pubblicato nel 1934
fu in Italia una delle prime pubblicazioni che tentarono di avvicinarsi in modo esaustivo e sistematico a questa cosiddetta «arte nuova». Anche Joachim Teichmüller, tecnico delle luci tedesco, che pochi anni prima
aveva coniato il termine Lichtarchitektur – la capacità
dei corpi luminosi e della luce che se ne dipana di
configurare gli spazi – allora constatava ancora stupito che nella prassi si lavorava ancora secondo le vecchie abitudini e che solo pochi architetti avevano riconosciuto il potenziale artistico della luce elettrica
come nuovo strumento di progettazione, sebbene i
suoi molteplici usi venissero scandagliati e discussi
già da prima, ad esempio alle grandi esposizioni nazionali e internazionali. Già da molto tempo, questa
era la critica di Teichmüller, ci si era concentrati sugli
aspetti tecnici della produzione della luce, senza adattare i corpi luminosi e il loro uso alle nuove condizioni, in particolare i vantaggi della lampadina, uno strumento per illuminare sicuro, pulito, duraturo e facile
da utilizzare, che, contrariamente alla luce artificiale
di un tempo, non comportava nessun pericolo d’incendio, non prevedeva l’uso di gas e sviluppava pochissimo calore; la luce poteva essere accesa e spenta a
distanza e risultava facilmente regolabile e prevedibile.2 Come in molte altre parti d’Europa, anche in Italia intorno al 1930 si era convinti di trovarsi di fronte a
una svolta. La sensibilizzazione crescente nel corso
degli anni Venti va ricondotta a origini sia pratiche
che ideologiche: l’energia elettrica che, cento anni
dopo la locomotiva a vapore, rivoluzionava una volta
di più i mezzi di comunicazione e la produzione industriale, era considerata l’emblema del progresso tecnico nella società moderna; così infatti Filippo Tommaso Marinetti nel manifesto del futurismo del 1909
cantava «il vibrante fervore notturno degli arsenali e
dei cantieri incendiati da violente lune elettriche» ed
esaltava la lampadina che aveva «introdotto un tempo
nuovo», come risultato e simbolo di quel grande cambiamento.3 Ma a prescindere da Marinetti, solo negli
anni successivi alla prima guerra mondiale, grazie alla
costruzione di numerose centrali elettriche, all’incremento delle reti e al miglioramento dell’elettrotecnica
e della tecnica della luce, gli impianti di approvvigionamento furono sufficientemente progrediti da poter
rendere l’elettricità disponibile su vasto raggio e alla
portata di tutti. Un impulso importante era partito dal
telegrafo, dal telefono e dalla ferrovia, la cui elettrificazione negli anni Venti, procedeva mano nella mano
con la costruzione delle centrali elettriche. Quanto
fosse nuovo tutto questo sviluppo lo dimostrano gli annali dell’amministrazione delle ferrovie italiane, in cui
ogni volta vengono elencate in modo dettagliato tutte
le stazioni specificando il tipo di illuminazione e il numero di lampade utilizzate.4 Tuttavia la produzione e
la distribuzione di elettricità rimanevano alquanto arretrate rispetto alla crescente richiesta.
La luce: un nuovo materiale da costruzione
Da un punto di vista architettonico era importante
che il nuovo modo di costruire con l’acciaio, il cemento, il vetro, rendesse possibili forme espressive innovative concedendo alla luce in quanto «materiale da
costruzione»5 delle possibilità fino a quel momento
sconosciute. Perché la luce artificiale non si diffondeva solo con le lampade all’interno degli edifici, ma
anche di notte negli spazi esterni e diventava così un
fattore urbano imprescindibile che poneva architetti,
urbanisti e tecnici delle luci di fronte a un compito
nuovo, ovvero la pianificazione dell’aspetto notturno
di edifici, vie e piazze. Due erano le modalità di intervento e gli effetti che si potevano individuare. Mentre
l’aspetto notturno delle «architetture illuminate», ovvero quelle colpite da luce a largo fascio, non era troppo diverso dal loro aspetto diurno, l’immagine delle
«architetture luminose», ovvero di quegli edifici in
cui la luce artificiale traspariva dall’interno grazie
alle parti trasparenti è assai diversa: l’oscurità assorbiva la sostanza dei corpi architettonici, compresa la
loro materialità, la struttura, la gravità, il colore, per
37
LA LUCE ARTIFICIALE
1.
dissolverli, in un certo senso, nella totalità del grande
spazio nero. I locali illuminati invece si stagliavano in
modo tangibile nello spazio circostante illuminandolo così come facevano i corpi luminosi all’interno delle abitazioni. L’inversione dei rapporti chiaro-scuro
produceva intanto configurazioni del tutto inconsuete. Gli architetti e gli ingegneri italiani approfittarono evidentemente del fatto che questa metamorfosi
ottica conteneva nuove possibilità espressive e artistiche e della potenziale capacità evocativa della luce artificiale capace di delineare spazi che di giorno non
erano riscontrabili.
Questo entusiasmo per la notte si poteva riscontrare
nella scelta delle fotografie nelle riviste di architettura che, a partire dagli anni Trenta, pubblicarono sempre più immagini notturne. Queste per lo più venivano mese a confronto con altre fotografie scattate di
giorno da (quasi) lo stesso punto di vista, così che le
capacità metamorfiche di un’architettura risaltavano
con grande evidenza. Particolarmente adatte alle impressioni notturne apparivano i mondi artificiali e
temporanei delle esposizioni così come i grandi magazzini, le fabbriche, i teatri, i cinema con le loro insegne luminose, le vetrine illuminate e tutti gli ornamenti luminosi che attiravano l’attenzione: «L’uomo
d’affari moderno ... ricerca, nel suo impianto di affari
tutte le comodità offerte dalle nuove invenzioni tecniche, anche perché questa è la sua migliore pubblicità».6 Meno immediati, ma tanto più significativi dal
punto di vista dell’architettura luminosa, erano invece gli edifici pubblici come stazioni, uffici postali o
altre istituzioni i cui effetti di luce non avevano un riscontro pubblicitario immediato. La luce in quel caso
serviva principalmente a produrre qualità tridimensionali ambivalenti che si rivelavano solo al buio,
quando perdevano la solidità e l’inalterabilità dell’architettura grazie al carattere effimero della luce. Precursori e sperimentatori nell’uso del nuovo materiale
– la «luce artificiale» – in Italia, furono in particolare
gli architetti della generazione più giovane, ad esempio Giuseppe Pagano, Giuseppe Vaccaro, Mario De
Renzi, Adalberto Libera, Mario Ridolfi, Giuseppe
Terragni, Luigi Moretti e Angiolo Mazzoni.7
Progettare l’illuminazione notturna
La consapevolezza accresciuta per la luce come mezzo
di raffigurazione architettonico e urbanistico emerge
con particolare evidenza nel lavoro degli architetti:
negli schizzi, nelle proiezioni geometriche e nei plastici grazie ai quali essi comunicavano le loro idee.
Negli anni Trenta in Italia si manifestarono – in forma
di prospettive notturne e modelli illuminati dall’interno – delle modalità di rappresentazione grazie alle
quali era possibile anticipare l’aspetto che avrebbe
avuto la costruzione al buio già durante la fase del
progetto. Poiché queste modalità venivano adottate
solo raramente, soprattutto nel caso di concorsi, qualche volta anche per incarichi pubblici straordinari,
esse mettono in luce in modo particolarmente chiaro
quale doveva essere il significato degli effetti notturni
e della loro accurata pianificazione. Il progetto del
ponte di Agnoldomenico Pica che fu recensito nel
1933 dalla rivista «Architettura» dimostra in modo
esemplare che le vedute notturne venivano inserite
come strumento di lavoro costitutivo. In occasione del
concorso per il rinnovo del ponte di legno provvisorio
dell’Accademia sul Canal Grande, a Venezia, Pica presentò, oltre ai progetti, uno schizzo diurno e uno notturno per mettere in evidenza il diverso aspetto dell’intervento nel contesto della città.8
38
LA LUCE ARTIFICIALE
2.
1. Disegni di Agnoldomenico Pica
e Mirko Buccianti per il proget to
di concorso per il nuovo
ponte dell’Accademia a Venezia,
pubblicati in Architet tura,
n. 5, 1933, pp. 309, 310.
2. Modello e prospet tiva not turna
per il proget to della nuova
stazione Roma Termini di
Angiolo Mazzoni, pubblicati
in Architettura, n. speciale,
1939, p. 82.
La proposta del ponte prevede una trave in acciaio
che poggia su due pilastri di cemento rivestiti di un
mosaico in ceramica rossa; alle estremità due larghe
scale a spirale portano a terra sulle opposte rive. Le
parti in metallo e i gradini delle scale dovevano essere rivestiti in vetro e cristallo – dunque con materiali
del posto – illuminati da dietro, «con bellissimo effetto fantasmagorico», come si diceva nell’articolo. Solo
la prospettiva notturna ci mostra i rossi piloni che
spariscono inghiottiti dall’oscurità, perdendo la loro
funzione statica, mentre l’asse illuminato sembra sospeso sull’acqua, tenuto su soltanto dalle due scale a
molla. Come i piloni anche il profilo della città, disegnato con una sottile linea bianca, scompare completamente sullo sfondo. L’illuminazione notturna del
ponte non solo nasconde il sistema statico della costruzione ma addirittura evoca l’impressione della
smaterializzazione. Nella notte il ponte sembra tutto
fatto di luce; la luce assume così quella funzione costitutiva alla quale probabilmente Pica voleva riferirsi
con il motto «h tektonikh» (sulla visione notturna
in alto a sinistra). Il concetto di «tettonica» in architettura viene utilizzato per indicare le forze portanti
e gravanti di un fabbricato che non coincidono in
modo cogente con le forze realmente attive. Un altro
disegno prospettico che rappresenta la visione notturna di un’architettura in ambito urbano già durante la progettazione, è quella che troviamo nel
progetto della stazione di Roma Termini di Angiolo Mazzoni. Si tratta della visione notturna dell’atrio,
pubblicata nel 1939 in «Architettura» sotto una foto
del modello scattata dallo stesso angolo visuale.9 L’alto atrio aperto della stazione viene rappresentato
come uno spazio pieno di luce su sfondo nero. Attraverso le doppie colonne che gettano la loro ombra
verso l’esterno, si può vedere il cielo notturno sopra la
distesa dei binari, nell’atrio i minuscoli omini segnalano che c’è ancora molto movimento. Nel caso del
monumentale progetto della stazione la visione notturna risultava evidentemente la più adatta per comunicare l’intento di ottenere la grande trasparenza e
apertura della stazione di testa; trasparenza che si avverte anche nella foto del modello: la costruzione tuttavia con la luce del giorno, a causa dell’atrio in ombra
e dell’architrave, risulta tuttavia molto più pesante,
massiccia e imponente che non nella visione notturna. Grazie alla contrapposizione di visione notturna
e diurna, si riuscivano così a rappresentare i diversi
stati dell’edificio e la versatilità della sua espressione
architettonica. Indicativamente Mazzoni fece costruire anche un gigantesco modello del suo progetto dotato, all’interno, di piccole lampade così che anche
nella scala ridotta del plastico si potesse avere
un’impressione chiara di quella che sarebbe stata
la visione notturna. Il modello fu presentato al
grande pubblico nel 1939 in occasione dell’Esposizione universale di New York.10 Nel viavai notturno
dell’atrio rappresentato nel disegno emerge in primo luogo l’aspetto funzionale dell’illuminazione
artificiale destinata poi all’intera stazione ferroviaria per sostenere il traffico 24 ore su 24. Ma sebbene l’illuminazione avesse in primo luogo uno
scopo funzionale, con la rappresentazione notturna della stazione, veniva consapevolmente messo in
scena anche il progresso tecnico-industriale che la
costruzione simboleggiava. Al contrario l’illuminazione di uffici pubblici e grandi magazzini in cui di
notte non c’era mai nessuno, aveva uno scopo quasi
esclusivamente pubblicitario, decorativo o propagandistico. Ad esempio la posta di Napoli, dove Giuseppe
39
LA LUCE ARTIFICIALE
3. La torre
luminosa
alla stazione
di Siena
di Angiolo
Mazzoni,
pubblicata
in «Rassegna
di architettura»,
n. 3, 1937,
p. 108.
4. Il deposito
bagagli
nell’atrio
principale
della stazione
di Reg gio Emilia
di Angiolo
Mazzoni,
pubblicata in
«Architet tura»,
n. 3, 1937,
p. 140.
3.
Vaccaro e Gino Franzi svilupparono sia all’interno
che all’esterno una sottile armonia di luci che si può
constatare sia nei disegni preparatori che nelle fotografie del modello che in quelle dell’edificio finito.
Paradigmatico è anche l’edificio temporaneo che Roberto Narducci dovette erigere in fretta e furia nel
maggio del 1938, in occasione della visita di Adolf
Hitler a Roma e appena prima della realizzazione
della stazione Ostiense: Narducci attrezzò l’edificio
sostitutivo simile a una quinta teatrale con un sistema
di tubi al neon per segnare in modo sorprendente e
coreografico il percorso dell’ospite che doveva arrivare a Roma in treno dopo il sopraggiungere del buio.11
4.
Architetture come corpi luminosi:
due stazioni ferroviarie
Il nuovo modo di mettere in scena gli edifici pubblici
nello spazio urbano non affiora soltanto nei disegni e
nei modelli di Mazzoni, ma anche nelle sue opere costruite. Esemplare da questo punto di vista è la stazione di Siena, dove l’architetto colloca nell’angolo dell’edificio a più piani, che contiene uffici e abitazioni,
una torre cilindrica. Essa contrassegnava uno dei terminali dell’impianto a U rivolto verso la piazza della
stazione ed era costituita da lesene in vetro giustapposte. Di notte la «torre luminosa», come viene anche
chiamata, si stagliava emblematica nel buio perché
essendo illuminata all’interno, rischiarava lo spazio
circostante come fosse una gigantesca lanterna. Non
aveva né una scala all’interno né sorreggeva un orologio: il suo unico scopo era quello di far spazio alla
luce. Il gigantesco corpo luminoso «normalmente
poco illuminato e molto luminoso invece nelle solennità»,12 non era soltanto fonte di luminosità e visibi-
lità nella notte, la sua forma era bensì quella di un
fascio littorio, dunque si presentava come un incontrovertibile simbolo del fascismo a scopo propagandistico. L’illuminazione notturna aumentava l’effetto in lontananza e l’emblematicità della torre e – in
un’epoca in cui le lampadine nelle stazioni si contavano ancora, per così dire, sulle dita di una mano – probabilmente sulle persone deve aver fatto l’effetto di
un fanale della modernità. Nella stazione di Reggio
Emilia, Mazzoni mise una torre luminosa molto simile – una costruzione libera, alta, a tre lati con i vertici
arrotondati sul lato più corto e con sottili lesene in pietra o vetro. La struttura però questa volta non si trova
all’aperto bensì al centro dell’atrio della stazione che
è alto e quasi completamente rivestito in marmo bianco. Serviva da deposito bagagli e separava simmetricamente l’edificio principale rettangolare in un lato partenze e un lato arrivi in ognuna delle quali si poteva
40
LA LUCE ARTIFICIALE
entrare o uscire tramite tre porte vetrate. Di giorno
l’atrio era illuminato dalla luce naturale che entrava
dalle finestre alte e dalle porte, di notte invece la luce
artificiale, proveniente da lampade sferiche che pendevano dal soffitto all’interno del corpo trasparente,
si comportava come il filo di una gigantesca lampadina. Illuminava tutto lo spazio circostante poiché veniva diffusa dal vetro spesso della struttura e riflessa
dalle pareti in marmo bianco. Solo nella prosecuzione del deposito bagagli sporgente, Mazzoni fece inserire una larga fascia in marmo grigio di Bardiglio che
sembra contrapporsi come se accogliesse un’ombra,
tra le porte d’ingresso e di uscita, al chiarore della
gigantesca lampada, oscurando il collegamento aperto tra i due lati dell’atrio. A differenza della torre della stazione di Siena, nel dar forma a quella di Reggio
Emilia, Mazzoni non sembra tanto attento alla necessità di comunicare un messaggio politico, quanto alla
configurazione dello spazio e alla qualità tecnica della luce.13
Questi esempi ci mostrano come in Italia la luce elettrica in architettura e negli spazi esterni diventò via
via un fattore determinante. Dava agli edifici e allo
spazio urbano anche al buio una fisionomia ben visibile e portò a un cambiamento radicale nella percezione dello spazio cittadino e quindi anche del modo
in cui venivano vissute le strade, le piazze, i giardini e
i parchi. I disegni, i modelli e le fotografie pubblicate
mostrano inoltre che gli architetti trovarono nella fisionomia notturna delle loro costruzioni un mezzo
espressivo esplicito per accrescere l’incisività artistica
delle loro opere.
* architetto, ricercatrice all’Istituto di Storia e Teoria
dell’architettura gta, ethz
Note
1. Cfr. G. Canesi, A. Cassi Ramelli, Architetture luminose
e apparecchi per illuminazione, U. Hoepli, Milano 1934,
pp. 5-6.
2. Cfr. J. Teichmüller, Lichtarchitektur, «Licht und Lampe»,
n. 13-14, ed. speciale, 1927.
3. Cfr. I manifesti del futurismo lanciati da Marinetti
- Boccioni - Carrà - Russolo - Balla - Severini - Pratella M.me De Saint-Point - Apollinaire - Palazzeschi, Edizioni
di Lacerba, Firenze 1914, p. 6; J. Teichmüller,
Lichtarchitektur cit., p. 5.
4. Nel 1924, delle 2536 stazioni che si contavano in Italia,
1288 erano provviste di luce elettrica (130’000 lampadine),
4 di lampioni a gas, 28 ad acetilene e 1216 a petrolio;
nel 1937 le stazioni erano 2838 di cui 2282 con la luce
elettrica (256’516 lampadine), 3 con lampioni ad
acetilene e 533 a petrolio. 5. G. Jellinek, Luce e architettura, «Architettura e Arti
Decorative», IX, n. 2-3, 1929, p. 65.
6. L. Schreiber, Pubblicità luminosa, «Casabella», VII,
n. 74, 1934, p. 12.
7. Cfr. Il padiglione d’ingresso della VI Triennale
di Giuseppe Pagano, i contributi per la Mostra della
Rivoluzione Fascista di Adalberto Libera e Mario
De Renzi, il progetto della posta di Napoli di Giuseppe
Vaccaro e Gino Franzi, la fontana in piazza Tacito a
Terni di Mario Ridolfi e Mario Fagiolo, il negozio Vitrum
a Como di Giuseppe Terragni, la Casa delle Armi nel
Foro Mussolini a Roma di Luigi Moretti o l’ufficio postale
di Ostia Lido di Angiolo Mazzoni.
8. Cfr. N.d.R., Il Concorso per il nuovo ponte dell’Accademia
a Venezia, «Architettura», XII, n. 5, 1933, pp. 307-310.
9. Cfr. M. Piacentini, La nuova stazione di Roma imperiale,
«Architettura», XVIII, n. speciale, 1939, p. 82.
10. Cfr. maz s/21, Fondo Angiolo Mazzoni, Archivio
del ’900, mart.
11. Cfr. G. Vaccaro, Edificio per le poste e telegrafi di Napoli.
Architetti Giuseppe Vaccaro e Gino Franzi, «Architettura»,
XV, n. 8, 1936, pp. 353-394; P. Carb, Padiglione provvisorio
della stazione di Roma Ostiense, «Architettura», XVII,
n. 7, 1938, pp. 489-494.
12. Cit. da M. Giacomelli, E. Godoli, A. Pelosi (a cura di),
Angiolo Mazzoni in Toscana, Edifir, Firenze 2013, p. 193.
Oggi tra le lesene sono stati messi dei fari, che illuminano
la torre dal basso, così che la «torre luminosa»
di un tempo, così suggestiva, è diventata una semplice
«torre illuminata».
13. La struttura originaria della stazione di Reggio Emilia
fu quasi completamente distrutta nel corso della seconda
guerra mondiale.
Nächtliche Beleuchtung als Instrument zur
Neugestaltung der Architektur
Die zunehmende Verfügbarkeit elektrischen Lichts gab Architekten
und Stadtplanern zu Beginn des 20. Jahrhunderts ein neues Gestaltungsmittel an die Hand, das seine Wirkung besonders nachts im
Aussenraum hervorragend entfalten konnte. Doch das Interesse an
der nächtlichen Beleuchtung von Strassenzügen und Bauwerken hatte nicht nur mit den praktischen Vorzügen zu tun – der Möglichkeit,
Räume nachts zu erhellen und Bauten wie bei Tag erscheinen zu lassen. Gleichzeitig entstand die Intention, durch die gezielte Inszenierung von Bauwerken und Stadträumen und die präzise Setzung von
Lichtpunkten neuartige architektonische Qualitäten zu gewinnen
und Raumeindrücke, Ansichten und sinnliche Sensationen zu evozieren, die tagsüber nicht erfahrbar waren. Indem man Theater, Warenhäuser und öffentliche Gebäude mit einer suggestiven Lichtregie wirkungsvoll präsentierte, wurden die Elektrizität als grossartige
technische Errungenschaft des industriellen Zeitalters zelebriert und
ihr propagandistisches Potenzial für kommerzielle und politische Zwecke ausgeschöpft. Die Bedeutung der Nachtwirkung von Bauten und
Stadträumen in den frühen 1930er-Jahren wird am Beispiel der italienischen Architektur und des in Fachzeitschriften publizierten Bildmaterials anschaulich. Bemerkenswert sind sowohl Perspektivzeichnungen und Modelle, die bereits im Entwurfsprozess einen Eindruck
der nächtlichen Erscheinungsformen vermitteln sollten, als auch die
zahlreichen bei Tag und bei Nacht aufgenommenen Fotografien realisierter Bauten, die das Kunstlicht als architektonisches und städtebauliches Gestaltungsmittel explizit thematisierten.
Zusammenfassung des Autors
41
LA LUCE ARTIFICIALE
L’illuminazione delle città
Giuseppina Togni*
1.
Illuminazione stradale
Nel 2005 la Confederazione ha incaricato la nostra
agenzia safe di analizzare l’illuminazione pubblica
sul territorio svizzero. safe si occupa di risparmi
energetici, soprattutto nel campo dell’elettricità. Il
mandato aveva come obiettivo di mettere in evidenza
quanta energia consuma l’illuminazione pubblica e
che possibilità ci sono di ridurne l’impatto ambientale. Il calcolo del consumo di energia è abbastanza semplice, in quanto quasi tutte le aziende elettriche e le
grandi città hanno delle statistiche accurate. Il consumo di elettricità è meno alto di ciò che ci si aspetterebbe e ammonta all’1.5% del consumo totale di elettricità in Svizzera. Ciò corrisponde a una spesa annua di
circa 150 milioni di franchi.
Durante l’analisi, una delle prime domande che ci siamo posti era perché alcuni Comuni dopo mezzanotte
spengono l’illuminazione delle strade, altri la riducono solamente e altri ancora non fanno proprio niente.
La differenza di consumo di elettricità tra questi comuni, a seconda del regime scelto, è ovviamente enorme. Il tipo regime è dettato più dalla geografia che
dalla logica: in Ticino e nella Svizzera francese la luce
delle strade rimane accesa in quasi tutti i Comuni.
Nella Svizzera tedesca, invece, tendenzialmente la
si spegne o perlomeno se ne riduce l’intensità dopo
mezzanotte. Ci sono numerose strade nelle quali circolano solo pochi veicoli e pedoni, eppure spesso la
notte la luce rimane accesa ininterrottamente. Ci siamo anche chiesti che possibilità ci sono di regolare
l’intensità luminosa in dipendenza del traffico. Questo tipo di gestione lo si riscontra spesso negli uffici,
nelle scale delle palazzine e nei bagni pubblici: la luce
si accende automaticamente se qualcuno entra e si
spegne poi da sola se non vengono più registrati movimenti dal rivelatore di presenza. Lo stesso sistema
lo si usa anche come antifurto: dei sensori invisibili
2.
50%
Il radar riconosce
il veicolo
100%
100%
100%
In base alla velocità del veicolo, le seguenti
lampade passano dalla modalità di risparmio
al pieno rendimento
1. Atmosfera not turna
a Oberfeld: l’illuminazione aumenta al passaggio dei pedoni.
Foto BKW, per gentile
concessione di
«Fak tor», n. 41, p. 7
2. Schema del concet to di
illuminazione stradale
intelligente
50%
Lampade in
modalità di
risparmio
42
LA LUCE ARTIFICIALE
sui muri esterni, abbinati a riflettori, si accendono
all’improvviso se qualcuno si avvicina alla casa. Purtroppo questa tecnica non era possibile per l’illuminazione pubblica: le lampadine utilizzate, prevalentemente al sodio ad alta pressione (quelle con la luce
arancione) e ai vapori di mercurio (luce bianca verdognola) si accendono solo molto lentamente. Dal
momento della loro accensione serve quasi una decina di minuti affinché diano la loro piena intensità
luminosa. Quindi non sono adatte a una combinazione con i rilevatori di movimento. Un ultimo punto
che avevamo preso in considerazione erano gli alimentatori (o ballast) delle lampadine. Per ogni punto
luce serve un alimentatore per l’accensione e in seguito per limitare il flusso di elettricità. Questi apparecchi indispensabili hanno una potenza elettrica
propria non trascurabile che fa lievitare i consumi.
Gli alimentatori elettronici che avevamo proposto
consumano molto meno, alle aziende elettriche non
andavano però troppo a genio, in quanto la loro durata di vita è minore rispetto agli alimentatori tradizionali.
LED
Negli ultimi anni si è imposta una nuova tecnologia
che ha rivoluzionato l’illuminazione stradale e mescolato le carte in tavola. Si deve dapprima dire che il
mercato dell’illuminazione pubblica in Svizzera è
molto piccolo e i rappresentanti delle varie ditte fornitrici si conoscono tutti tra di loro. C’è stato quindi
un certo scompiglio quando sul mercato è apparsa
una ditta italiana, che decantava le qualità delle armature a led. Questo in un periodo in cui ancora
quasi nessuno parlava dei led. Chiaramente non è stata presa sul serio e gli esperti affermavano che quelle
lucine puntiformi e abbaglianti, senza ottica e senza
riflettori, non avrebbero mai illuminato il campo
stradale in maniera uniforme, rispettando le norme
in vigore. Eppure la ditta è riuscita a convincere alcune aziende elettriche a realizzare dei progetti pilota
con i propri prodotti. I risultati sono stati subito molto positivi e hanno messo a tacere gli scettici: la qualità della luce è fenomenale, il consumo di energia minore e inoltre la luce direzionata dei led permette
di rischiarare solo la superficie stradale necessaria,
senza illuminare i giardini adiacenti e le facciate delle case. Uno svantaggio però c’era: erano molto costosi. Poi in seguito, anche grazie alla concorrenza delle
ditte locali, che hanno riconosciuto il trend e recuperato il terreno perso, i prezzi sono calati. Ora si aggirano attorno a quelli delle armature convenzionali
con lampadine al sodio ad alta pressione. Oggigiorno
il 90% delle illuminazioni pubbliche nuove viene realizzato con i led. Anche gran parte dei risanamenti
avviene con questa tecnologia, le eccezioni si trovano
dove si deve rimpiazzare solo una qualche lampadina. Non solo la qualità della luce, la precisione dell’il-
Spazio notturno visibile*
di Jutta Glanzmann
Dall’autunno dello scorso anno il Plan lumière avvolge il Fraumünster e altri edifici importanti con una nuova luce. Con la fine dei lavori di manutenzione stradale nella zona del Fraumünster è terminato
l’ultimo progetto che utilizza parte del credito quadro del Plan lumière, entrato in funzione a Zurigo dal 2004. «Il che non significa che
in futuro non possano nascere a Zurigo altri progetti simili», spiega
Sophia Berdelis, architetto e responsabile per il Plan lumière presso
l’Ufficio tecnico della Città di Zurigo. Il credito quadro di 8 milioni di
franchi concesso per questo progetto si è esaurito. Il finanziamento
delle spese per la conversione del Plan lumière non avviene perciò
più tramite un credito quadro ma come parte di un progetto autonomo. Questo è avvenuto ad esempio nel caso della ristrutturazione
della Münsterhof.
Si è parlato per la prima volta dell’illuminazione del quai nel 2010:
«Nel quadro della ristrutturazione dello Stadthausquai, della Fraumünsterstrasse e della Börsenstrasse, si è discusso anche dell’illuminazione delle rispettive facciate», ricorda René Kammermann, responsabile per la progettazione dell’illuminazione in città presso la rete
di distribuzione EWZ. Fu fatta una verifica nel corso della quale
emersero anche diverse voci critiche. Ci si chiedeva ad esempio se
fosse proprio necessario ripensare l’illuminazione dell’intera città.
Nonostante ciò si decise di realizzare il progetto dello Stadthausquai
come parte integrante della ristrutturazione della zona del
Fraumünster, in collaborazione con le proprietà fondiarie private.
Queste ultime normalmente partecipano ai costi dei proiettori con
una somma forfettaria stabilita per contratto che corrisponde a circa il 50% dei costi complessivi. «I costi di allacciamento e un eventuale risanamento non ricadranno sugli interessati», dice René
Kammermann. Anche il mantenimento dell’impianto è garantito da
EWZ. «Un primo progetto in collaborazione con dei privati è stato quello dell’illuminazione dell’hotel Schweizerhof», ricorda ancora Kammermann, «in quel caso furono installati 10 proiettori da 250 Watt».
Due progetti attuali, ai quali partecipano sempre dei proprietari privati, sono la nuova illuminazione del Museo nazionale, che finora era
stato illuminato in modo convenzionale, nonché quello della stazione
di Zurigo Centrale. «Mentre l’illuminazione del Museo nazionale dovrebbe essere ultimata nel 2016, per quanto riguarda la stazione sono
in atto le discussioni preliminari con le FFS», dice Kammermann.
Se un tempo si cercava di illuminare al meglio la notte in città, oggi
la luce viene ridotta, ben dosata e installata in punti precisi. Il Plan
lumière mostra così il volto notturno della città di Zurigo: «Con la
luce installata in modo mirato, lo spazio notturno diventa quasi visibile» dice Sophia Berdelis. Il progetto governa in tutta la città il rapporto consapevole con la luce e descrive, all’interno di un progetto
complessivo con singole unità e diversi scenari con le loro specifiche
illuminazioni, nove zone e temi. Tuttavia, determinante per l’illuminazione, non è solo la funzionalità («illuminazione di sicurezza»): anche i fattori economici ed ecologici sono in primo piano. «Anche a
Zurigo la notte non deve diventare giorno» dice Sophia Berdelis. Non
«più luce» ma «altra luce», dev’essere lo slogan. Oltre alle zone in cui
bisogna intervenire vi sono anche le zone tenute volutamente al
buio, che vanno protette. Nell’illuminazione mirata ci si preoccupa
che solo l’oggetto voluto sia illuminato e che la luce non venga diffusa nel cielo notturno. Così diminuisce l’inquinamento luminoso e, al
tempo stesso, grazie all’impiego di lampade energeticamente efficienti, si riduce il consumo di energia.
* estratto da: J. Glanzmann, Sichtbarer Nachtraum,
in «Faktor», n. 41, pp. 26-28.
Testo integrale disponibile in
.
43
LA LUCE ARTIFICIALE
3.
3. Vista not turna delle strisce luminose LED collocate al di sot to del Hardbrücke di Zurigo. Foto Juliet Haller, Amt für
Städtebau, per gentile concessione di «Fak tor», n. 41, p.17
luminamento, la lunga durata di vita e il basso consumo di energia parlano a favore dei led. C’è infatti un
ulteriore vantaggio importante: i led si accendono
immediatamente e ciò li rende adatti alla combinazione con i sensori di movimento. Questo tipo di gestione si sta lentamente affermando in Svizzera. L’anno scorso sono stati realizzati diversi progetti pilota
con lampioni muniti di rilevatori di presenza: se la
strada è deserta, la luce rimane spenta o ridotta a un
minimo (per esempio al 10%), se invece si avvicinano
un’auto, un ciclista o un pedone l’armatura aumenta
automaticamente la propria intensità, fino ad arrivare al 100%. Questo permette di risparmiare importanti costi energetici, ma anche di evitare inutili sprechi
e mantenere l’ambiente notturno oscuro. I primissimi
progetti pilota hanno suscitato delle reazioni piuttosto negative da parte degli abitanti in prossimità delle strade: la luce esterna che si accendeva e spegneva
all’improvviso dava molto fastidio, un po’ come la
luce antifurto che non fa spaventare solo i ladri ma
anche i proprietari. Per risolvere questo inconveniente si è passati ad accensione e spegnimento
graduali, nell’arco di diversi secondi, che sono meno
percepibili.
L’esempio di Lumino
Il primo comune in Ticino ad avere un’illuminazione
pubblica completamente a led è stato Lumino, un paese di 1400 abitanti non lontano da Bellinzona che la
luce la porta anche nel nome. Lumino è tra l’altro l’unica Città dell’energia d’oro della Svizzera italiana e ciò
sottolinea l’impegno e l’interesse da parte di questo
piccolo comune per i temi ambientali. Nel 2010, sono
stati sostituiti i primi 10 punti luce a led. Viste le esperienze positive, in seguito sono state eliminate tutte le
lampadine ai vapori di mercurio, che tra l’altro sono
proibite in Europa e quindi anche in Svizzera dal 13
aprile 2015, con armature a led. I lampioni sono programmati in maniera tale che la potenza di 36 Watt
assorbita dopo mezzanotte scende a 25 Watt. L’investimento pari a circa 100’000 franchi è ammortizzabile
nell’arco di 8 anni e il risparmio energetico ammonta
a 47’000 kWh all’anno. Lumino ha potuto approfittare anche di una garanzia prolungata di ben 10 anni
da parte del fornitore di armature.
L’esempio di Zurigo
Le strade con la luce regolata dai rivelatori di movimento portano a importanti risparmi soprattutto su
strade con bassa circolazione. Grazie al sensore, l’illuminazione rimane spenta o ridotta più a lungo. Malgrado ciò, questo sistema può essere interessante anche per le città. Lo ha dimostrato Zurigo con un
progetto pilota sulla via Furttal, lunga quasi un chilometro. Le vecchie armature ai vapori di sodio ad alta
pressione sono state sostituite con delle armature a
led ognuna munita di un piccolo radar, in totale 33
apparecchi. Questi lampioni moderni hanno la pro-
44
LA LUCE ARTIFICIALE
prietà di accendersi immediatamente, quando ricevono un segnale di presenza. Appena una macchina si
avvicina e il radar sul lampione la «vede», la regolazione fa accendere la luce sia del lampione che ha avvistato l’automobile sia quella dei 5 lampioni più vicini. Spostandosi verso il lampione successivo, anch’esso
invia il segnale di accensione ai cinque che seguono.
In questa maniera l’automobilista nemmeno si accorge che la strada, prima del suo passaggio, era illuminata solo al 40%. Passata la macchina, la riduzione
luminosa avviene in maniera graduale per non disturbare gli abitanti in prossimità della strada. L’azienda elettrica della città di Zurigo ewz ha girato un
bel video dall’alto con l’ausilio di un drone. Si vede
molto bene il funzionamento del tratto di strada.1
Programma di promozione
Per motivare i Comuni a utilizzare questo sistema di
regolazione, dal 2015 è attivo su tutto il territorio svizzero il programma nazionale effestrada. Per avere
diritto al sussidio di Fr. 100.– per punto luce devono
venir soddisfatte tre condizioni: la sostituzione delle
vecchie lampadine deve avvenire con i led, i risparmi
annui devono superare i 200 kWh per punto luce e
per finire la luce deve venir gestita in maniera intelligente. La gestione intelligente può essere interpreta-
ta in due maniere diverse: i lampioni vengono muniti
di radar o di altri rilevatori di movimento che permettono di illuminare la strada a pieno regime unicamente se vengono registrati degli utenti. Questo sistema conviene soprattutto su strade con circolazione
ridotta, dove i risparmi grazie al sensore di movimento raggiungono il 65%. Con l’ausilio dei led, le economie di energia del sistema arrivano addirittura
all’85%. L’importo del sussidio di Fr. 100.– corrisponde circa all’investimento necessario per il radar o il
rivelatore. La seconda possibilità è l’utilizzazione degli
alimentatori intelligenti, programmati in maniera
tale che l’intensità luminosa dopo mezzanotte si riduce automaticamente di almeno il 50%. Il programma
effestrada, sostenuto da prokilowatt e gestito dall’associazione delle industrie d’illuminazione (fvb),
mette a disposizione un milione di franchi è sarà attivo fino all’esaurimento dei fondi.2
* presidente safe, Agenzia svizzera dell’efficienza
energetica
Note
1. Lo si trova su youtube.com cercando il titolo LED für die
Strassenbeleuchtung – wenig Energie, volle Wirkung.
2. Ulteriori informazioni su effestrada sono reperibili
all’indirizzo www.effestrada.ch; sull’illuminazione
pubblica efficiente si veda inoltre www.topstreetlight.ch.
Stadtbeleuchtung
Die Autorin ist Vorsitzende der Schweizerischen Agentur für Energieeffizienz. Sie setzt sich mit diesem Thema auseinander und erinnert
daran, dass die Eidgenossenschaft die Agentur im Jahr 2005 damit
beauftragt hat, die öffentliche Beleuchtung der Schweiz zu analysieren.
Es sollte festgestellt werden, wie viel Energie durch die öffentliche Beleuchtung verbraucht wird und welche Möglichkeiten bestehen, die
Auswirkungen auf die Umwelt zu reduzieren. 1,5 % des gesamten
schweizerischen Stromverbrauchs entfallen auf den Bereich der öffentlichen Beleuchtung. Das entspricht jährlichen Ausgaben in Höhe von
150 Millionen Franken. Die Analyse ergab, dass der unterschiedliche
Stromverbrauch der Gemeinden eher auf die Geografie als auf die
Logik zurückgeht. Daher werden die einzelnen im Hinblick auf die
Optimierung durchgeführten Bewertungen dargestellt. Bei der Erläuterung der in Lumino und Zürich erarbeiteten Pilotprojekte für öffentliche
Beleuchtung werden die positiven Ergebnisse der neuen LED-Technologie
hervorgehoben, die die Strassenbeleuchtung revolutioniert haben.
Trotz der anfänglich höheren Kosten sind die Lichtqualität hervorragend, der Energieverbrauch geringer, die Beleuchtungsgenauigkeit höher und die Lebensdauer länger. Derzeit kommt bei
90 % der neuen öffentlichen Beleuchtungen sowie beim Grossteil
der Sanierungen LED-Technologie zum Einsatz. Ein weiterer grosser
Vorteil von LED ist die Tatsache, dass LED -Leuchten sich sofort einschalten; so können sie auch mit Bewegungssensoren kombiniert
werden. Diese Form der Beleuchtung setzt sich nach und nach in der
ganzen Schweiz durch.
45
LA LUCE ARTIFICIALE
Isabella Sassi Farias*
La fotografia e la luce artificiale
La luce è l’essenza stessa della fotografia, come conferma l’etimologia greca del nome foto (luce) - grafia
(scrittura, disegno). Oltre che con la luce naturale
proveniente dal sole, si possono realizzare fotografie
con luce mista (naturale e artificiale) oppure, come
quando si lavora in studio, solo con luce artificiale. Se
la luce diurna varia continuamente di intensità e di
colore, il vantaggio nell’uso dell’illuminazione artificiale è la sua stabilità e riproducibilità, che può permetterci di ricreare le stesse condizioni di luce in
ogni momento, senza dover dipendere dal tempo atmosferico, dalle stagioni e dagli agenti esterni. Nonostante il fascino che da sempre esercita la luce solare
(e di conseguenza l’ombra) sul fotografo, ci sono professionisti che non sopportano l’idea di dover aspettare che il sole si sposti, ma preferiscono avere sotto controllo nei minimi dettagli l’illuminazione di una scena
e pertanto propendono per fotografare in studio con
luce artificiale. Ovviamente, sono anche altri fattori,
occasioni lavorative e scelte, che portano il fotografo a
prediligere il lavoro in esterni, in interni o in studio,
ma di certo le preferenze in tema di illuminazione
sono fondamentali. La fotografia con luce artificiale e
in particolare la fotografia a colori deve prendere in
considerazione il colore della luce, la sua temperatura
colore. Ogni fonte di luce (incandescente, fluorescente, led ecc.) possiede una sua temperatura colore che
viene misurata in gradi Kelvin e varia da un colore tendente al rosso (temperatura colore bassa) a uno tendente al blu (temperatura colore alta). Se gli occhi e il
cervello sono in grado di filtrare la temperatura colore, normalizzandola, lo stesso non succede alla macchina fotografica, che registra implacabilmente tutte
le diverse fonti di luce con rese cromatiche differenti.
Fotografia d’architettura in interni
e luce artificiale
Quando si realizzano fotografie d’architettura in interni, spesso bisogna confrontarsi con l’illuminazione artificiale. A volte è l’architettura stessa che lo
richiede o il progettista per valorizzare il proprio
lavoro, altre volte è il fotografo, che può decidere di
utilizzare le luci esistenti inserite nel progetto o di affiancare ad esse altre fonti luminose. Gran conoscitore della luce artificiale per la fotografia di architettura e d’interni è sicuramente Julius Shulman, che
opera negli Stati Uniti a partire dal 1936 fotografando i progetti di molti architetti, tra cui Richard Neutra. Shulman nei suoi scatti, a volte su suggerimento e
richiesta dell’architetto stesso,1 esegue un controllo
attento della luce artificiale. Egli ci illustra ampia-
1.
mente le tecniche di illuminazione che usa nella fotografia di architettura, mettendo in rilievo i casi più
problematici: «quelli in cui nell’inquadratura c’è una
finestra sufficientemente ampia da lasciare entrare
luce esterna, tale da richiedere un bilanciamento luminoso con l’interno».2 Ciò si verifica perché, se noi
esponiamo facendo una valutazione sull’interno, la
parte finestrata risulterà sovraesposta e, di conseguenza, non leggibile. Se, al contrario, ci basiamo su
ciò che è visibile dalla finestra per decidere i tempi di
apertura dell’otturatore, perderemo informazioni
sull’interno, che risulterà troppo buio.
Secondo Shulman a ciò si può ovviare utilizzando
delle luci interne supplementari (flash) che vanno a
compensare le differenze esistenti tra i due ambienti
(interno ed esterno).3
Per risolvere questo tipo di problemi con la fotografia
digitale si può anche procedere realizzando più scatti
con diverse esposizioni, che poi verranno adeguatamente scelti e sovrapposti in post produzione. In alter-
46
LA LUCE ARTIFICIALE
1. Sandra Giraudi, Thomas
Radczuweit, restauro dell’ex
convento di Santa Maria
degli Angeli a Lugano, 2014.
Veduta del por tico
2. Graf ton Architects,
Nuova Sede Bocconi, 2015.
Luce mista al tramonto
3. Julius Shulman, Photographing
Architecture and Interiors,
Balcony Press, Los Angeles
2000
4. Her vé Chandès, William Eggleston, Thames & Hudson,
Fondation Car tier pour l’ar t
contemporain, London 2002
nativa, la fase di ripresa può essere eseguita durante il
crepuscolo, un momento breve in cui la luce proveniente dall’esterno è meno intensa e si può facilmente
compensare con l’illuminazione interna. L’orario del
tramonto, se si fotografa a colori, può rendere la fotografia molto evocativa e accattivante, ma bisogna valutare sempre se l’aspetto glamour e pubblicitario che
l’illuminazione artificiale può dare all’immagine è
coerente con l’architettura fotografata. In interni,
l’intervento con luci artificiali supplementari si giustifica ancora meglio quando l’illuminazione aggiunta
va a evidenziare le caratteristiche dello spazio. In alcuni dei molti esempi che propone Shulman, questo valore aggiunto è evidente e ci permette di leggere i diversi piani esistenti, di dare spessore all’arredamento
e ai materiali o di rendere più o meno drammatica
un’inquadratura.4 Shulman porta sovente dei casi
concreti e degli esempi di riferimento in cui spiega il
proprio lavoro e le scelte che, di volta in volta, compie.
In questo modo egli stesso ci rivela che l’esperienza
conta molto più di qualsiasi consiglio.5 Effettivamente,
a meno di ricorrere a dei manuali tecnici, che però
hanno dei limiti evidenti dettati dal tempo in cui sono
stati realizzati e dal fatto che ogni caso studio è irripetibile, spesso è conveniente far esperienza sul campo o
affiancando fotografi più esperti. Con l’avvento del
digitale, il modo di utilizzare la luce artificiale si è modificato. Se una volta il fotografo d’architettura doveva, in fase di ripresa, esporre correttamente la diapositiva o il negativo utilizzando i filtri atti a correggere le
dominanti di colore che derivano dalle diverse fonti
luminose, oggi il problema viene spesso trattato successivamente, a computer, con i programmi appositi.
Attraverso delle accurate elaborazioni digitali, è inoltre possibile creare effetti luminosi estremamente realistici da inserire su fotografie già realizzate.
2.
Fotografi e luce artificiale
Nella speranza che possa essere fonte d’ispirazione
per il fotografo di architettura e, forse, per l’architetto, è interessante fare qui riferimento alle fotografie
con luce artificiale di alcuni autori.
Il punto di partenza dei lavori presentati, che in parte
ha contribuito a far entrare a pieno titolo la fotografia nel mondo dell’arte, non è quello di descrivere
il soggetto in modo spettacolare, come spesso capita
nelle immagini di architettura illuminate artificialmente. La peculiarità di questi autori è basata proprio su un uso non convenzionale del mezzo e della
luce: la macchina fotografica diviene uno strumento
analitico attraverso cui porsi di fronte al mondo, mettere in discussione ciò che vediamo e la nozione stessa di realtà.6 Untitled (Greenwood, Mississippi) è una delle immagini più famose di William Eggleston. La
fotografia, il cui colore predominante è il rosso vivo,
ritrae una lampadina attaccata al soffitto tramite un
supporto dorato, posizionata leggermente a sinistra
rispetto al centro dell’immagine, dalla quale partono
tre fili bianchi che vanno in direzioni diverse del soffitto e una corta catenella per l’accensione. La lampadina sembra essere oscurata o bruciata, ma poco più
in alto si legge un riflesso sulla vernice rossa, probabilmente dovuto al flash utilizzato nello scatto. Eggleston inquadra un angolo della stanza da una posizione semi sdraiata, dove le pareti incontrano il soffitto
3.
4.
47
LA LUCE ARTIFICIALE
e riesce, senza descriverlo nella sua interezza, a farci
intuire lo spazio interno in cui si trova e la sua atmosfera. Il colore predominante è un rosso saturo, intenso, di pareti e soffitto. Nonostante Eggleston sia
conosciuto per le sue fotografie a luce naturale, in
questo caso, la lampadina e quindi la luce artificiale
nella sua espressione più immediata, è il punto centrale della fotografia. Altri fotografi europei e nordamericani hanno usato la macchina fotografica per
documentare il paesaggio e la città, realizzando visioni notturne e serali senza preoccuparsi di controllare
il colore che assumeva la luce in fotografia, ma sfruttando le potenzialità e l’effetto che le diverse fonti di
luce danno alla scena. Joel Meyerowitz ha realizzato
delle vedute notturne in esterni del paesaggio urbano, mescolando più sorgenti luminose (con diverse
temperature colore), che creano delle interessanti
combinazioni cromatiche sulla pellicola. «L’architettura per me è diventata parte integrante del mio fotografare nelle strade. In bianco e nero era meno interessante, ma appena sono passato al colore ho iniziato
a rapportarmi all’architettura come a un elemento
collegato alle altre parti dell’inquadratura. La fotografia a colori fa capire che gli edifici sono molto più
vivi».7 Stephen Shore all’inizio degli anni Settanta ha
utilizzato la luce artificiale del flash di una macchina
Rollei 35mm per documentare un viaggio attraverso
gli Stati Uniti. Nel progetto, intitolato American Surfaces, le fotografie riprendevano, come in un diario, dei
dettagli apparentemente insignificanti di stanze di
motel, pompe di benzina, pranzi non certo indimenticabili e persone incontrate, con un’estetica ordinaria. «Ogni sua serie è guidata da una struttura di
base, che non cede mai lo spazio al virtuosismo fotografico».8 Martin Parr utilizza la luce artificiale di un
flash circolare posizionato sulla macchina da presa
per illuminare i soggetti fotografati, esaltandone i colori e i riflessi ed eliminando le ombre, riducendone il
contrasto. Parr ci pone davanti a dei dettagli della società del consumo e, tramite dei colori forzatamente
artificiali e con delle riprese ravvicinate di oggetti, corpi e cibi rappresenta l’alienazione nella quale viviamo.
Tra i fotografi appartenenti alla scuola di Düsseldorf,9 Axel Hütte ha lavorato a una serie di fotografie
5.
5. Angelo Monti. Interno a Cernobbio, 2012.
Luce mista (la luce ar tificiale esistente met te in risalto
par te del corpo scala)
6. Colin Westerbeck , Joel Meyerowitz, Phaidon, London 2013
7. Mar tin Parr, No worries, T & G Publishing, Sydney 2012
8. Constance Glenn, Virginia Hecker t, Mar y-Kay Lombino, Candida
Höfer. Architecture of absence, Aper ture Foundation, Paris 2004
9. Darcey Steinke, Gregor y Crewdson. Dream of life, Ediciones
Universidad de Salamanca, Salamanca 1999
6.-9.
48
LA LUCE ARTIFICIALE
notturne di paesaggi urbani, nella quale esplorare i
limiti della percezione. Nel libro As dark as light gli
elementi del paesaggio notturno perdono i loro colori. Allo stesso modo, ogni riferimento di profondità,
altezza, primo piano e sfondo viene assorbito dall’oscurità, nella quale terra, cielo e orizzonte si sovrappongono in un unico piano. Solo le luci artificiali ci
fanno distinguere forme e colori, interni delle case e
illuminazione stradale. La luce artificiale ci permette
di esplorare le visioni notturne e ricercare in esse dei
punti di riferimento nuovi, per poterci orientare nel
buio, ai limiti del visibile. Nelle fotografie di Candida
Höfer, che ha lavorato principalmente negli interni
di istituzioni pubbliche in assenza di persone, la luce
artificiale, quando è presente, spesso è mescolata a
quella naturale, ma sempre neutra e fredda, anche in
casi in cui questo ha sicuramente comportato notevoli modifiche in fase di stampa per far coincidere la
propria idea luminosa dello spazio con quella effettivamente registrata dal mezzo.
Anche Guido Guidi, che nella sua ricerca fotografica
sulla Tomba Brion ha approfondito gli effetti della
luce solare e in particolare dell’ombra sull’architettura di Carlo Scarpa,10 ha realizzato un lavoro sfruttando la luce artificiale. In Bunker, una serie di fotografie
realizzate sulla linea atlantica, Guidi esegue delle viste dall’interno guardando attraverso le feritoie e le
aperture. In molte di queste fotografie ha dovuto utilizzare il flash per illuminare l’interno, altrimenti
completamente buio e compensare la differenza di
luce con l’esterno illuminato dal sole. Jeff Wall, il cui
ruolo somiglia di più a quello di un regista, costruisce
dei set cinematografici di situazioni in apparenza
quotidiane e realistiche, controllandone tutte le variabili e anche la componente luminosa. I suoi tableaux,
in cui cita importanti opere della pittura ed esplora il rapporto tra naturale e artificiale,11 sono presentati retroilluminati, nella forma di light box. Nelle
fotografie di uno dei maggiori esponenti della staged
photography,12 Gregory Crewsdom, la luce artificiale
ha un ruolo fondamentale nel narrare una storia, è il
suo mezzo privilegiato per dare enfasi alla psicologia
nascosta dietro alla superficie dell’immagine. Mistero, solitudine, paure, desideri e inquietudini emergono dai paesaggi quotidiani della provincia nordamericana, rivelandone il lato più oscuro. Egli si avvale
di tecniche cinematografiche e di una vera e propria troupe composta da molte persone (scenografi, truccatori, attori ecc.) e, attraverso il controllo di
numerosi fonti luminose, da quelle per gli esterni ai
punti luce all’interno delle automobili o delle abitazioni, ci suggerisce una storia condensandola in
un’immagine.
* fotografa di architettura, architetto
Note
1. Il riferimento è al confronto tra il fotografo e l’architetto
R.M. Schindler riportato in Julius Shulman, L’architecture
et sa photographie, Taschen, Koln 1998, pp. 45-47.
2. Julius Shulman, Photographing Architecture and Interiors,
Balcony Press, Los Angeles 2000, p. 63.
3. Ibidem.
4. Ibidem, p. 69.
5. Julius Shulman, The photography of architecture and design,
Whitney Library of Design, New York 1977, p. 45.
6. Ghirri parla della consapevolezza che «la luce della
fotografia non è la luce della realtà» e di una «sensibilità
nei confronti della luce» finalizzata al «rapporto di
conoscenza con il luogo e con la sua rappresentazione»,
in Luigi Ghirri, Lezioni di fotografia, Quodlibet, Macerata
2010.
7. Joel Meyerowitz, in Brynn Campbell (a cura di),
World Photography, Ziff-Davis Books, New York 1981.
8. Stephen Shore, Phaidon Press, London 2007.
9. Nata in Germania nel 1976 dagli insegnamenti dei coniugi
Becher, famosi per le loro visioni seriali in bianco e nero
dell’architettura industriale.
10. La mostra è stata esposta nel 2013 all’Accademia
di architettura di Mendrisio.
11. Sul tema del rapporto tra realtà e finzione merita un cenno
il lavoro di Thomas Demand, che costruisce dei modelli
a grandezza naturale allo scopo di fotografarli. Il suo ruolo
viene così a posizionarsi tra quello dell’architetto e quello
del fotografo.
12. La fotografia allestita ha tra i suoi esponenti anche Philip
Lorca di Corcia. Le sue fotografie, all’apparenza di strada
e di reportage, sono costruite invece con comparse e luci.
Fotografie und künstliches Licht
Auf eine kurze Einführung zur künstlichen Beleuchtung in der Fotografie folgt ein Überblick über die Arbeit eines berühmten Fotografen
wie Julius Shulman und ein Vergleich mit der heute verfügbaren digitalen Technologie. Der letzte Absatz befasst sich kurz mit Fotografen,
die künstliches Licht in bestimmten Werken, Büchern und Projekten
verwendet haben. Die zur Ausleuchtung der Fotos verwendete Methode ist bei der Arbeit dieser Künstler nicht immer offensichtlich, obwohl
gerade das Licht und die dadurch erzeugte Farbe ein grundlegender
Aspekt ihrer Vorgehensweise ist. Der Zweck ihres künstlerischen Schaffens, das einen Beitrag zur vollständigen Anerkennung der Fotografie
als Kunst geleistet hat, ist nicht die denkwürdige Beschreibung des
dargestellten Objekts. Im Gegenteil, die Besonderheit ihrer Arbeiten
liegt im unkonventionellen Einsatz der Fotografie, deren Ziel weder
Schönheit noch eine auffällige Inszenierung ist. Einige interessieren
sich durch eine systematische Verwendung der zur Verfügung stehenden Instrumente mehr für die eingesetzte Methode, für Serienarbeiten
und für das Projekt, andere bemühen sich, der Zweideutigkeit des
Mediums auf den Grund zu gehen. Der Fotoapparat wird wie ein
analytisches Instrument eingesetzt, mit dessen Hilfe wir uns mit der
Realität auseinandersetzen und das Gesehene infrage stellen können.
Illustriert wird der Text mit Innenraumfotografien, bei denen mithilfe
der vorhandenen Lichtquellen jeweils die Besonderheiten des Raums,
der Textur, der unterschiedlichen Ebenen und der Leuchtkörper unterstrichen werden. Das Projekt wird erzählt, ohne Farbe und Licht zu
sehr in den Vordergrund zu stellen.
49
LA LUCE ARTIFICIALE
Shigeru Ban Architects
Jean De Gastines
Ernst Basler+Partner
traduzione
Studio Associato Bozzola
Edificio Tamedia, Zurigo
Le travi luminose
bassi valori di dispersione termica, in accordo con le
più recenti e severe prescrizioni svizzere in materia di
consumo energetico. Sul lato rivolto verso la città, l’edificio dispone anche di uno spazio «intermedio» per
tutta l’altezza della facciata est che, oltre a svolgere il
ruolo di «schermo termico» nell’ambito della strategia generale di consumo energetico, diventa anche
un’esperienza spaziale unica con aree lounge e collegamenti verticali tra i diversi piani adibiti a uffici.
Questi «loggiati» possono essere usati come aree relax e per riunioni informali, e avranno anche la particolarità di avere una facciata composta da un sistema
di vetrate a scomparsa che permette di trasformare
questi spazi in terrazze aperte rafforzando il forte legame tra l’interno dell’edificio e il paesaggio circostante. Il sistema strutturale in legno rappresenta in
larga misura l’innovazione più significativa del progetto. Da un punto di vista tecnico e ambientale la proposta di una struttura in legno è una risposta originale e
unica per questo tipo di edificio per uffici e anche il
fatto che gli elementi strutturali siano interamente visibili conferisce un carattere molto particolare e un’alta
qualità alla spazialità dell’ambiente di lavoro. Oltre al
chiaro contributo dato alla sostenibilità dalla scelta del
legno come materiale strutturale principale (solo materiale da costruzione rinnovabile e più basso produttore di CO2 nel processo costruttivo), il sistema impiantistico globale è stato progettato per soddisfare i più
alti standard energetici (lo spazio intermedio, oltre a
svolgere la funzione di «barriera termica» fa parte degli spazi pubblici che saranno riscaldati e raffreddati
con l’aria di estrazione dalla zona uffici).
Foto Didier Boy de la Tour
La sede del gruppo editoriale svizzero Tamedia è situata nel cuore della città di Zurigo all’interno di un
isolato urbano dove si trovano i principali edifici del
gruppo. La volumetria è posizionata nella parte orientale del sito e presenta la particolarità di sviluppare,
attraverso quasi cinquanta metri di facciata, un profilo lineare che si affaccia sul canale d’acqua del Sihl. L’impianto dell’intervento risponde essenzialmente
all’impronta del fabbricato esistente da demolire, ma
il nuovo manufatto crea una continuità con le facciate
degli edifici adiacenti riuscendo a sfruttare l’altezza
massima consentita per ottimizzare la superficie utile
adibita a uffici in questa parte dell’isolato. L’accesso
principale del palazzo si trova nell’angolo nord tra
Werdstrasse e Stauffacherquai e diventerà di fatto
l’ingresso principale dell’intero complesso. L’edificio si sviluppa su sette piani fuori terra e due livelli interrati per una superficie netta complessiva di
8.602 mq (a cui si aggiungono ulteriori 1.518 mq che
corrispondono al progetto di ampliamento su due piani che sarà realizzato sul tetto dell’edificio adiacente al
numero 8 della Stauffacherquai). Da un punto di vista architettonico, una delle caratteristiche principali del progetto è rappresentata dalla
proposta di un sistema strutturale principale interamente realizzato in legno che, oltre al carattere innovativo dal punto di vista tecnico e ambientale, conferisce all’edificio un aspetto unico visto sia dagli spazi
interni che dalla città che lo circonda. Al fine di rafforzare ed esprimere pienamente questo concetto, la
«pelle» dell’edificio è interamente vetrata e una particolare attenzione è dedicata al raggiungimento di
50
Foto Didier Boy de la Tour
LA LUCE ARTIFICIALE
EDIFICIO TAMEDIA, ZURIGO
Committente Tamedia AG , Zurigo | Architettura Shigeru
Ban Architects Europe, Jean De Gastines; Parigi Collaboratori K. Asami, G. Perez, T. Ishikawa, M. Maruyama Local
Architect It ten+Brechbuhl AG ; Zurigo | Ingegneria civile
Creation Holz GmbH; Herisau | Illuminotecnica Ernst
Basler+Partner, Lichtarchitektur; Zurigo | Impiantistica
3-Plan Haustechnik; Winterthur | Impresa generale Hrs
Real Estate AG; Zurigo | Fotografia Didier Boy de la Tour;
Parigi, R. Dürr / EBP; Zurigo | Date progetto 2008–2010, realizzazione 2011–2013
51
LA LUCE ARTIFICIALE
TERRACE
KITCHEN
DS
EV HALL
DS
MEETING
ROOM
DS
OFFICE
DS
OFFICE
DS
CLOSED
LOUNGE
TERRACE
CLOSED
LOUNGE
VOID
VOID
Pianta piano at tico
DS
KITCHEN
EV HALL
DS
MEETING
ROOM
DS
OFFICE
OFFICE
DS
DS
LANDING
VOID
CLOSED
LOUNGE
OPEN
LOUNGE
VOID
VOID
Pianta quar to piano
DS
KITCHEN
EV HALL
DS
MEETING
ROOM
DS
OFFICE
DS
DS
CLOSED
LOUNGE
LANDING
VOID
OPEN
LOUNGE
VOID
Pianta piano tipo
TENANT
SPACE
DS
DS
KITCHEN
CORNER
DS
DS
MULTIPURPOSE SPACE
OFFICE
ENTRANCE
LOBBY
DS
LOUNGE
Pianta piano terra
Sezione trasversale
52
Foto Didier Boy de la Tour
Foto Didier Boy de la Tour
LA LUCE ARTIFICIALE
Sezione longitudinale
Testi e disegni Shigeru Ban Architects, Jean De Gastines
53
LA LUCE ARTIFICIALE
Ernst Basler+Partner
testo Walter Moggio
traduzione
Anna Allenbach
Uno scheletro illuminato
Il rapporto professionale tra Shigeru Ban – architetto
autore del progetto – e Basler+Partner, studio consulente per gli aspetti illuminotecnici, si è sviluppato
attraverso il lavoro di un team di pianificazione costituito anche dagli architetti Itten+Brechbühl di Zurigo.
Il preciso coordinamento nonché la fiducia reciproca
permisero una progettazione integrale di luce naturale e luce artificiale. Avendo una certa esperienza nel
progetto illuminotecnico, siamo abituati a sviluppare
programmi innovativi, aggiornati e al servizio dello
spazio. Controlliamo tempestivamente che le nostre
proposte non si lascino abbagliare dagli effetti speciali o dalle mode che saranno velocemente superate
senza reggere sul piano formale. L’integrazione discreta della luce con una variazione minima di qualità e varietà è alla base della nostra strategia luminosa
per l’architettura e per l’uomo nel progetto Tamedia.
L’impianto della luce artificiale è considerato un sostegno alla luce naturale ed è chiaramente subordinato alla fonte di luce naturale. Di conseguenza entrambe vengono integrate in un piano comune. La
loro interazione è sostenuta da scenari di luce artificiale predefiniti. Le lampade efficienti che necessitano di una manutenzione minima allacciate al sistema
di gestione dell’edificio (management della luce) con
rilevatori della luce naturale, si ripercuotono in modo
positivo sui costi d’esercizio e sul bilancio energetico.
Delle lampade da lavoro intelligenti a stelo dosano direttamente la luce artificiale in base alla luce naturale presente nello spazio. L’accensione individuale è
molto apprezzata dall’utenza. Il progetto d’illuminazione è «resistente alla tecnologia» per permettere
l’inserimento di nuove tecnologie della luce. Tutte le
lampade sono state montate sulla struttura per consentire una facile sostituzione delle lampade stesse o
un ampliamento del sistema senza dover ribaltare
l’intero progetto di base. Tenendo conto che in questo caso la luce artificiale è integrata nella struttura
creando una sorta di scheletro illuminato, si è cercato
di ottenere l’effetto di «smaterializzazione» della luce.
La struttura in legno che definisce lo spazio, le trasparenze e gli spazi estremamente alti ci hanno posto
davanti a una sfida non da poco dal punto di vista
tecnico ed estetico. La valutazione minuziosa e l’impiego di moduli innovativi e affermati di lampade
standard costituiscono la vasta gamma delle possibilità luminose in Tamedia. Grazie a un ventaglio di direzioni luminose, soluzioni ottiche e intensità è possibile soddisfare una moltitudine di funzioni e creare
atmosfere a volontà. Il supporto in legno diventa il
vero corpo illuminato. Il semplice e lineare corpo luminoso si integra completamente nella struttura primaria in legno e illumina lo spazio di una luce non
abbagliante. Il gioco studiato delle luci direzionate va
ad aumentare la plasticità degli oggetti e la struttura
nelle zone d’accesso e d’incontro ed evoca la lumino-
Foto Didier Boy de la Tour
sità dei raggi di sole. Le zone luminose con funzioni
specifiche, che si differenziano tra loro per qualità e
quantità della luce, sottolineano le intenzioni architettoniche. Il ritmo dato della struttura in legno con una
distanza ottimale tra gli assi ci ha dettato le distanze tra gli elementi. Per ottenere un’illuminazione
base ideale nonostante le grandi distanze tra le fonti
di luce sono state ottimizzate le qualità tecniche della
luce stessa e analizzate con la «peggior luce naturale
possibile», attraverso estese simulazioni e processi di
interazione. I temi luminosi dei softskill qualitativi
come effetto complessivo, confort e benessere visivo sono stati misurati in modo classico facendo uso
di un modello di facciata in scala 1:1. In questo
modo sono stati valutati integralmente l’illuminazione interna, la visibilità notturna dall’esterno e
l’effetto complessivo. Il collocamento delle lampade
previsto, la qualità della luce, il colore della luce unitario bianco caldo (3000 K) e le linee luminose nascoste, in combinazione con le lampade intelligenti che
illuminano i posti di lavoro, hanno convinto sia il
team che i committenti. Il legno di abete rosso e i
chiari colori naturali delle superfici vengono messi
nella luce giusta in modo onesto e discreto: illuminati
sia direttamente che indirettamente. La nostra filosofia di portare una luce «immateriale» e discreta si realizza all’interno dell’edificio Tamedia. La luce non ha
una forma; rende visibili sia lo spazio che la straordinaria struttura di base.
54
LA LUCE ARTIFICIALE
Foto Didier Boy de la Tour
Schizzo di studio
del proget to
illuminotecnico
Disegni Ernst Basler+Par tner Lichtarchitek tur, Walter Mog gio
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Foto R. Dürr / EBP
Foto Didier Boy de la Tour
LA LUCE ARTIFICIALE
56
Foto Didier Boy de la Tour
LA LUCE ARTIFICIALE
57
LA LUCE ARTIFICIALE
Bearth & Deplazes
Architekten
Morger+Dettli Architekten
Reflexion
traduzione
Anna Allenbach
Piscine, fitness e spa, St. Moritz
Ovaverva, la lanterna del villaggio
L’impianto urbanistico di Sankt Moritz Bad è tuttora
caratterizzato dalle infrastrutture create appositamente per i bagni termali alla fine dell’Ottocento. In
assenza di un progetto urbano, la zona pianeggiante
del paese in riva al lago, intorno alla sorgente di San
Maurizio, si è trasformata spontaneamente in una località turistica. Al confine della casa di cura – che risale agli inizi dell’affermarsi della tradizionale cultura termale – si trova il nuovo centro balneare e
sportivo Ovaverva. La volumetria bianca e compatta si inserisce in maniera discreta tra gli edifici
monumentali esistenti grazie alle sue proporzioni
contenute in altezza. Una composizione tripartita
caratterizza il manufatto rivestito in pietra artificiale: su di uno zoccolo chiuso poggia il livello principale, piano nobile aperto e circondato da pilastri,
mentre il coronamento si delinea tramite un tetto
piano. Le facciate dell’edificio a pianta quadrata
sono simili tra loro e si differenziano solo per alcune
varianti. Il fronte sud-est, rivolto verso il parco, ha
una vetrata arretrata al piano piscina, quella orientata
verso sud-ovest è contraddistinta invece da un terrazzo che accoglie la vasca esterna e il ristorante. Il complesso intersecarsi degli spazi interni, in cui si svolgono le diverse attività, non è leggibile all’esterno, dove
la volontà è stata quella di ridurre al minimo gli elementi che compongono i fronti. Dalla strada, attraverso uno slargo leggermente inclinato che si restringe progressivamente, si accede al complesso sportivo.
L’atrio a doppia altezza, ritmato da quattro pilastri e
contrasegnato dai colori scuri, accoglie il visitatore e
lo conduce prima agli spogliatoi e alla zona fitness,
poi alle piscine e al ristorante o direttamente, all’ultimo livello dedicato alla zona wellness. Le pareti in
cemento a vista sono impreziosite da una mano di
vernice d’oro argentato, l’arredo in rovere scuro, i pavimenti, semplici e resistenti, in cemento spatolato di
color antracite. Attraverso una generosa apertura interna il visitatore può scorgere sullo sfondo la scala
che dal cuore dell’edificio porta al più luminoso livello dei bagni. Un ampio lucernario illumina il nucleo
verticale collegando il piano degli spogliatoi alle piscine attraverso il livello dedicato alle infrastrutture.
Il piano tecnico, concepito come «piano cieco», è raggiungibile solo dall’interno ed è organizzato in base
al calco delle vasche, alle condutture, ai filtri degli
impianti di trattamento, ai bacini che regolano l’impianto idrico e a diversi altri vani tecnici. Allo stesso
livello si trovano gli uffici e i depositi che, come i posteggi del personale, sono situati sul lato nord. Il piano della piscina – rivestito di quarzite argentea scintil-
lante ai raggi del sole – è rialzato rispetto alla strada e
offre una vista sul paesaggio alpino dell’Engadina. I
nuclei di servizio, necessari per la statica e per la funzionalità degli impianti, separano le vasche isolando
lo spazio anche da un punto di vista acustico e sono
piastrellati di mosaici di vetro bianco. Il disegno del
parapetto in bronzo, dei corrimano e degli oggetti
metallici crea un complemento cromatico e tattile ai
materiali principali (oltre al calcestruzzo armato degli elementi portanti, l’intonaco, la pietra naturale e
artificiale, il mosaico in vetro, la ceramica e il legno).
La vetrata che circonda il piano principale è scandita
dal ritmo alternato dei serramenti; tranne che nella
zona ristorante è possibile rinunciare all’uso di tende
o altri ripari, visto che l’energia solare passiva della
luce naturale viene sfruttata durante tutto l’anno. Gli
ambienti dedicati al wellness sono arretrati rispetto
alla facciata esterna e risultano perfettamente isolati
per garantire una netta distinzione climatica. Lo sviluppo di questo spazio nasce dai meandri dei due livelli sovrapposti delle vasche del piano piscina. Rispetto alle finiture la zona spa si differenzia dai piani
sottostanti dai soffitti, pareti e pavimenti completamente rivestiti in legno massiccio di abete bianco con
una velatura di vernice e quindi acusticamente attivati. Il contatto visivo con gli utenti del piano inferiore è
possibile solo attraverso la corte centrale a lucernario.
Solo in punti selezionati vengono concesse grandi
aperture sul paesaggio, creando così un’atmosfera di
raccoglimento in cui sia il percorso che lo sguardo
sono guidati con precisione.
Foto Ralph Feiner
58
LA LUCE ARTIFICIALE
Foto Ralph Feiner
OVAVERVA, PISCINA, SPA E
CENTRO SPORTIVO, ST. MORIT Z
Committente Comune di St. Moritz, rappresentati da Fanzun AG; Zürich | Architettura Comunità di lavoro Bearth &
Deplazes Architekten AG; Coira, Morger+Dettli Architekten
AG; Basilea | Direzione Lavori Walter Dietsche Baumanagement AG; Coira, St. Moritz | Ingegneria civile Conzett Bronzini
Gartmann AG; Coira | Illuminotecnica Reflexion AG; Zurigo |
Ingegneria elettrotecnica Elkom Partner AG; Davos | Ingegneria RVC Stokar+Partner AG; Basilea | Ingegneria sanitaria Gemperle Kussmann GmbH; Basilea | Fisica della
costruzione Kuster+Partner AG; Coira/St. Moritz | Wellness e impianti Aqua Transform; Gossau | Facciate Emmer
Pfenninger Partner AG; Münchenstein | Ristorante Chromo
Planning AG; Coira | Geologia CSD Ingenieure und Geologen
AG ; Thusis | Geometra GEO Grischa; St. Moritz | Acustica
Martin Lienhard; Langenbruck | Fotografia Ralph Feiner;
Malans, Reto Häfliger (Reflexion AG ) | Date concorso 2010,
realizzazione 2011-2014
59
Foto Ralph Feiner
LA LUCE ARTIFICIALE
Pianta piano wellness
Pianta piano piscine
60
LA LUCE ARTIFICIALE
Foto Ralph Feiner
Foto Ralph Feiner
Foto Ralph Feiner
Sezioni
Pianta fitness e spogliatoi
Testi e disegni Bear th & Deplazes Architek ten Morger+Det tli Architek ten
61
LA LUCE ARTIFICIALE
Reflexion
Fot Foto Ralph Feiner
Ovaver va: progettare con la luce
L’Engadina è considerata la valle della luce. Progettare l’illuminazione artificiale di un edificio in questo luogo assume infatti un valore particolare: l’effetto della incredibile luce naturale dovrà alternarsi a
quello della luce artificiale. Diventa quindi importante creare un rapporto non concorrenziale tra le
diverse situazioni luminose per poter assistere a un
corteggiamento reciproco nel momento in cui esse
si sovrappongono.
In questa regione sono di grande interesse i fabbricati
in cui la struttura, con il gran numero di aperture di
facciata e lucernari, permette la diffusione di luce naturale all’interno degli spazi. Nell’Ovaverva la morbida luce naturale è amplificata fin negli spazi più nascosti dell’edificio. Per raggiungere questo obiettivo,
al piano piscina sono stati collocati dei «campi di luce
diffusa» secondo un preciso schema geometrico, che
si integra perfettamente nella struttura architettonica.
I volumi che si espandono ad altezze diverse sopra le
vasche vengono incrementati dalla luce indiretta per
sottolineare la tensione che si crea tra i vari dislivelli.
Più ci si addentra nell’edificio, più si è lontani dalla
luce del giorno, più la delicata luce diffusa segue una
coreografia ben precisa. L’apice di quest’evoluzione
viene raggiunto nella «funtower», fulcro degli scivoli,
dove la luce naturale è completamente assente e i materiali creano un tutt’uno con le luci producendo un
ambiente scuro e misterioso che si contrappone al
bianco bagliore della piscina.
Negli ambienti wellness e relax le luci sono più basse,
sia per intensità che per temperatura, in modo da creare un’atmosfera contemplativa. Nonostante la luminosità si differenzi in modo appena percettibile nei diversi ambienti, essi sono collegati tra loro dalla bassa
intensità dei riflessi e dall’omogeneità dei materiali.
Foto Reto Häfliger
Sezioni di studio con la simulazione dell’illuminazione ar tificiale
62
LA LUCE ARTIFICIALE
Esigenze e soluzioni per l’illuminazione
delle singole zone
L’intervento aspira a un ambizioso e complesso standard per il progetto di illuminazione artificiale. Disposizioni specifiche in funzione delle diverse scelte architettoniche hanno portato a modalità d’illuminazione
diversificate a seconda del contesto, tenendo conto degli aspetti formali nonché delle necessità tecniche della piscina coperta e della zona spa. Dalla stretta collaborazione con gli architetti Bearth & Deplazes e
Morger+Dettli, è nata una proposta illuminotecnica
contradistinta dalle numerose soluzioni sviluppate appositamente adoperando le tecnologie più recenti.
Durante la fase di progettazione sono stati studiati diversi materiali e il loro rispettivo proporzionamento
applicando anche la tecnica del mockup per l’individuazione delle soluzioni più adeguate.
Il piano piscina è provvisto di grandi superfici di luce
diffusa provenienti sia da corpi luminosi montati a
soffitto che a semincasso; insieme alla luce proveniente dalle vasche, queste superfici producono un’illuminazione diffusa e omogenea e creano un’atmosfera
fresca e pura. Le vasche illuminate risplendono nella
bianca cornice architettonica come grandi aree luminose. Il tutto è completato da brillanti accenti e contrasti prodotti da fasci puntuali mirati. Per il colore
predominante della luce al piano piscina è stato scelto
il bianco neutro, 4000 K, a eccezione dei «downlight» e
della zona ristorante dove si hanno 3000 K. All’esterno del piano piscina – al di là dei pilastri perimetrali – sono stati utilizzati dei punti di luce mirati, utili a marcare i contorni dello zoccolo in modo di
disegnare una sagoma ben definita anche al buio.
Per l’area circostante si è optato per una luce di colore bianco caldo a 3000 K. L’illuminazione del piano
wellness è molto discreta e raccolta. Un’intensità di
luce tenue promuove il rilassamento, punti di luce
bassi e direzionati creano intimità evitando riflessi
indesiderati nelle vetrate delle zone relax mentre
l’impiego di paralumi in tessuto decorativo crea
un’atmosfera adeguata (per questo ambiente è stato
scelto un bianco caldo a 2700 K). Il piano spogliatoio,
Disegni Reflexion
Foto Reto Häfliger
palestra e negozi compresi, si trova nel settore chiuso
all’interno dello zoccolo. La mancanza di luce naturale viene compensata da ampie superfici di luce diffusa. All’interno degli spogliatoi e nella zona servizi si è optato per un bianco caldo a 3000 K, nella zona
fitness invece per un bianco neutro a 4000 K. All’interno dell’edificio, l’atrio e la «funtower» vengono
letti come universi a sé stanti. L’orientamento verticale di questi due spazi e la differenziazione attraverso
i materiali vengono sottolineati anche dalle soluzioni
luminose: nell’atrio sono stati utilizzati «downlight»
e lampade a sospensione con raggi mirati verso il
basso (dove il colore della luce è un bianco caldo a
3000 K) mentre nella «funtower» fasci luminosi si allungano in altezza attraverso gli scivoli e dissolvono i
limiti concreti dello spazio (utilizzando un bianco
neutro a 4000 K).
La scala principale, a sua volta orientata sull’asse verticale, di giorno è inondata di luce naturale proveniente dal lucernario; di notte è illuminata da una
luce omogenea ottenuta con sorgenti asimmetriche.
63
Foto Reto Häfliger
LA LUCE ARTIFICIALE
Foto Reto Häfliger
64
LA LUCE ARTIFICIALE
Foto Ralph Feiner
65
LA LUCE ARTIFICIALE
Graber Pulver
Architekten
Mettler+Partner Licht
traduzione
Anna Allenbach
Centrale elettrica Forsthaus, Berna
Una nave nel bosco
massiccio e funzionale, si inserisce perfettamente nel
paesaggio e nell’ambiente circostante. La centrale
elettrica di Forsthaus è unica nel suo genere in Svizzera: il complesso produce energia con l’aiuto di un impianto di sfruttamento dei rifiuti, una centrale di riscaldamento a legna e di una centrale combinata a
gas e vapore. Al concorso – bandito nel 2004 – hanno partecipato dodici team; l’obbiettivo era quello di
individuare la migliore soluzione urbanistica e architettonica. Il progetto vincente per l’impianto è stato
presentato sotto il nome di «Sojus» dagli architetti
Graber Pulver. L’intervento è oggi un punto di riferimento per il carattere esemplare della collaborazione
interdisciplinare. Per realizzare l’enorme infrastruttura, gli architetti hanno lavorato a stretto contatto
con i progettisti di ingabbiature Walt+Galmarini e gli
ingegneri chimici di tbf+Partner su mandato mandato di Energie Wasser Bern (ewb). L’impegno per
ottenere questo risultato è stato immenso: per riuscire a mantenere le scadenze e il quadro dei costi, è stata necessaria un ottimo coordinamento della mano
d’opera, che in alcuni periodi ha raggiunto un picco
di 800 persone sul cantiere. Gli spazi ridotti della
radura hanno, inoltre, reso ancora più difficile il
lavoro. Durante la pianificazione e la realizzazione
il progetto ha richiesto molta attenzione per gli innumerevoli dettagli. Solo la precisione e l’accuratezza da parte di tutti hanno permesso di iniziare tranquillamente le attività nel pieno rispetto dei costi e
della scadenza nel marzo 2013.
Foto Hannes Henz
In mezzo al verde, tra la strada principale che porta a
Morat e la tangenziale ovest dell’autostrada A1, se ne
sta «ancorata» la nuova centrale elettrica di Forsthaus.
Come un’enorme nave portacontainer, la costruzione si erge sopra le chiome degli alberi del bosco di
Bremgarten, nei pressi di Berna. Dall’autostrada è
ben visibile la sagoma dell’edificio alto più di cinquanta metri, con la sua ciminiera rossa che risplende nella notte. Il lato sud dell’edificio lineare, lungo
più di trecento metri, traspare nel filtro diradato di
singoli alberi. Su uno zoccolo di cemento, fatto in un
pezzo unico, con immense ante scorrevoli si innalza
un involucro di elementi in cemento che sottolineano
la tettonica dell’edificio. Questo contenitore è composto da moduli prefabbricati e può essere smontato
facilmente per adeguare o risanare le parti dell’impianto. Il cemento è un materiale resistente al fuoco,
alle usure meccaniche e persiste nel tempo. L’involucro, oltre ai compiti statici, ne ha anche di estetici e di
suddivisione dello spazio. La sua forma possente conferisce all’edificio un carattere massiccio, ma la sapiente lavorazione dei componenti lo rende al tempo
stesso molto elegante.
La costruzione della nuova centrale elettrica è costata
500 milioni di franchi e per farlo si è dovuto creare
una radura nel bosco di 58’000 mq. Con netta maggioranza, l’88% della popolazione bernese ha accettato nel 2008 il progetto che prevedeva il cambiamento di destinazione e il disboscamento. Oggi possiamo
constatare che l’impianto, nonostante il suo carattere
66
Foto Hannes Henz
LA LUCE ARTIFICIALE
EZF, CENTR ALE ELE T TRICA FORSTHAUS
Murtenstrasse 100, Berna
Committente EWB Energie Wasser Bern; Berna | Architettura Graber Pulver Architekten AG; Zurigo-Berna | Gestione del progetto TBF +Partner AG Planer und Ingenieure; Zurigo | Realizzazione Akeret Baumanagement GmbH; Berna
| Ingegneria civile Walt & Galmarini AG; Zurigo, BlessHess
AG; Lucerna | Illuminotecnica e domotica Mettler+Partner
AG; Zurigo, BLM Waldhauser Haustechnik AG; Münchenstein,
Haustechnik AG; Zurigo, Amstein+Walthert AG; Berna | Architettura del paesaggio Hager Landschaftsarchitekten AG;
Zurigo | Ingegneria del traffico Teamverkehr; Cham | Facciate Fachwerk F + K Engineering AG; Berna | Fisica della
costruzione e acustica Gartenmann Engineering; Berna |
Sostenibilità ambientale CSD Ingenieure und Geologen AG;
Liebefeld | Fotografia Hannes Henz; Zurigo, Georg Aerni;
Zurigo | Date concorso 2005, realizzazione 2008–2013
67
LA LUCE ARTIFICIALE
Pianta quota + 21.60
Pianta quota + 7.20
Pianta quota +/- 0.00
Sezione longitudinale
68
Foto Hannes Henz
Foto Georg Aerni
LA LUCE ARTIFICIALE
Testo e disegni Graber & Pulver Architek ten
69
LA LUCE ARTIFICIALE
Mettler+Partner Licht
traduzione Anna Ruchat
Un vascello scintillante
Foto Georg Aerni
Come un bastimento ancorato al largo, l’edificio risplende dal suo interno, e rende così possibile vedere
l’attività attraverso le aperture regolari presenti nell’involucro di cemento prefabbricato. All’esterno sono
volutamente messe in evidenza dall’illuminazione solo singole parti. L’impressionante travatura reticolare in acciaio del condensatore d’aria, ad esempio,
si riesce a vedere grazie all’illuminazione dal basso di
una discreta luce bianca e fredda. L’illuminazione indiretta all’interno del corridoio di collegamento lungo trecento metri effettuata attraverso un fascio di
luce riprende il colore delle superfici e lo riflette verso l’esterno. Di notte, dalla Murtenstrasse si vede scintillare tra gli alberi una fascia gialla a mezz’aria che
attraversa l’intera lunghezza dell’edificio. Gli accenti
di luce rossa in cima alla ciminiera alta settanta metri, chiudono l’edificio e contemporaneamente fungono da segnaletica per il traffico aereo. In questo
modo, nel bosco che costeggia la tangenziale ovest,
mistiche nuvole di vapore rosso s’innalzano nel cielo
notturno e rendono visibile da lontano la centrale kva.
All’esterno è stata utilizzata esclusivamente un’illuminazione a led. Nei lampioni stradali è stata introdotta una funzione di riduzione notturna, per limitare al minimo il consumo energetico. Nei locali interni
con orari di esercizio prolungati sono stati in parte
impiegati per ragioni di rendimento economico, dei
tubi fluorescenti con «longlife», la cui durata nel tempo può arrivare a 60.000 ore.
Ristorante del personale,
schizzo con det taglio
dell’illuminazione indiret ta
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LA LUCE ARTIFICIALE
Schizzi dell’illuminazione nel vano scale e fotorender
Foto Georg Aerni
Schizzo dell’illuminazione
nella sala comando
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Foto Georg Aerni
LA LUCE ARTIFICIALE
Fronte e pianta di studio con la simulazione dell’illuminazione ar tificiale
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Foto Hannes Henz
LA LUCE ARTIFICIALE
Disegni Met tler+Par tner Licht
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LA LUCE ARTIFICIALE
Juan Navarro Baldeweg
Hübscher
traduzione
Studio Associato Bozzola
Edificio amministrativo
nel Campus Novartis, Basilea
Fabrikstrasse 18
ampia. La luce del sole viene filtrata dall’alto sui
piani e sull’entrata inondando di luce il nucleo
centrale dell’edificio. È previsto un piano terra e un
ammezzato occupato solo parzialmente, che lascia
un ampio spazio libero a doppia altezza all’ingresso. I
piani superiori hanno carattere più privato e presentano un’organizzazione simile e una disposizione programmatica. In cima all’edificio è previsto
un attico che occupa gran parte del giardino pensile.
In questa zona si prevede una zona living e relax con
strutture per servizio catering che potranno essere
ampliate. L’attico comprende anche una grande sala
riunioni che accoglierà la Group Executive Conference room.
Foto Paolo Rosselli
I nuovi edifici all’interno del Campus sono definiti
da una normativa urbanistica uniforme che segue il
progetto del masterplan affidato a Vittorio Magnago
Lampugnani. Considerati individualmente, i manufatti presentano tuttavia un carattere proprio e differenziato. È interessante vedere come essi mostrino
una propria unicità, una propria personalità, una
propria impronta, come fossero attori che interpretano lo stesso ruolo in modo diverso. Questa visione di
un insieme di edifici visti come attori è stata l’idea
che ha ispirato il progetto. Il nostro intervento viene
percepito come un elemento all’apparenza convenzionale, tuttavia la natura del suo involucro esterno
gli conferisce al tempo stesso un certo mistero. Abbiamo immaginato che ogni fabbricato indossi il proprio abito all’interno del Campus, reagendo con il
proprio accento, interpretando il proprio ruolo e mostrando un proprio stile caratteristico. Lavorando a
questo concetto, la presenza del nostro edificio viene
enfatizzata da una veste seducente che attrae lo spettatore per la geometria precisa e l’aspetto lucente. La
struttura reticolare in marmo bianco della «pelle»
che lo avvolge brilla alla luce naturale del giorno.
Uno dei corpi di fabbrica, costruito su un sito di 55 x
20,70 m per un’altezza di 23,50 m (28,50 m considerando anche l’attico) accoglierà la nuova sede del
quartier generale di Novartis.
Il progetto si sviluppa su ogni piano in due aree concentriche. Gli spazi destinati alle attività pubbliche e
condivise, come le aree intercomunicanti, l’atrio,
le scale, alcune sale riunioni e le zone relax, sono
disposti al centro. Nella zona perimetrale sono previsti gli spazi di lavoro individuali organizzati come un
open space continuo, in corrispondenza della facciata. In conformità con le linee guida urbanistiche riferite alla Fabrikstrasse, è prevista una strada coperta
con il primo portico a doppia altezza. La porta di accesso generale all’edificio è profilata da due pareti
verticali rivestite in marmo sulla doppia altezza. Una
volta entrati nello stabile, seguendo l’asse dell’ingresso principale ci si trova di fronte l’atrio che occupa
l’intera sezione verticale dell’edificio. All’aumentare
dell’altezza l’atrio si riduce e l’apertura diventa più
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LA LUCE ARTIFICIALE
Foto Paolo Rosselli
EDIFICIO AMMINISTRATIVO, CAMPUS NOVARTIS
Fabrikstrasse 18, Basilea
Committente Novartis Pharma AG; Basilea | Architettura
Juan Navarro Baldeweg; Madrid Collaboratori E. Barroso
Alonso, C.Araujo Palop, A. Hermosilla Minguijón, P. del Cid
Mendoza, G. Dürig Robledo e C. Guimaraes Da Costa | Direzione Lavori E. Barroso Alonso, C. Araujo Palop, A. Hermosilla; Madrid | General planner Nissen & Wentzlaff, Daniel
Wentzlaff, Michael Muellen, Sven Morhrad, Martin Schelgel; Basilea | Ingegneria civile Walther Mory Maier AG , Gilbert Santini; Basilea | Facciate Emmer Pfenninger Partner
AG , Martin Friedli, Jeanette Leu; Münchenstein | Impiantistica KIWI AG , Markus Weber; Basilea | Illuminotecnica
Hübscher AG , Michael Hübscher; Basilea | Arredo Iria Degen interiors, Iria Degen, Michela Chiavi; Zürich | Project
manager Christian Kaldewey; Basilea | Plastici Juan de
Dios Hernández & Jesús Rey, S.L.; Madrid | Fotografia Paolo Rosselli; Milano, Peter Hebeisen; Zurigo Date progetto
2010, realizzazione 2012-2013
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LA LUCE ARTIFICIALE
Pianta piano at tico
Pianta secondo piano
Pianta mezzanino
Pianta piano terra
Sezione trasversale
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Foto Paolo Rosselli
Foto Paolo Rosselli
LA LUCE ARTIFICIALE
Testi e disegni Juan Navarro Baldeweg
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LA LUCE ARTIFICIALE
Hübscher
foto Peter Hebeisen
traduzione Anna Ruchat
Tramite la luce artificiale il progetto rafforza l’ariosità e la qualità degli ambienti realizzati con materiali
caldi e chiari. I locali, anche quando manca la luce
naturale, rimangono aperti e luminosi. L’atrio centrale presenta condizioni di illuminazione – dall’alto
fino al piano terreno – che somigliano a quelle della
luce naturale. La luce bianca e calda accentua le superfici in legno e produce un’alta qualità degli spazi.
Atrio
La luce accompagna la scultura verticale di Juan Navarro Baldeweg dal piano terreno al soffitto. Questa linea di luce posta sui profili del soffitto, si allunga senza
soluzione di continuità verso il cielo configurando lo
spazio. La luce ricade morbidamente e mette in scena
l’opera d’arte con grande naturalezza. La soluzione in
puro led, impiegata per il nastro di luce di 200 metri,
convince per l’alta qualità dell’illuminazione.
Foto Peter Hebeisen
Aree d’uf ficio
Perpendicolarmente rispetto alle nervature del soffitto sono appesi dei profili luminosi che emettono una
luce delicata e senza riflessi. Disposti secondo un sistema modulare e costituiti di vetro d’arte microprismatico e con valori energetici di altissima efficienza,
essi sostengono in modo accurato l’ambiente professionale. Le altre luci sulle scrivanie possono essere
regolate individualmente.
Sala conferenze
Nella sala conferenze le linee luminose convergono
in lampade cilindriche avvolte in un cuoio chiaro. I
lampadari ad anello hanno un aspetto leggero e al
tempo stesso prezioso. L’effetto prodotto dalla luce è
quasi privo di ombre e favorisce la concentrazione.
L’accento è posto al centro della stanza così il tavolo
delle riunioni viene rafforzato nella sua funzione.
Atrio d’ingresso
Le grandi lampade (2300 mm di diametro) fanno da
contrappunto, con la loro forma circolare, alle linee
di luce dritte dell’edificio. Le superfici esterne delle
lampade, in alluminio lucido, riflettono la luminosità
dello spazio e producono un interessante gioco con il
vetro bipartito delle finestre.
Private rooms
Nei piccoli locali gli accenti sono posti dalle lampade
a parete in metallo di Le Corbusier, sostenute dall’illuminazione lineare sopra le lavagne magnetiche.
Pianta del proget to illuminotecnico
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LA LUCE ARTIFICIALE
Ambienti pubblici
Delle plafoniere cilindriche, scure, contribuiscono ulteriormente all’illuminazione delle zone aperte al
pubblico e si inseriscono nelle nervature. Le lampade
cilindriche creano un’atmosfera gradevole, ad esempio, anche in biblioteca dove sono sostenute dai ricercati lampadari ad anello.
Sala riunioni
Foto Peter Hebeisen
Un insieme variegato di corpi in vetro, che pendono
liberi sopra il tavolo, plasma l’atmosfera della sala riunioni. Grazie alla presenza ulteriore delle luci a incastro sul soffitto si possono ottenere effetti di luce diversissimi che si prestano a una larga gamma di
situazioni: dalla videoconferenza all’aperitivo. L’illuminazione lungo il corrimano nella parte esterna
dell’attico genera un ambiente molto gradevole.
Energia
Foto Peter Hebeisen
Foto Peter Hebeisen
Una gestione semplice e intelligente dell’illuminazione consente un impiego estremamente confortevole
della luce e permette tuttavia un grande risparmio
energetico. Il progetto risponde pienamente alle richieste di Minergie (sia 380-4).
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Foto Paolo Rosselli
LA LUCE ARTIFICIALE
1008 Neubau WSJ-151
SAA - Lichtplan
M A3-1:100
gez: 09.03.2012 -
A5R-SAA_Beleuchtung
Basis für Elektroausschreibung
Stand Grundriss: 11.11.2011 - Plan Nr a5r-ed1
hu:bschergestaltet, Lichtgestaltung, Michael Hübscher Dipl. Gestalter FH SDA
Freie Strasse 103, 4051 Basel T/F 061 271 44 19/20, http://www.huebschergestaltet.ch, [email protected]
Testi e disegni Hübscher
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Foto Paolo Rosselli
Sezione trasversale,
studio dell’illuminazione della scala
WARNING STUDIO COMUNICAZIONE - FOTO: MARIOCURTI.COM
SSELLO,
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LAVORAZIO
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Since 1920 STONE IS UNIQUE
Progetto: Archite
HEADQUARTER
Valsecchi SA | Via Galli 22 - CH - 6600 Locarno (Switzerland)
T. +41 91 7511647 | 7516208 - F. +41 91 7516653
www.swiss-stone-group.com - [email protected]
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IL
GRANITO
L’ARTE
DEL
TEMPO
I l g ra n i t o d i L o d r i n o
C r e a t o d a l t e m p o e d a l l a n a t u r a . Q u e s t o m a t e r i a l e, u n i c o a l m o n d o, u n i t o
all ’esperienza pluriennale ed alla professionalità della famiglia Giannini riesce
a trovare e riscoprire nuove forme ed espressioni in prodotti unici e su misura.
GIANNINI
GRANITI
SA
|
6527
Lodrino
w w w. g i a n n i n i - g r a n i t i . c h