Farmacovigilanza in gravidanza Durante la gravidanza la madre e il feto rappresentano una unità inseparabile, l’unità maternofetale. Il benessere della madre è un requisito assoluto per il funzionamento e lo sviluppo ottimali di entrambi i membri di questa unità. Occorre, quindi, sottoporre a trattamento la madre ogni qualvolta risulti necessario ma occorre anche considerare gli effetti che questo trattamento potrebbe avere sul feto. E’ importante, quindi, sia tutelare il benessere della madre sia proteggere il feto ancora nell’utero [1]. L’ impiego degli antibiotici in gravidanza è frequente e purtroppo a volte irrazionale. Le premesse per una farmacoterapia razionale in gravidanza sono principalmente tre: - indicazioni valide e precise per una terapia farmacologica; - conoscenza delle modificazioni della cinetica dei singoli farmaci in questa condizione parafisiologica; - valutazione attenta del rapporto rischio-beneficio della terapia instaurata, non solo per la gravida ma anche e soprattutto per il feto. In gravidanza, quindi, risulta quasi d’obbligo limitare l’impiego farmaci ai casi di certa, assoluta necessità materna e/o fetale. Durante la storia della medicina moderna, l’importanza attribuita alla medicina embrionale, fetale e materna è cambiata notevolmente. Verso la metà del ventunesimo secolo in seguito a numerosi studi sono state individuate associazioni di malformazioni congenite a fattori esogeni durante la gravidanza (es. la rosolia). E’ cambiato il modo di usare la farmacoterapia in gravidanza. Molti farmaci e molte sostanze chimiche e una moltitudine di fattori ambientali sono stati accusati di essere teratogeni per l’uomo, benché solo un limitatissimo gruppo di farmaci e altre sostanze si siano dimostrati teratogeni e molti altri siano oggi considerati “sicuri” cioè non associati ad un aumento degli esiti avversi della gravidanza. Poiché la maggior parte degli effetti avversi dei farmaci che si osservano nel feto sono irreversibili, è necessaria una estrema attenzione quando si espone a farmaci l’unità materno-fetale. Bilanciare i rischi e i benefici della terapia durante la gravidanza, basandosi su dati tratti dall’osservazione è un compito impegnativo e importante per ogni clinico che interviene nell’assistenza alle donne durante la gravidanza. La paura irrazionale da parte delle pazienti e dei medici di famiglia, aumentata dalle informazioni sbagliate diffuse dai mezzi di comunicazione di massa, causa eventi sfortunati e tragici. Le paure irrazionali della paziente gravida possono compromettere la compliance verso la terapia. Le informazioni insufficienti fornite ai medici di famiglia possono determinare un trattamento subottimale o attraverso la rinuncia a un a farmacoterapia necessaria o attraverso la scelta di regimi subottimali. Tali approcci possono fare correre un rischio al benessere materno e possono anche influenzare il bambino ancora nell’utero. I programmi diretti ad informare, consigliare e sottoporre a follow-up le donne gravide esposte a farmaci, altre sostanze chimiche o radiazioni durante la gravidanza sono utili fonti di dati sulle preoccupazioni materne riguardo all’esposizione. Le donne gravide tendono ad assegnare valori irrealisticamente alti ai rischi associati all’assunzione di medicamenti. Questa valutazione erronea dei rischi può condurre all’interruzione ingiustificata di gravidanze altrimenti desiderate. Tale comportamento è stato documentato da ciò che è accaduto in Grecia dopo la catastrofe di Chernobyl, dove un gran numero di gravidanze desiderate furono interrotte a causa di timori irrealistici di malformazioni congenite. L’identificazione di un farmaco, di un’altra sostanza chimica o di un fattore ambientale come teratogeno è ostacolata da vari fattori. Nessuno dei teratogeni conosciuti causa malformazioni in tutte le esposizioni. Ad esempio il talidomide che ha un potenziale teratogeno estremamente alto, causa malformazioni in soltanto il 20% delle esposizioni prenatali. Altre sostanze con potenziale teratogeno più basso causano malformazioni maggiori in soltanto l’1%-2% delle esposizioni prenatali. L’induzione di malformazioni per opera di un teratogeno specifico è influenzata e dipende da numerosi fattori contribuenti, principalmente dalla suscettibilità genetica, dallo stadio di sviluppo e dalla dose dell’esposizione. Alcuni teratogeni (ad esempio il talidomide) causano malformazioni soltanto durante uno specifico periodo di sviluppo. La conoscenza di quando esiste questo periodo può permettere di usare i farmaci teratogeni all’esterno di questi periodi nei casi in cui la terapia è essenziale. Gli effetti teratogeni dipendono dalla dose di esposizione della donna gravida al teratogeno e vanno da nessuno effetto alla morte ad alte dosi. La dose necessaria per indurre teratogenicità differisce ampiamente da specie a specie e da individuo ad individuo. Ciò è dovuto a differenze nella morfologia e nella fisiologia placentari, differenze genetiche e ambientali che alterano la suscettibilità degli organi bersaglio e a differenze nel metabolismo fetale e materno degli xenobiotici che causano la detossicazione e la tossificazione di una sostanza. La variabilità metabolica può avere una particolare importanza se il teratogeno non è il farmaco progenitore a cui è esposta la donna gravida, bensì è uno dei suoi metaboliti. Un fattore che crea complicazioni in teratologia è la grande differenza interspecifica riguardo agli effetti avversi fetali degli xenobiotici. Benchè si sia osservato che tutti i teratogeni umani noti sono tali in almeno una specie animale, esistono grandi differenze interspecifiche. Per esempio, i cumarinici sono teratogeni nell’uomo, mentre fino a poco tempo fa non si conosceva alcun’altra specie che fosse suscettibile a questa classe di sostanze. Viceversa farmaci che non sono teratogeni nell’uomo possono indurre teratogenicità in alcune specie animali. Inoltre il tipo di malformazioni possono differire da specie a specie. I modelli animali hanno quindi un’utilità limitata in questo campo. Inoltre per motivi etici è impossibile sperimentare la maggior parte dei farmaci nuovi in donne gravide. Risulta, quindi, inevitabile un ritardo nell’identificazione della teratogenicità umana Dato il tasso atteso di malformazioni nel bambino, se un farmaco non teratogeno è ampiamente usato in gravidanza, in media il 2-4% dei prodotti del concepimento esposti nasceranno spontaneamente con una malformazione congenita. Può accadere perciò che un farmaco ampiamente usato durante la gravidanza può essere associato erroneamente a malformazioni e ciò dimostra la necessità di studi epidemiologici accuratamente pianificati. Durante le prime 2 settimane dopo il concepimento, periodo chiamato periodo “nulla o tutto”, non sono indotte malformazioni. Possono essere arrecati danni all’organismo in sviluppo se le tossine raggiungono concentrazioni sufficienti nella tromba di Falloppio o nel sito di annidamento nell’utero. E’ molto probabile che tale danno provochi la morte dell’organismo, seguita da aborto precoce, che può non essere avvertito dalla donna. Se l’organismo sopravvive è molto probabile che si sviluppi diventando un embrione e un feto sano grazie alla totipotenza ancora esistente delle sue cellule. L’embriogenesi (4°-10° settimana di gestazione) è il periodo caratterizzato dal rapido sviluppo di quasi tutti gli organi principali e risulta il periodo di massima suscettibilità alle malformazioni. Purtroppo in questo stadio iniziale della gravidanza la donna è spesso inconsapevole della propria gravidanza e, perciò, può usare inconsapevolmente xenobiotici che sono potenzialmente pericolosi per l’embrione. Durante il successivo stadio di fetogenesi (dopo la 10° settimana di gestazione), periodo caratterizzato da un ulteriore differenziamento degli organi, il rischio principale riguarda lo sviluppo del sistema nervoso centrale. L’interferenza con lo sviluppo del sistema nervoso può causare vari tipi di compromissione dello sviluppo mentale, quali un QI ridotto, difficoltà specifiche di apprendimento o alterazioni del comportamento nella vita postnatale. Per quanto riguarda i possibili danni materni, occorre rammentare che in gravidanza esiste un maggiore impegno funzionale di alcuni organi, soprattutto di fegato e reni, per cui è bene evitare la somministrazione di farmaci dotati di potenzialità lesiva su questi parenchimi. E’ importante evitare in particolare l’impiego delle tetracicline (sia per os che, e soprattutto, per via parenterale) per la loro possibile azione tossica sul parenchima epatico. Infatti sono stati segnalati ripetuti casi di atrofia giallo-acuta a seguito della somministrazione di tetracicline a forti dosi durante la gestazione. E’ importante, quindi, limitare l’impiego di farmaci non sufficientemente studiati nell’animale e nell’uomo. Non minore cautela è necessaria con quei farmaci dimostratisi teratogeni o embriofetotossici nell’animale (pur con i dubbi esistenti sulla possibilità di trasporre nell’uomo i risultati della sperimentazione animale) ma apparentemente tollerati in campo umano. Da limitare moltissimo, valutando nel singolo caso il rapporto rischio-beneficio, sono quei farmaci che hanno determinato nell’uomo effetti fetotossici modesti e che appaiono insostituibili nel caso specifico: essi sono alcuni aminoglucosidi (specie la streptomicina), la rifampicina, le tetracicline. Da proscrivere in gravidanza sono invece, ovviamente, i farmaci che hanno determinato nell’uomo effetti teratogeni e/o embriofetotossici importanti e per i quali è in genere difficile ottenere un rapporto beneficio-rischio positivo. Essi sono la chinina, la clofazimina, la cicloserina, la talidomide, la ribavirina. I farmaci per i quali si dispone di una sufficiente documentazione sull’assenza di fenomeni dannosi dopo somministrazione in gravidanza sono i seguenti: quasi tutte le betalattamine, i macrolidi, la fosfamicina che si ritiene vadano preferiti ad altri in tutte quelle condizioni infettive nelle quali una terapia antibiotica sia indispensabile. In generale la decisione di impiegare un certo farmaco durante la gravidanza viene presa valutando i rischi e i benefici per la madre ma anche per il bambino ancora nell’utero, considerando che eventuali effetti avversi sulla prole possono essere irreversibili. E’ importante ricordare che il periodo di maggiore suscettibilità alla genesi delle malformazioni è quello dell’embriogenesi, epoca in cui la donna sovente non sa di aspettare un bambino e ciò rende necessario assumere un atteggiamento prudenziale da parte del medico, il che significa che è necessario porre attenzione alla prescrizione dei farmaci in tutte le donne in età fertile che non attuano misure di contraccezione sicura. Nella prescrizione di farmaci a donne in età fertile sembra opportuno sottolineare che una buona parte delle gravidanze è programmata (circa il 60%). Nel caso di programmazione della gravidanza è importante acquisire informazioni sui trattamenti in atto, sull’ abitudine della donna alla autoprescrizione e su eventuali farmaci assunti abitualmente dal partner nonché fornire indicazioni sulle modalità più sicure di assunzione di farmaci o altre sostanze. La prescrizione di farmaci in gravidanza segue le regole già indicate per quanto riguarda l’età fertile, particolare attenzione deve essere posta a: - garantire a parità di effetti fetali la terapia più appropriata per la patologia materna; - evitare, se possibile, la prescrizione di farmaci per patologie minori la cui storia naturale non preveda tassativamente l’assunzione degli stessi; - prescrivere nell’ambito della classe terapeutica i farmaci che sono stati introdotti sul marcato da più tempo. Le donne che cercano consigli dopo la diagnosi di gravidanza tendono a chiedere informazioni sull’esposizione attuale o passata a farmaci, altre sostanze chimiche o altri fattori ambientali. Il fatto che l’esposizione è già avvenuta spesso è causa di un alto livello di ansia. Le donne che necessitano di un trattamento farmacologico durante la gravidanza dovrebbero essere informate in modo imparziale dei rischi e dei benefici associati. Le paure irrazionali della madre basate su informazioni cattive o false possono provocare mancanza di compliance che può mettere in pericolo sia la madre sia il feto e, nei casi peggiori, può persino provocare l’interruzione di una gravidanza altrimenti desiderata. Non è sufficiente dire alla paziente che un farmaco può essere teratogeno; si dovrebbe fornirle una valutazione quantitativa del rischio poiché le donne tendono a sovrastimare l’incidenza degli esiti avversi della gravidanza dopo l’esposizione a qualsiasi teratogeno. Non esistono regole semplici per una buona comunicazione; la scelta della modalità di comunicazione risente probabilmente del “giudizio” del professionista. Facilitare la comprensione del rischio deve garantire una scelta informata, per questo motivo sembra opportuno che la consulenza preveda sia la comunicazione del rischio che quella relativa alla possibilità che pur assumendo il farmaco la malformazione non si verifichi [2]. Informazioni corrette possono essere fornite soltanto dopo che è stata compilata un’anamnesi esauriente, comprendente la data del concepimento (in base al periodo mestruale), la data esatta dell’esposizione e la dose esatta dello xenobiotico, le indicazioni degli eventuali farmaci assunti e le altre condizioni materne di interesse medico che possono fare correre rischi, quali l’età o le malattie croniche. Può essere appropriato confermare queste informazioni con l’esame fisico e il confronto con precedenti registrazioni mediche. L’ecografia può essere benefica per determinare lo stadio esatto della gravidanza e, a uno stadio successivo, per identificare visivamente i difetti fetali. In Conclusione, l’importanza clinica dell’uso dei farmaci in gravidanza è troppo spesso oggetto di scarsa attenzione. Molto spesso si continuano ad usare le dosi suggerite per la paziente non incinta che potrebbero avere effetti nocivi sulla madre e probabilmente anche sull’esito della gravidanza. La grande difficoltà è che effettuare studi sull’uso dei farmaci su pazienti in gravidanza presenta problemi di tipo etico e terapeutico. Gli studi di popolazione che sono stati condotti mostrano che in teoria ogni gravidanza, in qualsiasi sua fase, può essere sottoposta a qualsiasi tipo di farmaco. E’ necessario, quindi, capire e conoscere le conseguenze negative che avvengono in gravidanza dopo un uso sbagliato dei farmaci. Inoltre studi sequenziali devono essere condotti in tutte le fasi della gravidanza perché gli effetti teratogeni dei farmaci variano con il progredire della gravidanza. Una malformazione però non è causata solo dall’esposizione ad uno xenobiotico; è importante, quindi, ricercare altre cause probabili della malformazione. Deve essere incluso un consulto genetico per escludere o includere cause genetiche dell’esito avverso della gravidanza, poiché il numero delle malformazioni dovute a cause genetiche è molto maggiore del numero di quelle dovute all’esposizione ad uno xeno biotico [3]. Bibliografia [1] Autret-Leca E, Deligne J, Leve J, Caille A, Cissoko H, Jonville-Bera AP. Paediatr Drugs. 2011 Oct 1;13(5):317-24. [2] Sevene E, Bardají A, Mariano A, Machevo S, Ayala E, Sigaúque B, Aponte JJ, Carné X, Alonso PL, Menendez C., Paediatr Drugs. 2012 Feb 1;14(1):43-9. [3] Crespin S, Bourrel R, Hurault-Delarue C, Lapeyre-Mestre M, Montastruc JL, Damase-Michel C. Drug Saf. 2011 Jul 1;34(7):595-604.