RIVISTA SVIZZERA DI ARCHITETTURA, INGEGNERIA E URBANISTICA SCHWEIZERISCHE ZEITSCHRIFT FÜR ARCHITEKTUR, INGENIEURWESEN UND STADTPLANUNG 3 / 2 0 15 LA LUCE ARTIFICIALE KÜNSTLICHES LICHT testi / texte Katrin Albrecht | Jutta Glanzmann | Isabella Sassi Farias | Giuseppina Togni progetti / projekte Bearth & Deplazes Architekten + Morger+Dettli Architekten | Ernst Basler+Partner | Graber Pulver Architekten | Hübscher | Mettler+Partner | Juan Navarro Baldeweg | Reflexion | Shigeru Ban Architects + Jean De Gastines TICINO GUIDE allegato omaggio ai soci SIA-OTIA als kostenlose Beilage für SIA- und OTIA-Mitglieder Tenda Zero10 Il punto d’incontro tra prezzo, sicurezza e comfort. La luce del sole è importante per tutti noi, per gestirla abbiamo bisogno di tecnologie che creino benessere. L’obiettivo di Zero10 è la gestione della luce del sole con un telo azionato da una meccanica potente che dura nel tempo. I vantaggi evidenti del prodotto sono: Prezzo — Sicurezza — Comfort . 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Via piodella 18, 6933 Muzzano - www.albertostierlin.ch 13 SIA COMUNICATI a cura di Frank Peter Jäger 18 TI NOTIZIE a cura di Stefano Milan 22 TI DIARIO DELL’ARCHITETTO a cura di Paolo Fumagalli 26 TI PROGETTI a cura di Stefano Milan 31 TI LIBRI a cura di Mercedes Daguerre L A LUCE ARTIFICIALE a cura di Mercedes Daguerre, Graziella Zannone Milan e con il supporto di Andrea Roscetti EDITORIALE 35 Le ombre sono necessarie quanto la luce Alberto Caruso Building la migliore copertura per i vostri stabili La nuova soluzione completa, semplice e flessibile della Vaudoise per gli stabili locativi, industriali o commerciali saprà soddisfare tutte le vostre esigenze assicurative in un unico contratto. vaudoise.ch 37 L’illuminazione notturna strumento per ridisegnare l’architettura Katrin Albrecht 42 L’illuminazione delle città Giuseppina Togni 43 Spazio notturno visibile Jutta Glanzmann 46 La fotografia e la luce artificiale Isabella Sassi Farias 50 Edificio Tamedia, Zurigo Shigeru Ban Architects, Jean De Gastines, Ernst Basler+Partner 58 Piscine, fitness e spa, St. Moritz Bearth & Deplazes Architekten, Morger+Dettli Architekten, Reflexion 66 Centrale elettrica Forsthaus, Berna Graber Pulver Architekten, Mettler+Partner 74 Edificio amministrativo nel Campus Novartis, Basilea Juan Navarro Baldeweg, Hübscher ERRATA CORRIGE Si precisa che l’anno di nascita di Alfredo Pini, è il 1932 e non il 1933, come erroneamente indicato nello scorso numero. Lì dove sei. In copertina: Bear th & Deplazes Architek ten, Morger+Det tli Architek ten , Piscine, fitness e spa, St. Moritz foto Ralph Feiner Il garante nella Costruzione in legno. Il marchio di qualità Holzbau Plus simbolizza un azienda gestita in modo esemplare. La costruzione in legno di ottima qualità è il resultato di una cultura aziendale in cui nel centro si trova l’essere umano. Ne sono il garante. www.holzbau-plus.ch Via Chiosso 12 • CH-6948 Porza +41 91 936 30 00 consulenza • vendita • ceramiche mosaici pietre naturali SLHWUHDUWLƂFLDOL lavorazione • posa Materia che Vive! C OMUNIC ATI A ZIENDA LI ARGOOR, Mendrisio Satinatura vetri con motivo personalizzato e logo. I nuovi prodotti spa di VOLA: la doccia a cascata 080W Regapak® è una rolladen sviluppata da e il tubo Kneipp 070W Regazzi, per gli utilizzatori e i rivenditori in tutta la Svizzera è il massimo della La lussuosa zona relax, l’area spa qualità e del design. 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Attilio Stocchi e il mistero della luce Anche quest’anno, nel numero di Archi successivo al Salone del Mobile presentiamo un progetto apparso e – purtroppo – scomparso nei pochi giorni della kermesse milanese, particolarmente in linea con il tema trattato nelle pagine seguenti. Mentre nei padiglioni della Fiera di Rho-Pero l’esercito di lampade di Euroluce 2015 si contendeva l’attenzione dei visitatori prima di approdare negli showroom di tutto il mondo, nella più tranquilla piazza San Fedele, a due passi dal Duomo, un cubo nero all’apparenza inespugnabile faceva riflettere sul significato fisico della parola luce e sul mistero in essa contenuto. «Favilla», l’installazione concepita dall’architetto Attilio Stocchi, è in pratica una grande camera oscura, che all’interno si accende all’improvviso grazie a una sinfonia di lampi accecanti, tenui bagliori e affilatissimi raggi luminosi che si specchiano sulle sue pareti, disegnate frantumando il parallelepipedo in decine di facce simili a quelle di un prezioso minerale. «È la metafora del geode – spiega Stocchi rievocando l’immagine della pietra che, se tagliata in due, svela inaspettati cristalli –, la scoperta di un mondo interno che genera meraviglia e stupore». Varcando la soglia del cubo, i visitatori sono dunque immersi in uno spettacolo luminoso organizzato secondo una precisa struttura narrativa ispirata a quella delle tragedie greche, con un prologo, quattro episodi, quattro stasimi e un epilogo. Più che una semplice installazione è un racconto, in cui il tema della luce viene scomposto e ricomposto trasformando una curiosità «aristotelica» per la natura in una favola-favilla architettonica, sensoriale e persino didattica. Nei quattro episodi centrali, i raggi che trafiggono la vista degli spettatori corrispondono alle quattro caratteristiche di movimento della luce (propagazione rettilinea, diffrazione, riflessione e rifrazione), citando in maniera esplicita gli esperimenti fatti da Newton tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento sullo spettro visibile e sull’ottica in generale, pubblicati nel volume Opticks del 1704. Colpendo con un fascio di luce la superficie di un prisma di vetro secondo un certo angolo di incidenza, lo scienziato inglese ne osservò la scomposizione in sette bande colorate (rosso, arancio, giallo, verde, blu, indaco, violetto), 2. 1. 2. Backstage dell’installazione (Cour tesy At tilio Stocchi) Sezione di proget to (Cour tesy At tilio Stocchi) 7 INTERNI E DESIGN che egli fece corrispondere al numero dei pianeti allora conosciuti e a quello delle note musicali. Come anticipa il sottotitolo dell’opera («Ogni luce una voce»), la vista non è l’unico senso ad essere stimolato, dal momento che a ogni impulso luminoso è associata la voce di una persona, accrescendo la teatralità di questa esperienza. Si parte dalla scienza, mischiando fisica, biologia e astronomia – immagini proiettate e raggi luminosi mostrano la fotosintesi clorofilliana, la luce riflessa della luna, le fibre ottiche ecc. – per approdare in discipline e territori molto diversi tra loro, almeno a prima vista. La coda di un pavone e l’arcobaleno possono rimandare alla Teoria dei colori di Goethe (1810), mentre il prologo e l’epilogo evocano il concetto di creazione: si comincia con una citazione della Genesi – dixitque Deus fiat lux et lux facta est – e si conclude con il «venire alla luce», metafora di una nuova esistenza. Il titolo scelto da Stocchi, come sempre molto attento alle parole, ci porta infine in Paradiso: «Poca favilla gran fiamma seconda», scriveva il Sommo Poeta. Chi conosce l’attività di Attilio Stocchi troverà diversi gradi di parentela tra quest’opera e i suoi progetti passati. Geometrie «cristalline», ispirate al mondo della mineralogia, si incontrano ad esempio nella pavimentazione di Galaverna (piazza realizzata tra il 2001 e il 2005 a Castel Rozzone, Bergamo) e nella Galleria Bulbo a Milano (2007-2008). In quest’ultima, una costruzione ipogea con superfici interne irregolari che riflettono la luce zenitale, ritroviamo il tema del contrasto tra luce e oscurità, come pure in Attesa, installazione fatta al Padiglione Italia alla Biennale del 2010. In altro modo, Stocchi ha ragionato sulla scomposizione della luce in colore in progetti come Lumen – un parco a Lumezzane (Brescia) nel quale le cromie sono date da fiori e piante – e soprattutto nell’eccezionale spettacolo Luceguagliavoce, che nel 2007 ha messo in scena un fantastico e surreale dialogo tra i santi che popolano le guglie di marmo 4. 3. 3.-5. Vedute interne dell’installazione nelle diverse fasi: DIFFR AC TE , DIREC TE (Cour tesy At tilio Stocchi) del Duomo di Milano (per maggiori dettagli consigliamo di visitare il sito www.attiliostocchi.it). Come in quest’ultimo progetto, anche in Favilla è difficile stabilire quali siano i confini tra architettura e teatro, tra arte e narrazione, tra design e scenografia. Un po’ come quando guardiamo una stella, l’aurora boreale o un arcobaleno: difficile stabilire esattamente il confine tra godimento estetico, ragioni scientifiche e puro stupore. 5. 8 REFLE XE , LA CERAMICA CREA SPAZI VITALI UNICI ! Una festa per i vostri sensi: piastrelle e mosaici in ceramica disponibili in un’affascinante varietà di colori, forme, materiali e strutture. Richiedete una consulenza! FRANKE MARIS – ARIA FRESCA IN CUCINA Non è una sorpresa il fatto che la cappa da cucina Maris si sia aggiudicata il premio «iF product design award». Un esempio esclusivo dalla ricca gamma di prodotti Franke, che donano un tocco particolare a ogni cucina. Make it wonderful at Franke.ch Novità – VOLA doccia a mano Eccezionalmente rinfrescante VOLA VOLA AG Mülistrasse 18 CH-8320 Fehraltorf Tel: 044 955 18 18 [email protected] www.vola.ch C OMUNIC ATI OTIA Daniele Graber consulente giuridico otia ser [email protected] Il Direttore dei lavori esiste? La domanda posta si riferisce alla carenza di direttori dei lavori non solo in Ticino, ma in tutta la Svizzera, all’incomprensibile decisione presa dal Parlamento ticinese nel mese di dicembre 2014, alla necessità di creare uno specifico registro nazionale dei direttori dei lavori e alla creazione della piattaforma svizzera dei direttori dei lavori. Andando con ordine: Dopo un’analisi del contesto ticinese e aver constatato un forte fabbisogno di direttori dei lavori, otia, congiuntamente alla sezione Ticino della ssic, all’Amministrazione cantonale e alla supsi, hanno ideato e organizzato nel 2011 uno specifico corso post-diploma (cas Direttore dei lavori). A oggi siamo alla terza edizione. L’iniziativa è stata ed è un successo, a tal punto da indurre una buona parte dei diplomati a creare nel 2013 l’Associazione Direttori Lavori della Svizzera italiana adl, diventata il 27 marzo 2015 membro del Consiglio di fondazione del Registro svizzero dei professionisti nei rami dell’ingegneria, dell’architettura e dell’ambiente (reg). L’adesione al reg è una prima tappa. L’obiettivo finale è la creazione di uno specifico registro nazionale dei direttori dei lavori. La sua creazione permetterà di aumentare la trasparenza a favore dei committenti pubblici e privati e far chiarezza sulle competenze necessarie per svolgere la funzione di direttore dei lavori nel settore dell’edilizia e del genio civile per i campi professionali architettura, ingegneria civile e ingegneria impiantistica. Il futuro registro dei direttori dei lavori permetterà pure di riconoscere ulteriormente il lavoro svolto dai (veri) direttori dei lavori, anche dai dipendenti di studi d’architettura e d’ingegneria o presso le amministrazioni pubbliche cantonali e comunali. In effetti, l’attività di direttore dei lavori è oggigiorno definita in modo sintetico unicamente nei regolamenti sia102 a 108, senza però nessun riconoscimento legale esplicito a livello della Confederazione e dei cantoni. Un’eccezione l’art. 34 cpv. 2 lett. a del Regolamento cantonale sulle commesse pubbliche rlcPubb/ciap. Esso prescrive che nel campo della progettazione e direzione lavori possono ricevere dei mandati dall’ente pubblico unicamente singoli professionisti o uffici che operano con titolari o membri dirigenti effettivi che soddisfano i requisiti previsti dalla Legge cantonale sull’esercizio delle professioni di ingegnere e di architetto lepia. La creazione del Registro reg dl permetterà inoltre di diminuire l’impatto negativo dell’infelice decisone presa nel mese di dicembre 2014 del Parlamento cantonale. In sintesi, esso ha imposto al Consiglio di Stato di definire delle regole per imperativamente e in modo sistematico dividere, «dal punto di vista personale e dal punto di vista giuridico», la direzione dei lavori dalla progettazione. Le associazioni professionali degli architetti e degli ingegneri ritengono controproducente istaurare un obbligo imperativo e sistematico, che imponga sempre la separazione della direzione dei lavori dalla progettazione. Ad esempio, per il vincitore di un concorso di progetto non sarà più possibile occuparsi della direzione dei lavori dell’opera da lui progettata. Se in certi casi potrebbe essere sensato, in molti altri la scelta politica risulterà controproducente. A pagarne le conseguenze negative sarà la collettività nel suo insieme e non chi ha imposto la separazione. La scelta del Parlamento potrà eventualmente essere l’occasione concreta per migliorare l’attuale situazione, autorizzando l’esercizio della funzione di dl solo a professionisti in grado di fornire le necessarie garanzie tecniche e di deontologia professionale. Ora il Consiglio di Stato dovrà formulare le modalità di attuazione della decisione parlamentare. Le associazioni professionali di categoria si batteranno per un loro coinvolgimento. Ad esempio, si potrebbe estendere pure ai committenti privati quanto già in vigore per i committenti pubblici (art. 34 cpv. 2 lett. a rlcPubb/ ciap). Lo sta(tu)to precario del direttore dei lavori è stato constatato pure nel resto della Svizzera. Le maggiori associazioni professionali elvetiche del settore della costruzione hanno istituito, in collaborazione con le scuole universitarie, una specifica piattaforma di dialogo denominata Plattform Bauleitung. Essa ha lo scopo di definire il profilo professionale del direttore dei lavori e di unificare la formazione di base e la formazione continua in Svizzera. La Conferenza delle Associazioni Tecniche del Cantone Ticino (cat) e la sezione Ticino della ssic partecipano attivamente ai lavori. Il profilo professionale definito in seno alla Piattaforma svizzera dei direttori dei lavori potrà servire al reg per definire i relativi Registri dl. Valutando le diverse iniziative in corso possiamo tutto sommato essere fiduciosi. In particolare, gli sforzi profusi dalle associazioni professionali di categoria permettono di affermare senza nessun punto di domanda che il direttore dei lavori esiste. 11 impresa di pittura sripristino facciate sisolazioni termiche finiture personalizzate s pavimenti in resina s Sandro Sormani sa s Tel. +41 091 611 80 00 [email protected] s www.sandrosormani.ch Ugo Bassi SA via Arbostra 35 CH-6963 Lugano-Pregassona Tel. 091 941 75 55 Fax 091 940 95 93 [email protected] Meno preoccupazioni per i lavoratori indipendenti L’assicurazione per imprenditori della Suva tutela i lavoratori indipendenti dalle conseguenze economiche di eventuali infortuni sul lavoro, malattie professionali o infortuni nel tempo libero. Tra l’altro, la copertura assicurativa può essere estesa anche ai familiari che lavorano nell’azienda senza percepire uno stipendio soggetto ai contributi AVS. 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Due milioni, distribuiti nell’arco di quattro anni, saranno destinati al nuovo ambito politico della «cultura architettonica», così la Confederazione definisce quella che internamente è correntemente chiamata «cultura della costruzione». Benché, considerato l’importo complessivo, i mezzi finanziari destinati a questo ambito appaiano di primo acchito piuttosto modesti, si apre decisamente una breccia sul piano simbolico. Infatti, anche se la cultura contemporanea della costruzione non è menzionata nella legge sulla promozione della cultura, per la prima volta essa entra a far parte della politica culturale federale. Il Messaggio sulla cultura 2016-2019 dunque non è che l’inizio. Un gruppo di lavoro interdipartimentale, incaricato di elaborare una strategia per la cultura architettonica, è inoltre chiamato a presentare un piano d’azione, aggiornato periodicamente con misure concrete spettanti ai singoli uffici federali. In altre parole, il vero e proprio incoraggiamento si concretizzerà solo con il Messaggio sulla cultura successivo. Il Messaggio sulla cultura 2016-2019 contempla innanzitutto alcuni progetti pilota, tra cui una serie di pianificazioni test o misure per promuovere l’ambito dei concorsi. A differenza delle arti visive, del design, del teatro, della letteratura, della danza, della musica e del cinema, nel Messaggio sulla cultura, la cultura architettonica non compare nella rubrica «creazione artistica e culturale», bensì alla voce «cultura e società», unitamente al patrimonio culturale e ai monumenti storici. I mezzi finanziari in favore di tale ambito fanno parte del credito quadro per il patrimonio culturale e i monumenti storici e sono pertanto subordinati alla salvaguardia del patrimonio culturale architettonico. A medio termine si impone un chiarimento a questo proposito: la cultura della costruzione, trattandosi di un concetto generale, racchiude in sé il patrimonio culturale e i monumenti storici da un lato, e la cultura architettonica contemporanea dall’altro. Il patrimonio culturale e i monumenti storici non possono dunque continuare a essere considerati alla stregua di un iperonimo della cultura della costruzione. In questo contesto, la cultura contemporanea della costruzione è a cavallo tra un ambito culturale specifico e un tema trasversale che coinvolge anche altri ambiti politici, oltre a quello della politica culturale. È pertanto buona cosa che la Confederazione abbia deciso di appoggiarsi a un gruppo di lavoro interdipartamentale. L’Ufficio federale della cultura non può tuttavia limitarsi a coordinare il gruppo di lavoro e l’elaborazione di una strategia generale, deve anche fare in modo che il gruppo di lavoro tenga conto delle esigenze specifiche della creazione culturale contemporanea. Con la Tavola rotonda sulla cultura della costruzione in Svizzera, la sia ha lanciato nel marzo 2010 un dibattito e un programma d’intervento per aprire una breccia in favore di questo nuovo ambito politico. Nella sua presa di posizione di inizio giugno, la Società ha accolto favorevolmente il progetto in consultazione concernente il prossimo Messaggio sulla cultura. Il presidente della sia Stefan Cadosch ha sottolineato quanto segue: «L’ancoraggio della cultura della costruzione nella promozione della cultura a livello federale rappresenta un passo importante e per troppo tempo posticipato. Tale ancoraggio è per noi motivo di grandi soddisfazioni e risponde a innumerevoli aspettative sia sul piano nazionale che internazionale». La sia richiede tuttavia che siano precisati alcuni punti e raddoppiati i mezzi finanziari preannunciati. Anche i posti di lavoro a metà tempo previsti andrebbero portati a tempo pieno. Alla base dell’imminente cooperazione e concettualizzazione e in vista della discussione parlamentare la sia chiede altresì che il concetto di cultura della costruzione sia definito in modo preciso. Dato che la strategia per la cultura architettonica portata avanti a livello nazionale dovrà essere elaborata su un piano interdipartimentale da numerosi uffici federali, occorre ora definire in modo esaustivo gli uffici coinvolti e interpellare esperti esterni. Per quanto attiene alle misure di sensibilizzazione adottate, la sia è del parere che, accanto alle pianificazioni test e alla promozione dei concorsi, sia ora imperativo sostenere anche la diffusione della cultura della costruzione. Da ultimo, la Società chiede che sia istituito un premio federale per la cultura contemporanea della costruzione. * responsabile Cultura della costruzione sia Per scaricare il Comunicato stampa e la Risposta della SIA in merito alla bozza del Messaggio sulla cultura 2016-2019, consultare www.sia.ch/it/temi/cultura-della-costruzione 13 C OMUNIC ATI SI A Dani Ménard* [email protected] Discutere le condizioni contrattuali Gli architetti si imbattono sovente in committenti che non giocano a carte scoperte. A che cosa bisogna prestare attenzione quando si entra in trattative e si stipula un contratto? Chi si guadagna da vivere fornendo prestazioni intellettuali sa bene quanto sia difficile definire e quantificare in anticipo il servizio erogato e calcolare una retribuzione equa e appropriata. I regolamenti sia 102 e segg. aiutano entrambe le parti contrattuali a definire nel dettaglio le regole del gioco e a pattuire la formula esatta per una corretta remunerazione. A tutti i livelli dell’organigramma (politica, legislazione, società, mandante, progettista e via di seguito), diverse condizioni quadro influiscono da tempo su questo patrimonio sia, anche se ultimamente i modelli contrattuali sono sempre più spesso messi sotto pressione. Per esempio è cambiata la giurisprudenza legata alla questione degli aspetti da regolamentare nel rapporto di mandato ai sensi di quanto definito dal diritto del contratto di appalto. Nella prassi gli operatori di mercato si impegnano alacremente, spesso però senza collaborare, e con obiettivi diversi. Contratto La sottoscrizione di un contratto, in cui è definito nel dettaglio il servizio fornito, tutela entrambi i partner contrattuali e garantisce loro un futuro meno imprevedibile. Si presentano infatti diverse possibilità e rischi a livello imprenditoriale, spesso persino diametralmente opposti, che idealmente possono essere discussi con spirito collaborativo, aperto e trasparente, per trovare soluzioni confacenti. Nel contratto d’architetto sono descritti i diritti e gli obblighi di entrambe le parti. Esso definisce le parti integranti, le prestazioni e le retribuzioni corrispondenti, la modalità secondo cui determinare tempo necessario e onorario, spese accessorie, scadenze e termini. Per esperienza penso che i contratti migliori siano quelli che presentano una formulazione chiara ed esaustiva a livello tecnico e giuridico, ma che poi, nel migliore dei casi, sono messi da parte per tutta la durata della collaborazione. Tuttavia, come si svolgono le trattative per sottoscrivere un contratto del genere? Trattative contrattuali Con il termine trattativa contrattuale si definisce la fase che conduce le parti a un accordo e alla relativa e reciproca dichiarazione di volontà, in altre parole il periodo che precede la sottoscrizione contrattuale vera e propria. Il mandatario ha tutto l’interesse a fare in modo che le trattative portino a una situazione win win, bisogna insomma riuscire a convincere il cliente delle proprie competenze in modo che si dichiari disposto, di propria spontanea volontà, a pagare un onorario confacente alla prestazione fornita. In virtù delle nostre argomentazioni, egli riconoscerà l’importanza di assegnare il mandato a uno studio di progettazione valido e di comprovata esperienza, onde evitare spese considerevoli nelle fasi successive, durante la costruzione e l’utilizzo. Concretamente, durante una trattativa contrattuale, si distinguono le seguenti fasi: 1. chiarire i reciproci interessi; 2. ponderare gli argomenti; 3. ponderare gli interessi comuni; 4. trovare un compromesso (ancora meglio se per via consensuale); 5. stipulare il contratto. Costo dell’opera determinante il tempo necessario In gran parte dei contratti negoziati attualmente si applica il concetto di «costo dell’opera determinante il tempo necessario». Si parte dal presupposto che la portata, la complessità e altri fattori di un progetto determinino il tempo necessario espresso in ore - elementi che, tra le altre cose, sono rilevati ogni anno dal Centro di ricerche congiunturali del Politecnico federale di Zurigo (kof). Ogni studio include nel calcolo il numero di ore necessarie che, in base alla propria esperienza, sa di aver bisogno per svolgere il mandato assegnato. Lo studio di progettazione dovrà poi riuscire a cavarsela, attenendosi alla somma pattuita. Con quanta competenza, esperienza ed efficacia svolga il lavoro è un segreto aziendale. È importante tuttavia essere sempre consapevoli che si tratta di un modello che poggia su valori empirici e statistici e che pertanto non potrà mai corrispondere perfettamente alla realtà. Questo modello determinante il tempo necessario potrebbe, a ragione, essere confrontato con il modello sia basato sulle tariffe orarie, come avviene per esempio per le spese di un avvocato. Un’ora è fatturata pari pari alla tariffa fissata. Anche per le prestazioni di progettazione sarebbe un metodo trasparente, equo e responsabile. Eppure questo principio è applicato solo con i piccoli mandati. Io personalmente lavorerei volentieri più spesso con questo modello. Oltre alla tariffa basata sui costi e il tempo, esistono anche altri modelli come il sistema bonus-malus, gli onorari forfettari o una combinazione di modelli diversi. Nessuno di questi tuttavia si è finora imposto in grande stile. Un contratto forfettario o globale è sensato se le prestazioni da fornire possono essere descritte in modo preciso e con il necessario tempismo. Spesso tuttavia 14 C OMUNIC ATI SI A ciò si rivela fattibile e sensato solo dopo aver stilato un preventivo. A che cosa devono fare attenzione gli architetti se il committente presenta una bozza contrattuale formulata in base al modello del costo dell’opera determinante il costo necessario? Ecco qui di seguito alcune delle manovre e degli stratagemmi più in auge tra mandatari e committenti. scettici, e ponderate bene, dove si situa per voi il limite, dal punto di vista economico ma anche emozionale. – Non di rado sono incluse «clausolette scritte in piccolo» (cg) che contraddicono radicalmente le raccomandazioni sia. Ma allora come proteggersi da imbrogli e truffe? Stratagemmi tipici del committente Ecco qui di seguito alcuni consigli fondamentali. – Occupatevi personalmente delle trattative contrattuali: è una questione di cruciale importanza. – Offrite soltanto servizi e competenze che padroneggiate realmente. – Procuratevi il business plan e il progetto di costruzione del committente per essere informati al meglio. Focalizzatevi sul cliente. – Studiate bene i corrispondenti regolamenti sia. – Durante le trattative fate appello a tutta la vostra intelligenza e sensibilità, attingendo alla vostra capacità di negoziazione, oppure chiedete supporto a qualcuno che possiede tali competenze. – Durante le trattative e anche nelle situazioni più difficili e delicate non perdete il controllo, ma restate calmi, padroni della situazione e professionali. – I costi dell’opera determinanti il tempo necessario sono patteggiati al ribasso con deduzioni ingiustificate, spesso in assenza di spiegazioni plausibili. Purtroppo tale procedura è corrente per molti grandi committenti, tanto che questa prassi, anzi malcostume, ha ormai numerosi seguaci. – La categoria «n» è corretta verso il basso (p. es. nella questione appartamenti in locazione contro proprietà per piani). – I diversi fattori (r, i, s) sono corretti verso il basso senza una motivazione plausibile ed equa. – Le spese accessorie si considerano comprese. – Il concetto di «partecipazione al rischio» è frainteso, e i termini di pagamento giunti a scadenza sono posticipati in modo considerevole, vale a dire di parecchi mesi. Inoltre gli eventi su cui l’architetto non ha alcuna influenza determinante (p. es. concessione della licenza edilizia in caso di ricorsi del vicinato o coinvolgimento degli investitori per la determinazione del prezzo) sono impropriamente sfruttati come movente per abbassare parte dell’onorario. Se un evento non si realizza, l’importo da tempo pendente non viene mai più retribuito. Per evitare che la procedura diventi una strada a senso unico, bisognerebbe piuttosto parlare anche di «partecipazione alle opportunità». – Si impone un onorario forfettario, senza poter prima formulare nel dettaglio una presa di posizione su mandato, architettura, programma, prodotto, gruppi mirati e così via. Spesso risulta particolarmente fastidioso che da un lato si richieda un forfait e dall’altro si argomenti che il breve tempo fissato per la fornitura della prestazione non sia neppure sufficiente per prestare le ore di lavoro conteggiate. Al proposito non si dice che, nel caso di un contratto forfettario, fondamentalmente possibile, questa questione non deve in alcun modo interessare il committente. Non è forse un rischio, anzi piuttosto un’opportunità, che il progettista possa fornire le proprie prestazioni con procedure più snelle e innovative di quanto previsto dal modello di calcolo? Insomma, questo atteggiamento, di volere sempre la botte piena e la moglie ubriaca, è irritante! – Spesso il mandante detta legge e se ne esce con argomentazioni del tipo: «… tanto sul mercato non c’è che l’imbarazzo della scelta e se non firma il vostro studio ne troviamo sicuramente un altro…»). In queste situazioni siate particolarmente critici e Potenziali Sarebbe auspicabile che gli eterni criticatori dei contratti sia ideassero una soluzione migliore al proposito. Personalmente, trovo che sarebbe interessante se si potesse sviluppare un modello contrattuale basato molto di più sulla fiducia reciproca, dando maggior peso alle capacità imprenditoriali dell’architetto, e più orientato ai risultati effettivi. Inoltre è estremamente positivo che un ampio numero di grandi committenti pubblici, tra cui la Città e il Cantone di Zurigo, si sia dichiarato disposto a intrattenere un dialogo con la sia e altri rappresentanti della kzpv (Conferenza delle associazioni degli studi di progettazione zurighesi) sul tema dei contratti in ambito architettonico. Questo dialogo costruttivo è stato aperto tre anni fa e da allora si è giunti a conclusioni importanti con carattere esemplare anche per altri Comuni della Svizzera che, in materia di onorari e aggiudicazioni, si ispirano in parte alle pratiche in corso a Zurigo. * architetto eth, fondatore e partner della «ménard partner projekte ag», Zurigo. Dal 2005 è membro del Comitato sia Sezione Zurigo, negli ultimi anni in veste di presidente. 15 C OMUNIC ATI SI A Convegno SIA nuovi edifici sostitutivi nuovi edifici sostitutivi | risanamento, criteri decisionali Anna Suter* Thomas Kessler** Risanare o costruire ex novo? 24 settembre 2015 a Berna, dalle 9.00 alle 16.30 Contributo per le iscrizioni entro il 31 maggio 2015: CHF 300.–. Oltre tale termine, ditte SIA : CHF 350.–, membri individuali SIA : CHF 400.–, non membri: CHF 450.–. Ulteriori informazioni e iscrizioni www.sia.ch/energia Il consiglio di esperti SIA Energia ha scelto di dedicare il convegno annuale che si terrà in settembre 2015 ai «nuovi edifici sostitutivi», un tema che polarizza le opinioni dei progettisti. Un’efficienza energetica lacunosa è sufficiente a legittimare lo smantellamento di edifici e interi quartieri? Qui di seguito sono riportate le posizioni nettamente opposte di due esperti che interverranno al convegno in veste di relatori. PRO gli edifici sostitutivi Thomas Kessler CONTRO gli edifici sostitutivi Anna Suter Riqualificare i vecchi edifici costa caro Conser vare gli edifici è un obbligo culturale Sovente sostituire un edificio esistente con uno nuovo è più conveniente sotto il profilo dei costi. Nel caso di un risanamento, l’adozione di provvedimenti in materia di sicurezza sismica, l’installazione di sistemi impiantistici al passo con i tempi e la realizzazione di strutture accessibili senza ostacoli sono interventi spesso particolarmente e sproporzionatamente onerosi. Inoltre, con una nuova costruzione, l’aspetto della sicurezza è curato con maggiore attenzione, dato che le fasi di edificazione e progettazione possono essere adattate e armonizzate tra loro. Quando si costruisce ex novo possono confluire nell’edificio, in modo completo ed esaustivo, le ultime notivà e i concetti architettonici e impiantistici più all’avanguardia. Inoltre, al momento della progettazione si può tener facilmente conto delle esigenze abitative e lavorative. L’impiego di materiali edili riciclati contribuisce a mantenere basso il fabbisogno di energia grigia. Per minimizzare i costi correnti di manutenzione ed esercizio si può optare per un approccio improntato alla bassa tecnologia, evitando complicati sistemi impiantistici, senza tuttavia rinunciare al comfort abitativo. Con il risanamento di un edificio, sussistono delle limitazioni per quanto concerne l’utilizzo passivo dell’energia solare, con una nuova costruzione invece è possibile scegliere la soluzione ottimale per sfruttare appieno questa fonte energetica. Si può ad esempio decidere di costruire una casa a bilancio energetico positivo. Ciò soddisfa anche le future prescrizioni in materia energetica, attualmente in elaborazione con il Modello di prescrizioni energetiche dei Cantoni (MoPEC) che entrerà in vigore a partire dal 2020. Considerata la situazione geopolitica, risulta palese la necessità di renderci indipendenti il prima possibile dai vettori energetici fossili. Da ultimo, se pensiamo al tema della densificazione, appare evidente che, mentre nel caso di un risanamento, le riserve legate alle superfici complessive non possono sempre venire attivate, e ciò per ragioni statiche ed economiche, un nuovo edificio offre facilmente l’opportunità di portare a realizzazione anche questo aspetto. Non vi è alcun dubbio sul fatto che dobbiamo ridurre l’utilizzo delle risorse, ma anche sulla necessità di ripensare il nostro sviluppo insediativo e urbanistico. È inevitabile trovare una formula di sviluppo che tenga conto di questi due requisiti. Uno sviluppo lungimirante è possibile solo se il nuovo si integra in modo risoluto e convincente con ciò che lo procede. In altre parole, se si traspone questo stesso pensiero all’ambiente costruito, significa che possiamo sviluppare le città e gli insediamenti solo se prima dedichiamo un’accurata analisi e conferiamo il dovuto rispetto alle epoche e agli stili architettonici del passato. Gli obiettivi della svolta energetica mettono il patrimonio edificato sotto un’enorme pressione: la sostituzione o un risanamento architettonico eseguito in modo disattento possono mettere a repentaglio l’integrità e la qualità della sostanza costruita, negandoci l’opportunità di vivere la nostra storia architettonica. Non basta trattare con rispetto soltanto quegli edifici il cui valore è riconosciuto e attestato. Dobbiamo avere cura anche delle costruzioni di medio interesse e verificare con cautela un’eventuale sostituzione. Quando si deve decidere se optare per una sostituzione o un risanamento è necessario un cambiamento di paradigma: tutte le persone coinvolte dovrebbero innanzitutto considerare l’opzione della conservazione dell’edificio. Una sostituzione è giustificata solo se, presi in considerazione tutti i fattori e, nella fattispecie, i valori culturali, storico-architettonici e sociali, è appurato che l’edificio non possa essere salvato. Circa un terzo del nostro parco immobiliare risale agli anni compresi tra il 1960 e il 1973, ovvero l’epoca precedente la crisi petrolifera. In materia di consumo energetico si tratta di un’architettura oggi ormai insostenibile e bisognosa di un risanamento attento e creativo. Tuttavia, smantellando tutti questi edifici e sostituendoli con nuove costruzioni, creiamo all’interno delle città e degli insediamenti dei veri e propri «buchi» storico-architettonici. * titolare dello studio di architettura «Suter + Partner ag Architekten» di Berna e dal 2014 membro del Comitato sia ** responsabile del servizio «Kantons- und Stadtentwicklung» nel dipartimento presidiale del Cantone di Basilea-Città. 16 4 esperienza Impermermeabilizzazioni in caucciù, inverdimenti, sistemi energetici, facciate. Oltre 20 anni di esperienza. Più di 60‘000 stabili. Oltre 9 milioni m2. 'DOODFDVDPRQRIDPLOLDUHİQRDJUDQGLLQGXVWULHwww.contec.ch Impermeabilizzazioni in caucciù Tetti verdi · Sistemi energetici NOTIZIE TI Alberto Caruso Milano, due idee alternative di città Expo 2015 e Fondazione Prada Expo propone uno spazio che è certamente di una dimensione e una qualità adeguata al livello mondiale dell’evento. Il percorso centrale che innerva l’intero insediamento – il «decumano» – ha una scala proporzionata ai 150.000 visitatori. Le sue dimensioni, circa 1600 metri per 50 metri, richiamano addirittura quelle degli Champs Elisées (circa 1900 metri per 88 metri), la cui percezione è tuttavia impedita dalle alberature, mentre il decumano è un piano libero e vuoto. La copertura, pensata per alleviare la calura estiva, definisce verso il cielo lo spazio favorendone la percezione completa. Ai lati, i padiglioni formano un limite irregolare, ma la lunghissima prospettiva dei pilastri bianchi della tensostruttura determina un allineamento ordinato e infinito. Il concetto urbanistico deriva ancora dal masterplan originario, poi bocciato dal Bureau International des Exposition. Già l’Expo di Hannover (il cui masterplan era stato concepito da Arnaboldi e Cavadini a seguito di un concorso) prevedeva una trama, anch’essa delimitata sui bordi da vie d’acqua, costruita intorno a un grande asse longitudinale. Per Milano si tratta certamente di una novità, un grande spazio collettivo condiviso da molte decine di migliaia di persone di culture diverse, che si scambiano conoscenze scoprendo mondi lontani e prima ignorati. Dal punto di vista spaziale, Expo è il decumano, e poco altro. Ma la straordinaria urbanità del decumano è soltanto virtuale, perché Expo è un enclave, chiusa tra quartieri industriali, ferrovie e autostrade. Il decumano è privo di sbocchi e connessioni con i percorsi della città, la cui trama qui è già rotta dalle infrastrutture in brani separati. La connessione tra la stazione della metropolitana e della ferrovia e l’ingresso principale è complessa e faticosa, mediata da un lungo ponte e da rampe ortogonali. È l’effetto della scelta errata del sito, che ha comportato l’isolamento dalla città del grande insediamento espositivo temporaneo, e quindi dell’isolamento delle attività – qualsiasi esse siano – che ne prenderanno definitivamente il posto. Il fatto che si tratti di un limite comune a quasi tutte le esposizioni universali e a quasi tutti i siti residenziali delle Olimpiadi – l’unica vera eccezione è Barcellona – non allevia il danno subìto dalla città, che avrebbe potuto utilizzare il grande evento, e i finanziamenti relativi, per ridisegnare, o rigenerare, una o più aree dismesse, per riattivarle a tutti gli effetti nell’impianto urbano. È meglio astenersi dal commentare, invece, la qualità dello spazio del cardo, con il retorico fondale dell’orrendo «albero della vita» e con quel pasticcio modaio- 1. Milano, Expo 2015, il decumano 2. Milano, Expo 2015, l’ingresso al Padiglione svizzero lo del padiglione italiano. Gli altri padiglioni fanno a gara per relazionarsi, con atteggiamenti e linguaggi diversi, al grande decumano e per trattare, in modo polifonico e sovente con efficacia, il tema della scarsità e della distribuzione iniqua delle risorse alimentari. Tra i concetti più chiari c’è sicuramente quello del padiglione svizzero, che è elementare, totalmente interattivo, coinvolgente. Peccato che l’architettura (di Netwerch GmbH di Brugg) sia molto debole, vecchia, non attrattiva, con l’ingresso alla mostra sbagliato – nascosto sotto alla grande rampa che porta al ristorante. Il difetto nasce da lontano, dal bando di concorso sul concetto progettuale, che prevedeva la figura dell’architetto solo in seconda fase – per «vestire» il concetto selezionato – e una giuria priva di architetti. La cultura architettonica elvetica, tuttavia, riscatta la sua qualità con i tre fabbricati lignei del padiglione di Slow Food progettati da Herzog e De Meuron, essenziali e bellissimi, completamente smontabili e rimontabili. Per il dopo Expo sarà necessario insediare nel sito delle attività di alto valore, per utilizzare pienamente l’elevato investimento in infrastrutture. E sarà indispen- 18 NOTIZIE TI sabile promuovere un nuovo impegno progettuale perché non venga annullata la potenzialità spaziale del decumano, e soprattutto per studiare connessioni più dirette e compiute, anche spazialmente, con il trasporto pubblico. La scelta del sito di Expo è stata, in ultima analisi, la massima espressione dell’idea di una città che continua a espandersi nel territorio periurbano anziché disegnare nuovi progetti di densità nelle aree già costruite. La nuova sede della Fondazione Prada, progettata da oma, propone invece un’idea di città opposta e alternativa. Alle spalle dello scalo ferroviario abbandonato di Porta Romana, nella grande area industriale novecentesca, Rem Koolhaas ha lavorato sugli edifici di una ex distilleria costruita nel 1910. La complessità è la caratteristica dell’insediamento, formato da sette fabbricati ai quali sono stati aggiunti tre fabbricati nuovi. «Il progetto della Fondazione Prada – scrive Koolhaas – non è un’opera di conservazione e nemmeno l’ideazione di una nuova architettura. Queste due dimensioni, in genere distinte, qui coesistono e si confrontano reciprocamente in un processo di continua interazione, quasi fossero frammenti destinati a non formare mai un’immagine unica e definita, in cui un elemento prevale sugli altri». I fabbricati sono volumetricamente diversi, come spesso avviene negli insediamenti industriali che sono oggetto di successive aggiunte corrispondenti a segmenti specifici dell’attività produttiva, e diversi sono anche gli spazi aperti compresi tra di loro, sui quali il progetto ha investito moltissimo in termini di attrattività, giocando proprio sulla molteplicità delle condizioni. La nuova torre svetta dal recinto stabilendo relazioni con gli altri edifici alti della città, ed è l’unico volume ancora in cantiere. I 19.000 mq della fondazione ospitano oggi otto mostre, curate da critici e studiosi come Germano Celant e Salvatore Settis. Per la mostra più importante, curata da Settis, Koolhaas ha configurato il nuovo grande padiglione – che riassume magistralmente la lezione di Mies – inventando un paesaggio nel quale le sculture antiche sono raccolte in gruppi assecondando la sequenza narrativa di Settis. Risolti con grande appropriatezza e chiarezza concettuale, i dettagli costruttivi dell’accostamento e della transizione tra i manufatti preesistenti e quelli nuovi evidenziano la ricerca avanzata sui materiali che caratterizza da sempre il lavoro di oma. La complessità delle relazioni architettoniche tra vecchio e nuovo e tra pieno e vuoto ha un riscontro di corrispondente intensità nella complessità urbanistica dell’insediamento. Il sito industriale di Porta Romana è in fase di trasformazione, soprattutto con sostituzioni complete degli immobili produttivi esistenti con nuovi e banali immobili per attività terziarie e residenziali, sostituzioni favorite dalla cultura immobiliare prevalente e assecondate da una normativa che non prevede differenze di diritti. Questa della Fondazione Prada è una lezione su come si può trasformare la città e produrre nuova qualità utilizzando il patrimonio esistente, senza preconcetti ideologici, sia nel senso della museificazione dell’esistente che nel senso del suo forzato rinnovamento. La «radicalità» che Rem Koolhaas ha sempre cercato nelle sue riflessioni sull’architettura, qui non viene moderata, ma viene declinata dal confronto con la sostanza costruita della città, colma di memorie e di segni delle fatiche dei suoi abitanti. Le dimensioni non consentono, ovviamente, paragoni con Expo, ma in questo progetto l’idea di una città che si costruisce sul costruito è indicata con grande chiarezza. I visitatori lo comprendono, e rimangono allibiti dalla bellezza di spazi antichi recuperati con colta maestria contemporanea. Oggi alcuni architetti stranieri – come Grafton Architects con l’ampliamento dell’università Bocconi, come Peter Eisenmann con la trasformazione dell’ex Carlo Erba, e come Rem Koolhaas con questo lavoro – dimostrano di essere capaci, più degli architetti italiani, di interpretare Milano e le potenzialità della sua possibile rigenerazione. 3. Milano, Fondazione Prada, vista di uno spazio aper to 4. Milano, Fondazione Prada, vista del padiglione Pudium 19 NOTIZIE TI Bando del Premio SIA Ticino 2016 Il Premio sia Ticino intende promuovere il lavoro di quei progettisti che si distinguono nella loro opera per uno sguardo attento, innovativo e valorizzante verso il territorio quale bene culturale dell’intera società e, nel contempo, premiare i committenti che rendono possibile che questo avvenga. Per la prima volta dalla sua introduzione, in occasione della sua quarta edizione, il premio si apre oltre che agli architetti, anche alle altre categorie di progettisti nell’ambito della costruzione e della pianificazione, per allargare la propria pertinenza in un raggio d’azione ancor più ampio. 1. 1.1. 1.2. 2. 2.1. 2.2. 2.3. 3. 3.1. 3.2. 3.3. 3.4. SCOPI Por tare a conoscenza del grande pubblico le peculiarità delle professioni svolte dai nostri associati; in modo par ticolare sot tolineare il ruolo qualitativo delle nostre professioni nel processo di costruzione e gestione del territorio e l’impatto del nostro operato sulla società in par ticolare del Ticino e della Svizzera italiana. Av vicinare alla cultura del proget to i futuri commit tenti tramite la divulgazione di esempi concreti di opere di architet tura e di ingegneria. IL PREMIO Il premio è assegnato a commit tenti che, grazie alla loro competenza e professionalità, hanno contribuito a promuovere la realizzazione di opere par ticolarmente significative. Il premio è at tribuito all’opera tramite il suo commit tente. Il premio SI A Ticino consiste in una targa di acciaio, da applicare o collocare nel luogo del proget to premiato, sulla quale saranno incisi il logo della SI A , il nome del commit tente, il nome dei progettisti, la data di realizzazione e la data del premio. Nel corso della cerimonia di premiazione al commit tente sarà consegnata la targa e un at testato che sarà consegnato anche al proget tista. MODALITÀ E CONDIZIONI DI PARTECIPA ZIONE Il concorso è aper to a tut ti i commit tenti che hanno promosso la realizzazione di opere di architettura, di ingegneria e di pianificazione nella Svizzera italiana. Il principio è di premiare un’opera di architet tura, di ingegneria realizzate o un proget to di pianificazione concluso e approvato che ha saputo illus tr are nel modo migliore l’e c c ellenz a nei r ami rappresentati dalla SI A , in par ticolare per il suo influsso sul territorio e sulla società. Le opere possono essere presentate diret tamente dai commit tenti oppure tramite i proget tisti. Sono ammesse candidature per opere concluse e pianif ic a zioni appr ovate e in v igor e, r e aliz z ate dal 01.01.2009 al 30.09.2015. 3.5. 3.6. Opere realizzate da membri della giuria, da loro collaboratori o da progettisti legati da parentela con i giurati non possono partecipare al concorso. Opere già candidate nelle edizioni precedenti non sono più candidabili. 4. 4.1. MODALITÀ D’ISCRIZIONE E TERMINI Le condizioni di par tecipazione all’assegnazione del premio sono pubblicate sul Foglio Uf ficiale del Cantone Ticino, sulle riviste Archi, Tec21, Tracés, sulla stampa locale e sul sito internet della SI A Ticino www.sia- ticino.ch. 4.2. I formulari per l’iscrizione sono scaricabili dal sito internet www.sia-ticino.ch oppure possono essere richiesti alla SI A Ticino al seguente indirizzo: Segretariato SI A Ticino, Piazza Nosetto 3, 6500 Bellinzona, tel +41 91 825 55 56, fax +41 91 825 55 58. 4.3. Gli at ti si possono scaricare dal sito internet www.sia- ticino.ch oppure facendone richiesta all’indirizzo e- mail: info@sia- ticino.ch 4.4. I documenti di concorso dovranno per venire al segretariato SI A entro il 30.09.2015. 5. 5.1. 5.2. DOCUMENTI RICHIESTI PER L A PARTECIPA ZIONE Per par tecipare alla selezione della giuria dovranno essere inviati al segretariato, entro i termini stabiliti, i documenti elencati di seguito: • Il formulario d’iscrizione debitamente compilato; • Due tavole, formato A1 orizzontale contenenti gli elementi principali del progetto (elaborati grafici, fotografie, testi ecc.); • Una relazione tecnica esplicativa dei concet ti e degli obiet tivi (massimo 8 pagine A4, corpo 10pt e interlinea singola); • Un CD contenente i documenti dei punti precedenti in formato pdf e foto rappresentative dell’opera di architettura o di ingegneria (almeno 3 immagini 2100 x 2800 pixel in formato .tif o pdf). Il materiale dovrà essere di qualità suf ficiente affinché possa essere pubblicato nel catalogo del concorso. 6. 6.1. CRITERI DI VALUTA ZIONE DELLE OPERE La giuria valuterà l’eccellenza dell’opera in base ai seguenti criteri: • Il rappor to con il territorio e la società; • La funzionalità, la soluzione tecnica proposta e lo spirito innovatore; • La chiarezza e la coerenza del processo progettuale. I criteri s ar anno sp e cif ic ati in de t t aglio dalla giuria. 7. 7.1. L A GIURIA Il presidente e i membri della giuria sono nominati dalla SI A Ticino. La giuria del premio SIA 2016 è cosÌ composta: Presidente: avv. Dick Marty, Lugano; Membri: arch. Christina Zoumboulakis, Losanna; prof. Virginio Bettini, Venezia; arch. Martin Boesch, Zurigo; arch. Francesco Della Casa, Ginevra; ing. Gabriele Guscetti, Ginevra; ing. Jobst Willers, Rheinfelden. La giuria svolge il suo ruolo autonomamente. La giuria decide, oltre all’assegnazione del premio principale, di segnalare altre opere meritevoli di at tenzione. 7.2. 7.3. 7.4. 20 NOTIZIE TI 7.5. I membri della giuria mantengono il riserbo assoluto sui processi di assegnazione. Il verdet to della giuria sarà reso pubblico per il tramite della SI A a tut ti i par tecipanti, alle associa zioni pr ofes sionali inter es s ate, alle ri v is te specializzate e ai media del Cantone. 7.6. 8. 8.1. 8.2. 8.3. 9. 9.1. PREMIA ZIONE Il premio sarà attribuito nell’ambito di una manifestazione pubblica, alla presenza dei partecipanti, della giuria, degli sponsor e dei media. Tut te le opere presentate saranno esposte e pubblicate su un catalogo che testimonierà l’importanza della manifestazione. Per dare ulteriore risalto all’impor tanza della manifestazione le opere premiate saranno divulgate tramite il sito internet della SI A . ESPOSIZIONE DELLE OPERE La SI A organizzerà a Castelgrande di Bellinzona, l’esposizione di tut te le opere presentate dal 26 febbraio 2016 al 06 marzo 2016. L’inaugurazione avrà luogo in concomitanza con la cerimonia di assegnazione del premio il 26 febbraio 2016. 10. RESTITUZIONE DEI MATERIALI 10.1. I materiali inviati dai concorrenti, relativi alle opere premiate, resteranno di proprietà dell’ente banditore. 10.2. Tut ti gli altri lavori potranno essere ritirati entro un massimo di 5 g g. dalla chiusura dell’esposizione, presso il segretariato della SI A . 11. ASPET TI LEGALI 11.1. I par tecipanti riconoscono con la loro firma sul formulario d’iscrizione di accet tare il regolamento del premio SI A Ticino. 11.2. Il giudizio della giuria è inappellabile; sono escluse le vie legali. 11.3. I concorrenti confermano, con la loro par tecipazione, di essere i commit tenti rispet tivamente i proget tisti delle opere inoltrate e ne approvano la pubblicazione. 12. DISPOSIZIONI FINALI 12.1. Il presente bando è approvato dalla dalla Giuria. SI A Ticino e Le superfici sono la nostra specialità. „Crema“ Le nuove superfici danno un taglio alle solite pareti. Come esempio vi mostriamo la finitura Sandstein-Design “Crema” su un sistema isolante Basis: per donare un tocco di eleganza ad una parete con isolamento termico… in un attimo. Knauf AG • tel. 058 775 88 00 • www.knauf.ch D I A R I O D E L L’ A R C H I T E T T O T I Paolo Fumagalli São Paulo 1. Citta, metropoli, megalopoli Questa volta scrivo proprio un Diario come si deve, un diario personale: quello di un papà che va trovare il figlio che vive a San Paolo. In questa città incredibile, la più grande città del Brasile: 21 milioni di abitanti nell’ininterrotta continuità urbana della sua regione metropolitana. Ma attenzione, non è la città liquida o la città diffusa come da noi qui in Europa, né San Paolo è una città americana – Phoenix o Dallas o Houston – con il gruppo di grattacieli a formare quel downtown vuoto alle 18.30 e deserto i giorni festivi. Qui no. Certo, San Paolo è anch’essa una città estesa senza fine. Ma è una città vera, densa fino ai suoi limiti estremi, dove anche laggiù lontano chilometri dal centro si ergono i grattacieli, circondati da quartieri di abitazione, fabbriche e shopping e ex favelas (che anno dopo anno hanno sostituito le lamiere con il mattone) e altre nuove favelas – queste sì fatte di lamiere e residuati di demolizioni o discariche. E qua e là grandi macchie di verde, talvolta disegnate a parchi, talvolta ancora vergini nel ricordo di antiche foreste. Oltretutto, questa gigantesca metropoli non è adagiata su una piatta pianura, ma si estende su colline e riempie valli, trovando una propria identità nell’ininterrotta gerarchia di episodi dominanti nel paesaggio urbano. Uno, due, tre centri città Ed è lassù su una di queste colline che si trova il centro nevralgico più conosciuto di San Paolo. Un centro costituito dalla perfetta infilata di grattacieli a cadenzare e disegnare il magnifico spazio lungo 3 chilometri dell’Avenida Paulista. Grattacieli alternati a istituti scientifici, a ristoranti e cinema e teatri e musei e a giardini e parchi, un concerto urbano pulsante di vita 24 ore al giorno, tutti i giorni della settimana. Altro che downtown all’americana. Non solo, ma se si scende nella valle sottostante e ci s’incammina verso Praça da Sé si entra in un altro centro della città – i quartieri Consolaçao e Sé – i più antichi, con la Cattedrale, e più oltre la Stazione ferroviaria, Estaçao da Luz. Ma se invece di scendere da questo lato dell’Avenida Paulista si scende dall’altro, ci si imbatte quasi subito in un altro centro – il quartiere Jardim Paulista – con le boutique e i negozi di lusso, i ristoranti e sushi e pizzerie e Starbucks e bar, fino alla pasticceria Douce France. E più oltre, passato il Parque Ibirapuera e il quartiere Brooklin Paulista si raggiunge gli ultimi quartieri realizzati, Cidade Monçoes e Vila Coldeiro e Vila Gertrudes, con gli alti grattacieli delle multinazionali lucenti nei riflessi vetrati della loro arroganza. 1. San Paolo, la città Una storia, una città I quartieri di Sao Paulo non costituiscono solo la suddivisione amministrativa di questa immensa città, ma ogni quartiere – in una metropoli che conta 20 milioni di abitanti – è anche una città a sé con i suoi di milioni di abitanti, con strade e spazi e piazze e giardini e architetture che le sono specifici. Insomma, quartieri con una loro propria identità. Ognuno città dentro la grande città. Vi è gente di un quartiere – la sua città – che non è mai stata in un altro quartiere, magari distante chilometri dal suo. Così, camminando per le strade di San Paolo e andando di quartiere in quartiere e guardando l’architettura che vi circonda, nonostante l’affastellarsi di edifici di mole ed epoche e stili molto diversi, parecchi decadenti sotto il peso degli anni, si vive non solo la storia dell’architettura dalla metà dell’Ottocento a oggi, ma si comprende quali sono stati i momenti storici di San Paolo – e del Brasile. Dal latifondo all’urbano La colonizzazione portoghese – iniziata nell’anno 1500 – termina nel 1822 con l’indipendenza del Brasile, e la proclamazione della Repubblica Federale del Brasile nel 1889. È anche il primo periodo di crescita del Paese, che dura fino al crollo della Borsa di New York del 1929, determinato dalla produzione del caffè, e poi di gomma, zucchero e cacao, che costituivano il 90% dell’esportazione del Paese. A fianco dei grandi latifondi prendono anche forma centri urbani e porti, necessari per il commercio e l’esportazione: San Paolo e Rio de Janeiro per il caffè; Recife per lo zucchero; Salvador per il cacao; Belém e Manaus per la gomma. 22 D I A R I O D E L L’ A R C H I T E T T O T I Soprattutto dall’Europa partono allora, in questa fine Ottocento, milioni di emigranti a lavorare nei vasti possedimenti agricoli o ad abitare le città di nuova formazione. Ma non è solo una questione di numeri. La progressiva importanza delle città si traduce nella graduale autorevolezza della élite urbana progressista e cosmopolita, a detrimento del conservatorismo della società tradizionale, legata alla produzione agricola. È il momento del passaggio dal «latifondo all’urbano», è il momento della formazione delle città brasiliane, è l’abbandono del carattere coloniale per abbracciare la modernità urbana: creare le infrastrutture necessarie – igienico-sanitarie, acqua, gas – e riorganizzare lo spazio fisico in un primo tentativo di urbanizzazione razionale. 2. Il potere, la modernità La depressione del 1929 sfociò nel colpo di stato di Getulios Vargas, che sarebbe rimasto al potere fino al 1954. Vargas dà progressiva importanza allo Stato nazionale a detrimento delle politiche locali, e, al di là del carattere autoritario e della cancellazione delle libertà politiche, provvede alla creazione di organi pubblici centrali, di leggi e servizi nazionali, di ministeri, strutture, insomma, che furono di premessa alla modernizzazione del paese. È con orgoglio che il governo fascista di Vargas partecipa all’Esposizione mondiale del 1938 a New York con un proprio padiglione. E ottiene un primo riconoscimento internazionale grazie ai due architetti che lo progettarono: Lucio Costa e Oscar Niemeyer. Che saranno poi, assieme agli altri colleghi dell’epoca, protagonisti nel 1943 dell’esposizione Brazil Builds al moma di New York, che accende i riflettori sull’architettura del Brasile. Ma con la mostra Brazil Builds gli Stati Uniti di Roosevelt avevano anche un altro obiettivo: promuovere una politica di buon vicinato e ottenere l’appoggio del Brasile nel conflitto mondiale contro la Germania. Vargas esercitò allora una politica di neutralità: vicino sia ai nazisti e sia ai nordamericani. In cambio, ottenne cospicui finanziamenti: il periodo bellico fu per il Brasile un momento di prosperità, a differenza di quanto capitava nel resto del mondo. La caduta di Vargas aprì un breve periodo democratico. Il presidente Juscelino Kubitschek, che come governatore dello Stato di Minas Gerais aveva promosso la riqualificazione urbana di Belo Horizonte poggiandosi su Oscar Niemeyer, promuove una forte industrializzazione del paese e importanti lavori pubblici, tra cui la realizzazione della nuova capitale Brasilia, affidata a Lucio Costa e Oscar Niemeyer. Nel 1961 il nuovo presidente Joao Goulart ereditò una difficile situazione economica che sfociò nel 1964 nella violenta dittatura militare, durata fino al 1984. Molti scapparono all’estero, tra cui anche Oscar Niemeyer, che si rifugiò a Parigi. Poi la storia è quella recente. La caduta della dittatura aprì di nuovo il paese verso l’esterno, pur se afflitto da 3. 2. Ar tacho Jurado, Edificio Parque das Hor tensias, 1957 3. Oscar Niemeyer, Edificio Copan, 1951 problemi economici, corruzione dilagante, inflazione, fughe di capitali e forti tensioni sociali, con una divaricazione sempre più feroce tra classi ricche e classi povere. Sarà con l’affermazione alle elezioni del 2003 di 23 D I A R I O D E L L’ A R C H I T E T T O T I Luiz Inácio Lula da Silva che avverrà una decisiva svolta politica, con provvedimenti a favore di una maggiore giustizia sociale, riforma delle pensioni, programmi di aiuto alle famiglie indigenti. In parallelo, in un difficile equilibrio, Lula affronta l’economia dissestata e riesce a rendere economicamente indipendente il Paese dai provvedimenti del Fondo Monetario. In questo approfittando dello sviluppo economico mondiale che favorisce i paesi a basso costo lavorativo. Il resto è storia di oggi. Nulla si distrugge: da un quartiere all’altro la storia della città e della sua architettura Per chi ama l’architettura, camminare da un quartiere all’altro di San Paolo è percorrere la storia, non solo quella della città come ovvio, ma della stessa architettura. Perché San Paolo non è cresciuta e non si è sviluppata per sostituzioni, non ha demolito vecchi quartieri per sostituirli con dei nuovi – come nelle città europee o asiatiche – ma ha conservato quelli esistenti e vi ha costruito a fianco quelli nuovi. Nuovi quartieri che si sono aggiunti a quelli esistenti ognuno con logiche urbane proprie, dando forma a una metropoli cresciuta in progressione, discontinua e sempre estremamente densa. Ma è prorpio in questo che San Paolo è affascinante. Salvo le ville padronali e gli antichi quartieri coloniali, qui nulla è stato distrutto, tutto è ancora conservato. Tutto qui è moderno. Dentro questa formidabile densità, di quartiere in quartiere emergono le architetture dell’eclettismo del Teatro Municipal (1911), gli spazi a carattere industriale degli interni della Estaçao da Luz (1901) e del neoclassico Mercado Central (1928), lo spazio della Biblioteca dell’Edificio Mackenzie (1894 e 1926), le torri del Prédio Martinelli (1929) e le geometrie dell’Edificio Esther (1938) e del Prédio do Banespa (1939). E poi i capolavori del Dopoguerra. A iniziare con il gesto clamoroso dell’edificio Copan (1951) di Oscar 4. Niemeyer, che si infila come un’anguilla tra gli edifici circostanti, e ancora di Niemeyer strutture e edifici nel Parco di Ibirapuera – con la stupefacente Grande Marquise del 1954 – e l’insieme del Memorial da America Latina (1989). E poi Rino Levi con l’Edificio Prudencia (1948), Franz Heep (e il contributo dell’ingegner Roncati, padre di Flora Ruchat) con l’Edificio Italia (1965), Artacho Jurado con l’Edificio Parque das Hortensias (1957), un David Libeskind razionalista con il Conjunto Nacional (1962), Lina Bo Bardi con i due magnifici edifici del Museo de Arte Moderna (1968) e del SESC (1986). Infine – per necessità occorre chiudere – le opere di due grandi dell’architettura brasiliana: Joao Batista Vilanova Artigas con il capolavoro della Faculdade de Arquitetura (1969) all’Università di San Paolo e Paulo Mendes da Rocha con la Galeria de Arte fiesp (1998), il Museo di scultura (1988), la ristrutturazione della Pinacoteca do Estado (1998) e l’intervento a Praça Patriarca (2002). Ora però la metropoli San Paolo – anzi, tutto il Brasile – è messa a confronto, dopo una velocità di crescita economica e urbana enorme, a un grave deficit infrastrutturale. L’economia privata ha delle dinamiche tali che lo Stato e gli enti pubblici – oltretutto afflitti da importanti carenze organizzative – non riescono a seguire. Per forza di cose ha bisogno di tempi più lunghi. Il compito ora per il Brasile è realizzare quelle infrastrutture oggi insufficienti – elettricità, acqua, aeroporti, strade e autostrade, reti ferroviarie – così come San Paolo, alle prese con un traffico automobilistico caotico, cui cerca di far fronte con nuove linee della metropolitana e con un trasporto su monorotaia. Mentre a un lato della marginal, l’ingolfata strada di distribuzione del traffico verso il centro della città, scorre l’acqua maleodorante del fiume Tietê, sull’altro lato crescono a ogni istante nuove favelas. San Paolo è anche questo. 4. Paulo Mendes da Rocha, Praça Patriarca, 2002 24 Laube è ... costruire in modo sostenibile ed ecologico Abitazioni con soluzioni architettoniche innovative e personalizzate richiedono partner preparati. Realizziamo case modulari con struttura in legno, per una migliore qualità di vita, in perfetta sintonia con la natura. LAUBE sa Biasca - Losone - Melano Tel. 091 873 95 95 www.laube-sa.ch Lucasdesign.ch Un tetto… è tutto Carpenteria Copertura tetti Lattoneria Impermeabilizzazioni Case modulari PROGETTI TI Lorenzo Felder testo Vincent Mangeat* foto Pino Brioschi Ristrutturazione di una banca, Lugano Exact, vous avez dit «exact»! Il progetto di ristrutturazione della Banque de Dépôt et de Gestion di Lugano, ex casa Taddei, è per diversi motivi esemplare. Prima di tutto, la banca ha la lungimiranza di affidarsi a un architetto con il quale ingaggia un dialogo fecondo e di qualità, accompagnato dagli enti comunali e cantonali per le questioni urbanistiche e culturali. Questo restauro e riabilitazione è altrettanto esemplare per il rapporto che si instaura tra la scala dell’edificio e la scala urbana. Per la città, offerto alla città… è un notevole contributo alla riqualifica della piazza Riforma dove il potere politico con la sua amministrazione si impone scenograficamente. Osservate come tutt’attorno gli edifici gli si inchinano toccandosi tra di loro. È come se un po’ di Siena si sia accasata ai piedi del massiccio alpino. Maltrattato dal tempo, cattivo consigliere, e dagli uomini che troppo spesso ne fanno le veci, l’edificio reinventato era «un malato grave». Scosso, rotto, asfissiato, in stato di apoplessia. Si scommette sulla sua prospettiva di vita. Non è quindi strano che un banchiere preoccupato di non rovinare il suo patrimonio si affidi a un architetto per riportarlo alla vita. Per il suo progetto l’architetto curatore fa un’anamnesi domandando all’edificio di raccontargli il suo passato e la storia della sua decadenza. Lo ascolta, e poi lo ausculta. Sulle radiografie rilevate, l’architetto diagnostica il male che lo divora. È quindi di insufficienza respiratoria che soffre l’edificio. Al centro, dentro la cassa toracica dove risiedeva il vuoto polmonare, nel corso del tempo, hanno costruito locali di servizio, e ancora dei locali di servizio … Ancora più grave, la pleura era stata perforata. Sapete, quella membrana che avvolge il centro. Il centro vuoto della corte «ventilata» attorno alla quale sono disposte le sale. L’edificio era quindi una domus, una casa, un palazzo con le sale attorno a una corte. Un vuoto circondato da un pieno. Un vuoto… sempre tanto fragile che lo si vuole colonizzare. Al malato l’architetto prescrive un trattamento radicale riassunto in un concetto: «riabilitare il vuoto centrale, generatore». Il centro attorno al quale tutto potrà riprendere il suo posto. Al suo posto. Nel centro, vuoto e liberato, l’architetto fa, gli uni su gli altri, degli ampi pianerottoli che segnano l’elegante «percorso della scala» che si snoda attorno a una colonna di luce zenitale. Nel progetto tutto ritorna in modo chiaro, leggibile, visibile, evidente. L’unità tematica dell’attività bancaria potrà svolgersi nuovamente sviluppandosi dal vuoto centrale verso la periferia delle sale delimitate dalla bella facciata di Giuseppe Pagani. Si è dunque riportato in vita l’edificio. Lo spazio, la struttura e la luce si riunificano e si riconciliano. Tre sono i «materiali» presenti, scelti con precisione. Lo gneiss di Cresciano, il legno di rovere massiccio e un colore grigio chiaro con una punta di giallo. Insieme in relazione tra di loro creano una «necessità» interna che dà senso all’opera intera. Una trinità di cui il terzo elemento è congruente agli altri due. Con questa esemplare realizzazione, il committente si presenta, mostrando ai suoi clienti e ai suoi ospiti la sua stima. Alla città di Lugano dice ciò che gli deve. A voi che osservate il cielo del portico, vi sono offerti dei fiori. Forse delle asclepiadi dai petali rosa, odoranti. Che piacevole profumo! * architetto, professore emerito epfl 26 PROGETTI TI RISTRUT TUR A ZIONE BANQUE DE DÉPÒTS E T DE GESTION, PIA ZZ A RIFORMA 3, LUGANO Committente Banque de Dépòts et de Gestion; Lugano | Architettura studio di architettura Lorenzo Felder sa; Lugano Collaboratori G. Radice, A . Tendeiro, L. Brügger, G. Pellegrini | Direzione lavori Giovanni Motta, Edilstudio Motta; Agno | Ingegneria civile Michele Lepori, Gian Tomaso Arnold, Studio d’ingegneria Lepori sa; Canobbio | Ingegneria impiantistica Antonio Ariemma, Francesco Visani, Studio d’ingegneria Visani Rusconi Talleri; Taverne | Ingegneria elettrotecnica Mauro Ciriello, Ricardo Francisco, Elettroconsulenze Solcà sa; Mendrisio | Protezione antincendio Ida Puricelli; Mendrisio | Fisica della costruzione Andrea Boletti, ifec Consulenze sa; Rivera | Ingegneria ambientale Mauro Gandolla, Econs sa; Bioggio | Metalcostruttore Teresio Boto; Arcisate | Fotografia Fotobrioschi; Bellinzona | Grafica Isabella Steiger; Lugano | Date progetto 2008, realizzazione 2009-2012 27 PROGETTI TI Pianta piano tipo, situazione prima dell’inter vento Pianta piano tipo Pianta piano terra 28 PROGETTI TI Sezione trasversale Sezione longitudinale 29 Sara SA Via alle Brere 5 CH-6598 Tenero www.sara-suisse.ch LIBRI TI Andrea Roscetti Vincent Laganier e Jasmine van der Pol Light and Emotions Birkhäuser, Basel 2011 Ser vizio ai lettori Avete la possibilità di ordinare i libri recensiti all’indirizzo [email protected] (Buchstämpfli, Berna), indicando il titolo dell’opera, il vostro nome e cognome, l’indirizzo di fatturazione e quello di consegna. Riceverete quanto richiesto entro 3/5 giorni lavorativi con la fattura e la cedola di versamento. Buchstämpfli fattura un importo forfettario di CHF 8.50 per invio + imballaggio. Il libro è il frutto di una ricerca, sponsorizzata da un grande produttore di sistemi per l’illuminazione, e presenta lo stato dell’arte della progettazione illuminotecnica grazie alle interviste a un gran numero di lighting designer. L’attenzione crescente all’illuminazione in architettura, accentuatasi negli ultimi anni grazie alle nuove tecnologie che permettono maggiore flessibilità, fornisce la base del dialogo con gli specialisti. Il sottotitolo stesso rende chiaro l’obiettivo della pubblicazione: «Esplorando le culture dell’illuminazione. Colloquio con i progettisti della luce». Nel libro vengono alla luce i differenti approcci dovuti al background eterogeneo degli intervistati in fatto di formazione e esperienza professionale. La provenienza geografica dei designer rappresenta nella ricerca un ulteriore fattore di interesse: dai contributi raccolti, a detta degli autori, è però possibile esclusivamente definire dei trend dettati dalle similitudini e dalle differenze culturali senza poter trarre delle conclusioni generali. Il primo capitolo della pubblicazione si focalizza sui parametri del progetto luce. Sono definiti il ruolo della lumi- nosità per la percezione degli oggetti, il contrasto come composizione di chiaro e scuro e di creazione di ritmo nello spazio, la dinamica della luce per dare vita agli oggetti, il colore e il contrasto nel colore per saturare o sfumare e dare sensazione di calore o freddo, invitare o creare distacco, la direzionalità della luce per creare ombre e determinare la posizione e la qualità della fonte di luce. I concetti base sono presentati con brevi testi introduttivi alla tematica, completati dalle immagini dei diversi progetti realizzati dagli specialisti intervistati, corredati anche da brevi citazioni degli autori, veri e propri slogan che esprimono il concetto di base delle realizzazioni. Il capitolo «Emozioni» è strutturato in maniera simile al precedente, dando più spazio agli aspetti percettivi ed emozionali. Come nella sezione precedente le immagini sono corredate da brevi commenti dei designer, molto più personali e che esprimono gli obiettivi personali e gli effetti delle singole realizzazioni nel campo delle sensazioni. Il capitolo centrale tratta il dialogo con i progettisti di illuminotecnica. Sono presentati estratti da interviste con 47 professionisti con esperienza pluridecennale, provenienti da 12 paesi in cui la professione è riconosciuta e ben codificata da almeno 10-15 anni: Brasile, Corea del Sud, Francia, Germania, Giappone, India, Italia, Messico, Regno Unito, Stati Uniti, Taiwan e Tailandia. I contributi provengono da interviste con soggetti attivi e appartenenti alle associazioni nazionali e internazionali del settore, riconosciuti quindi come opinion leader nei campi dell’illuminazione di interni ed esterni, delle performance artistiche, dello spettacolo e del cinema. Durante il dialogo vengono affrontati i temi più tecnici, gli aspetti personali delle realizzazioni, quelli relativi alle peculiarità dovute alle provenienze culturali e quelli legati ai campi emozionali del progetto illuminotecnico. Rimangono sempre comunque in primo piano la formazione, l’interesse personale e lo sviluppo del percorso professionale dei singoli. Rispetto ai due capitoli precedenti, il contenuto delle interviste esalta, oltre a specifici interventi, anche altri aspetti del progettare con la luce: l’ispirazione, il Mohamed Boubekri e Christian Bartenbach Daylighting Design Birkhäuser, Basel 2014 Othmar Humm, a cura di Stadtlicht «Faktor – Architektur, Technik, Energie», n. 41, 2015 Stefan Gasser, e Daniel Tschudy Licht Im Haus Energieeffiziente Beleuchtung Faktor Verlag, Zürich 2011 ruolo comunicativo, sociale, dell’impatto sull’esistente e sull’ambiente, l’aspetto commerciale e del ruolo delle mode e delle influenze tra i progettisti. All’interno del testo sono presenti anche immagini in formato ridotto, come richiamo a quelle già presentate nella parte teorica relativa ai concetti di base. Sono presenti, a fianco ai testi delle interviste, anche brevi citazioni di altri designer, in modo da spingere il lettore alla lettura di altri contributi che esprimono concetti simili o contrapposti, creando una sorta di dialogo tra tutti gli intervistati. Al termine della pubblicazione viene riportato il sommario della ricerca, che presenta gli aspetti principali per il progetto illuminotecnico: la generazione di emozioni, le caratteristiche del contesto, il profilo personale del progettista e le fonti di ispirazione per il concetto iniziale. 31 4 World Trade Center, New York Noi vi mettiamo in moto. A Brissago e nelle non immediate vicinanze. Ogni giorno un miliardo di persone utilizza gli ascensori, le scale mobili e le innovative soluzioni di mobilità Schindler. Al nostro successo contribuiscono 54 000 collaboratori in tutti i continenti. www.schindler.ch 3 / 2 0 1 5 G IU G N O LA LUCE ARTIFICIALE KÜNSTLICHES LICHT LUCE SEDUCE. archi RIVISTA SVIZZERA DI ARCHITETTURA, INGEGNERIA E URBANISTICA fondata nel 1998, esce sei volte all’anno. ISSN 1422-5417 | tiratura REMP dif fusa: 2681 copie, di cui 2662 vendute | via Cantonale 15, 6900 Lugano – tel. 091 921 44 55, [email protected] – www.espazium.ch DIRETTORE Alberto Caruso AC COORDINAMENTO EDITORIALE Stefano Milan SM ASSISTENTI AL COORDINAMENTO Mercedes Daguerre MD | Teresa Volponi TV REDAZIONE Debora Bonanomi DB | Andrea Casiraghi AnC | Laura Ceriolo LC | Piero Conconi PC | Gabriele Neri GN | Andrea Pedrazzini AP | Andrea Roscet ti AR | Enrico Sassi ES | Stefano Tibiletti ST | Graziella Zannone Milan GZM REDAZIONE COMUNICATI SIA Frank Jäger, frank.jä[email protected] IMPAGINAZIONE Silvana Alliata CORRISPONDENTI Andrea Bassi, Ginevra | Francesco Collotti, Milano | Jacques Gubler, Basilea | Ruggero Tropeano, Zurigo | Daniel Walser, Coira TRADUZIONI ITALIANO-TEDESCO Alexandra Geese CORREZIONE BOZZE Fabio Cani CONSIGLIO EDITORIALE Tonatiuh Ambroset ti, fotografo, Losanna | Nicola Baserga, arch. ETHZ, Muralto | Jacqueline Burkhardt, storica dell’architet tura, Zurigo | Marco Della Torre, arch. POLIMI, Milano-Como | Franco Ger vasoni, ing. ETH, Bellinzona | Nicola Nembrini, ing. STS, Locarno | Nathalie Rossetti, arch. ETHZ, Zollikon | Armando Ruinelli, arch., Soglio | Nicola Soldini, storico dell’architettura, Novazzano EDITORE Verlags-AG der akademischen technischen Vereine | Staffelstrasse 12, 8045 Zurigo – tel. 044 380 21 55, fax 044 380 21 57 | Walter Joos presidente | Katharina Schober, direttrice | Hedi Knöpfel, assistente ABBONAMENTI E ARRETRATI Stämpfli Publikationen AG, Berna – tel. 031 300 62 57, fax 031 300 63 90, e-mail: [email protected] | Abbonamento annuale (6 numeri) Svizzera Fr. 135.– / Estero Fr. 140.–, Euro 119.50, Studenti Svizzera Fr. 67.50 / Numeri singoli 24.– | Abbonamenti soci SIA: SIA, Zurigo – tel. 044 283 15 15, fax 044 283 15 16, e-mail: ret [email protected] ORGANO UFFICIALE SIA Società svizzera ingegneri e architetti, www.sia.ch OTIA Ordine ticinese ingegneri e architetti, www.otia.ch ASSOCIAZIONI GARANTI SIA Società svizzera ingegneri e architetti, www.sia.ch | FAS Federazione architetti svizzeri, www.architekten-bsa.ch | USIC Unione svizzera ingegneri consulenti, www.usic-engineers.ch | Fondation Acube, www.epflalumni.ch/ fr/prets-dhonneur | ETH Alumni, www.alumni.ethz.ch STAMPA E RILEGATURA Stämpfli Publikationen AG, Berna PUBBLICITÀ Zürichsee Werbe AG, Seestrasse 86, 8712 S täfa – tel. +41 4 4 928 56 11, fa x + 41 44 928 56 00, [email protected], www.zs-werbeag.ch La riproduzione, anche parziale, di immagini e testi, è possibile solo con l’autorizzazione scritta dell’editore e con la citazione della fonte. Nel prossimo numero Il Centro Svizzero di Milano Dello stesso editore Wohn- und Geschäftshaus Badenerstrasse 595, Zürich, Guagliardi Ruoss Architekten www.mplicht.ch Tracés n.10 NOUVEAU BÂTIMENT MIXTE DE HERZOG & DE MEURON À BÂLE www.revue-traces.ch Tec21 n.22 DER LETZTE CORBUSIER www.tec21.ch Occhi. Mani. Passione. Scoprite il fascino dei sistemi cucina bulthaup visitando i nostri showroom, oppure il sito www.bulthaup.ch PURO design Sagl Lungolago G. Motta 2a 6601 Locarno www.purodesign.ch Selva Interior SA Riva Caccia 1C 6900 Lugano www.selvainterior.com EDITORIALE LA LUCE ARTIFICIALE Alberto Caruso Le ombre sono necessarie quanto la luce Gli occhi sono fatti per vedere le forme nella luce Le Corbusier, 1928 Henry Moore definiva la Pietà Rondanini di Michelangelo come la più commovente tra le sculture di ogni tempo. L’ultima opera di Buonarroti, scolpita, modificata, abbandonata, poi ripresa e non finita per la scomparsa dello scultore, ha rappresentato, fino ad aprile di quest’anno, il gran finale del percorso museale dei Musei Civici al Castello Sforzesco di Milano. Sistemati dallo studio bbpr nel 1956, i Musei Civici sono uno degli esempi più insigni della museografia del dopoguerra, per la colta raffinatezza delle soluzioni spaziali e dei dettagli dell’allestimento, ancora oggi considerati un esempio magistrale, insieme al Museo di Castelvecchio a Verona di Carlo Scarpa e al Tesoro di San Lorenzo di Franco Albini a Genova. Il lungo percorso attraverso la scultura medioevale e rinascimentale si concludeva nella sala degli Scarioni, il cui spazio, scalinato per collegare la quota sopraelevata del museo a quella dell’uscita, ospitava la Pietà, protetta da un paramento curvo di blocchi di pietra serena e illuminata da uno dei grandi finestroni gotici del Castello. Gli autori del progetto museale avevano capito che l’effetto drammatico era determinato dalla luce, che invadeva il manufatto lateralmente, esaltando le sue forme bianche, rispetto al grigio intenso del muro lapideo retrostante, e formando le ombre necessarie a percepire ogni dettaglio del modellato. Il visitatore, dopo una prima sosta sulla seduta collocata davanti all’opera, compiva immancabilmente un lento giro intorno alla Pietà per scoprire le altre viste, i lati abbozzati e non finiti, per cercare dove era generata una potenza espressiva così intensa. Chi ha visto i Prigioni, ospitati alla Galleria dell’Accademia di Firenze, che tentano di liberarsi dai blocchi di marmo riconoscibili come tali, può capire come in questo caso Michelangelo avesse intenzionalmente scelto la vista frontale per la percezione dell’opera, mentre nel caso della Pietà Rondanini il non finito era l’effetto della complessa e sofferta vicenda della sua concezione ed esecuzione, interrotta dalla morte dell’autore. Il non finito della Pietà andava scoperto dietro alla luce, con la lentezza e il raccoglimento necessari. E l’illuminazione artificiale, attivata alla sera, era direzionata e diretta, pensata per integrare e sostituire quella naturale, con le medesime caratteristiche della luce introdotta dal finestrone. Il mirabile allestimento progettato dai bbpr ha cominciato ad essere criticato negli anni ’90, perché lo spazio non consentiva l’accesso a visitatori molto numerosi – se non dopo lunghe code – nonché ai disabili – per via delle scale che attorniavano il suo spazio. Alla fine degli anni ‘90 fu bandito un concorso per il progetto della sua ricollocazione, vinto da Alvaro Siza. Poi, dopo lunghi anni di silenzio, è stata l’Expo e la previsione della moltitudine di turisti a riportare di attualità la ricollocazione della Pietà, che dall’inizio di maggio si può visitare, nel nuovo allestimento progettato da Michele De Lucchi. Il nuovo sito, a poca distanza dai Musei Civici, è la sala dell’ex Ospedale Spagnolo, un edificio seicentesco addossato alle mura del Castello e originariamente destinato al ricovero dei soldati spagnoli appestati. Al posto della Pietà, nell’allestimento dei bbpr verrà collocata un’altra delle preziose sculture dei Musei Civici. All’ex Ospedale Spagnolo, la scultura è stata posata al centro della grande sala voltata. I visitatori in fila entrano dal lato corto e vedono subito la scultura illuminata, collocata in modo da mostrare loro le spalle. La fila procede girando intorno alla Pietà, sosta alla vista frontale, e ritorna al lato dell’ingresso. Il pavimento della sala, dotato di un complesso marchingegno antisismico, è di doghe di legno. L’illuminazione a led di ultima generazione impedisce l’abbagliamento ed è morbidamente uniforme, su tutti lati dell’opera. Un grande successo di pubblico e di critica ha accolto il nuovo allestimento, salvo poche voci critiche, alle quali vogliamo aggiungere la nostra. Consapevoli delle democratiche esigenze dell’utenza di massa delle opere d’arte più eccellenti, ci è sembrato tuttavia sbagliato liquidare completamente i concetti spaziali che avevano informato il progetto dei bbpr. Nella nuova collocazione, la Pietà galleggia senza riferimento in mezzo a uno spazio troppo grande, allestito con un’eleganza che ci sembra estranea alla sua ruvida tragicità. Il percorso della lenta scoperta è annullato, tutto è esposto subito, a cominciare dal lato posteriore non finito. Ma il problema centrale è la luce, la sua uniformità riduce le ombre al minimo, appiattisce le tensioni espressive, arrotonda l’effetto drammatico. Lo spettacolo per tutti prevale sull’intensità della percezione. Ci chiediamo: non è possibile trovare il modo di coniugare le esigenze dell’utenza di massa con la appropriatezza culturale della fruizione delle opere d’arte? Le ombre sono necessarie quanto la luce, come le pause nella musica, come i vuoti nell’architettura. Le ricerche sulla tecnologia della luce artificiale e sulle sue applicazioni spaziali, delle quali in questo numero di Archi documentiamo qualche esempio, sono molto avanzate e ci mettono a disposizione strumenti tecnici ed espressivi un tempo impensabili. Dobbiamo impadronircene e aggiornare la nostra cultura progettuale per controllarne gli effetti e dominarne gli esiti. 35 EDITORIALE LA LUCE ARTIFICIALE Alberto Caruso Schatten sind genau so notwendig wie Licht Augen sind gemacht, um Formen im Licht zu sehen Le Corbusier, 1928 Henry Moore bezeichnete die Pietà Rondanini von Michelangelo als die bewegendste Skulptur aller Zeiten. Das letzte von Buonarroti gemeisselte, veränderte, aufgegebene, dann wieder bearbeitete und schliesslich beim Tod des Künstlers unvollendet gebliebene Werk bildete bis April dieses Jahres den Höhepunkt des Arrangements der Städtischen Museen im Mailänder Castello Sforzesco. Die 1956 vom Studio BBPR eingerichteten Städtischen Museen sind aufgrund der Eleganz der räumlichen Lösungen und der Details des Arrangements gemeinsam mit dem Museo di Castelvecchio in Verona von Carlo Scarpa und dem Tesoro di San Lorenzo von Franco Albini in Genua eines der wichtigsten Beispiele der Museumskultur der Nachkriegszeit und gelten auch heute noch als vorbildlich. Der lange Weg durch die Bildhauerei des Mittelalters und der Renaissance endet im Scarioni-Saal. In diesem mit Stufen versehenen Raum, der die höher gelegenen Ausstellungsräume mit dem Ausgang verbindet, stand – geschützt durch eine geschwungene Wandfläche aus Pietra Serena und erhellt durch das Licht, das durch eines der grossen Gotikfenster des Gebäudes einfiel – die Pietà. Die Urheber des Museumskonzepts hatten den dramatischen Effekt des Lichts verstanden, das seitlich auf die Skulptur fällt und die weissen Formen vom kräftigen Grau der dahinterliegenden Steinwand abhebt. Durch die so entstehenden Schatten nimmt man jedes Detail der Plastik wahr. Der Besucher nahm zunächst Platz auf der Bank vor dem Kunstwerk und umrundete es dann langsam, um es aus allen anderen Blickwinkeln zu erforschen, die nur angedeuteten und unvollendeten Seiten zu betrachten und dem Entstehungsort einer so starken Ausdruckskraft auf den Grund zu gehen. Wer in der Galleria dell’ Accademia in Florenz gesehen hat, wie die Sklaven versuchen, sich aus den als solche erkennbaren Marmorblöcken zu befreien, begreift, dass Michelangelo sich in diesem Fall bewusst für die frontale Sicht zur Betrachtung des Kunstwerks entschieden hatte. Im Fall der Pietà Rondanini ging das Unvollendetsein auf die komplexe und mühevolle Geschichte ihrer Konzeption und Ausführung zurück, die durch den Tod des Bildhauers unterbrochen wurde. Das Unvollendete der Pietà muss hinter dem Licht mit der erforderlichen Langsamkeit und Besinnlichkeit entdeckt werden. Die abends eingeschaltete künstliche Beleuchtung ist zielgerichtet und direkt und soll das Tageslicht mit den gleichen Merkmalen wie das durch das grosse Fenster einfallende Licht ergänzen und ersetzen. Das meisterhafte Arrangement von BBPR wurde in den 1990er-Jahren kritisiert, da der Raum keine grossen Besucherzahlen ermöglicht – zumindest nicht ohne lange Wartezeiten – und für Besucher mit Behinderungen aufgrund der Stufen nicht zugänglich ist. Zum Ende der 90er-Jahre wurde ein Wettbewerb für die Neugestaltung ausgeschrieben, aus dem Alvaro Siza als Sieger hervorging. Nach langen Jahren der Stille wurde eine neue Aufstellung der Pietà angesichts der hohen Besucherzahlen, die im Zuge der Weltausstellung erwartet werden, wieder aktuell. Seit Anfang Mai kann man die Pietà jetzt an dem neuen, von Michele De Lucchi gestalteten Standort bewundern. Dabei handelt es sich um einen Raum des ehemaligen «Spanischen Krankenhauses» (Ospedale Spagnolo), einem Gebäude aus dem 17. Jahrhundert in der Nähe der Städtischen Museen, das an die Mauern des Castello Sforzesco grenzt und ursprünglich als Lazarett für an Pest erkrankte spanische Soldaten diente. Anstelle der Pietà wird in der von BBPR konzipierten Ausstellung eine andere wertvolle Plastik der Städtischen Museen zu sehen sein. Im ehemaligen «Spanischen Krankenhaus» steht die Pietà im Zentrum eines grossen Saals mit Gewölbedecke. Die Besucher betreten den Raum nacheinander von der kürzeren Seite aus und sehen die beleuchtete Skulptur sofort. Sie zeigt sich dem Besucher zuerst mit den Schultern. Dann kann man die Statue umrunden, sie in Ruhe von vorn betrachten und zur Eingangsseite zurückkehren. Der Boden des aufwendig gegen Erdbeben gesicherten Raums besteht aus Holzdielen. Die technologisch fortschrittlichen LED-Leuchten vermeiden Blendeffekte und sorgen für eine weiche und gleichmässige Beleuchtung auf allen Seiten des Kunstwerks. Der neue Standort wurde vom Publikum und von der Kritik sehr positiv aufgenommen. Nur wenige kritische Stimmen wurden laut. Dazu gehört die unsere: Wir sind uns zwar bewusst, dass es im Rahmen eines demokratischen Umgangs mit Kunst vielen Menschen möglich sein muss, herausragende Kunstwerke zu erleben. Trotzdem halten wir es für falsch, die räumliche Konzeption des Arrangements von BBPR vollständig aufzugeben. Am neuen Standort schwebt die Pietà haltlos in einem übermässig grossen Raum, der mit einer Eleganz aufwartet, die in unseren Augen der rauen Tragik der Skulptur nicht angemessen ist. Ein langsames Entdecken ist nicht mehr möglich. Alles ist auf den ersten Blick zu sehen, angefangen bei der unvollendeten Rückseite. Das zentrale Problem ist das Licht, dessen gleichmässige Verteilung Schatten auf ein Minimum reduziert, expressive Spannungen glättet und den dramatischen Effekt abflacht. Das Erlebnis für alle erhält Vorrang vor der Intensität der Wahrnehmung. Wir fragen uns: Ist es nicht möglich, einen Weg zu finden, um die Bedürfnisse der Besuchermassen mit einem niveauvollen kulturellen Genuss der Kunstwerke zu vereinen? Schatten sind ebenso wichtig wie Licht. Sie sind wie Pausen in der Musik, wie leere Räume in der Architektur. Die Forschung zur Technologie des künstlichen Lichts und seinen räumlichen Anwendungen, zu der wir in dieser Ausgabe von archi einige Beispiele dokumentieren, ist weit fortgeschritten und stellt uns früher unvorstellbare technische und expressive Instrumente zur Verfügung. Es ist unsere Aufgabe, sie uns anzueignen und unsere Planungskultur zu erneuern, um ihre Effekte zu steuern und ihre Wirkung zu beherrschen. 36 LA LUCE ARTIFICIALE Katrin Albrecht* traduzione Anna Ruchat L’illuminazione notturna strumento per ridisegnare l’architettura È la luce che mette in evidenza la sapiente distribuzione delle masse, che ci fa distinguere l’alto dal basso, il rotondo dal diritto, il curvo dal piatto, il liscio dal ruvido, il bianco dal nero. È la luce che giocando nelle modanature, ammorbidendosi nelle nicchie, riflettendosi sul marmo, diffondendosi sulle pietre e sui cementi, crea per l’occhio dell’osservatore il quadro meraviglioso dell’opera architettonica. Guido Jellinek, 1929 Luce elettrica e architettura nell’Italia degli anni Trenta All’inizio degli anni Trenta, circa cinquant’anni dopo il brevetto delle prime lampadine, in Europa e in Nordamerica la luce elettrica si era ormai imposta con successo per l’illuminazione sia degli interni che degli esterni e tuttavia l’illuminotecnica in relazione all’architettura era considerata ancora poco sviluppata: «Per trovare una intima unione di luce e architettura bisogna rifarsi, in Europa, quasi ai nostri giorni o per lo meno a un molto prossimo passato»,1 sostenevano Giovanni Canesi e Antonio Cassi Ramelli, autori del ricco volume Architetture luminose illustrato con esempi internazionali. Il volume pubblicato nel 1934 fu in Italia una delle prime pubblicazioni che tentarono di avvicinarsi in modo esaustivo e sistematico a questa cosiddetta «arte nuova». Anche Joachim Teichmüller, tecnico delle luci tedesco, che pochi anni prima aveva coniato il termine Lichtarchitektur – la capacità dei corpi luminosi e della luce che se ne dipana di configurare gli spazi – allora constatava ancora stupito che nella prassi si lavorava ancora secondo le vecchie abitudini e che solo pochi architetti avevano riconosciuto il potenziale artistico della luce elettrica come nuovo strumento di progettazione, sebbene i suoi molteplici usi venissero scandagliati e discussi già da prima, ad esempio alle grandi esposizioni nazionali e internazionali. Già da molto tempo, questa era la critica di Teichmüller, ci si era concentrati sugli aspetti tecnici della produzione della luce, senza adattare i corpi luminosi e il loro uso alle nuove condizioni, in particolare i vantaggi della lampadina, uno strumento per illuminare sicuro, pulito, duraturo e facile da utilizzare, che, contrariamente alla luce artificiale di un tempo, non comportava nessun pericolo d’incendio, non prevedeva l’uso di gas e sviluppava pochissimo calore; la luce poteva essere accesa e spenta a distanza e risultava facilmente regolabile e prevedibile.2 Come in molte altre parti d’Europa, anche in Italia intorno al 1930 si era convinti di trovarsi di fronte a una svolta. La sensibilizzazione crescente nel corso degli anni Venti va ricondotta a origini sia pratiche che ideologiche: l’energia elettrica che, cento anni dopo la locomotiva a vapore, rivoluzionava una volta di più i mezzi di comunicazione e la produzione industriale, era considerata l’emblema del progresso tecnico nella società moderna; così infatti Filippo Tommaso Marinetti nel manifesto del futurismo del 1909 cantava «il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri incendiati da violente lune elettriche» ed esaltava la lampadina che aveva «introdotto un tempo nuovo», come risultato e simbolo di quel grande cambiamento.3 Ma a prescindere da Marinetti, solo negli anni successivi alla prima guerra mondiale, grazie alla costruzione di numerose centrali elettriche, all’incremento delle reti e al miglioramento dell’elettrotecnica e della tecnica della luce, gli impianti di approvvigionamento furono sufficientemente progrediti da poter rendere l’elettricità disponibile su vasto raggio e alla portata di tutti. Un impulso importante era partito dal telegrafo, dal telefono e dalla ferrovia, la cui elettrificazione negli anni Venti, procedeva mano nella mano con la costruzione delle centrali elettriche. Quanto fosse nuovo tutto questo sviluppo lo dimostrano gli annali dell’amministrazione delle ferrovie italiane, in cui ogni volta vengono elencate in modo dettagliato tutte le stazioni specificando il tipo di illuminazione e il numero di lampade utilizzate.4 Tuttavia la produzione e la distribuzione di elettricità rimanevano alquanto arretrate rispetto alla crescente richiesta. La luce: un nuovo materiale da costruzione Da un punto di vista architettonico era importante che il nuovo modo di costruire con l’acciaio, il cemento, il vetro, rendesse possibili forme espressive innovative concedendo alla luce in quanto «materiale da costruzione»5 delle possibilità fino a quel momento sconosciute. Perché la luce artificiale non si diffondeva solo con le lampade all’interno degli edifici, ma anche di notte negli spazi esterni e diventava così un fattore urbano imprescindibile che poneva architetti, urbanisti e tecnici delle luci di fronte a un compito nuovo, ovvero la pianificazione dell’aspetto notturno di edifici, vie e piazze. Due erano le modalità di intervento e gli effetti che si potevano individuare. Mentre l’aspetto notturno delle «architetture illuminate», ovvero quelle colpite da luce a largo fascio, non era troppo diverso dal loro aspetto diurno, l’immagine delle «architetture luminose», ovvero di quegli edifici in cui la luce artificiale traspariva dall’interno grazie alle parti trasparenti è assai diversa: l’oscurità assorbiva la sostanza dei corpi architettonici, compresa la loro materialità, la struttura, la gravità, il colore, per 37 LA LUCE ARTIFICIALE 1. dissolverli, in un certo senso, nella totalità del grande spazio nero. I locali illuminati invece si stagliavano in modo tangibile nello spazio circostante illuminandolo così come facevano i corpi luminosi all’interno delle abitazioni. L’inversione dei rapporti chiaro-scuro produceva intanto configurazioni del tutto inconsuete. Gli architetti e gli ingegneri italiani approfittarono evidentemente del fatto che questa metamorfosi ottica conteneva nuove possibilità espressive e artistiche e della potenziale capacità evocativa della luce artificiale capace di delineare spazi che di giorno non erano riscontrabili. Questo entusiasmo per la notte si poteva riscontrare nella scelta delle fotografie nelle riviste di architettura che, a partire dagli anni Trenta, pubblicarono sempre più immagini notturne. Queste per lo più venivano mese a confronto con altre fotografie scattate di giorno da (quasi) lo stesso punto di vista, così che le capacità metamorfiche di un’architettura risaltavano con grande evidenza. Particolarmente adatte alle impressioni notturne apparivano i mondi artificiali e temporanei delle esposizioni così come i grandi magazzini, le fabbriche, i teatri, i cinema con le loro insegne luminose, le vetrine illuminate e tutti gli ornamenti luminosi che attiravano l’attenzione: «L’uomo d’affari moderno ... ricerca, nel suo impianto di affari tutte le comodità offerte dalle nuove invenzioni tecniche, anche perché questa è la sua migliore pubblicità».6 Meno immediati, ma tanto più significativi dal punto di vista dell’architettura luminosa, erano invece gli edifici pubblici come stazioni, uffici postali o altre istituzioni i cui effetti di luce non avevano un riscontro pubblicitario immediato. La luce in quel caso serviva principalmente a produrre qualità tridimensionali ambivalenti che si rivelavano solo al buio, quando perdevano la solidità e l’inalterabilità dell’architettura grazie al carattere effimero della luce. Precursori e sperimentatori nell’uso del nuovo materiale – la «luce artificiale» – in Italia, furono in particolare gli architetti della generazione più giovane, ad esempio Giuseppe Pagano, Giuseppe Vaccaro, Mario De Renzi, Adalberto Libera, Mario Ridolfi, Giuseppe Terragni, Luigi Moretti e Angiolo Mazzoni.7 Progettare l’illuminazione notturna La consapevolezza accresciuta per la luce come mezzo di raffigurazione architettonico e urbanistico emerge con particolare evidenza nel lavoro degli architetti: negli schizzi, nelle proiezioni geometriche e nei plastici grazie ai quali essi comunicavano le loro idee. Negli anni Trenta in Italia si manifestarono – in forma di prospettive notturne e modelli illuminati dall’interno – delle modalità di rappresentazione grazie alle quali era possibile anticipare l’aspetto che avrebbe avuto la costruzione al buio già durante la fase del progetto. Poiché queste modalità venivano adottate solo raramente, soprattutto nel caso di concorsi, qualche volta anche per incarichi pubblici straordinari, esse mettono in luce in modo particolarmente chiaro quale doveva essere il significato degli effetti notturni e della loro accurata pianificazione. Il progetto del ponte di Agnoldomenico Pica che fu recensito nel 1933 dalla rivista «Architettura» dimostra in modo esemplare che le vedute notturne venivano inserite come strumento di lavoro costitutivo. In occasione del concorso per il rinnovo del ponte di legno provvisorio dell’Accademia sul Canal Grande, a Venezia, Pica presentò, oltre ai progetti, uno schizzo diurno e uno notturno per mettere in evidenza il diverso aspetto dell’intervento nel contesto della città.8 38 LA LUCE ARTIFICIALE 2. 1. Disegni di Agnoldomenico Pica e Mirko Buccianti per il proget to di concorso per il nuovo ponte dell’Accademia a Venezia, pubblicati in Architet tura, n. 5, 1933, pp. 309, 310. 2. Modello e prospet tiva not turna per il proget to della nuova stazione Roma Termini di Angiolo Mazzoni, pubblicati in Architettura, n. speciale, 1939, p. 82. La proposta del ponte prevede una trave in acciaio che poggia su due pilastri di cemento rivestiti di un mosaico in ceramica rossa; alle estremità due larghe scale a spirale portano a terra sulle opposte rive. Le parti in metallo e i gradini delle scale dovevano essere rivestiti in vetro e cristallo – dunque con materiali del posto – illuminati da dietro, «con bellissimo effetto fantasmagorico», come si diceva nell’articolo. Solo la prospettiva notturna ci mostra i rossi piloni che spariscono inghiottiti dall’oscurità, perdendo la loro funzione statica, mentre l’asse illuminato sembra sospeso sull’acqua, tenuto su soltanto dalle due scale a molla. Come i piloni anche il profilo della città, disegnato con una sottile linea bianca, scompare completamente sullo sfondo. L’illuminazione notturna del ponte non solo nasconde il sistema statico della costruzione ma addirittura evoca l’impressione della smaterializzazione. Nella notte il ponte sembra tutto fatto di luce; la luce assume così quella funzione costitutiva alla quale probabilmente Pica voleva riferirsi con il motto «h tektonikh» (sulla visione notturna in alto a sinistra). Il concetto di «tettonica» in architettura viene utilizzato per indicare le forze portanti e gravanti di un fabbricato che non coincidono in modo cogente con le forze realmente attive. Un altro disegno prospettico che rappresenta la visione notturna di un’architettura in ambito urbano già durante la progettazione, è quella che troviamo nel progetto della stazione di Roma Termini di Angiolo Mazzoni. Si tratta della visione notturna dell’atrio, pubblicata nel 1939 in «Architettura» sotto una foto del modello scattata dallo stesso angolo visuale.9 L’alto atrio aperto della stazione viene rappresentato come uno spazio pieno di luce su sfondo nero. Attraverso le doppie colonne che gettano la loro ombra verso l’esterno, si può vedere il cielo notturno sopra la distesa dei binari, nell’atrio i minuscoli omini segnalano che c’è ancora molto movimento. Nel caso del monumentale progetto della stazione la visione notturna risultava evidentemente la più adatta per comunicare l’intento di ottenere la grande trasparenza e apertura della stazione di testa; trasparenza che si avverte anche nella foto del modello: la costruzione tuttavia con la luce del giorno, a causa dell’atrio in ombra e dell’architrave, risulta tuttavia molto più pesante, massiccia e imponente che non nella visione notturna. Grazie alla contrapposizione di visione notturna e diurna, si riuscivano così a rappresentare i diversi stati dell’edificio e la versatilità della sua espressione architettonica. Indicativamente Mazzoni fece costruire anche un gigantesco modello del suo progetto dotato, all’interno, di piccole lampade così che anche nella scala ridotta del plastico si potesse avere un’impressione chiara di quella che sarebbe stata la visione notturna. Il modello fu presentato al grande pubblico nel 1939 in occasione dell’Esposizione universale di New York.10 Nel viavai notturno dell’atrio rappresentato nel disegno emerge in primo luogo l’aspetto funzionale dell’illuminazione artificiale destinata poi all’intera stazione ferroviaria per sostenere il traffico 24 ore su 24. Ma sebbene l’illuminazione avesse in primo luogo uno scopo funzionale, con la rappresentazione notturna della stazione, veniva consapevolmente messo in scena anche il progresso tecnico-industriale che la costruzione simboleggiava. Al contrario l’illuminazione di uffici pubblici e grandi magazzini in cui di notte non c’era mai nessuno, aveva uno scopo quasi esclusivamente pubblicitario, decorativo o propagandistico. Ad esempio la posta di Napoli, dove Giuseppe 39 LA LUCE ARTIFICIALE 3. La torre luminosa alla stazione di Siena di Angiolo Mazzoni, pubblicata in «Rassegna di architettura», n. 3, 1937, p. 108. 4. Il deposito bagagli nell’atrio principale della stazione di Reg gio Emilia di Angiolo Mazzoni, pubblicata in «Architet tura», n. 3, 1937, p. 140. 3. Vaccaro e Gino Franzi svilupparono sia all’interno che all’esterno una sottile armonia di luci che si può constatare sia nei disegni preparatori che nelle fotografie del modello che in quelle dell’edificio finito. Paradigmatico è anche l’edificio temporaneo che Roberto Narducci dovette erigere in fretta e furia nel maggio del 1938, in occasione della visita di Adolf Hitler a Roma e appena prima della realizzazione della stazione Ostiense: Narducci attrezzò l’edificio sostitutivo simile a una quinta teatrale con un sistema di tubi al neon per segnare in modo sorprendente e coreografico il percorso dell’ospite che doveva arrivare a Roma in treno dopo il sopraggiungere del buio.11 4. Architetture come corpi luminosi: due stazioni ferroviarie Il nuovo modo di mettere in scena gli edifici pubblici nello spazio urbano non affiora soltanto nei disegni e nei modelli di Mazzoni, ma anche nelle sue opere costruite. Esemplare da questo punto di vista è la stazione di Siena, dove l’architetto colloca nell’angolo dell’edificio a più piani, che contiene uffici e abitazioni, una torre cilindrica. Essa contrassegnava uno dei terminali dell’impianto a U rivolto verso la piazza della stazione ed era costituita da lesene in vetro giustapposte. Di notte la «torre luminosa», come viene anche chiamata, si stagliava emblematica nel buio perché essendo illuminata all’interno, rischiarava lo spazio circostante come fosse una gigantesca lanterna. Non aveva né una scala all’interno né sorreggeva un orologio: il suo unico scopo era quello di far spazio alla luce. Il gigantesco corpo luminoso «normalmente poco illuminato e molto luminoso invece nelle solennità»,12 non era soltanto fonte di luminosità e visibi- lità nella notte, la sua forma era bensì quella di un fascio littorio, dunque si presentava come un incontrovertibile simbolo del fascismo a scopo propagandistico. L’illuminazione notturna aumentava l’effetto in lontananza e l’emblematicità della torre e – in un’epoca in cui le lampadine nelle stazioni si contavano ancora, per così dire, sulle dita di una mano – probabilmente sulle persone deve aver fatto l’effetto di un fanale della modernità. Nella stazione di Reggio Emilia, Mazzoni mise una torre luminosa molto simile – una costruzione libera, alta, a tre lati con i vertici arrotondati sul lato più corto e con sottili lesene in pietra o vetro. La struttura però questa volta non si trova all’aperto bensì al centro dell’atrio della stazione che è alto e quasi completamente rivestito in marmo bianco. Serviva da deposito bagagli e separava simmetricamente l’edificio principale rettangolare in un lato partenze e un lato arrivi in ognuna delle quali si poteva 40 LA LUCE ARTIFICIALE entrare o uscire tramite tre porte vetrate. Di giorno l’atrio era illuminato dalla luce naturale che entrava dalle finestre alte e dalle porte, di notte invece la luce artificiale, proveniente da lampade sferiche che pendevano dal soffitto all’interno del corpo trasparente, si comportava come il filo di una gigantesca lampadina. Illuminava tutto lo spazio circostante poiché veniva diffusa dal vetro spesso della struttura e riflessa dalle pareti in marmo bianco. Solo nella prosecuzione del deposito bagagli sporgente, Mazzoni fece inserire una larga fascia in marmo grigio di Bardiglio che sembra contrapporsi come se accogliesse un’ombra, tra le porte d’ingresso e di uscita, al chiarore della gigantesca lampada, oscurando il collegamento aperto tra i due lati dell’atrio. A differenza della torre della stazione di Siena, nel dar forma a quella di Reggio Emilia, Mazzoni non sembra tanto attento alla necessità di comunicare un messaggio politico, quanto alla configurazione dello spazio e alla qualità tecnica della luce.13 Questi esempi ci mostrano come in Italia la luce elettrica in architettura e negli spazi esterni diventò via via un fattore determinante. Dava agli edifici e allo spazio urbano anche al buio una fisionomia ben visibile e portò a un cambiamento radicale nella percezione dello spazio cittadino e quindi anche del modo in cui venivano vissute le strade, le piazze, i giardini e i parchi. I disegni, i modelli e le fotografie pubblicate mostrano inoltre che gli architetti trovarono nella fisionomia notturna delle loro costruzioni un mezzo espressivo esplicito per accrescere l’incisività artistica delle loro opere. * architetto, ricercatrice all’Istituto di Storia e Teoria dell’architettura gta, ethz Note 1. Cfr. G. Canesi, A. Cassi Ramelli, Architetture luminose e apparecchi per illuminazione, U. Hoepli, Milano 1934, pp. 5-6. 2. Cfr. J. Teichmüller, Lichtarchitektur, «Licht und Lampe», n. 13-14, ed. speciale, 1927. 3. Cfr. I manifesti del futurismo lanciati da Marinetti - Boccioni - Carrà - Russolo - Balla - Severini - Pratella M.me De Saint-Point - Apollinaire - Palazzeschi, Edizioni di Lacerba, Firenze 1914, p. 6; J. Teichmüller, Lichtarchitektur cit., p. 5. 4. Nel 1924, delle 2536 stazioni che si contavano in Italia, 1288 erano provviste di luce elettrica (130’000 lampadine), 4 di lampioni a gas, 28 ad acetilene e 1216 a petrolio; nel 1937 le stazioni erano 2838 di cui 2282 con la luce elettrica (256’516 lampadine), 3 con lampioni ad acetilene e 533 a petrolio. 5. G. Jellinek, Luce e architettura, «Architettura e Arti Decorative», IX, n. 2-3, 1929, p. 65. 6. L. Schreiber, Pubblicità luminosa, «Casabella», VII, n. 74, 1934, p. 12. 7. Cfr. Il padiglione d’ingresso della VI Triennale di Giuseppe Pagano, i contributi per la Mostra della Rivoluzione Fascista di Adalberto Libera e Mario De Renzi, il progetto della posta di Napoli di Giuseppe Vaccaro e Gino Franzi, la fontana in piazza Tacito a Terni di Mario Ridolfi e Mario Fagiolo, il negozio Vitrum a Como di Giuseppe Terragni, la Casa delle Armi nel Foro Mussolini a Roma di Luigi Moretti o l’ufficio postale di Ostia Lido di Angiolo Mazzoni. 8. Cfr. N.d.R., Il Concorso per il nuovo ponte dell’Accademia a Venezia, «Architettura», XII, n. 5, 1933, pp. 307-310. 9. Cfr. M. Piacentini, La nuova stazione di Roma imperiale, «Architettura», XVIII, n. speciale, 1939, p. 82. 10. Cfr. maz s/21, Fondo Angiolo Mazzoni, Archivio del ’900, mart. 11. Cfr. G. Vaccaro, Edificio per le poste e telegrafi di Napoli. Architetti Giuseppe Vaccaro e Gino Franzi, «Architettura», XV, n. 8, 1936, pp. 353-394; P. Carb, Padiglione provvisorio della stazione di Roma Ostiense, «Architettura», XVII, n. 7, 1938, pp. 489-494. 12. Cit. da M. Giacomelli, E. Godoli, A. Pelosi (a cura di), Angiolo Mazzoni in Toscana, Edifir, Firenze 2013, p. 193. Oggi tra le lesene sono stati messi dei fari, che illuminano la torre dal basso, così che la «torre luminosa» di un tempo, così suggestiva, è diventata una semplice «torre illuminata». 13. La struttura originaria della stazione di Reggio Emilia fu quasi completamente distrutta nel corso della seconda guerra mondiale. Nächtliche Beleuchtung als Instrument zur Neugestaltung der Architektur Die zunehmende Verfügbarkeit elektrischen Lichts gab Architekten und Stadtplanern zu Beginn des 20. Jahrhunderts ein neues Gestaltungsmittel an die Hand, das seine Wirkung besonders nachts im Aussenraum hervorragend entfalten konnte. Doch das Interesse an der nächtlichen Beleuchtung von Strassenzügen und Bauwerken hatte nicht nur mit den praktischen Vorzügen zu tun – der Möglichkeit, Räume nachts zu erhellen und Bauten wie bei Tag erscheinen zu lassen. Gleichzeitig entstand die Intention, durch die gezielte Inszenierung von Bauwerken und Stadträumen und die präzise Setzung von Lichtpunkten neuartige architektonische Qualitäten zu gewinnen und Raumeindrücke, Ansichten und sinnliche Sensationen zu evozieren, die tagsüber nicht erfahrbar waren. Indem man Theater, Warenhäuser und öffentliche Gebäude mit einer suggestiven Lichtregie wirkungsvoll präsentierte, wurden die Elektrizität als grossartige technische Errungenschaft des industriellen Zeitalters zelebriert und ihr propagandistisches Potenzial für kommerzielle und politische Zwecke ausgeschöpft. Die Bedeutung der Nachtwirkung von Bauten und Stadträumen in den frühen 1930er-Jahren wird am Beispiel der italienischen Architektur und des in Fachzeitschriften publizierten Bildmaterials anschaulich. Bemerkenswert sind sowohl Perspektivzeichnungen und Modelle, die bereits im Entwurfsprozess einen Eindruck der nächtlichen Erscheinungsformen vermitteln sollten, als auch die zahlreichen bei Tag und bei Nacht aufgenommenen Fotografien realisierter Bauten, die das Kunstlicht als architektonisches und städtebauliches Gestaltungsmittel explizit thematisierten. Zusammenfassung des Autors 41 LA LUCE ARTIFICIALE L’illuminazione delle città Giuseppina Togni* 1. Illuminazione stradale Nel 2005 la Confederazione ha incaricato la nostra agenzia safe di analizzare l’illuminazione pubblica sul territorio svizzero. safe si occupa di risparmi energetici, soprattutto nel campo dell’elettricità. Il mandato aveva come obiettivo di mettere in evidenza quanta energia consuma l’illuminazione pubblica e che possibilità ci sono di ridurne l’impatto ambientale. Il calcolo del consumo di energia è abbastanza semplice, in quanto quasi tutte le aziende elettriche e le grandi città hanno delle statistiche accurate. Il consumo di elettricità è meno alto di ciò che ci si aspetterebbe e ammonta all’1.5% del consumo totale di elettricità in Svizzera. Ciò corrisponde a una spesa annua di circa 150 milioni di franchi. Durante l’analisi, una delle prime domande che ci siamo posti era perché alcuni Comuni dopo mezzanotte spengono l’illuminazione delle strade, altri la riducono solamente e altri ancora non fanno proprio niente. La differenza di consumo di elettricità tra questi comuni, a seconda del regime scelto, è ovviamente enorme. Il tipo regime è dettato più dalla geografia che dalla logica: in Ticino e nella Svizzera francese la luce delle strade rimane accesa in quasi tutti i Comuni. Nella Svizzera tedesca, invece, tendenzialmente la si spegne o perlomeno se ne riduce l’intensità dopo mezzanotte. Ci sono numerose strade nelle quali circolano solo pochi veicoli e pedoni, eppure spesso la notte la luce rimane accesa ininterrottamente. Ci siamo anche chiesti che possibilità ci sono di regolare l’intensità luminosa in dipendenza del traffico. Questo tipo di gestione lo si riscontra spesso negli uffici, nelle scale delle palazzine e nei bagni pubblici: la luce si accende automaticamente se qualcuno entra e si spegne poi da sola se non vengono più registrati movimenti dal rivelatore di presenza. Lo stesso sistema lo si usa anche come antifurto: dei sensori invisibili 2. 50% Il radar riconosce il veicolo 100% 100% 100% In base alla velocità del veicolo, le seguenti lampade passano dalla modalità di risparmio al pieno rendimento 1. Atmosfera not turna a Oberfeld: l’illuminazione aumenta al passaggio dei pedoni. Foto BKW, per gentile concessione di «Fak tor», n. 41, p. 7 2. Schema del concet to di illuminazione stradale intelligente 50% Lampade in modalità di risparmio 42 LA LUCE ARTIFICIALE sui muri esterni, abbinati a riflettori, si accendono all’improvviso se qualcuno si avvicina alla casa. Purtroppo questa tecnica non era possibile per l’illuminazione pubblica: le lampadine utilizzate, prevalentemente al sodio ad alta pressione (quelle con la luce arancione) e ai vapori di mercurio (luce bianca verdognola) si accendono solo molto lentamente. Dal momento della loro accensione serve quasi una decina di minuti affinché diano la loro piena intensità luminosa. Quindi non sono adatte a una combinazione con i rilevatori di movimento. Un ultimo punto che avevamo preso in considerazione erano gli alimentatori (o ballast) delle lampadine. Per ogni punto luce serve un alimentatore per l’accensione e in seguito per limitare il flusso di elettricità. Questi apparecchi indispensabili hanno una potenza elettrica propria non trascurabile che fa lievitare i consumi. Gli alimentatori elettronici che avevamo proposto consumano molto meno, alle aziende elettriche non andavano però troppo a genio, in quanto la loro durata di vita è minore rispetto agli alimentatori tradizionali. LED Negli ultimi anni si è imposta una nuova tecnologia che ha rivoluzionato l’illuminazione stradale e mescolato le carte in tavola. Si deve dapprima dire che il mercato dell’illuminazione pubblica in Svizzera è molto piccolo e i rappresentanti delle varie ditte fornitrici si conoscono tutti tra di loro. C’è stato quindi un certo scompiglio quando sul mercato è apparsa una ditta italiana, che decantava le qualità delle armature a led. Questo in un periodo in cui ancora quasi nessuno parlava dei led. Chiaramente non è stata presa sul serio e gli esperti affermavano che quelle lucine puntiformi e abbaglianti, senza ottica e senza riflettori, non avrebbero mai illuminato il campo stradale in maniera uniforme, rispettando le norme in vigore. Eppure la ditta è riuscita a convincere alcune aziende elettriche a realizzare dei progetti pilota con i propri prodotti. I risultati sono stati subito molto positivi e hanno messo a tacere gli scettici: la qualità della luce è fenomenale, il consumo di energia minore e inoltre la luce direzionata dei led permette di rischiarare solo la superficie stradale necessaria, senza illuminare i giardini adiacenti e le facciate delle case. Uno svantaggio però c’era: erano molto costosi. Poi in seguito, anche grazie alla concorrenza delle ditte locali, che hanno riconosciuto il trend e recuperato il terreno perso, i prezzi sono calati. Ora si aggirano attorno a quelli delle armature convenzionali con lampadine al sodio ad alta pressione. Oggigiorno il 90% delle illuminazioni pubbliche nuove viene realizzato con i led. Anche gran parte dei risanamenti avviene con questa tecnologia, le eccezioni si trovano dove si deve rimpiazzare solo una qualche lampadina. Non solo la qualità della luce, la precisione dell’il- Spazio notturno visibile* di Jutta Glanzmann Dall’autunno dello scorso anno il Plan lumière avvolge il Fraumünster e altri edifici importanti con una nuova luce. Con la fine dei lavori di manutenzione stradale nella zona del Fraumünster è terminato l’ultimo progetto che utilizza parte del credito quadro del Plan lumière, entrato in funzione a Zurigo dal 2004. «Il che non significa che in futuro non possano nascere a Zurigo altri progetti simili», spiega Sophia Berdelis, architetto e responsabile per il Plan lumière presso l’Ufficio tecnico della Città di Zurigo. Il credito quadro di 8 milioni di franchi concesso per questo progetto si è esaurito. Il finanziamento delle spese per la conversione del Plan lumière non avviene perciò più tramite un credito quadro ma come parte di un progetto autonomo. Questo è avvenuto ad esempio nel caso della ristrutturazione della Münsterhof. Si è parlato per la prima volta dell’illuminazione del quai nel 2010: «Nel quadro della ristrutturazione dello Stadthausquai, della Fraumünsterstrasse e della Börsenstrasse, si è discusso anche dell’illuminazione delle rispettive facciate», ricorda René Kammermann, responsabile per la progettazione dell’illuminazione in città presso la rete di distribuzione EWZ. Fu fatta una verifica nel corso della quale emersero anche diverse voci critiche. Ci si chiedeva ad esempio se fosse proprio necessario ripensare l’illuminazione dell’intera città. Nonostante ciò si decise di realizzare il progetto dello Stadthausquai come parte integrante della ristrutturazione della zona del Fraumünster, in collaborazione con le proprietà fondiarie private. Queste ultime normalmente partecipano ai costi dei proiettori con una somma forfettaria stabilita per contratto che corrisponde a circa il 50% dei costi complessivi. «I costi di allacciamento e un eventuale risanamento non ricadranno sugli interessati», dice René Kammermann. Anche il mantenimento dell’impianto è garantito da EWZ. «Un primo progetto in collaborazione con dei privati è stato quello dell’illuminazione dell’hotel Schweizerhof», ricorda ancora Kammermann, «in quel caso furono installati 10 proiettori da 250 Watt». Due progetti attuali, ai quali partecipano sempre dei proprietari privati, sono la nuova illuminazione del Museo nazionale, che finora era stato illuminato in modo convenzionale, nonché quello della stazione di Zurigo Centrale. «Mentre l’illuminazione del Museo nazionale dovrebbe essere ultimata nel 2016, per quanto riguarda la stazione sono in atto le discussioni preliminari con le FFS», dice Kammermann. Se un tempo si cercava di illuminare al meglio la notte in città, oggi la luce viene ridotta, ben dosata e installata in punti precisi. Il Plan lumière mostra così il volto notturno della città di Zurigo: «Con la luce installata in modo mirato, lo spazio notturno diventa quasi visibile» dice Sophia Berdelis. Il progetto governa in tutta la città il rapporto consapevole con la luce e descrive, all’interno di un progetto complessivo con singole unità e diversi scenari con le loro specifiche illuminazioni, nove zone e temi. Tuttavia, determinante per l’illuminazione, non è solo la funzionalità («illuminazione di sicurezza»): anche i fattori economici ed ecologici sono in primo piano. «Anche a Zurigo la notte non deve diventare giorno» dice Sophia Berdelis. Non «più luce» ma «altra luce», dev’essere lo slogan. Oltre alle zone in cui bisogna intervenire vi sono anche le zone tenute volutamente al buio, che vanno protette. Nell’illuminazione mirata ci si preoccupa che solo l’oggetto voluto sia illuminato e che la luce non venga diffusa nel cielo notturno. Così diminuisce l’inquinamento luminoso e, al tempo stesso, grazie all’impiego di lampade energeticamente efficienti, si riduce il consumo di energia. * estratto da: J. Glanzmann, Sichtbarer Nachtraum, in «Faktor», n. 41, pp. 26-28. Testo integrale disponibile in . 43 LA LUCE ARTIFICIALE 3. 3. Vista not turna delle strisce luminose LED collocate al di sot to del Hardbrücke di Zurigo. Foto Juliet Haller, Amt für Städtebau, per gentile concessione di «Fak tor», n. 41, p.17 luminamento, la lunga durata di vita e il basso consumo di energia parlano a favore dei led. C’è infatti un ulteriore vantaggio importante: i led si accendono immediatamente e ciò li rende adatti alla combinazione con i sensori di movimento. Questo tipo di gestione si sta lentamente affermando in Svizzera. L’anno scorso sono stati realizzati diversi progetti pilota con lampioni muniti di rilevatori di presenza: se la strada è deserta, la luce rimane spenta o ridotta a un minimo (per esempio al 10%), se invece si avvicinano un’auto, un ciclista o un pedone l’armatura aumenta automaticamente la propria intensità, fino ad arrivare al 100%. Questo permette di risparmiare importanti costi energetici, ma anche di evitare inutili sprechi e mantenere l’ambiente notturno oscuro. I primissimi progetti pilota hanno suscitato delle reazioni piuttosto negative da parte degli abitanti in prossimità delle strade: la luce esterna che si accendeva e spegneva all’improvviso dava molto fastidio, un po’ come la luce antifurto che non fa spaventare solo i ladri ma anche i proprietari. Per risolvere questo inconveniente si è passati ad accensione e spegnimento graduali, nell’arco di diversi secondi, che sono meno percepibili. L’esempio di Lumino Il primo comune in Ticino ad avere un’illuminazione pubblica completamente a led è stato Lumino, un paese di 1400 abitanti non lontano da Bellinzona che la luce la porta anche nel nome. Lumino è tra l’altro l’unica Città dell’energia d’oro della Svizzera italiana e ciò sottolinea l’impegno e l’interesse da parte di questo piccolo comune per i temi ambientali. Nel 2010, sono stati sostituiti i primi 10 punti luce a led. Viste le esperienze positive, in seguito sono state eliminate tutte le lampadine ai vapori di mercurio, che tra l’altro sono proibite in Europa e quindi anche in Svizzera dal 13 aprile 2015, con armature a led. I lampioni sono programmati in maniera tale che la potenza di 36 Watt assorbita dopo mezzanotte scende a 25 Watt. L’investimento pari a circa 100’000 franchi è ammortizzabile nell’arco di 8 anni e il risparmio energetico ammonta a 47’000 kWh all’anno. Lumino ha potuto approfittare anche di una garanzia prolungata di ben 10 anni da parte del fornitore di armature. L’esempio di Zurigo Le strade con la luce regolata dai rivelatori di movimento portano a importanti risparmi soprattutto su strade con bassa circolazione. Grazie al sensore, l’illuminazione rimane spenta o ridotta più a lungo. Malgrado ciò, questo sistema può essere interessante anche per le città. Lo ha dimostrato Zurigo con un progetto pilota sulla via Furttal, lunga quasi un chilometro. Le vecchie armature ai vapori di sodio ad alta pressione sono state sostituite con delle armature a led ognuna munita di un piccolo radar, in totale 33 apparecchi. Questi lampioni moderni hanno la pro- 44 LA LUCE ARTIFICIALE prietà di accendersi immediatamente, quando ricevono un segnale di presenza. Appena una macchina si avvicina e il radar sul lampione la «vede», la regolazione fa accendere la luce sia del lampione che ha avvistato l’automobile sia quella dei 5 lampioni più vicini. Spostandosi verso il lampione successivo, anch’esso invia il segnale di accensione ai cinque che seguono. In questa maniera l’automobilista nemmeno si accorge che la strada, prima del suo passaggio, era illuminata solo al 40%. Passata la macchina, la riduzione luminosa avviene in maniera graduale per non disturbare gli abitanti in prossimità della strada. L’azienda elettrica della città di Zurigo ewz ha girato un bel video dall’alto con l’ausilio di un drone. Si vede molto bene il funzionamento del tratto di strada.1 Programma di promozione Per motivare i Comuni a utilizzare questo sistema di regolazione, dal 2015 è attivo su tutto il territorio svizzero il programma nazionale effestrada. Per avere diritto al sussidio di Fr. 100.– per punto luce devono venir soddisfatte tre condizioni: la sostituzione delle vecchie lampadine deve avvenire con i led, i risparmi annui devono superare i 200 kWh per punto luce e per finire la luce deve venir gestita in maniera intelligente. La gestione intelligente può essere interpreta- ta in due maniere diverse: i lampioni vengono muniti di radar o di altri rilevatori di movimento che permettono di illuminare la strada a pieno regime unicamente se vengono registrati degli utenti. Questo sistema conviene soprattutto su strade con circolazione ridotta, dove i risparmi grazie al sensore di movimento raggiungono il 65%. Con l’ausilio dei led, le economie di energia del sistema arrivano addirittura all’85%. L’importo del sussidio di Fr. 100.– corrisponde circa all’investimento necessario per il radar o il rivelatore. La seconda possibilità è l’utilizzazione degli alimentatori intelligenti, programmati in maniera tale che l’intensità luminosa dopo mezzanotte si riduce automaticamente di almeno il 50%. Il programma effestrada, sostenuto da prokilowatt e gestito dall’associazione delle industrie d’illuminazione (fvb), mette a disposizione un milione di franchi è sarà attivo fino all’esaurimento dei fondi.2 * presidente safe, Agenzia svizzera dell’efficienza energetica Note 1. Lo si trova su youtube.com cercando il titolo LED für die Strassenbeleuchtung – wenig Energie, volle Wirkung. 2. Ulteriori informazioni su effestrada sono reperibili all’indirizzo www.effestrada.ch; sull’illuminazione pubblica efficiente si veda inoltre www.topstreetlight.ch. Stadtbeleuchtung Die Autorin ist Vorsitzende der Schweizerischen Agentur für Energieeffizienz. Sie setzt sich mit diesem Thema auseinander und erinnert daran, dass die Eidgenossenschaft die Agentur im Jahr 2005 damit beauftragt hat, die öffentliche Beleuchtung der Schweiz zu analysieren. Es sollte festgestellt werden, wie viel Energie durch die öffentliche Beleuchtung verbraucht wird und welche Möglichkeiten bestehen, die Auswirkungen auf die Umwelt zu reduzieren. 1,5 % des gesamten schweizerischen Stromverbrauchs entfallen auf den Bereich der öffentlichen Beleuchtung. Das entspricht jährlichen Ausgaben in Höhe von 150 Millionen Franken. Die Analyse ergab, dass der unterschiedliche Stromverbrauch der Gemeinden eher auf die Geografie als auf die Logik zurückgeht. Daher werden die einzelnen im Hinblick auf die Optimierung durchgeführten Bewertungen dargestellt. Bei der Erläuterung der in Lumino und Zürich erarbeiteten Pilotprojekte für öffentliche Beleuchtung werden die positiven Ergebnisse der neuen LED-Technologie hervorgehoben, die die Strassenbeleuchtung revolutioniert haben. Trotz der anfänglich höheren Kosten sind die Lichtqualität hervorragend, der Energieverbrauch geringer, die Beleuchtungsgenauigkeit höher und die Lebensdauer länger. Derzeit kommt bei 90 % der neuen öffentlichen Beleuchtungen sowie beim Grossteil der Sanierungen LED-Technologie zum Einsatz. Ein weiterer grosser Vorteil von LED ist die Tatsache, dass LED -Leuchten sich sofort einschalten; so können sie auch mit Bewegungssensoren kombiniert werden. Diese Form der Beleuchtung setzt sich nach und nach in der ganzen Schweiz durch. 45 LA LUCE ARTIFICIALE Isabella Sassi Farias* La fotografia e la luce artificiale La luce è l’essenza stessa della fotografia, come conferma l’etimologia greca del nome foto (luce) - grafia (scrittura, disegno). Oltre che con la luce naturale proveniente dal sole, si possono realizzare fotografie con luce mista (naturale e artificiale) oppure, come quando si lavora in studio, solo con luce artificiale. Se la luce diurna varia continuamente di intensità e di colore, il vantaggio nell’uso dell’illuminazione artificiale è la sua stabilità e riproducibilità, che può permetterci di ricreare le stesse condizioni di luce in ogni momento, senza dover dipendere dal tempo atmosferico, dalle stagioni e dagli agenti esterni. Nonostante il fascino che da sempre esercita la luce solare (e di conseguenza l’ombra) sul fotografo, ci sono professionisti che non sopportano l’idea di dover aspettare che il sole si sposti, ma preferiscono avere sotto controllo nei minimi dettagli l’illuminazione di una scena e pertanto propendono per fotografare in studio con luce artificiale. Ovviamente, sono anche altri fattori, occasioni lavorative e scelte, che portano il fotografo a prediligere il lavoro in esterni, in interni o in studio, ma di certo le preferenze in tema di illuminazione sono fondamentali. La fotografia con luce artificiale e in particolare la fotografia a colori deve prendere in considerazione il colore della luce, la sua temperatura colore. Ogni fonte di luce (incandescente, fluorescente, led ecc.) possiede una sua temperatura colore che viene misurata in gradi Kelvin e varia da un colore tendente al rosso (temperatura colore bassa) a uno tendente al blu (temperatura colore alta). Se gli occhi e il cervello sono in grado di filtrare la temperatura colore, normalizzandola, lo stesso non succede alla macchina fotografica, che registra implacabilmente tutte le diverse fonti di luce con rese cromatiche differenti. Fotografia d’architettura in interni e luce artificiale Quando si realizzano fotografie d’architettura in interni, spesso bisogna confrontarsi con l’illuminazione artificiale. A volte è l’architettura stessa che lo richiede o il progettista per valorizzare il proprio lavoro, altre volte è il fotografo, che può decidere di utilizzare le luci esistenti inserite nel progetto o di affiancare ad esse altre fonti luminose. Gran conoscitore della luce artificiale per la fotografia di architettura e d’interni è sicuramente Julius Shulman, che opera negli Stati Uniti a partire dal 1936 fotografando i progetti di molti architetti, tra cui Richard Neutra. Shulman nei suoi scatti, a volte su suggerimento e richiesta dell’architetto stesso,1 esegue un controllo attento della luce artificiale. Egli ci illustra ampia- 1. mente le tecniche di illuminazione che usa nella fotografia di architettura, mettendo in rilievo i casi più problematici: «quelli in cui nell’inquadratura c’è una finestra sufficientemente ampia da lasciare entrare luce esterna, tale da richiedere un bilanciamento luminoso con l’interno».2 Ciò si verifica perché, se noi esponiamo facendo una valutazione sull’interno, la parte finestrata risulterà sovraesposta e, di conseguenza, non leggibile. Se, al contrario, ci basiamo su ciò che è visibile dalla finestra per decidere i tempi di apertura dell’otturatore, perderemo informazioni sull’interno, che risulterà troppo buio. Secondo Shulman a ciò si può ovviare utilizzando delle luci interne supplementari (flash) che vanno a compensare le differenze esistenti tra i due ambienti (interno ed esterno).3 Per risolvere questo tipo di problemi con la fotografia digitale si può anche procedere realizzando più scatti con diverse esposizioni, che poi verranno adeguatamente scelti e sovrapposti in post produzione. In alter- 46 LA LUCE ARTIFICIALE 1. Sandra Giraudi, Thomas Radczuweit, restauro dell’ex convento di Santa Maria degli Angeli a Lugano, 2014. Veduta del por tico 2. Graf ton Architects, Nuova Sede Bocconi, 2015. Luce mista al tramonto 3. Julius Shulman, Photographing Architecture and Interiors, Balcony Press, Los Angeles 2000 4. Her vé Chandès, William Eggleston, Thames & Hudson, Fondation Car tier pour l’ar t contemporain, London 2002 nativa, la fase di ripresa può essere eseguita durante il crepuscolo, un momento breve in cui la luce proveniente dall’esterno è meno intensa e si può facilmente compensare con l’illuminazione interna. L’orario del tramonto, se si fotografa a colori, può rendere la fotografia molto evocativa e accattivante, ma bisogna valutare sempre se l’aspetto glamour e pubblicitario che l’illuminazione artificiale può dare all’immagine è coerente con l’architettura fotografata. In interni, l’intervento con luci artificiali supplementari si giustifica ancora meglio quando l’illuminazione aggiunta va a evidenziare le caratteristiche dello spazio. In alcuni dei molti esempi che propone Shulman, questo valore aggiunto è evidente e ci permette di leggere i diversi piani esistenti, di dare spessore all’arredamento e ai materiali o di rendere più o meno drammatica un’inquadratura.4 Shulman porta sovente dei casi concreti e degli esempi di riferimento in cui spiega il proprio lavoro e le scelte che, di volta in volta, compie. In questo modo egli stesso ci rivela che l’esperienza conta molto più di qualsiasi consiglio.5 Effettivamente, a meno di ricorrere a dei manuali tecnici, che però hanno dei limiti evidenti dettati dal tempo in cui sono stati realizzati e dal fatto che ogni caso studio è irripetibile, spesso è conveniente far esperienza sul campo o affiancando fotografi più esperti. Con l’avvento del digitale, il modo di utilizzare la luce artificiale si è modificato. Se una volta il fotografo d’architettura doveva, in fase di ripresa, esporre correttamente la diapositiva o il negativo utilizzando i filtri atti a correggere le dominanti di colore che derivano dalle diverse fonti luminose, oggi il problema viene spesso trattato successivamente, a computer, con i programmi appositi. Attraverso delle accurate elaborazioni digitali, è inoltre possibile creare effetti luminosi estremamente realistici da inserire su fotografie già realizzate. 2. Fotografi e luce artificiale Nella speranza che possa essere fonte d’ispirazione per il fotografo di architettura e, forse, per l’architetto, è interessante fare qui riferimento alle fotografie con luce artificiale di alcuni autori. Il punto di partenza dei lavori presentati, che in parte ha contribuito a far entrare a pieno titolo la fotografia nel mondo dell’arte, non è quello di descrivere il soggetto in modo spettacolare, come spesso capita nelle immagini di architettura illuminate artificialmente. La peculiarità di questi autori è basata proprio su un uso non convenzionale del mezzo e della luce: la macchina fotografica diviene uno strumento analitico attraverso cui porsi di fronte al mondo, mettere in discussione ciò che vediamo e la nozione stessa di realtà.6 Untitled (Greenwood, Mississippi) è una delle immagini più famose di William Eggleston. La fotografia, il cui colore predominante è il rosso vivo, ritrae una lampadina attaccata al soffitto tramite un supporto dorato, posizionata leggermente a sinistra rispetto al centro dell’immagine, dalla quale partono tre fili bianchi che vanno in direzioni diverse del soffitto e una corta catenella per l’accensione. La lampadina sembra essere oscurata o bruciata, ma poco più in alto si legge un riflesso sulla vernice rossa, probabilmente dovuto al flash utilizzato nello scatto. Eggleston inquadra un angolo della stanza da una posizione semi sdraiata, dove le pareti incontrano il soffitto 3. 4. 47 LA LUCE ARTIFICIALE e riesce, senza descriverlo nella sua interezza, a farci intuire lo spazio interno in cui si trova e la sua atmosfera. Il colore predominante è un rosso saturo, intenso, di pareti e soffitto. Nonostante Eggleston sia conosciuto per le sue fotografie a luce naturale, in questo caso, la lampadina e quindi la luce artificiale nella sua espressione più immediata, è il punto centrale della fotografia. Altri fotografi europei e nordamericani hanno usato la macchina fotografica per documentare il paesaggio e la città, realizzando visioni notturne e serali senza preoccuparsi di controllare il colore che assumeva la luce in fotografia, ma sfruttando le potenzialità e l’effetto che le diverse fonti di luce danno alla scena. Joel Meyerowitz ha realizzato delle vedute notturne in esterni del paesaggio urbano, mescolando più sorgenti luminose (con diverse temperature colore), che creano delle interessanti combinazioni cromatiche sulla pellicola. «L’architettura per me è diventata parte integrante del mio fotografare nelle strade. In bianco e nero era meno interessante, ma appena sono passato al colore ho iniziato a rapportarmi all’architettura come a un elemento collegato alle altre parti dell’inquadratura. La fotografia a colori fa capire che gli edifici sono molto più vivi».7 Stephen Shore all’inizio degli anni Settanta ha utilizzato la luce artificiale del flash di una macchina Rollei 35mm per documentare un viaggio attraverso gli Stati Uniti. Nel progetto, intitolato American Surfaces, le fotografie riprendevano, come in un diario, dei dettagli apparentemente insignificanti di stanze di motel, pompe di benzina, pranzi non certo indimenticabili e persone incontrate, con un’estetica ordinaria. «Ogni sua serie è guidata da una struttura di base, che non cede mai lo spazio al virtuosismo fotografico».8 Martin Parr utilizza la luce artificiale di un flash circolare posizionato sulla macchina da presa per illuminare i soggetti fotografati, esaltandone i colori e i riflessi ed eliminando le ombre, riducendone il contrasto. Parr ci pone davanti a dei dettagli della società del consumo e, tramite dei colori forzatamente artificiali e con delle riprese ravvicinate di oggetti, corpi e cibi rappresenta l’alienazione nella quale viviamo. Tra i fotografi appartenenti alla scuola di Düsseldorf,9 Axel Hütte ha lavorato a una serie di fotografie 5. 5. Angelo Monti. Interno a Cernobbio, 2012. Luce mista (la luce ar tificiale esistente met te in risalto par te del corpo scala) 6. Colin Westerbeck , Joel Meyerowitz, Phaidon, London 2013 7. Mar tin Parr, No worries, T & G Publishing, Sydney 2012 8. Constance Glenn, Virginia Hecker t, Mar y-Kay Lombino, Candida Höfer. Architecture of absence, Aper ture Foundation, Paris 2004 9. Darcey Steinke, Gregor y Crewdson. Dream of life, Ediciones Universidad de Salamanca, Salamanca 1999 6.-9. 48 LA LUCE ARTIFICIALE notturne di paesaggi urbani, nella quale esplorare i limiti della percezione. Nel libro As dark as light gli elementi del paesaggio notturno perdono i loro colori. Allo stesso modo, ogni riferimento di profondità, altezza, primo piano e sfondo viene assorbito dall’oscurità, nella quale terra, cielo e orizzonte si sovrappongono in un unico piano. Solo le luci artificiali ci fanno distinguere forme e colori, interni delle case e illuminazione stradale. La luce artificiale ci permette di esplorare le visioni notturne e ricercare in esse dei punti di riferimento nuovi, per poterci orientare nel buio, ai limiti del visibile. Nelle fotografie di Candida Höfer, che ha lavorato principalmente negli interni di istituzioni pubbliche in assenza di persone, la luce artificiale, quando è presente, spesso è mescolata a quella naturale, ma sempre neutra e fredda, anche in casi in cui questo ha sicuramente comportato notevoli modifiche in fase di stampa per far coincidere la propria idea luminosa dello spazio con quella effettivamente registrata dal mezzo. Anche Guido Guidi, che nella sua ricerca fotografica sulla Tomba Brion ha approfondito gli effetti della luce solare e in particolare dell’ombra sull’architettura di Carlo Scarpa,10 ha realizzato un lavoro sfruttando la luce artificiale. In Bunker, una serie di fotografie realizzate sulla linea atlantica, Guidi esegue delle viste dall’interno guardando attraverso le feritoie e le aperture. In molte di queste fotografie ha dovuto utilizzare il flash per illuminare l’interno, altrimenti completamente buio e compensare la differenza di luce con l’esterno illuminato dal sole. Jeff Wall, il cui ruolo somiglia di più a quello di un regista, costruisce dei set cinematografici di situazioni in apparenza quotidiane e realistiche, controllandone tutte le variabili e anche la componente luminosa. I suoi tableaux, in cui cita importanti opere della pittura ed esplora il rapporto tra naturale e artificiale,11 sono presentati retroilluminati, nella forma di light box. Nelle fotografie di uno dei maggiori esponenti della staged photography,12 Gregory Crewsdom, la luce artificiale ha un ruolo fondamentale nel narrare una storia, è il suo mezzo privilegiato per dare enfasi alla psicologia nascosta dietro alla superficie dell’immagine. Mistero, solitudine, paure, desideri e inquietudini emergono dai paesaggi quotidiani della provincia nordamericana, rivelandone il lato più oscuro. Egli si avvale di tecniche cinematografiche e di una vera e propria troupe composta da molte persone (scenografi, truccatori, attori ecc.) e, attraverso il controllo di numerosi fonti luminose, da quelle per gli esterni ai punti luce all’interno delle automobili o delle abitazioni, ci suggerisce una storia condensandola in un’immagine. * fotografa di architettura, architetto Note 1. Il riferimento è al confronto tra il fotografo e l’architetto R.M. Schindler riportato in Julius Shulman, L’architecture et sa photographie, Taschen, Koln 1998, pp. 45-47. 2. Julius Shulman, Photographing Architecture and Interiors, Balcony Press, Los Angeles 2000, p. 63. 3. Ibidem. 4. Ibidem, p. 69. 5. Julius Shulman, The photography of architecture and design, Whitney Library of Design, New York 1977, p. 45. 6. Ghirri parla della consapevolezza che «la luce della fotografia non è la luce della realtà» e di una «sensibilità nei confronti della luce» finalizzata al «rapporto di conoscenza con il luogo e con la sua rappresentazione», in Luigi Ghirri, Lezioni di fotografia, Quodlibet, Macerata 2010. 7. Joel Meyerowitz, in Brynn Campbell (a cura di), World Photography, Ziff-Davis Books, New York 1981. 8. Stephen Shore, Phaidon Press, London 2007. 9. Nata in Germania nel 1976 dagli insegnamenti dei coniugi Becher, famosi per le loro visioni seriali in bianco e nero dell’architettura industriale. 10. La mostra è stata esposta nel 2013 all’Accademia di architettura di Mendrisio. 11. Sul tema del rapporto tra realtà e finzione merita un cenno il lavoro di Thomas Demand, che costruisce dei modelli a grandezza naturale allo scopo di fotografarli. Il suo ruolo viene così a posizionarsi tra quello dell’architetto e quello del fotografo. 12. La fotografia allestita ha tra i suoi esponenti anche Philip Lorca di Corcia. Le sue fotografie, all’apparenza di strada e di reportage, sono costruite invece con comparse e luci. Fotografie und künstliches Licht Auf eine kurze Einführung zur künstlichen Beleuchtung in der Fotografie folgt ein Überblick über die Arbeit eines berühmten Fotografen wie Julius Shulman und ein Vergleich mit der heute verfügbaren digitalen Technologie. Der letzte Absatz befasst sich kurz mit Fotografen, die künstliches Licht in bestimmten Werken, Büchern und Projekten verwendet haben. Die zur Ausleuchtung der Fotos verwendete Methode ist bei der Arbeit dieser Künstler nicht immer offensichtlich, obwohl gerade das Licht und die dadurch erzeugte Farbe ein grundlegender Aspekt ihrer Vorgehensweise ist. Der Zweck ihres künstlerischen Schaffens, das einen Beitrag zur vollständigen Anerkennung der Fotografie als Kunst geleistet hat, ist nicht die denkwürdige Beschreibung des dargestellten Objekts. Im Gegenteil, die Besonderheit ihrer Arbeiten liegt im unkonventionellen Einsatz der Fotografie, deren Ziel weder Schönheit noch eine auffällige Inszenierung ist. Einige interessieren sich durch eine systematische Verwendung der zur Verfügung stehenden Instrumente mehr für die eingesetzte Methode, für Serienarbeiten und für das Projekt, andere bemühen sich, der Zweideutigkeit des Mediums auf den Grund zu gehen. Der Fotoapparat wird wie ein analytisches Instrument eingesetzt, mit dessen Hilfe wir uns mit der Realität auseinandersetzen und das Gesehene infrage stellen können. Illustriert wird der Text mit Innenraumfotografien, bei denen mithilfe der vorhandenen Lichtquellen jeweils die Besonderheiten des Raums, der Textur, der unterschiedlichen Ebenen und der Leuchtkörper unterstrichen werden. Das Projekt wird erzählt, ohne Farbe und Licht zu sehr in den Vordergrund zu stellen. 49 LA LUCE ARTIFICIALE Shigeru Ban Architects Jean De Gastines Ernst Basler+Partner traduzione Studio Associato Bozzola Edificio Tamedia, Zurigo Le travi luminose bassi valori di dispersione termica, in accordo con le più recenti e severe prescrizioni svizzere in materia di consumo energetico. Sul lato rivolto verso la città, l’edificio dispone anche di uno spazio «intermedio» per tutta l’altezza della facciata est che, oltre a svolgere il ruolo di «schermo termico» nell’ambito della strategia generale di consumo energetico, diventa anche un’esperienza spaziale unica con aree lounge e collegamenti verticali tra i diversi piani adibiti a uffici. Questi «loggiati» possono essere usati come aree relax e per riunioni informali, e avranno anche la particolarità di avere una facciata composta da un sistema di vetrate a scomparsa che permette di trasformare questi spazi in terrazze aperte rafforzando il forte legame tra l’interno dell’edificio e il paesaggio circostante. Il sistema strutturale in legno rappresenta in larga misura l’innovazione più significativa del progetto. Da un punto di vista tecnico e ambientale la proposta di una struttura in legno è una risposta originale e unica per questo tipo di edificio per uffici e anche il fatto che gli elementi strutturali siano interamente visibili conferisce un carattere molto particolare e un’alta qualità alla spazialità dell’ambiente di lavoro. Oltre al chiaro contributo dato alla sostenibilità dalla scelta del legno come materiale strutturale principale (solo materiale da costruzione rinnovabile e più basso produttore di CO2 nel processo costruttivo), il sistema impiantistico globale è stato progettato per soddisfare i più alti standard energetici (lo spazio intermedio, oltre a svolgere la funzione di «barriera termica» fa parte degli spazi pubblici che saranno riscaldati e raffreddati con l’aria di estrazione dalla zona uffici). Foto Didier Boy de la Tour La sede del gruppo editoriale svizzero Tamedia è situata nel cuore della città di Zurigo all’interno di un isolato urbano dove si trovano i principali edifici del gruppo. La volumetria è posizionata nella parte orientale del sito e presenta la particolarità di sviluppare, attraverso quasi cinquanta metri di facciata, un profilo lineare che si affaccia sul canale d’acqua del Sihl. L’impianto dell’intervento risponde essenzialmente all’impronta del fabbricato esistente da demolire, ma il nuovo manufatto crea una continuità con le facciate degli edifici adiacenti riuscendo a sfruttare l’altezza massima consentita per ottimizzare la superficie utile adibita a uffici in questa parte dell’isolato. L’accesso principale del palazzo si trova nell’angolo nord tra Werdstrasse e Stauffacherquai e diventerà di fatto l’ingresso principale dell’intero complesso. L’edificio si sviluppa su sette piani fuori terra e due livelli interrati per una superficie netta complessiva di 8.602 mq (a cui si aggiungono ulteriori 1.518 mq che corrispondono al progetto di ampliamento su due piani che sarà realizzato sul tetto dell’edificio adiacente al numero 8 della Stauffacherquai). Da un punto di vista architettonico, una delle caratteristiche principali del progetto è rappresentata dalla proposta di un sistema strutturale principale interamente realizzato in legno che, oltre al carattere innovativo dal punto di vista tecnico e ambientale, conferisce all’edificio un aspetto unico visto sia dagli spazi interni che dalla città che lo circonda. Al fine di rafforzare ed esprimere pienamente questo concetto, la «pelle» dell’edificio è interamente vetrata e una particolare attenzione è dedicata al raggiungimento di 50 Foto Didier Boy de la Tour LA LUCE ARTIFICIALE EDIFICIO TAMEDIA, ZURIGO Committente Tamedia AG , Zurigo | Architettura Shigeru Ban Architects Europe, Jean De Gastines; Parigi Collaboratori K. Asami, G. Perez, T. Ishikawa, M. Maruyama Local Architect It ten+Brechbuhl AG ; Zurigo | Ingegneria civile Creation Holz GmbH; Herisau | Illuminotecnica Ernst Basler+Partner, Lichtarchitektur; Zurigo | Impiantistica 3-Plan Haustechnik; Winterthur | Impresa generale Hrs Real Estate AG; Zurigo | Fotografia Didier Boy de la Tour; Parigi, R. Dürr / EBP; Zurigo | Date progetto 2008–2010, realizzazione 2011–2013 51 LA LUCE ARTIFICIALE TERRACE KITCHEN DS EV HALL DS MEETING ROOM DS OFFICE DS OFFICE DS CLOSED LOUNGE TERRACE CLOSED LOUNGE VOID VOID Pianta piano at tico DS KITCHEN EV HALL DS MEETING ROOM DS OFFICE OFFICE DS DS LANDING VOID CLOSED LOUNGE OPEN LOUNGE VOID VOID Pianta quar to piano DS KITCHEN EV HALL DS MEETING ROOM DS OFFICE DS DS CLOSED LOUNGE LANDING VOID OPEN LOUNGE VOID Pianta piano tipo TENANT SPACE DS DS KITCHEN CORNER DS DS MULTIPURPOSE SPACE OFFICE ENTRANCE LOBBY DS LOUNGE Pianta piano terra Sezione trasversale 52 Foto Didier Boy de la Tour Foto Didier Boy de la Tour LA LUCE ARTIFICIALE Sezione longitudinale Testi e disegni Shigeru Ban Architects, Jean De Gastines 53 LA LUCE ARTIFICIALE Ernst Basler+Partner testo Walter Moggio traduzione Anna Allenbach Uno scheletro illuminato Il rapporto professionale tra Shigeru Ban – architetto autore del progetto – e Basler+Partner, studio consulente per gli aspetti illuminotecnici, si è sviluppato attraverso il lavoro di un team di pianificazione costituito anche dagli architetti Itten+Brechbühl di Zurigo. Il preciso coordinamento nonché la fiducia reciproca permisero una progettazione integrale di luce naturale e luce artificiale. Avendo una certa esperienza nel progetto illuminotecnico, siamo abituati a sviluppare programmi innovativi, aggiornati e al servizio dello spazio. Controlliamo tempestivamente che le nostre proposte non si lascino abbagliare dagli effetti speciali o dalle mode che saranno velocemente superate senza reggere sul piano formale. L’integrazione discreta della luce con una variazione minima di qualità e varietà è alla base della nostra strategia luminosa per l’architettura e per l’uomo nel progetto Tamedia. L’impianto della luce artificiale è considerato un sostegno alla luce naturale ed è chiaramente subordinato alla fonte di luce naturale. Di conseguenza entrambe vengono integrate in un piano comune. La loro interazione è sostenuta da scenari di luce artificiale predefiniti. Le lampade efficienti che necessitano di una manutenzione minima allacciate al sistema di gestione dell’edificio (management della luce) con rilevatori della luce naturale, si ripercuotono in modo positivo sui costi d’esercizio e sul bilancio energetico. Delle lampade da lavoro intelligenti a stelo dosano direttamente la luce artificiale in base alla luce naturale presente nello spazio. L’accensione individuale è molto apprezzata dall’utenza. Il progetto d’illuminazione è «resistente alla tecnologia» per permettere l’inserimento di nuove tecnologie della luce. Tutte le lampade sono state montate sulla struttura per consentire una facile sostituzione delle lampade stesse o un ampliamento del sistema senza dover ribaltare l’intero progetto di base. Tenendo conto che in questo caso la luce artificiale è integrata nella struttura creando una sorta di scheletro illuminato, si è cercato di ottenere l’effetto di «smaterializzazione» della luce. La struttura in legno che definisce lo spazio, le trasparenze e gli spazi estremamente alti ci hanno posto davanti a una sfida non da poco dal punto di vista tecnico ed estetico. La valutazione minuziosa e l’impiego di moduli innovativi e affermati di lampade standard costituiscono la vasta gamma delle possibilità luminose in Tamedia. Grazie a un ventaglio di direzioni luminose, soluzioni ottiche e intensità è possibile soddisfare una moltitudine di funzioni e creare atmosfere a volontà. Il supporto in legno diventa il vero corpo illuminato. Il semplice e lineare corpo luminoso si integra completamente nella struttura primaria in legno e illumina lo spazio di una luce non abbagliante. Il gioco studiato delle luci direzionate va ad aumentare la plasticità degli oggetti e la struttura nelle zone d’accesso e d’incontro ed evoca la lumino- Foto Didier Boy de la Tour sità dei raggi di sole. Le zone luminose con funzioni specifiche, che si differenziano tra loro per qualità e quantità della luce, sottolineano le intenzioni architettoniche. Il ritmo dato della struttura in legno con una distanza ottimale tra gli assi ci ha dettato le distanze tra gli elementi. Per ottenere un’illuminazione base ideale nonostante le grandi distanze tra le fonti di luce sono state ottimizzate le qualità tecniche della luce stessa e analizzate con la «peggior luce naturale possibile», attraverso estese simulazioni e processi di interazione. I temi luminosi dei softskill qualitativi come effetto complessivo, confort e benessere visivo sono stati misurati in modo classico facendo uso di un modello di facciata in scala 1:1. In questo modo sono stati valutati integralmente l’illuminazione interna, la visibilità notturna dall’esterno e l’effetto complessivo. Il collocamento delle lampade previsto, la qualità della luce, il colore della luce unitario bianco caldo (3000 K) e le linee luminose nascoste, in combinazione con le lampade intelligenti che illuminano i posti di lavoro, hanno convinto sia il team che i committenti. Il legno di abete rosso e i chiari colori naturali delle superfici vengono messi nella luce giusta in modo onesto e discreto: illuminati sia direttamente che indirettamente. La nostra filosofia di portare una luce «immateriale» e discreta si realizza all’interno dell’edificio Tamedia. La luce non ha una forma; rende visibili sia lo spazio che la straordinaria struttura di base. 54 LA LUCE ARTIFICIALE Foto Didier Boy de la Tour Schizzo di studio del proget to illuminotecnico Disegni Ernst Basler+Par tner Lichtarchitek tur, Walter Mog gio 55 Foto R. Dürr / EBP Foto Didier Boy de la Tour LA LUCE ARTIFICIALE 56 Foto Didier Boy de la Tour LA LUCE ARTIFICIALE 57 LA LUCE ARTIFICIALE Bearth & Deplazes Architekten Morger+Dettli Architekten Reflexion traduzione Anna Allenbach Piscine, fitness e spa, St. Moritz Ovaverva, la lanterna del villaggio L’impianto urbanistico di Sankt Moritz Bad è tuttora caratterizzato dalle infrastrutture create appositamente per i bagni termali alla fine dell’Ottocento. In assenza di un progetto urbano, la zona pianeggiante del paese in riva al lago, intorno alla sorgente di San Maurizio, si è trasformata spontaneamente in una località turistica. Al confine della casa di cura – che risale agli inizi dell’affermarsi della tradizionale cultura termale – si trova il nuovo centro balneare e sportivo Ovaverva. La volumetria bianca e compatta si inserisce in maniera discreta tra gli edifici monumentali esistenti grazie alle sue proporzioni contenute in altezza. Una composizione tripartita caratterizza il manufatto rivestito in pietra artificiale: su di uno zoccolo chiuso poggia il livello principale, piano nobile aperto e circondato da pilastri, mentre il coronamento si delinea tramite un tetto piano. Le facciate dell’edificio a pianta quadrata sono simili tra loro e si differenziano solo per alcune varianti. Il fronte sud-est, rivolto verso il parco, ha una vetrata arretrata al piano piscina, quella orientata verso sud-ovest è contraddistinta invece da un terrazzo che accoglie la vasca esterna e il ristorante. Il complesso intersecarsi degli spazi interni, in cui si svolgono le diverse attività, non è leggibile all’esterno, dove la volontà è stata quella di ridurre al minimo gli elementi che compongono i fronti. Dalla strada, attraverso uno slargo leggermente inclinato che si restringe progressivamente, si accede al complesso sportivo. L’atrio a doppia altezza, ritmato da quattro pilastri e contrasegnato dai colori scuri, accoglie il visitatore e lo conduce prima agli spogliatoi e alla zona fitness, poi alle piscine e al ristorante o direttamente, all’ultimo livello dedicato alla zona wellness. Le pareti in cemento a vista sono impreziosite da una mano di vernice d’oro argentato, l’arredo in rovere scuro, i pavimenti, semplici e resistenti, in cemento spatolato di color antracite. Attraverso una generosa apertura interna il visitatore può scorgere sullo sfondo la scala che dal cuore dell’edificio porta al più luminoso livello dei bagni. Un ampio lucernario illumina il nucleo verticale collegando il piano degli spogliatoi alle piscine attraverso il livello dedicato alle infrastrutture. Il piano tecnico, concepito come «piano cieco», è raggiungibile solo dall’interno ed è organizzato in base al calco delle vasche, alle condutture, ai filtri degli impianti di trattamento, ai bacini che regolano l’impianto idrico e a diversi altri vani tecnici. Allo stesso livello si trovano gli uffici e i depositi che, come i posteggi del personale, sono situati sul lato nord. Il piano della piscina – rivestito di quarzite argentea scintil- lante ai raggi del sole – è rialzato rispetto alla strada e offre una vista sul paesaggio alpino dell’Engadina. I nuclei di servizio, necessari per la statica e per la funzionalità degli impianti, separano le vasche isolando lo spazio anche da un punto di vista acustico e sono piastrellati di mosaici di vetro bianco. Il disegno del parapetto in bronzo, dei corrimano e degli oggetti metallici crea un complemento cromatico e tattile ai materiali principali (oltre al calcestruzzo armato degli elementi portanti, l’intonaco, la pietra naturale e artificiale, il mosaico in vetro, la ceramica e il legno). La vetrata che circonda il piano principale è scandita dal ritmo alternato dei serramenti; tranne che nella zona ristorante è possibile rinunciare all’uso di tende o altri ripari, visto che l’energia solare passiva della luce naturale viene sfruttata durante tutto l’anno. Gli ambienti dedicati al wellness sono arretrati rispetto alla facciata esterna e risultano perfettamente isolati per garantire una netta distinzione climatica. Lo sviluppo di questo spazio nasce dai meandri dei due livelli sovrapposti delle vasche del piano piscina. Rispetto alle finiture la zona spa si differenzia dai piani sottostanti dai soffitti, pareti e pavimenti completamente rivestiti in legno massiccio di abete bianco con una velatura di vernice e quindi acusticamente attivati. Il contatto visivo con gli utenti del piano inferiore è possibile solo attraverso la corte centrale a lucernario. Solo in punti selezionati vengono concesse grandi aperture sul paesaggio, creando così un’atmosfera di raccoglimento in cui sia il percorso che lo sguardo sono guidati con precisione. Foto Ralph Feiner 58 LA LUCE ARTIFICIALE Foto Ralph Feiner OVAVERVA, PISCINA, SPA E CENTRO SPORTIVO, ST. MORIT Z Committente Comune di St. Moritz, rappresentati da Fanzun AG; Zürich | Architettura Comunità di lavoro Bearth & Deplazes Architekten AG; Coira, Morger+Dettli Architekten AG; Basilea | Direzione Lavori Walter Dietsche Baumanagement AG; Coira, St. Moritz | Ingegneria civile Conzett Bronzini Gartmann AG; Coira | Illuminotecnica Reflexion AG; Zurigo | Ingegneria elettrotecnica Elkom Partner AG; Davos | Ingegneria RVC Stokar+Partner AG; Basilea | Ingegneria sanitaria Gemperle Kussmann GmbH; Basilea | Fisica della costruzione Kuster+Partner AG; Coira/St. Moritz | Wellness e impianti Aqua Transform; Gossau | Facciate Emmer Pfenninger Partner AG; Münchenstein | Ristorante Chromo Planning AG; Coira | Geologia CSD Ingenieure und Geologen AG ; Thusis | Geometra GEO Grischa; St. Moritz | Acustica Martin Lienhard; Langenbruck | Fotografia Ralph Feiner; Malans, Reto Häfliger (Reflexion AG ) | Date concorso 2010, realizzazione 2011-2014 59 Foto Ralph Feiner LA LUCE ARTIFICIALE Pianta piano wellness Pianta piano piscine 60 LA LUCE ARTIFICIALE Foto Ralph Feiner Foto Ralph Feiner Foto Ralph Feiner Sezioni Pianta fitness e spogliatoi Testi e disegni Bear th & Deplazes Architek ten Morger+Det tli Architek ten 61 LA LUCE ARTIFICIALE Reflexion Fot Foto Ralph Feiner Ovaver va: progettare con la luce L’Engadina è considerata la valle della luce. Progettare l’illuminazione artificiale di un edificio in questo luogo assume infatti un valore particolare: l’effetto della incredibile luce naturale dovrà alternarsi a quello della luce artificiale. Diventa quindi importante creare un rapporto non concorrenziale tra le diverse situazioni luminose per poter assistere a un corteggiamento reciproco nel momento in cui esse si sovrappongono. In questa regione sono di grande interesse i fabbricati in cui la struttura, con il gran numero di aperture di facciata e lucernari, permette la diffusione di luce naturale all’interno degli spazi. Nell’Ovaverva la morbida luce naturale è amplificata fin negli spazi più nascosti dell’edificio. Per raggiungere questo obiettivo, al piano piscina sono stati collocati dei «campi di luce diffusa» secondo un preciso schema geometrico, che si integra perfettamente nella struttura architettonica. I volumi che si espandono ad altezze diverse sopra le vasche vengono incrementati dalla luce indiretta per sottolineare la tensione che si crea tra i vari dislivelli. Più ci si addentra nell’edificio, più si è lontani dalla luce del giorno, più la delicata luce diffusa segue una coreografia ben precisa. L’apice di quest’evoluzione viene raggiunto nella «funtower», fulcro degli scivoli, dove la luce naturale è completamente assente e i materiali creano un tutt’uno con le luci producendo un ambiente scuro e misterioso che si contrappone al bianco bagliore della piscina. Negli ambienti wellness e relax le luci sono più basse, sia per intensità che per temperatura, in modo da creare un’atmosfera contemplativa. Nonostante la luminosità si differenzi in modo appena percettibile nei diversi ambienti, essi sono collegati tra loro dalla bassa intensità dei riflessi e dall’omogeneità dei materiali. Foto Reto Häfliger Sezioni di studio con la simulazione dell’illuminazione ar tificiale 62 LA LUCE ARTIFICIALE Esigenze e soluzioni per l’illuminazione delle singole zone L’intervento aspira a un ambizioso e complesso standard per il progetto di illuminazione artificiale. Disposizioni specifiche in funzione delle diverse scelte architettoniche hanno portato a modalità d’illuminazione diversificate a seconda del contesto, tenendo conto degli aspetti formali nonché delle necessità tecniche della piscina coperta e della zona spa. Dalla stretta collaborazione con gli architetti Bearth & Deplazes e Morger+Dettli, è nata una proposta illuminotecnica contradistinta dalle numerose soluzioni sviluppate appositamente adoperando le tecnologie più recenti. Durante la fase di progettazione sono stati studiati diversi materiali e il loro rispettivo proporzionamento applicando anche la tecnica del mockup per l’individuazione delle soluzioni più adeguate. Il piano piscina è provvisto di grandi superfici di luce diffusa provenienti sia da corpi luminosi montati a soffitto che a semincasso; insieme alla luce proveniente dalle vasche, queste superfici producono un’illuminazione diffusa e omogenea e creano un’atmosfera fresca e pura. Le vasche illuminate risplendono nella bianca cornice architettonica come grandi aree luminose. Il tutto è completato da brillanti accenti e contrasti prodotti da fasci puntuali mirati. Per il colore predominante della luce al piano piscina è stato scelto il bianco neutro, 4000 K, a eccezione dei «downlight» e della zona ristorante dove si hanno 3000 K. All’esterno del piano piscina – al di là dei pilastri perimetrali – sono stati utilizzati dei punti di luce mirati, utili a marcare i contorni dello zoccolo in modo di disegnare una sagoma ben definita anche al buio. Per l’area circostante si è optato per una luce di colore bianco caldo a 3000 K. L’illuminazione del piano wellness è molto discreta e raccolta. Un’intensità di luce tenue promuove il rilassamento, punti di luce bassi e direzionati creano intimità evitando riflessi indesiderati nelle vetrate delle zone relax mentre l’impiego di paralumi in tessuto decorativo crea un’atmosfera adeguata (per questo ambiente è stato scelto un bianco caldo a 2700 K). Il piano spogliatoio, Disegni Reflexion Foto Reto Häfliger palestra e negozi compresi, si trova nel settore chiuso all’interno dello zoccolo. La mancanza di luce naturale viene compensata da ampie superfici di luce diffusa. All’interno degli spogliatoi e nella zona servizi si è optato per un bianco caldo a 3000 K, nella zona fitness invece per un bianco neutro a 4000 K. All’interno dell’edificio, l’atrio e la «funtower» vengono letti come universi a sé stanti. L’orientamento verticale di questi due spazi e la differenziazione attraverso i materiali vengono sottolineati anche dalle soluzioni luminose: nell’atrio sono stati utilizzati «downlight» e lampade a sospensione con raggi mirati verso il basso (dove il colore della luce è un bianco caldo a 3000 K) mentre nella «funtower» fasci luminosi si allungano in altezza attraverso gli scivoli e dissolvono i limiti concreti dello spazio (utilizzando un bianco neutro a 4000 K). La scala principale, a sua volta orientata sull’asse verticale, di giorno è inondata di luce naturale proveniente dal lucernario; di notte è illuminata da una luce omogenea ottenuta con sorgenti asimmetriche. 63 Foto Reto Häfliger LA LUCE ARTIFICIALE Foto Reto Häfliger 64 LA LUCE ARTIFICIALE Foto Ralph Feiner 65 LA LUCE ARTIFICIALE Graber Pulver Architekten Mettler+Partner Licht traduzione Anna Allenbach Centrale elettrica Forsthaus, Berna Una nave nel bosco massiccio e funzionale, si inserisce perfettamente nel paesaggio e nell’ambiente circostante. La centrale elettrica di Forsthaus è unica nel suo genere in Svizzera: il complesso produce energia con l’aiuto di un impianto di sfruttamento dei rifiuti, una centrale di riscaldamento a legna e di una centrale combinata a gas e vapore. Al concorso – bandito nel 2004 – hanno partecipato dodici team; l’obbiettivo era quello di individuare la migliore soluzione urbanistica e architettonica. Il progetto vincente per l’impianto è stato presentato sotto il nome di «Sojus» dagli architetti Graber Pulver. L’intervento è oggi un punto di riferimento per il carattere esemplare della collaborazione interdisciplinare. Per realizzare l’enorme infrastruttura, gli architetti hanno lavorato a stretto contatto con i progettisti di ingabbiature Walt+Galmarini e gli ingegneri chimici di tbf+Partner su mandato mandato di Energie Wasser Bern (ewb). L’impegno per ottenere questo risultato è stato immenso: per riuscire a mantenere le scadenze e il quadro dei costi, è stata necessaria un ottimo coordinamento della mano d’opera, che in alcuni periodi ha raggiunto un picco di 800 persone sul cantiere. Gli spazi ridotti della radura hanno, inoltre, reso ancora più difficile il lavoro. Durante la pianificazione e la realizzazione il progetto ha richiesto molta attenzione per gli innumerevoli dettagli. Solo la precisione e l’accuratezza da parte di tutti hanno permesso di iniziare tranquillamente le attività nel pieno rispetto dei costi e della scadenza nel marzo 2013. Foto Hannes Henz In mezzo al verde, tra la strada principale che porta a Morat e la tangenziale ovest dell’autostrada A1, se ne sta «ancorata» la nuova centrale elettrica di Forsthaus. Come un’enorme nave portacontainer, la costruzione si erge sopra le chiome degli alberi del bosco di Bremgarten, nei pressi di Berna. Dall’autostrada è ben visibile la sagoma dell’edificio alto più di cinquanta metri, con la sua ciminiera rossa che risplende nella notte. Il lato sud dell’edificio lineare, lungo più di trecento metri, traspare nel filtro diradato di singoli alberi. Su uno zoccolo di cemento, fatto in un pezzo unico, con immense ante scorrevoli si innalza un involucro di elementi in cemento che sottolineano la tettonica dell’edificio. Questo contenitore è composto da moduli prefabbricati e può essere smontato facilmente per adeguare o risanare le parti dell’impianto. Il cemento è un materiale resistente al fuoco, alle usure meccaniche e persiste nel tempo. L’involucro, oltre ai compiti statici, ne ha anche di estetici e di suddivisione dello spazio. La sua forma possente conferisce all’edificio un carattere massiccio, ma la sapiente lavorazione dei componenti lo rende al tempo stesso molto elegante. La costruzione della nuova centrale elettrica è costata 500 milioni di franchi e per farlo si è dovuto creare una radura nel bosco di 58’000 mq. Con netta maggioranza, l’88% della popolazione bernese ha accettato nel 2008 il progetto che prevedeva il cambiamento di destinazione e il disboscamento. Oggi possiamo constatare che l’impianto, nonostante il suo carattere 66 Foto Hannes Henz LA LUCE ARTIFICIALE EZF, CENTR ALE ELE T TRICA FORSTHAUS Murtenstrasse 100, Berna Committente EWB Energie Wasser Bern; Berna | Architettura Graber Pulver Architekten AG; Zurigo-Berna | Gestione del progetto TBF +Partner AG Planer und Ingenieure; Zurigo | Realizzazione Akeret Baumanagement GmbH; Berna | Ingegneria civile Walt & Galmarini AG; Zurigo, BlessHess AG; Lucerna | Illuminotecnica e domotica Mettler+Partner AG; Zurigo, BLM Waldhauser Haustechnik AG; Münchenstein, Haustechnik AG; Zurigo, Amstein+Walthert AG; Berna | Architettura del paesaggio Hager Landschaftsarchitekten AG; Zurigo | Ingegneria del traffico Teamverkehr; Cham | Facciate Fachwerk F + K Engineering AG; Berna | Fisica della costruzione e acustica Gartenmann Engineering; Berna | Sostenibilità ambientale CSD Ingenieure und Geologen AG; Liebefeld | Fotografia Hannes Henz; Zurigo, Georg Aerni; Zurigo | Date concorso 2005, realizzazione 2008–2013 67 LA LUCE ARTIFICIALE Pianta quota + 21.60 Pianta quota + 7.20 Pianta quota +/- 0.00 Sezione longitudinale 68 Foto Hannes Henz Foto Georg Aerni LA LUCE ARTIFICIALE Testo e disegni Graber & Pulver Architek ten 69 LA LUCE ARTIFICIALE Mettler+Partner Licht traduzione Anna Ruchat Un vascello scintillante Foto Georg Aerni Come un bastimento ancorato al largo, l’edificio risplende dal suo interno, e rende così possibile vedere l’attività attraverso le aperture regolari presenti nell’involucro di cemento prefabbricato. All’esterno sono volutamente messe in evidenza dall’illuminazione solo singole parti. L’impressionante travatura reticolare in acciaio del condensatore d’aria, ad esempio, si riesce a vedere grazie all’illuminazione dal basso di una discreta luce bianca e fredda. L’illuminazione indiretta all’interno del corridoio di collegamento lungo trecento metri effettuata attraverso un fascio di luce riprende il colore delle superfici e lo riflette verso l’esterno. Di notte, dalla Murtenstrasse si vede scintillare tra gli alberi una fascia gialla a mezz’aria che attraversa l’intera lunghezza dell’edificio. Gli accenti di luce rossa in cima alla ciminiera alta settanta metri, chiudono l’edificio e contemporaneamente fungono da segnaletica per il traffico aereo. In questo modo, nel bosco che costeggia la tangenziale ovest, mistiche nuvole di vapore rosso s’innalzano nel cielo notturno e rendono visibile da lontano la centrale kva. All’esterno è stata utilizzata esclusivamente un’illuminazione a led. Nei lampioni stradali è stata introdotta una funzione di riduzione notturna, per limitare al minimo il consumo energetico. Nei locali interni con orari di esercizio prolungati sono stati in parte impiegati per ragioni di rendimento economico, dei tubi fluorescenti con «longlife», la cui durata nel tempo può arrivare a 60.000 ore. Ristorante del personale, schizzo con det taglio dell’illuminazione indiret ta 70 LA LUCE ARTIFICIALE Schizzi dell’illuminazione nel vano scale e fotorender Foto Georg Aerni Schizzo dell’illuminazione nella sala comando 71 Foto Georg Aerni LA LUCE ARTIFICIALE Fronte e pianta di studio con la simulazione dell’illuminazione ar tificiale 72 Foto Hannes Henz LA LUCE ARTIFICIALE Disegni Met tler+Par tner Licht 73 LA LUCE ARTIFICIALE Juan Navarro Baldeweg Hübscher traduzione Studio Associato Bozzola Edificio amministrativo nel Campus Novartis, Basilea Fabrikstrasse 18 ampia. La luce del sole viene filtrata dall’alto sui piani e sull’entrata inondando di luce il nucleo centrale dell’edificio. È previsto un piano terra e un ammezzato occupato solo parzialmente, che lascia un ampio spazio libero a doppia altezza all’ingresso. I piani superiori hanno carattere più privato e presentano un’organizzazione simile e una disposizione programmatica. In cima all’edificio è previsto un attico che occupa gran parte del giardino pensile. In questa zona si prevede una zona living e relax con strutture per servizio catering che potranno essere ampliate. L’attico comprende anche una grande sala riunioni che accoglierà la Group Executive Conference room. Foto Paolo Rosselli I nuovi edifici all’interno del Campus sono definiti da una normativa urbanistica uniforme che segue il progetto del masterplan affidato a Vittorio Magnago Lampugnani. Considerati individualmente, i manufatti presentano tuttavia un carattere proprio e differenziato. È interessante vedere come essi mostrino una propria unicità, una propria personalità, una propria impronta, come fossero attori che interpretano lo stesso ruolo in modo diverso. Questa visione di un insieme di edifici visti come attori è stata l’idea che ha ispirato il progetto. Il nostro intervento viene percepito come un elemento all’apparenza convenzionale, tuttavia la natura del suo involucro esterno gli conferisce al tempo stesso un certo mistero. Abbiamo immaginato che ogni fabbricato indossi il proprio abito all’interno del Campus, reagendo con il proprio accento, interpretando il proprio ruolo e mostrando un proprio stile caratteristico. Lavorando a questo concetto, la presenza del nostro edificio viene enfatizzata da una veste seducente che attrae lo spettatore per la geometria precisa e l’aspetto lucente. La struttura reticolare in marmo bianco della «pelle» che lo avvolge brilla alla luce naturale del giorno. Uno dei corpi di fabbrica, costruito su un sito di 55 x 20,70 m per un’altezza di 23,50 m (28,50 m considerando anche l’attico) accoglierà la nuova sede del quartier generale di Novartis. Il progetto si sviluppa su ogni piano in due aree concentriche. Gli spazi destinati alle attività pubbliche e condivise, come le aree intercomunicanti, l’atrio, le scale, alcune sale riunioni e le zone relax, sono disposti al centro. Nella zona perimetrale sono previsti gli spazi di lavoro individuali organizzati come un open space continuo, in corrispondenza della facciata. In conformità con le linee guida urbanistiche riferite alla Fabrikstrasse, è prevista una strada coperta con il primo portico a doppia altezza. La porta di accesso generale all’edificio è profilata da due pareti verticali rivestite in marmo sulla doppia altezza. Una volta entrati nello stabile, seguendo l’asse dell’ingresso principale ci si trova di fronte l’atrio che occupa l’intera sezione verticale dell’edificio. All’aumentare dell’altezza l’atrio si riduce e l’apertura diventa più 74 LA LUCE ARTIFICIALE Foto Paolo Rosselli EDIFICIO AMMINISTRATIVO, CAMPUS NOVARTIS Fabrikstrasse 18, Basilea Committente Novartis Pharma AG; Basilea | Architettura Juan Navarro Baldeweg; Madrid Collaboratori E. Barroso Alonso, C.Araujo Palop, A. Hermosilla Minguijón, P. del Cid Mendoza, G. Dürig Robledo e C. Guimaraes Da Costa | Direzione Lavori E. Barroso Alonso, C. Araujo Palop, A. Hermosilla; Madrid | General planner Nissen & Wentzlaff, Daniel Wentzlaff, Michael Muellen, Sven Morhrad, Martin Schelgel; Basilea | Ingegneria civile Walther Mory Maier AG , Gilbert Santini; Basilea | Facciate Emmer Pfenninger Partner AG , Martin Friedli, Jeanette Leu; Münchenstein | Impiantistica KIWI AG , Markus Weber; Basilea | Illuminotecnica Hübscher AG , Michael Hübscher; Basilea | Arredo Iria Degen interiors, Iria Degen, Michela Chiavi; Zürich | Project manager Christian Kaldewey; Basilea | Plastici Juan de Dios Hernández & Jesús Rey, S.L.; Madrid | Fotografia Paolo Rosselli; Milano, Peter Hebeisen; Zurigo Date progetto 2010, realizzazione 2012-2013 75 LA LUCE ARTIFICIALE Pianta piano at tico Pianta secondo piano Pianta mezzanino Pianta piano terra Sezione trasversale 76 Foto Paolo Rosselli Foto Paolo Rosselli LA LUCE ARTIFICIALE Testi e disegni Juan Navarro Baldeweg 77 LA LUCE ARTIFICIALE Hübscher foto Peter Hebeisen traduzione Anna Ruchat Tramite la luce artificiale il progetto rafforza l’ariosità e la qualità degli ambienti realizzati con materiali caldi e chiari. I locali, anche quando manca la luce naturale, rimangono aperti e luminosi. L’atrio centrale presenta condizioni di illuminazione – dall’alto fino al piano terreno – che somigliano a quelle della luce naturale. La luce bianca e calda accentua le superfici in legno e produce un’alta qualità degli spazi. Atrio La luce accompagna la scultura verticale di Juan Navarro Baldeweg dal piano terreno al soffitto. Questa linea di luce posta sui profili del soffitto, si allunga senza soluzione di continuità verso il cielo configurando lo spazio. La luce ricade morbidamente e mette in scena l’opera d’arte con grande naturalezza. La soluzione in puro led, impiegata per il nastro di luce di 200 metri, convince per l’alta qualità dell’illuminazione. Foto Peter Hebeisen Aree d’uf ficio Perpendicolarmente rispetto alle nervature del soffitto sono appesi dei profili luminosi che emettono una luce delicata e senza riflessi. Disposti secondo un sistema modulare e costituiti di vetro d’arte microprismatico e con valori energetici di altissima efficienza, essi sostengono in modo accurato l’ambiente professionale. Le altre luci sulle scrivanie possono essere regolate individualmente. Sala conferenze Nella sala conferenze le linee luminose convergono in lampade cilindriche avvolte in un cuoio chiaro. I lampadari ad anello hanno un aspetto leggero e al tempo stesso prezioso. L’effetto prodotto dalla luce è quasi privo di ombre e favorisce la concentrazione. L’accento è posto al centro della stanza così il tavolo delle riunioni viene rafforzato nella sua funzione. Atrio d’ingresso Le grandi lampade (2300 mm di diametro) fanno da contrappunto, con la loro forma circolare, alle linee di luce dritte dell’edificio. Le superfici esterne delle lampade, in alluminio lucido, riflettono la luminosità dello spazio e producono un interessante gioco con il vetro bipartito delle finestre. Private rooms Nei piccoli locali gli accenti sono posti dalle lampade a parete in metallo di Le Corbusier, sostenute dall’illuminazione lineare sopra le lavagne magnetiche. Pianta del proget to illuminotecnico 78 LA LUCE ARTIFICIALE Ambienti pubblici Delle plafoniere cilindriche, scure, contribuiscono ulteriormente all’illuminazione delle zone aperte al pubblico e si inseriscono nelle nervature. Le lampade cilindriche creano un’atmosfera gradevole, ad esempio, anche in biblioteca dove sono sostenute dai ricercati lampadari ad anello. Sala riunioni Foto Peter Hebeisen Un insieme variegato di corpi in vetro, che pendono liberi sopra il tavolo, plasma l’atmosfera della sala riunioni. Grazie alla presenza ulteriore delle luci a incastro sul soffitto si possono ottenere effetti di luce diversissimi che si prestano a una larga gamma di situazioni: dalla videoconferenza all’aperitivo. L’illuminazione lungo il corrimano nella parte esterna dell’attico genera un ambiente molto gradevole. Energia Foto Peter Hebeisen Foto Peter Hebeisen Una gestione semplice e intelligente dell’illuminazione consente un impiego estremamente confortevole della luce e permette tuttavia un grande risparmio energetico. Il progetto risponde pienamente alle richieste di Minergie (sia 380-4). 79 Foto Paolo Rosselli LA LUCE ARTIFICIALE 1008 Neubau WSJ-151 SAA - Lichtplan M A3-1:100 gez: 09.03.2012 - A5R-SAA_Beleuchtung Basis für Elektroausschreibung Stand Grundriss: 11.11.2011 - Plan Nr a5r-ed1 hu:bschergestaltet, Lichtgestaltung, Michael Hübscher Dipl. Gestalter FH SDA Freie Strasse 103, 4051 Basel T/F 061 271 44 19/20, http://www.huebschergestaltet.ch, [email protected] Testi e disegni Hübscher 80 Foto Paolo Rosselli Sezione trasversale, studio dell’illuminazione della scala WARNING STUDIO COMUNICAZIONE - FOTO: MARIOCURTI.COM SSELLO, FACCIATA A MA ZE LIBERE. Z E H G N U L 8 X CM 8 LA GRIGIA. O E B E O Z IZ R E GRANITO S RANCIATA. /T A T A S E R F E N LAVORAZIO tto Mario Botta Since 1920 STONE IS UNIQUE Progetto: Archite HEADQUARTER Valsecchi SA | Via Galli 22 - CH - 6600 Locarno (Switzerland) T. +41 91 7511647 | 7516208 - F. +41 91 7516653 www.swiss-stone-group.com - [email protected] facebook.com/valsecchisa youtube.com/valsecchisa pinterest.com/valsecchisa IL GRANITO L’ARTE DEL TEMPO I l g ra n i t o d i L o d r i n o C r e a t o d a l t e m p o e d a l l a n a t u r a . Q u e s t o m a t e r i a l e, u n i c o a l m o n d o, u n i t o all ’esperienza pluriennale ed alla professionalità della famiglia Giannini riesce a trovare e riscoprire nuove forme ed espressioni in prodotti unici e su misura. GIANNINI GRANITI SA | 6527 Lodrino w w w. g i a n n i n i - g r a n i t i . c h