Istituto Teologico Affiliato Treviso – Vittorio Veneto a. a. 2011 Docente : d. Stefano Chioatto Storia della Chiesa 2 - Il Medioevo Dispense pro manuscripto ad esclusivo uso degli studenti Storia della Chiesa 2 INTRODUZIONE: Caratteri generali del periodo 1. Il concetto di medioevo (da FRANCO PIERINI, L’età medievale. Corso di storia della Chiesa 2. San Paolo 1996). Sulla base della documentazione attualmente disponibile, sembra ormai accertato che l'idea di «modernità» apparve storicamente prima dell’idea di «medioevo». Infatti, già agli inizi del 1300 si parla di «via moderna» per designare la filosofia scolastica nominalista, di «devozione moderna» per indicare un tipo di religiosità del tutto personale e individualistica. «Moderno», in queste accezioni e in altre simili, si oppone ad «antico» (via antiqua, devotio antiqua), secondo l'antitesi, del tutto naturale, fra passato e presente, fra ieri e oggi, fra ciò che era e ciò che è. Il concetto di «medioevo» si presenta, invece, assai più tardi e per la prima volta probabilmente in uno scritto di autore francese anonimo, risalente al 1453-1461, in cui si parla di temps passé, temps moyen, temps présent, e poi soprattutto nello scrittore umanista Giovanni Andrea dei Bussi (14141475), in un'opera pubblicata nel 1469. Ma è significativo il fatto che l'aggettivo «medio», in Bussi e in altri autori successivi, designi tanto il concetto di «intermedio» quanto quello di «meno antico», «più recente», ossia qualcosa di simile a «moderno». Per trovare un'utilizzazione più chiara del concetto di «medioevo», bisogna arrivare agli storici Giorgio Horn o Hornius (1620-1670) e a Cristoforo Keller o Cellarius (1638-1707). Horn parla di historia antiqua fino al 476 d.C., di medium aevum dal 476 (caduta dell'impero romano d'occidente) al 1453 (caduta dell'impero romano d'oriente o bizantino) e di historia nova dal 1453 ai tempi suoi. Keller, a sua volta, nel 1688, pubblica una vera e propria Historia medii aevi, che tratta il periodo da Costantino alla presa di Costantinopoli, dunque dal 313 al 1453. Inoltre, l'idea di «medietà» si collega, negli scrittori umanisti e poi in tutti gli altri fino agli illuminasti, a vari altri concetti, a impressioni diverse, come quelle di oscurità (medioevo = «secoli bui»), di decadenza, di passaggio, di provvisorietà. Il medioevo nasce nella mente degli storici e riceve subito una connotazione quasi sempre deteriore. Gli scrittori del periodo romantico, soprattutto del secolo XIX, come si sa, capovolgono questo giudizio, vedendo invece nel medioevo un periodo di spontaneità, libertà, creatività, spiritualità, eroismo, ma comunque confermandone l'esistenza in maniera talmente entusiasta da far dire a qualcuno che furono essi a inventarlo. Negli ultimi decenti, non è stato difficile avanzare vari dubbi e riserve circa l'oggettività reale o almeno circa l'effettiva funzionalità del concetto di «età medievale» e della periodizzazione storica conseguente. Si è cercato - è vero - di correggere il trinomio antichità-medioevo-epoca moderna parlando piuttosto di quattro epoche: antichità, fino al 600-700 circa; medioevo, dal 600-700 al 1300; epoca nuova, dal 1300 al 1648; epoca moderna dal 1648 (pace di Westfalia) ad oggi. La terminologia usata però, specialmente per le due ultime epoche, non risulta sempre la stessa, poiché l'epoca «nuova» è chiamata anche « moderna » e l'epoca « moderna » è chiamata anche «contemporanea», soprattutto se considerata dalla rivoluzione francese del 1789 in poi; inoltre, si presenta assai elastica nei termini cronologici di inizio e fine1. 1 Se dalla fine del secolo XVII, gli inizi del M. generalmente si fanno risalire al momento della caduta dell'Impero romano, la sua fine, invece, risulta problematica. Secondo i criteri adottati, infatti, la datazione di questa può variare di più secoli: se si privilegia la dimensione culturale, il M. termina nel secolo XIV con la rinascita delle lettere; se, invece, si privilegia la prospettiva politica e militare, il limite cronologico è costituito dalla caduta di Costantinopoli nel 1453. Alla fine del XIX -secolo, l'insegnamento della storia adotta nelle scuola, nel liceo, nell'università una partizione cronologica rigida del tempo della storia in quattro momenti successivi: Antichità, M., Età moderna, Età contemporanea. Oggi questa divisione canonica del passato - divenuto un vero peso per la scuola delle Annales e la Nouvelle Histoire - è rimessa in discussione. A monte, sulla scia dei lavori di Henri-Irénée Marrou, la visione tragica della caduta dell'Impero romano cede il passo a una concezione più positiva della tarda Antichità, considerata come un periodo di mutazione e di creazione. La sua rivalutazione comporta, come contraccolpo, la riabilitazione dell'Alto M., naturalmente radicato nella tarda Antichità. All'altro capo di questa catena temporale, Jacques Le Goff propone una periodizzazione particolarmente originale. Essa riguarda un M. considerato di lunga durata, derivato da una tarda Antichità prolungata praticamente fino al secolo X e 2 Storia della Chiesa 2 Il problema più grave, tuttavia, è che il concetto di « medioevo » appare quasi del tutto incomprensibile fuori dell'ambiente europeo in cui è nato. Come scrive G. Barraclough, lo schema antichitàmedioevo-epoca moderna, di validità «assai dubbia già per la storia europea, diviene ancor più discutibile nel caso dell'Asia e dell'Africa.. Qualcuno, insomma, è arrivato ad affermare che il medioevo esiste ancora semplicemente perché continuano a esserci le cattedre universitarie di storia medievale, i libri di storia dedicati al medioevo e un certo folclore popolare legato a quest’età. Ancor più discutibile, naturalmente, sembrerà allora la periodizzazione interna al medioevo stesso. Si è parlato comunemente, in passato, di «alto medioevo» e di «basso medioevo», più o meno divisi dall'anno 1000. Si è poi aggiunto il concetto di «tardoantico» (più o meno dal 200 al 600 d.C.) e di «transizione al mondo moderno» (1300-1520, equivalente a «epoca nuova»). Oggi diventa sempre più comune una periodizzazione proveniente, ma non solo, dall'area tedesca e inglese, che parla di un «primo medioevo» (dalla metà del secolo V alla metà del secolo X circa), di un «alto medioevo» (dalla metà del secolo X alla metà del secolo XIII) e infine di un «basso medioevo» (dalla metà del secolo XIII a tutto o quasi tutto il secolo XV). In tutta quest'opera di periodizzazione, appare particolarmente significativa la prima epoca, quella che va dal secolo V al secolo X. In essa, infatti, si sono verificati i più importanti spostamenti di popoli, le invasioni più decisive per i tre continenti principali Asia, Africa, Europa. Dopo quest'epoca il mondo, un po' dovunque (perfino nella lontana e sconosciuta America), non è stato più come prima, ha camminato con idee e prospettive ormai radicalmente nuove. 2 Le sfide del cristianesimo in età medievale 2.1 L’avvento di una nuova egemonia in occidente: dall’impero latino ai regni romano/germanici. • - pressione sui confini orientali dell’impero romano a più riprese - 410 sacco di Roma da parte di Alarico: trauma per chi identifica il cristianesimo con la romanitas ⇒ eppure fino ad un secolo prima perdurava la persecuzione. Precedentemente vi era identificazione tra civiltà romana e cristianesimo, non è concepibile la cristianizzazione dei barbari • Ciò che era stato forza per l’espansione romana diviene la sua debolezza: vastità, eterogeneità delle culture. Assistiamo al decadere della leadership latina nel bacino del Mediterraneo e in Europa, che è predominanza dal punto di vista non solo militare, ma culturale - giuridico, statuale. il riconoscimento pubblico del Cristianesimo coincide con il venir meno dei motivi ideali su cui si regge l'impero romano, sull'ideologia di Roma caput mundi, accompagnato da una perdita di una identità forte, scadimento morale della classe dirigente, calo delle nascite, devianze sessuali. • La Chiesa in occidente acquista nel vuoto di potere, dovuta alla destrutturazione dell’impero romano, un’autorità che in oriente le è preclusa dalla presenza dell’impero bizantino. • il ruolo di mediazione dei vescovi durante le invasioni; la figura: l’incontro tra il vescovo e il re barbaro. 2.2 Problemi di evangelizzazione e di inculturazione. a) Per i popoli invasori si pone un problema: integrazione o rifiuto/contrapposizione frontale con la civiltà precedente? b) Per la Chiesa se ne pone un altro: quale tipo di evangelizzazione si opera nei confronti dei nuovi popoli? La Chiesa diviene elemento catalizzatore della sintesi/integrazione tra germanesimo e romanitas. Nella I epoca (500–700) l’incontro tra le due civilta’ fu superficiale e avvenne grazie articolato in tre parti: un M. centrale, dall'anno mille alla grande peste del 1348; un M. tardo, dal secolo XIV alla Riforma protestante; infine un lungo «autunno del M.», che dal punto di vista della storia delle «mentalità», si estenderebbe fino alla Rivoluzione industriale del secolo XIX. Questa appassionante e vitale interpretazione non è forse un'applicazione feconda aIla «lunga durata» inventata da Fernand Braudel nella «scrittura della storia»? CHRISTIAN AMALVI, voce Medioevo in Dizionario Enciclopedico del Medioevo, II, Città Nuova, Roma 1998,1170-1171. 3 Storia della Chiesa 2 all’attività missionaria. Solo con la II epoca (700–1000) si giunse ad una compenetrazione più profonda. In un primo periodo mentalità e abitudini germaniche continuarono a dominare lo stile di vita. Gradualmente si poté giungere a sopprimerle. La conversione di re e oligarchia militare è la figura di questa sintesi; non può prescindere dal fattore politico, dalla sua organizzazione. Quale ricaduta può avere questo sui comportamenti, sulle mentalità, sulla cultura? Questo induce, da parte dello stato a considerare la religione come instrumentum regni, non tanto nel suo versante ideale-ideologico, quanto in quello della sua organizzazione e struttura. A livello religioso si nota, tra l’altro, anche continuità e sostituzione di istituzioni, luoghi di culto e personale rispetto al paganesimo. Si assiste al fenomeno del Battesimo senza alcuna previa catechesi. L’inserimento dei vescovi nella sfera politica. Per conseguenza nel regno franco i vescovi sono reclutati tra l'aristocrazia militare; nasce in questo periodo la "cappella regia" = un gruppo di vescovi di corte, trait-d'union tra la suprema autorità politica e quella ecclesiastica. L’arianizzazione come scelta del cristianesimo minoritario in valenza antiimperiale Conquista politica e cristianizzazione delle popolazioni che non rientrano ancora nei nuovi regni. Da parte della Chiesa l'iniziativa evangelizzatrice riassume in Europa i contorni di tipo missionario: nasce la figura del monaco-missionario-vescovo itinerante al di fuori e al di sopra della struttura ecclesiastica organizzata. Ci troviamo già di fronte ad una rievangelizzazione. 2. 3 Dalla stanzialità alla territorialità. a) Lo strutturarsi rigido dei legami nella società feudale: la suddivisione in classi con la divisione dei compiti: clero (che dunque diventa classe) = rapporto con il sacro, nobiltà = difendere, popolo = lavorare; la divisione in classi della vita pubblica era considerata rispondente pienamente all’ordine voluto da Dio sulla terra. La rigorosa divisione in classi sociali, vigente nel mondo germanico, trova accoglienza anche nella chiesa (alto e basso clero). b) La chiesa si struttura non solo più come comunità di chierici e di popolo attorno alla sede vescovile; ma ha luogo una delocalizzazione ed una presenza progressivamente capillare nel territorio: le pievi e le parrocchie. Con la territorializzazione nasce un legame tra territorio e ufficio pastorale = il beneficio. Ogni “ente” ecclesiastico acquisisce anche un patrimonio e rendite agrarie. la concezione germanica del diritto del proprietario sul possesso terriero ha ripercussioni sugli affari interni della chiesa (tributi, redditi da donazione, amministrazione dei sacramenti, cura d’anime…). Spesso il vescovo non aveva alcuna autorità (“chiese proprie”). • Il Patrimonium Petri diviene Stato Pontificio nell’VIII sec. • Episcopato e papato in balia del potere laico nel X sec. Gli imperatori eleggono e destituiscono vescovi, disponendo liberamente del cosiddetto “patrimonio ecclesiastico”. 2.4 Il rapporto Chiesa-potere politico La comunita’ occidentale dei popoli affondava le sue radici sul riconoscimento generale del legame religioso e metafisico di tutti gli uomini a Dio. esisteva un’unica verita’, una suprema norma etica, una sola autorita’ morale sulla terra – la chiesa – alla quale tutti si piegavano. c’erano peccatori ed eretici ma erano resi innocui. l’unita’ era intangibile e insostituibile.. la vita interiore di questa comunita’ dipendeva dalla simbiosi esistente fra chiesa e stato (ellisse con i due fuochi, papato e impero). A differenza del centralismo orientale bizantino (tutto il mondo incentrato sull’imperatore) l’occidente si fondò stabilmente sul dualismo di poteri. questo portò al condizionamento reciproco delle due potenze. • La lotta per le investiture tra papato e impero, che culmina in Gregorio VII (1073) e termina con il Concordato di Worms nel 1122. La dottrina delle due spade (poteri) temporale e spirituale 2.5 Ecclesia semper reformanda: l’esigenza di autenticità evangelica, di riforma della Chiesa e le sue forme di devianza. La monasticizzazione come reazione alla secolarizzazione. Sono i religiosi a portare avanti l'istanza spirituale, con il rischio di monasticizzare la spiritualità. Non si avverte la preoccupazione di sviluppare una 4 Storia della Chiesa 2 spiritualità laicale e clericale. D'altro canto il monachesimo diviene elemento "pesante" nella vita della Chiesa, non solo come normante spiritualità e liturgia, ma anche come presenza organizzata, aspetto istituzionale, come influenza politica, come apetto economico.Ad una struttura istituzionale che si va diffondendo capillarmente si sovrappone una struttura spirituale (i santuari e i pellegrinaggi) Il monachesimo punta ad ascesi personale e conoscenza della Scrittura. La formazione di base è quella letteraria e grammaticale classica (latina) • Il monachesimo è il tentativo di riacquistare autonomia spirituale, ridonando prestigio ad episcopato e papato. Le varie riforme monastiche. La nascita dei canonici regolari. • Le correnti ereticali del sec. XI e XII. • La nascita nel XIII sec. degli ordini mendicanti: l’evangelizzazione delle città, la rievangelizzazione degli eretici, la missione presso gli islamici. L’emergere di una nuova figura cristiana: il frate • Il ritorno alla regularis observantia nel sec. XIV- XV. 2.6 Unità e divisione nella Chiesa. • I processi di separazione e riavvicinamento tra Chiesa d’oriente e d’occidente. Differenze politiche, culturali, teologiche e disciplinari. • Il grande scisma d’occidente dei sec. XIV-XV. La tensione esistente tra il primato papale e il collegio episcopale (conciliarismo). 2.7 Le grandi sintesi: • Le Summæ della teologia (XIII sec); nascita delle università. La Chiesa detiene incontestabilmente fino al XIII secolo il monopolio culturale. • Lo sviluppo del diritto canonico. • La costruzione delle cattedrali. • 2.7 Penitenza e Reconquista: • La riappropriazione degli spazi cristiani occupati dall’Islam e la difesa della verità contro gli eretici. • I pellegrinaggi penitenziali e le crociate. Culto dei santi protettori e delle loro reliquie (la settorializzazione del culto rispetto alla cristocentricità) La fortuna di san Michele e le sue tre mete. 5 Storia della Chiesa 2 LA CHIESA IN ORIENTE NEI SECOLI V°E VI° 1 DOPO IL CONCILIO DI CALCEDONIA 1.1 LUNGA CRISI APERTA DAL CONCILIO Lungi dall’apportare una conclusione al problema sollevato da Eutiche, il concilio di Calcedonia invece aprì una lunga crisi che occupò la fine del V secolo, tutto il VI, protrattasi molto oltre e non ancora conclusa quando l’invasione araba si abbatté sulla cristianità orientale. Le lacerazioni che essa provocò nel corpo stesso della Chiesa non si sono ancora del tutto rimarginate, dal momento che una parte considerevole delle chiese orientali per molto tempo rimase separata, proprio perché esse continuavano a rifiutarsi di accettare come valide le decisioni prese nel 4512. A problemi di difficile comprensione del linguaggio teologico si intersecavano problemi di natura politica e culturale. L’incondizionato appoggio dell’autorità imperiale non fu sufficiente neppure sul momento ad assicurarne l’accettazione da parte di tutti gli ambienti ecclesiastici dell’Impero d’Oriente. Già durante le sessioni del concilio, l’atteggiamento insolente della delegazione rappresentante i monaci di Costantinopoli e il disaccordo manifestato dai vescovi egiziani, lasciavano prevedere quella che sarebbe stata la violenta reazione anticalcedonese, e da quali parti avrebbe preso le mosse. 1.2 CONSEGUENZE DEL CONCILIO DI CALCEDONIA 2 Per quanto riguarda la chiesa assira (nestoriana) l'l1 novembre 1994 ha avuto luogo a Roma, da parte del katholikòs-patriarca mar Dinkha IV e del papa Gíovanní Paolo II, una dichiarazione cristologica congiunta nella quale viene riconosciuto che la fede cristiana, pur espressa con un vocabolario diverso, è identica nelle due Chiese. La Chiesa assira era l'unica delle Chiese apostoliche, tradizionalmente ritenute eretiche nel mondo occidentale, che non aveva ancora formulato tale dichiarazione circa la propria dottrina cristologica, gesto che dimostra come la sua presunta eresia fosse soltanto un fraintendimento verbale. È importante altresì che nella dichiarazione del 1994 sia stato riconosciuto espressamente che l'identità di dottrina è compatibile con la diversità di espressione teologica. Per quanto riguarda la chiesa giacobita (siro-occidentale) monofisita vi è stata una dichiarazione comune con la Chiesa cattolica, firmata il 23 giugno 1984: “Innanzi tutto, Sua Santità Giovanni Paolo II e Sua Santità Zakka I confessano la fede delle loro due Chiese, fede formulata dal Concilio di Nicea del 325 d.C., comunemente conosciuto come « Credo di Nicea ». Essi comprendono oggi che le confusioni e gli scismi avvenuti tra le loro Chiese nei secoli successivi, in nessun modo intaccano o toccano la sostanza della loro fede, poiché tali confusioni e scismi avvennero solo a causa di differenze nella terminologia e nella cultura e a causa delle va rie formule adottate da differenti scuole teologiche per esprimere lo stesso argomento. Conseguentemente, non troviamo oggi nessuna base reale per le tristi divisioni e per gli scismi che avvennero poi tra di noi circa la dottrina dell'Incarnazione. Con le parole e nella vita, noi confessiamo la vera dottrina su Cristo nostro Signore, malgrado le differenze nell'interpretazione di questa dottrina che sorsero all'epoca del Concilio di Calcedonia. Noi confessiamo che il nostro Signore e nostro Dio, il nostro Salvatore e Re di ogni cosa, Gesù Cristo, è perfetto uomo quanto alla sua umanità. in Lui la sua divinità è unita alla sua umanità. Quest'unione è reale, perfetta, senza mescolanza o commissione, senza confusione, senza alterazione, senza divisione, senza la minima separazione. Egli che è Dio eterno e indivisibile, è diventato visibile nella carne e ha preso la forma di un servo. In Lui umanità e divinità sono unite in un modo reale, perfetto, indivisibile e inseparabile, e in Lui tutte le sue proprietà sono presenti e attive”. La dottrina cristologica della Chiesa armena coincide con quella cattolica. Essa rifiuta sia il nestorianesimo che il monofisismo, anche se la gerarchia armena non ha sottoscritto nessuno dei dogmi che sono stati definiti dopo il 451, data del concilio di Calcedonia, al quale i vescovi armeni, com'è noto, non parteciparono. Uidentità fondamentale della sua fede in Cristo con la dottrina di Calcedonia è stata però formalmente riconosciuta dal nuovo katbolikòs supremo di Echmiazdin, Karekin I, nella dichiarazione comune firmata con il papa Giovanni Paolo II in Vaticano il 13 dicembre 1996. La Chiesa armena era l'unica a non avere ancora affermato la coincidenza della sua teologia cristologica con quella ortodossa definita a Calcedonia, quantunque espressa sotto formulazioni di sapore apparentemente monofisita ereditate dalla propria tradizione. Per quanto riguarda la Chiesa copta Shenuda III a Roma, insieme al papa Paolo VI, il 10 marzo 1973 firmò una dichiarazione cristologica comune. Dopo aver riconosciuto che le dispute del passato erano di natura terminologica, Nel 1979, in un messaggio al papa, Shenuda III affermava: «P- chiaro che le nostre due Chiese confessano e professano sostanzialmente la stessa dottrina, secondo la quale Cristo nostro Signore è Dio incarnato, perfetto nella sua divinità e ugualmente perfetto nella sua umanità». Conseguente con la riserva avanzata nella precedente dichiarazione, ripeteva in questa occasione che in materia ecclesiologica il progresso reale nel dialogo era stato molto modesto. Rimangono infatti ancora molti punti da trattare nelle teologie delle due Chiese: il Filioque aggiunto al Credo, la natura e il ruolo dello Spirito Santo, la dottrina del purgatorio e, soprattutto, la concezione stessa della Chiesa posta sotto la giurisdizione universale del romano pontefice. 6 Storia della Chiesa 2 Sul piano teologico la formula cristologica calcedonese non riesce a divenire popolare; sul piano ecclesiologico le chiese d’Egitto e Siria, monofisite, non si riconcilieranno più con Costantinopoli. La Chiesa d’Egitto, vista la sua forte unità, fedele alla tradizione, si schiererà quasi all’unanimità dietro Dioscoro, malgrado la sua condanna. Inutile sarà da parte dell’imperatore Marciano, la sua deportazione in fondo alla Paflagonia, imponendo con l’intervento dell’esercito un successore ortodosso La massa del popolo resterà fedele al patriarca deposto. Se l’imperatore Marciano impone una gerarchia “melchita” (=imperiale) di fede calcedonese, continua pure una gerarchia monofisita, che ha l’appoggio popolare. L’opposizione anticalcedonese appare in qualche modo la religione nazionale del popolo egiziano; la sua autorità non viene contestata all’interno del paese, nelle masse popolari, che, in minima parte raggiunte dall’ellenizzazione, sono rimaste fedeli alla vecchia lingua copta; ad Alessandria stessa l’ortodossia calcedonese recluterà dei seguaci praticamente solo in una élite di lingua greca che finisce per apparire estranea al paese, nonché negli ambienti vicini al potere, almeno per tutto il tempo che questo si mantiene fermamente fedele alla linea dottrinale definita dal concilio del 451. In Palestina: l’opposizione non si è limitata all’Egitto, dove pure ha trovato un appoggio generale, ma si è manifestata anche in Palestina dove un usurpatore monofisita del patriarca Giovenale di Gerusalemme riesce, in un breve periodo, a consacrare numerosi vescovi palestinesi anticalcedonesi. In Siria l’opposizione appare ben rappresentata: oppositori e fautori del concilio si fronteggiano aspramente. C’è da chiedersi se l’opposizione al concilio in queste regioni non rispecchi i rancori e la rivolta contro il potere imperiale da parte di aree culturali, liturgiche e teologiche molto importanti, messe in ombra a Calcedonia, rispetto alla preminenza della sede imperiale e della sua Chiesa. Non solo: quel che abbiamo detto è sufficiente a dimostrare su quali considerevoli forze si appoggiasse la resistenza alle decisioni dogmatiche prese nel 451. Invano gli imperatori, volta per volta, cercarono di spezzarla, mettendo a servizio dell’ortodossia tutta l’autorità, tutta la forza di cui disponevano, non esitando ad esercitare la violenza per imporre ai recalcitranti dei vescovi ortodossi o per integrarli quando erano stati scacciati dalla loro sede. Una simile vigorosa politica interventistica, quella che abbiamo visto adottata dall’imperatore Marciano, sarà continuata o ripresa dai suoi successori Leone e Zenone, per lo meno fino al 482, e più tardi da Giustino I, da Giustiniano, con le sfumature e i cambiamenti di rotta del suo regno, da Giustino II dopo il 571. Quest’azione repressiva, indubbiamente, è stata talvolta rallentata o bloccata dalle influenze in senso contrario esercitate nella sfera stessa del potere. Si comprende come in presenza di una resistenza ostinata, perfino irriducibile, la volontà imperiale abbia talvolta vacillato e, cambiando bruscamente atteggiamento, abbia di volta in volta tentato anche una politica di riserva, di riavvicinamento all’opposizione e più precisamente di unione, questo tanto più che il fossato dottrinale che separava ortodossi e dissidenti non appariva così largo da non poter essere colmato. Già l’imperatore Leone aveva creduto di dovere, se non rimettere in questione il concilio di Calcedonia, per lo meno consultare in proposito l’episcopato (ottobre 457); le risposte quasi all’unanimità erano state in favore della fedeltà al concilio. 1.4 LO SCISMA ACACIANO3 L’imperatore Zenone, dopo essersi adoperato in favore del ristabilimento dell’ortodossia nei primi anni successivi alla sua ascesa al potere (476), promulgò nel 482 l’editto di unione Enotikòn, sotto l’influenza del patriarca di Costantinopoli Acacio, che a sua volta aveva avuto diverse oscillazioni: questo documento esaltava la memoria di Cirillo di Alessandria e le sue dodici proposizioni e citava il concilio del 451 soltanto in modo indiretto ma comunque negativo; concludeva con un appello all’unità intorno al Simbolo niceno considerato la sola definizione ufficiale della fede. 3 Date fondamentali: 475 Enkyklion dell’imperatore Basilisco e condanna di Calcedonia (ritorno alle formulazioni dogmatiche precedenti); 476 revoca dell’Enkyklion; 482 su proposta del patriarca Acacio, l’imperatore Zenone approva l’Enotikòn; 484 un sinodo romano con papa Felice scomunica Acacio (cancellazione dai dittici) 7 Storia della Chiesa 2 Zenone e poi il successore Anastasio (491/518) cercarono a lungo di far aderire a quell’equivoca forma di unione tutto l’Impero. Accolto con ripugnanza più o meno dichiarata dagli ambienti monofisiti più ardenti, l’Enotikòn appare inaccettabile ai calcedonesi più zelanti; soprattutto Roma tiene valida la dottrina definita da san Leone, condanna solennemente l’Enotikòn e Acacio. Nel 518 sale al trono l’imperatore Giustino, per cui cambia la politica religiosa imperiale: Roma è influenzata da Teodorico re degli ostrogoti (493/526). Costantinopoli è continuamente minacciata da Vitaliano, generale goto. A Costantinopoli cresce il partito calcedonese guidato dai monaci acemiti. Nel 519 sembra vicina la riconciliazione con Roma e la fine dello scisma: la chiesa bizantina si sottomette alla “Regula fidei Ormisdae”4, condannando i patriarchi e gli imperatori non calcedonesi. I vescovi orientali che non si sottomettono sono sostituiti da vescovi imperiali. Nonostante ciò, il monofisismo non retrocede. 2 GIUSTINIANO (527-565) 2.1 LA POLITICA DI “MEDIAZIONE” Nonostante l’ideale di unità tra Chiesa e Stato, che escludeva ogni deviazione ereticale sulla base della confessione calcedonese, l’autocrate Giustiniano, certo sotto l’influsso della sua consorte Teodora, manteneva il contatto con i monofisiti moderati. Giustiniano promosse una cristologia di mediazione (neocalcedonesimo), che tra l’altro andava incontro al motivo ascetico della conformazione con Dio, per conseguire la conciliazione tra ortodossi e monofisiti. Un preludio dell’autoritaria politica religiosa di Giustiniano fu rappresentato dalla rinnovata contesa intorno ad Origene, al quale già sulla svolta verso il V secolo erano stati rimproverati falsi insegnamenti come la preesistenza delle anime e la restaurazione universale alla fine dei tempi (apocatastasi). Propagato da Evagrio Pontico come maestro di vita spirituale, egli continuava come prima ad esercitare una forte attrazione sul monachesimo. La disputa origeniana si estese tanto che Giustiniano condannò con un editto Origene (543), andando così evidentemente incontro ai monofisiti. 2.2 TRA IMPERO ED ECUMENE CRISTIANA Giustiniano lasciò la sua impronta in ogni campo: salito al trono, trovò una situazione abbastanza florida: lo zio Giustino, suo predecessore, aveva lasciato le finanze imperiali in condizioni ottime, le frontiere tranquille, un apparato amministrativo esoso ma efficiente. Giustiniano fece suFormula di fede di Ormisda, mandata a Costantinopoli l'11 agosto 51 “(1) L'inizio della salvezza è custodire la regola della retta fede e non deviare in nessun modo da quanto stabilito dai padri. E giacché non si può non tenere conto della sentenza del Signore nostro Gesù Cristo, che dice: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa» [Mt 16,18], quanto fu detto vien dimostrato dai fatti che seguirono, giacché presso la sede apostolica la religione cattolica è sempre stata conservata immacolata. (2) Non desideriamo dunque affatto separar(ci) da questa speranza e (questa) fede e, seguendo in tutto quanto i padri hanno stabilito, anatematizziamo tutte le eresie, particolarmente l'eretico Nestorio, che è stato a suo tempo vescovo della città di Costantinopoli, (e fu) condannato nel concilio di Efeso da Celestino, papa della città di Roma e da san [dal venerabile] Cirillo, vescovo della città di Alessandria; assieme a costui [similmente] anatematizziamo Eutiche e Dioscoro d'Alessandria, condannati nel santo concilio di Calcedonia, che seguiamo e abbracciamo , e che sulle orme del s. concilio di Nicea proclamò la fede apostolica]. (3) Aggiungiamo a costoro [Detestiamo anche] il traditore Timoteo soprannominato Eluro, e il suo discepolo e in tutto <suo> seguace Pietro d'Alessandria; così pure condanniamo [anche] e anatematizziamo Acacio, vescovo di Costantinopoli, condannato dalla sede apostolica, loro complice e seguace, oppure coloro che sono rimasti nella condivisione di comunione con loro: giacché [Acacio] meritò nella condanna un giudizio simile (a quello) di coloro alla cui comunione si unì. Condanniamo non di meno Pietro d'Antiochia con i suoi segnaci e i seguaci di tutti i sopraddetti. (4) Conseguentemente accogliamo [invece] e approviamo tutte le lettere del beato papa Leone; da lui scritte circa la religione cristiana. Quindi, come abbiamo sopra detto, seguiamo in tutto la sede apostolica e proclamiamo tutto quanto è stato da essa stabilito, [. E perciò] spero di meritare di essere nell'unica comunione con voi, (quella) proclamata dalla sede apostolica, nella quale c'è l'integra e verace [e perfetta] solidità della religione cristiana: promettiamo [prometto] anche [in futuro] di non leggere durante i misteri i nomi di coloro che sono stati allontanato dalla comunione con la chiesa cattolica, cioè coloro che non sono d'accordo con la sede apostolica. [Che se cercherò in qualcosa di deviare dalla mia professione, professo che per il mio stesso giudizio sono complice di quanti ho condannato. 8 Storia della Chiesa 2 bito comprendere quale alta concezione egli avesse dei doveri e dei compiti del sovrano di Costantinopoli: l’Impero romano doveva tornare ai suoi vecchi confini, i barbari dovevano essere cacciati da tutti i territori occupati. Malgrado l’occupazione germanica dell’Occidente, era rimasta infatti sempre viva l’idea dell’unità e universalità dell’Impero romano. Saldandosi a sua volta con l’idea universalistica cristiana, il concetto di imperium finiva per coincidere con quello di ecumene cristiana. L’espansione politica e militare dell’Impero bizantino tendeva di conseguenza ad apparire come un momento fondamentale nell’affermazione della fede cristiana e dell’ortodossia religiosa. 2.3 LA CONTROVERSIA DEI “TRE CAPITOLI” Sedotto dal miraggio di una politica di unione e tormentato d’altra parte dall’influenza di Teodora, Giustiniano doveva ben presto costatare che la sua volontà pacifista continuava ad urtare contro l’ostinazione del partito monofisita: riprese perciò con accresciuta brutalità la politica di repressione poliziesca, senza tuttavia perdere la speranza di riportare i ribelli alla ragione. Spinto non soltanto dall’imperatrice, ma anche dai monaci origenisti venuti dalla Palestina, col desiderio di riabilitarsi dopo la condanna che li aveva nel frattempo colpiti, egli si decise ad un nuovo passo, che mettesse in evidenza in modo ancor più solenne la distanza tra la posizione calcedonese e il nestorianesimo: i monofisiti traevano volentieri argomento dal fatto che il concilio di Calcedonia aveva riabilitato tre vittime del Latrocinio efesino, il grande Teodoro di Mopsuestia, precursore di Nestorio, il suo amico Teodoreto e infine il loro discepolo Ibas di Edessa. Nel 543/544 Giustiniano, in modo autoritativo, come signore della chiesa e del dogma, promulgava un nuovo editto dogmatico in cui condannava quel che si è convenuto chiamare i Tre Capitoli (cioè un montaggio di testi attribuiti, talvolta in modo anche un po’ artificioso, a questi tre autori). Poiché egli protestava nello stesso tempo la propria fedeltà a Calcedonia, questo nuovo passo non produsse alcun effetto sui monofisiti che si proponeva di riconciliare; doveva invece far sprofondare la Chiesa in una crisi confusa e dolorosa. Accettata dai patriarchi orientali, la condanna dei Tre Capitoli urtò innanzitutto contro una risoluta opposizione da parte dell’Occidente: sfuggendo al pericolo o alla seduzione monofisita, esso era sempre più caratterizzato da una fedeltà incondizionata al dogma definito da san Leone e dal concilio di Calcedonia. Deciso ad assicurarsi l’appoggio di papa Vigilio, Giustiniano lo fece prelevare, trasportare e tenere sotto sequestro a Costantinopoli (gennaio 547). Doveva restarvi per più di sette anni, sottoposto ad una pressione inumana, che si esercitava un po’ con la persuasione un po’ con la minaccia: anziano, malato, il povero Vigilio resistette a lungo, cedette, negoziò ancora, ruppe con l’imperatore, si rifugia a Calcedonia e fa solenne ritrattazione; ricondotto a Costantinopoli finì col cedere di nuovo finendo col redigere una formula conforme alla volontà imperiale : lo Judicatum5. Amareggiati per questa “incostanza”, gli episcopati del Nordafrica, della Gallia e dell’Italia settentrionale gli ritirarono la comunione ecclesiale e contemporaneamente criticarono a fondo la politica ecclesiastica di Giustiniano. Si apre una catena di reciproche scomuniche. 2.4 IL V CONCILIO ECUMENICO DI COSTANTINOPOLI (553) Per eliminare l’aspro conflitto, imperatore e papa decisero di radunare un concilio ecumenico nel quale si sarebbe dovuto definire la questione. Anche se papa Vigilio aveva accettato la convocazione di un concilio che trattasse la questione dei Tre Capitoli e che fosse da lui presieduto, i primi contrasti sorsero sul numero dei padri da invitare. Giustiniano voleva che ognuno dei cinque patriarcati (quattro dei quali orientali; Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme e uno 5 Con i «Tre capitoli» si intende lo scritto Contra impium Apollinarium libri III di Teodoro di Mopsuestia, gli scritti (Pentalogus) di Teodoreto di Ciro contro Cirillo d'Alessandria e la lettera di Iba di Edessa al Persiano Maris. L'imperatore Giustiniano richiese la condanna di questi «scritti nestoriani». In una prima costituzione il papa espresse l'anatema contro 56 sentenze di Teodoro di Mopsuestia, senza tuttavia condannare la sua persona. Egli difese l'ortodossia di Teodoreto e di Iba e aggiunse anatematismi di tono generale contro gli errori nestoriani. In una seconda costituzione Dominus noster et Salvator del 23 febbr. 554 il papa cedette alla pressione di Giustimano e condannò i «Tre capitoli». 9 Storia della Chiesa 2 solo occidentale: Roma) mandasse lo stesso numero di rappresentanti, il che avrebbe significato già in partenza una schiacciante maggioranza dei vescovi orientali, notoriamente legati all’imperatore (166 contro 12). Poiché il papa, temendo di essere vittima di imposizioni, rifiutò sia di partecipare personalmente, sia di mandarvi dei legati, il concilio, apertosi il 5 maggio, decise di continuare ugualmente i lavori sotto la presidenza di Eutichio di Costantinopoli. Alla fine si riaffermava la validità dei deliberati dei primi quattro concili ecumenici, ivi compreso quello di Calcedonia. Nel frattempo papa Vigilio, concordemente ad altri 13 vescovi occidentali e tre orientali, promulgò il Constitutum, il 23 febbr. 554 in cui condannava alcune proposizioni di Teodoreto, ma non la persona. Il concilio il 2 giugno formalizzò la condanna dei tre capitoli con 14 anatematismi tratti dal decreto di Giustiniano. 2.5 BILANCIO DELLA CONTROVERSIA L’esistenza ancora oggi di chiese nestoriane e monofisite è il segno più evidente della gravità delle controversie sorte e sviluppatesi nel sec. V. Il mondo orientale cristiano non si presenta unitario, ma diviso; è un’amara constatazione. Certo i concili di Efeso e di Calcedonia costituirono una tappa dello sviluppo dottrinale cristologico con influenze nella liturgia, nell’ascetica e nella mistica, ma chi considera lo sviluppo dei fatti e le loro conseguenze deve fare anche molte osservazioni negative. L’episcopato non diede, salvo alcune eroiche eccezioni, un confortante esempio di costanza e di fermezza. A parte le violenze nel linguaggio, già per sé fatto molto grave, è il comportamento stesso che lascia perplessi: il passare facilmente dall’approvazione di un documento al totale ripudio è indizio di indecisione e di estrema debolezza. Ciò dipese in gran parte da vicende politiche, perché l’intervento massiccio e autoritario degli imperatori bizantini, anche con documenti dottrinali, complicò più che pacificare la controversia. L’episcopato fu succube di questa volontà e spesso si adattò supinamente alla volontà imperiale: il cambio di imperatore, non infrequente, significò spesso mutamento di indirizzo nel campo dottrinale. L’intervento imperiale, mosso dal desiderio di pacificazione e come adempimento di un dovere per il bene della Chiesa, creò per questa una situazione di dipendenza dalle autorità politiche: tali interventi assunsero anche l’aspetto di persecuzione dilacerando ulteriormente le chiese orientali. 10 Storia della Chiesa 2 LA CHIESA IN OCCIDENTE NEI SECOLI V E VI 1 LE INVASIONI BARBARICHE 1.1 PREMESSA Di fronte ad una pressione esterna (quale quella ai confini dell’impero romano, o ex impero), vi sono due possibili prese di posizione: - la contrapposizione frontale e il rifiuto di accogliere la sfida: come i Celti in Gran Bretagna che non comunicano la fede ai vincitori angli e sassoni, con un patriottismo esacerbato che rifiuta il dialogo... - la flessibilità e il desiderio di integrazione: come Gregorio Magno (+604) che riesce a fare del papato l’autentico polo di attrazione dell’Occidente; accoglie la sfida dei barbari e la sfrutta come occasione, con l’aiuto dei benedettini, per l’evangelizzazione; oppure come nel caso di Clodoveo, re dei franchi, che si converte al cattolicesimo nel 496/499 con tremila suoi guerrieri... 1.2 LA CADUTA DELLA PARS OCCIDENTIS Nella Pars Occidentis dell’impero romano, durante il secolo V, tutto si sfaldava, tutto volgeva irreparabilmente in tragedia. Al vertice dello Stato stava un imperatore imbelle, dominato dal generale barbaro di turno, tra intrighi e lotte per il potere; l’esercito si spaccava in corpi autonomi per iniziativa di capi ribelli che cercavano l’avventura personale; governatori e burocrati dell’amministrazione civile sottoponevano i sudditi a vere e proprie persecuzioni per costringerli a pagare tasse che poi, invece che versare alle casse dello Stato, intascavano loro stessi. Cominciò così la lunga agonia dell’impero. Nel 402 l’imperatore Onorio spostava per sicurezza la sua corte da Milano a Ravenna, città naturalmente più difesa e difendibile. Lo sfacelo procedeva inevitabile: Alarico ebbe via libera e puntò con il suo esercito sulla stessa Roma, che riuscì ad espugnare e a saccheggiare nel 410. Il fatto, militarmente non eccezionale, ebbe una risonanza psicologica e politica enorme: mai l’impero di Roma aveva visto violata da nemici la propria capitale; e pagani e cristiani si trovarono d’accordo nel piangere sulle rovine dell’Urbe e nel giudicare il sinistro come una punizione-richiamo di Dio o degli dei verso i romani6. Gli effetti del “sacco di Roma” furono traumatici soprattutto per coloro che avevano identificato cristianesimo e romanitas (identificazione di cui è celebre esempio l’esaltazione di Costantino da parte d’Eusebio di Cesarea). A parte il saccheggio di Roma, fu grave per l’impero costatare la facilità con cui contingenti barbari potevano penetrare a fondo in tutti i territori e insediarsi senza trovare quasi resistenza. Va notato che ciò che era stato forza per l’espansione dell’impero, sembra essere ora motivo principale di debolezza e fianco aperto alle invasioni: le vie di comunicazione, l’integrazione culturale, la forte centralizzazione e burocratizzazione (esercito e classe dirigente). Così, nel giro di qualche decennio, l’Occidente si coprì di insediamenti barbarici, mentre il governo di Ravenna faceva da spettatore o quasi. La gravissima mutilazione di territori da parte di visigoti, vandali, burgundi, unni, etc., accelerò la dissoluzione dell’impero. Nel vuoto di potere temporaneamente creatosi, tutti tentarono d’insediarsi: l’imperatore di Costantinopoli, che mirava ad assorbire l’Occidente; l’aristocrazia, che brigava per crearsi un governo su misura; la stessa Chiesa, ormai cresciuta anche come forza politica, che intendeva far sentire il suo peso; e soprattutto i barbari, più che mai decisi ad ereditare l’impero di Ravenna. Il 476 è l’anno che, tradizionalmente, segna la caduta dell’impero romano d’Occidente. Da allora fino all’anno 800, cioè fino all’incoronazione di Carlo Magno, l’occidente non avrà più un suo imperatore. Il fatto della deposizione di Romolo “Augustolo”, rispetto al sacco di Roma, non suscitò particolari tragedie: tutte le forze in campo sembrano anzi liete di aver parte nell’eredità: l’impero d’Oriente non aveva più di fronte l’impero d’Occidente; i barbari d’Italia si trovavano tito6 Lettura teologica della realtà: sant’Agostino sostenne nel Sermo de excidio Urbis che se Roma era distrutta i romani sopravvivevano: civitas non in parietibus sed in civibus est. 11 Storia della Chiesa 2 lari di un regno; l’aristocrazia era convinta (illusa) di poter manovrare il governo barbaro a suo piacimento; la Chiesa traeva nuovo spazio politico dall’indebolimento del potere laico. In effetti, se la caduta dell’impero romano d’Occidente passava quasi inosservata, era perché in realtà essa era già avvenuta da un pezzo: le forze su cui Costantino, fin dagli inizi del secolo IV, aveva contato (impero d’Oriente, regni barbarici, aristocrazie locali, Chiese), lentamente ma inesorabilmente lo avevano strozzato. 1.3 PRIME CONSEGUENZE PER LA CHIESA Nell’Occidente del V-VI secolo, la forza che ebbe più peso fu la Chiesa cattolica. Essa non disponeva di un suo regno o di un suo esercito; ed era anzi alla mercé di tutti i regni e di tutti gli eserciti. Ma in un mondo dove tutto crollava, dove nessuno dava più salvezza, il credito di cui godette fu grande: la gente si sentiva parte della Chiesa, non più dell’impero; si riconosceva nei vescovi prima che nei funzionari civili o militari. Tutto ciò ingigantì il ruolo del papa: da Roma non parlava più un semplice uomo, ma la “Sede Apostolica”, la “cattedra di Pietro”. Una Chiesa siffatta, condizionò a fondo il successo o meno dei regni barbarici. Mentre i vandali mutilarono, uccisero ed espulsero vescovi, crearono martiri oltre che preparare la propria rovina, i franchi fecero la propria fortuna per aver accolto gli ecclesiastici nel governo del regno: solo i vescovi, infatti, d’accordo con i proprietari terrieri, seppero compaginare le masse rurali, che erano pagane e parlavano celtico, al pur fragile regno merovingio. In Italia, ad esempio, fu il fallito rapporto con la Chiesa, ossia con i sudditi cattolici, a far precipitare la crisi del regno gotico. Il dramma dell’Italia fu tuttavia accentuato dalla peculiarità delle sue vicende politiche. La penisola non ebbe nessun re come Clodoveo, ma al contrario vide un succedersi di governi fragili. 1.4 LA CHIESA E LA “SFIDA” DEI BARBARI Passato il momento dello sconcerto, il cristianesimo si riconsolida nella speranza. La Chiesa sa che qualunque attaccamento, legittimo, nobile e riconoscente possa essa nutrire per la civiltà che l’ha accolta, si tratta pur sempre di un sentimento umano: essa è chiamata ad oltrepassarlo, proprio come è chiamata ad oltrepassare l’iniziale “disgusto” provocato dalla rozzezza barbarica. Per questo la Chiesa resiste, in mezzo alle prove inflitte dai barbari nel V secolo, ai tentativi effimeri di restaurazione dell’impero romano d’Occidente, anche se è costretta in molte regioni ad un arretramento. costante nella storia della Chiesa Un processo di fusione si era del resto già innescato nel momento in cui i contadini avevano cominciato a guardare ai barbari come ai liberatori dal fisco imperiale oppure vi si erano rassegnati come ai nuovi padroni. La terra torna ad essere la vera ricchezza e la base giuridica germanica si presta assai bene, sul piano sociale e familiare, ai bisogni di una società meno urbana e più autarchica. I barbari disposti a romanizzarsi incontrano dei romani disposti a ricevere o a ritrovare delle strutture più tribali o familiari e meno statalistiche o centralizzate. Questa compenetrazione di vincitori e vinti è agevolata, coscientemente ed efficacemente, dalla Chiesa. Come già Roma nei confronti della Grecia, “vinta vittoriosa”, così i barbari conquistatori vengono conquistati dalla “romanità”. La conversione non si rivela forse come il segno dell’entrata dei barbari nella civiltà, trovandosi il vescovo, molto frequentemente, ad essere il solo difensore della città? L’entrata nella Chiesa significa l’inserimento psicologico e culturale in una vita retta da una organizzazione coerente di tipo monarchico e gerarchico, unificata dalla prestigiosa lingua latina, con i suoi privilegi, la sua cultura, il suo passato, la sua tradizione scritta, il suo patrimonio sociale di cui mancano drammaticamente quei popoli che vengono presentati senza memoria storica, senz’altra giustizia che il diritto del più forte e senza dimora. Si dà quindi origine ad una nuova sintesi. 2 LA CHIESA NELLE ISOLE BRITANNICHE 2.1 PREMESSA: L’INVASIONE ANGLO-SASSONE 12 Storia della Chiesa 2 Importanza decisiva va attribuita innanzitutto al Vallum Adriani, dove si era di fatto fermata, anche se non assolutamente, la civilizzazione romana (più a nord i Pitti, in Irlanda gli Scotti). La prima evangelizzazione datava alla fine del II sec. Nel IV sec. erano documentati i vescovadi di Londra e York. Sotto l’ondata degli invasori Anglo-Sassoni, i Celti, più o meno romanizzati ma già in gran parte cristianizzati, retrocedono o sono progressivamente sommersi ; scompare al grande infrastruttura ecclesiastica metropolitana Il cristianesimo celtico, arretrando, da una parte rifiuta di cogliere la sfida dell’evangelizzazione dei “barbari”, dall’altra, pur assediato, riesce a sopravvivere. Rimangono piccole comunità e monasteri come centri del cristianesimo celto-latino e baluardi della fede cattolica. La Gran Bretagna è profondamente sconvolta dall’invasione anglo-sassone: ogni accenno alla città di Londra sparisce dai nostri documenti tra il 457 e il 604; nell’est del paese, il cristianesimo praticamente scomparve sotto l’afflusso dei conquistatori pagani. Per contro, il rifluire di una parte dei Britanni sulle regioni occidentali, ebbe, a quanto risulta, un’influenza favorevole sulla penetrazione del cristianesimo. Se la vernice di romanità che queste popolazioni avevano ricevuto si scrosta abbastanza rapidamente, e i caratteri celtici riprendono definitivamente il sopravvento, la religione cristiana, non soltanto resiste, ma si sviluppa nella Cornovaglia e nel paese del Galles: la distribuzione geografica delle iscrizioni cristiane rinvenute, che risalgono ai secoli V-VII, si estende a molti altri luoghi oltre a quelli dove sorgevano costruzioni dell’epoca romana. Effettivamente ha inizio un periodo nuovo per la storia del popolamento di questo paese e della sua Chiesa. Per quel poco che ci è permesso di cogliere della fisionomia dei santi, che l’hanno glorificata soprattutto nel VI secolo, dagli incerti documenti che li riguardano, è effettivamente una Chiesa di tipo molto diverso (in rapporto a quell’epoca romana), una Chiesa prevalentemente monastica e dai tratti celtici nettamente pronunciati. 2.3 SAN PATRIZIO APOSTOLO DELL’IRLANDA Dalla Gran Bretagna proviene san Patrizio, l’apostolo dell’Irlanda. Gli inizi del cristianesimo in quest’isola, che era sfuggita alla dominazione romana, sono avvolti nell’oscurità ma la parte decisiva che ebbe san Patrizio nella sua conversione resta indiscussa. Nato in Britannia, alla fine del IV sec. da famiglia agiata, rapito a 16 anni da pirati Scotti (irlandesi), presso il Vallum Adriani, durante sei anni di prigionia si converte al cattolicesimo; fugge ; si forma in Gallia, in ambienti martiniani, probabilmente ad Auxerre e a Lerins, forse giunge a Roma. Il suo apostolato si colloca, pare, dal 432 al 461, dopo quello di Palladio, inviato da papa Celestino, come primo vescovo degli Scotti. Patrizio parte dal nord Irlanda (Ulster) e Armagh diventa la sua sede vescovile. È difficile ricostruire le tappe e le vicissitudini della cristianizzazione del paese; essa dovette vincere la resistenza della classe dei sacerdoti druidi, detentori di una tradizione culturale che, pur non essendo scritta, era tuttavia ricca di valori originali. Patrizio “battezza” centri religiosi, riti e fede pagani. Questa tradizione, il temperamento nazionale vigoroso che si esprimeva in essa, aggiunti al relativo isolamento nel quale si sviluppò la cristianità irlandese, spiegano il fatto che nel corso del VI secolo, rivestisse dei caratteri molto particolari che distinguono questa Chiesa da tutto il resto dell’Occidente latino: si può parlare a buon diritto di un Chiesa celtica. Questa Chiesa possedeva delle usanze proprie, alcune delle quali provocheranno più tardi violenti conflitti. Ma il fatto importante è lo straordinario successo riportato dall’ideale monastico; il monachesimo ha avuto in Irlanda uno sviluppo prodigioso: si assiste a un pullulare di eremitaggi, di conventi di monaci e monache, che contano diverse migliaia di componenti. Fatto ancor più notevole: mentre in tutto il resto del mondo cristiano, la chiesa episcopale costituisce la cellula fondamentale dell’organizzazione religiosa, in Irlanda e in larga misura negli altri paesi celtici, è quasi esclusivamente il monastero a compiere questa funzione. La sua giurisdizione si estende al territorio circostante; il suo abate può essere insignito della dignità episcopale; se non lo è, si serve per la liturgia di vescovi claustrali posti sotto la sua autorità. 13 Storia della Chiesa 2 2.4 IRLANDA INSULA SANCTORUM L’Irlanda si onora di aver prodotto una folta schiera di santi e in particolare nei secoli V-VI. Questa spiritualità si distingue per un ardore non comune nella vita penitente, nella ricerca della mortificazione e dell’ascesi; malgrado la differenza di clima e di ambiente, vi si ritrova la stessa atmosfera carismatica, le stesse gesta, gli stessi eccessi talvolta, che abbiamo incontrato tra i primi Padri del deserto, in Egitto o in Oriente. Del resto, un buon numero delle pratiche che troviamo in Irlanda, avevano un corrispondente nel monachesimo orientale; povertà, austerità dell’abitazione, restrizioni nel sonno e nell’alimentazione; mortificazioni diverse spinte fino al disprezzo, talvolta fino alla sfida, della natura; ritiro, isolamento, silenzio, obbedienza rigorosa al maestro o all’abate. Il monachesimo irlandese pone l’accento anche sulla “lectio”. Assistiamo ad una monasticizzazione della spiritualità laicale Due usanze caratteristiche di questa spiritualità irlandese, data la profonda influenza che hanno esercitato sull’insieme della cristianità latina, sono, prima di tutto, la funzione attribuita alla penitenza sacramentale nella sua forma privata e ripetibile (quella della confessione auricolare). Legati a questa forma del sacramento si diffondono la penitenza tariffata e i libri penitenziali. Ne è nota l’evoluzione ulteriore: il cattolicesimo latino è venuto così ad ereditare dalla vecchia Irlanda uno degli aspetti caratteristici della sua pietà: la confessione frequente e l’intima associazione tra il sacramento di penitenza e la direzione spirituale. In secondo luogo, una delle pratiche ascetiche più care ai monaci celti: l’itineranza missionaria: si trattava di lasciare la patria e i parenti per andarsene a vivere in un ambiente sconosciuto, sempre più o meno ostile, e mettere questo trasferimento a servizio di Cristo, cioè in sostanza lavorare all’evangelizzazione dei popoli stranieri. Di qui è scaturita un’espansione spirituale che si è estesa alla Gran Bretagna da una parte e alla Gallia e alla Germania dall’altra. I monaci irlandesi hanno prima di tutto cooperato alla conversione dei pitti, tribù celtiche dell’attuale Scozia, conversione che praticamente era stata appena iniziata dalla Bretagna romana; ma la loro influenza raggiungerà gli stessi anglosassoni. 2.5 ALTRE SPEDIZIONI MISSIONARIE IN GRAN BRETAGNA L’azione evangelizzatrice dei monaci irlandesi sugli anglosassoni non fu la sola: fin dal 597 era sbarcato sul territorio di Kent un gruppo di missionari direttamente inviati da Roma da Gregorio Magno. Egli li inviò nel 596, diretti da un monaco del monastero da lui fondato, Agostino, che diventerà il primo arcivescovo di Canterbury. Essi trovarono la via tracciata grazie all’influenza di una principessa cattolica franca, pronipote di Clodoveo e moglie del re del Kent, Etelberto. Questi si convertì subito e venne battezzato insieme a un gran numero di sudditi. Questo movimento ebbe una vasta diffusione: fin dal 604 sant’Agostino era in grado di fondare vescovadi suffraganei a quello di Canterbury. Agostino lasciò Roma nel 596 con la missione di «predicare la parola Adi Dio ai popoli degli Angli un programma vasto che necessitava di precise modalità d'azione; queste si esprimono attraverso i numerosi scambi epístolari tra il missionario e il papa Gregorio Magno. Le lettere provenienti dalla Santa Sede rivelano contemporaneamente una grande coscienza dei problemi propri a tutte le missioni e una mancanza di informazione quasi totale della realtà britannica. Il progetto di organizzazione della Chiesa inglese presentato dal papato mette in evidenza tale sfasamento. Gli ordini, quattro, sono chiari: insediare una sede metropolitana a Londra con dodici vescovi dipendenti; stabilirne un'altra a York, che regni ugualmente su dodici vescovi. Questa suddivisione dell'antica Britannia fra due gruppi di dodici vescovi rileva più un'astrazione o un simbolismo che una conoscenza del paese in questione. La realtà, quale la visse Agostino, era tutt'altra cosa. L'Inghilterra offriva allora un'immagine profondamente diversa da quella che poteva offrire il resto del mondo romano occidentale all'epoca della cristianizzazione. Dopo quattro anni dall'arrivo di Agostino e dei suoi missionari sull'isola di Thanet i missionari, insediati ora a Canterbury presso la regina Berta e il re Etelberto, non hanno potuto ancora 14 Storia della Chiesa 2 mettere piede a Londra, distante meno di cento chilometri. Bisogna aspettare il 604 perché Agostino consacri due vescovi, Mellito per Londra e Giusto per Rochester. Mellito fu inviato a predicare nella provincia dei Sassoni orientali, e ciò fu possibile soltanto perché il re dell'Essex, Saeberth, era nipote di Etelberto del Kent. Ma questo insediamento non sopravvisse ai re Saeberth ed Etelberto, e nel 616 i vescovi Mellito e Giusto dovettero lasciare l'Inghilterra. Se Giusto poté riavere in seguito la sua diocesi, i Londinesi rifiutarono di ricevere Mellito. La sede di Londra non riprese, infatti, vita realmente che nel 675, quando Teodoro vi nominò Eorcenvaldo. Contrariamente ai desideri del papato, fu dunque Canterbury che si impose come sede metropolitana, prima perché il Kent fu la sola provincia in cui i missionari poterono trovare appoggio nella persona della regina Berta; poi perché Londra fu a lungo inaccessibile. Le cose furono altrettanto difficili , a York. Edvino di Northumbria chiese in moglie la figlia di Etelberto e Berta. Paolino allora, consacrato nel 625 accompagnò la giovane in Northumbria. Col sostegno della famiglia reale di Northumbria, poté dunque iniziare un'epoca di cristianizzazione assai notevole e ricevette il pallium, divenendo così il primo arcivescovo di York. Ma Edvino fu ucciso il 12 ottobre del 633, il che compromise gravemente tutta la sua opera. Paolino rientrò quindi nel Kent con Ethelburh e prese l'incarico della diocesi di Rochester. In Inghilterra, come altrove, la cristianizzazione si basava sulla conversione del re. La storia del paese era allora particolarmente turbata e confusa, e la cristianizzazione ne subì sicuramente il contraccolpo. L'organizzazione ecclesiastica dell'Inghilterra anglosassone in mancanza di un quadro amministrativo, si basava sull'organizzazione politica del momento Si trattava tuttavia solo di un primo passo: sarà necessaria una nuova missione organizzata dal papa Vitaliano nel 668/9. Una reciproca incomprensione impedirà a lungo una reale collaborazione tra i due apostolati, celtico e romano. Tuttavia, sotto l’effetto convergente di questo duplice sforzo la conversione degli anglosassoni era fin dal seicento in via di realizzazione. 2.6 TRA CHIESA INGLESE DEL SUD E CHIESA CELTICA: IL SINODO DI WHITBY Come visto, la fede cristiana era penetrata nell’Inghilterra meridionale anche grazie all’iniziativa di Roma: con questo gesto, Roma inaugurava una politica di evangelizzazione che partiva e si espandeva sotto la sua direzione. Per una serie di conseguenze imprevedibili, si stabilì un solido legame tra il papato e questa lontana Chiesa d’Inghilterra. In Britannia sussistevano due differenti chiese : quella celto-bretone, che non riconosceva l’autorità di Agostino, e quella anglosassone. Date le loro differenze di costumi, di pietà e di disciplina, tra la Chiesa inglese del sud e la Chiesa celtica nacque una controversia, se non addirittura un conflitto. La prima intratteneva legami diretti con Roma, la seconda perpetuava una lunga tradizione di isolamento. La presenza di differenti reami nel territorio britannico rese impossibile la costituzione di una chiesa nazionale ; Non fu possibile trasferire la sede primaziale a Londra, che si trovava in un reame diverso. Nel 664, al sinodo di Whitby fu raggiunto un accordo, per cui si impose l’apostolicità e l’autorità universale della sede di Pietro, la Chiesa del nord accettò le pratiche e le decisioni di Roma, e venne stabilità la sede primaziale a Canterbury. 15 Storia della Chiesa 2 3 LA CHIESA IN AFRICA 3.1 PREMESSA Nella misura in cui i Germani erano stati raggiunti dall’influenza che si irradiava dal mondo romano, erano stati raggiunti contemporaneamente dal cristianesimo; infatti tutti questi popoli, ad eccezione dei franchi e di una parte dei longobardi, erano già cristiani al momento in cui presero possesso dei paesi latini; ma, come è noto, il loro cristianesimo era quello che avevano ricevuto da Ulfila, cioè l’omeismo. Questa fede professata con sincerità e ardore sarebbe stata la causa di molte difficoltà tra i nuovi padroni e le popolazioni cattoliche ormai cadute in loro potere. In Africa l’urto fu maggiormente violento! 3.2 DATE FONDAMENTALI 429 439 455 483 invasione dei vandali da Gibilterra (premuti a loro volta dai visigoti) cade Cartagine, posta sotto assedio (il clero esiliato su barche destinate ad affondare) Genserico saccheggia Roma, dove però media Leone Magno deportazione di cinquemila cattolici, confisca dei beni e chiusura delle chiese 3.3 LA PERSECUZIONE DEI VANDALI E LA LIBERAZIONE DI GIUSTINIANO I vandali, il cui insediamento in Occidente è addirittura precedente a quello dei visigoti, già nel 409 avevano passato i Pirenei ottenendo dal governo di Ravenna di stanziarsi nella parte centrale della penisola iberica, il più lontano possibile dal Mediterraneo, nell’attuale Portogallo. Assaliti poi dai visigoti e in parte sterminati, seppero riprendersi rapidamente e preparare il loro passaggio in Africa, che li attraeva per la fertilità del suolo e la debolezza della locale amministrazione romana. Partirono nel 429 in 80 o 100.000, con il loro re Genserico, sbarcarono non lontano dall’attuale Tangeri, e in pochi anni occuparono le province più ricche e importanti dell’intera diocesis Africana, con i porti di Cartagine e Ippona dominanti sul Mediterraneo. Nel 442, l’Impero dovette piegarsi al fatto compiuto e riconoscere la sovranità vandalica sui territori occupati. Come appare evidente, la religione non era la sola ad essere in causa: il regno vandalo fu quasi costantemente in lotta con l’Impero (Genserico conquista Roma il 2 giugno 455 e la mette al sacco); agli occhi dei padroni ariani, i cattolici potevano dare l’impressione di venire a patti col nemico e in effetti, perseguitati, gli si rivolsero per avere un aiuto. Uomini di Stato in grado di elaborare una linea di condotta coerente e ponderata, Genserico, suo figlio (e successore) e il quarto re vandalo, cercarono in coscienza di applicare nei loro domini la stessa politica di unità religiosa, garanzia dell’unità nazionale, che abbiamo visto adottare dagli imperatori cristiani. Ariani convinti, cercarono di attirare il popolo all’omeismo: di qui le persecuzioni infuriarono per lunghi anni, con qualche periodo di respiro. Persecuzioni d’altra parte condotte con indubbia abilità, associate a una campagna di conversione, di pressione morale; si cerca di paralizzare il cattolicesimo, confiscando le chiese, esiliando i vescovi, impedendone la sostituzione. Nel 475 l’imperatore Zenone interviene diplomaticamente in Africa : su 164 sedi vescovili ne sono rimaste occupate solo 3. Re Unerico (477-483) nel 481 permette l’elezione di un vescovo a Cartagine. Due anni dopo però fa deportare 5000 cattolici alle frontiere tra Byzacena e Mauritania. Nel 484 viene indetta una conferenza tra cattolici ed omei ; sono schierati di fronte due vescovi : Chirila per gli omei e Eugenio di Cartagine per i cattolici : ovviamente vincono gli omei. Alla conferenza segue un periodo di terrore, con chiusura delle chiese, distruzione dei libri liturgici e confisca dei beni che passano agli omei. Seguono ad esso un periodo di tolleranza ed uno successivo di persecuzione. Nel 534 il generale Belisario ristabilisce il potere imperiale in Africa. Lo stesso anno Restituto, vescovo di Cartagine, può convocare un concilio con 220 vescovi. A tema vi è il problema dei chierici lapsi e fuggiaschi. Essi vengono riconciliati con la chiesa solo come laici. Le decisioni vengono comunicate a Roma per la ratifica. Nel 535 Giustiniano emana un editto contro donatisti, ariani, ebrei e pagani, riprendendo una politica di intolleranza. La gerarchia purtroppo non si occupa di consolidare la chiesa mediante un’opera di riconciliazione, è preoccupata piuttosto dei privilegi ; 16 Storia della Chiesa 2 manca pure una personalità significativa. Successivamente l’invasione mussulmana (670) e la caduta di Cartagine (696), provocheranno la quasi totale estinzione del cristianesimo, che sopravvive solo in alcune comunità cristiane dell’interno. Ci interroghiamo sui motivi per cui il cristianesimo in Africa è scomparso, mentre altrove è resistito: - mancata inculturazione (niente letteratura religiosa autoctona), - distanza e separazione geografica, - discordie interne alla Chiesa africana (controversia donatista), - secoli di sfruttamento romano : l’Africa era il granaio di Roma ; anche la chiesa possedeva latifondi e schiavi e il popolo non distingue tra chiesa e stato. 17 Storia della Chiesa 2 4 LA CHIESA IN GALLIA 4.1 SVILUPPO DEL CRISTIANESIMO IN GALLIA Se la maggior parte dei re visigoti si è mostrata tollerante nei confronti dei sudditi cattolici, identico atteggiamento di tolleranza possiamo riscontrare in Gallia da parte dei burgundi: forse erano stati anch’essi in un primo momento raggiunti dal cattolicesimo, in occasione del loro primo insediamento sul Reno, ma, quando li ritroviamo alla metà del V secolo installati nella regione del Rodano, erano passati all’omeismo, sotto il regno di Teodorico. I vescovi del paese esercitarono una profonda influenza sulla famiglia reale tanto che sotto Gondebaldo diverse principesse erano già cattoliche, e il figlio di lui e successore Sigismondo si convertì a sua volta per ragioni politiche. Nel 494 una nipote del re Gondebaldo, la futura Clotilde, aveva sposato il re dei franchi, Clodoveo. La politica dei Franchi dal nord della Gallia mirava all’espansione verso il Mediterraneo. Il cattolicesimo è religione dell’elemento latino e per consentire un amalgama della popolazione tra conquistatori e vinti, è necessaria un’unica religione. Nel 496 i franchi entrano in guerra contro i visigoti. Sotto l’influenza della moglie e quella del vescovo Remigio di Reims, Clodoveo, unico tra i re germanici, chiede e riceve il battesimo, (non senza il consenso dell’aristocrazia nobiliare e guerriera) il 25 dicembre del 498 o 499, seguito, come sempre, da una buona parte della corte e del popolo. Passati dunque direttamente dal paganesimo al cattolicesimo, i franchi e la loro dinastia erano per ciò stesso in condizioni di accattivarsi l’affetto dei loro sudditi gallo-romani della Gallia del nord e di quelli delle provincie meridionali che andavano progressivamente conquistando. Nel 506 cade il regno visigotico : sotto la sua giurisdizione rimane solamente una fascia costiera. Il battesimo di Clodoveo non è da considerarsi (esclusivamente) un atto personale (egli richiede il consenso dei nobili franchi), ma un atto politico. È importante considerare che alla morte di Clodoveo con la spartizione dei regni, subentrano difficoltà anche per la Chiesa come quella dell’emergere di una sede primaziale. E’ poi evidente che, con lo stretto rapporto tra Stato e Chiesa, l’episcopato era venuto ad assumere caratteristiche sempre più secolarizzate, con uno stile di vita principesco. Nasce anche l’immunità: i beni ecclesiastici esclusi dalla giurisdizione civile. Nel 511 il re convoca il primo concilio nazionale ad Orléans. La legislazione ecclesiastica acquista valore di legge, se inserita come capitolare promulgato dall’autorità civile. I re si sentono i successori dell’imperatore. Dopo la morte di Clodoveo vi è una continua spartizione di regni che impedisce lo sviluppo di una sede primaziale. All’inizio del VII sec. i concili-sinodi si fondono con le assemblee dei notabili del regno : è un tratto tipicamente medievale di germanizzazione della chiesa con la fusione della sfera civile e religiosa : questo dà vita ad un episcopato secolarizzato (stile di vita dei principi, caccia, armi). I vescovi vengono scelti tra la nobiltà germanica. Nasce il carrierismo : l’episcopato diventa la conclusione di una carriera a servizio del re. Il vescovo supera ogni altro in dignità dopo il re. I beni ecclesiastici godono dell’immunità, erano esclusi dalla giurisdizione civile ; nessuno aveva giurisdizione in quei territori. Il re interveniva nelle elezioni vescovili a clero e popolo, che esigevano la conferma da parte del re, il quale esaminava l’idoneità del candidato. Anche presso i franchi si diffondono le chiese proprie; i vescovi perdono il controllo del clero che vi presta servizio, e che di solito è di scarsa qualità. 4.2 L’ATTIVITÀ MISSIONARIA DI SAN COLOMBANO Come già accennato circa la Chiesa nelle isole britanniche, il movimento di evangelizzazione tra continente e Gran Bretagna si sviluppò in duplice direzione. Dall’Irlanda si mise in viaggio per la Gallia con dodici compagni san Colombano (540-615), stabilendosi nella Borgogna: grazie al suo prestigio personale, caratterizzato da una austerità e severità ascetica tutte irlandesi, egli esercitò una grande influenza sui monaci venuti a porsi sotto la sua direzione e sulle folle che accorrevano a lui. Il suo ideale ascetico-missionario, però mette scompiglio fra il clero secolare, presso il quale la vita spirituale era mediocre. Abituato all’Irlanda, in cui i monasteri hanno soppiantato le diocesi 18 Storia della Chiesa 2 territoriali, Colombano trova normale condurre la sua missione fuori di ogni autorità episcopale (ad esempio è un vescovo irlandese a consacrare l’altare di Luxeil); come pure entra in conflitto con i vescovi locali sulla data di celebrazione della Pasqua. Come pure i suoi rapporti si fecero difficili con la casa reale di Austrasia. In capo a vent’anni incorse nella collera del re per aver troppo fermamente sostenuto le esigenze della morale cristiana: imprigionato prima, poi fu condotto in esilio ma, al momento di imbarcarsi a Nantes per le isole, riuscì a fuggire e a raggiungere i paesi della Mosella e del Reno , suscitando vocazioni che daranno luogo a nuovi centri monastici. Di carattere non accomodante entrerà in conflitto anche con il suo compagno san Gallo. L’azione di san Colombano non ha avuto soltanto lo scopo di rianimare o vivificare la fede delle popolazioni cristiane che attraversava; egli si è anche preoccupato di annunciare l’Evangelo ai pagani ancora numerosi tra i germani. A Colombano è dovuta nel continente la diffusione dei libri penitenziali, con la confessione privata e la commutazione della penitenza canonica. . Appare anche la figura dell’ “amico dell’anima”, il direttore di coscienza. Pellegrino per Cristo sino alla fine, egli ad un certo punto della sua vita scenderà in Italia e fonderà nell’Appennino ligure il monastero di Bobbio, dove morirà nel 615. In Italia troverà una cristianità divisa in ariani (una parte dei Longobardi, seguaci di Agilulfo), cattolici scismatici, contrari alla condanna dei Tre Capitoli (seguaci della regina Teodolinda) e cattolici aderenti al papa. 4.3 IN SINTESI Nella Gallia del 600, la grande maggioranza della popolazione era cristiana o per lo meno in contatto con il cristianesimo. Solo gli abitanti della penisola bretone, immigrati celti cacciati dalla Gran Bretagna dalle invasioni dei sassoni, rimasero per più di due secoli tagliati fuori dalla Chiesa della Gallia, per le loro particolarità ed usanze. A nord e ad est della Gallia, gruppi di monaci irlandesi, discepoli o successori di Colombano, predicarono e operarono intorno a monasteri da loro stessi fondati nell’attuale Svizzera. Le fondazioni riferentesi al santo irlandese assurgeranno ad oltre un centinaio nel giro di un secolo. 19 Storia della Chiesa 2 5 LA CHIESA NELLA PENISOLA IBERICA 5.1 PREMESSA Differentemente da quanto detto circa la Chiesa africana e alle invasioni dei vandali, nel resto dell’Occidente l’omeismo dei germani non sollevò problemi così gravi. Lo choc vi fu meno brutale, forse per il fatto che ormai da generazioni si era abituati a vedere dei barbari servire come mercenari nell’armata imperiale e infine a costituirne la maggioranza. In tal modo si determinò tra i due regimi una transizione: per lungo tempo i germani furono considerati un po’ come un’armata straniera d’occupazione, che veniva a sovrapporsi ai provinciali latini o romanizzati. Tutto contribuiva a separare questi due elementi della popolazione: lingua, costumi, diritto e ci vorrà molto tempo perché gli uni si fondano con gli altri dando origine ai popoli dell’Europa moderna. La differenza di confessione, senza dubbio profondamente avvertita, rappresentava un ulteriore ostacolo. 5.2 LA SPAGNA SOTTO IL DOMINIO DEI VISIGOTI I Visigoti, di fede omea, penetrati nella penisola iberica all’inizio del sec. V, su incarico dell’impero romano per liberarla dai vandali crearono un regno “barbarico” molto esteso dalla Loira e il Rodano fino a tutta l’Iberia. La condotta del re dei visigoti Eurico (466-484) nei confronti dei cattolici ricorda sotto certi aspetti quella dei suoi colleghi vandali: appena impadronitosi di qualche nuova provincia, esilia le personalità più in vista dell’episcopato: pare che si sia anche opposto alla sostituzione dei vescovi deceduti, il che avrebbe a lungo andare minacciato la Chiesa di estinzione, come in Africa. Durante il regno di Alarico (484-507) i visigoti conservarono in Gallia solo la Settimania, a nord dei Pirenei. Il regno visigotico ebbe un’esistenza tumultuosa per l’instabilità delle dinastie. La corona diventa la posta in gioco delle rivalità aristocratiche. La maggior parte dei re visigoti si mostrò comunque tollerante nei confronti dei sudditi cattolici: così Amalarico autorizzò la riunione di un concilio generale; Leovigildo (567-586) perseguì una politica di unificazione politica e religiosa del regno. Ermenegildo, primogenito del re Leovigildo), si convertì al cattolicesimo sotto l’influenza della moglie e del grande vescovo Leandro di Siviglia (ma, ribellatosi al padre, creando un regno meridionale indipendente, fu ben presto sconfitto e giustiziato); anche Recaredo, secondogenito e successore, si convertì al cattolicesimo poco dopo la sua ascesa al trono, e con lui una buona parte dei grandi e dei vescovi goti. Nonostante la conversione di Recaredo, l’omeismo non scomparve di colpo nella penisola iberica, anche se era ormai colpito a morte. La cattedrale di Toledo fu consacrata con rito cattolico nel 587. Con il III concilio di Toledo, cui partecipano 67 vescovi, riunitosi solennemente nel 589, si inaugura un nuovo periodo della storia del regno visigoto, caratterizzato da una stretta collaborazione di tipo già medievale tra Stato e Chiesa. Dopo la conversione al cattolicesimo, i re ritengono loro diritto dirigere la Chiesa visigotica, nominare i vescovi, convocare i concili. Tali concili, e in particolare quelli di Toledo, sono delle assemblee sia politiche che religiose, e i loro canoni interessano sia l'amministrazione del regno o la successione dei re sia la disciplina ecclesiastica e l'organizzazione della liturgia. Il re si occupa di far rispettare i canoni conciliari7. A queste condizioni i vescovi visigoti divengono dei veri e propri funzionari, il che non impedirà loro di essere spesso uomini pii e pieni di zelo religioso e perfino santi. Nel frattempo si era unito alla Chiesa cattolica anche il popolo degli Svevi: la loro definitiva conversione avveniva verso il 556 e, a partire dal 585, il regno svevo venne annesso allo Stato visigoto. A differenza dell’Italia, che finisce col soccombere sotto le devastazioni dell’invasione longobarda, e della Gallia, che a sua volta vede spegnersi la tradizione romana che a lungo e con tenacia vi si era mantenuta, la prima rinascita che si constata è quella della Spagna: l’annessione (distruzione) del regno svevo e la conversione del re Recaredo porteranno a termine l’unificazione politica e religiosa della penisola iberica. 7 «Che nessuno - dice Recaredo al termine dei terzo concilio di Toledo - si creda di poter disprezzare quello che è stato deciso in questo santo concilio, che nessuno abbia la presunzione di trasgredirlo [... I. Tutto ciò ha valore di legge per i chierici, i laici e per chiunque altro». 20 Storia della Chiesa 2 6 LA CHIESA IN ITALIA 6.1 LO SVILUPPO CRISTIANO DOPO IL IV SECOLO E’ possibile ricostruire la situazione delle diocesi italiane fino ai primi anni del secolo VII. Alla fine del III secolo le diocesi esistenti e documentate erano 16; nel IV secolo sorsero 55 nuove diocesi; nel secolo V ne vennero erette altre 155; nel VI se ne aggiunsero 57; al principio del secolo VII altre 13. Pertanto l’Italia raggiungeva nel numero di diocesi la ragguardevole cifra di 258. Come si può constatare il maggior aumento si ebbe nel secolo V. Le ragioni di questo notevole incremento sono varie : * in primo luogo vi è la libertà concessa al cristianesimo con l’editto di Milano. Se prima la professione cristiana poteva essere un rischio, dopo l’editto l’adesione era senz’altro più facile. In seguito la legislazione imperiale più favorevole al cristianesimo, la protezione statale sempre più palese e infine la stessa persecuzione contro il paganesimo, spinsero molti ad accogliere la fede cristiana. ** in secondo luogo l’organizzazione ecclesiastica, sia per lo sviluppo attuatosi in tre secoli sia per le facilitazioni avute dallo stesso Impero, poté maggiormente influenzare l’ambiente ed estendere il raggio dell’apostolato. forza interna *** né si possono dimenticare alcune eminenti personalità che seppero imprimere all’azione della evangelizzazione un ritmo ed un’intensità notevoli, come, ad esempio, sant’Ambrogio a Milano. **** il ruolo della Chiesa romana per la diffusione del cristianesimo in Italia ed in particolare nel centro e nel sud è stato determinante. I vescovi attorno alla metropoli si sentirono strettamente legati a quello romano: partecipavano ai sinodi, erano consacrati dal papa, venivano controllati da Roma e dimessi se ritenuti indegni. D’altra parte l’autorità della Chiesa romana era quanto mai prestigiosa per la sua origine apostolica: se un vescovo orientale come Ignazio dimostrava tanta venerazione per la Chiesa romana, quanto più dovevano sentirla i cristiani delle comunità vicine. E se l’azione di Roma si svolgeva premurosamente verso l’Oriente, tanto più è logico che si preoccupasse delle località vicine e prossime. ***** l’organizzazione civile romana fu un valido appoggio esterno per la diffusione del cristianesimo: i centri civili si trasformarono in centri religiosi, anche se non è provato che ogni municipio romano avesse un vescovo: anzi, qualche volta le diocesi furono erette anche in villaggi, forse per il fatto che erano divenuti centri attivi di commercio. L’organizzazione ecclesiastica italiana presenta in base alle statistiche un’altra caratteristica: mentre le diocesi del Settentrione sono in numero abbastanza limitato, nel Centro e nel Sud sono invece molto numerose. Su 258 diocesi la zona settentrionale ne conta solamente 55. Forse questo limite fu posto in seguito al canone di Sardica (343) e di Laodicea, che proibivano di erigere un vescovado nei piccoli centri, affinché non ne scapitasse la stessa autorità episcopale. Certo è che questa norma non trovò applicazione nell’Italia centrale dove, proprio per il gran numero di diocesi erette, nasce spontanea la convinzione dell’influenza del vescovo di Roma, che di questi vescovi si serviva per la sua azione pastorale, consultandoli e inviandoli in missione. Nel IV secolo due centri religiosi importanti esistevano in Italia: Roma, che controllava l’Italia suburbicaria (centro e sud) e Milano, che guidava l’Italia del nord. La sede metropolitana romana ebbe quindi un’estensione veramente eccezionale, e ciò dipese sia dall’importanza civile, sia per il fatto d’essere la sede apostolica per eccellenza. E’ evidente quindi come mai molta storia ecclesiastica (e non solo) italiana sia strettamente legata a quella del papato. Nell’Italia settentrionale, per tutto il IV secolo, ad esercitare l’ufficio di sede metropolitana fu Milano. Col trasferimento della sede imperiale a Ravenna, la preminenza di Milano cominciò a decadere e ad essere limitata, giacché nel V secolo fu creato il patriarcato di Aquileia, con controllo sulla Venezia e sull’Istria, e la sede metropolitana ravennate, a cui venne concessa la sovraintendenza dei vescovadi emiliani. [rapporto tra importanza civile e grado ecclesiastico di una sede] Quantunque Roma esercitasse sempre più la sua influenza su tutta l’Italia, non mancarono controversie con Aquileia (scisma dei Tre Capitoli) e con Ravenna. 6.2 LE INVASIONI GERMANICHE 21 Storia della Chiesa 2 A riguardo delle conseguenze delle invasioni per la Chiesa, il dramma dell’Italia fu accentuato, rispetto ad altre zone del cadente Impero, dalla peculiarità delle sue vicende politiche. Già l’invasione vandalica dell’Africa ebbe notevoli contraccolpi nell’Italia del V-VI secolo. Molti vescovi africani o fuggirono per timore della persecuzione o furono cacciati dalle loro sedi dai re vandali ariani. Molti si rifugiarono nell’Italia meridionale e nelle isole. Si spiega così, in parte, l’esistenza del culto a martiri africani nell’Italia del sud. Un vero terremoto sembra sia stata l’invasione dei longobardi: molti vescovi fuggirono in altre città, alcune diocesi scomparvero per sempre, altre si ricostituirono dopo molti anni. Nel 568 giunsero, scrive Gregorio Magno, “i longobardi feroci, che abbattevano uomini come il mietitore le spighe...non so - conclude - quello che capita altrove, ma in Italia la fine del mondo è tutt’altro che prossima: è già avvenuta”. I longobardi, che all’inizio del VI sec. occupano le regioni dell’attuale Austria. Giustiniano concede loro di installarsi tra Sava e Danubio dove sconfiggono i Gepidi. Il re Alboino nel 568, per assimilare i Gepidi diventa omeo ; in precedenza i longobardi erano pagani e cattolici. Essi occupano l’Italia attraverso una conquista cruenta e disastrosa. Aquileia si arrende e la popolazione si rifugia a Grado8. I longobardi occupano quasi tutto il nord Italia più la Toscana e i ducati di Spoleto e di Benevento. Le strisce costiere rimangono a Bisanzio insieme alla Puglia, alla Calabria e alle isole. Si nota un differente atteggiamento tra Alboino e i re Longobardi, che tendono a risparmiare chiese e fedeli, mentre i duchi e le autorità locali distruggono ; i vescovi di Milano e di Aquileia fuggono e abbiamo numerose interruzioni episcopali al Sud. Autari nel 590, per contrastare una tendenza che si diffondeva, vieta di conferire ai bambini longobardi il battesimo cattolico. Continua frattanto lo scisma tricapitolino (Milano ed Aquileia) contro le decisioni del V concilio ecumenico anche se alcuni vescovi tornano all’unità con Roma. I Longobardi trasferiscono progressivamente la capitale da Verona a Milano e poi a Pavia. Il re Agilulfo (591-615) cambia politica, torna all’unità cattolica, ma con la chiesa scismatica : Roma è sotto il dominio imperiale : è importante fondersi con l’elemento latino, senza unirsi alla stesa fede dell’impero (si passa dall’omeismo al cattolicesimo scismatico ed infine al cattolicesimo). Il figlio di Agilulfo, Adaloaldo è battezzato cattolico. Egli offre rifugio a Bobbio a Colombano, che eserciterà la sua influenza su papa Bonifacio IV (608-615) per concludere la controversia sui tre capitoli. Bobbio diventa il primo centro missionario tra i Longobardi. Ora i Longobardi e Roma si avvicinano e prendono le distanze da Bisanzio per le controversie monoteletiche. Re Ariperto (653-661) abolisce l’omeismo come religione di stato : il vescovo cattolico di Milano, in comunione con Roma, può tornare alla sua sede. Ora nello scisma rimane solo Aquileia. Nel 679 si tiene il primo sinodo metropolitano milanese dopo l’avvento dei longobardi. Nel 698-699 lo scisma termina con il concilio di Pavia : il papa riconosce il patriarca di Aquileia ; tuttavia la capitale longobarda non diventa sede primaziale a causa della vicinanza di Milano ed Aquileia. Fonte importante è l’Historia Langobardorum di Paolo Diacono. In effetti, la nuova invasione barbarica ebbe ripercussioni profonde: l’Italia sostanzialmente si trovò divisa in due parti: quella sotto il dominio longobardo e quella controllata da Costantinopoli. Questa divisione, se in un primo tempo non intaccò l’organizzazione ecclesiastica, creò però nuove divisioni territoriali, la cui influenza non mancò di influenzare anche il sistema ecclesiastico. Inoltre, se nella zona bizantina la cultura continuò ad avere cittadinanza e la religiosità a svilupparsi, nelle regioni controllate dai longobardi si verificò un generale imbarbarimento. 8 « ... Alboino intanto era arrivato al Piave, dove si recò a trovarlo Felice, vescovo della chiesa trevigiana, per chiedergli di poter conservare le sue mansioni nella chiesa locale; e il re, non certo famoso per la sua generosità, acconsentì alla richiesta ratificandola tra l'altro con un decreto ». PAOLO DIACONO, Storia dei Longobardi II, 12. Diversamente dalle devastate Padova e Oderzo, Treviso godette di particolari garanzie sotto questo re che, insediatosi a Pavia, ne fece con Ancona una delle due Marche in cui - con altri quattro Ducati divise le sue conquiste italiane. 22 Storia della Chiesa 2 ORGANIZZAZIONE E VITA INTERNA DELLA CHIESA IN OCCIDENTE NEI SECOLI V°E VI° PREMESSA: CONTINUITA’ DELLA VITA ROMANA NELLA DECADENZA In tutte le regioni in cui l’ondata delle invasioni non aveva eccessivamente scosso la struttura amministrativa, economica e sociale del mondo romano, una volta passata la burrasca, la vita riprese, e la vita della Chiesa in particolare proseguì sulla spinta del IV secolo. Il primo compito che si presentava alla Chiesa era quello di completare l’evangelizzazione dell’Occidente. C’erano ancora dei pagani da convertire nel V secolo, e non soltanto nei remoti angoli delle provincie, ma anche nelle grandi città e persino a Roma. I problemi che restavano da risolvere non erano sostanzialmente diversi per l’élite e per le masse, urbane o rurali: in entrambi i casi si trattava di combattere un persistente paganesimo, fatto di pratiche tradizionali più che di credenze coscientemente professate, in procinto di degradarsi in superstizioni; queste d’altronde minacciavano a loro volta di sopravvivere contaminando gli stessi cristiani: gli avvertimenti contro infiltrazioni del genere occupano un posto notevole nella predicazione del tempo. Questo sforzo di evangelizzazione, di conversione in profondità, che ha contrassegnato i secoli V e VI, è stato infatti sostenuto non solo da grandi vescovi, pastori e dottori ad un tempo, ma anche dalla sede papale. 1 IL PAPATO 1.1 SAN LEONE MAGNO Come prototipo dello sforzo di evangelizzare e convertire, a Roma, si può scegliere appunto san Leone Magno (440-461). Se la sua corrispondenza ce lo presenta in funzioni di papa, che interviene con autorità tanto in Oriente come in Occidente, per dettare il diritto in maniera di dogma e di disciplina, i suoi sermoni ce lo fanno conoscere come vescovo, preoccupato di istruire il suo popolo. Quel che più preme sottolineare è che, con lui, la dottrina del primato di Pietro prende un grande impulso. Anche se non si può accogliere l’affermazione che fa di Leone I il fondatore del primato della Sede romana è comunque certo che fu lui il primo papa ad esprimerne in maniera chiara la dottrina. Nei secoli precedenti i suoi predecessori avevano esercitato una funzione primaziale; in qualche occasione avevano anche espresso alcuni elementi dottrinali del loro potere. Basandosi su queste affermazioni e su questi fatti, ma soprattutto sulla S. Scrittura, Leone I portò a logico svolgimento la consapevolezza della sua potestà. Il perno della dottrina è la potestà di Pietro; questi è il centro unitivo dell’intera Chiesa, è colui che ha ricevuto la missione di dirigere le membra del corpo ecclesiale, e di dare la garanzia che la verità non verrà meno. Pietro vive nei suoi successori; è il punto caratteristico di Leone. Il papa è il vicario di Pietro, per cui tutto quello che fu di Pietro rivive nel suo successore. Così, attraverso Leone è Pietro che governa la Chiesa e la guida. Chi si reca a Roma da Leone, viene da Pietro “vivente” in lui. La dignità della Sede romana non dipende dalle virtù personali di chi lo rappresenta, bensì dal succedere a Pietro che da Cristo ricevette la garanzia di essere maestro infallibile. 1.2 RICONOSCIMENTO DEL PRIMATO ROMANO Anche se il legame che unisce la Chiesa latina alla sede di Roma ci può apparire non abbastanza stretto se lo si confronta con l’attuale centralizzazione, o anche con quel che constatiamo nei patriarcati orientali del V e VI secolo, pur tuttavia questo stesso periodo ci fa assistere a un nettissimo progresso nel riconoscimento del primato romano su tutti i piani, dogmatico, disciplinare e giurisdizionale. Questo progresso, realizzatosi malgrado le sfavorevoli circostanze storiche, lo si deve all’azione di grandi papi, profondamente coscienti della loro autorità, preoccupati di farla riconoscere e rispettare, da Innocenzo I (401-417) a san Gregorio Magno. Tra questi dobbiamo ri- 23 Storia della Chiesa 2 cordare in particolare san Leone Magno e Gelasio (492-496) che, attenti a tutte le necessità della Chiesa, non esitano a moltiplicare gli interventi, anche a riguardo dei minuti particolari della regolamentazione. Non solo: dal punto di vista giurisdizionale, un principio indiscusso è che il ricorso alla sede apostolica costituisca l’istanza suprema. L’esercizio di questa autorità deve d’altra parte fare i conti con le crescenti difficoltà determinate dagli sconvolgimenti politici. Dopo l’invasione del 406, tra il papato e la Gallia del nord le relazioni vengono praticamente interrotte; anche con le province del sud-est, rimaste romane e politicamente unite all’Italia, le comunicazioni non sono molto facili. Tentativi vengono fatti per rimediare a questo stato di cose . 1.3 FIGURA E OPERA DI GREGORIO MAGNO La complessità della situazione storica si manifesta con particolare chiarezza nella figura così ricca e affascinante di san Gregorio (590-604). Il soprannome di “Magno” appare senza dubbio pienamente meritato e a diversi titoli, che corrispondono ad aspetti molto diversi della sua attività. In lui si riconosce prima di tutto un grande papa, sulla linea dei suoi predecessori dei secoli V e VI, che governa la barca di Pietro con l’energia e lo spirito autoritario di un magistrato dell’antica Roma: Gregorio, infatti, prima di farsi monaco e di essere quindi destinato dal suo predecessore Pelagio II al servizio della Chiesa, aveva inizialmente seguito la carriera amministrativa (nel 573 lo vediamo prefetto della Città). La sua corrispondenza ci permette di constatare con quale mano ferma reggesse la sua Chiesa, sorvegliasse i vescovi dell’Italia peninsulare direttamente dipendenti dalla sua autorità, esercitasse questa autorità sui metropoliti delle altre regioni dell’Occidente con le quali la situazione politica del momento gli permetteva di mantenere o ristabilire i contatti. Ovunque il suo controllo possa esercitarsi, san Gregorio è pronto a mantenere e a far valere i propri diritti. Come i suoi predecessori, aveva un concetto altissimo dei propri doveri di vescovo. Acclamato papa nonostante la sua resistenza nel 590, si pose all’opera trovando temo per tutto: per riorganizzare il patrimonio terriero della Sede Apostolica (accumulato con le donazioni dei fedeli), per reclutare soldati alla difesa di Roma, per trattare direttamente con il re longobardo, per mantenere rapporti con tutte le Chiese, per formare preti degni, per evangelizzare la gente. Tra le attività assillanti di papa Gregorio, ne va annoverata una che sembra estranea completamente all’ufficio di vescovo e alla vita dell’asceta: l’organizzazione amministrativa dei vasti territori della sede romana, appunto. La Chiesa romana nel corso dei secoli aveva ricevuto donazioni di vastissimi territori; di questi fondi la Chiesa ne possedeva in Sicilia, Sardegna, Corsica, Campania, Lazio, Dalmazia, Provenza, Africa settentrionale, La Chiesa romana era senz’altro la più ricca proprietaria terriera nel VI secolo. Gregorio si accinse all’organizzazione di questo immenso patrimonio, mosso fondamentalmente dall’idea che esso era “res pauperum”, di cui egli doveva essere il diligentissimo amministratore. Degna di approfondimento è la situazione politica nella quale si trovò ad operare san Gregorio. 2 I VICARIATI PAPALI 2.1 ORIGINE Sul modello del vicariato di Tessalonica che serviva al papa per esercitare indirettamente la sua autorità sulle province greche del suo patriarcato (l’istituzione viene definitivamente messa a punto sotto Innocenzo, 412), si è talvolta cercato di istituire un delegato più o meno permanente che servisse di collegamento tra Roma e le diverse province ecclesiastiche di una regione. Nella Gallia mediterranea, questa funzione è stata rivendicata da Arles: accordata nel 417 dal papa Zosimo, la primazia di Arles decade nel 419. Ristabilita verso il 462, di nuovo nel 514, un’ultima volta nel 595 sotto san Gregorio Magno, quest’istituzione non riuscirà a mettere radici: di nuovo entrano in gioco le vicissitudini politiche, in questo paese disputato tra visigoti, ostrogoti, burgundi e franchi. Nella Gallia unificata sotto i merovingi, è il vescovo di Lione ad assumere di 24 Storia della Chiesa 2 fatto il primo posto e a ricevere il titolo di primate ma senza esercitare le effettive funzioni di un vicario del papa. Nella penisola iberica, contemporaneamente, questo vicariato viene conferito al vescovo di Siviglia dai papi Simplicio (468-483), Felice (483-492), più tardi Ormisda (514-523), anche se successivamente la Spagna si orienterà verso una Chiesa nazionale unificata intorno alla sede di Toledo (inizialmente semplice suffraganea di Cartagena, Toledo diventa metropolitana nel 527). Dopo la conversione del re Recaredo (587), il detentore della sede di Toledo, vescovo della capitale, diventa primate di fatto di tutta la Spagna (anche se il titolo apparirà soltanto nel 647) Il vicariato papale deriva da Roma sede patriarcale. Si tratta quindi di un vescovo cui il papa affida la salvaguardia dei diritti della sede romana, la cura dell’ortodossia e della disciplina (la dignità non è legata alla sede ma alla persona). Il vicario papale convocava sinodi, attuava le decisioni sinodali, fissava le “litterae communionis” (sorta di carta d’identità ecclesiale), esercitando talvolta anche ruolo di mediazione politica. Con Gregorio Magno il vicario papale è anche esattore del “Patrimonium Petri”, e svolge anche funzione giurisdizionale: nel caso della Chiesa franca, decide delle cause maggiori. Per quanto riguarda ancora la chiesa franca, va sottolineato che fu la posizione geografica di Arles a sfavorirne l’assunzione stabile di questo ruolo primaziale (troppo a sud), lasciando il campo, come visto sopra, a Lione. 3 LE PARROCCHIE 3.1 SVILUPPO DELLE PARROCCHIE RURALI9 Nelle regioni completamente civilizzate dell’Impero romano, il cristianesimo si sviluppò a partire dai fedeli che vivevano nelle “città” (civitates). Queste comunità avevano come centro il vescovo, attorniato dai sacerdoti, dai diaconi e dai chierici minori. Per secoli, non si intraprese alcuna campagna di diffusione per convertire i contadini o i pastori delle zone rurali contraddistinti col nome di pagani (pagus: zona rurale) che divenne sinonimo di infedeli, quelli che non hanno la fede. Per lo meno sino alla fine del secolo V, il sistema normalmente utilizzato dalla Chiesa per estendersi fu quello di propagare il cristianesimo “di città in città”, più tardi di borgo in borgo, lungo i principali assi di circolazione. A poco a poco divenne un fatto normale che il vescovo nominasse preti residenti nelle cittadine e nei villaggi. Fu così che in Gallia e altrove si costituì la base del sistema parrocchiale. Dall’evangelizzazione delle campagne scaturisce la necessità di fondare delle chiese rurali che si moltiplicano sia nelle località che erano state dei centri religiosi al tempo del paganesimo, sia negli antichi villaggi, o nei nuovi raggruppamenti che si sviluppano all’interno dei grandi domini di struttura già quasi medievale. Questo rappresentava un fenomeno completamente nuovo che contrastava con la struttura tradizionale della Chiesa concentrata in origine nei centri urbani e strettamente rinserrata intorno al vescovo. Il sacerdote di servizio in una chiesa rurale ricevette inizialmente solo dei poteri canonici o delle risorse finanziarie piuttosto limitate; per lungo tempo si tentò ancora di riunire l’insieme dei fedeli in occasione delle maggiori solennità nella chiesa episcopale, o per lo meno principale. Per quanto riguarda l’Italia del nord e del centro, vi riscontriamo un’organizzazione originale e più complessa, la pieve, che costituisce una struttura intermedia tra la diocesi e la parrocchia elementare: le chiese rurali di un distretto costituiscono una specie di comunità sotto l’autorità della chiesa principale, la sola ad essere battesimale. 3.2 CLERO DI CITTÀ’ E CLERO DI CAMPAGNA Nelle chiese episcopali assunsero grande rilievo gli arcidiaconi, la cui funzione spesso equivalse a quella di amministratore di beni mobili ed immobili, di direttore dei chierici (una specie di vicario generale o di rettore di Seminario). Specie a Roma gli arcidiaconi ebbero un ruolo eccezionale; normalmente erano i candidati alla successione papale. A partire dal sec. VIII diviene un vero vica9 Cfr: VINCENZO BO, Storia della Parrocchia, I- II, Roma 1988 25 Storia della Chiesa 2 rio del vescovo; a volte sorgono più arcidiaconati, suddividendo il territorio diocesano in circoscrizioni. La funzione decade con la comparsa nel XII sec. dei vicari generali. Nelle pievi rurali, specie in zone dell’Italia settentrionale, comparve la figura dell’arciprete, titolo originariamente conferito al primo dei presbiteri della città vescovile, un “primus inter pares”, con il compito di dirigere il clero maggiore e minore delle pievi extracittadine. Da sottolineare poi il fatto che, sia in città sia in campagna, il clero viveva in comunità. La formazione del clero, affidata all’arcidiacono, si svolse sotto la vigilanza del vescovo principalmente attorno alla chiesa cattedrale: qualche parrocchia importante curò essa pure giovani candidati al sacerdozio. Analoga missione fu svolta anche nei monasteri ove l’esistenza di discrete scuole facilitò una sufficiente istruzione. Naturalmente la generale decadenza culturale, verificatasi in Occidente dopo le invasioni barbariche, ebbe non pochi contraccolpi nella formazione del clero. Per quanto riguarda il celibato, i canoni del tempo ne fanno un continuo richiamo; tali norme rimasero però lettera morta, specie nei villaggi e nei borghi ove preti e diaconi contrassero matrimonio. 3.3 LE PARROCCHIE RURALI IN ITALIA Come detto, dalle città, ove ebbe la sua prima diffusione, il cristianesimo si irradiò nelle campagne circostanti. Se in un primo momento queste comunità rurali ricevevano le visite degli inviati del vescovo (preti e diaconi), si andò poi stabilizzando un presbiterio locale che, pur rimanendo vincolato alla chiesa episcopale, esercitò il ministero con qualche autonomia. Mentre in Oriente queste comunità furono rette dai corepiscopi, in Occidente tale istituzione non ebbe molto sviluppo; per quanto riguarda l’Italia non esiste una precisa documentazione per affermare l’esistenza di corepiscopi. N.B. la Chiesa italiana presenta però in se stessa una differente organizzazione: * nell’Italia centrale e meridionale i vescovi risiedevano anche in piccole comunità rurali, per cui la giurisdizione territoriale corrispondeva, grosso modo, ad una parrocchia vasta attuale; * per Italia del Nord, invece, essendo molto più ampia e vasta l’estensione diocesana, si creò il problema di organizzare con nuovo sistema le comunità sparse nei ”pagi”. Perché nel Nord si siano formate diocesi grandi e nel resto d’Italia piccole diocesi non è chiaro: forse il canone di Sardica, ripreso a Laodicea proibendo la moltiplicazione dei vescovadi, ne può essere un motivo. In territori vasti, l’invio saltuario di sacerdoti e diaconi da parte del vescovo diveniva difficoltoso, sia per le distanze, sia per le inclemenze stagionali, sia per la saltuarietà dei servizi. La presenza stabile di sacerdoti sul luogo divenne un’esigenza: ecco l’origine della parrocchia rurale. Il primo documento conosciuto è quello emanato a Milano nel 398 da Onorio: stabilisce che «...pro magnitudine vel celebritate uniusque vici ecclesiis certus iudicio episcopi clericorum numerus ordinetur...» Nel villaggio rurale non risiedeva un solo prete, ma un “certus numerus clericorum”: questo collegio presbiterale rurale, (arcipretura) che ripeteva sotto altra forma quello della città, sembra essere una caratteristica italiana già dal V secolo: la parrocchia italiana fu quindi tipicamente collegiale e comunitaria. 3.4 LE CHIESE PROPRIE Secondo alcuni storici nelle campagne si sviluppò un doppio tipo di fondazioni ecclesiastiche: quella fondata dalla gerarchia (chiese pubbliche) e quella dai signori nei loro domini (chiese proprie). Per cristianizzare le zone rurali, infatti, si era ricorsi anche a questo secondo mezzo: persone patrimonialmente dotate fondavano sulle loro proprietà quelle che oggi chiameremmo le cappelle private. Questa pratica si incontra ovunque, tanto in Asia Minore quanto in Africa e in Occidente. La chiesa propria era retta da una duplice giurisdizione civile e canonica. Le Novellae di Giustiniano riconoscevano il diritto di proprietà su queste chiese e, per il fondatore e proprietario, il diritto di designare il sacerdote officiante, con l’assenso del vescovo che conservava un diritto di sorveglianza. Viceversa, Gelasio I, che legiferava nella situazione particolare dell’Italia e dell’Africa del nord, fissò una rigida regolamentazione concernente la costruzione di nuove chiese da parte di pri- 26 Storia della Chiesa 2 vati. Da questo momento divenne necessario chiedere l’autorizzazione a Roma; il fondatore poteva designare il prete, ma doveva rinunciare a ogni diritto sulla sua chiesa, ad eccezione dell’elementare diritto di presentare la candidatura del prete. 27 Storia della Chiesa 2 NASCITA ED ESPANSIONE DELL’ ISLAM 1.1 MOTIVI PER LO STUDIO IN STORIA DELLA CHIESA Il territorio della penisola arabica (3 milioni di chilometri quadrati) è vasto circa un quarto di quello dell'Europa. Si parla di esso come della probabile culla della famiglia semitica, cioè di quei popoli che a varie riprese, a partire dal 3500 a.C., migrarono verso nord, nelle fertili regioni dei fiumi (Nilo, Tigri, Eufrate...), per entrare nella storia con il nome di egizi, babilonesi, assiri, fenici, ebrei. E tuttavia, nonostante la sua vastità e importanza, questo territorio rimase isolato per decine di secoli, fino a che, nel secolo VII, non venne alla ribalta per merito di un profeta di nome Mohammad (Maometto), che ne cementò la popolazione attorno ad un grande ideale religioso, quello dell'Islam, e ne fece la sede di una potenza politico-militare in grado di dilagare rapidamente verso la conquista di gran parte del mondo allora conosciuto. Pur non potendo approfondire e trattare in maniera dettagliata il "fenomeno Islam" (data la prospettiva particolare nella quale ci siamo posti, che è appunto quella della "storia della Chiesa"), è importante quantomeno sfiorarlo per poter intuire quali grandi ripercussione ebbe nella storia della cristianità e in particolare del cristianesimo del Mediterraneo e della "terra santa". Si verificò, infatti, l'inizio di una vera e propria grande civiltà che, dopo aver molto preso dalla tradizione grecoromano-giudaico-cristiana, si affermò da Oriente ad Occidente, ben oltre i confini dell'Arabia, qualificando spiritualmente genti diverse, e contribuendo anche al risveglio intellettuale dell'Europa dopo il Mille (non solo quindi influssi negativi...). 1.2 L'ARABIA PREISLAMICA Tra il VI e il VII secolo due grandi potenze si contendevano la supremazia sul Medio Oriente: l'Impero bizantino e l'Impero persiano. Quest’antagonismo sfociò in una sorta di guerra permanente, che non arrivò tuttavia ad un esito chiaro e definitivo: i bizantini portarono il loro attacco in Mesopotamia, i persiani in Siria e in Egitto. Vittorie alternate a sconfitte, città prese e perdute, incursioni e saccheggi da ambo le parti non sortirono altro effetto che quello di prosciugare uomini e mezzi e di indebolire entrambe le compagini. Troppo impegnati a combattersi, bizantini e persiani non si accorsero che, non lontano da loro, prendeva corpo una terza potenza, giovane e temibile. Quando se ne avvidero, era ormai troppo tardi. Raccontare la nascita di questa terza potenza significherebbe raccontare insieme la nascita di una religione e di un Impero, tra i più grandi che siano mai esistiti. 1.3 GLI INIZI Il contenuto originario della predicazione di Maometto era semplice e suggestivo: egli invitava ad adorare Allah come unico dio, a fare un atto di sottomissione alla sua autorità, annunciava il giudizio finale in cui gli uomini sarebbero stati giudicati per le loro azioni, predicava la generosità e l’aiuto ai poveri; egli condannava inoltre alcune pratiche diffuse nella società tribale, come il matrimonio tra consanguinei e l’infanticidio delle figlie femmine. Malgrado le immediate reazioni e persecuzioni provocate dalla predicazione di Maometto, la comunità musulmana crebbe. Non solo: nei lunghi anni di predicazione e di lotte che seguirono la predicazione di Maometto, il contenuto della fede musulmana si era andato arricchendo e precisando, e aveva assunto un carattere più sistematico. Se da una parte durante la vita di Maometto l’Islam aveva ricevuto un sistema religioso e dei principi di vita, d’altra parte mancava ancora uno Stato musulmano, e mancava, soprattutto, una definizione della legittimità del potere. Lo si vide chiaramente dopo la morte del profeta, quando la comunità musulmana fu lacerata dai contrasti per la “successione”. Dopo molte controversie prevalse infine la decisione di nominare successore Abu Bakr: egli riuscì a reprimere la secessione di alcune tribù beduine superficialmente islamizzate e desiderose di sottrarsi alla tutela musulmana; 28 Storia della Chiesa 2 lanciò una spedizione verso il nord, oltre i limiti dell’Arabia; sconfisse pesantemente le truppe bizantine che si erano poste a difesa della Siria: ebbe così inizio la grande espansione islamica. 2 L’INIZIATIVA BELLICA 2.1 FASI PRINCIPALI Sotto il califfato di Omar gli arabi strapparono ai bizantini l’Egitto, la Siria, la Palestina, e ai persiani la Masopotamia. Con la successione di Omar ebbe però inizio per il mondo islamico una grave crisi politica, con guerre intestine, e un conseguente rallentamento, e non solo, del movimento di espansione. Con l’avvento della dinastia ommayade, l’Islam riprese la sua prorompente espansione: la capitale venne tra l’altro spostata a Damasco in Siria, e da qui prese avvio una iniziativa militare che si svolse in tre direzioni principali: Asia Minore e Costantinopoli, Africa e Spagna, Asia centrale e India. L’accesso al Mediterraneo dotò gli arabi di una nuova arma con cui attaccare l’Impero bizantino: la flotta. Nel 668-669 i musulmani assediarono Costantinopoli: questo fu il primo dei tanti assalti da parte di terra e di mare, che si spensero tuttavia contro le imprendibili mura della città cristiana e contro l’organizzazione e le risorse tecnologiche dei bizantini. Anche se gli arabi avevano in precedenza inflitto pesanti ridimensionamenti all’Impero bizantino, non riuscirono mai a sopraffarlo. Nel 698 invece riuscì loro di impadronirsi di Cartagine; nel 708, dopo aver invaso il Maghreb, si spinsero fino alle coste atlantiche; tre anni dopo un grande esercito musulmano passò lo stretto di Gibilterra e nel giro di appena cinque anni conquistò tutta la penisola iberica, abbattendo il Regno visigoto; alcune avanguardie, infine, oltrepassarono i Pirenei e penetrarono in Gallia, spingendosi anche oltre. 2.2 MUSULMANI E FRANCHI Nei primi decenni dell’ VIII secolo, quando papa Gregorio II cercava una soluzione politica e militare alla drammatica crisi iconoclastica, i franchi, che occupavano ormai quasi tutta la Gallia e parte della Germania (il loro regno godeva di grandissimo prestigio nel mondo cristiano e in particolare presso i vescovi di Roma), riuscirono a fermare l’avanzata araba con Carlo Martello che a Poitiers, nel 732/733 era riuscito a sventare il pericolo di un’incursione musulmana dalla Spagna verso Occidente. Anche nel 776 Carlo Magno lanciò un attacco contro i musulmani di Spagna, ma la sua iniziativa non fu molto fortunata: gli arabi infatti opposero una strenua resistenza presso la città di Saragozza e costrinsero l’armata franca a ritirarsi.(nasce però la marca ispanica) Neppure la grande impalcatura carolingia, che pure aveva fatto da baluardo all’espansionismo arabo, era destinata a durare per sempre: mentre si dissolveva, sull’Europa cristiana si addensava, sempre più minaccioso, il pericolo di nuove invasioni: tra la fine del IX e la metà del X secolo, arabi, vichinghi, ungari devastarono coste, città e campagne del nord e del sud (dai tempi delle invasioni barbariche l’Europa non affrontava “nemici” così pericolosi). Consolidati i domini che avevano conquistato in Spagna, in Africa e in Oriente, i “sarace10 ni” - così in quell’epoca venivano chiamati gli arabi - approfittarono della passività e della debolezza dell’Impero bizantino e nell’827 iniziarono la conquista sistematica della Sicilia: la posizione al centro del Mediterraneo, la fertilità della terra, la ricchezza di boschi, preziosi per le costruzioni navali, conferivano a quest’isola un’importanza strategica ed economica eccezionale. La marcia dei saraceni, lenta ma regolare, li portò in circa ottant’anni al suo completo controllo. N.B. E’ degno di nota che sotto il dominio arabo la Sicilia attraversò un periodo di grande splendore; divenne il centro dei traffici tra l’Africa e l’Europa, tra l’Oriente e l’Occidente; si coprì 10 A partire dal sec. VIII, gli autori latini hanno definito saraceni i nuovi invasori che effettuavano incursioni scorribande e saccheggi in Italia, in Gallia e in Provenza). Anche se il vocabolo si diversificò indicandoli di volta in volta con nomi diversi, si diffuse un'immagine precisa: quella del saraceno guerriero pagano e idolatra, traditore e dissoluto, distruttore e predatore, nonché servitore del demonio. 29 Storia della Chiesa 2 di monumenti e di opere pubbliche; la sua agricoltura si arricchì di nuove colture; Palermo, florida e popolosa, divenne la punta di diamante di questa crescita. Come spiegare questa rapida (soprattutto nelle prime fasi) e prorompente espansione? Secondo alcuni la molla principale sarebbe stata l’entusiasmo religioso, che avrebbe spinto i guerrieri arabi a diffondere l’Islam ovunque. Altri hanno insistito sul sovrappopolamento delle comunità arabe e sulla necessità di dare sfogo a esso attraverso la conquista di nuovi spazi. Ambedue queste interpretazioni contengono una parte di verità, ma è necessario considerare anche altri fattori: anzitutto il quadro politico esterno, caratterizzato, come detto, dalla estenuante guerra tra bizantini e persiani, che li rese poco attenti alla crescente minaccia araba. Questa rivalità accanita tra le due principali potenze dello scenario medio-orientale fu sfruttata alla perfezione dall’iniziativa musulmana, che vi si insinuò come un cuneo. Quanto all’entusiasmo religioso, esso era certamente molto vivo in settori considerevoli del mondo islamico e del suo ceto dirigente, ma i guerrieri beduini, che rappresentavano il nucleo più forte e combattivo degli eserciti arabi, erano anche i meno profondamente toccati dalla nuova religione, avendo talvolta una pratica dell’Islam molto superficiale. Bisogna considerare, infine, la facilità con cui molte popolazioni dei territori bizantini e persiani decisero di arrendersi e accogliere i nuovi padroni; molti fattori giocarono in tal senso, primo fra tutti la dura oppressione delle minoranze religiose e degli “eretici” messa in atto tanto dai persiani che dai bizantini, e il peso dei tributi da loro imposti). 3. LA CONDIZIONE DEI CRISTIANI NEL MONDO MUSULMANO 3.1 IL CORANO E I CRISTIANI Per comprendere il comportamento assunto dai conquistatori musulmani nei confronti dei cristiani autoctoni, nei paesi da loro conquistati, giova ricordare che tale comportamento è stato condizionato, in larga parte, dal giudizio che il Corano dà del cristianesimo e dei cristiani. Per quanto riguarda il cristianesimo, il giudizio del Corano è categorico: la dottrina della Trinità e della filiazione divina di Gesù è un'enorme menzogna (XVIII, 5), professata da empi e cospiratori (V, 17,23; IX, 30-3 1) e da gente religiosamente esaltata (IV, 171). Quanto invece ai cristiani, i giudizi riportati nel Corano sono contraddittori. Da un lato, infatti, si proibisce ai musulmani di prendersi come affiliati dei cristiani (V, 51); dall'altro, si afferma che i cristiani sono le persone più vicine ai musulmani per amicizia (V, 82). Similmente il Corano constata che tra i cristiani si trovano preti e monaci che non sono gonfi d'orgoglio (V, 82), pur osservando che molti pontefici e monaci sprecano i beni della gente e ammassano oro e denaro (IX, 34). Il Corano ritiene pure che i cristiani non abbiano osservato convenientemente il monachesimo che hanno innovato, e che molti di loro sono perversi (LVII, 27). Infine, il Corano afferma che Dio ha ricevuto l'alleanza dei cristiani; e tuttavia, avendo essi dimenticato una parte di ciò che era stato loro inculcato, egli ecciterà tra loro l'ostilità e l'odio sino al giorno della Risurrezione (V, 14). Complessivamente simile giudizio, del tutto negativo quanto alla dottrina e poco compiacente verso coloro che la professano, non incoraggia i conquistatori musulmani a fraternizzare con i cristiani autoctoni. 3.2 I RAPPORTI TRA MUSULMANI CONQUISTATORI E CRISTIANI CONQUISTATI I rapporti tra musulmani conquistatori e cristiani conquistati sembrano dettati alle origini da un versetto coranico e da un trattato di pace che Maometto firma nel 631 con gli abitanti di Nairan, città dello Yemen. Il versetto coranico ordina ai musulmani di combattere la gente del Libro che non pratica la vera religione, fino a che essi non paghino il tributo (djizya) «di loro pugno e facendosi piccoli» (IX, 29). Quanto al trattato, esso garantisce ai cristiani di Najran, in cambio di un certo numero di forniture e di servizi, la protezione di Dio e la garanzia del profeta. 30 Storia della Chiesa 2 A questi due elementi si ispirano manifestamente tutti i trattati di capitolazione, conclusi in seguito dai generali musulmani con gli abitanti di Mesopotamia, Siria ed Egitto, che consegnano le loro città, senza combattimenti, ai conquistatori arabi. In tutti questi trattati, a noi trasmessi dagli storici arabi ritroviamo all'incirca le medesime condizioni. In cambio del pagamento della capitazione (djizya), di vari servizi resi agli eserciti musulmani in campagna di guerra e di un certo numero di proibizioni riguardanti l'esercizio del culto, il capo musulmano garantisce agli abitanti cristiani della città che si consegna nelle sue mani la salvaguardia delle persone, dei loro figli e dei loro beni. Quando la conquista giunge a compimento, le condizioni imposte da questi trattati reggono i rapporti tra i musulmani e i cristiani discendenti da coloro che li hanno firmati al momento della capitolazione. Ma quando i servizi da rendere agli eserciti musulmani in guerra scompaiono, sussistono solo, accresciute e aggravate, le proibizioni riguardanti i luoghi e le pratiche del culto cristiano. 3.3 LO STATUS DEL CRISTIANO «CONVENZIONATO» Nella maggior parte dei trattati di capitolazione, il termine dhimma è scelto a designare la salvaguardia delle persone e dei beni, che i musulmani garantiscono ai cristiani. Il termine significa insieme la convenzione e la salvaguardia che essa garantisce. Chi è oggetto di tale contratto di garanzia è un «convenzionato» (dhimmi) e i cristiani sono chiamati «la gente della convenzione» (ahl aldhimma)2. Mediante il pagamento della capitazione (djizya), i cristiani ottengono di avere salva la vita, il diritto di dimorare nel territorio islamico e restare nella loro infedeltà. La capitazione è un'imposta annuale sulle persone. Alcune categorie di persone ne sono esenti, come le donne, gli impuberi, gli schiavi e, in certe epoche, anche gli infermi e i monaci. Se la popolazione si è assoggettata volontariamente, la tariffa della capitazione viene fissata di comune accordo. Se la popolazione è stata invece assoggettata a viva forza, la tariffa viene fissata obbligatoriamente in base alle tre classi sociali dei ricchi, della gente di condizione media e dei poveri'. Oltre alla capitazione, i cristiani che conservano la proprietà delle loro terre devono anche pagare al tesoro musulmano un'imposta fondiaria annuale (kharadi), il cui ammontare varia secondo il rendimento del terreno e va pagata al momento del raccolto. 3.4 I SEGNI DISTINTIVI DEI CRISTIANI Il versamento della capitazione e dell'imposta fondiaria garantiscono ai cristiani «convenzionati», in linea di principio, la libertà individuale; tuttavia tale libertà, di fatto, si accompagna a un certo numero di restrizioni. La più penosa consiste in alcuni segni destinati a distinguere i cristiani dai musulmani. Questi segni distintivi non hanno nessun fondamento nel Corano e pare siano stati prescritti per la prima volta dal Califfo Omar Il (717-720). Una prima categoria di segni distintivi comprende alcuni obblighi: portare una cintura sui vestiti e due strisce di stoffa gialla sulla spalla-'; radersi la parte anteriore del capo; attaccare sulla porta delle case un'immagine di legno che rappresenta un demonio. Una seconda categoria di segni discriminatori è costituita da alcune proibizioni: come portare il berretto, il turbante e le calzature dei musulmani, salire a cavallo, usare selle di cuoio, cingere la spada e portare armi, assumere nomi musulmani, edificare costruzioni più alte di quelle dei musulmani. Benché in capo a un certo tempo simili misure tendano a non essere più applicate rigorosamente, in qualsiasi momento esse possono venir rimesse in vigore. Dal 1002 al 1020, ad esempio il califfo fatimida al-Hakim rimette in vigore tutti i provvedimenti, aggiungendovi quello di una pesante croce dt legno da appendere al collo. Non c'è dubbio che tali segni distintivi siano stati molto penosi per i cristiani, essendo sentiti come discriminatori e vessatori; per questo molti cristiani di ogni confessione, per sfuggire all'umiliazione e al disprezzo, preferiscono convertirsi all'Islam. 3.5 GLI IMPEDIMENTI ALL'ESERCIZIO DEL CULTO CRISTIANO 31 Storia della Chiesa 2 Lo statuto di «convenzionati» garantisce pure ai cristiani, in linea di principio, la libertà religiosa; e tuttavia anch'essa viene ristretta da un certo numero di vincoli, destinati a impedire ogni manifestazione pubblica della religione cristiana in terra islamica. Come per i segni distintivi, questi impedimenti, privi di ogni fondamento coranico, figurano nella convenzione attribuita a Omar I. Essi consistono nella proibizione fatta ai cristiani di costruirsi nuove chiese e nuovi monasteri, di riparare le chiese e i monasteri che cadono in rovina, di manifestare pubblicamente la loro religione e di predicarla, di mostrare la croce e i vessilli, di fare processioni, di cantare ad alta voce durante le sepoltura. Gli impedimenti relativi ai luoghi di culto svolgono un ruolo fondamentale nella storia del cristianesimo in terra islamica, in quanto lo scopo costante dei cristiani consiste nel raggirare, mediante finanziamento, la proibizione di costruire nuove chiese e restaurare le antiche. Anzi, si può dire che essi esauriscono ogni loro energia in questa lotta contro le autorità musulmane: i califfi e i governatori ordinano periodicamente la demolizione di chiese, costruite o restaurate clandestinamente ed è una guerra di logoramento che si conclude sempre a sfavore dei cristiani, con un arretramento dello stesso cristianesimo nei territori islamici. Similmente anche gli impedimenti a danno delle pratiche di culto hanno un influsso notevole sull'evoluzione dei rapporti tra cristiani e musulmani. Le processioni e le cerimonie di sepoltura sono quasi sempre all'origine delle sommosse popolari anticristiane; e finiscono regolarmente nel saccheggio e nell'incendio di chiese e monasteri da parte della plebaglia musulmana. 3.6 I CRISTIANI E LA FUNZIONE PUBBLICA Le convenzioni di garanzia non menzionano mai la proibizione, per i cristiani, di esercitare le pubbliche funzioni. E tuttavia i giuristi musulmani sono unanimi nel ritenere che i «convenzionati» devono essere esclusi da ogni funzione pubblica. Questi giuristi fanno anche valere il motivo che il funzionario cristiano può essere tentato di divulgare i segreti del sovrano musulmano ai suoi correligionari stranieri; similmente il funzionario cristiano, nei suoi colloqui e nella sua corrispondenza, non può appellarsi alla parola di Dio senza profanarla. Tuttavia alcuni giuristi, ammettono la possibilità che un cristiano occupi un pubblico impiego e ricopra persino le funzioni di ministro, ma a condizione che non abbia alcun potere decisionale e che si limiti ad eseguire gli ordini del sovrano. I fatti storici sono in contraddizione con la dottrina dei giuristi musulmani, che ritengono i cristiani inetti all'esercizio della funzione pubblica. Dopo la conquista gli hommayadi conservano i sistemi amministrativi bizantino e sassanide; e anche dopo l'arabizzazione dell'amministrazione, la maggior parte dei funzionari dello Stato musulmano sono cristiani. là il califfo Omar Il (717-720) a decretare il licenziamento dei funzionari «convenzionati»; ma il suo decreto non pare sia stato applicato con rigore, se è vero che alcuni anni più tardi il califfo Hisham (724-743) lamenta ancora il gran numero di questi funzionari al servizio dello Stato. La stessa misura di esclusione viene presa contro funzionari «convenzionati» da tre califfi abbasidi del sec IX. Ma tutte queste misure non hanno impedito che, in ogni epoca, ci siano stati funzionari cristiani al servizio dello Stato musulmano, dal percettore d'imposte al segretario di cancelleria. Ma è pur vero che a ogni nuovo provvedimento di licenziamento dei funzionari «convenzionati» vari cristiani hanno preferito abbracciare l'Islam, pur di non abbandonare le loro funzioni. 3.7 GLI ARABI CRISTIANI E LA CONQUISTA MUSULMANA La conquista dei paesi della Mezzaluna fertile da parte degli arabi ha inizio dopo la morte di Maometto, quando i musulmani si lanciano fuori dello Hijaz per combattere gli infedeli. Nell'arco di due secoli gli arabi escono dall’Arabia e si stabiliscono lungo i confini del deserto siromesopotamico. Alcune tribù si sedentarìzzano e costituiscono due principati arabi: a ovest, quello dei Banu Ghassan (Ghassanidi), con capitale al-Djábiya e, a est, quello dei Banu Lakhm (Lakhmi- 32 Storia della Chiesa 2 di), con capitale al-Híra. Tutte queste tribù arabe erano state cristianizzate e avevano propri vescovi, alcuni sedentari, altri nomadi. Al tempo della conquista musulmana gli arabi cristiani svolgono un ruolo fondamentale, in quanto i cristiani autoctoni, che li conoscono bene, li utilizzano come intermediari nei negoziati con gli arabi musulmani conquistatori. E in tutti i racconti di capitolazione delle città siriane mesopotamiche li vediamo fare da interpreti tra i capi musulmani e i responsabili cristiani. D'altra parte, questi arabi cristiani, insediati nei paesi della Mezzaluna fertile, vi diffondono la scrittura araba, molto prima che essa venga introdotta alla Mecca. Le due più antiche testimonianze di questa scrittura, inventata dagli arabi cristiani di al-Hira sono infatti due iscrizioni cristiane reperite in Siria: la prima a Zabad, nella regione di Aleppo, datata al 512, e la seconda ad Harrán, nello Haurán, datata al 568 Dopo la conquista non ci si deve dunque stupire di vedere arabi cristiani che insegnano la scrittura araba ai figli dei conquistatori musulmani. Anzi la rapidità dell'arabizzazione dei paesi della Mezzaluna fertile si spiega, in parte, con la presenza di questa popolazione araba cristiana, insediatasi anteriormente alla conquista musulmana intorno al deserto siro-mesopotamico. 3.8 LA SCOMPARSA PROGRESSIVA DEGLI ARABI CRISTIANI Dopo la morte di Maometto, una delle principali preoccupazioni dei primi califfi consiste nell'imporre l'Islam a tutte le tribù arabe stabilite all'interno della penisola arabica. Omar I, in particolare, ordina di espellere dall'Arabia gli arabi cristiani che rifiutino di convertirsi all'Islam. Così i Banu 1-Harith, abitanti di Najrán che avevano sottoscritto una «convenzione» con Maometto, sono obbligati a emigrare verso l'Iraq per poter conservare la loro fede. Le tribù arabe cristiane del Bahrain e dell'Oman abbracciano invece abbastanza presto l'Islam, e i vescovi di queste regioni scompaiono nel corso del secolo VIII. Quanto alle tribù arabe cristiane, come quelle dei Banu Taghlib (taghlibidi) e dei Banu Tanukh (Tanukhidi), insediate sul limes nel deserto siriano, Omar I cerca di imporre loro la capitazione (djizya) pagata dai cristiani non arabi. E poiché i Taghlibidi e i Tanukhidi rifiutano di pagare tale tributo, il califfo concede loro di versare una decima doppia dell’elemosina (sadaqa) pagata dagli arabi musulmani. Abd al-Malik (685-705) non costringe al-Akhtal, il grande poeta dei Banu Taghlib, a convertirsi all'Islam, e lo lascia libero di praticare il cristianesimo giacobita. Invece suo fratello Maometto, governatore della Mesopotamia, e il suo successore al-Walid I (705-715) fanno martirizzare due capi dei Taghlibidi, Mu'adh e Sham'ala, che hanno rifiutato di convertirsi. Nel 779 al-Mahdi obbliga i Banu Tanukh, insediati nella regione di Aleppo, a convertirsi e uno di loro, al-Layth, subisce il martirio. Tuttavia le liste episcopali del patriarca giacobita Michele Siro menzionano ancora la consacrazione di vescovi per i Taghlibidi alla fine del secolo IX, e per le tribù arabe, tra le quali i Tanukhidi, agli inizi del secolo X. Dopo la conquista araba non abbiamo più alcuna informazione sul cristianesimo presso i Banu Ghassan, né il loro nome compare nelle liste episcopali di Michele Siro. Secondo le fonti musulmane, l'ultimo re ghassanide, Djabala ibn Ayham, si sarebbe convertito all'Islam dopo la battaglia di Yarmuk e avrebbe compiuto il pellegiìnaggio alla Mecca. Tra i Banu Lakhm, invece, sappiamo che il cristianesimo si è conservato, nella frazione importante degli 'Ibad, almeno sino al secolo X; i due grandi medici e traduttori nestoriani Hunain ibn Isháq (t 873) e suo figlio Isháq ibn Hunagn (t 910) appartenevano infatti a questa tribù araba. 3.9 MONASTERI E FESTE CRISTIANE NELLA SOCIETÀ MUSULMANA I monasteri esistenti in gran numero nelle province cristiane dell'Impero musulmano - Mesopotamia, Siria ed Egitto - non scompaiono bruscamente dopo la conquista araba, ma perdurano nel corso dei primi secoli della dominazione musulmana. Anzi questi monasteri danno origine a un nuovo genere letterario, che fa la sua comparsa nella letteratura araba del secolo IX: quello dei «Libri dei monasteri». Queste opere sono antologie poetiche che raggruppano, classificati per monasteri, i versi composti da poeti musulmani in occasione del loro passaggio e soggiorno nel tale monastero, come notizia descrittiva e stoiica che accompagna in genere i versi così raccolti. Oltre alla loro impor- 33 Storia della Chiesa 2 tanza letteraria, i «Libri dei monasteri» presentano un grande interesse sociologico, in quanto ci fanno sapere che i monasteri erano frequentati da molti musulmani; non solo grandi personalità dello Stato, come califfi e principi accompagnati dai loro commensali, ma anche gente semplice degli ambienti popolari. È un dato certo che i musulmani si recano nei monasteri, in primo luogo, per motivi profani; come quello di una passeggiata, visto che i monasteri sono situati in luoghi piacevoli, o della degustazione del vino, poiché la viticoltura costituisce una delle attività principali dei monaci, che vendono i loro prodotti alle taverne vicine; l'ospitalità e le foresterie dei monasteri costituiscono inoltre una dimora ricercata nelle tappe dei viandanti. Ma sembra che i musulmani frequentino i monasteri anche per motivi religiosi. La celebrazione delle feste cristiane (Epifania, Palme, Pasqua) attira i non cristiani per la bellezza degli uffici liturgici e delle melodie; come pure la venerazione delle reliquie dei santi, al tempo della festa patronale del monastero, verso il quale si va in pellegrinaggio; o la manifestazione di fatti meravigliosi e soprannaturali, di cui il popolo, sia cristiano che musulmano, è particolarmente ghiotto. 34 Storia della Chiesa 2 LA CHIESA IN ORIENTE NEI SECOLI VII - XI 1. MONOTELISMO E MONOENERGISMO 1.1 PREMESSA: CRISTIANITÀ ORIENTALE NEL SECOLO VII Il secolo VII segnò una svolta decisiva nella storia dell’Impero romano d’Oriente. Nella vita della Chiesa bizantina si verificarono dei cambiamenti di grande portata. Gli avvenimenti politici e militari che ebbero luogo all’interno dell’Impero e al di fuori delle sue frontiere dell’est e del sud-est modificarono la carta ecclesiastica della cristianità orientale e diedero alla Chiesa bizantina una nuova fisionomia culturale che essa avrebbe conservato per tutto il Medioevo. I persiani riportarono vittorie in Siria, in Armenia, in Palestina e in Asia Minore; conquistarono l’Egitto (611-619); contemporaneamente gli avari e gli slavi invasero le province balcaniche dell’Impero: tutto questo pareva annunciare la fine dell’Impero romano d’Oriente. Anche Gerusalemme fu espugnata e messa al sacco nel 614. I bizantini ne furono profondamente sconvolti. Così si impegnarono con l’Impero persiano in un conflitto che per essi aveva il significato di una guerra santa. A questo punto Bisanzio sembrò riprendersi, grazie alle riforme amministrative e militari dell’imperatore Eraclio (614-641), ma pochi anni dopo furono le armate arabe a conquistare le provincie imperiali di Siria, Mesopotamia, Armenia ed Egitto. Benché nel corso delle ultime due prove di forza tra Bisanzio e il califfato Ommayade, nel 678 e nel 718, gli arabi fossero stati respinti di fronte alle mura di Costantinopoli, quasi tutte le provincie orientali, comprese le sedi patriarcali di Alessandria, Gerusalemme e Antiochia furono conquistate dall’Islam fin dalla metà del secolo VII. Le conquiste arabe furono certamente facilitate dal distacco della popolazione locale, soprattutto in Egitto, nei confronti del governo centrale di Costantinopoli, in materia di religione Si trattava infatti di monofisiti a cui, durante i due secoli trascorsi, ci si era sforzati di imporre l’obbedienza alla dottrina di Calcedonia. Scrittori monofisiti posteriori pretesero che i cristiani avessero accolto gli arabi da “liberatori”: certo questo giudizio è influenzato da una certa esagerazione partigiana, tuttavia non si può negare che l’ostilità religiosa e politica contro i “melchiti” di Costantinopoli abbia permesso ai copti e ai siri di accettare con più facilità il potere dei nuovi padroni musulmani. 1.2 LA RICERCA DI UNITA’ RELIGIOSA: TENTATIVI FALLITI La conquista delle provincie orientali dell’Impero ad opera degli arabi sanzionò il fallimento dei tentativi fatti nei due secoli precedenti dagli imperatori per riguadagnare le comunità monofisite ed imporre loro l’accettazione del Concilio di Calcedonia, a volte con la persecuzione, a volte, con compromessi dottrinali. I monofisiti colpiti dalla politica giustinianea rialzarono la testa con Giacomo Baradai (giacobiti), ordinato vescovo per intervento di Teodora, che ricostituisce gerarchie monofisite e diventò patriarca di Antiochia. L’imperatore Giustino II cercò di accordarsi con i monofisiti con un editto con cui si tornava a prima di Calcedonia con la dottrina cirilliana della “mia physis”. Qualche decennio dopo il patriarca di Costantinopoli, Sergio, ex monofisita, animato da un grande desiderio di unificazione, cominciò col propagare la dottrina del monoenergismo, affermando che Cristo ha due nature ma una sola forza attiva. Questa dottrina sembrava aprire le porte ad un compromesso tra ortodossi e monofisiti. Nel 633 il patriarca di Alessandria, Ciro, impone la formula “mìa theandrikè enèrgheia”. Il patriarca Sergio scrisse a papa Onorio I che restò abbastanza convinto da concedere il suo appoggio : “confessiamo un’unica volontà in Cristo”. Dopo la vittoria sulla Persia l’imperatore Eraclio compì un risoluto sforzo per ottenere la lealtà dei monofisiti di Armenia, Siria ed Egitto, che avevano fruito di un regime di privilegio sotto i loro padroni persiani. Gli sforzi di Eraclio in un primo tempo ebbero successo. Nel 633, pareva che l’Impero unanime accettasse formalmente l’ortodossia di Calcedonia. Tuttavia quest’unanimità fondata sull’equivoco teologico e sull’opportunismo non poteva durare a lungo. L’insegnamento di 35 Storia della Chiesa 2 Sergio fu tenacemente combattuto dal monaco Sofronio (più tardi patriarca di Gerusalemme) e da san Massimo il Confessore. Ma Eraclio era più che mai convinto che, di fronte alle invasioni barbariche che minacciavano di inghiottire tutte le provincie orientali, solo l’unità religiosa potesse salvare l’Impero. Cambiando terreno teologico, abbandonò il monoenergismo, sempre più screditato, per adottare una dottrina nuova, il monotelismo, la quale affermava che, pur avendo Cristo due nature, ha una sola volontà. L’imperatore cercò di imporre a tutta la Chiesa il monotelismo con un editto nel 638 l’Ektesis11, ma i risultati furono assolutamente disastrosi: i monofisiti respinsero questa dottrina giudicandola troppo calcedoniana. Gli arabi continuavano intanto la loro trionfale avanzata attraverso il Vicino Oriente : nel 636 l’impero perdeva la Palestina e la Siria. 1.3 PROGRESSIVO DISTACCO ROMA - COSTANTINOPOLI Il papato, salvo papa Onorio12, si oppose fermamente al monotelismo: nel 640 a Roma Giovanni IV respinse l’interpretazione non ortodossa del pensiero di Onorio13 e chiese a Costantinopoli 11 L’imperatore Eraclio pensò, quindi, di concludere il problema impedendo di parlare di una o due operazioni, sottolineando come elemento fondamentale l’unica volontà delle operazioni di Cristo. «Attribuiamo ogni divina ed umana operazione all'unico e medesimo Dio Verbo incarnato, e offriamogli una sola venerazione spontaneamente e veracemente non concedendo a nessuno di dire o di insegnare una sola o due operazioni nell’incarnazione divina del Signore. Se infatti il folle Nestorio introducendo due figli, non osò nominare le loro volontà, anzi al contrario confessò una sola volontà consonante in lui: come è possibile che in lui sussistano due contrarie volontà? Da cui, seguendo i santi padri in ogni cosa, ed in questa in particolare, confessiamo una sola volontà del Signore nostro Gesù Cristo, verissimo Dio». 12 Lettera Scripta fraternítatis al patriarca Sergio di Costantinopoli, a. 634 - Le due volontà e attività in Cristo “... professando che il Signore Gesù Cristo, mediatore tra Dio e gli uomini [cf. 1 Tm 2,5], ha operato le cose divine per mezzo dell'umanità, che era unita al Verbo di Dio naturalmente [gr.: secondo l'ipostasi], e che egli stesso ha compiuto le cose umane mediante la carne assunta in modo ineffabile e singolare, piena in modo [gr.: in-]diviso, inconfuso e inconvertibile della divinità .... così che senza dubbio con mente meravigliata si riconosca che [la carne soggetta al patire] si unisce [alla divinità], mentre le diversità di ambedue le nature rimangono in modo mirabile. ... Perciò professiamo anche una sola volontà del Signore nostro Gesù Cristo, poiché in realtà dalla divinità è stata assunta la nostra natura, non la (nostra) colpa, quella (natura) in effetti che è stata creata prima della caduta nel peccato, non quella viziata dopo la caduta. Cristo infatti ..., concepito senza peccato dallo Spirito Santo, è stato partorito anche senza peccato dalla santa e immacolata Vergine, genitrice di Dio, senza aver esperimentato un qualche contagio con la natura viziata. ... Infatti nelle sue membra non ci fu altra legge e anche nessun volere diverso o contrario al Salvatore, poiché egli nacque al di sopra della legge della condizione umana. ... Che il Signore Gesù Cristo, Figlio e Verbo di Dio «attraverso il quale tutto è stato fatto» [Gv 1,31, sia egli stesso l'unico operatore della divinità e dell'umanità, lo dimostrano chiaramente tutte le sacre Scritture. Se invece per via delle opere della divinità e dell'umanità si debba parlare o pensare di una sola o di due attività derivate, non deve essere per noi importante; lasciamo la questione ai maestri di grammatica, che son soliti vendere ai bambini i concetti acquisiti mediante derivazione. Noi infatti dalle sacre Scritture non abbiamo imparato che il Signore Gesù Cristo e il suo Santo Spirito ha una sola o due attività, ma abbiamo riconosciuto che egli ha operato in modo multiforme. Lettera Scripta dilectissimi filii a Sergio di Costantinopoli, a. 634: Le due attività in Cristo Eliminando dunque ... lo scandalo della nuova trovata è necessario che non predichiamo assegnando una o due attività, ma al posto di una sola (attività), che alcuni affermano, dobbiamo veracemente professare l'unico Cristo, il Signore, attivo in ambedue le nature; e al posto delle due attività, eliminato il concetto della doppia attività, si deve con noi piuttosto predicare, che le due nature stesse, cioè quella della divinità e quella della carne assunta, operano quanto a loro è proprio nell'unica persona dell'Unigenito di Dio Padre in modo inconfuso, indiviso e immutabile. 13 GIOVANNI IV: Lettera Dominus qui dixit all'imperatore Costantino III (Apologia di papa Onorio), primavera 641. Il significato delle parole di Onorio circa le due volontà "Il patriarca Sergio di venerabile memoria rese noto al predetto vescovo di Roma [Onorio] di santa memoria, che alcuni affermavano due volontà contrarie nel nostro Signore e Redentore Gesù Cristo; dopo che il predetto papa lo ebbe saputo, gli rispose che il nostro Redentore, come forma una sola unità, come pure fu concepito e nacque in maniera mirabile al di là di ogni modo umano. In questo modo dunque ... [papa Onorio] ha evidentemente scritto [a Sergio], che nel nostro Salvatore, cioè nelle sue membra [cf. Rm 7,231, non sono assolutamente presenti due volontà contrarie, giacché egli non portava nessun danno dalla prevaricazione del primo uomo. ... Tuttavia, affinché nessuno, non comprendendolo, rimproveri mai [Onorio], (chiedendo per quale motivo appare che egli parli solo della natura umana e non anche della divina, ... chi se ne fa un problema deve sapere che la risposta a ciò già fu data alla domanda del patriarca sopra nominato. Inoltre avviene di solito che proprio là dov'è la ferita, sopravviene 36 Storia della Chiesa 2 di fare la stessa cosa. Ne risultò un conflitto tra la Sede di Roma e quella di Costantinopoli. Invano l’imperatore Costanzo II, per evitare la rottura completa con Roma, pubblicò nel 648 un Typos, in cui, attenendosi ai primi cinque grandi concili, proibiva di discutere ulteriormente a proposito delle “forze attive” e delle “volontà” insite nel Cristo ed ordinava di rimuovere l’Ektesis dalla basilica di S. Sofia a Costantinopoli. Il Sinodo Romano, convocato l’anno successivo da papa Martino I, condannò solennemente la dottrina monoteleta, l’Ektesis e il Typos. Di qui una serie di crudeltà che Costanzo II, per vendicarsi, mise in atto prima contro il papa, arrestato, portato a Costantinopoli, giudicato, condannato per non aver chiesto la conferma imperiale alla sua elezione, umiliato ed esiliato (morirà nel 655), e poi contro Massimo il Confessore, capo del partito greco antimonotelita, cui toccò ugual sorte. Nel 680 a Costantinopoli si convoca un concilio per condannare il monotelismo; è il VI ecumenico: Onorio viene condannato tra gli eretici, nonostante le proteste romane14. Papa Leone II conferma le decisioni, condanna Onorio, scusandolo. Alle tensioni dottrinali si aggiunsero, come detto, le invasioni arabe e slave, che ebbero due conseguenze di grande portata sul futuro sviluppo della Chiesa bizantina. a) La perdita delle provincie dell’est accrebbe considerevolmente il potere del patriarca di Costantinopoli. Ormai libero da ogni competizione con i suoi antichi rivali di Alessandria e di Antiochia, fondando le proprie pretese sullo statuto dato alla sua sede dal secondo concilio ecumenico e che lo collocava immediatamente dopo il vescovo di Roma, il vescovo della capitale bizantina divenne da questo momento il capo indiscusso della cristianità orientale. b) D’altro canto poi le invasioni, soprattutto slave, vennero ad aggiungersi alla barriera naturale per le relazioni tra Costantinopoli e Roma e agli episodi gravi di tensione, contribuendo, almeno quanto il dominio degli arabi nel Mediterraneo, al progressivo allontanamento della Chiesa d’Oriente da quella d’Occidente. Nella storia di questo allontanamento, il secolo VII rappresenta una svolta decisiva. Esempio di questo distacco è il Concilio Trullano o Quininsesto (per recuperare argomenti non trattati dai due ultimi precedenti concili), convocato da Giustiniano II nel 692, che venne riconosciuto dalla Chiesa d’Oriente come facente parte integrante del sesto concilio ecumenico, ma rifiutato da Roma (condannava certe usanze della Chiesa di Occidente, come il digiuno al sabato e il celibato ecclesiastico, e riaffermava il 28° canone del Concilio di Calcedonia). Può essere utile, a proposito di questo Concilio, cogliere alcuni aspetti circa la vita della Chiesa d’Oriente in quel periodo, aspetti che è possibile cogliere dagli atti: tra questi, almeno sinteticamente, l’abbassamento del livello della disciplina ecclesiastica (circa la moralità, il ritualismo e l’attaccamento agli usi pagani), ma anche il notevole sviluppo della liturgia, della venerazione della Madre di Dio e dell’innologia greca. anche l'aiuto della medicina. Infatti anche il beato apostolo evidentemente lo ha fatto spesso, allorché si mise nell'usuale mentalità degli uditori; una volta infatti dando insegnamenti circa la natura suprema (di Cristo), tace totalmente circa quella umana; un'altra volta invece parlando dell'operare salvifico umano, non tange il mistero della sua divinità. .. Perciò il mio predetto predecessore, dando insegnamenti circa il mistero dell'incarnazione di Cristo, diceva che in lui non ci sono come in noi peccatori volontà contrarie della mente e della carne. Alcuni hanno scambiato ciò con la loro propria opinione e supposto che abbia insegnato una sola volontà della sua divinità e umanità, ciò che è totalmente contrario alla verità". 14 Concilio di Costantinopoli III (680-681). Condanna dei monoteleti e del papa Onorio I. DZ 550-552 "Esaminate le lettere dogmatiche scritte da Sergio, a suo tempo patriarca di questa città imperiale a Onorio, che era vescovo dell'antica Roma, e la lettera con la quale quest’ultimo, cioè Onorio, rispose a Sergio [cf. *487], e constatato che non sono conformi agli insegnamenti apostolici e alle definizioni dei santi concili e di tutti gli illustri santi padri, e che viceversa seguono le false dottrine degli eretici, le rifiutiamo tutte e le esecriamo come corruttrici. Dei quali poi, cioè dei medesimi, condanniamo le empie dottrine, e abbiamo ritenuto che di questi siano cancellati anche i nomi [dai dittici] della santa chiesa di Dio: cioè di Sergio ... che ha osato sostenere nei suoi scritti questa dottrina; di Ciro di Alessandria, di Pirro, Paolo e- Pietro, i quali pure ebbero l'incarico episcopale nella sede di questa città protetta da Dio e seguirono le stesse loro dottrine; e anche di Teodoro, già vescovo di Faran. Di tutte queste sunnominate persone ha fatto memoria Agatone, il santissimo e tre volte beatissimo papa dell’antica Roma, nella lettera che inviò al piissimo ... imperatore, e li respinse in quanto sostenitori di insegnamenti contrari alla nostra retta fede; abbiamo stabilito che quelli siano anche sottoposti ad anatema. Concordiamo nel dissociare dalla santa chiesa di Dio e nel colpire con anatema anche Onorio, che fu papa dell'antica Roma, perché, esaminando gli scritti che egli inviò a Sergio, abbiamo constatato che aderì in tutto al suo pensiero e confermò le sue empie dottrine. 37 Storia della Chiesa 2 3 LA CONTROVERSIA ICONOCLASTA 3.1 PREMESSA FONDAMENTALE La crisi iconoclasta divise per più di cento anni (725-843) la Chiesa bizantina in due partiti assolutamente inconciliabili. Provocò una valanga di violenze e di persecuzioni; determinò un profondo malessere politico e sociale nella società bizantina. In genere si rivelò una svolta decisiva nella storia della Chiesa d’Oriente. Fu un fenomeno complesso : la sua origine non è del tutto chiara; fino a che punto fattori non religiosi ne abbiano determinato lo sviluppo e le successive articolazioni, resta ancora oggetto di discussione. La comprensione che possiamo avere del fondamento dottrinale della controversia viene resa difficile dal fatto che, in seguito alla restaurazione provvisoria della venerazione delle immagini nel 787, e poi del suo definitivo ristabilimento nell’842, in due diverse occasioni, gli scritti degli iconoclasti subirono una massiccia distruzione; li si può quindi ricostruire solo partendo dai testi dei loro avversari. 3.2 I FATTORI DELLA CRISI a) fattori non religiosi Non possiamo esimerci dall’accennare alcuni fattori economici e sociali che contribuirono all’inasprimento della lotta. Va innanzitutto considerato che il partito iconoclasta traeva la propria forza dalla popolazione periferica della capitale, dai piccoli artigiani e soprattutto dell’esercito, mentre sembra essere rimasto fondamentalmente fedele alla venerazione delle icone il proletariato della città. Non solo: anche i monaci, soprattutto nella prima fase della controversia, furono dei tenaci fautori delle icone, cosa che provocò per molti di loro il martirio; nella seconda fase, invece, un numero considerevole di monasteri si schierò dalla parte degli iconoclasti. b) fattori religiosi Malgrado l’importanza dei problemi sopra accennati, le questioni essenziali si devono ricercare sul piano dottrinale. La controversia verteva essenzialmente sugli oggetti della fede cristiana e sulla natura del culto cristiano, individuale e comunitario. A questo livello, l’origine e il fondamento dell’iconoclastia risiedono nell’ostilità verso ogni forma di arte religiosa, ostilità che una parte della Chiesa antica aveva ereditato dalla Sinagoga e desunto dalle interdizioni veterotestamentarie delle immagini (cfr. Es 20, 1-6). Alimentata forse anche dall’avversione musulmana nei confronti della rappresentazione di forme umane, l’avversione di alcuni uomini di Chiesa era dovuta probabilmente anche al carattere popolare della devozione alle icone, carattere popolare che favoriva il varcare la sottile frontiera che separa l’autentica venerazione dall’idolatria superstiziosa. Non solo: la comprensibile diffidenza di molti uomini di Chiesa bizantini, trovava un certo appoggio nella tradizione patristica (Eusebio di Cesarea contesta la validità teologica di ogni immagine pittorica del Cristo). Se la posizione iconoclasta, inizialmente motivata dalla paura della idolatria pagana, fu più tardi rafforzata dalle argomentazioni cristologiche avanzate da Costantino V, l’argomentazione più valida degli iconoduli si fondava sulla dottrina dell’Incarnazione, qual’era stata definita dal Concilio di Calcedonia, dottrina esposta nella prima metà del secolo VIII da san Giovanni Damasceno (le icone sono segni visibili della santificazione della materia resa possibile dall’Incarnazione del signore: l’invisibile diventa visibile)15. 15 L'icona è considerata come il luogo di incontro tra l'uomo e Dio; essa non si limita a guidare la preghiera, ma è veramente presenza del divino. Essendo il Cristo la prima icona di Dio, è normale che si possa rappresentare lui, come pure coloro che lo hanno imitato. Giovanni Damasceno ha definito molto bene questo aspetto dell'icona: «Se hai compreso che l'incorporeo si è fatto uomo per te, allora, è evidente, tu puoi realizzare la sua immagine umana. Poiché l'invisibile è divenuto visibile diventando carne, tu puoi eseguire l'immagine di colui che è stato visto, in quanto colui che non ha né corpo, né forma, né quantità, né qualità, ma che sorpassa tutta la grandezza per l'eccellenza della sua natura, 38 Storia della Chiesa 2 3.4 MOMENTI DRAMMATICI DELLA CRISI La disputa iconoclasta può essere per comodità di analisi distinta in due fasi (726/813 - 813/ 843). L’iconoclastia si assicurò l’appoggio delle autorità pubbliche di Bisanzio nel 726, quando l’imperatore Leone III dichiarò apertamente di opporsi alla venerazione delle immagini religiose. Per ordine dell’imperatore, una icona del Cristo che costituiva oggetto di grande venerazione venne distrutta, il che provocò reazioni e sommosse. La crisi si aggravò ulteriormente nel 730 quando Leone III pubblicò un editto che proibiva il culto delle icone e ordinava la distruzione di tutte le immagini sacre: il programma iconoclasta dell’imperatore veniva così ad assumere forza di legge, e cominciava la repressione violenta dell’opposizione iconodula. L’iconoclastia raggiunse il suo apice sotto il regno del figlio di Leone, Costantino V16, che, caratterizzato com’era da posizioni teologiche estremistiche, riunì un concilio nel 754 in cui la venerazione delle icone veniva condannata come idolatria (particolarmente grave fu la “scomunica” di alcuni capi del partito iconodulo, soprattutto il loro più grande teologo, Giovanni Damasceno. La persecuzione degli iconoduli si fece sempre più brutale, imponendo un regime di terrore ai monaci, che a quest’epoca erano i più fermi fautori della venerazione delle immagini: molti di loro furono costretti a fuggire verso le regioni periferiche dell’Impero dove si era mantenuta l’ortodossia. 3.5 LA FINE DELLA CRISI Gli eccessi cui giunsero le prese di posizione di Costantino V terminarono con la morte dell’imperatore. Leone IV, suo successore, benché avesse convinzioni iconoclaste, seguì una politica moderata, e le persecuzioni contro i monaci terminarono. Il partito iconodulo poté soppiantare il potere degli avversari quando, alla morte di Leone IV, esercitò la reggenza per il figlio la moglie Irene, fervente iconodula. Restaurando la venerazione delle icone, sanzionata nel II Concilio di Nicea nel 78717, Irene non annientò di certo le forze del partito iconoclasta. Con l’ascesa al potere di Leone V, nell’813, ebbe inizio un periodo di trent’anni durante il quale l’iconoclastia ritornò ancora una volta ad essere la dottrina ufficiale dell’Impero18. In un certo qual modo, questo periodo fu contrassegnato dal ritorno alla politica religiosa di Leone III e di Costantino V. colui che, di natura divina, si è fatto schiavo, costui si è ridotto alla quantità e alla qualità e si è rivestito dei tratti umani; imprimi dunque su questo legno e presenta alla contemplazione colui che ha voluto divenire visibile. In realtà, se noi facessimo idoli del Dio invisibile, noi veramente cadremmo in peccato, poiché non è possibile che venga raffigurato ciò che non ha corpo, non ha figura, non può essere visto e non può essere circoscritto. Ed ancora: se noi costruissimo immagini di uomini e poi le considerassimo dèi ed ad esse prestassimo culto come a dèi, allora veramente noi commetteremmo empietà. Però noi non facciamo nulla di tutto questo. Infatti se Dio si è incarnato e per la carne è stato visto sulla terra, se a causa della sua indicibile bontà ha conversato con gli uomini ed ha preso la natura, la consistenza, la figura ed il colore della carne, e ha vissuto in mezzo agli uomini, posso rappresentare ciò che è visibile in Dio: allora noi non sbagliamo nel fare la sua icona». 16 La teologia di Costantino V è forte ed espressa con chiarezza. L'accusa principale addotta contro il culto delle icone è quella di IDOLATRIA: «il demonio ha spinto i cristiani a prostrarsi dinanzi alla creatura, ad onorarla ed a pensare che l'opera chiamata col nome di Cristo era Dio». Il concilio si pose così al seguito di discussioni cristologiche e dimostrò che rappresentare il Cristo fa cadere nell'eresia nestoriana, poiché solo l'uomo può essere rappresentato; d'altronde, separando ciò che nel Cristo è inseparabile, la sua divinità dalla sua umanità, coloro che fanno delle icone del Cristo vengono a creare una ipostasi particolare e ad inventare una quarta persona alla Trinità; infine, poiché la divinità del Cristo è presente nel suo corpo, rappresentare il suo corpo, è dare un limite alla divinità, il che è impossibile ed eretico. Per Costantino V e il Concilio di Hieria, esiste una vera immagine del Cristo, che è l'Eucarestia, cioè il corpo e il sangue del Cristo in modo tale che nessun'altra specie, in grado di essere l'immagine della sua incarnazione, è stata da lui scelta su questa terra, così come nessun altro modello [typos]». 17 Noi accogliamo le venerande Immagini, noi sottoponiamo all'anatema coloro che non ammettono questo ... Se qualcuno non ammette che Cristo, nostro Dio, è limitato secondo l'umanità, sia anatema. Se qualcuno non ammette che i racconti evangelici , siano tradotti in immagini, sia anatema. Se qualcuno non onora queste immagini, [fatte] nel nome del Signore e dei suoi santi, sia anatema. Se qualcuno rigetta ogni tradizione ecclesiastica scritta o non scritta, sia anatema. ... 18 Perché tutti [gli imperatori] cristiani subiscono, dai pagani, gravi sconfitte? Penso che sia dovuto al culto delle ímmagini e a nient'altro. Solo coloro che non le hanno venerate morirono di morte naturale, accompagnati con onore alle Tombe Imperiali. Io voglio itnitare costoro, rifiutando le immagini, così che, dopo lunga vita, io e mio figlio possiamo conservare l'impero sino alla quarta e alla quinta generazione. 39 Storia della Chiesa 2 Finalmente la controversia si concluse con il sinodo del marzo 843 a Costantinopoli, dietro iniziativa dell’imperatrice Teodora: era l’inizio di un movimento di pacificazione di cui avevano tanto bisogno la Chiesa e la società bizantine, straziate dalle violenze e dall’intolleranza generate dalla controversia iconoclasta. 4 CONSEGUENZE DELLA CRISI ICONOCLASTA La controversia iconoclasta determinò in diversi modi la successiva storia della chiesa d’Oriente. Ebbe soprattutto conseguenze lontane nel tempo per quanto concerne l’arte, il monachesimo e le relazioni tra la Chiesa e lo Stato. Inoltre, si rivelò una tappa importante nella storia delle relazioni tra la Chiesa bizantina e la Chiesa romana. Nelle chiese l’arte religiosa si orientò verso un nuovo stile determinato da rigorosi principi teologici, in stretto rapporto con la funzione liturgica e la struttura architettonica degli edifici. le cupole e le absidi rappresentano il cosmo. Cristo glorioso con la madre e gli angeli ; al 2° livello le scene della vita terrena di Cristo; al 3° le figure dei santi. Oltre a mosaici ed affreschi nascono i pannelli dipinti e si diffonde pure il culto delle reliquie Il rito bizantino adottò nuovi elementi del rito palestinese, soprattutto per opera dei monaci che erano di fatto gli animatori del rinnovamento liturgico: la sintesi che ne risultò costituì da quel momento il rito ufficiale di Costantinopoli e dell’Impero. Fu allora che l’innologia cristiana orientale venne definitivamente fissata e riunita in una raccolta liturgica molto elaborata. 4.1 VITALITÀ DEL MONACHESIMO I monaci soffrirono molto per la causa dell’ortodossia: era quindi del tutto naturale che, dopo la restaurazione della venerazione delle immagini, il prestigio del monachesimo e l’attrattiva che esercitava sul popolo fossero destinati ad aumentare ulteriormente nella società bizantina. Inoltre il monachesimo cenobitico era stato riformato, rafforzato e minuziosamente regolato da san Teodoro abate di Studios, sulle regole di san Basilio. D’ora in poi i monaci avranno un ruolo sempre più rilevante nella chiesa orientale : i vescovi provengono tutti dalle loro fila. Sono da un lato parte viva e creativa della chiesa ortodossa nel medioevo (preghiera, direzione spirituale, liturgia, cultura), dall’altro costituiscono un vero e proprio partito di tendenza conservatrice all’interno della chiesa. La vitalità del monachesimo bizantino da nessuna parte fu tanto evidente come al Monte Athos. Lì, sulle pendici meridionali di una penisola senza importanza sulla quale avevano cominciato a stabilirsi degli eremiti fin dal secolo IX. Il monaco greco Atanasio, con il patrocinio dell’imperatore Niceforo Foca, suo amico personale, fondò nel 963 il monastero della grande Laura., primo di tutta una serie di monasteri ivi fondati nei secoli successivi da monaci di diverse nazionalità. Essi incarnarono i quattro tipi principali della vita monastica caratteristica del cristianesimo orientale: la vita cenobitica, la vita eremitica, una forma intermedia rappresentata dalla laura (serie di cellule di eremiti riunite intorno a un maestro comune) e la forma idioritmica, nella il monastero si da una regola propria. 4.2 EVOLUZIONE DEL RAPPORTO CHIESA - POTERE IMPERIALE Le pretese degli imperatori di avere il diritto di definire la dottrina della Chiesa, e così pure le opposizioni che tali pretese provocavano, non rappresentavano una novità per Bisanzio. Sia le une che le altre non poterono però non venir esacerbate dall’asprezza della controversia iconoclasta e dalle violenze che generò. I tentativi degli imperatori di far pressione sull’episcopato e di arrogarsi il diritto di definire personalmente il dogma furono in genere considerati dalla Chiesa bizantina abusi intollerabili. Per protestare contro gli imperatori iconoclasti, che si sforzavano di imporre alla Chiesa la propria volontà e le proprie credenze, san Teodoro Studita riespose nuovamente le concezioni espresse in un’epoca precedente da san Giovanni Damasceno, san Massimo il Confes- 40 Storia della Chiesa 2 sore e san Giovanni Crisostomo. Dopo la sconfitta dell’iconoclastia aumentarono considerevolmente l’autonomia dottrinale della Chiesa e il potere di imporre regole morali all’imperatore. Dopo l’843 l’imperatore continua certo ad avere una posizione suprema nella Chiesa bizantina (canoni e regole devono avere la sua sanzione per avere forma di legge), ma la sua sovranità è limitata dalla legge divina, dalla dottrina ortodossa, dall’autorità spirituale del vescovo e da quella morale del santo e dell’asceta. Dopo la fine iconoclasta, infine, è ormai chiara l’indispensabilità, ai fini della pace e della prosperità dei sudditi, della “sinfonia” tra Impero e Chiesa. 4.3 APPROFONDIRSI DEL DISTACCO TRA ROMA E BISANZIO Durante questa controversia, i papi difesero regolarmente la venerazione delle icone e denunciarono le concezioni eretiche degli imperatori d’Oriente: anche per questo il partito iconodulo, soprattutto i monaci, considerava Roma la custode dell’ortodossia. Dagli imperatori iconoclasti, quindi, non ci si poteva aspettare altro che una politica ostile alla sede pontificia. Nel 732 Leone III iconoclasta sottrae alla giurisdizione romana l’Italia meridionale, l’Illirico e i Balcani, che passano sotto il patriarcato di Costantinopoli. Ciò provoca l’alleanza di papa Stefano con Pipino nel 754. 5 LA CONTROVERSIA FOZIANA 5.1 INIZI DELLA CONTROVERSIA Dopo la controversia iconoclasta, la Chiesa bizantina conobbe un ritorno d’amarezza, malgrado l’accordo dell’843. Il problema che si poneva era quello di quale atteggiamento adottare nei confronti degli ex iconoclasti. Il partito intransigente e il partito moderato si trovarono in opposizione per quanto riguardava l’atteggiamento da assumere nei confronti dell’ex clero iconoclasta, che cercava di riconciliarsi con la Chiesa. Il patriarca Ignazio, nominato dall’imperatrice Teodora nell’847, propendeva per gli intransigenti. Ma in seguito al colpo di stato che tolse il potere a Teodora, Ignazio fu costretto a dimettersi. Nell’858 fu eletto patriarca di Costantinopoli Fozio19, laico ed eminente scienziato (sul piano delle capacità personali fu probabilmente la figura di maggior rilievo fra tutti i patriarchi bizantini), nonché moderato nei confronti dell’ex clero iconoclasta. Le ordinazioni di Fozio furono amministrate senza i necessari interstizi previsti dalle leggi canoniche e senza informare il papa di Roma. Invitato dall’imperatore Michele III a un concilio a Costantinopoli nell’861 per ribadire la condanna dell’iconoclastia, papa Niccolò I non solo fece sollevare il problema del contrasto tra Ignazio e Fozio, ma chiese all’imperatore la restituzione al patriarcato di Roma dell’Illirico, della Calabria e della Sicilia. In un sinodo romano dell’863 Niccolò prese posizione a favore del primo (Ignazio) scomunicando il secondo (Fozio). Le autorità bizantine non solo ignorarono le decisioni di Roma, ma si risentirono per quello che veniva considerato un ingiustificato intervento del papa negli affari interni della Chiesa bizantina. Così fu dichiarata una aperta rottura tra la Chiesa di Roma e la Chiesa di Costantinopoli. A questo primo motivo di tensione si aggiunsero “i fatti di Bulgaria”, la cui evangelizzazione era appetita da entrambe le sedi, stante anche l’indecisione del re Boris, che si rivolgeva alternativamente all’una o all’altra. Quando vennero mandati in Bulgaria dei missionari romani, scattò immediata la reazione di Bisanzio (sulla scia dei missionari occidentali, l’influenza politica franca minacciava di espandersi fino alle porte di Costantinopoli). Alla disputa sulla validità della elezione di Fozio e sulla “competenza” in Bulgaria, si intrecciarono le tensioni derivate dall’aggiunta della parola “filioque” al simbolo di Nicea da parte del clero romano in Bulgaria. L’aggiunta, che esprimeva la dottrina secondo la quale lo Spirito Santo non procede soltanto dal Padre, ma ad un tempo dal Padre e dal Figlio, diede il via a una con- 19 Si veda PANAGHIOTIS – PASCHALIDES, voce Fozio di Costantinopoli in Enciclopedia dei santi. Le chiese orientali. I, Città Nuova 1998, col. 902-931. 41 Storia della Chiesa 2 troversia che si pose allora al centro del dibattito teologico tra la cristianità greca e la cristianità latina, durante il Medioevo, e che divide tuttora la Chiesa ortodossa e la Chiesa romana. 5.4 SOLUZIONE DELLA CONTROVERSIA FOZIANA La tensione, giunta all’estremo nell’867 quando un concilio riunito a Costantinopoli e presieduto dall’imperatore scomunicò e depose il papa Niccolò I. Un mese dopo il sinodo, nella primavera del 867 Basilio I il Macedone, nuovo imperatore dopo l’uccisione di Michele III, fece dimettere Fozio e ritornare Ignazio alla sede patriarcale. Nell’869 un Concilio convocato dall’imperatore a Costantinopoli, cui parteciparono i legati papali riconobbe Ignazio come patriarca legittimo e scomunicò Fozio. In quello stesso sinodo si riconobbe l’appartenenza della Chiesa bulgara al patriarcato di Costantinopoli. Nel frattempo l’imperatore liberò Fozio dalla prigione e lo fece precettore dei propri figli. Fozio e Ignazio si riconciliarono. Alla morte di Ignazio (877) ritornò alla Sede patriarcale Fozio, su indicazione del suo predecessore. Nell’879-880, a Costantinopoli si riunì un nuovo concilio, ai quali assistettero dei legati pontifici: esso riconobbe Fozio come patriarca legittimo, annullò le condanne precedenti formulate contro di lui, abrogò le decisioni del concilio dell’869-870 (quello che l’aveva scomunicato), e in un’allusione esplicita ma non eccessiva al Filioque condannò ogni aggiunta al simbolo di Nicea. Queste decisioni vennero accettate da papa Giovanni VIII. Durante il secondo periodo in cui occupò il seggio patriarcale, Fozio si mantenne in comunione perfetta con il papato: la pace nella cristianità sembrò per qualche decennio essere stata ristabilita. Con l’avvento del nuovo imperatore, Leone VI, il patriarca Fozio dovette ancora una volta dimettersi. Morì in esilio nell’893. 42 Storia della Chiesa 2 L’EVANGELIZZAZIONE DEI POPOLI SLAVI 1 CARATTERI GENERALI FINO AL 650 1.1 TRA ESPANSIONE ED EVANGELIZZAZIONE Direttamente o indirettamente, la maggior parte delle comunità cristiane che si formarono all’inizio del medioevo nelle zone di lingua slava della penisola balcanica, nei paesi lungo le rive del medio e basso Danubio e in Russia, devono la propria esistenza ai missionari bizantini. La conversione dei popoli che abitavano queste regioni fu completata alla fine del secolo X. Nel 1000, nell’Europa orientale, si era già costituita una comunità di nazioni i cui dirigenti nonché le classi colte erano in certo qual modo uniti, in quanto professavano lo stesso cristianesimo di ispirazione orientale e accettavano lo stesso tipo di cultura originario di Bisanzio. La conversione delle nazioni dell’Europa orientale, lo sviluppo della loro cultura cristiana, sono in gran parte attribuibili allo sforzo missionario proseguito dalla Chiesa di Oriente a partire dal secolo VI, nonostante diverse regressioni e interruzioni. Nel secolo VI, l’opera missionaria della Chiesa d’Oriente fu strettamente legata alle mire espansionistiche della politica estera imperiale. Entrambe trovarono la propria forza motrice e la propria giustificazione teologica in tre principi fondamentali: l’Impero è universale (tutto il mondo civile è sottomesso)... i barbari, fuori dell’Oikoumene, sono destinati a farne parte... i “romani” sono il nuovo popolo eletto chiamato ad evangelizzare tutte le nazioni... L’equivalenza stabilita tra espansione dell’Impero e progresso della fede spiega non solo come mai molti imperatori abbiano preso tanto sul serio il loro dovere di convertire i barbari, ma spiega anche la duplice funzione di cui appare investito il missionario bizantino: quella di inviato o ministro apostolico, e quella di ambasciatore dell’istituto imperiale. La stretta connessione che univa lo Stato e la Chiesa nel loro comune di estensione della sovranità imperiale cristiana, a volte costituì per entrambi motivo di debolezza. Certi popoli barbari erano troppo attaccati alle proprie credenze pagane per sottomettersi volontariamente alla potenza bizantina; altri tenevano troppo alla propria indipendenza politica per rischiare di comprometterla accettando la giurisdizione spirituale di Costantinopoli. E’ il caso del primo tentativo (528) di cristianizzare gli Unni che vivevano in Crimea. Un seconda missione (530) ebbe invece risultati positivi: di questo secondo tentativo è utile almeno accennare i tratti caratteristici: zelo evangelico, uso di traduzioni, aiuto economico e politico. 1.2 MISSIONE IN CROAZIA, SERBIA, RUSSIA MERIDIONALE: ACCENNI Stessa mescolanza di moventi religiosi e politici nelle missioni patrocinate dall’imperatore Eraclio (610-641). Per quanto riguarda Croazia e Serbia, quella del IX secolo ad opera dei missionari bizantini non era la prima iniziativa (prima ma superficiale cristianizzazione nel sec. VII ad opera di missionari provenienti da Roma. Il procedere di pari passo del proselitismo cristiano e della diplomazia (forse prevalente quest’ultima) è evidente nelle motivazioni degli sforzi compiuti da Eraclio per evangelizzare la Russia meridionale: alla radice, di fronte al pericolo degli avari, il tentativo di assicurarsi un equilibrio politico a lui favorevole nelle steppe della Russia meridionale appunto. Dal 650 all’850 l’opera missionaria della Chiesa bizantina registrò un regresso. La penisola balcanica fu quasi interamente occupata dagli slavi pagani; una lotta disperata fu intrapresa contro gli arabi; imperversò la controversia iconoclasta: questa battaglia per la sopravvivenza assorbì le forze vive dell’Impero, esaurì le risorse spirituali della Chiesa e paralizzò la politica estera. Tuttavia, neppure durante questo periodo oscuro, i bizantini persero di vista il fatto che il loro dovere religioso e il loro interesse politico erano strettamente legati alla predicazione dell’Evangelo ai pagani. 43 Storia della Chiesa 2 2 CIRILLO E METODIO 2.1 PREMESSA A metà del secolo IX, il nuovo impulso della attività missionaria della Chiesa bizantina coincide con un cambiamento notevole nella politica estera imperiale. L’uno e l’altra furono strettamente legati alla rinascita politica e culturale che, nell’843, seguì la disfatta dell’iconoclastia. Raggiunsero l’apogeo nel VII decennio del secolo IX: l’opera civilizzatrice di Bisanzio si era aperta un passaggio molto oltre la frontiera settentrionale dell’Impero, ed era penetrata in profondità nell’Europa orientale e centrale, coinvolgendo nel suo movimento una buona parte del mondo slavo. Questo movimento è contrassegnato innanzitutto dai nomi dei due più grandi missionari bizantini, Cirillo e Metodio. Cirillo (o Costantino come si chiamava prima che si facesse monaco nelle ultime settimane di vita) [827-869] e Metodio [825-885] nacquero a Tessalonica. Metodio, dopo una breve carriera amministrativa come governatore in una provincia slava, verso l’840 si fece monaco; quanto a Costantino, dimostrò una grande inclinazione per la cultura e la scienza: compì gli studi all’università di Costantinopoli dove fu allievo e più tardi successore del futuro patriarca Fozio; fu scelto come bibliotecario e carthophylax (segretario) del patriarca Ignazio, ben presto ricevette gli ordini sacri (diaconato). 2.2 L’INVIO IN MORAVIA Circa l’anno 860 Costantino e Metodio furono scelti per partecipare ad una missione diplom,atica di Bisanzio presso i Chazari, popolazione che abitava a Nord del Mar Nero, tra Don e Caucaso, la cui maggioranza si era convertita al giudaismo verso la fine del sec. VIII Tra fine 862 e inizi 863 giunse a Costantinopoli un ambasciatore del principe di Moravia, recante all’imperatore Michele III un’offerta di alleanza politica e richiedente l’invio di un missionario cristiano che avesse familiarità con il dialetto slavo di Moravia20. Il governo bizantino riconobbe immediatamente i vantaggi spirituali e temporali che avrebbero potuto ottenere da un’estensione della propria influenza nell’Europa orientale, e designò Costantino e Metodio a dirigere la missione in Moravia. Dato che erano originari di Tessalonica, allora città bilingue, i due fratelli parlavano correttamente il dialetto slavo della vicina Macedonia. Fu su questo dialetto che si basò Costantino per inventare, prima di lasciare Bisanzio, un alfabeto ad uso dei suoi fedeli moravi. Gli ambasciatori bizantini giunsero in Moravia nella primavera dell’863. Sostenuti dal principe e aiutati da alcuni chierici che parlavano lo slavo e che avevano condotto con sé da Costantinopoli, Costantino e Metodio si lanciarono nel lavoro missionario. Essi portarono in Moravia le Scritture e la liturgia tradotte in vernacolo. 2.3 IL PROBLEMA DELLA LINGUA La missione di Cirillo e di Metodio in Moravia viene generalmente presentata in stretta connessione con la costituzione della lingua letteraria slava e con la sua introduzione nella liturgia. Abitualmente essa viene considerata come l'applicazione di una pratica corrente delle missioni bizantine nell'ambito slavo; prevale infatti l’opinione che Bisanzio, a differenza della Chiesa occidentale, si mostrasse tollerante di fronte alle lingue nazionali, e non solo ammettesse, ma a sua volta sostenesse la nascita e lo sviluppo delle letterature, ovvero delle liturgie nazionali. Questa pretesa tolleranza bizantina nei confronti delle altre culture nazionali non è, in realtà, nient'altro che la trasposizione a Bisanzio d'una pratica comune nella tarda Antichità, ancora caratterizzata da un certo pluralismo culturale, allorché il periodo che coincide con l'apogeo della civiltà bizantina è dominato dalla convinzione della superiorità assoluta della cultura greca. 20 In realtà vi era già l’inizio di una presenza cristiana in Moravia regione a sud est dell’attuale repubblica Ceca, ad opera di missionari bavaresi provenienti dalla Pannonia, che avevano tradotto in slavo il Padre nostro, il Credo, forse solo rimasti allo stadio orale. Lo scopo di Ratislav era quello di sottrarsi all’influenza politica occidentale. 44 Storia della Chiesa 2 La nascita delle letterature e delle liturgie nazionali orientali appartiene alla cristianità primitiva; essa non era assolutamente la manifestazione della politica ecclesiastica ufficiale di Bisanzio ma il risultato di un'evoluzione autonoma naturale nelle regioni che possedevano una propria cultura nell'Antichità. Le traduzioni della Bibbia effettuate sino a quel momento nelle lingue barbariche non erano la conseguenza d'una missione ufficiale affidata a chicchessia dalle autorità civili o ecclesiastiche romane, bensì il risultato dell'iniziativa privata di alcune entusiastiche vocazioni. Nella stessa Costantinopoli, quelli che approvavano l'impiego di altre lingue nella Chiesa facevano udire le proprie voci solo raramente, anche all'epoca del cristianesimo primitivo; in seguito, a partire dal VI secolo, il greco occupò in seno alla società bizantina una posizione del tutto esclusiva. La caratteristica attitudine degli intellettuali bizantini, sia che fossero originari di ambienti puramente laici oppure ecclesiastici, era piuttosto un sentimento di superiorità culturale e di preminenza nei confronti di ciò che non era greco. L'idea di Cirillo e Metodio di creare una lingua letteraria slava non si fondava dunque su una qualche tradizione bizantina ben consolidata; bensì, al contrario, essa rappresentava direttamente una rottura con la pratica corrente delle missioni bizantine. Le missioni ecclesiastiche spesso costituivano una parte importante della diplomazia bizantina ed erano considerate come uno dei mezzi più efficaci per allargare l'influenza culturale e politica dell'impero d'oriente; questo, nello spirito delle teorie politiche bizantine, d'altra parte si confondeva con la nozione dell'oíkouméne cristiana. Il propagarsi della fede ortodossa era allora legato, in maniera assolutamente diretta, al propagarsi della cultura e della lingua greca. Nessuna delle missioni bizantine intraprese nel IX secolo - sia fra le tribù slave che vivevano nelle regioni dei Balcani, sul territorio dell'impero, sia presso le nazioni vicine, come i Bulgari o i Russi - cercò di fare della lingua autoctona di questi popoli una lingua letteraria, e ancor meno una lingua liturgica. La politica bizantina, al contrario, aveva come obiettivo l'ellenizzazione degli Slavi che vivevano sul territorio dell'Impero o nelle regioni vicine, e il loro battesimo era considerato come uno dei mezzi per raggiungere tale scopo. Il programma di Cirillo e Metodio, legando la loro missione religiosa in Moravia al progetto della creazione di una cultura nazionale slava, si rivela come qualcosa di fondamentalmente nuovo e rivoluzionario, un atto originale per mezzo del quale essi hanno mandato in frantumi il modo di pensare tradizionale ed aperto la strada ad uno sviluppo completamente inedito. Nella Chiesa d’Occidente, il latino in pratica sarebbe stato considerato, ancora per lungo tempo l’unica lingua liturgica ammessa. Anche per questo i vescovi franchi erano molto diffidenti nei confronti delle esperienze liturgiche di Costantino e Metodio. Essi, tuttavia non si limitarono a tradurre i brani della Scrittura, ma in slavo resero dapprima la Liturgia di s, Giovanni Crisostomo e poi la stessa Messa di s. Pietro, la liturgia eucaristica romana. Nell’864, per ragioni politiche Ratislav è costretto a far ritornare in Moravia missionari occidentali bavaresi. Lasciata la Moravia, presi contatti con il principe della Pannonia, che aveva gli stessi intenti di quello moravo si recarono a Venezia. Durante il loro soggiorno dovettero difendere con ardore il lavoro di traduzione contro “l’eresia trilingue” (nella liturgia si potevano usare solo le tre lingue dell’iscrizione sulla croce: ebraico, greco, latino), Costantino e Metodio ricevettero l’invito del papa Niccolò I di andare a Roma, dove giunsero nell’inverno 867-8. Il nuovo papa Adriano II si trovò nella necessità di assumere un atteggiamento nei confronti dei due missionari bizantini: il papa, che aveva appena conseguito successi rilevanti in Bulgaria, non poteva che rallegrarsi dell’occasione di sottrarre la Moravia e la Pannonia alla giurisdizione del clero franco e di consolidare la loro diretta sottomissione alla santa Sede, e decise quindi di accordare il suo appoggio incondizionato a Costantino e a Metodio. Morto Cirillo l’anno successivo, dopo essersi fatto monaco, e sepolto nella basilica di s. Clemente, del quale i due avevano recato a Roma le reliquie, l’avvenire del cristianesimo di lingua slava era ormai nelle mani di Metodio (consacrato arcivescovo di Pannonia) e del papa. Metodio dovette subire numerose prove: fu arrestato e imprigionato dai vescovi bavaresi, reo di aver usurpato quelli che essi ritenevano i loro diritti, soprattutto quando il papa Giovanni VIII decise di interdire l’uso della lingua slava nella diocesi missionaria. Il papato intendeva sempre meno rischiare un serio conflitto con la Chiesa franca per l’unica ragione di questa liturgia. Tuttavia Metodio ignorò l’interdizione pontificia: durante gli ultimi dodici anni della sua vita, dal suo posto di ar- 45 Storia della Chiesa 2 civescovo di Pannonia proseguì l’opera di consolidamento della Chiesa slava sulla base della lingua vernacola poi riuscì a riconquistare l’appoggio di Giovanni VIII: l’appoggio caloroso dell’imperatore Basilio I e dal patriarca Fozio non gli era mai mancato. 2.4 CONSIDERAZIONI Cittadini dell’Impero romano d’Oriente, Cirillo e Metodio assolsero con lealtà il loro duplice compito di missionari della Chiesa bizantina e di ambasciatori dell’Impero; le autorità bizantine, dal canto loro, sostennero costantemente il loro lavoro. Il fatto che il clero franco abbia fatto di tutto per distruggere la Chiesa di lingua slava in Europa centrale, non deve farci dimenticare che anche il papato, per un certo periodo, si mostrò favorevole e diede la sua benedizione al lavoro di Cirillo e Metodio. Quanto agli slavi essi dovettero ai due fratelli i fondamenti stessi della loro cultura medievale: - le Scritture e la liturgia bizantina tradotte fedelmente in una lingua affine alla loro... - l’accesso, grazie al paleoslavo, alla letteratura patristica greca e alla cultura bizantina - una lingua che favoriva la nascita di una autentica letteratura nazionale, sia sacra che profana... - la concezione originale (ereditata dai due) secondo la quale ogni nazione è consacrata al servizio di Dio attraverso l’uso della propria lingua, ed è tenuta ad avere i propri carismi particolari in seno alla Chiesa universale. 4 LA CHIESA RUSSA 4.1 ORIGINI DEL CRISTIANESIMO IN RUSSIA Le origini cristiane della Russia non sono un fatto isolato, ma si collocano nella serie di tentativi che vengono fatti sia da Roma sia da Bisanzio verso gli stati pagani che si stabilivano nell’Europa centrale ed orientale nel IX e X secolo. Questi tentativi hanno successo particolare nel secolo IX quando (come abbiamo visto sopra) entrano nell’orbita cristiana la Bulgaria, la Moravia, la Boemia, la Slovacchia, la Polonia (966). Seguiranno la Russia (988), l’Ungheria all’inizio del XII secolo e più tardi la Lituania tra il XIII e XIV secolo. Dal punto di vista politico, tradizionalmente si usa parlare di Rus’ di Kiev, che è uno stato sovrano, oggi Ucraina, dove passa la “strada dei Variaghi”, o Vareghi, (popolazione scandinava) che scendeva verso il Mar Nero (nell’866 i vichinghi percorrevano proprio questa strada nella loro migrazione verso il sud). Lo stato di Kiev che si forma tra il IX e il X secolo viene interessato dal primo movimento cristiano del tempo della regina Olga (945-957) che diventa cristiana e riceve il battesimo a Costantinopoli. Nonostante il figlio di Olga sia pagano, il nipote Vladimiro (956ca1015) prende invece coscienza che il paganesimo del suo popolo lo isola dal mondo europeo cristiano e si apre al cristianesimo. Esiste un documento con il titolo di Cronaca dei tempi passati, secondo il quale Vladimiro, prima di diventare cristiano, si sarebbe fatto informare sulle principali religioni (giudaismo, islamismo, cristianesimo): dopo aver indagato, avrebbe sentito molta simpatia per il cristianesimo bizantino di Costantinopoli (i suoi legati erano stati ricevuti con tutti gli onori in Santa Sofia,ed erano stati particolarmente colpiti dal fascino delle liturgie). Per questa ragione il duca Vladimiro, secondo la tradizione, avrebbe abbracciato il cristianesimo bizantino obbligando poi tutto il suo popolo a battezzarsi in massa nelle acque del fiume Dnepr nell'anno 988. Sta di fatto che Vladimiro aderisce al cristianesimo bizantino, e si apre la strada per l’evangelizzazione da Bisanzio verso l’Europa Nordorientale. Da notare che nel 988 Kiev è sede primaziale russa. Fin dalla sua nascita, la Chiesa della Rus' - la regione di Kiev che ora si chiama Ucraina - fu sotto la giurisdizione del Patriarcato di Costantinopoli, che consacrava il metropolita di Kiev (sempre di origine greca) e lo inviava a quella comunità cristiana. L'evoluzione della sede primaziale degli slavi del Nord fu influenzata dagli eventi politici. Nel XII secolo, quando iniziò la decadenza di Kiev, si impose l'egemonia del ducato di Suzdal'. Capitale della Rus' divenne allora la città di Vladímir. Nel territorio di Suzdal' si trovava anche un'altra città, 46 Storia della Chiesa 2 destinata a conoscere un brillante futuro: Mosca che divenne nel 1271 capitale della Moscovia. Nel 1299 i metropoliti di Kiev abbandonarono la propria sede per trasferirsi dapprima a Vladimir e, nel 1325, a Mosca, pur continuando a godere del titolo di «metropoliti di Kíev e di tutta la Rus'». 4.2 CHIESA RUSSA E I MONGOLI Quando nel 1240 arrivò la grande invasione mongola, la Chiesa era in fase di organizzazione e tutti i vescovi della Chiesa di Kiev provenivano ancora dalla Chiesa bizantina. La dominazione mongola, che si dimostrò molto rispettosa verso la Chiesa, dura qualche secolo. In questo periodo ci sono anche degli sforzi missionari della stessa Chiesa, con la fondazione episcopale a Sarai, capitale interna all’organizzazione mongola. E’ proprio nel periodo di presenza mongola in Russia che si afferma il monachesimo russo, con la fondazione di numerosi monasteri di grande importanza; sempre di questo periodo vengono gettate le basi per quella che sarà la rinascita nazionale. 4.3 ALTRI ASPETTI Sotto il metropolita Pietro -1308/1326- avvenne il trasferimento della sede primaziale da Kiev a Mosca. Isidoro, l’ultimo metropolita greco di Kiev, che ancora conservava il titolo di metropolita di Kiev e di tutta la Rus’, partecipò al concilio di Firenze (1438/39): tornato in Russia con l’intenzione di proporre i documenti del concilio fiorentino dove, tra l’altro, veniva sottoscritta l’unione, dovette veder fallire la sua iniziativa, tornò in Italia, fu fatto cardinale di Latina, e lì morì nel 1463. Pian piano invece la Chiesa russa inizia la sua indipendenza da Bisanzio: nel 1448 viene eletto il metropolita russo Giona, con cui inizia ad affermarsi il mito della terza Roma, Mosca, che si rafforzerà soprattutto quando lo zar Ivan III sposerà Sofia, una discendente degli imperatori bizantini. 47 Storia della Chiesa 2 LE CHIESE MEROVINGICA E FRANCA 1 TRE FASI La storia della Chiesa franca dal 600 alla morte di Pipino (768) si suddivide in tre periodi. Nel corso del primo periodo i vescovi nella chiesa sono l’unica fonte di autorità, risiedono nelle città, dispongono del clero e dei beni ; hanno una duplice responsabilità, ecclesiastica e civile : amministrano la giustizia. Si sviluppa lentamente il sistema parrocchiale. Il mantenimento del clero è assicurato dalle offerte in natura e dal sec. VIII dalle decime. La vita religiosa è elementare : il prete serve una chiesa “propria”, ha un livello minimo di conoscenze ; celebra nei giorni festivi, battezza, partecipa al sinodo annuale, forse comincia a predicare. Durante questo periodo i re merovingi andarono uno dopo l’altro perdendo progressivamente la direzione del regno. L’antica organizzazione di vita ecclesiastica della Gallia romana a poco a poco scomparve; qua e là si videro sorgere nuovi centri religiosi. Il secondo periodo (sec. VIII), è quello del potere dei maggiordomi (maestri di palazzo) che fungono da reggenti e amministratori dei beni del re. Tra di essi acquista grande importanza a corte Arnolfo, arcivescovo di Metz, il cui figlio sposa la figlia di Pipino, maggiordomo di Austrasia, e dalla cui unione nascerà Carlo Martello. Si assiste alla rapida dissoluzione di ogni vita ecclesiastica organizzata; i vescovadi e le abbazie vengono secolarizzati e non si tengono più né sinodi né concili. Fa la comparsa il sistema feudale. I vescovi si trasformano in capi temporali. Vi è cumulo di benefici ecclesiastici e usurpazione di abbazie. Nel corso del terzo periodo, è quello degli inizi della riforma carolingia. Sotto Carlomanno (che ad un certo punto rinuncia al regno e si fa monaco) e Pipino, si manifestarono chiaramente un autentico rinnovamento della disciplina e una volontà di riforma. Pipino fu il vero fondatore del regno franco: per primo propose gli obiettivi, gli ideali e i metodi di governo che spettò poi a suo figlio Carlo di portare al più alto grado di perfezione. Convocò i sinodi riformatori dal 755 al 757, istituì gli arcivescovadi. Nel 754 a Pontion vi è il celebre incontro tra papa Stefano II e Pipino, che sancisce lo spostamento dell’asse di protezione civile della Chiesa romana da oriente ad occidente con la Promissio Carisiaca, un Fœdus charitatis tra i carolingi e il papa21. Se inizialmente la Chiesa di Gallia non era stata che una propaggine del cristianesimo romano, essa diviene sempre più una Chiesa regionale e quindi territoriale, il cui governo era direttamente assicurato dal re. Era passato il periodo in cui i vescovi, risiedenti in città, erano l’unica fonte di autorità (ecclesiastica e civile). Andava lentamente sviluppandosi quello che più tardi sarebbe divenuto il sistema parrocchiale, benché nelle proprietà terriere e nei villaggi lontani dalle vecchie città la chiesa privata fosse ancora una istituzione corrente. A questo decentramento si affiancò una progressiva decadenza (secolo VIII), e un progressivo abbassarsi del livello di incivilimento, per non parlare della disciplina ecclesiastica (la trasformazione dei vescovi in capi temporali e la secolarizzazione della proprietà ecclesiastica divennero un fatto comune). La situazione mutò quando Bonifacio, sotto il patrocinio di Carlomanno, riunì una serie di sinodi nazionali; poi con Pipino verranno riuniti altri sinodi riformatori; infine con Carlomagno (768/814). 2 CARLOMAGNO 21 Nel 751, all'atto della sua incoronazione, Pipino si fece ungere con l'olio santo dai vescovi delle Gallie, e tre anni dopo si fece nuovamente ungere da papa Stefano Il, insieme ai figli Carlo e Carlomanno. Questo rituale rappresentava una novità di straordinaria valenza ideologica, giacché fino ad allora i re dei Franchi salivano al potere per acclamazione; e se, oltre al consenso, godevano d'un carisma mistico, lo dovevano piuttosto al sangue regale che scorreva nelle loro vene. Nel mondo cristiano un rituale di questo genere era già stato introdotto dai re visigoti di Spagna. Pipino fu il primo re franco, e il solo monarca cristiano del suo tempo, ad introdurre nella propria incoronazione questa nota sacrale, benché i sovrani d’Inghilterra non abbiano tardato ad imitarlo. L'unzione non si limitava a fare del re, genericamente, un essere sacro, ma conferiva alla sua persona un carattere sacerdotale, giacché proprio l'olio consacrato, fra i cattolici, era impiegato nell’ordinazione di sacerdoti e vescovi, perciò potrà presentarsi a buon diritto come «l'unto del Signore», e affermare la propria autorità sulla Chiesa oltre che sull’Impero, come un semplice laico, per quanto incoronato, non avrebbe mai potuto fare. 48 Storia della Chiesa 2 Carlomagno22 volle istituire e governare una grande comunità cristiana, e anche per questo si occupò con notevole interesse di questioni religiose, e si servì degli ecclesiastici come amministratori e ambasciatori dell’Impero (missi dominici). Si occupa molto di questioni religiose. Egli riconosce nel papa la fonte ultima circa la dottrina e la morale, assicurandosi così dall’800 la direzione di tutta la cristianità occidentale (esclusa la Britannia): è lui a designare i vescovi, pur concedendo loro pieni poteri nell’ambito della diocesi Le decisioni dei sinodi vengono assunte dal potere civile come legislazione ecclesiastica nei capitolari23 (disciplina, culto liturgia, morale, economia). Carlomagno stabilisce l’obbligo della decima al clero e i suoi diritti sulle proprietà ecclesiastiche (nel periodo di Carlomagno crebbero notevolmente le ricchezze della Chiesa). Tuttavia, Carlomagno non limitò il proprio interesse al governo e all’amministrazione della Chiesa. Si considerava il custode della dottrina e il difensore della fede contro l’errore. Nel corso delle tre grandi controversie, quella del culto delle immagini, quella dell’adozionismo, e quella della processione dallo Spirito Santo, prese la posizione di protettore ufficiale della fede. 3 SUCCESSORI Il regno di Ludovico il Pio (814-840) segue quello di Carlomagno. Un imperatore di tale natura non poteva avere dei successori capaci di proseguire la sua opera: Ludovico il Pio, attratto verso la vita monastica, si rivelò subito incapace di reggere l’immensa macchina che Carlomagno aveva costruito. Al contrario di quest'ultimo, che seppe dominare la Chiesa con la sua forte personalità, Ludovico, dopo un brillante inizio di regno, subisce l'influenza dei parenti e del clero. Vedovo e padre di più figli, nell'824 sposa in seconde nozze Giuditta, da cui ha un quarto figlio, il futuro Carlo il Calvo. A lui vuole lasciare parte della propria eredità, nonostante l'opposizione del primogenito Lotario e degli altri fratelli, i vescovi, che cominciavano allora a svolgere un ruolo politico, si schierano a difesa dell'ideale romano di unità contro la volontà di dividere il regno, espressa dai figli dell'imperatore e dall'aristocrazia. Continue rivolte scuotono l'impero; Ludovico il Pio, deposto in un primo momento dai vescovi sostenitori di Lotario, viene nuovamente reintegrato al trono un anno più tardi (835). Tali disordini terminano soltanto tre anni dopo la morte dell'imperatore con la spartizione di Verdun (843). I tre figli superstiti, Lotario, Ludovico il Germanico e Carlo il Calvo, decidono di spartirsi l'impero. Il primogenito ottiene la parte centrale con Aquisgrana e Roma come capitali, Carlo il Calvo ha la parte occidentale e Ludovico il Germanico la parte orientale. Il clero 22 Cronologia di Carlomagno 754 Consacrazione di Pipino e dei suoi figli, Carlo e Carlomanno. 768 Morte di Pipino. Il Regno franco è diviso fra Carlo e Carlomanno. 771 Morte di Carlomanno; Carlo unico re dei Franchi. 772-780 Prime spedizioni contro i Sassoni. 773-774 Conquista del Regno longobardo. 778 Spedizione di Spagna; assedio di Saragozza e sconfitta di Roncisvalle. 781 Creazione dei regni d'Aquitania e d’Italia, affidati ai figli di Carlo, Ludovico e Pipino. 782-785 Prima sollevazione generale dei Sassoni. 791-796 Guerra contro gli Avari. 792-799 Seconda sollevazione generale dei Sassoni. 794 Inizio della Costruzione del palazzo regio ad Aquisgrana. 800 Incoronazione imperiale di Carlomagno in S. Pietro. 804 Ultima deportazione in massa dei Sassoni. Programma di spartizione dell'Impero fra i tre figli di Carlomagno. ,806-811 Guerra contro l'impero Bizantino. 810 Primo attacco danese- morte del figlio Pipino. 811 Morte del figlio Carlo. 813 Ludovico, unico figlio superstite, associato all'Impero. 814 Carlomagno muore il 28 gennaio. 23 L'attività legislativa di Carlomagno si esplicava attraverso i cosiddetti "capitolari", un testo diviso o per dir meglio in paragrafi. Un capitolare era un'ordinanza regia, relativa di solito a un singolo problema ; emanati in occasione delle grandi assemblee, le diete, i capitolari erano poi fatti conoscere e messi in pratica dai conti, ciascuno nella sua provincia. Fra i più famosi, ricordiamo il Capitulare de partibus Saxoniae, con cui Carlo impose ai Sassoni pagani un regime di occupazione e un controllo religioso. 49 Storia della Chiesa 2 non vede di buon occhio questa divisione. Tuttavia i vescovi si proclamano garanti dell'unità del vecchio impero e promuovono regolari riunioni fra i tre fratelli, i quali inaugurano un regime di «fratellanza» purtroppo di breve durata. E da questo momento ebbe inizio la disgregazione dell’Impero carolingio, che si dissolse definitivamente con la morte di Carlo il Grosso nell’888. L’autorità passa ai signori feudali, alle corti e ai vescovi: in confronto all’ordine dell’Impero carolingio nel suo massimo splendore organizzativo, comincia un periodo disastroso per la storia medievale. 4 DAL 900 AL 1150 La diminuzione progressiva del potere effettivo del sovrano favorì non solo, come detto, i signori feudali, ma rafforzò anche l’autorità dei vescovi, che addirittura giungono a predicare la “tregua di Dio” (sospensione della guerra in alcuni periodi dell’anno, guerre che scoppiavano tra i signori feudali). Dopo il regno di Carlomagno, vescovi ed arcivescovi dipendono strettamente dai principi. Il re, che nomina tali dignitari, esige che essi non possiedano soltanto una valida cultura religiosa, ma anche qualità amministrative per aiutarlo nel governo del regno. Affida ai vescovi missioni politiche, li invia come ambasciatori in paesi stranieri, chiede loro di partecipare alle assemblee generali che si tengono nel palazzo ed anche, qualora essi siano vassalli, di arruolare contingenti militari per l'esercito. Alcuni prelati si rammaricano, così, di non poter adempiere correttamente ai loro doveri pastorali; la maggior parte, però, accetta, non solo perché è il principe che lo chiede, ma anche perché si lasciano sedurre dalla vita attiva e ne traggono vantaggio. Nello sforzo di riorganizzazione amministrativa che caratterizza l'epoca carolingia, i vescovi sentono il bisogno di mettere in rapporto la costruzione degli edifici, l’acquisizione dei beni e l'autorità sui monasteri, coi loro lontani predecessori, che essi rappresentano adornandoli d'ogni pregio. Si fanno inumare accanto a loro nelle basiliche funerarie, generalmente situate fuori città. Da santi locali si passa a santi universali. È così che il diacono Horo di Lione e, in seguito, l'arcivescovo Adone di Vienne, redigono alcuni Martirologi, che ebbero una grande risonanza e che furono imitati da Usuardo, monaco di Saint-Germain-desPrés. In calce ad ogni giorno si trovano i nomi dei santi festeggiati con una piccola nota biografica. Dal 1030 il re tenta di riaffermare la propria autorità: di fronte ai baroni che fondano monasteri e comunità di canonici, donando loro le chiese private (o proprie), il re restaura l’usanza carolingia della “regalia” (appropriazione dei redditi ecclesiastici durante la vacanza della sede) e i diritti feudali (per concedere l’investitura e poter godere dei redditi di un vescovado o di un’abbazia). Sarà con la riforma gregoriana che l’influenza del papato diventerà decisiva attraverso i legati permanenti dotati di amplissimi poteri. I papi tra l’altro si recano spesso in Francia, la cui Chiesa è il principale sostegno; la Chiesa, reciprocamente, svolge un ruolo politico importante per l’unificazione della nazione (l’abate di St. Denis controllerà il governo politico della Francia dal 1130 al 1151). Nella chiesa merovingica la conversione dei costumi non va di pari passo a quella esterna. Vi sono molto formalismo e legalismo, grandi penitenze, grandi donazioni : si diffonde il culto dei santi e delle reliquie. 5 LA MISSIONE PRESSO LE TRIBÙ GERMANICHE Prosegue nel sec. VII la missione tra gli alemanni al Nord iniziata a metà del VI sec., particolarmente ad opera di Colombano (540-615), di cui abbiamo già parlato, nel territorio di Strasburgo poi presso il lago di Costanza, nella fondazione di S. Gallo, centro di evangelizzazione dell’attuale Svizzera tedesca. Da qui vengono fondati i vescovadi di Amburgo, Basilea, Costanza, Strasburgo, Coira. La missione si sposta quindi in Baviera. Ad Ausburg e Ratisbona lungo il Danubio sono presenti piccoli gruppi di cristiani concentrati attorno alle antiche città e agli antichi “castra” romani. Qui si assiste ad una continuità del culto dei martiri romani anche durante le incursioni barbariche. Quando i Rugi, i Marcomanni e i Baiuvari avevano invaso il Norico, la popolazione romana si era ritirata a sud ed era stato fondato il vescovado di Sabiona, presso l’attuale Bressanone. Fino al 50 Storia della Chiesa 2 V sec. la missione nel Norico partiva da Aquileia perché Sabiona non aveva forze sufficienti per evangelizzare il Norico. Nel VII sec. la conversione dei bavaresi si opera attraverso l’influsso dei missionari franco-irlandesi, monaci provenienti da Luxeuil. I Sassoni, una tribù di origine germanica, si erano stanziati nell’attuale Westfalia. Avevano distrutto i risultati positivi di evangelizzazione già raggiunti precedentemente. Il Reno, nelle sponde orientale ed occidentale rimaneva in mano franca. Ora sono i duchi locali, divenuti cristiani per matrimoni con i franchi, a dare impulso all’evangelizzazione. Nel corso del sec. VIII i missionari franco-irlandesi sono sostituiti dagli anglo-sassonici. Le ragioni di tale sostituzione vanno ricercate nei contrasti tra duchi e missionari, che sono ritenuti funzionari del potere centrale franco, nella condotta poco cristiana dei duchi, ripresa dai missionari e nelle differenze tra le concezioni matrimoniali germaniche e il diritto canonico circa i consanguinei. LA CHIESA ANGLOSASSONE DAL 664 AL 1066 664 Sinodo di Whitby ed unificazione delle osservanze iroscozzesi e romano-celtiche. Nel 668 papa Vitaliano invia come arcivescovo di Canterbury il monaco greco Teodoro di Tarso. Teodoro istituisce centri di insegnamento e studio, delimita e suddivide le diocesi, riunisce sinodi. Tra i suoi collaboratori troviamo Benedetto Biscop in Northumbria, dove fioriscono studio ed arte ; Vilfrido di Ripon, missionario, poi arcivescovo di York ; Adriano, abate di Canterbury, che diventa scuola di lettere classiche, di qui poi proverrà Winfrith (Bonifacio). Teodoro muore nell’890, lasciando al chiesa organizzata e in pace. Appartiene a questo periodo Beda il Venerabile, famoso per le sue Cronologie, per la storia della Chiesa inglese, per le omelie, per le biografie. È un periodo di fioritura d’arte e di cultura soprattutto nei monasteri. Celebre è la biblioteca di York. Di qui proviene anche Alcuino, poi alla corte di Carlo Magno. L’organizzazione ecclesiastica si fonda sui minster, dove monaci e chierici conducono vita comune e si preoccupano della cura pastorale ; dai minster derivano le parrocchie ed inoltre ci sono le chiese e i monasteri “propri”. Troviamo anche monasteri doppi, maschile e femminile, governati da una badessa. Nel 793 vi è l’invasione a nord dei Vichinghi o Normanni, con la conquista di tutti i regni britannici, e a sud saccheggi dei danesi con distruzioni. Tutto ciò provoca la scomparsa della vita monastica. Alfredo il Grande, re del Wessex (871-901) salva la chiesa inglese. Il figlio Edoardo (901-924) re d’Inghilterra, ed Etelstan (924-940) formano l’unità inglese. Il re danese Guthrum, che occupa il Danelow, si converte al cristianesimo. Il rinnovamento della chiesa inglese, decaduta e priva di rapporti con Roma, parte a metà del X sec. dalla rinascita monastica, che segna la riforma morale e la ripresa culturale. La riforma parte dal monastero di Glastonbury, da cui provengono Dunstan, vescovo di Londra e poi di Canterbury, Etelvold, vescovo di Winchester e Osvald, vescovo di York ; essi fondano 60 monasteri. Il rinnovamento si estende al clero secolare, con fioritura di studi e di arte. Il re è l’autorità suprema della chiesa, assistito da un consiglio di notabili più vescovi ed abati. In consiglio si trattano affari della chiesa e affari del regno ; esso si occupa anche delle elezioni vescovili. Il vescovo occupa un posto di rilievo a corte o in contea. Le leggi che regolano la vita ecclesiastica sono promulgate direttamente dal re. Manca una solida organizzazione diocesana o provinciale. Il legame con Roma è mantenuto vivo dai viaggi degli arcivescovi per ricevere il pallio e dall’obolo di S. Pietro, riscosso in tutto il paese. LA CHIESA NELLA PENISOLA IBERICA Nel 711 vi è l’invasione araba. Gli islamici, chiamati dagli avversari di re Rodrigo, sono guidati da Tarik. La popolazione è uccisa, o ridotta in schiavitù, o convertita all’Islam. Permane un 51 Storia della Chiesa 2 nucleo di mozarabi, tollerati, ghettizzati, purché non cerchino conversioni, con la sede primaziale a Toledo. Nel 718 gli Arabi varcano i Pirenei e vanno a nord. Nel 732 Carlo Martello li ferma a Poitiers. Una fascia costiera a nord, di circa 70 km., resiste con Pelayo che respinge gli Arabi nel 722. Si forma il regno delle Asturie con Alfonso I il Cattolico (739-757), nucleo della resistenza e della reconquista. Cordoba si costituisce come califfato autonomo da Damasco nel 756. Nell’812 Carlomagno conquista la Marca Ispanica (la Catalogna, Barcellona), piccolo territorio a sud-est dei Pirenei.(qui è avvenuto l’episodio di Roncisvalle, in cui la retroguardia di Carlomagno è stata sconfitta dai baschi). I cristiani godevano di una libertà relativamente grande, senza ingerenze nell’elezione dei vescovi ; bastava la conferma statale. Molti apostatarono. Verso l’850 troviamo dei martiri (Perfectus, vescovo di Toledo, ed Oilochius). Nell’852 un sinodo dei vescovi della provincia di Siviglia, convocato dall’emiro, condanna ogni provocazione intenzionale contro i maomettani. I martiri di Cordoba sono all’origine di un movimento di resistenza. Gli Arabi promuovono l’arte → la Mezquita di Cordoba. La Reconquista comincia col regno di Alfonso II il Casto, che rifiuta il tributo a Cordoba. Nel 791 egli è unto re secondo il rito visigotico, e si considera l’erede diretto dei visigoti. È di quest’epoca il ritrovamento delle reliquie e l’erezione del santuario di Sant-Jago. Durante il sec. IX l’emirato arabo entra in crisi per lotte interne. La capitale del regno cristiano è prima ad Oviedo, poi Leon. Castiglia e Galizia cominciano ad acquistare indipendenza. In questo periodo si sviluppa la controversia adozionista. Nella liturgia mozarabica è inserita l’espressione “adoptione filius”, riferito alla natura umana : Gesù nella sua natura umana era il figlio adottivo di Dio, adottato dal Verbo. L’espressione è condannata dai sinodi di Ratisbona, nel 792, e di Francoforte, nel 794. A Roma è condannata nel 798. Nell’800 ad Aquisgrana vi è una disputa tra Alcuino e Felice di Urgel, adozionista, esiliato poi a Lione. LA CHIESA TEDESCA DAL 754-1039 Per organizzarla Bonifacio ricorre alla fondazione dei monasteri (Fulda) maschili e femminili. Il monastero tedesco è centro educativo, artistico, artigianale, svolge una funzione istituzionale e spirituale ; a volte è sede di un vescovo monaco-missionario. L’organizzazione parrocchiale si sviluppa soprattutto in Baviera. Comincia la differenziazione tra alto clero, in città, detentore di diritti, e basso clero, in campagna, cui spettano i doveri.All’inizio sono i vescovi stessi a propagare e far crescere la fede, in dipendenza stretta da Roma. L’organizzazione parrocchiale si costituisce rapidamente. Ludovico il Pio assegna ad ogni chiesa le decime, una casa, un giardino. Nell’850 in Germania ci sono 2500 parrocchie, raggruppate in decanati. Il parroco predica e confessa. Si sviluppano grandi diocesi : Colonia, Magonza, Salisburgo e ad est Magdeburgo ; aumenta il potere e il prestigio dei vescovi. La Germania è suddivisa politicamente in cinque ducati : Lorena, Sassonia, Franconia, Svevia, Baviera : Enrico I di Sassonia (†936), costringe i popoli vinti ad adottare il cristianesimo. Ottone I (951-973) stabilisce al sua autorità sui ducati , nomina i vescovi ad eccezione della Baviera ; considera i vescovadi come feudi. I principali vescovadi diventano contee e i vescovi sono assimilati ai duchi. I vescovi sono asserviti alla monarchia, per far da contrappeso all’autonomia dei duchi. Compare l’investitura : il vescovo è investito ufficialmente di funzioni civili ; così non si creano dinastie. Al vescovo spetta riscuotere le tasse per il sovrano ; la chiesa diventa chiesa nazionale. L’imperatore non interferisce in materia di dottrina e liturgia. Ottone I concede terre ed immunità a vescovi e ad abati, come pure il monopolio dell’insegnamento. Ottone I sconfigge gli Ungari nel 955 al fiume Lechfeld ; da qui inizia la sua ascesa ; poi scende in Italia per conquistare il papato e introdurlo nella propria sfera d’influenza, nonché per ottenere il titolo di Imperatore d’occidente, che solo il papa può incoronare, il che accade nel 962. Ottone in tale occasione concede al papa il Privilegium Othonis24, che si divide in due parti : la prima 24 Nel nome del Signore Iddio onnipotente, Padre e Figliolo e Spirito Santo. Io Ottone, per grazia di Dio augusto imperatore, insieme con Ottone, glorioso re, mio figlio, per disposizione della divina provviden- 52 Storia della Chiesa 2 deriva dalla Promissio Carisiaca del 773, presentata a Carlomagno e consiste nella concessione di territori italiani al papa ; la seconda riguarda l’elezione papale : è libe ra da interferenze imperiali, ma il neoeletto, prima di essere consacrato deve prestare giuramento di fedeltà all’imperatore. Ottone II (973-983) sposa la principessa bizantina Teofanu. Ottone III (983-1002) ha in mente il progetto di un impero universale la “renovatio imperii”, erede dell’impero romano. Nel 996 è incoronato imperatore all’età di 16 anni, dal primo papa tedesco, Gregorio V, il 24enne Bruno, suo nipote. Dal 999 è papa Gerberto d’Aurillac, suo precettore, col nome di Silvestro II. Ottone III imprime un carattere ecclesiastico e cattolico all’impero. Si intitola “Imperator Romanus, Servus Apostolorum, Servus Sancti Petri et Pauli, Servus Iesu Christi, difensore e protettore del cristianesimo. I vescovi sono scelti in genere nella cappella reale. Ottone è amico di grandi santi : Adalberto di Praga, Nilo di Grottaferrata, Romualdo di Ravenna. IL PAPATO DAL 600 AL 1000 1. SGUARDO SINTETICO Dal 604 al 701 ci sono 20 pontificati, dal l’816 al 900 ce ne sono 20, dal 900 al 1003 33 di cui pochi significativi. • Dal 604 al 715 la Chiesa di Roma fa giuridicamente parte dell’impero. La comunità è costituita anche da elementi che fuggono dall’oriente mussulmano. Il clero è plurirazziale. Dal 686 al 752 (morte di papa Zaccaria, ascesa di Pipino in Francia e fine dell’esarcato di Ravenna) i papi sono o greci dell’Italia meridionale o siri ; • dal 715 all’800 i Longobardi conquistano l’Italia del Nord, vi è l’ascesa al potere dei Carolingi in Francia. Nell’800 Carlomagno è creato imperatore ; za, mediante questo patto di riconferma, prometto ed offro a te, beato Pietro, principe degli Apostoli e custode del regno dei cieli, e per te al vicario tuo, il sommo pontefice e universale, papa Giovanni XII, con lo stesso titolo di potere e di giurisdizione dai vostri predecessori sino ad ora esercitato, la città di Roma con il suo ducato e con il suo suburbio e con tutti i villaggi e territorii montani e marittimi, spiagge e porti, assieme a tutte le città, castelli, fortezze e villaggi della Tuscia... con tutte le località e territori di pertinenza delle soprascritte città, nonché l'esarcato di Ravenna nella sua integrità, con le città, circoscrizioni, fortezze e castelli, i quali beni Pipino e Carlo, eccellentissimi imperatori di santa memoria, nostri predecessori, trasferirono da tempo al beato Pietro e ai vostri predecessori con atto di donazione. Lo stesso dicasi del territorio della Sabina, così come da Carlo, nostro predecessore, fu concesso integralmente al beato apostolo Pietro con atto di donazione; così pure per ciò che concerne i territori della Tuscia Longobarda e i territori della Campania. Inoltre, a te, beato Pietro apostolo, e al tuo vicario papa Giovanni e ai suoi successori, per la salvezza dell'anima nostra e di quelle di nostro figlio e dei nostri parenti, offriamo le città e le fortezze appartenenti al nostro proprio regno, e cioè: Rieti, Amiterno, Forcona, Norcia, Valva e Marsica e, in altro territorio, Teramo con le sue pertinenze. Tutte queste soprascritte province, città e distretti, fortezze e castelli, villaggi e territori, unitamente ai demani, per la salvezza della nostra anima e di quelle di nostro figlio e dei nostri parenti e dei nostri successori, e per il bene di tutto il popolo dei Franchi, che Dio ha protetto e proteggerà, riconfermiamo, in modo che le detengano nel diritto, nel governo e nella giurisdizione, alla sopraddetta Chiesa tua, o beato apostolo Pietro, e per te al vicario tuo, padre nostro spirituale, Giovanni, sommo pontefice, papa universale ed ai suoi successori, sino alla fine del mondo, fatto salvo il potere nostro e di nostro figlio e dei nostri successori, come è sancito nel patto, nel constituto e nella conferma di promessa di papa Eugenio e dei suoi successori, laddove si specifica così: che tutto il clero e tutta la nobiltà del popolo romano a causa delle varie violenze e delle irragionevoli incomprensioni, che vanno eliminate, dei pontefici nei confronti del popolo a loro soggetto, con giuramento si obbligano a far in modo che la futura elezione dei pontefici, per quanto starà nella volontà d'ognuno, avvenga in forma canonica e secondo giustizia e che quegli che sarà chiamato a questo santo e apostolico reggimento non sia consacrato col consenso d'alcuno se prima non faccia, alla presenza dei nostri messi o di nostro figlio ovvero di tutta la collettività, per la soddisfazione e futura salvezza di tutti, quella stessa promessa che il signore e padre nostro spirituale Leone fece notoriamente di sua spontanea volontà. Questo patto fu stipulato felicemente nell'anno dell'incarnazione del Signore 962, nell'indizione quinta, tredicesimo giorno del mese di febbraio, correndo l'anno XXVII dell'impero dell'invitto imperatore Ottone. 53 Storia della Chiesa 2 • dall’800 all’888 è il periodo di declino dell’impero carolingio ; per influenza del papato vi è una grande operosità della chiesa in Francia (questioni liturgiche e teologiche) mentre il papato diventa appannaggio delle grandi famiglie romane. 2. L’INIZIO DEL POTERE TEMPORALE Già con Gregorio Magno il papa assume il governo civile di Roma come giudice e amministratore delle finanze (vedi il Corpus Juris Civilis di Giustiniano). Al papato va la gestione delle rendite dei cereali in Sicilia, Sardegna, Corsica. Il papa è il più ricco proprietario terriero dell’Italia ed inizia a costituirsi il patrimonio di San Pietro. I papi sono i veri padroni temporali e spirituali di Roma sotto il controllo imperiali. I Longobardi attaccano l’esarcato di Ravenna. Nel 753 il papa che si sente minacciato chiede aiuto ai Franchi (Pipino) che scendono in Italia e vincono i Longobardi. Nel 756 il papa ottiene in dono con la Promissio Carisiaca l’Esarcato e la Pentapoli. Inizia così il potere temporale dei papi che durerà fino al 1870 e da essi considerato come attributo inderogabile contro gli attacchi esterni. Il potere temporale diviene fonte di potere e di ricchezza ; la responsabilità diventa impedimento per un esercizio pieno della funzione spirituale (Vedi G. B . MONTINI : discorso al Campidoglio poco prima dell’inizio del Vat. II). A Roma si ingrandisce la curia papale, con una classe di funzionari, chierici e laici, da cui si forma un’aristocrazia, dalla quale provengono molto spesso i papi. A Roma si crea un corpo numeroso di ecclesiastici (personale di curia, basiliche, monasteri). Per il potere che esercita l’elezione del papa diviene fonte di disordini, di intrighi e di violenze. 3. L’ALLEANZA CON I CAROLINGI All’inizio del sec. VIII in Italia al nord e al centro troviamo il Regno Longobardo, l’Esarcato di Ravenna e lo Stato Pontificio. Gli imperatori bizantini fanno una politica vessatoria nei confronti del papa. Leone III Isaurico (720-741) attenta contro papa Gregorio III (731-740). Liutprando, re longobardo, nel 742 assale l’esarcato di Ravenna. Papa Stefano II (752-757) chiede l’aiuto di Pipino. Nel 754 lo incontra a Pontion. Nel 756, ottenendo il papa territori al Nord si stacca dall’influenza bizantina e rientra nell’influenza franca. Pipino ottiene il titolo di Patricius Romarum, che l’imperatore bizantino conferiva ad alcuni funzionari, ; in questo caso esso significa protettore del papato. Inizia anche la pratica della consacrazione regia da parte del papa. Carlomagno nel 774 ripromette al papa di assegnare alla Chiesa romana i territori promessi nel 754. Nel Natale dell’800 papa Leone III incorono Carlomagno imperatore. Carlomagno era venuto a Roma per le accuse mosse contro il papa, poi discolpato. L’incoronazione di Carlomagno costituisce un problema storiografico : chi la volle, come avvenne, perché ? Con questo gesto nasce l’impero cristiano d’Occidente e viene distrutta la concezione di un impero universale. Il diritto alla successione imperiale finisce nelle mani del papa che incorona il candidato. Con Nicolò I (858-867) Roma occupa la posizione suprema nella cristianità. La giurisdizione pontificia si estende a tutti i membri della Chiesa, il papa è il capo dei vescovi. A papa Formoso (891-896), reo di aver incoronato imperatore Arnolfo di Germania, da parte della corrente dei duchi di Spoleto, sotto il suo successore Stefano VI, viene fatto un processo postumo con la riesumazione del cadavere, poi gettato nel Tevere. 4. IL SECOLO X : LA CRISI DEL PAPATO Nel corso del sec. X sotto il pontificato di Sergio III (904-911) ascende la famiglia dei Teofilatto, che assume la direzione delle finanze e dell’esercito pontificio. Per cinquant’anni i Teofilatto governano Roma. La figlia di Teofilatto, Marozia, sposa Alberico, marchese di Spoleto, poi Guido di Toscana, quindi Ugo di Provenza ; dal 928 detiene il potere a Roma. Nel 931 fa eleggere papa Giovanni XI, il figlio avuto da Sergio III. Un suo figlio, Alberico, si rivolta nel 932 e caccia la madre; governa Roma, protegge il movimento monastico ; chiama a Roma nel 936 Odo di Cluny ; praticamente assume a Roma il potere civile e quello religioso. Dopo la sua morte è eletto papa il fi- 54 Storia della Chiesa 2 glio diciottenne Giovanni XII, capace ma mondano, il quale chiama a Roma Ottone I e lo incorona imperatore, e ottiene il Privilegium Othonis, che stabilisce che l’elezione del pontefice si deve svolgere alla presenza dei messi imperiali. Giovanni XII è deposto poi da Ottone e viene imposto dall’imperatore Leone VIII. Giovanni XII, prima esiliato torna a Roma nel 964 ma viene ucciso. Viene quindi eletto Benedetto V senza consultare l’imperatore. È un periodo di grande confusione : si succedono papi romani e papi imperiali. Benedetto VII (973-983) emana un decreto contro la simonia ; prosegue la riforma monastica. Alla fine del secolo dà lustro al papato Silvestro II (999-1003), al secolo Gerberto d’Aurillac, già arcivescovo di Reims, precettore di Ottone III. Il giovanissimo imperatore, non ancora ventenne, residente a Roma progetta un rinnovamento cristiano dell’impero, che la sua morte prematura bloccherà. Ritorna l'età felice dei libri e della scrittura: il pontefice protegge biblioteche e archivi, riprende in mano i suoi lavori scientifici, denuncia come falsa la Donazione di Costantino e difende l'autorità imperiale di Ottone III. Alla fine di quell'anno le reliquie di Adalberto di Praga, arcivescovo martire, sono portate a Roma da Ottone III e qui Gerberto e l’imperatore si trovano insieme mentre il mondo, senza epidemie, senza guerra, senza paure d'apocalissi, vede l'alba del secondo millennio. Il papa Silvestro II, è preoccupato di contrastare la simonia del clero. Nel 1001 Silvestro II e Ottone III consacrano la Chiesa nazionale d'Ungheria sotto il regno di Stefano. È l'ultimo grande atto d'una grande amicizia. Il 24 gennaio 1002 Ottone III muore a ventidue anni; il vecchio Gerberto perde il suo alunno più splendido. Nei mesi seguenti il papa si occupa di questioni diocesane fino ai 3 maggio 1003, quando, muore. Nel 1048 Enrico II fa eleggere Bruno di Toul, tedesco, capace, energico, pio, col nome di Leone IX, poi santo. 55 Storia della Chiesa 2 IL RAPPORTO PAPATO-IMPERO 1 . CRESCENTE AUTOCOMPRENSIONE DEL PAPATO CIRCA IL PROPRIO RUOLO • • • • • Fin da Costantino nasce il problema del giusto rapporto tra il monarca cristiano e l’autorità ecclesiastica. Il monarca si considera prima protettore, poi governatore e legislatore unico ed assoluto della Chiesa (Giustiniano). A partire da Gelasio (492-496 i papi rivendicano la somma autorità nella società ; all’imperatore competono gli affari temporali. I papi fino alla metà del sec. VIII riconoscono all’imperatore bizantino la sovranità temporale sui loro stessi territori, lo informano della loro elezione e ne ricevono l’approvazione. Nel frattempo comincia a svilupparsi una tensione tra papa e patriarca di Costantinopoli, il quale cerca l’uguaglianza e a volte la superiorità nei confronti del papa, a partire dal §28 del concilio di Calcedonia, mai approvato dal papa. L’Occidente è considerato come facente parte di un unico patriarcato diviso in due : l’Italia centro-meridionale, sotto la diretta giurisdizione papale, il resto governato dai metropoliti, dove il papa diviene solo istanza di appello. Le chiese nuove che nascono dall’espansione missionaria (Germania e Inghilterra), sono considerate sotto la diretta giurisdizione pontificia (attraverso l’invio del pallio). Nell’Italia centrale il papa cominci ad esercitare le funzioni di sovrano temporale. Dalla fine del sec, V circolano i Falsi Simmachiani, tra cui c’è la Legenda Sancti Silvestri che parla della famosa donazione di Costantino, (città di Roma, province d’Italia, città dell’occidente ed isole). Forse alla metà del sec. VIII si fabbrica il documento della donazione di Costantino, probabilmente redatto dalla cancelleria papale, in occasione dell’appello di papa Stefano a Pipino nel 754 per l’intervento in Italia25. Per quanto riguarda il potere spirituale in alcuni settori già dal III sec. e poi progressivamente i papi godono di un’autorità unica, superiore a tutte le altre : è necessaria la conferma papale per la validità universale dei canoni approvati dai concili , i legati papali hanno la precedenza nelle discussioni conciliari, al papa vengono sottoposte numerose cause di tipo disciplinare e dottrinale, il papa ha il privilegio della giurisdizione d’appello anche per la Chiesa d’oriente, il papa ha un rappresentante stabile a Costantinopoli presso la corte imperiale. 2 . CONCEZIONE DELL’IMPERO Secondo Carlomagno all’imperatore spetta : • difendere la Chiesa dai pagani e dagli infedeli, • rinforzare la fede cattolica, enunciandola chiaramente e sottomettendosi ad essa, • inviare missi dominici, come ispettori per controllare al situazione della Chiesa. Carlomagno emana capitolari e si occupa pure di aspetti dottrinali ; nel 796 si autoproclama Signore e Padre, re e sacerdote, capo di tutti i cristiani ; altri lo chiamano Vicario di Cristo, retore del popolo di Cristo : Come modelli egli ha Saul, Davide, Salomone. La consacrazione gli consente di designare cariche ecclesiastiche, convocare sinodi, convertire in legge i decreti sulla fede e sulla morale. 25 La donazione di Costantino è uno dei falsi più famosi della storia occidentale. Il testo fu composto a metà dell'VIII secolo, proprio mentre nel cuore dell'Italia nasceva lo Stato della Chiesa. Presentato come l'atto con cui l'imperatore avrebbe concesso a papa Silvestro e ai suoi successori Roma, l'Italia e l'Occidente, il documento servì più tardi a sostenere l'espansione territoriale della Chiesa romana, che si contaminò con il potere ma conquistò una reale autonomia. Dapprima poco utilizzata, poi invocata dai papi e avversata da molti, la donazione divenne obiettivo di critiche crescenti - emblematica quella di Dante - finché ne fu dimostrata la falsità da Niccolò Cusano e Lorenzo Valla. In età moderna il dibattito sul testo, brandito contro Roma dai protestanti e poi dagli anticlericali, finì per innescare una discussione più ampia sul potere temporale dei papi e in definitiva sul rapporto tra religione e politica. Questione italiana per eccellenza, la storia della donazione di Costantino non solo implica e chiarisce aspetti centrali dell'identità culturale del paese dove risiede il "romano pontefice", ma rimanda a problemi importanti, relativi sia alla tradizione occidentale sia al rapporto dell'Occidente con le altre culture del mondo. Le vicende narrate costituiscono anche una chiave d'accesso per meglio comprendere natura e significato del potere papale nel mondo di oggi. 56 Storia della Chiesa 2 Gli imperatori tedeschi dei sec. X - XI ridimensionano le pretese teologiche, ma minacciano molto di più l’indipendenza spirituale della Chiesa, perché si preoccupano anzitutto degli interessi temporali del regno. 3 IL PAPATO NELLA PRIMA METÀ DELL’XI SECOLO Nel corso dei sec. XI -XII troviamo un grande movimento di riforma morale, disciplinare, amministrativa, culturale, che coinvolge tutta la società. Per quanto riguarda la Chiesa esso è significativo per i processi di: • centralizzazione del potere pontificio, • rinnovamento monastico, • rinascita del diritto canonico e civile. Il pontificato di Gregorio VII costituisce una linea di demarcazione perché ha stabilito un’evoluzione importante e duratura nella storia d’Europa. La riforma morale e spirituale è soprattutto opera di monaci ; i monasteri riformati diventano centri propulsori di un rinnovamento più ampio. Dopo la morte di Ottone III (1002) diventa imperatore Enrico II di Baviera (1002-1024) poi canonizzato. Il papato è in mano alla casata dei conti di Tuscolo (il più importante è Benedetto VIII (1012-1024). Enrico e Benedetto muoiono nel 1024. Il nuovo imperatore Enrico III (1039-1056) influisce sul papato facendo eleggere papi a lui graditi, tra i quali emerge un suo parente : Bruno, vescovo di Toul, Leone IX (1048-1054). Il papato è bisognoso di riforma : ma una riforma spirituale autentica non poteva venire dall’impero : l’impero di occidente non comprendeva tutta la cristianità : molte chiese nazionali dipendono direttamente dal papa, senza mediazione imperiale. Gli stessi imperatori non si arrogano il diritto di governare la chiesa intera. Solo un papato libero, potente, indipendente può intraprendere un’opera di riforma attraverso un’azione disciplinare. La riforma monastica precede il movimento di riforma generale : l’intento è quello di monasticizzare la chiesa imponendo una regola di vita monastica al clero e ai laici. Il clero è secolarizzato, i vescovi designati dai signori laici, legati ad obblighi feudali, occupati in compiti amministrativi, più al servizio dei signori. I vescovi sono in generale di origine nobile e ricchissimi, il basso clero è composto da piccoli contadini che sopravvivono con piccoli benefici, sono direttamente a servizio del signore temporale, spesso sposati. I mali da combattere sono : * la simonia, che viene catalogata come eresia ; i riformatori, non essendoci ancora la distinzione tra liceità e validità, tendono a ritenere che tutti i sacramenti ottenuti e amministrati con la simonia siano nulli (cfr. Umberto di Silvacandida). * il matrimonio o il concubinato del clero : che hanno come conseguenze → ereditarietà dei benefici e dispersione della proprietà ecclesiastica. Già nella prima metà dell’XI sec. inizia l’opera di riforma da parte di Wazone di Liegi e san Pier Damiani ; ma è soprattutto per opera di papa Leone IX che si afferma la riforma. Il papa è attorniato da un gruppo di collaboratori (Ildebrando, Federico di Lorena, Umberto di Silvacandida), che poi promuove al cardinalato (internazionalizzazione). Leone IX riprende gli antichi decreti contro la simonia. Compie un lungo viaggio apostolico in Germania e in Francia. Convoca sinodi, visita l’Italia. Combatte i Normanni in Sud Italia ; è fatto prigioniero e muore nel 1054. Durante il pontificato di Nicolò II nel 1059 viene emanato il decreto che ripristina l’elezione canonica del papa26, riservandola ai soli cardinali con l’approvazione del clero e del popolo di Roma. Lo stesso decreto proibisce ai laici l’investitura dei benefici ecclesiastici. 26 Nel nome del Signore Iddio Gesù Cristo, nostro Salvatore, nell'anno 1059 dalla sua incarnazione, nel mese di aprile, nella dodicesima indizione, alla presenza dei Santi Evangeli, sotto la presidenza del reverendissimo e beatissimo Papa apostolico, Niccolò, nella patriarcale basilica lateranense, chiamata basilica di Costantino, con anche tutti i reverendissimi arcivescovi, vescovi, abati e venerabili presbiteri e diaconi, il medesimo venerabile Pontefice, decretando con autorità apostolica riguardo all'elezione del Pontefice, disse: 57 Storia della Chiesa 2 4. LO SCISMA CON LA CHIESA D’ORIENTE Il 1054 è anche l’anno in cui si consuma lo scisma tra Chiesa d’occidente e d’oriente. Esso venne ripreso nel 1052 dal patriarca costantinopolitano Michele Cerulario che sembra agisse anche per fini personali. Egli fece chiudere a Costantinopoli alcune chiese di rito latino. i motivi erano in parte quelli di Fozio e in parte altri, apparentemente solo liturgici: Michele Cerulario condannava l'uso latino di non cantare l'Alleluia in tempo quaresimale e di usare pane azzimo per il rito eucaristico. Per queste ragioni fece spedire anche intimazioni a un vescovo italiano, quello di Trani (Puglia) politicamente in territorio bizantino. Il papa, che era Leone IX, ricevette dal vescovo di Trani Le Eminenze vostre conoscono, dilettissimi Vescovi e confratelli - né è sfuggito ai membri di grado più basso - quante avversità abbia sopportato questa Sede Apostolica, cui per volontà divina io servo, dalla morte di Stefano nostro predecessore di beata memoria, a quanti colpi e battiture sia stata sottoposta per opera dei trafficanti simoniaci; a tal punto, che la colonna del Dio vivente così scrollata sembra quasi vacillare e che la sede del Sommo Pontefice è costretta dalle tempeste ad inabissarsi in profondità di naufragio. E perciò, se piace ai miei confratelli, con l'aiuto di Dio dobbiamo saggiamente affrontare le eventualità future e provvedere per il futuro alla costituzione ecclesiastica, sì che i mali risorgendo - non fia mai! - non prevalgano. Dunque, appoggiandoci sull'autorità dei nostri predecessori e degli altri Santi Padri, decretiamole stabiliamo: che, quando il Pontefice di questa universale Chiesa Romana muore, prima i Cardinali Vescovi decidano tra loro con la più diligente considerazione, poi chiamino i cardinali Chierici; e allo stesso modo si associno poi il resto del clero e il popolo, per consentire alla nuova elezione; affinché il tristo morbo della venalità non abbia qualche occasione di infiltrarsi - siano i religiosi a condurre l'elezione del futuro Pontefice, e tutti gli altri li seguano. E certo quest'ordine di elezione vien valutato giusto e legittimo, se, osservate le regole e le azioni dei vari Padri, si richiama quella nota frase del nostro beato predecessore Leone: «Nessuna ragione permette - disse - che si considerino tra i Vescovi coloro che non furono eletti dai chierici, né richiesti dal popolo, né consacrati dai Vescovi comprovinciali con l'approvazione del Metropolíta». Poiché la Sede apostolica è al di sopra di tutte le Chiese in tutta la terra, e non può quindi avere su di sé un Metropolita, non c'è dubbio che i Cardinali Vescovi abbiano funzione di Metropolita, portando il sacerdote eletto al sommo della dignità apostolica. Lo eleggano dal seno della Chiesa di Roma, se è trovato degno, altrimenti lo si prenda da un'altra Chiesa. Salvo restando il debito onore e la reverenza verso il nostro diletto figlio Enrico che è ora chiamato re e che si spera sarà con l'aiuto di Dio il futuro imperatore, come gli abbiamo concesso, e verso i successori di lui che personalmente chiederanno questo privilegio a questa Sede Apostolica. Che se la perversità di uomini empi ed iniqui prevarrà tanto, da rendere impossibile nell'Urbe una elezione incorrotta, genuina e libera, i Cardinali Vescovi con i Chierici e con i laici cattolici, sia pur pochi, abbiano il potere di eleggere il Pontefice della Sede Apostolica, dove stimino più opportuno. Se, terminata completamente l'elezione, una guerra o un qualunque tentativo di uomini per malizia si opponga a che l'eletto prenda possesso della Sede Apostolica secondo la consuetudine, ciò nonostante l'eletto abbia l'autorità di reggere come Pontefice la Santa Chiesa Romana, disponendo di tutte le sue prerogative, come sappiamo fece prima della sua consacrazione il beato Gregorio. Ma se qualcuno contrariamente a questo nostro decreto promulgato in sinodo, verrà eletto o consacrato o insediato in trono attraverso la rivolta, la temerarietà o qualunque altro mezzo, sia da tutti creduto e considerato non Papa, ma Satana, non Apostolo, ma apostata e con perpetua scomunica per autorità divina e dei santi Apostoli Pietro e Paolo, insieme con i suoi istigatori, partigiani e seguaci venga scacciato e respinto dalle porte della santa cristianità di Dio, come Anticristo, nemico e distruttore di tutta la Cristianità. E non gli si dia alcuna udienza riguardo a ciò, ma in perpetuo sia privato della dignità ecclesiastica di qualunque grado essa sia stata. Con la stessa sentenza sia punito chiunque sarà dalla sua parte o gli renderà qualsiasi omaggio, come a un Pontefice, o presumerà di difenderlo. E chi temerariamente si opporrà a questo nostro decreto e nella sua presunzione tenterà di confondere e turbare la Chiesa Romana contro questo statuto, sia condannato a perpetuo anatema e scomunica e sia considerato tra gli empi che non risorgeranno nel Giudizio; senta contro di sé l'ira dell'Onnipotente, del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, e in questa vita e in quella futura esperimenti il furore dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, la cui Chiesa egli presunse sconvolgere; la sua casa sia deserta e nessuno abiti nelle sue tende; i suoi figli sian orfani e sua moglie vedova; venga scacciato nello spavento lui e i suoi figli e mendichino e siano respinti dalle loro case; l'usuraio si impadronisca della sua sostanza e stranieri approfittino del frutto delle sue fatiche; tutta la terra combatta contro di lui e gli elementi gli siano avversi e i meriti di tutti i santi defunti lo confondano e mostrino aperta vendetta su di lui in questa vita. La grazia di Dio Onnipotente protegga coloro che osserveranno questo decreto e per l'autorità dei santi Apostoli Pietro e Paolo li assolva da ogni peccato. Io, Niccolò, vescovo della Santa Chiesa Cattolica Apostolica Romana, ho firmato questo decreto da noi promulgato come sopra si legge. Bonifacio, per grazia di Dio vescovo di Albano, ho firmato. Umberto, vescovo della Santa Chiesa di Sílva Candida, ho firmato. Pietro, vescovo di Ostia, ho firmato, ed altri vescovi, in numero di settantasei, unicamente ai presbiteri e diaconi, hanno firmato. 58 Storia della Chiesa 2 la lettera ispirata dal patriarca: ne nacque una corrispondenza anche con l'imperatore, e questi si mostrò conciliante, obbligando anche Cerulario a recedere dalle sue posizioni. Ma per poco. Per giungere a una vera conciliazione, Leone IX mandò a Costantinopoli una delegazione formata dal cardinale Umberto di Silva Candida, dal cancelliere della Chiesa romana Federico di Lorena (futuro papa Stefano IX) e dall'arcivescovo Pietro di Amalfi. Il capo missione, Umberto, si rivelò tuttavia poco adatto all'incarico: egli era stato uno dei protagonisti della riforma; anzi, fu uno degli esponenti della linea "dura" contro i simoniaci, i concubinari, e insomma i rappresentanti della vecchia Chiesa feudale. Arrivato a Costantinopoli fu per la linea dura e diede alla sua missione il carattere di una richiesta di riparazioni: niente trattative tra Michele Cerulario e il pontefice. Egli fece pervenire al patriarca un documento, in cui tra l'altro si accennava alla irregolarità della sua elezione; quanto ai propositi conciliativi di Cerulario (per ispirazione imperiale) li si accoglieva senza il minimo calore, come cosa semplicemente dovuta. Non solo: la delegazione romana, in contrasto con l'atteggiamento del mite Leone IX, non mostrò alcuna fretta di parlare direttamente col patriarca, considerandolo un "inferiore" riottoso. E fu invece Michele Cerulario a rifiutare poi i contatti con gli inviati di Roma. Nemmeno l'imperatore riuscì a smuoverlo. A quel punto, l'offeso era il papa, visto che il patriarca respingeva i suoi rappresentanti. E questi ultimi, allora, decisero di abbandonare Costantinopoli. Ma non senza un gesto drammatico. Il 16 luglio 1054, essi si presentarono nella cattedrale di Santa Sofia nell'ora del pontificale; pronunciarono una protesta contro il patriarca, e poi Umberto di Silva Candida depose sull'altare una bolla di scomunica contro di lui e contro i suoi seguaci. Tra l'altro, il documento dice: «Richiamato all'ordine... da lettere del Signor nostro il papa Leone, Michele ha ricusato di venire a resipiscenza; indi ha rifiutato di dare udienza a noi, legati; ci ha vietato di celebrare le Messe nelle chiese, a quel modo con cui già aveva chiuso le chiese dei Latini chiamandoli azzimiti e perseguitandoli con parole e vie di fatto, giungendo fino ad anatematizzare la Sede Apostolica nei suoi figli, osando fregiarsi di fronte alla Santa Sede del titolo di patriarca ecumenico. Noi pertanto... firmiamo l'anatema contro Michele e i suoi fautori, anatema già pronunziato contro di essi dal reverendissimo papa, se non venivano a resipiscenza... ». In verità, a quel momento il papa non era più Leone, morto il 19 aprile; al suo posto era stato eletto il 16 maggio Vittore II, e di solito con la morte di un pontefice si estinguono anche i poteri dei suoi legati. Le accuse a Michele Cerulario erano in parte vere e gravi, in parte inattendibili e in parte ancora futili. il patriarca, quattro giorni dopo il gesto dei cardinale Umberto, riunì un sinodo che dichiarò scomunicati a loro volta i legati pontifici, e fece bruciare la loro bolla. La reciproca scomunica introdusse certo una catena interminabile di complicazioni, di dissapori, di atti ostili tra Latini e Greci27. 27 Quando papa Paolo VI e il patriarca Atenagora I firmarono la Dichiarazione comune del 7 dicembre 1965, non parlarono di abrogare o annullare le scomuniche che una Chiesa lanciò contro l'altra, ma semplicemente di dimentícare un evento nefasto che ebbe conseguenze non previste da parte di coloro che lo provocarono. Il testo è talmente importante per i rapporti tra le Chiese bizantina e latina che vale la pena trascriverne di seguito i paragrafi più significativi: Tra gli ostacoli che sl trovano sul cammino dello sviluppo di questi rapporti fraterni di fiducia e di stima, c'è il ricordo delle decisioni', degli atti e degli incidenti penosi che hanno portato, nel 1054, alla sentenza di scomunica lanciata contro il patriarca Michele Cerulario e due altre personalità, dal' legati' della Sede romana guidati dal cardinale Umberto, legati che furono essi' stessi poi colpiti da una sentenza analoga da parte del patriarca e del sinodo costantinopolítano... Oggi, quando un giudizio più sereno e più equo è stato portato su di essi conviene riconoscere gli eccessi da cui sono stati contaminati e che hanno portato, in seguito, conseguenze, le quali, per quanto ne possiamo giudicare, sono andate oltre le intenzioni e le previsioni dei loro autori, le cui censure riguardavano le persone colpite e non le Chiese, e non intendevano rompere la comunione ecclesiastica tra le Sedi di Roma e Costantinopoli. Per questo il papa Paolo VI e il patriarca Atenagora I nel suo sinodo, certi di esprimere il sentimento comune di giustizia e il sentimento unanime di carità dei loro fedeli... dichiarano di comune accordo: ,..di deplorare anche, e di cancellare dalla memoria e dal seno della Chiesa, le sentenze di scomunica che vi hanno fatto seguito, e il cui ricordo è stato fino ai nostri giorni come un ostacolo al riavvicinamento ella carità, e di condannarle all’oblio . Alla Dichiarazione comune seguirono due documenti, un Breve di Paolo VI e un Tomos di Atenagora I che applicavano al diritto delle proprie Chiese le decisioni prese di comune accordo. In entrambi vengono ripetuti i concetti del documento congiunto; non si ebbe dunque scomunica ai una Chiesa nei confronti dell'altra. Lo scisma non fu un fatto con- 59 Storia della Chiesa 2 5 LA RIFORMA GREGORIANA Gregorio VII (Ildebrando di Soana), di origine toscana, (1015-1020), monaco a Roma, poi in Lorena, dal 1046 è consigliere ecclesiastico dei papi ; ha come modello san Gregorio Magno. Nei suoi scritti afferma il sommo potere e l’autorità di diritto divino della sede romana. Uomo di grande spiritualità, pietà, umiltà, è mosso da volontà di pace, ribadisce i decreti contro la simonia e l’incontinenza del clero. È importante il sinodo di quaresima del 1075 : i suoi decreti ristabiliscono la prassi canonica romana in vigore 600 anni prima contro la concessione di vescovadi e abbazie da parte dei signori laici. La rottura rispetto alla prassi corrente rappresenta una rivoluzione : si abolisce la necessità di far seguire l’elezione canonica l’approvazione del monarca. Questa presa di posizione di posizione da parte del monarca rappresenta una valida interpretazione delle prerogative pontificie. Nel 1074-1075 vengono elaborati i Dictatus Papae. Essi espongono i poteri pontifici così come li concepisce Gregorio ; abbozzano un programma dottrinale conciso e dettagliato che prevede una centralizzazione e concentrazione dei poteri, fino allora mai immaginate. Al Papa spettano l’autorità e la responsabilità universali28. Gregorio VII riduce l’importanza dei primati e dei metropoliti ; i vescovi diocesani vengono direttamente guidati da Roma ; viene invece ampliata la funzione dei legati pontifici, plenipotenziari. creto, né è possibile situarlo in una data precisa. Come ha spiegato molto bene Yves Congar lo scisma è uno stato di non-rapporto, che lentamente ha generato un disinteresse e un disconoscimento reciproci, e che è andato aumentando con il passare dei secoli. La coscienza di uno scisma reale e definitivo si è avuta soltanto molto più tardi: si Pensi che nel XVII secolo i gesuiti di Salonicco predicavano e confessavano nelle chiese ortodosse e anche sullo stesso Monte Athos, invitati dalle gerarchie bizantine. Se si volessero cercare momenti più significativi di quello del 1054 che abbiano scavato un fossato ancora più profondo tra Roma e Bisanzio, si dovrà pensare al concilio di Firenze e al concilio Vaticano 1, dove una sfortunata attuazione della diplomazia romana rese impossibile la partecipazione come padri conciliari nelle riunioni sinodali di rappresentanti della gerarchia orientale. Da allora in poi molte altre cause, piccole e grandi, hanno accresciuto le distanze, pur non mancando nel frattempo gesti e segni di speranza carichi di autentica carità cristiana da ambo le parti, per cercare di superare gli ostacoli che impediscono di offrire una testimonianza comune di autenticità evangelica di fronte al mondo. 28 Che la chiesa Romana è stata fondata da Dio solo. • Che soltanto il Pontefice Romano è a buon diritto chiamato universale. • Che egli solo può deporre e stabilire i vescovi. • Che un suo messo, anche se inferiore di grado, in concilio è al di sopra di tutti i vescovi, e può pronunziare una sentenza di deposizione sopra di loro. • Che il Papa può deporre gli assenti. • Che non dobbiamo aver comunione o rimanere nella stessa con quelli che sono stati scomunicati da lui. • Che a lui solo è lecito promulgare nuove leggi in rapporto alle necessità del tempo, radunare nuove congregazioni, rendere abbazia una canonica e viceversa, dividere un episcopato ricco e unire quelli poveri. • Che lui solo può usare le insegne imperiali. • Che tutti i principi devono baciare i piedi soltanto al papa. • Che il suo nome deve essere recitato in chiesa. • Che il suo titolo è unico al mondo. • Che gli è lecito deporre l’imperatore. • Che gli è lecito, secondo la necessità, spostare i vescovi di sede in sede. • Che ha il potere di ordinare un chierico da qualsiasi chiesa, per il luogo che voglia. • Che colui che è stato ordinato da lui può essere a capo di un’altra chiesa, ma non sottoposto, e che da nessun vescovo può ottenere un grado superiore. • Che nessun sinodo può essere chiamato generale, se non comandato da lui. • Che nessun articolo o libro può esser chiamato canonico senza la sua autorizzazione • Che nessuno deve revocare la sua parola, e che solo lui lo può fare. • Che nessuno lo può giudicare. • Che nessuno osi condannare chi si appella alla santa sede. • Che le cause di maggiore importanza, di qualsiasi chiesa, devono essere rimesse al suo giudizio. • Che la Chiesa romana non errò e non errerà mai e ciò secondo al testimonianza delle sacre scritture. • Che il Pontefice Romano, se ordinato dopo elezione canonica, è indubitabilmente santificato dai meriti del Beato Pietro. • Che ai subordinati è lecito fare accuse, dietro suo ordine e permesso. • Che può deporre e ristabilire i vescovi anche senza riunione sinodale. • che non deve essere considerato cattolico chi non è d’accordo con la Chiesa Romana. • Che il Pontefice può sciogliere i sudditi dalla fedeltà verso gli iniqui. 60 Storia della Chiesa 2 a) b) a) b) 1. 2. I rapporti tra Gregorio VII e Enrico IV entrano in crisi in occasione della nomina del vescovo di Milano. Nel 1075 il popolo di Milano, attraverso sommosse pretende la sostituzione di Attone, eletto canonicamente. Enrico IV nomina Tebaldo. Il papa protesta. Enrico IV in un’assemblea a Worms, insieme ai vescovi scomunicati perché si rifiutavano di applicare i decreti papali depone Gregorio VII, pretendendo di essere designato da Dio come vice-gerente temporale di Cristo. Nella quaresima 1076 Gregorio sospende l’autorità regia di Enrico ; libera i sudditi dal giuramento di fedeltà, scomunica (episodio senza precedenti) Enrico per la prima volta. La scomunica è rispettata dai principi. Gregorio, dovendosi recare in Germania si ferma ospite presso la contessa Matilde di Canossa. Colà si reca Enrico che, dopo un’attesa di tre giorni come penitente, ottiene dal papa la revoca della scomunica. Per Gregorio si tratta di una vittoria morale ma di una sconfitta politica. I principi tedeschi eleggono nel frattempo imperatore Rodolfo di Svevia. Enrico allora minaccia di invadere l’Italia e catturare Gregorio, che lo scomunica la seconda volta nel 1080 e riconosce Rodolfo. I vescovi tedeschi e lombardi eleggono antipapa Guiberto, arcivescovo di Ravenna (Clemente III). Nel 1080 muore Rodolfo ; viene rideposto Gregorio ; Clemente III riconosce Enrico come imperatore. Roberto il Guiscardo riconquista Roma per Gregorio ma la saccheggia. Gregorio è costretto a rifugiarsi a Salerno. Muore nel 1085 : “Ho amato la giustizia, ho odiato l’iniquità, per questo muoio in esilio”. Al di là dei limiti (il carattere dispotico), Gregorio VII fonda e rende funzionale una Chiesa completamente organizzata e centralizzata, dotata di una struttura, di un corpo giuridico-politico. La sua politica è dettata da una ragione spirituale : il papato vuole essere libero dalla tutela imperiale e liberare la Chiesa dal controllo laico e dalla debolezza morale, agendo anche con energia e severità. Nonostante gli ultimi anni di Gregorio VII, la causa della riforma non è perduta, il suo spirito si diffonde tra vescovi e cardinali. Urbano II (1088-1099), già monaco a Cluny, segue l’indirizzo di riforma gregoriano : condanna la simonia, il nicolaismo, le investiture laicali ; favorisce la centralizzazione. In un viaggio in Francia nel 1095 promuove un sinodo a Clermont, che stabilisce il divieto del giuramento feudale prestato da ecclesiastici ai laici e questo provoca una tensione con l’impero. In quello stesso concilio imbandisce la prima crociata in risposta ad una richiesta di aiuto da parte dell’imperatore bizantino Alessio e come continuazione del successo della crociata in Spagna. Nel 1010 il sultano Hakim fa distruggere il S. Sepolcro a Gerusalemme. Nel 1070-71 i turchi selgiudici operano stragi nella Terra Santa. L’appello alla crociata risolleva il prestigio del papato, l’inizio è quasi incidentale ma con grandi e gravi conseguenze per due secoli. Mentre continua la lotta di Enrico IV contro la riforma gregoriana, il figlio Corrado II passa al partito gregoriano. Con Pasquale II (1099-1118) la lotta per le investiture entra in una nuova fase. Il problema sta nel fatto che l’investitura è un’istituzione della società feudale : o si abolisce il feudalesimo o si arriva ad un compromesso. Da un lato è un’ingiustizia il fatto che un laico possa affidare un ufficio spirituale, dall’altro questo accade perché il beneficio della carica ecclesiastica è ritenuto unito a quello della proprietà. Ivo di Chartres propone (nel 1090 circa) un compromesso : il giuramento di fedeltà dei chierici al signore laico non è contro il diritto canonico purchè vi sia la distinzione tra l’ufficio spirituale e il feudo temporale. Pasquale II propone una soluzione nuova ad Enrico V : la Chiesa rinuncia ai suoi diritti sulle proprietà ricevute dal sovrano, il re rinuncia al diritto di investitura (cfr. ROSMINI, Delle cinque piaghe...,) ma in quella situazione la proposta del papa è utopistica e improponibile; è lo stesso clero ad opporsi. Dopo molte tergiversazioni si giunge ad un accordo definitivo il 23 sett. 1122 con il Concordato di Worms, essendo papa Callisto II. . Si tratta di un compromesso pratico che stabilisce che : L’imperatore rinuncia all’investitura di vescovi e abati con anello e pastorale ; riconosce le elezioni canoniche e la conferma del metropolita ; Il papa riconosce all’imperatore il diritto di assistere in Germania alle elezioni vescovili, purché siano escluse la forza e la simonia, e nelle elezioni dubbie il diritto di appoggiare il partito migliore secondo il consiglio del metropolita e dei vescovi comprovinciali ; 61 Storia della Chiesa 2 3. L’investitura temporale è conferita dall’imperatore con lo scettro e in Germania precede la consacrazione (per escludere i candidati non graditi), mentre in Italia e in Borgogna la segue. 62 Storia della Chiesa 2 LA VITA RELIGIOSA 1. IL MONACHESIMO IN OCCIDENTE (SEC. VI-XI) 1. 2. 3. 4. In questo periodo il monachesimo costituisce un aspetto permanente della società. L’influenza a livello spirituale, intellettuale, liturgico, amministrativo, economico è molto forte. La vita monastica diventa uno stile di vita che incide socialmente : il monachesimo ha il monopolio dello studio e della spiritualità ; ha un’influenza sulla vita della chiesa più importante di quella del clero secolare. Il riferimento per tutti è la regola di san Benedetto. Distinguiamo quattro epoche : sec. V - VII : il monachesimo in occidente si diffonde lentamente dall’Italia e Gallia meridionale in Inghilterra, Svizzera, Renania, Baviera. Vi è uno sviluppo progressivo di comunità monastiche riccamente dotate di proprietà ; sec. VIII - IX : centralizzazione, come rimedio alla secolarizzazione e decadenza. Ludovico il Pio dà una regola di vita quotidiana e liturgica ; sec. X -XI : rinnovamento. La riforma di Cluny e della Lorena si diffonde al resto dell’Europa. Sono i secoli d’oro del monachesimo per la cultura e per l’arte. sec. XII - XIII : nascita di nuove forme monastiche, eremitiche e cenobitiche. 2. BENEDETTO DA NORCIA La figura di san Benedetto può sembrare evanescente. Della sua vita conosciamo soltanto quello che ce ne riferisce il secondo libro dei Dialoghi29 di san Gregorio Magno († 604); della sua dottrina e della sua personalità, nulla più di quanto ce ne fa conoscere la sua Regola. Benedetto nasce da famiglia di elevata condizione sociale, senza dubbio profondamente cristiana, nella povera valle di Nursia (Norcia), in Umbria, all'inizio del VI secolo e, conosce il monachesimo proprio in questa terra, nelle vicinanze del paese natale. Inviato a Roma per istruirsi nelle arti liberali, non trova qui un ambiente favorevole alla sua crescita umana e spirituale. Disgustato dall'atmosfera profana di questa città, se ne allontana. Si è concordi nel fissare questo primo esodo all'età di 14 o 15 anni. Dapprima entra probabilmente nella cerchia degli asceti di Affile, sui monti Sabini; poco più tardi intraprende, come tanti monaci del suo tempo, la vita eremitica e si stabilisce nella valle di Subiaco, situata a circa 80 km ad est di Roma, luogo di straordinaria e suggestiva bellezza per i suoi pendii ricoperti di foreste, il suo lago e il suo fiume, l'Aniene. Qui Benedetto vive in austera solitudine e inizia il cammino della purificazione interiore. Intanto la fama del giovane asceta si diffonde e molte persone cominciano a recarsi da lui per chiedere consiglio. In capo a circa dieci anni, i monaci di una vicina comunità (che non sembra fosse situata a Vicovaro, vollero farne il loro superiore ma, scontenti del suo rigore, finirono col tentare di una avvelenarlo. , abbandonò quei monaci indegni per ritornare nella sua grotta e là, «abitare in compagnia di se stesso» (Dial., II, 3). Ben presto tuttavia si unirono a lui così numerosi discepoli, che fu indotto a fondare dodici monasteri, in ciascuno dei quali insediò un abate e collocò dodici monaci. Ne mantenne qualcuno presso di sé in un monastero centrale situato sulla riva del lago. Queste piccole comunità richiamano quelle che osservavano la Regola del Maestro (Regula Magistri30). Così, già 29 Ora, per i Dialoghi si pone un problema di autenticità; anche se la loro composizione dev'essere ritardata di oltre cento anni (prima del 715), il secondo libro serba valore di documento, da leggersi come una raccolta di fatti meravigliosi, in cui peraltro alcuni particolari possono essere l'eco di una solida tradizione. Il racconto retorico di papa Gregorio † 604) contiene anche numerosi dati storici verificabili: - luoghi precisi (Norcia, Roma, Subiaco, Terracina); - personaggi e testimoni noti al papa o al suo interlocutore, la cui esistenza è attestata anche da altre fonti; - menzione di templi antichi, di cui esistono ancora i resti; - alcuni avvenimenti, come la carestia del 537-538 in Campania. 30 Per i particolari rapporti che presenta con la nostra Regola (= RB.), una speciale menzione esige la cosiddetta Regula Magistri (= RM.), divenuta oggi così celebre. Essa infatti, lunga tre volte più di RB., all'inizio contiene, quasi intieri e letteralmente, il Prologo e i capitoli 1-2, 4-7 di questa; riproduce spesso, nell'ordine dei capitoli, lo schema di quelli benedettini; ha molti punti di contatto con essi; termina col capitolo sui portinai, appunto come la RB. 63 Storia della Chiesa 2 a Subiaco, Romani e Barbari si univano per il servizio di Dio: fra loro, un goto zelante e dall'animo retto, alcuni giovani patrizi, fra i quali Mauro, e Placido. Senza peraltro disinteressarsi delle sue prime Fondazioni, abbandona quindi le gole dell'Aniene, tra cui era vissuto per circa trentacinque anni, e forse designa Mauro per suo successore a Subiaco. A Montecassino Seguendo il confine con gli Abruzzi in direzione del Mezzogiorno per 150 chilometri, raggiunse un sito di incomparabile maestà, il Monte Cassino, che si erge ai confini con il Sannio e la Campania. Vi era un santuario pagano che divenne un oratorio dedicato a san Martino di Tours, mentre un secondo, in onore di san Giovanni Battista, veniva edificato sulla sommità del monte, La fortezza romana fu adattata a monastero; egli occupava la torre di guardia e vi si ritirava per pregare. Davanti a questa torre, i monaci innalzarono alla meglio alcune rudimentali costruzioni che servivano di dormitorio e foresteria. Non risulta che Benedetto abbia più lasciato Montecassino, neppure per visitare la sua fondazione di Terracina, distante circa 80 chilometri. Ignoriamo quali rapporti mantenesse con il suo primo monastero; si noti però la stabilità d Benedetto: abbandonata Subiaco, rimane sino alla morte a Montecassino, che di teatro di episodi importanti: l'incontro con Totila, re dei Goti -, l'ultimo colloquio con a sorella Scolastica. Qui Benedetto scrive la sua Regola. Avvalendosi della sua esperienza, si rende conto che la dimensione «verticale» della Regola del Maestro necessita di un completamente in senso orizzontale: il Cristo va riconosciuto non solo nell'abate, ma anche nel fratello, nel povero, nell'ospite, nel malato. In questa nuova concezione è possibile riconoscere l'influsso di Agostino ( + 430) e della spiritualità greca allora diffusa nell'Italia meridionale. La regola benedettina insiste su umiltà, carattere familiare e paterno dei rapporti con l’autorità, carità sociale, comprensione reciproca, progresso spirituale attraverso lavoro e preghiera : nuovo stile monastico. La comunità è composta all’inizio prevalentemente di laici, e successivamente i chierici diventano prevalenti. La struttura liturgica e istituzionale è molto semplice, poi si sviluppa la liturgia delle ore. Nascono grandi comunità ; il lavoro da agricolo diventa culturale ; si struttura una divisione del lavoro : per i lavori più umili ci sono i conversi. Montecassino cade in mani longobarde nel 581 ; viene restaurato verso il 720 dal monaco inglese Willibaldo. In Sud Italia si diffonde il monachesimo di tipo orientale. 3. IL MONACHESIMO IN EUROPA In Gallia nel sec. VI nascono i monasteri di Fleury, S : Benigno di Digione, S . Remigio di Reims ; non seguono una regola dettagliata e completa, si conformano ad usi e liturgia comune nella stesa regione o diocesi. Nei monasteri celtici (Irlanda e parte della Britannia) i monasteri sono gli unici centri dell’insegnamento e della pietà. San Colombano (540-615) fonda a Luxeil un’abbazia, quindi fonda Bobbio nel 613 ; poi è la regola di san Benedetto ad avere il sopravvento. In Inghilterra i primi monaci sono inviati da Gregorio Magno, ma il fondatore della vita benedettina è Benedetto Biscop (VII sec.), al quale succede come abate di S. Agostino a Canterbury, Adriano, monaco napoletano. Le caratteristiche sono : ascetismo. Attività artistica e letteraria, missione. In Francia, dopo la decadenza e la secolarizzazione operata da Carlomagno, sotto Ludovico il Pio prosegue una riforma monastica che si basa sull’applicazione della regola benedettina. Il sovrano chiama Benedetto di Aniane (sec. IX) a fondare vicino ad Aquisgrana, Corneliimünster (815). Nell’817 un sinodo monastico approva delle costituzioni monastiche (Capitulare monasticum). Ludovico il Pio stabilisce, contro gli abusi, che metà dei redditi di un monastero spetti all’abate e metà alla comunità. Benedetto di Aniane redige un Codex Regularium : con la sua riforma in tutto l’impero si osserva un’unica regola monastica, quella benedettina. Vi è una profonda solidarietà tra monaci ed impero. A metà del sec. IX troviamo un nuovo periodo di secolarizzazione e decadenza. 64 Storia della Chiesa 2 Germania e Svizzera hanno fondazioni più recenti rispetto alla Francia. Fulda, san Gallo, Reichenau sono grandi centri culturali e letterari : qui nasce la lingua volgare. Le abbazie sono vasti complessi con scuole, ospedali, tribunali, ricoveri, foresterie. Il declino qui inizia nel sec. X 2. LA RIFORMA CLUNIACENSE E LE ALTRE RIFORME MONASTICHE Il duca Guglielmo di Aquitania nel 908 fonda l’abbazia di Cluny, che affida all’abate riformatore Bernone. Il nuovo monastero è indipendente da ogni autorità secolare de ecclesiastica e fa capo direttamente a Roma. Lo spirito di Cluny deriva dalla regola benedettina riformata da Benedetto di Aniane : obbedienza all’abate ; solenne celebrazione della liturgia (canto, paramenti, grandi chiese) ; severa disciplina ascetica. La terza chiesa di Cluny è la più grande di Occidente fino alla nuova di S. Pietro in Vaticano. A Cluny si sviluppano architettura e pittura. Vi è molta attenzione al vitto e alla pulizia personale; vengono invece trascurati scienza e lavoro manuale. La liturgia è enfatizzata : sotto l’abate Odo si giunge alla recita di 138 salmi quotidiani che poi aumentano progressivamente. Cluny si distingue per la lunghezza e la stabilità dei suoi abbaziati. È ciascun abate a scegliere il successore : Bernone 908-927 Odo 927-942 17 fondazioni dipendenti Aimardo 942-954 Maiolo 954-994 37 fondazioni Odilo 994-1049 65 fondazioni Ugo 1049-1109 700 monasteri dipendenti e 700 monaci presenti a Cluny Pietro il Venerabile 1122-1152 1500 monasteri dipendenti L’aggregazione di Cluny con i monasteri da essa dipendenti avviene in forme diverse. I priorati sono i monasteri che dipendono direttamente da Cluny. La federazione di Cluny è istituzione tipicamente medievale, con analogie con il regime feudale e grande elasticità di rapporti. Nella Lorena e nell’attuale Belgio Gerardo di Brogne nel 914 dà origine ad un’altra riforma. Giovanni di Gorze (933) promuove una corrente riformistica diversa da Cluny. Le abbazie e i monasteri collegati a Gorze mantengono al propria autonomia. Il legame con l’abbazia principale consiste nella comune osservanza della regola e in una fratellanza spirituale : reciproca commemorazione nella preghiera. La riforma di Gorze si diffonde particolarmente in Germania e ha come centri di irradiazione Treviri e Regensburg. Sono importanti alcune nuove fondazioni in Italia : • Camaldoli, ad opera di san Romualdo (1023) • Vallombrosa, ad opera di san Giovanni Gualberto con i numerosi monasteri da esse dipendenti. • alla fine del sec. X san Nilo, proveniente dalla Calabria, fonda una abbazia di rito greco-bizantino a Grottaferrata, alle porte di Roma. Queste riforme monastiche hanno un grande influsso sulla vita della Chiesa intera, sulle classi dirigenti, sui nobili, sui vescovi. Si caratterizzano per il loro orientamento a Roma : dai monasteri riformati escono vescovi, cardinali, papi. Montecassino, distrutta dai saraceni nell’883, restaurata nel 950, inizia con l’abate Tebaldo (1022-1035) la sua ascesa. L’abate Richiero (1038-1055) riforma l’arcicenobio contro le ingerenze laicali. L’abate Federico diventa papa Stefano IX (1057-1058). L’abate Desiderio diventa papa Vittore III (1086-1087). L’abate Giovanni diventa papa Gelasio II (1118-1119). 65 Storia della Chiesa 2 I NUOVI ORDINI RELIGIOSI SECOLI XI-XII31 • 1. 2. • • • 1. 2. In Italia nel sec. X abbiamo la rifioritura di Montecassino e la fioritura di Subiaco, per opera dei Benedettini. I monasteri seguono un modello tradizionale di vita comunitaria e liturgica. La regola benedettina è interpretata in senso conservatore. Tanto Romualdo (950-1027) quanto Giovanni Gualberto (990-1073) danno vita a Camaldoli e Vallombrosa ad una duplice forma di sistemazione in eremi e monasteri. A Fonte Avellana, dipendente da Camaldoli si forma s. Pier Damiani (10001072). Esse, con regole molto austere, sono forme tipicamente italiane. In Francia vi è un pullulare di esperienze e fondazioni di osservanza tradizionale. Bruno di Colonia nel 1084 fonda presso Grenoble la Chartreuse ordine penitenziale severo che unisce eremitismo a cenobitismo con una regola benedettina più rigida : obbligo del silenzio quasi perpetuo, astinenza quasi perpetua dai cibi di carne. Nel 1091 fonda un altro monastero in Calabria (Serra San Bruno). S. Stefano di Thiers nel 1076 fonda l’ordine di Grandmont, con l’obbligo della povertà più rigida. Roberto d’Arbrissel, predicatore penitenziale, fonda presso Angers l’ordine di Fontevrault, con monastero doppio, maschile e femminile. L’abate benedettino Roberto di Molesme fonda nel 1098 a Cîteaux, presso Digione, nel 1098 i Cistercensi, in reazione ai cluniacensi arricchiti, che pratica la povertà più assoluta, applicano la regola benedettina al punto estremo; sopprimono quanto in essa è esplicitamente contenuto negli alimenti, nel vestiario, nella liturgia ; ripristinano il lavoro manuale e la meditazione, ma l’eccessivo rigore penitenziale rischia di far morire l’ordine. Per sopravvivere aprono la comunità ai fratelli laici o conversi che seguono un regime di vita semimonastico e sono membri della comunità, ad eccezione di alcuni settori. S. Bernardo di Chiaravalle imprime una svolta e può essere considerato il secondo fondatore dell’ordine. I mezzi che i cistercensi adoperano per portare avanti la loro riforma sono : il capitolo generale annuale con poteri legislativi. la visita disciplinare da parte dell’abate a tutte le fondazioni. I principi vengono riassunti nella “Charta Caritatis”. L’ordine si diffonde rapidamente in occidente : nel 1153 ci sono già 343 abbazie, di cui 66 fondate da San Bernardo; nel 1300 le abbazie sono 694. Già nell’XI sec. i cistercensi costituiscono il primo ordine religioso definito e organizzato; passa la moda di Cluny. Ogni abbazia ha una propria autonomia ; è il capitolo generale il centro comune di autorità di un corpo intimamente unito e disciplinato. S. Norberto (1080-1134), amico di san Bernardo fonda a Laon i Premonstratensi, che hanno due anime : germanica, con vocazione apostolica e latina, con vocazione contemplativa. In Europa orientale si espandono più dei cistercensi. In Inghilterra S. Gilberto di Sempringham fonda nel sec. XI monasteri doppi con lo spirito cistercense. Tipici di quest’epoca sono due ordini cavallereschi che tendono a fondere l’aspetto militare con quello monastico : i Templari, fondati per proteggere i pellegrini che si recavano ai luoghi santi, gli Ospedalieri di S. Giovanni, per le cure dei viaggiatori in partenza o in ritorno dall’oriente In oriente questi ordini vivono in fortezze armate ; in occidente vivono in commende : centri di reclutamento, amministrazione, ospedali, ospizi. 31 Per ulteriori approfondimenti si rinvia alle rispettive voci del Dizionario degli Istituti di Perfezione. Per uno sguardo d’insieme si veda MARCEL PACAUT, Monaci e religiosi nel medioevo, Il Mulino, Bologna 1994.; CLIFFORD HUGH LAWRENCE, Il Monachesimo medievale. Forme di vita religiosa in Occidente, San Paolo, Milano 1993. 66 Storia della Chiesa 2 4. GLI ORDINI MENDICANTI32 INTRODUZIONE Gli ordini dei frati mendicanti che fecero la loro comparsa all'inizio del tredicesimo secolo costituirono un aspetto nuovo e rivoluzionario della vita religiosa. Agli occhi delle guide più perspicaci della Chiesa essi rappresentarono una risposta provvidenziale alla crisi spirituale che affliggeva la Cristianità occidentale. In estrema sintesi, la crisi consisteva nello scontro tra i presupposti tradizionali della vita cristiana e i bisogni religiosi di una cultura di tipo nuovo, urbana e secolare. Anche le eresie, che avevano messo radici in alcune regioni dell'Europa meridionale, erano in qualche modo una conseguenza di questa cultura. Sembrava che le forme istituzionali dell'organizzazione religiosa non fossero in grado di rispondere a tali nuovi bisogni. I CAMBIAMENTI ECONOMICI E SOCIALI Lo scontro era stato generato dai profondi cambiamenti economici e sociali che avevano trasformato l'Europa occidentale nel corso del dodicesimo secolo. A cominciare dall’undicesimo secolo, l'Occidente era entrato in una fase di straordinaria espansione economica e demografica che doveva continuare a ritmo crescente nei duecento anni successivi. Le sue caratteristiche più rilevanti furono la rapida crescita del commercio internazionale, la rinascita della vita cittadina negli antichi territori dell'Impero d'occidente, e un sostenuto aumento della popolazione. Nella vita delle città si verificarono i più grandi mutamenti. Intense attività commerciali e industrie in espansione ne aumentarono la ricchezza e richiamarono un numero sempre più grande di imprenditori e artigiani. Le città di antica formazione oltrepassarono i confini originari e la popolazione si riversò nei nuovi sobborghi. Stava emergendo un nuovo mondo, in cui il denaro, il capitale e il credito giocavano un ruolo sempre più importante. 1 bisogni e le aspirazioni di tale mondo trovarono espressione nei comuni - repubbliche cittadine dotate di autogoverno che non avevano altri signori oltre al re o all'imperatore - e nelle nascenti università, mentre la sua sensibilità religiosa venne riflessa nel naturalismo dell'arte gotica. La guida di questa società urbana era nelle mani della borghesia che ricavava le proprie sostanze dal profitto dei commerci. Le ricche famiglie dei mercanti che dominavano la vita politica dei comuni costituirono una nuova aristocrazia civica, che emulò, e talora sostituì completamente, l'antica nobiltà terriera nella protezione alla Chiesa, al sapere e alle arti. Esse formavano la fascia superiore di una società eterogenea che includeva professionisti quali notai e dottori, artigiani autonomi e negozianti, e un ampio proletariato di piccoli artigiani e salariati. Era una società più mobile e, agli alti livelli, più ricca che nel passato; una società più capace di recepire le novità del pensiero e pronta a sfidare le autorità costituite della Chiesa e dello Stato. È un dato acquisito che le popolazioni cittadine rappresentarono il vivaio più fertile del dissenso religioso e delle agitazioni anticlericali. La vita nella città, con la sua relativa libertà dai vincoli usuali, i suoi movimenti di popolazione, alimentarono una mentalità più critica e individualistica e fornirono maggiori opportunità per la diffusione di nuove idee. Il laicato colto che formava lo strato più elevato della nuova società urbana, insoddisfatto del ruolo passivo di proletariato spirituale assegnatogli dall'ecclesiologia tradizionale e consapevole delle manchevolezza in campo culturale e morale del clero secolare, divenne un naturale terreno di coltura sia per la critica ortodossa della Chiesa che per il dissenso radicale. denti radicali che esprimevano opinioni eretiche. Entro la metà del dodicesimo secolo, si dovette scontrare con le eresie dualistiche che si erano guadagnate il consenso di una parte significativa della popolazione di ampie regioni dell'Europa meridionale. Le opinioni ereticali viaggiavano con le carovane dei mercanti e dei predicatori autonomi lungo le arterie del commercio e trovavano il loro pubblico nelle locande e nei mercati. 32 Per uno sguardo complessivo cfr.: CLIFFORD HUGH LAWRENCE, I Mendicanti. I nuovi ordini religiosi nella società medievale, San Paolo, Milano 1998; DANIELE PENONE, I Domenicani nei secoli. Panorama storico dell’Ordine dei Frati Predicatori, Ed. Studio domenicano, Bologna 1998. 67 Storia della Chiesa 2 Nascono in una situazione di crisi della vita pastorale e spirituale : declino della pratica e della qualità, sorgere dell’eresia, nascita della borghesia. Come reazione a tale crisi si formano gruppi ferventi nelle città che praticano povertà, vita comune, ascolto della Parola di Dio. Alcuni cadono nell’eresia, altri trovano come sbocco la fondazione dei nuovi ordini religiosi. Gli ordini mendicanti rinunciarono al possesso dei beni comuni, vivendo di quanto riuscivano ad ottenere con il lavoro o ricevevano in elemosina (perciò mendicanti), al contrario di quelli monastici non osservavano la stabilitas loci. 4.1 Francesco e i minori Francesco di Assisi (1181-1226) crea l’immagine e la vocazione del frate, aprendo prospettive nuove nella storia della cristianità. Figlio di un ricco mercante di Assisi, dopo una giovinezza spensierata in cui aveva intrapreso la carriera militare, nel 1202 si converte ed inizia a predicare. Sensibile, intelligente, intuitivo, musicalmente dotato, aperto, generoso nel 1206 entra in conflitto col padre e si mette sotto la protezione del vescovo. Nel 1210 ottiene l’approvazione verbale del papa Innocenzo III e il permesso di predicare. Il movimento che crea si diffonde rapidissimamente. Nel 1217 vengono istituite delle provincie con dei “ministri” Mentre Francesco è in Palestina i responsabili dell’ordine convincono papa Onorio III a pubblicare una bolla che impone noviziato, professione, controllo della predicazione (1219). Si fonda a Bologna il primo studio teologico francescano, che Francesco fa chiudere. Francesco è costretto a promulgare al capitolo del 1221, cui partecipano 3000 frati la “Regula prima” o “non Bullata” ; ma solo la regola del 1223, “Bullata”, meno severa e radicale della prima, alla cui stesura partecipa il cardinale protettore dell’ordine Ugolino da Ostia, poi papa Gregorio IX, dà una strutturazione giuridica all’ordine. In questo momento l’ordine ha già tre correnti : a) i primi compagni, decisi a seguire il Vangelo “sine glossa”, b) i ministri che vogliono un governo forte ed efficiente dell’ordine, c) gli intellettuali, che vogliono partecipare anche alle attività intellettuali e pastorali. Nel 1224 Francesco riceve le stigmate, vive in eremo alla Verna, con alcuni compagni. Muore ad Assisi nel 1226 dopo aver redatto il testamento33. Viene canonizzato nel 1228 da Gregorio IX. 33 Testamento di San Francesco. Il Signore così donò a me, frate Francesco, la grazia di cominciare a far penitenza: quando ero ancora nei peccati, mi pareva troppo amaro vedere i lebbrosi, e il Signore stesso mi condusse tra loro e con essi usai misericordia: quando me ne allontanai, quello che prima mi pareva amaro, tosto mi si mutò in dolcezza d'animo e di corpo. Indi attesi poco, e uscii dal mondo. E il Signore mi dava, nelle chiese, tanta fede, che così semplicemente pregavo e dicevo: Ti adoriamo, Signore Gesù Cristo, qui ed in tutte le tue chiese, che sono nel mondo intero, e ti benediciamo, perché con la tua santa croce hai redento il mondo. Poi il Signore mi diede, come mi dà ancora, tanta fiducia nei sacerdoti, i quali vivono secondo l'uso della santa Chies a romana, a cagione del loro ordine, che, se venissi perseguitato, voglio ricorrere a loro. E se avessi tanta sapienza quanta ne ebbe Salomone, e trovassi sacerdoti poverelli di questo mondo, nelle parrocchie in cui essi dimorano non voglio predicare contro loro volontà. E questi e gli altri tutti voglio temere, amare ed onorare come miei padroni, e non voglio in essi considerare il peccato, perché in loro vedo il Figlio di Dio, e sono miei padroni. Faccio così, perchè niente vedo con gli occhi del corpo, in questo mondo, dell'altissimo Figlio di Dio se non il santissimo corpo e sangue suo, che essi ricevono ed essi soli amministrano agli altri. E questi altissimi misteri voglio siano soprattutto onorati e venerati e collocati in luoghi preziosi. Ogni qualvolta poi troverò in luoghi indecenti i Nomi santissimi e le sue parole scritte, voglio raccoglierli e prego anche gli altri di raccoglierli e riporli in luoghi convenienti. Così pure dobbiamo onorare e venerare tutti i teologi e coloro che dispensano la divina parola, come coloro che ci danno spirito e vita. E poi che il Signore mi affidò i frati, nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare; ma l'altissimo stesso mi rivelò che dovevo vivere a norma del santo Vangelo. Ed io feci ciò scrivere con poche e semplici parole, ed il signor Papa me le confermò. E quelli, i quali venivano per abbracciare questo stato di vita, davano ai poveri tutti i loro averi, e se ne stavano contenti di una sola tonaca rattoppata dentro e fuori, quelli che volevano, con cingolo e mutande. E non volevamo avere altro. Noi chierici dicevamo l'ufficio come gli altri chierici, i laici dicevano il Pater noster; e ci fermavamo assai volentieri nelle chiese. Ed eravamo ignoranti e sudditi a tutti. Ed io con le mie mani lavoravo, come voglio lavorare; e voglio che lavorino tutti gli altri frati, di onesto lavoro. Quelli che non sanno, imparino, non per avidità di ricevere il prezzo della loro fatica, ma per dare buon esempio e tenere lontano l'ozio. Quando poi non ci venisse data la mercede del lavoro, ricorriamo alla mensa del Signore chiedendo l'elemosina di porta in porta. Il Signore mi rivelò che dovessimo dire il seguente saluto: Il Signore ti dia pace. Si guardino i frati dall'accettare le chiese, le povere abitazioni e tutte le altre costruzioni fabbricate per loro, se non siano quali convengono alla santa povertà, da noi promessa nella Regola; e vi abitino sempre come stranieri e pellegrini. 68 Storia della Chiesa 2 69 Nel 1212 era frattanto nato il secondo ordine con Santa Chiara ; successivamente nasce anche il terz’ordine. Importante figura di mediazione agli inizi è quella di s. Antonio di Padova. 4.2 Domenico Domenico di Guzman (1170-1221) canonico regolare di Osma, accompagna il proprio vescovo in un viaggio missionario in Danimarca e trova la propria vocazione nella crociata contro gli albigesi. Nel 1205-1207 riunisce alcuni compagni e fonda un convento di monache. Nel 1215 è a Roma per ottenere l’approvazione del suo progetto da papa Innocenzo III : Sceglie come base della sua regola quella agostiniana. L’ordine diventa di chierici provvisti di una istruzione teologica per la predicazione della dottrina cattolica ovunque se ne presenti la necessità. Nei conventi domenicani vige un regime quasi monastico, Vi è grande attenzione alla formazione : ogni casa ha il suo dottore, ogni provincia il suo centro di studi (anche Treviso). I centri di alti studi sono Parigi, Oxford, Colonia, Montpellier, Bologna) Il governo dell’ordine è affidato ai capitoli conventuali, provinciali, generali con a capo un maestro generale. Un importante centro pastorale domenicano è a Tolosa. Entrambi gli ordini, francescano e domenicano, si diffondono rapidamente nelle città universitarie. Emergono due grandi personaggi: Bonaventura da Bagnoregio ofm e Tommaso d’Aquino op. Struttura convento ofm padre guardiano provincia ofm ministro provinciale op priore op maestro pro- vinciale governo centrale ofm ministro generale capitolo gen. triennale op maestro generale capitolo generale annuale 4.3 Le controversie Il sec. XIII è l’epoca dei frati, nuova forma di vita religiosa con successo immenso e duraturo : conferiscono al popolo cristiano progresso spirituale e unità sociale. I francescani riportano ad una spiritualità che ha per centro la vita terrena di Gesù, al contempo approfondiscono l’espressione teologica del messaggio cristiano; sono però attraversati da controversie. Comando fermamente per obbedienza a tutti i frati che, dovunque si trovino, non osino chiedere alcuna lettera alla curia di Roma, né da sé né per interposta persona, né per una chiesa, né per altro luogo né col pretesto della predicazione, né per essere difesi dalla persecuzione; ma dovunque non saranno accolti, fuggano in altra terra a far penitenza con la benedizione di Dio. E fermamente voglio ubbidire al ministro generale di questa fraternità ed al guardiano che gli piacerà darmi. E voglio essere così schiavo nelle sue mani, da non poter andare né operare al di là dell'obbedienza e del suo volere, perché è mio padrone. E sebbene io sia semplice ed infermo, voglio tuttavia aver sempre un chierico, il quale mi reciti l'ufficio, come è stabilito dalla Regola. Similmente tutti gli altri frati siano per obbedienza secondo la regola. E se vi fossero di quelli che non dicessero l'ufficio secondo la regola, e volessero in qualche modo variarlo, o non fossero cattolici, tutti i frati, dovunque sono, per obbedienza sian tenuti, trovando un di questi, a presentarlo al custode più vicino di quel luogo nel quale lo avran trovato. Il custode si consideri strettamente obbligato dall’obbedienza a custodirlo severamente come un prigioniero di giorno e di notte, così che non possa fuggirgli di mano, finché egli in persona non lo presenti al suo ministro. E il ministro sia fermamente tenuto per obbedienza di farlo scortare per mezzo di frati, i quali lo custodiscano giorno e notte come un prigioniero, finché lo conducano alla presenza del Signore d'Ostia, il quale è padrone, protettore e correttore di tutta la fraternità. E non dicano i frati: Questa è un'altra Regola; perché la presente è un ricordo, un ammonimento, una esortazione e il testamento che io, piccolo frate Francesco, faccio a voi, fratelli miei benedetti, per poter meglio, in conformità con la dottrina cattolica, osservare la Regola che abbiam promesso davanti al Signore. E il ministro generale e tutti gli altri ministri e custodi per obbedienza siano tenuti a non aggiungere e a non togliere nulla a queste parole. Anzi abbiano sempre con sé questo scritto insieme con la Regola; ed in tutti i capitoli che terranno, quando leggono la Regola, leggano anche queste parole. A tutti i miei frati, poi, chierici e laici, comando fermamente per obbedienza di non fare chiose nella Regola e in queste parole, con dire: Vanno intese così; ma, come a me il Signore ha dato di dettare e scrivere puramente e semplicemente la Regola e queste parole, così raccomando che le intendiate con semplicità e purità e che santamente le osserviate sino alla fine. E chiunque osserverà tutto ciò, sia in cielo ripieno della benedizione dell'altissimo Padre, ed in terra di quella del diletto Figlio suo col santissimo Spirito Paraclito e tutte le virtù celesti e tutti i santi. Ed io frate Francesco, piccolo tra voi e servo, per quanto posso, vi confermo dentro e fuori questa santissima benedizione. Amen. Storia della Chiesa 2 San Francesco non voleva fondare un’ordine strutturato, predicò una povertà assoluta, una semplicità materiale e intellettuale totale, la sottomissione al papa e alla gerarchia e l’applicazione del vangelo sine glossa. Nella prima fase, sotto l’influenza dei chierici colti che si erano fatti frati, i minori si trasformano in ordine rigidamente organizzato. I papi canonisti contribuiscono al processo di normalizzazione : Gregorio IX nel 1230 stabilisce che il testamento di Francesco non ha valore di regola : i frati possono ricevere elemosine tramite un agente e trattenerle presso “amici”. Dopo la caduta di frate Elia da ministro generale l’ordine assume una organizzazione internazionale. Nel 1242 solo gli ecclesiastici sono eleggibili alle cariche poi l’elemento laico scompare completamente per poi venire reintrodotto in forma convenzionale. Innocenzo IV stabilisce che le proprietà dell’ordine appartengono alla Santa Sede, esenti dal controllo episcopale, amministrate da procuratori. Si creano forti tensioni tra gli zelanti e i conventuali. Bonaventura cerca di salvare l’unità proponendo una via media tra lassismo e rigorismo. Alla morte di Bonaventura le divisioni si riaccendono : prende forza il partito degli “spirituali” con Umbertino da Casale, Angelo Clareno e Pietro Olivi. I punti del loro programma sono ; a) rifiuto di ogni studio della filosofia, b) totale povertà personale, c) obbligo di osservare la Regola e il testamento di Francesco ; sono illecite le dispense pontificie. Vengono perseguitati. Celestino V li elimina dall’ordine. Bonifacio VIII li reintegra. Si succedono persecuzioni, amnistie e tentativi di mediazione. Nel 1318 gli spirituali irriducibili sono condannati. Umbertino lascia l’ordine. Angelo e i suoi seguaci scelgono lo scisma e assumono il nome di fraticelli. Perseguitati, inquisiti e scomunicati, perdurano per un secolo. 4.4 Gli altri ordini mendicanti gli eremitani (agostiniani). Essi si evolsero da un amalgama di gruppi di eremiti che vivevano in Toscana, Lombardia e nella Marca di Ancona. Nel 1244 Innocenzo IV, acconsentì ad una richiesta degli eremiti della Toscana di avere un'organizzazione collettiva ed una regola riconosciuta. Questa unione degli eremiti della Toscana, fu il primo stadio della nascita degli agostiniani. Una serie di privilegi papali li faceva esenti dalla giurisdizione diocesana e li autorizzava a predicare e a sentire le confessioni. Entro pochi anni dall'ordinanza di Riccardo esistevano già insediamenti missionari a nord delle Alpi. Nell'Italia settentrionale il più cospicuo gruppo di eremiti era costituito da una congregazione di penitenti fondata da san Giovanni Bono (1168-1249), un laico di Mantova. Papa Alessandro IV nell'anno 1256, con la bolla Licet ecclesiae catholicae ordinò un atto di unione, raggruppando in un unico ordine mendicante di tutte le varie branche di eremiti. costituendo formalmente l'ordine dei frati eremiti di sant’Agostino, conosciuti comunemente come frati agostiniani. Gradualmente la loro costituzione si modellò su quella dei domenicani. Così gli agostinianí, come i carmelitani, lasciarono gli eremitaggi per dirigersi nelle città, e seguirono i frati minori e i frati predicatori nel mondo scolastico delle università. a) Negli ultimi quarant'anni del tredicesimo secolo gli agostiniani avviarono fondazioni nelle periferie di città della Spagna, Francia, Germania, e Inghilterra, e stabilirono case di studio nelle università dell'Europa del nord; ma il loro centro di gravità rimase l'Italia, da cui erano partiti. i serviti. I serviti nacquero a Firenze come una delle tante comunità di laici penitenti. Nell'anno 1246 sette membri della fraternità - tutti provenienti dall'aristocrazia civica - decisero di ritirarsi in un eremitaggio collettivo sul Monte Senario, che si trovava tra le colline del Mugello a nord della città. Qui si riunirono in una comunità cenobitica regolare professando la Regola di Sant’Agostino. Più tardi si avvicinarono alla città. Dal punto di vista organizzativo i serviti imitarono l’assetto costituzionale dei domenicani e, come gli altri ordini mendicanti si impegnarono in un regime di povertà comunitaria, rifiutando di possedere qualsiasi tipo di proprietà, sia direttamente che attraverso intermediari'. 1 serviti iniziarono come società di reclusi: le prime costituzioni di Buonagiunta, il primo priore generale, delineano un'osservanza puramente monastica. Ma, dopo l'anno 1250, l'esempio degli altri frati, la spinta inter- 70 Storia della Chiesa 2 na proveniente dai novizi e le richieste dei benefattori, li spinsero ad uscire dalla solitudine claustrale e ad impegnarsi in un attivo apostolato urbano. La conferma della Regola servita da parte di papa Alessandro IV nel 1255 autorizzò i fratelli ad ascoltare le confessioni e ad accettare la sepoltura di laici nelle loro chiese, ed essi aprirono anche gli oratori al pubblico. Tuttavia la loro totale dipendenza dalla mendicanza fu breve. Nell'arco di pochi anni i serviti abbandonarono il tentativo di vivere di elemosine e cominciarono ad accettare donazioni in terreni, - una trasformazione che permise loro di sopravvivere quando la scure conciliare del 1274 soppresse numerosi piccoli ordini di frati'. Per tutto il Medioevo i serviti mantennero piccole dimensiona, raggiunsero la loro più grande espansione nelle città dell'Italia centrale: nell ‘anno 1300 l'ordine aveva ventotto case, di cui ventidue in Italia e quattro in Germania. i carmelitani. Nascono in Oriente sul monte Carmelo durante la seconda o terza crociata per opera del crociato Bertoldo di Calabria (†1195). Nel 1185 egli insieme a dieci compagni, fissa il suo eremo sul monte Carmelo. Il patriarca di Gerusalemme, Alberto, dà a loro una regola a carattere rigorosamente contemplativo (1207-09). Nel 1238, cacciati dai Turchi, giungono in Europa, dove si organizzano come cenobiti. Il primo generale occidentale è Simone Stock (1247-1265). Si diffondono rapidamente. Nel 1247 papa Innocenzo IV li assimila ai mendicanti. I più antichi statuti rimasti quelli promulgati da un capitolo generale tenutosi a Londra nel 1281 10 - mostrano un ordine che sta modellando la sua struttura su quella dei frati predicatori, che tiene capitoli provinciali annuali e che imita l'organizzazione scolastica dei domenicani. Per conseguenza logica i carmelitani si trasformarono in un ordine di studenti come i domenicani e i francescani. Un riorientamento così radicale finì per incontrare resistenze interne da parte dei membri più conservatori dell'ordine. Alcuni uomini più vecchi, che avevano rinunciato a tutto per abbracciare la vita eremitica in Palestina, sentirono che gli ideali del Monte Carmelo erano stati traditi. L’ordine femminile delle carmelitane nasce nel 1452. Vi è anche il terz’ordine con particolari segni di appartenenza : lo scapolare e il privilegio sabatino (si assicurava il primo sabato dopo la morte la liberazione dal purgatorio di tutti i fedeli iscritti all’ordine carmelitano e devoti alla Madonna). 4.5 Considerazioni finali a) i mendicanti, a differenza dei monaci, vivono nelle città e si inseriscono nel loro tessuto, hanno un ministero pastorale, affiancandosi al clero secolare, b) attirano il mondo femminile ; nascono i secondi ordini (clarisse, domenicane, carmelitane), che hanno una tendenza più monastica e contemplativa, c) con i terzi ordini si sviluppano le correnti della pietà laicale (spiritualità, pratiche devozionali); essi ottengono subito la simpatia del popolo, d) costituiscono una spinta missionaria (Terra Santa, mondo islamico, oriente, Cina), e) rinnovano la vita culturale e teologica con la costituzione degli studi e la presenza nelle università. 5. LA VITA SPIRITUALE Dal sec. VI in occidente la vita monastica è considerata l’unica forma possibile di vita cristiana fervente. Notevole è il numero di quanti si fanno monaci. In genere si entra nella vita monastica a seguito di conversione. All’inizio la vita monastica rappresenta una fuga di fronte alle forze del male che dominano il mondo. Il suo fine è imparare l’obbedienza e ritornare a Dio. Quindi si nota un’evoluzione : i monasteri si inseriscono nella vita sociale di una regione. I monaci diventano una classe sociale : sono gli intercessori professionisti. Il servizio liturgico assorbe gradualmente e sostituisce la santificazio- 71 Storia della Chiesa 2 ne personale come ragion d’essere del monaco. Si diffonde la lectio delle scritture e lo studio dei Padri. Si moltiplicano le forme di devozione private e pubbliche rivolte alla Vergine, ai santi, agli angeli. Si diffondono le reliquie e l’abitudine di avere santi patroni. Si sviluppa la devozione alla Vergine, proveniente dall’oriente, che ha come culmine le feste dell’Assunzione e della Purificazione e nel “piccolo ufficio della Santa Vergine” recitato quotidianamente. Così pure si diffondono la devozione per la Santa Croce e la moltiplicazione delle reliquie. L’usanza di pregare per i defunti si cristallizza nella recita dell’ufficio quotidiano per i defunti. L meditazione e la devozione prendono il posto della lectio. Nel sec. XI in Italia si opera un cambiamento ad opera di Romualdo, Pier Damiani, dei vallombrosiani, dei certosini, attraverso una vita di silenzio, di solitudine, di austerità, di ritiro. Si diffonde tra i monaci contemporaneamente la devozione alla S. Messa, con l’abitudine di partecipare o di celebrare tre messe al giorno (una privata, una capitolare, una alla S. Vergine) ed insieme l’abitudine di ordinare preti i monaci. I cistercensi sono fautori di un ritorno all’austerità delle origini. La liturgia delle ore si amplia lasciando più spazio alla lettura. Questo clima determina un rinnovamento della preghiera mistica con le figure di s. Bernardo, Guglielmo di St. Thierry, Aelredo di Rievaulx, pur con tonalità differenti. Bernardo comunica ai suoi monaci la propria esperienza spirituale. Guglielmo parla della contemplazione in termini vicini a quelli dei padri del deserto, e distingue la conoscenza e l’amore mistici dalla contemplazione degli scolastici. Aelredo, pur non raffrontabile per originalità agli altri due, è noto per il trattato sull’amicizia spirituale. Ricordiamo anche la scuola di Ugo e Riccardo da s. Vittore, di una spiritualità più fredda. I sec. XII e XIII vedono la fioritura delle mistiche di scuola benedettina in area tedesca : Ildegarda di Bingen († 1174), Elisabetta di Schönau, Matilde di Efta (1207-1297), Matilde di Hackeborn (1241-1299), Gertrude la Grande (1255-1302), Gertrude di Hackeborn. La mistica di Bernardo ha un’intonazione prevalentemente pratica ed etica, si fonda sulla volontà e sull’affetto, ha per centro l’imitazione di Cristo nella sua passione, ed esalta il rapporto nuziale dell’anima con Cristo. Scrive il “De Consideratione”, il “De Diligendo Deo”, e 86 omelie sul Cantico dei Cantici. Guglielmo scrive “De contemplando Deo” e “Commento al Cantico dei Cantici”, “Lettera d’oro”. La scuola dei due fratelli Ugo e Riccardo da s. Vittore si occupa della mistica speculativa (teoria della contemplazione) che recupera lo Pseudo-Dionigi. Tommaso Gallo di S. Vittore, poi abate a Vercelli cerca di far da ponte tra la mistica dei vittorini e quella francescana.. La spiritualità francescana ha una tonalità cristocentrica e assume e fa propri aspetti della spiritualità medievale : esaltazione della povertà materiale, devozione per la passione e la morte di Cristo (s. Francesco è il primo a portare le stigmate). La teologia francescana, con Bonaventura sostiene il primato dell’amore di Dio. La teologia è guida di vita : itinerarium mentis ad Deum. I domenicani hanno una concezione teologica della vita spirituale : illuminare le menti. Per la teologia spirituale l’ispiratore è Dionigi l’Areopagita, mediato da s. Tommaso. Particolarmente significativa è la scuola renana. Alberto Magno († 1280) ispira Maestro Eckart († 1327), la cui teologia mistica è impregnata di neoplatonismo derivante da Dionigi. A questa scuola appartengono Taulero († 1361) ed Enrico da Susa († 1366), direttori spirituali di conventi domenicani. Si insiste su elementi aeropagiti : oscurità e carattere soprannaturale della contemplazione. La vita mistica è intensificazione, prolungamento della grazia santificante del battesimo, fa parte della vita teologicamente perfetta , può essere acquisita con lo sforzo. Questa scuola provocò una fioritura di santi mistiche e mistiche. Nella scuola renana ci sono due modi di esprimere l’unione mistica e i suoi gradi : a) la mistica dell’essenza = unione dell’anima con il suo modello (Parola di Dio) ; l’anima nullificandosi sempre più viene assorbita dalla divinità, pur mantenendo la sua particolarità ; b) la mistica nuziale che si fonda sul Cantico dei Cantici, proviene da s. Bernardo. In relazione ai mistici renani fioriscono i begardi e le beghine, laici appartenenti alla borghesia che vivevano a singoli o a gruppi, indipendenti dagli ordini religiosi, di spiritualità profonda. Prolungatore della scuola renana nelle Fiandre è Giovanni di Ruysbroeck, priore di una comunità agostiniana, parla dell’unione con Dio alla luce della sua esperienza ; dà inizio alla devotio moderna, spiritualità ascetica, che va in senso inverso rispetto al precedente. 72 Storia della Chiesa 2 In Inghilterra ricordiamo l’ignoto autore della Nube della non conoscenza, si rifa a Dionigi l’Areopagita e ai Renani. In Italia, in questo periodo ricordiamo Caterina da Siena e al Beata Angela da Foligno. 6. IL CULTO PUBBLICO E LA PIETÀ 6.1 La messa La vita liturgica in questo periodo ha il suo sviluppo pieno solo nelle cattedrali, nelle basiliche e nei monasteri. Si assiste ad una progressiva monasticizzazione della liturgia e della pietà. Nel rituale romano si struttura sempre più un tipo di messa solenne che diviene progressivamente la regola corrente. Dal sec. V al VII i sacramentari leoniano, gelasiano e gregoriano registrano lo sviluppo del rito e l’arricchirsi dell’eucologia. Il lezionario assume una forma stabile e definitiva verso il 750. A Roma il Kyrie eleison, la fractio panis e l’Agnus Dei vengono inseriti nella messa da Sergio I, papa (687-701) secondo gli usi orientali. Nel sec. VIII l’uso di ostie rotonde, bianche, non lievitate, ricevute in bocca, sostituisce nella comunione i pani e il vino portati all’offertorio. A Roma la liturgia nelle basiliche è cantata dal coro, spesso formato da monaci. Nel 751 Pipino adotta per il regno franco la liturgia romana. Verso il 1000, proveniente dall’impero germanico a Roma giunge il messale. Nel rito della messa sono state introdotte molte preghiere complementari e supplementari ; si moltiplicano ince vnsazioni, segni di croce, baci all’altare, genuflessioni (quasi tutti soppressi con la riforma liturgica del Vat. II). L’elevazione dell’ostia è della fine del sec. XII. Sino alla fine del sec. XI per celebrare l’eucaristia occorrono tre libri liturgici : sacramentario, lezionario, antifonario, sostituiti poi dal messale, nato per il diffondersi delle messe private. 6.2 Il calendario liturgico All’inizio è molto semplice. Come feste speciali ci sono il Natale, più l’Epifania, derivata dall’oriente, Pasqua e Pentecoste. Papa Sergio I, dall’oriente importa molte feste mariane : Natività, 8 settembre, 1° gennaio, Purificazione, 2 febbraio, Annunciazione, 25 marzo, Assunzione, 15 agosto. A metà del sec. VIII a Roma vengono introdotte le feste dei martiri. L’ufficio divino, di derivazione monastica, ha il suo secolo d’oro a Roma nel VII, in cui compare il Temporale, di grande pregio nell’arte letteraria-liturgica. Quando compaiono gli uffizi dei santi per un certo tempo essi si sovrappongono a quello feriale, quindi lo sostituiscono definitivamente nel sec. XIII. Caratteristica dell’ufficio romano è quella di essere stato per molti secoli senza inni ; il primo innografo occidentale è Ambrogio. 6.3 La comunione a) Per i monaci nel sec. VI la Regula Magistri prevede l’eucaristia settimanale e la comunione quotidiana ; la Regola di S. Benedetto parla della comunione frequente. La Regularis Concordia anglosassone del 970 rende obbligatoria la comunione giornaliera. La regola dei cistercensi nel XII sec. esorta i monaci a comunicarsi ogni settimana. b) Nel sec. XI i preti dei monasteri celebrano più volte al giorno messe private. I preti delle parrocchie celebrano nelle domeniche e nelle feste. c) I laici a Roma nel sec. VIII ricevono quotidianamente la comunione. Il concilio di Tours dell’813 la raccomanda tre volte all’anno ; quello di Aquisgrana dell’836 raccomanda la comunione domenicale. Nei sec. XI-XIII la prassi è di comunicarsi quattro volte all’anno. Alcuni santi raccomandano la comunione quotidiana. Per Tommaso l’eucaristia è pane quotidiano : è bene comunicarsi ogni giorno ma non due volte al giorno. d) Nel sec. XIII si sviluppa la devozione al SS. Sacramento ; l’attenzione è più alla presenza reale che alla comunione. 6.4 La penitenza 73 Storia della Chiesa 2 Nei sec. VII-XI si passa dalla penitenza pubblica e solenne per i peccati più gravi, una sola volta nella vita, alla penitenza privata e frequente per i peccati anche minori, che nasce in ambiente monastico, prima orientale e poi irlandese, frutto di una spiritualità ascetica ( la confessione delle colpe all’abate. Nei monasteri era fissato un tariffario che faceva corrispondere ad una colpa una pena. I monaci cominciano ad essere guide spirituali dei laici. La penitenza tariffata si diffonde nei paesi anglosassoni. Per un certo tempo coesiste una penitenza pubblica per i peccati pubblici ed una penitenza privata per i peccati privati. A partire dal sec. XI prevale la penitenza privata con la confessione davanti al sacerdote. Nel sec. X si comincia a pretendere dai fedeli la confessione quaresimale in vista della comunione pasquale. Collegata alla penitenza tariffata si diffonde la pratica delle indulgenze ; l’autorità ecclesiastica può attingere al tesoro della Chiesa (i meriti di Cristo, della Vergine e dei santi) per rimettere le pene in cui sono incorsi i peccatori, anche quando al colpa è stata perdonata in seguito alla confessione ; le pene sono permutate in atti “religiosi” soddisfatori (ss. Messe, elemosine, preghiere, pellegrinaggi). Poi vi è un progressivo slittamento da commutazione a remissione della pena. Papa Urbano II per la prima crociata (1095) offre ai crociati la totale remissione delle pene temporali in favore della lotta per la fede. 74 Storia della Chiesa 2 7. LA RELIGIOSITÀ DEI LAICI Con la riforma gregoriana si accentua la separazione tra clero e laici : dando così origine a due classi all’interno della Chiesa. In breve i termini “Chiesa” e “uomo di Chiesa” si applicano solo al clero. Nel sec. XIII si distinguono nella chiesa ormai tre categorie : clero, religiosi (monaci, canonici e frati) e laici. Tra i laici già molto tempo prima si erano diffusi movimenti di pietà, che si rifanno alla vita apostolica (predicazione, vita comune e povertà) contro la ricchezza del clero. Alla fine del sec. XII nascono compagnie e sette tra gli artigiani della borghesia cittadina in Lombardia e Francia del sud, sia ortodossi che eretici, che esaltano la povertà materiale. Queste istanze troveranno in Francesco la loro piena realizzazione. Attraverso e a lato del movimento delle crociate si diffonde sempre più una spiritualità di tipo penitenziale. Il concilio Lateranense IV è il primo ad occuparsi dei laici : aumenta la pratica sacramentale. Nel sec. XIII prende forma la struttura della vita religiosa parrocchiale, con messa parrocchiale, salmi al mattino e alla sera, confessioni regolari, predicazione tenuta dai frati. Prendono vita la via crucis, il presepe, il rosario, la devozione dei dolori di Maria. Dal sec. XII trova sempre maggior posto la devozione alla natura umana di Cristo. Si diffonde la devozione all’ostia consacrata, conservata nella pisside, sopra l’altar maggiore in vista dei fedeli. Si comincia ad elevare l’ostia dopo la consacrazione, e in breve, questo viene considerato il momento più importante della messa. Così sorge la devozione al “sepolcro” il giovedì santo. Sorta a Cluny, entra nel calendario liturgico la commemorazione dei defunti il 2 novembre. Nel sec. XII la pietà individuale consiste nella recita di un certo numero di salmi, Pater e Ave. La comunione dei laici diventa meno frequente. Artefici delle nuove forme di devozione sono i nuovi ordini di frati, che vivono nelle città, hanno in genere un terz’ordine per i laici, fornendo loro un cammino ed una assistenza spirituale. Con il sec. XII si apre una nuova stagione di vita pastorale. Sono solo i sacerdoti degli ordini religiosi ad aver ricevuto una formazione adeguata. Il centro della vita spirituale si sposta dai monasteri e dalle abbazie ai conventi dei frati (francescani, domenicani, carmelitani, eremitani, serviti) in città e alle parrocchie. Si assiste anche ad una diffusa ostilità dei laici nei confronti del clero, ma anche ad esempi di santità laicale. Trova nuovo impulso e diffusione la pratica dei pellegrinaggi ai luoghi santi della Palestina, già esistente, e alle tombe degli apostoli a Roma. Il pellegrinaggio diventa una prassi penitenziale universalmente diffusa. Tra le altre motivazioni c’è la sensazione che alcuni luoghi facilitino la comunione con Cristo, la Vergine e i santi, e la speranza di ottenere una guarigione fisica. Tra le mete di pellegrinaggio ricordiamo Santiago di Compostella, Colonia, per il sepolcro dei Magi, Canterbury, luogo del martirio di s. Tommaso Becket. L’Europa si riempie di santuari dove si coltivano particolari devozioni. Il pellegrinaggio coinvolge tutti gli strati sociali, dal re a quelli più umili. Si sviluppa un commercio legato ai pellegrinaggi : una rete di ostelli, alberghi, punteggia gli itinerari. I pellegrinaggi costituirono i migliori mezzi di diffusione delle pratiche liturgiche e devozionali, nonché degli stili dell’arte sacra. 75 Storia della Chiesa 2 LE CHIESE NAZIONALI TRA X E XIII SECOLO 1. LA CHIESA D’INGHILTERRA Tra gli Scandinavi che erano giunti nelle Isole Britanniche e nell’Europa continentale, il gruppo più dinamico era quello dei Normanni, che si erano stanziati nell’attuale Normandia e di lì si erano impadroniti delle Isole Britanniche, della Sicilia e del Sud-Italia, della Grecia, di Cipro e della Palestina, governando e amministrando questi territori efficientemente. Divenendo ben presto cristiani in Normandia collaborarono al rinnovamento e alla riforma della chiesa. Il loro capo, Guglielmo il Conquistatore, preparandosi ad invadere l’Inghilterra, ottenne la benedizione di papa Alessandro II (1061-1073). Dopo la conquista Guglielmo procedette alla riforma della Chiesa (costruzione di chiese e monasteri. La chiesa si rinnova sotto il sovrano, ma senza l’intervento del papa, tramite i sinodi e il diritto canonico con Lanfranco, arcivescovo di Canterbury. In seguito monarca e chiesa entrano in conflitto, che giunge al culmine con re Enrico II e il suo amico, ex cancelliere e poi arcivescovo di Canterbury, Thomas Becket (1108-1170). I monarchi vogliono emancipare la chiesa inglese dal movimento gregoriano di centralizzazione, avocando a sé l’amministrazione ecclesiastica : nomine dei vescovi, controllo sulle scomuniche, abolizione del foro ecclesiastico per i preti colpevoli. Becket resiste alle pretese del re, rifiuta di firmare nel 1164 le Costituzioni di Clarendon, fugge in Francia per sei anni ; dopo un apparente accordo ritorna in patria, ma un mese dopo è assassinato nella sua cattedrale. E’ canonizzato nel 1173. Durante il regno di Giovanni Senza Terra (1199-1216), che nomina i vescovi senza la procedura canonica, il papa Innocenzo III nomina nel 1207 un arcivescovo di Canterbury non accettato dal re. Colpisce quindi l’Inghilterra con un interdetto34 per cinque anni, deponendo il re a favore di Luigi, figlio del re di Francia. Si giunge poi ad un accordo. Ulteriore tensione scoppia nel 1215 quando l’arcivescovo di Canterbury e i baroni sottoscrivono la Magna Charta Libertatum. Alessandro III sostiene il re Giovanni, sospende l’arcivescovo di Canterbury, scomunica i baroni. Anarchia e caos terminano con la morte di Giovanni e di Alessandro. 2. LA CHIESA DI FRANCIA (900-1150) Il sovrano vede diminuire progressivamente il proprio potere a favore dei signori locali. Si rafforza l’autorità dei vescovi, che addirittura giungono a predicare la tregua di Dio (= la sospensione della guerra in alcuni periodi dell’anno, che scoppiavano tra i signori feudali). Dal 1030 il re riafferma la propria autorità, i baroni fondano monasteri e comunità di canonici e donano a loro le loro chiese private o proprie. Il re restaura l’usanza carolingia della regalia (appropriazione dei beni ecclesiastici durante la vacanza della sede) e i diritti feudali per concedere l’investitura dei redditi di un vescovado o di un’abbazia. Con la riforma gregoriana l’influenza del papato diventa decisiva attraverso i legati permanenti, dotati di poteri amplissimi. I papi si recano spesso in Francia, la cui chiesa è il principale sostegno papale. D’altro canto la Chiesa svolge un ruolo politico importante per l’unificazione della nazione ( dal 1130 al 1151 è l’abate Sugero di St. Denis a controllare il governo). 34 Pena canonica che priva i fedeli dei sacramenti e li rende incapaci all’uso di determinati diritti spirituali, senza tuttavia escluderli dalla comunione con la Chiesa. Può colpire non solo le persone fisiche ma anche le collettività. L’interdetto locale può colpire o un singolo luogo o un’intera circoscrizione territoriale. La sua applicazione prevede numerose eccezioni che lo mitigano. 76 Storia della Chiesa 2 3. LA GERMANIA E IL PAPATO (1125-1190) Gli imperatori cercano di ristabilire la loro sovranità sull’Italia e di controllare il papato, contrastati dai papi, a volte deboli per le divisioni interne, di cui erano sempre pronti a profittare gli imperatori. L’imperatore Lotario di Sassonia (1125-1137) accetta la riforma gregoriana così pure il suo successore Corrado di Hohenstaufen (1137-1152). La mancanza di unità politica rende i vescovi meno uniti fra di loro. Federico I Barbarossa (1152-1190) cerca di ricostituire un grande impero ; governa come monarca assoluto, nomina e destituisce i vescovi, non rispetta il concordato di Worms, proibisce l’appello a Roma. A Roma, nel frattempo, alla morte di Onorio II, papa, vengono eletti da due collegi cardinalizi due papi : Innocenzo II e Anacleto II. Per influenza di san Bernardo un po’ alla volta tutta la cristianità riconosce Innocenzo II. Alla morte di Anacleto (1137) lo scisma termina. Eugenio III, cistercense (1145-1153), il più santo e devoto dei papi del secolo, nel 1147 bandisce la 2^ crociata. A lui Bernardo indirizza il De Consideratione, manuale per un perfetto pontefice. Alla morte di papa Adriano IV (1159) vi è nuovamente una duplice elezione : il cancelliere papale Rolando Bandinelli di Bologna diventa papa Alessandro III e Ottaviano di Tivoli Vittore IV. Alessandro III scomunica l’imperatore e l’antipapa. Alla morte di Vittore IV, nel 1164 viene eletto il cancelliere imperiale Rinaldo di Dassel, col nome di Pasquale III (1164-1168), che canonizza Carlomagno. Quindi alla morte di questi dal 1168 al 78 Callisto III. La lotta tra papa e imperatore (Federico Barbarossa) continua fino alla sua sconfitta a Legnano nel 1176 ad opera della Lega Lombarda. La Lombardia esce dalla sfera d’influenza imperiale. Alessandro III, discepolo di Abelardo e Graziano, è uno dei più importanti papi del sec. XII, esperto in teologia e diritto canonico, primo di una serie di papi grandi giuristi, con la sua serie di 700 lettere decretali fissa la disciplina della Chiesa e della vita cristiana ; * si sviluppa e si precisa la scienza del diritto canonico, * aumenta il numero degli appelli a Roma, * si attribuisce al papa il diritto e si fissa la procedura per la canonizzazione dei santi, * si elabora la forma che istituisce la dispensa. Al tempo di Alessandro III e Federico I l’impero non può più pretendere di rappresentare la cristianità occidentale. 4. LA CHIESA IN SPAGNA Il proselitismo e la propaganda sono considerati come delitto dagli islamici. La Chiesa mozabica gode di libertà di culto e di vita sociale. Si costituiscono progressivamente piccoli regni che raggiungono il centro della Spagna (Leon, Castiglia e Navarra). Dal sec. IX Sant Jago de Compostella è meta di pellegrinaggi. Da Nord i cristiani effettuano continuamente azioni di disturbo ai confini coi territori islamici. Ma tanto i cristiani quanto gli islamici sono divisi da lotte intestine. Presso entrambi i sec. X e XI conoscono una grande fioritura artistica. Nel sec. XI ad est si costituisce il Regno di Aragona. Vengono fondati numerosi monasteri lungo le vie di pellegrinaggio. A partire da questo tempo si nota sempre un maggiore intervento del papato nelle questioni spagnole. Vi è la decisa volontà di riformare la Chiesa, di uniformare i riti liturgici attraverso la soppressione di quello mozarabico. Si ottiene rapidamente un’unità dottrinale e disciplinare. Gregorio VII rivendica l’autorità sui territori conquistati dai cristiani nel 1064. Urbano II (1088-1099) continua la politica di Gregorio, ma i disordini intestini degli stati cristiani la fanno fallire. Vi sono nuove invasioni mussulmane nel 1047. Una nuova crociata libera le Baleari e Saragozza. Il sec. XIII vede grandi progressi nella reconquista (1236 Cordova, 1248 Siviglia, 1238 Valenza). Alla fine resta ai mussulmani la piccola striscia costiera a sud del Regno di Granada. La riorganizzazione ecclesiastica è corrispondente alla reconquista : nel sec. XI si diffondono i cluniacensi, nel XII i cistercensi, nel XIII Domenico di Guzman fonda i Predicatori. Toledo diventa dopo la reconquista un grande centro culturale. La prima università è fondata a Salamanca nel 1255. Le colonie mozarabiche dopo la reconquista non cambiano subito riti e 77 Storia della Chiesa 2 concezioni. Esiste anche una forte minoranza ebraica da cui provengono figure significative dell’episcopato spagnolo. 5. PAPATO E IMPERO (1190-1253) Nel 1198 a 37 anni viene eletto papa il diacono Lotario di Segni col nome di Innocenzo III. Il suo pontificato ha tre obiettivi : a) organizzare una crociata, b) assicurare il diretto controllo su tutta la chiesa, c) riformare la cristianità, laicato e clero. Innocenzo dimostra di saper governare la cristianità intera con saggezza e polso, attivo e tenace ; con lui il governo pontificio universale vive una parentesi felice. Si preoccupa sì utilizzare e aumentare tutti i poteri connessi con la sua carica, ma nell’interesse di tutta la chiesa. È il papa che assume ed incoraggia i nuovi ideali di s. Domenico e di s. Francesco. La questione siciliana. Nel 1189 la Sicilia, feudo pontificio, viene ereditata da Enrico VI, che annulla il giuramento di fedeltà verso il papa. Il papa teme che i suoi territori vengano circondati dall’impero. Alla morte di Enrico VI il papa appoggia come candidato all’impero Ottone. I principi eleggono invece Filippo, fratello di Enrico VI ; il papa è costretto a riconoscerlo ma Filippo muore. Ottone, eletto imperatore, accetta in un primo tempo le condizioni di Innocenzo : libere lezioni dei vescovi, rinuncia alle regalie35 e agli “spolia”36, rinuncia alla Sicilia ; ma poi ritratta. Il nuovo imperatore Federico II, figlio di Enrico VI, eletto senza autorizzazione del papa, ma riconosciuto da lui in cambio del giuramento di vassallaggio per la Sicilia, concede la libertà nelle elezioni vescovili e in un privilegium del 1220 esenta completamente il clero da ogni giurisdizione temporale. La Chiesa di Germania viene sempre più legata a Roma (visite annuali ad limina, accettazione dei legati papali, sinodi). Ma pure Federico II non mantiene i patti per la Sicilia ; viene quindi scomunicato e deposto nel 1227. Nel 1229 parte per la crociata e, senza spargere sangue, per dieci anni compra Gerusalemme. Nel 1230 gli viene revocata la scomunica. Colpito da un nuovo interdetto nel 1239 viene definitivamente scomunicato e deposto al concilio di Lione nel 1245 da papa Innocenzo IV. Innocenzo IV nomina un legato per la Germania, lancia interdetti ai preti che sostengono l’imperatore e concede privilegi ai propri sostenitori. Il risultato di questa politica fu l’annullamento completo dell’imperatore come autorità religiosa in Europa e come potenza politica europea in grado di affrontare il papato. Di qui il destino della Germania come nazione divisa fino al 1870. I quattro papi : Innocenzo III, Onorio III, Gregorio IX e Innocenzo IV, hanno ricondotto sotto la diretta giurisdizione pontificia la Germania, perduta tre secoli prima, ma agendo più da politici che da pastori, utilizzando a questi fini anche le punizioni spirituali. 35 36 Reddito del beneficio alla vacanza della sede. Beni mobili alla morte del titolare del beneficio. 78 Storia della Chiesa 2 LE STRUTTURE DELLA CHIESA MEDIEVALE (1000-1200) 1. IL CRISTIANESIMO NELLE CAMPAGNE Anche dopo il 1000 in Europa occidentale sussistono zone selvagge interamente pagane. La maggior parte delle chiese rurali ha un proprietario. Il prete di campagna è tenuto ad insegnare il credo, le preghiere elementari, e i principali comandamenti della Chiesa, commentare il Vangelo della messa ed occuparsi dell’istruzione elementare dei fanciulli più dotati. Durante i sec. IX e X la maggior parte dei preti sono coniugati legalmente o concubini (i matrimoni si celebrano ancora privatamente). Nei sec. XI e XII si diffonde la pratica del celibato su influsso dei nuovi monasteri. I nuovi ordini monastici hanno un grande afflusso di vocazioni : la vita monastica viene vista come unico riparo per la salvezza eterna. 2. LA SITUAZIONE NELLE CITTÀ a) b) c) d) e) Il sec. XII conosce un costante aumento della popolazione urbana in Europa occidentale. Compare una pietà laica molto spesso colorita di anticlericalismo. Si formano congregazioni, sia ortodosse che eretiche con queste caratteristiche : preghiera in comune e opere fuori delle strutture liturgiche, necessità della lettura della Bibbia in lingua volgare, disprezzo per gli aspetti sacerdotali e sacramentali della religione, insofferenza nei confronti delle gerarchie, amore della povertà, rimessa in discussione dell’eucaristia. La pietà laica nasce per colmare un vuoto spirituale lasciato dal clero secolare. 3. L’ORGANIZZAZIONE ROMANA La Chiesa del sec. XII ha acquisito maggior competenza nell’amministrare e governare e gode di una grande sicurezza. Il papato si occupa della Chiesa in modo effettivo e ha in mano le leve del comando. La curia romana raggiunge da Innocenzo III un grande livello di efficienza e di organizzazione con la cancelleria, la tesoreria, gli archivi, la camera apostolica, il concistoro. È con Gregorio VII, fin da quando era cardinale arcidiacono che inizia la riforma finanziaria, con il recupero delle fonti di reddito e la percezione regolare delle rendite (patrimonio di s. Pietro, terreni, donazioni, obolo di s. Pietro di chiese locali e di vassalli della Chiesa) e delle tasse per i documenti della curia, bolle, privilegi, ecc. 4. RIFORMA DEL DIRITTO CANONICO Il sec. XI è epoca di grandi compilazioni del materiale canonistico precedente, manca però una organizzazione ed una sistematizzazione. Un monaco camaldolese Graziano compone una Concordia discordantium canonum, meglio nota poi come Decretum Gratiani verso il 1140. Organizza e studia il diritto canonico secondo un ordine logico. Diventerà per molti secoli lo strumento base di discussione e di decisione per il diritto canonico. Ad esso si aggiungono le raccolte di decretali : decisioni dei papi su questioni che venivano ad essi poste, indirizzate individualmente, non pubblicate, raccolte prima in collezioni private, poi in collezioni più grandi. Tra il 1130 e il 1230 il diritto civile e canonico è la principale preoccupazione intellettuale della maggioranza dei ricercatori. Grande importanza acquista pure il concistoro : riunione dei cardinali con il papa per occuparsi degli affari più importanti della chiesa e prendere decisioni, due o tre volte la settimana. I cardinali diventano un nucleo influente ed attivo della politica pontificia tramite i concistori. 79 Storia della Chiesa 2 Il sec. XIII è il periodo del legalismo pontificio : il diritto canonico rappresenta uno strumento di alta politica e il fondamento dell’elaborazione delle teorie di governo. Per quanto riguarda le elezioni vescovili, contro la simonia e le ingerenze laicali, i papi chiedono il ritorno all’antica procedura di elezione da parte del clero (i capitoli). Anche dopo il concordato di Worms la presenza regia alle elezioni è sufficiente a creare un clima di paura di andar contro la volontà del re e a soffocare la libertà dell’elezione. Tuttavia i papi ottengono che le elezioni controverse vengano sottoposte al loro giudizio, e in alcuni casi riescono a nominare direttamente i vescovi. (riserve pontificie) Grande funzione acquistano in questo periodo i legati pontifici, temporanei e permanenti, soprattutto a partire dal pontificato di Gregorio VII. Possono essere cardinali, abati, chierici, vescovi residenziali ; per un certo periodo viaggiano due a due, come i missi dominici. Essi hanno questi compiti : risolvere problemi di prassi normale, risolvere le controversie, visitare i monarchi, convocare sinodi. I legati a latere invece hanno una missione particolare da parte del papa ; viaggiano da soli ; hanno il compito della riforma della chiesa in una determinata regione : convocazione di sinodi, ispezione di monasteri, deposizione e nomina di abati, riorganizzazione territoriale della chiesa, con suddivisione delle diocesi. Un legato esercita tutte le funzioni giuridiche e amministrative del papa, spesso senza possibilità di appello a Roma. Anche il papa, come gli altri vescovi, era circondato e consigliato da un gruppo di membri del clero. Gli esponenti più importanti di questo gruppo sono chiamati cardinali (= principali, essenziali, ben uniti, come i cardini). Al tempo di Gregorio I hanno questo titolo i preti delle chiese più antiche di Roma (i titoli) e i diaconi in servizio presso i distretti romani. Più tardi il titolo viene dato anche ai vescovi delle diocesi suburbicarie. Il primo strumento di collaborazione al governo del papa sono i sinodi romani ;L l’ultimo di questa serie è il Concilio Lateranense IV (1215). Essi ratificano decisioni e accordi anche di carattere internazionale. Successivamente, con lo sviluppo della curia romana, i papi governano direttamente la chiesa con il solo aiuto della curia. In questo tempo il concistoro (gruppo dei cardinali consiglieri del papa) acquista una importanza sempre maggiore per il suo ruolo nelle elezioni pontificie. Fin dal sec. X è consuetudine scegliere il papa nel gruppo dei cardinali. Il decreto del 1059 riduce il ruolo del popolo romano nell’elezione alla sola acclamazione, riservando la votazione ai soli cardinali. Da questo momento vengono elevati al cardinalato anche personalità ecclesiastiche di rilievo non appartenenti al clero romano. 5. L’ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA Gradualmente nel corso del XII sec. vengono fissati i confini delle diocesi e delle parrocchie. Nelle diocesi, oltre al capitolo, che ricopre anche funzioni amministrative, cominciano a sorgere per le campagne gli arcidiaconi e i decani(o vicari) rurali. La giurisdizione sui monasteri all’origine di conflitti. Le “esenzioni” concesse dal papa ai monasteri creano nelle diocesi zone neutre, in cui il vescovo locale non può esercitare alcuna influenza, neppure liturgica. Nei paesi del centro e Nord Europa i sovrani concedono ai monasteri immunità rispetto a qualsiasi imposta e qualsiasi ingerenza, compresa quella dei vescovi. Qualcuna di queste abbazie o monasteri fa una contro-assicurazione, commendandosi direttamente a s. Pietro. Durante il pontificato di Alessandro III si giunge ad una fissazione degli statuti regolari per cui i monasteri resi immuni dai sovrani ottengono l’esenzione canonica. Roma incoraggia i ricorsi alla sua protezione. Durante il sec. XII c’è una marea di richieste alla cancelleria pontificia da parte di monasteri per ottenere il riconoscimento di diritti. Questo è anche un tempo in cui si confezionano numerosi falsi. 6. I CONCILI Nel sec. XII in occidente riprende una serie di concili poi riconosciuti come ecumenici, segno dell’affermarsi della supremazia papale, che riesce a convocare e riunire i vescovi dell’occidente. 80 Storia della Chiesa 2 • I Concilio Lateranense - 1123. Sotto papa Callisto II, con la partecipazione di 300 vescovi, ratifica il concordato di Worms ; ribadisce le misure di riforma contro simonia, nicolaismo, ecc. ; pubblica decreti a favore di pellegrini e crociati ; ai monaci è proibita l’amministrazione dei sacramenti e le messe pubbliche destinate ai laici. • II Concilio Lateranense - 1139. Sotto papa Innocenzo II, con la partecipazione di 100 vescovi, conferma tutti i decreti promulgati da Gregorio VII in avanti; si tiene a conclusione dello scisma (1130-1138) che aveva portato a due papi Innocenzo ed Anacleto. • III Concilio Lateranense - 1179. Sotto papa Alessandro III, al termine della lunga lotta con Federico Barbarossa, con la partecipazione di 300 vescovi, stabilisce : per l’elezione dei pontefici la maggioranza dei 2/3 dei cardinali, che garantirà fino al 1378 l’assenza di antipapi ; per l’assegnazione di una parrocchia, come condizione di validità i 25 anni di età, e per l’episcopato i 30. • IV Concilio Lateranense - 1215. Sotto papa Innocenzo III. È il concilio più importante del medioevo. Vi partecipano 412 vescovi e 800 tra abati e priori. Per la prima volta si parla di “transustanziazione” riguardo all’eucaristia. Il concilio ha stabilito l’obbligo della confessione annuale e della comunione pasquale. Prende misure contro gli eretici. Per i preti emana norme sulla formazione e selezione, rende obbligatoria la predicazione, regolamenta l’amministrazione dei sacramenti. Gli ordini religiosi devono essere governati dal capitolo generale. 7. AUTORITÀ ECCLESIASTICA E AUTORITÀ POLITICA NEL SEC. XIII Durante il sec. XIII si va sempre più precisando e affermando la dottrina sull’autorità universale del papa, elaborata dai canonisti. La riforma gregoriana è un movimento attraverso il quale ci si dirige verso una separazione tra spirituale e temporale. Innocenzo III sostiene che potere temporale e potere spirituale sono entrambi sottomessi al potere divino e il potere spirituale è più elevato per dignità ed estensione. Il papa è il vicario di Cristo stabilito sui popoli e sui regni ; l’autorità pontificia sta a quella regia come il sole alla luna. Il Cristo che è Dio è il capo supremo e il re di tutti gli uomini. L’Europa occidentale è convinta di fare un tutt’uno con la Chiesa di Cristo. Innocenzo IV, Sinibaldo dei Fieschi, (1243-1254), meno spirituale e meno oculato politicamente di Innocenzo III, considera tutte le autorità politiche al di sotto del papa, che deve approvarne l’elezione e deporli, se risultano indegni. Più che per la teorizzazione si distingue per l’uso del potere : rivendicazioni economiche, dota di vari benefici i chierici d’Europa, fa ricorso all’interdetto e alla scomunica anche per i conflitti politici. Tra i canonisti va ricordato Enrico da Susa, l’Ostiense, che sostiene la superiorità del potere spirituale in nome del quale il potere secolare agisce da braccio esecutivo ; il potere secolare deriva direttamente da quello spirituale. Esso ha una autonomia ordinaria che gli può essere sottratta da quello spirituale, in caso di peccato o di difetto. Alla morte di Nicolò IV, in un conclave che dura due anni, si fronteggiano le famiglie degli Orsini e dei Colonna ; alla fine viene eletto Pietro Morone, eremita di Isernia, col nome di Celestino V ; incapace di governare la Chiesa e la curia, dopo cinque mesi si dimette. Bonifacio VIII, Benedetto Caietani, (1294-1303), spinge fino ai limiti estremi le pretese pontificie verso l’autorità temporale. Violento e autoritario si trova a confrontarsi con Filippo II il Bello, re di Francia. Bonifacio cerca di far abolire l’uso di pagare l’immunità reale agli ecclesiastici. Filippo IV proibisce l’uscita dalla Francia di qualunque valuta. Bonifacio afferma il diritto di supervisione su tutti gli atti del re nel 1296. Dopo una tregua di quattro anni, il papa invita Filippo a pentirsi. I sostenitori delle due parti pubblicano trattati di ogni genere. Bonifacio pubblica nel 1302 l’Unam Sanctam 37 è il punto culminante delle pretese pontificie nel medioevo in campo spirituale e temporale Il papa pretende una completa sottomissione di 37 Che ci sia una ed una sola Santa Chiesa Cattolica ed Apostolica noi siamo costretti a credere ed a professare, spingendoci a ciò la nostra fede, e noi questo crediamo fermamente e con semplicità professiamo, ed anche che non ci sia salvezza e remissione dei nostri peccati fuori di lei – come lo sposo proclama nel Cantico: « Unica è la mia colomba, la mia perfetta; unica alla madre sua, senza pari per la sua genitrice », il che rappresenta un corpo mistico, il cui capo è Cristo, e il capo di Cristo è Dio, e in esso c'è « un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo ». Al tempo del diluvio invero una sola fu l'arca di Noè, raffigurante l'unica Chiesa; era stata costruita da un solo braccio, aveva un solo timo- 81 Storia della Chiesa 2 Filippo, facendo balenare la scomunica. Filippo stende e fa conoscere una lista di accuse. Guglielmo di Nogaret, suo ministro, inviato in Italia, reclutati degli armati, irrompe ad Anagni il 7 settembre e fa prigioniero il papa. Rapidamente liberato, muore un mese dopo per le emozioni subite. Come suo successore viene eletto Niccolò Boccasino di Treviso, col nome di Benedetto XI, il 12 ottobre 1303. Nacque nel 1240 a Treviso , da Boccassio e da Bernarda, che gli imposero il nome di Nicco-lò. Il padre, che esercitava il notariato, era di umilissime origini e, a quanto pare, legato da rapporti di tipo semiservile ai signori di Colle San Martino. L’infanzia e l’adolescenza di Niccolò restano un appannaggio della leggenda agiografìca . La prima attestazione sicura risale al testamento di Ca-stellano di Colle San Martino, novizio nel convento domenicano di Bologna, che il 2 ottobre 1256 destinò la somma di 25 libbre veneziane a favore di Niccolò, a patto che si decidesse ad entrare nell’Ordine. Pochi mesi dopo, la sua vocazione religiosa giunse a piena maturazione: nel 1257 fu accolto dal convento domenicano di Treviso. Dei suoi studi e della sua carriera nell’Ordine non si hanno molte notizie: secondo una tradizione alquanto tarda, avrebbe studiato logica a Milano dal 1262 al 1268; più tardi fu lettore, probabilmen-te di teologia, in vari conventi, sicuramente a Venezia. I legami con Treviso restarono ben saldi: nel 1276 e poi ancora nel 1280 due suoi concittadini gli lasciarono per testamento un legato. Nel 1282 insegnò nel convento di Genova. niere e un solo comandante, ossia Noè, e noi leggiamo che fuori di essa ogni cosa sulla terra era distrutta. Questa Chiesa noi veneriamo, e questa sola, come dice il Signore per mezzo del Profeta: « Libera, o Signore, la mia anima dalla lancia e dal furore del cane, l'unica mia ». Egli pregava per l'anima, cioè per Se stesso - per la testa e il corpo nello stesso tempo - il quale corpo precisamente Egli chiamava la sua sola e unica Chiesa, a causa della unità di promessa di fede, sacramenti e carità della Chiesa, ossia « la veste senza cuciture » del Signore, che non fu tagliata, ma data in sorte. Perciò in questa unica e sola Chiesa ci sono un solo corpo ed una sola testa, non due, come se fosse un mostro, cioè Cristo e Pietro, vicario di Cristo e il successore di Pietro; perché il Signore disse a Pietro: « Pasci il mio gregge ». « Il mio gregge » Egli disse, parlando in generale e non in particolare di questo o quel gregge; così è ben chiaro, che Egli gli affidò tutto il suo gregge. Se perciò i Greci od altri affermano di non essere stati affidati a Pietro e ai suoi successori, essi confessano di conseguenza di non essere del gregge di Cristo, perché il Signore dice in Giovanni che c'è un solo ovile, un solo e unico pastore. Noi sappiamo dalle parole del Vangelo che in questa Chiesa e nel suo potere ci sono due spade, una spirituale, cioè, ed una temporale, perché, quando gli Apostoli dissero: « Ecco qui due spade » - che significa nella Chiesa, dato che erano gli Apostoli a parlare - il Signore non rispose che erano troppe, ma che erano sufficienti. E chi nega che la spada temporale appartenga a Pietro, ha malamente interpretato le parole del Signore, quando dice: « Rimetti la tua spada nel fodero ». Quindi ambedue sono in potere della Chiesa, la spada spirituale e quella materiale; una invero deve essere impugnata per la Chiesa, l'altra dalla Chiesa; la seconda dal clero, la prima dalla mano di re o cavalieri, ma secondo il comando e la condiscendenza del clero, perché è necessario che una spada dipenda dall'altra e che l'autorità temporale sia soggetta a quella spirituale. Perché quando l'Apostolo dice: « Non c'è potere che non venga da Dio e quelli (poteri) che sono, sono disposti da Dio », essi non sarebbero disposti se una spada non fosse sottoposta all'altra, e, come inferiore, non fosse dall'altra ricondotta a nobilissime imprese. Poiché secondo san Dionigi è legge divina che l'inferiore sia ricondotto per l'intermedio al superiore. Dunque le cose non sono ricondotte al loro ordine alla pari immediatamente, secondo la legge dell'universo, ma le infime attraverso le intermedie e le inferiori attraverso le superiori. Ma è necessario che chiaramente affermiamo che il potere spirituale è superiore ad ogni potere terreno in dignità e nobiltà, come le cose. spirituali sono superiori a quelle temporali. Il che, invero, noi possiamo chiaramente constatare con i nostri occhi dal versamento delle decime, dalla benedizione e santificazione, dal riconoscimento di tale potere e dall'esercitare il governo sopra le medesime, poiché, e la verità ne è testimonianza, il potere spirituale ha il compito di istituire il potere terreno e, se non si dimostrasse buono, di giudicarlo. Così si avvera la profezia di Geremia riguardo la Chiesa e il potere della Chiesa: « Ecco, oggi lo ti ho posto sopra le nazioni e sopra i regni » ecc. Perciò se il potere terreno erra, sarà giudicato da quello spirituale; se il potere spirituale inferiore sbaglia, sarà giudicato dal superiore; ma se erra il supremo potere spirituale, questo potrà essere giudicato solamente da Dio e non dagli uomini; del che fa testimonianza l'apostolo: « L'uomo spirituale giudica tutte le cose; ma egli stesso non è giudicato da alcun uomo », perché questa autorità, benché data agli uomini ed esercitata dagli uomini, non è umana, ma senz'altro divina, essendo stata data a Pietro per bocca di Dio e resa inconcussa come roccia per lui ed i suoi successori, in colui che egli confessò, poiché il Signore disse allo stesso Pietro: « Qualunque cosa tu legherai... ». Perciò chiunque si oppone a questo potere istituito da Dio, si oppone ai comandi di Dio, a meno che non pretenda, come i Manichei, che ci sono due principio; il che noi affermiamo falso ed eretico, poiché - come dice Mosé - non nei principio, ma « nel principio » Dio creò il cielo e la terra. Quindi noi dichiariamo, stabiliamo, definiamo ed affermiamo che è assolutamente necessario per la salvezza di ogni' creatura umana che essa sia sottomessa al Pontefice di Roma. Data in Laterano, nell'ottavo anno del nostro Pontificato, [il 18 novembre] 82 Storia della Chiesa 2 A questi anni di lettorato risalgono con tutta probabilità alcuni scritti teologici dei quali non si han-no notizie sicure. Un solo trattato di esegesi neotestamentaria, conservatosi fino al sec. XVI, fu pubblicato da G. Lazari nel 1603 a Venezia con il titolo B. Benedicti p. XI in evangelium, D. Matthaei commentaria. In verità per le sue opere non si distinse molto nel gran numero dei dottissimi domenicani del suo tempo. Fu apprezzato per la sua umiltà, la sua pietà e la mitezza dell'animo anche dai suoi confratelli. La carriera nell’Ordine si dovette svolgere secondo un iter normale: sottopriore e poi priore, non si sa bene di quali conventi, nel 1286 Niccolò fu eletto provinciale di Lombardia dal Capitolo riunito a Brescia. Tenne tale carica fino al 1289 e poi di nuovo dal 1293 al 1296. Nel 1286, poco meno che cinquantenne, fu eletto provinciale di Lombardia, provincia vastissima e, dati i tempi, non delle più quiete neppure nell'Ordine dei Predicatori. Un anno dopo riconciliava i Domenicani con la cittadinanza di Parma, dalla quale erano usciti per gravi offese ricevute. Fu la prima grande occasione che egli ebbe per dimostrare il suo amore alla pace e la sua propensione a comporre i grandi dissidi e ne diede poi prove che sbalordirono i contemporanei. Di nuovo provinciale nel 1293, tre anni dopo fu eletto generale nel capitolo di Strasburgo succedendo a Stefano di Besançon, uomo rigidissimo. Nel 1298 riuscì a stabilire una tregua d'armi tra Filippo il Bello ed Edoardo I d'Inghilterra. Bonifacio VIII, che a quella tregua teneva assai, lo premiò col cappello cardinalizio, che accettò di buon grado senza falsa modestia. Veramente non solo per quell'impresa il papa lo volle premiare, ma per avergli serbato la fedeltà e l'obbedienza dell'Ordine dei Predicatori, ed avergliele fatte solennemente promettere di fronte alla lotta dei Colonna e alle pubbliche accuse dei Fraticelli. L'Ordine contava moltissimo nella società, sulla quale con l'insegnamento e la predicazione esercitava una forte e vasta influenza. Ebbe- prima il titolo di S. Sabina, poi quello di Ostia che lo rendeva decano del Sacro Collegio. Ciò nonostante non riuscì ad impedire l'emanazione della bolla Super cathedram del 18 febb. 1300, che umiliava profondamente il suo Ordine e quello dei Minori Francescani di fronte al clero secolare, vietando agli Ordini Mendicanti di predicare e confessare fuori dei loro conventi. L'arrendevolezza prevalse sul suo attaccamento all'Ordine. Ma i suoi confratelli non ne dovettero essere contenti, talché quando, per compiacere al papa, egli interferì sulla elezione del successore nel generalato, si ribellarono apertamente, eleggendo un candidato francese che, se non fu con Filippo il Bello, lasciò che lo fossero i suoi confratelli e si guardò bene dal mostrarsi a questi nemico. Inviato legato in Ungheria per mettere concordia tra i pretendenti al trono e le loro fazioni, non riuscì molto felicemente nel suo mandato. Egli fu poi ad Anagni con un altro solo cardinale accanto al trono di Bonifacio VIII il triste giorno del nefando attentato: alla sua mitezza era dunque pari la sua fedeltà e anche la sua fortezza. Eletto papa il 22 ott. 1303 in Vaticano, volle tuttavia dare ad ogni costo una fine alle discordie della Santa Sede con Filippo il Bello e coi Colonna, ereditate dal suo predecessore: assolse il re e i suoi famosi cardinali dalla scomunica, reintegrandoli anche nei loro privilegi e beni, rinnovò la scomunica solenne al Nogaret e a Sciarra Colonna e ai loro compagni. Poiché, però, a Roma la sua opera di pacificazione urtava contro difficoltà insuperabili, B. si trasferì a Perugia insieme con la Curia e il tesoro della Chiesa. E in Perugia si spense dopo otto mesi e sedici giorni di pontificato il 7 luglio 1304. Sentendosi venir meno fece aprire le porte dell'episcopato e ricevette, benedicendo, l'ultimo saluto del popolo. La dolcezza del carattere e l'umiltà sincera, la fama di santità ed il candore della vita, fecero sì che intorno alla sua tomba nascesse il culto confermato dai miracoli che operò. Di tali miracoli ci sono state tramandate due serie. Il culto ab immemorabili venne riconosciuto nel 1736 da Clemente XII ed esteso al territorio della Repubblica Veneta da Benedetto XIV nel 1748. La sua memoria è celebrata il 7 luglio. Dopo la sua morte venne eletto l’arcivescovo di Bordeaux, Bertrand de Got, col nome di Clemente V (1305-1314) che trasferisce la sede ad Avignone, possedimento pontificio in Francia, che rimarrà sede papale dal 1309 al 1377. Clemente si circonda di cardinali francesi 83 Storia della Chiesa 2 LE ERESIE 1. SEC. XI L’eresia non riguarda più posizioni di singoli teologi, ma sorgono movimenti popolari largamente diffusi : chiesa e stato creano una macchina repressiva. Possiamo distinguere : a) tendenza anticlericale e antisacramentale, critica al sistema ecclesiastico ; rivolta contro la religione dei ricchi, istituzionalizzata, gerarchica, sacramentale ; si vuole un rapporto con Dio più spirituale, più semplice, più individuale ; b) vi è un rinascere dell’antica eresia dualistica, di stampo manicheo ; c) vi è un’eterodossia più sistematica, di ampio contenuto. Influiscono anche fattori economico-sociali : la spiritualizzazione della povertà nasce da condizioni di vita reali. I primi movimenti ereticali hanno origine in molte regioni della Francia e nell’Italia del Nord. Respingono l’incarnazione, quindi l’eucaristia ; negano la necessità del Battesimo e dell’ordine sacro. Talvolta vi è il rifiuto del matrimonio, come pure quello di mangiar carne. Diversa fu la pataria : movimento popolare lombardo contro il clero simoniaco e concubino, rimasta ortodossa. 2. SEC. XII : I CATARI E I VALDESI Parte una seconda ondata dall’Italia e dalla Francia del Sud, un movimento di riforma che predica il ritorno alla povertà apostolica per il clero. Tra i capi ricordiamo Pietro di Bruys (†1130), bruciato dalla folla, che aveva come avversari s. Bernardo e Pietro il Venerabile ; predicava la povertà e una religione non sacramentale. In Italia Arnaldo da Brescia (†1155) passa all’agitazione politica e a Roma fa sorgere un comune che vuole restaurare lo spirito antico ; viene impiccato come rivoluzionario. Alla metà del XII secolo si abbatte un’ondata eretica proveniente dalla Bulgaria, che fa rinascere il dualismo e lo gnosticismo dei manichei. A Costantinopoli i catari costruiscono il loro fondamenti dogmatici e ascetici. Hanno un’organizzazione ecclesiastica rigorosa un grande dinamismo missionario. Si diffondono in Italia ad opera di Pietro Lombardo ; hanno una struttura clandestina. Attraverso le vie commerciali i catari si diffondono nell’Europa orientale e settentrionale per poi passare nella Francia del sud. In occidente il centro principale è Tolosa. Al movimento aderiscono anche monaci e vescovi. Essi considerano la Chiesa cattolica come corruzione di una comunità iniziale di puri. Rifiutano i sacramenti e l’Antico Testamento. La chiesa catara si divide in due categorie : a) i puri, da cui provengono la gerarchia e i predicatori. Si accede ai puri dopo un lungo periodo di iniziazione, attraverso il “consolamentum”, sacramento di iniziazione che cancella il peccato, dona lo Spirito, conferisce poteri ministeriali : implica una vita austera, la castità perpetua e l’astinenza dalle carni, il divieto di fare giuramenti e di andare in guerra. b) gli aderenti, che godevano di una maggiore libertà. Il rifiuto della materia conduceva al disprezzo della vita C’era chi si lasciava morire. I catari ebbero una liturgia pubblica, fondarono scuole e laboratori. Il catarismo dava il senso della vita comunitaria e dell’aiuto reciproco che non esisteva nella società cattolica del tempo. Pietro Valdo, ricco mercante di Lione (†1205), si converte dopo la lettura della Bibbia in provenzale. Fattosi povero per Cristo, diventa nel contempo predicatore dell'Evangelo, raccogliendo intorno a sé laici e chierici. La sua intenzione di mettersi al servizio della gerarchia della Chiesa non è sufficiente a procurargli la comprensione dell'autorità vescovile lionese: viene allontanato dalla sua città. La sua volontà di ortodossia non sembra comunque venir meno : il movimento che fonda ottiene l’approvazione papale nel 1179, ma poi i valdesi rifiutano il divieto papale ai laici di predicare. Alcuni gruppi diventano eterodossi. Si diffondono in Piemonte., anche rispetto a quanti, nel movimento valdese, tendevano a radicalizzare l'opposizione alla Chiesa romana. 3. LA REAZIONE CATTOLICA 84 Storia della Chiesa 2 3.1 La crociata contro gli albigesi Per combattere l’eresia degli albigesi38, Innocenzo III invia nella regione di Tolosa i cistercensi, ma con scarsi risultati. Alla fine si trova come rimedio quello dei domenicani. Il conte Raimondo VI di Tolosa, che aveva offerto loro protezione, è scomunicato come eretico. Il legato pontificio Pietro di Castelnau è assassinato dagli ufficiali di Raimondo, il quale poi è disposto a far penitenza impegnandosi per la crociata. Ma i crociati, con a capo Simone di Montfort compiono il massacro di Beziers nel 1209, prendendo possesso del bottino. Il Concilio Lateranense IV cerca un compromesso : la Provenza torna a Raimondo. 3.2 L’Inquisizione39 Dopo il decreto di papa Lucio III (1181-1185) i vescovi hanno il dovere di ricercare e punire l’eresia e consegnare i colpevoli al braccio secolare per la punizione. L’imperatore Federico II stabilisce il rogo, pratica già corrente in alcune regioni, accettata da papa Onorio III (1216-1226). Gregorio IX trasforma la legislazione imperiale in legislazione canonica) e viene applicata in tutta Italia. Verso il 1240 l’Inquisizione funziona a pieno regime in quasi tutta Europa. Attraverso l’opera dei domenicani l’eresia è estirpata in tutta la Francia. La procedura. Questo è il procedimento: arrivano gli inquisitori in una determinata zona di focolai di eresie. Viene indetto un tempo di grazia e un tempo di predicazione della sana dottrina: durante questo tempo, tutta la comunità ecclesiale, credenti ed eretici, viene messa a confronto con la dottrina esatta, e chi ritiene di avere apostatato dalla fede o di non avere delle idee assolutamente ortodosse, può convertirsi. La conversione non dà luogo a nessun procedimento di carattere inquisitoriale, al massimo vengono date delle pene di carattere canonico: pratiche di pietà, pellegrinaggi, preghiere, salmi penitenziali,confessioni periodiche, oppure il portare delle croci sugli abiti. Le reclusioni avvengono quando scatta il processo, che ha inizio o per inquisitionem (gli inquisitori ricercano gli eretici secondo delle segnalazioni avute e li trovano) o per accusationem, perché qualcuno muove un'accusa, o per denunciationem, perché non solo qualcuno accusa, ma denuncia per eresia in modo ben documentato. La detenzione degli accusati non è obbligatoria, è decisa dal vescovo o dagli inquisitori; la famiglia a carico è un elemento per evitare la detenzione. La corte è formata dagli inquisitori, dal vescovo e dai personaggi importanti del luogo che affiancano gli inquisitori per fornire tutti gli elementi del caso in discussione; non c'è nulla di segreto, gli eretici vengono sottoposti ad un interrogatorio pubblico. Certo, lungo tutto il XII secolo non esiste l'istituto della difesa, non c'è l'avvocato: l'accusato si difende personalmente. L'accusato aveva il diritto di produrre dei testimoni a sua discolpa, di farli interrogare in sua presenza, di difendersi da solo per un tempo lungo quanto voleva, di presentare memorie o citazioni preparate prima, di chiedere difensori d'ufficio. Il processo si conclude in tempo abbastanza breve, e la pena viene erogata a seconda che ci sia il riconoscimento della propria responsabilità, e quindi la conversione, oppure che ci sia la recidività. e il rifiuto del riconoscimento della colpa. Le pene variano a seconda della gravità dell'opinione sostenuta e della gravità degli influssi sociali, fino al venire abbandonati al potere civile, cosa che equivale alla pena di morte attraverso il rogo. Le pene potevano essere condonate molto facilmente: spesso dopo qualche tempo di reclusione venivano commutate in pene canoniche. La necessità di mantenere la famiglia è una ragione fondamentale per ridurre ed annullare la pena che non sia arrivata all'erogazione della pena capitale. Le prigioni sono sostanzialmente conventi, parti dei quali 38 Così vengono chiamati i catari occidentali, dalla città di Albi La parola Inquisizione indica tre fenomeni: l'Inquisizione medievale, o meglio quella esercitata direttamente dalla Santa Sede per mezzo dei suoi legati, che si colloca tra la metà dell'Xl secolo e la metà del XIV, nel momento dunque di massima espansione della società medievale. Essa si occupò prevalentemente dell'eresia dei catari o albigesi; l'Inquisizione spagnola, che iniziò nel XIV secolo e che fu uno strumento eminentemente politico di cui la corona spagnola si servi per la ricostruzione dell'unità del proprio Stato, agendo nei confronti dei mussulmani (moriscos) ed ebrei (marrani). Non c'è nessuno storico che oggi attribuisca l'Inquisizione spagnola alla realtà della Chiesa l'Inquisizione romana, che venne solennemente instaurata da papa Paolo IV nel 1542, immediatamente prima della convocazione del concilio di Trento. Essa abbraccia tutto il periodo della riforma cattolica - seguita alla riforma protestante -, con i casi emblematici di Galileo Galilei e Giordano Bruno. 39 85 Storia della Chiesa 2 vengono adibite a reclusione e vengono normalmente visitate dai legati e dai cardinali, che spesso intervengono per rendere più umano il sistema di vita, il vitto, la difesa dal freddo, dal caldo. Con il passare del tempo viene ridotta ogni tutela giuridica agli accusati, praticamente in balia degli accusatori. Alcuni tentativi dei papi di ripristinare un giudizio più equo falliscono. L’inquisizione va compresa nelle circostanze storiche e nel clima intellettuale del tempo, all’interno di una società integralmente cristiana, minacciata da gruppi di dissidenti che mettevano in pericolo la fede. Vi era l’ampia convinzione che non ci fosse altro metodo che l’inquisizione per estirpare l’eresia. Erano stati moti popolari ad attaccare per primi gli eretici. Ma nel sec. XIII è il potere politico a condurre una repressione feroce con ricorso a crudeltà legale e deliberata con il ricorso alla tortura : è tutta la società a subire una svolta autoritaria. In questo clima si inserisce Gioacchino da Fiore (†1202) con i suoi scritti apocalittici sulle tre età del mondo ; poi morì in pace con la Chiesa. 4 LE CROCIATE 4.0 Sull’uso del termine Il termine "crociata" è stato oggetto di una complicata e per molti versi paradossale "avventura semantica": ha cioè conosciuto parecchi slittamenti e mutamenti di senso, che hanno allontanato la parola dalla sostanza storica del suo originario significato. Per riportare ordine in questo confuso orizzonte, bisogna forse anzitutto chiedersi con precisione che cosa sul serio sappiamo delle crociate nella loro realtà storica40. Secondo una visione divulgativa molto diffusa, le crociate furono guerre dettate da una visione intollerante del fatto religioso oppure aggressioni coloniali determinate da motivi economici rispetto ai quali il movente religioso era solo un alibi: esse si manifestarono nella storia dei secoli XI-XIII attraverso una serie di spedizioni. Oggetto immediato e giustificazione diretta di esse furono la conquista, il mantenimento o la riconquista di Gerusalemme e dell'area geografica che era stata il teatro della vita terrena di Gesù e che per questo i cristiani chiamavano e chiamano "Terrasanta". Quell'area, già dominata dall'impero Romano e quindi dal Bizanti40 Alla comprensione della realtà storica non giova d'altronde l'abuso che della parola si fa a livello giornalistico e massmediale. Si usa ad esempio definire, al negativo, crociata ogni intensa campagna politica o morale i fini della quale sono, dal punto di vista di chi la considera, ottusi e reazionari: ad esempio, la stampa laica ha rimproverato spesso quella cattolica di scatenare delle "crociate" contro il divorzio, l'aborto, i metodi contraccettivi e così via. In questo modo di usare la parola sopravvive, ancor oggi, la polemica tipica degli illuministi del XVIII secolo, che consideravano la crociata un tipico frutto dell'ignoranza e dei fanatismo medievali. Ma in altre occasioni si usa invece la parola in un contesto positivo: ad esempio, quando diciamo che è necessaria una "crociata" contro il fumo, contro l'alcol, contro certe malattie. In questo modo di esprimersi è ancora viva l'eco del linguaggio del Romanticismo ottocentesco che, appunto in polemica con l'illuminismo del secolo precedente, vide nelle crociate medievali il frutto di un puro entusiasmo religioso e della volontà di recare in Oriente la civiltà cristiana e il messaggio della cultura occidentale. 86 Storia della Chiesa 2 no (che ne rappresenta la prosecuzione), fu conquistata dagli Arabi musulmani un po' prima della metà dei VII secolo. Su un piano un po' meno elementare, a proposito delle crociate si fronteggiano due tesi di fondo. La prima vede in esse la forma medievale e cristiana di un inevitabile e continuo conflitto strutturate e geopolitica che contrappone almeno dal VI-V secolo a.C. l'Oriente all'Occidente. La seconda rivendica invece l'originalità e il carattere congiunturale delle spedizioni medievali. - Alla prima tesi bisogna obiettare che connaturato alla crociata vi è un elemento religioso che si può valutare in modi differenti, ma non ignorare o negare: alla luce di ciò, la tesi dei "permanente" conflitto tra Oriente e Occidente appare schematica e generica. - Alla seconda tesi si deve opporre che nella vita giuridica e culturale dell'Europa l'idea di crociata, unita magari a quella di lotta antiturca e di difesa etnoreligìosa dell'Europa, non è affatto esclusiva del Medioevo. Anzi, la sua definizione è molto tardiva e la sua pratica durò fino al XVIII secolo inoltrato. Noi considereremo qui solo la storia medievale delle crociate: ma non dobbiamo dimenticare che alla luce di tale ideale, continuamente ridefinito e rivissuto, gli Europei condussero le loro guerre contro la potenza turca ottomana fino al Settecento. Il nostro immaginario relativo alle crociate deve molto di più a Torquato Tasso che ai cronisti medievali. Lo stesso termine "crociata" (in latino cruciata) si impose tardi. Leggiamo spesso nei manuali scolastici che nel novembre dei 1095, a Clermont, papa Urbano II "predicò" o addirittura "bandì" la "prima crociata". in realtà, il discorso dei pontefice si situa senza dubbio all'inizio dei fenomeno che, appunto, noi moderni definiamo "crociata": e una croce fu il distintivo adottato da quanti si impegnarono nell'impresa che il papa indicava. In realtà, però, si discute ancora se egli davvero potesse pensare a una conquista di Gerusalemme da parte degli occidentali: e, comunque, certo non usò quella parola destinata a una così ampia e discussa fortuna nei secoli successivi. Per tutto il Medioevo, a indicare quella che per noi è la crociata si usarono espressioni come iter ("spedizione militare"), peregrinatio ("pellegrinaggio"), più tardi anche succursus 87 Storia della Chiesa 2 ("soccorso": sottinteso, ai cristiani di Terrasanta o di Spagna minacciati dagli infedeli) o possagium (un termine impostosi nella misura in cui, a partire dal Duecento, il viaggio di trasferimento delle truppe si fece sempre più spesso e prevalentemente, se non del tutto, per via nautica). A partire dalla metà circa dei XIII secolo, i giuristi della Chiesa ("canonisti") cercarono di fissare con precisione le caratteristiche del "voto", cioè della promessa solenne che i cruce signati erano chiamati a formulare quando partivano per una di quelle spedizioni, impegnandosi a compierle secondo le indicazioni che il pontefice indicava in un preciso documento, una epistola bullata, cioè sigillata, che più semplicemente si chiamava bulla ("bolla"). In cambio del loro comportamento disciplinato in tali circostanze e del rispetto della solenne promessa fatta, i cruce signati avevano diritto ad alcuni vantaggi concreti (ad esempio la sospensione di certe condanne penali oppure la moratoria dei debiti per sé e le loro famiglie finché non fossero tornati dalla spedizione) e un ambito premio spirituale, l'indulgenza plenaria (la medesima che più tardi, a partire dal I 300, i pontefici concessero anche in occasione dei Giubilei). I canonisti, a quel punto, cominciarono a usare per tali spedizioni l'espressione crux, distinguendo una crux transmarina (quando esse erano dirette in Terrasanta o comunque contro gli infedeli) e una crux cismarina (quando invece si era chiamati a combattere all'interno della cristianità, contro i nemici religiosi o politici della Chiesa e dei Papato). I canonisti, allora, dichiararono che l'impegno contro gli infideles e quello contro i mali christiani era equivalente e che spettava alla Chiesa indicare gli obiettivi volta per volta più opportuni. Molto spesso, a livello retorico o propagandistico, si parlò anche di bella sancta o sacra ("guerre sante"o "sacre"): ma va detto che sul piano giuridico e teologico tale espressione non venne mai legittimata. Il mondo cristiano, che conosce fino dal V secolo il concetto di bellum iustum ("guerra giusta") e lo applica per le guerre difensive e dichiarate da un'autorità legittima, non conosce la dimensione della santificazione della guerra in quanto tale: non esiste 88 Storia della Chiesa 2 nessuna guerra combattendo nella quale ci si santifica per il semplice fatto, appunto, di combattere. Nel mondo francese, si amò qualificare fino al XVIII secolo quelle che per noi sono le crociate con l'espressione gesta Dei per Francos ("imprese di Dio attraverso i Francesì"). Ma va notato che la parola latina Franci ("Franchi") nel Medioevo era usata sia dai Bizantini sia dagli Arabi per indicare in genere tutti gli Europei occidentali e fedeli alla chiesa latina. Un tipo di documento pontificio, la bulla cruciato, cominciò a far circolare il termine che ci interessa; essa finì coi chiamarsi anche bulla cruciatae, ma si caratterizzava per indicare il tipo di tasse ("decime") e di altri contributi finanziari che i cristiani erano chiamati a fornire durante la preparazione delle singole spedizioni. La parola mantenne così, a lungo, un valore prevalentemente finanziario. Fu soltanto con il Settecento francese che il termine "crociata" si cominciò a usare sistematicamente per indicare quel che indichiamo noi, e già con una forte carica polemica e un'ancor più forte proiezione sugli avvenimenti contemporanei. Durante la Rivoluzione francese, infatti, tanto i giacobini quanto i controrivoluzionari presero gradualmente l'abitudine di definire "crociate" le varie forme di resistenza rivoluzionaria: gli uni per condannare come fanatica e reazionaria la scelta di quanti ai valori rivoluzionari si opponevano con le armi, gli altri per esaltarla come meritoria dal punto di vista spirituale e religioso - oltre che politico. In tale accezione, l'uso politico-propagandistico dei termine si è protratto in varie occasioni nell'Otto e nel Novecento ed è stato talora anche di recente riproposto. A rigore, quindi, dovremmo evitare di chiamar "crociate" quegli eventi medievali che appunto con tale nome siamo abituati a indicare. Già il farlo induce confusione e crea anacronismi. Ma un linguaggio storiografico consolidato non si elimina né si corregge facilmente ed è tanto più necessario, quindi, aver coscienza della storia del termine e della pluralità di valori e di significati che esso ha raccolto e catalizzato nel tempo. In estrema sintesi, dunque, si può dire che modernamente siamo abituati a chiamare "crociate" quelle spedizioni militari - in origi- 89 Storia della Chiesa 2 ne fortemente connesse con la pratica del pellegrinaggio e con la rivendicazione alla cristianità dei controllo di Gerusalemme - rivolte contro Musulmani, eretici, nemici politici della Chiesa e che, per esser legittime, dovevano esser bandite ufficialmente mediante un documento papale a carattere normativo. Chi partecipava a questa impresa - appunto i cruce signati - si impegnava per mezzo di un voto solenne dal quale solo la Chiesa poteva scioglierlo e in cambio del quale riceveva una serie di vantaggi spirituali (le indulgenze) e temporali. 4.1 Le prime tre crociate (1095-1197) A partire dalla fine dell’XI sec. la Chiesa sostiene le imprese militari chiamate “crociate”, che assommano insieme l’idea della riconquista territoriale e della rinascita religiosa, mentre i governi civili che le sostengono pensano soprattutto ad un’espansione commerciale. Già alla fine del X secolo degli stendardi che richiamano il labaro di Costantino fanno la loro comparsa alla testa delle armate. Gregorio VII, riprendendo un’idea di pontefici precedenti traccia un piano contro i turchi, vincitori in oriente. Iniziano a concedersi indulgenze ai soldati che partono per piccole spedizioni contro i domini mussulmani. Cominciano a giungere da Costantinopoli ambascerie che chiedono un intervento dell’occidente contro l’Islam. Nel 1095 papa Urbano II, al concilio di Clermont prende l’iniziativa e sollecita il popolo cristiano a prendere parte ad un pellegrinaggio armato in Terra Santa, al grido di “Dio lo vuole”. In tre differenti scaglioni e colonne si mettono in marcia per darsi appuntamento a Costantinopoli circa 100.000 persone, masse di poveri, mosse soprattutto da motivi di fede, sollecitata da predicatori come Pietro l’eremita. Solo in un secondo tempo si muovono principi e baroni con truppe più organizzate. A Gerusalemme giungono nell’estate del 1099 non più di 10-15.000 crociati. La città santa cade il 15 luglio ed è subito massacro. Viene nominato governatore, con il nome di advocatus = difensore del santo Sepolcro, Goffredo di 90 Storia della Chiesa 2 Buglione, che poi muore poco tempo dopo. Il fratello Baldovino, suo successore, si fa già incoronare re. Le spedizioni in Terra Santa si susseguono numerose. Se nella prima crociata prevalevano motivazioni religiose nei cavalieri e nei poveri, successivamente non è più così. Dopo Gerusalemme si conquistano gli altri territori. Cominciano a formarsi regni cristiani. A difesa dei pellegrini sorgono i Templari (soppressi da Clemente V e sterminati 14.000 in Francia da Filippo il Bello)e poi gli ospedalieri, (cavalieri di Malta, teutonici → fondati nel 1190 da s. Giovanni d'Acri) sotto le dirette dipendenze pontificie ; nasce la figura del monaco-cavaliere. Gli ordini ospitalieri e cavallereschi nascono con duplice scopo: militare e caritativo, per l'assistenza ai pellegrini, ai malati. La seconda crociata indetta il 5 dicembre 1145 da Eugenio III, e predicata da Bernardo di Chiaravalle, dopo la riconquista di Edessa. Nella bolla vengono definiti i privilegi riconosciuti ai crociati. Fino ad allora essi erano equiparati ai pellegrini, la cui persona era affidata alla Chiesa, e per i quali le procedure giudiziarie in corso erano sospese. Ora venivano accordati ai crociati privilegi temporali : protezione estesa ai beni e alle famiglie e moratoria dei debiti, e privilegi spirituali : remissione dei peccati e perdono delle colpe passate, una vera e propria indulgenza ; la crociata veniva considerata pena espiatoria dei peccati più gravi ; il crociato veniva ad essere posto sotto la giurisdizione ecclesiastica e sfuggiva al controllo del braccio secolare. Tale crociata si rivelò un insuccesso. Nei territori riconquistati si ricostituisce una gerarchia latina, a partire dal patriarcato di Gerusalemme, secondo il modello occidentale. La scelta del patriarca era compiuta dal capitolo, che proponeva due nomi al re, cui spettava la scelta definitiva. Nel 1187 Saladino rioccupa Gerusalemme. Viene indetta la terza crociata. Vi partecipano • Federico Barbarossa, che annega in un incidente in Asia minore ; vi è disunione tra gli altri due : • il re di Francia Filippo Augusto, che conduce l’assedio di Acri, ma poi ritorna in Francia, 91 Storia della Chiesa 2 • Riccardo Cuor di Leone, re d’Inghilterra, si attarda nella conquista di Cipro, quindi si accorda con Saladino, per consentire ai pellegrini cristiani di visitare la città santa. 4.2 La quarta crociata Nasce da una iniziativa di Innocenzo III, che propone a Bisanzio una crociata comune contro i mussulmani, ma le trattative falliscono. La crociata parte ugualmente. Venezia, che si assume l’onere del trasporto dei crociati, si fa aiutare da essi a conquistare Zara, per pagarsi le spese. Il papa scomunica i crociati, poi toglie la scomunica. Nel 1203 i crociati conquistano Bisanzio, chiamati dal figlio del detronizzato Alessio III, e lo rimettono al potere. Dopo una nuova sommossa, Venezia conquista Bisanzio nel sangue, con il saccheggio (i cavalli di S. Marco) e la profanazione dei luoghi sacri e il massacro della popolazione. Comincia così l’impero latino di Oriente che durerà fino al 1261. Mentre l’impero bizantino si smembra I bizantini trasferiscono impero e patriarcato a Nicea. Nel 1261 Michele VIII Paleologo, ponendo fine al regno latino potrà rientrare a Costantinopoli. 4.3 Le ultime tre crociate (1217-1270) • La quinta indetta da Innocenzo III, e realizzata da Onorio III, (1217-1221), a cui partecipò disarmato anche san Francesco, mirava a conquistare la Palestina a partire dall’Egitto, ma fallì. • La sesta (1228-1229) fu intrapresa dall’imperatore Federico II, allora scomunicato. Attraverso trattati Federico ottenne Gerusalemme, Betlemme, Nazareth ed altre città. Si autoincoronò re di Gerusalemme. Stipulò una tregua di dieci anni, al termine della quale i cristiani furono sconfitti a Gaza. • La settima (1248-1254) fu comandata da Luigi IX di Francia, ma dopo un buon inizio, le sorti militari volsero al peggio. Luigi IX fu fatto prigioniero e poté tornare in Francia dopo il pagamento di un forte riscatto. 92 Storia della Chiesa 2 • L’ottava crociata (1270) Luigi IX cercava di aiutare ancora il pericolante regno latino. Sbarcato a Tunisi, colà morì di peste e la crociata si sciolse. L’ultima roccaforte crociata, S. Giovanni d’Acri, cade nel 1291. 93 Storia della Chiesa 2 LA CHIESA NEI SEC. XIV - XV 1. PREMESSA : BILANCIO DEL SEC. XIII • È un secolo di santi. • Si espande il fiscalismo curiale romano, anche attraverso il sistema della collazione dei benefici vacanti : sempre più le elezioni sono riservate al papa. Tuttavia le entrate, compreso l’obolo di S. Pietro e i diritti di vassallaggio non sono in grado di far fronte alle necessità della burocrazia romana. Innocenzo III, comincia ad imporre tasse ai benefici : tassa della crociata (¼ delle entrate), più le annate all’ingresso di un titolare, più la decima, fin dal 1225. I metodi usati dalla curia romana suscitano sempre più reazioni da parte del potere politico e da parte delle popolazioni. 2. I PAPI DI AVIGNONE • • • • • • Il trasferimento della sede ad Avignone avviene in maniera quasi accidentale. Clemente V (1305-1314). Già arcivescovo di Bordeaux, una volta eletto rimane ad Avignone per trattare con Filippo il Bello. Nel frattempo convoca il concilio di Vienne (1311-1312) ; poi Enrico VII invade l’Italia ; gli stati pontifici si ribellano. La curia papale ha bisogno di essere sostenuta dalla Francia, ma sostegno significa anche influenza e il papa può esercitare solo in parte il suo governo sulla chiesa universale. Tuttavia la residenza del papa ad Avignone crea problema e scandalo. Il periodo avignonese è però anche periodo di riforma amministrativa e finanziaria : viene riorganizzata la “Camera apostolica” per le entrate della santa Sede. Viene pure riorganizzato il sistema giudiziario : ai legati in varie regioni si sostituiscono i tribunali permanenti presso la curia. Il Concistoro funziona da corte di appello ; la Rota dal 1331 si occupa della collazione dei benefici, poi dei matrimoni. Troviamo ancora la Segnatura apostolica per la procedura, la Penitenzieria apostolica per le dispense matrimoniali, le irregolarità canoniche e i peccati riservati. Per finanziare la burocrazia i papi aumentano le imposte e migliorano il sistema di esazione creando esattori pontifici con poteri di comminare ammende, censure e di scomuniche. Le entrate inoltre servono a finanziare i mercenari pontifici e le guerre disastrose in Italia. Tutto questo crea proteste feroci e continue contro il papa, l’inquisizione, la provvisione dei benefici, le esazioni. Clemente V sopprime nel 1312 l’ordine dei Templari (non avevano più ragione d’essere dopo la caduta definitiva della Terra Santa nel 1291) su richieste e pressioni di Filippo IV che ambisce alle grandi ricchezze dell’ordine. Filippo li accusa e li condanna per eresia, magia, stregoneria, bestemmia e vizio. Contro il parere del Concilio di Vienne il papa scioglie l’ordine. Si tratta di una vicenda vergognosa che mette in piena luce il clima del tempo. Giovanni XXII (1316-1334) è il papa più importante del periodo avignonese ; riporta in attivo le finanze papali. Scoppia una nuova controversia con l’imperatore Luigi, il quale venuto in Italia nomina un antipapa (Niccolò V, 1328-1330). Dalla parte dell’imperatore sono schierati Pietro Olivi, Marsilio da Padova, Guglielmo di Occam e Michele da Cesena, generale dei francescani (cfr. U. Eco, Il nome della rosa). Ragioni politiche (papato-impero) si intersecano a dibattiti teologici (la povertà, la visione beatifica). Il papa scomunica l’imperatore. Giovanni XXII in punto di morte ritratta la sua tesi sul ritardo della visione beatifica da parte dei beati alla fine del mondo. Benedetto XII (1334-1342), cistercense, cerca di riformare gli ordini monastici decaduti, ma si ferma a stabilizzare la situazione, anziché farli ritornare alla primitiva osservanza. Clemente VI (1342-1352). Durante il suo pontificato in Europa vi è un’epidemia di peste nera, in cui muore un terzo della popolazione, che causa grandi trasformazioni economiche e sociali. Urbano V (1352-1370) benedettino : il più santo dei papi avignonesi che prende nel 1367 la decisione di tornare a Roma, ma nel 1370 torna ad Avignone per morirvi. Nel 1366 pubblica una bolla che limita il cumulo dei benefici. Gregorio IX (13770-1378), finalmente, su pressione di Caterina da Siena, nel 1377 si trasferisce a Roma definitivamente. 3. IL CONCILIARISMO 94 Storia della Chiesa 2 Durante il periodo avignonese si sviluppano le teorie conciliariste. Alcuni esponenti significativi sono : • Marsilio da Padova (1280-1342), già rettore dell’università di Parigi e ministro dell’imperatore per gli affari religiosi, nel 1324 scrive il Defensor Pacis, maggior opera di teoria politica scritta nel medioevo, in cui propugna un cesaropapismo totalitario a base democratica. La sovranità risiede nel popolo, o meglio nella sua valentior pars. La chiesa ha solo autorità magisteriale, non coercitiva ; è un elemento dello stato, ad esso sottomessa. L’autorità nella chiesa spetta al Concilio generale, convocato dal principe, da cui il papa trae la sua autorità. L’autorità nel fondamento appartiene all’universalità dei fedeli, nell’esercizio al Concilio che rappresenta la chiesa universale. Il concilio è superiore in tutto al papa. Gesù Cristo ha istituito solo il sacerdozio : episcopato e pontificato sono istituzioni umane. Marsilio è condannato dal papa nel 1327. • Guglielmo di Occam, dopo un periodo passato presso la corte pontificia, passa alla causa dell’imperatore, di Marsilio e dei francescani scismatici e si dedica alla riflessione politica. Mette in discussione l’istituzione divina del papato e l’infallibilità della Chiesa. La chiesa è unione di individui in base alla vera fede. Nella dimensione visibile il papa è il capo della Chiesa. L’indefettibilità è nella chiesa, ma non della chiesa. Anche il Concilio che rappresenta la Chiesa universale può essere fallibile. • Michele da Cesena : il concilio rappresenta la chiesa universale. Da un papa eretico si appella al Concilio In conclusione il conciliarismo è una teoria che prevede la superiorità del concilio sul papa : a) ci sono casi in cui il concilio può deporre il papa ; b) la Chiesa universale è infallibile, così il concilio che la rappresenta ; il papa è invece fallibile ; c) il concilio rappresenta tutta la chiesa : i laici hanno voce attiva o voto consultivo. d) teoria corporativistica : il potere risiede su tutto il corpo ecclesiale ; è esercitato a diversi livelli ; quello del papa è controllato dal concilio ; e) in caso di necessità il concilio si convoca anche senza il papa (cardinali, vescovi, autorità politica) ; f) il concilio agisce con l’autorità ricevuta direttamente da Cristo, sposo indefettibile. 4 IL GRANDE SCISMA E IL CONCILIO DI COSTANZA Alla morte di Gregorio XI il collegio cardinalizio riceve pressioni dal popolo per eleggere un papa romano o almeno italiano. Viene eletto Bartolomeo Prignano, arcivescovo di Bari, col nome di Urbano VI, che però si rivela subito dispotico, autoritario e crudele. I cardinali francesi, seguiti poi dagli italiani, fuggono ed eleggono il card. Roberto di Ginevra, politiche Clemente VII, che parte per Avignone. L’Europa si divide in due fazioni ; entrano poi in gioco anche ragioni, Lo stesso collegio cardinalizio ha eletto due papi : come risolvere il problema ? Ogni papa nel frattempo si circonda di nuovi cardinali. Si prospettano soluzioni diverse : • la via facti : attraverso la forza oppure attraverso la testimonianza dei documenti, di prova. È una strada senza via d’uscita ; • la via cessionis : uno o tutti e due i papi devono dimettersi ; • la via concilii : il concilio generale deve stabilire chi è il papa legittimo oppure deporre entrambi e procedere ad una nuova elezione. Canonisti e pubblicisti entrano nel vivo del dibattito. Oltre a quelli che abbiamo già ricordato vale la pena di nominare coloro che intervengono in questa occasione : Francesco Zabarella, Pietro d’Ailly, Giovanni Gerson, Teodoro di Niem. Nel 1408 i cardinali delle due obbedienze si mettono d’accordo nel convocare a Pisa per il 25 marzo 1409 un concilio generale. Benedetto XIII, avignonese, convoca il suo concilio a Perpignano e Gregorio XII, romano, a Cividale. Il concilio pisano elegge, dopo aver deposto i due papi, Pietro Filargo, un francescano, col nome di Alessandro V. Alla sua morte viene eletto il card. Baldassarre Cossa, col nome di Giovanni XXIII. Egli subito sceglie tra i suoi cardinali Zabarella e Pietro d’Ailly. Gli altri due papi rifiutano di dimettersi e così la cristianità ha ora tre papi. 95 Storia della Chiesa 2 Decisiva risulta l’azione dell’imperatore Sigismondo, che vuole la fine dello scisma e persuade Giovanni XXIII a convocare un concilio a Costanza nel 1414. Il concilio procede nel dibattito e nella votazione per gruppi nazionali. Fra i partecipanti vengono ammessi numerosi teologi non vescovi, che sostengono il conciliarismo, sia pure con diverse forme ed accentuazioni. Il concilio comincia a condannare l’eresia di Hus (quaestio fidei), quindi chiede ai tre papi di abdicare. Gregorio XII accetta, anche Giovanni XXIII in un primo momento, ma poi fugge. Il concilio avoca a sé i pieni poteri e decide di proseguire. Il 6 aprile 1415 emana il decreto Haec Sancta41, rivendica la giurisdizione universale, che riceve direttamente da Cristo, per quanto riguarda la fine dello scisma e al riforma della Chiesa. Il concilio poi condanna e depone Giovanni XXIII. Neppure Benedetto XIII si arrende. Il concilio comincia a trattare le questioni riguardanti la riforma della Chiesa, Nel 1417 viene deposto pure Benedetto XIII e finisce il suo potere. Si procede all’elezione del nuovo papa. Prima viene pubblicato il decreto Frequens42, secondo il quale il concilio generale avrebbe dovuto riunirsi dopo cinque anni, poi dopo sette, quindi ogni dieci anni. L’11 novembre 1417 viene eletto il romano Ottone Colonna col nome di Martino V. Lo scisma termina dopo 39 anni. 5 L’ECUMENICITÀ DEI DECRETI CONCILIARI - IL CONCILIO DI BASILEA 5.1 Il problema Quale valore ha un concilio senza papa ? I decreti pubblicati nelle sessioni a cui partecipa Martino V, in cui viene condannato Wyclif , e quello in cui viene condannato Hus sono validi perché ripresi nella bolla papale Inter Cunctas il 22 febbraio 1418. Eugenio IV (1431-1447), il vene41 Decreto « Haec Sancta » (6 Aprile 1415). In nome della santa e indivisibile Trinità, Padre e Figlio e Spirito Santo, Amen. Questo sacro sinodo di Costanza, costituendo un Concilio Generale in vista dell'estirpazione dello scisma e dell'unione e riforma della Chiesa di Dio nel suo capo e nei suoi membri, riunito legittimamente nello Spirito Santo a gloria dell'Onnipotente lddio, allo scopo di raggiungere più facilmente, sicuramente e liberamente l'unione e la riforma della Chiesa di Dio, ordina, determina, decreta e proclama quanto segue: Per prima cosa si dichiara che questo sinodo, legalmente riunito nel nome dello Spirito Santo, costituisce un Concilio Generale, rappresenta la Chiesa Cattolica e riceve direttamente da Cristo il potere cui ciascuno, di qualunque stato o condizione, anche chi è elevato alla dignità papale, deve obbedire in materia di Fede e per tutto quanto riguarda l'estirpazione dello scisma e la riforma della detta Chiesa nel suo capo e nei suoi membri. Dichiara inoltre che chiunque di qualsiasi condizione, stato e rango, anche se elevato alla dignità papale, ostinatamente disdegni di obbedire agli ordini, statuti, ordinanze e istruzioni, che sono stati o che saranno emanati relativamente ai summenzionati soggetti e a quanto può essere di loro stretta pertinenza, da questo santo sinodo o da qualsiasi altro Concilio Generale legalmente convocato, venga sottoposto, a meno che non rinsavisca, a giusta penitenza e sia dovutamente punito, intendendosi far ricorso, se necessario, ad altre sanzioni della legge. 42 Decreto « Frequens » (9 Ottobre 1417). La riunione frequente di Concilii Generali è il mezzo principale per coltivare i campi del Signore, perché estirpa i rovi, le spine e i cardi delle eresie, degli errori e degli scismi, corregge gli eccessi, raddrizza le deformità e fa sì che la vigna del Signore dia il frutto di una piena fertilità. Infatti se si trascurano tali Concilii, vengono diffusi ed incoraggiati i detti mali; questo ci appare evidente sia dal ricordo del passato che dalla considerazione del presente. Per questo noi stabiliamo, decretiamo ed ordiniamo con editto perpetuo che d'ora in poi i Concilii Generali siano tenuti in modo che il prossimo segua a cinque anni precisi dalla sua fine questo, il secondo segua il precedente a sette anni, e i susseguenti Concilii siano sempre tenuti di decennio in decennio in luoghi, che il Sommo Pontefice - o, se non Lui, lo stesso Concilio deve stabilire e indicare un mese prima della fine di ogni Concilio con l'approvazione ed il consenso del Concilio medesimo. Con tale continuità vi sarà sempre un Concilio con l'approvazione ed il consenso del Concilio medesimo. Con tale continuità vi sarà sempre un Concilio in sessione oppure l'attesa del seguente alla fine di un determinato periodo, che può essere abbreviato dal Sommo Pontefice con il consenso dei suoi fratelli, i Cardinali della santa Chiesa di Roma, qualora se ne presenti la necessità, ma non deve in alcun caso essere prorogato. Il luogo stabilito per la riunione di un Concilio futuro non deve essere cambiato senza evidente necessità. Ma se per avventura, si verificasse un caso per cui si ritenesse necessario cambiare detto luogo, a causa per esempio di assedio, guerra, pestilenza o altre cose simili, allora il Supremo Pontefice ha il diritto - col consenso scritto dei summenzionati fratelli o di almeno due terzi di essi - di sostituire il precedente con un altro luogo nelle vicinanze, che sia adatto e nella stessa nazione, a meno che gli stessi o simili impedimenti involgano tutta la nazione. In tal caso il Concilio potrebbe essere convocato in un altro luogo prossimo, situato in un'altra nazione ed adatto allo scopo, ed i prelati e gli altri invitati al Concilio sono tenuti ad andarvi, come se quel luogo d'adunanza per il Concilio fosse stato fissato dall'inizio. Tuttavia il Sommo Pontefice deve render noto e dichiarare il mutamento di luogo o l'abbreviazione del periodo in modo legale e solenne, un anno prima del termine fissato, affinché le dette persone possano adunarsi per il Concilio al tempo stabilito. Pontefice con il consenso dei suoi fratelli, i della santa Chiesa di Roma, qualora se ne presenti la necessità, ma non deve in alcun caso essere prorogato. 96 Storia della Chiesa 2 ziano Gabriele Condulmer, accetta i concili di Costanza e di Basilea ma rifiuta ogni riduzione dei diritti papali. L’Haec Sancta, che dichiara che il concilio trae la propria autorità direttamente da Cristo e che il papa è sotto la sua obbedienza in materia di fede e di riforma della Chiesa, non viene mai ratificato da nessun papa. L’Haec Sancta era un decreto destinato a far fronte ad una situazione di emergenza : l’esistenza di tre papi, in un tempo in cui mancava nella Chiesa una autorità riconosciuta e il concilio era sul punto di sciogliersi se non fosse stata dichiarata una fonte di autorità. Martino V profonde tutte le sue energie a rimettere a posto, anche finanziariamente, lo stato pontificio. Non batte invece la strada di una riforma radicale della curia. Conformandosi ai decreti di Costanza convoca un concilio a Pavia nel 1423, poi trasferito a Siena nel 1424 e lì sciolto. Martino V subisce pressioni perché il concilio venga convocato secondo la scadenza del Frequens ; infine lo convoca a Basilea per il 1431, nominando come legato il card. Cesarini, che muore poco prima del suo inizio. 5.2 Il Concilio di Basilea Riunisce meno partecipanti, meno vescovi e più teologi. La maggioranza era ostile alla supremazia papale. Anche su posizioni diversificate tutti sostenevano la superiorità del concilio generale rispetto al papa, al quale, rimanendo il capo della Chiesa, spettava il potere esecutivo. Nella prima fase il concilio regola provvisoriamente la controversia con gli ussiti. Papa Eugenio IV assume un atteggiamento ambiguo nei confronti del concilio, con decisioni contrastanti. I decreti conciliari del 1433 aboliscono le riserve papali nelle nomine dei benefici e quelli del 1435 aboliscono gli onorari della curia romana. Eugenio IV trasferisce il concilio a Ferrara nel 1438 e poi a Firenze. Una parte del concilio si ribella ed elegge il duca di Savoia, col nome di Felice V. Il resto di Basilea sopravvive a stento fino al 1449. Privo progressivamente di ogni appoggio politico 5.3 Conseguenze dello scisma di Occidente : • l’influenza dell’autorità politica sulla religione : la mancanza di unità va a scapito dell’autorità ecclesiastica ; • la divisione nella Chiesa, causata dalla duplice o dalla triplice obbedienza si riflette negli ordini religiosi, che si dividono in duplice organizzazione ed hanno la tendenza a statalizzarsi in gruppi nazionali ; • la diminuzione di valore dei privilegi e delle esenzioni pontificie, inflazionate dai papi per acquistare consenso e rimpinguare le casse ; vi è un conseguente rilassamento della disciplina monastica ed ecclesiastica ; • diviene sempre più pressante l’esigenza di una riforma generale della Chiesa. • In Francia nasce il gallicanismo. Nel 1406 si tiene un concilio nazionale, dominato dall’Università di Parigi, che accoglie le teorie di Pierre Leroy e Jean Petit, poi sanzionate da Carlo VI nel 1407 : a) tutte le imposte e le tasse della S : Sede sono dichiarate inammissibili ; b) il papa è il capo spirituale della Chiesa, ma l’autorità del concilio è superiore al papa ; c) il re di Francia gode da tempo immemorabile del diritto di nomina, amministrazione, esazione e di controllo nella Chiesa di Francia (regalie temporali e spirituali) ; d) le decretali e le bolle pontificie sono invalide se contraddicono o oltrepassano i decreti conciliari o il diritto canonico anteriore a Graziano ; le decisioni pontificie sono irreformabili solo se accettate da un concilio generale. Il gallicanesimo si spiega con lo sviluppo del sentimento nazionale, la situazione penosa del papato diviso, l’influenza del pensiero di Marsilio da Padova e Guglielmo d’Occam. A seguito dell’assemblea del clero che si svolge a Bourges nel 1438 Carlo VI approva la Prammatica Sanzione che prevede : 1. l’approvazione del decreto Frequens (superiorità del concilio sul papa) ; 2. erano ammesse le riserve pontificie nelle nomine dei benefici esistenti nelle “Decretali” e nel “Liber Sextus” ; 97 Storia della Chiesa 2 3. erano abolite le annate e le altre imposte pontificie, ma veniva istituita una provvisione per le necessità del papa ; 4. i processi d’appello, tranne alcune eccezioni dovevano effettuarsi sul posto e non a Roma ; 5. altri decreti di riforma. La Prammatica Sanzione fu abolita per intervento del papa nel 1461, ma poi sostanzialmente ripristinata con il concordato del 1516 tra Francesco I e papa Leone X. 98 Storia della Chiesa 2 LE ERESIE DEL SEC. XIV • • • • 1 1. WYCLIF John Wiclif (1320-1384), professore ad Oxford e parroco, realista platonico e radicale in filosofia, agostiniano in teologia, è influenzato da Bradwardine, anti-occamista. Le sue tesi : Contestazione della struttura gerarchica della Chiesa, che è invece la comunità invisibile dei predestinati : l’unico capo è Cristo. La chiesa deve essere povera ; lo stato può confiscarne i beni Circa l’eucaristia nega la transustanziazione e la presenza reale. Predica il ritorno ad un cristianesimo primitivo, senza sacramenti, istituzioni, papato, ordini religiosi, pietà popolare, devozioni, ecc. Il potere di celebrare e assolvere giunge direttamente da Dio, non tramite l’ordinazione. Nel 1377 è denunciato da Gregorio IX ma non è condannato, solo ammonito. Nel 1382 i suoi seguaci sono allontanati dall’Università di Oxford e sono condannati in un sinodo londinese 24 sue proposizioni. Nel 1415 al Concilio di Costanza ne vengono condannate 45. Dalla sua dottrina si sviluppa il movimento dei lollardi, corrente di spiritualità : vagano per le campagne predicando con la Bibbia in traduzione inglese. Annunciano la Legge di dio come unica norma per la Chiesa e per lo stato. Perseguitati fin dal 1400, schiacciati quasi completamente nel 1417, sopravvivono in piccoli gruppi per un secolo. HUS(S) In Boemia, già toccata dalla predicazione dei catari e dei valdesi, si diffonde una predicazione riformatrice, anticlericale, che chiede il ritorno della chiesa primitiva. Fortemente influenzato dagli scritti di Wyclif, inizia molto presto a predicare Giovanni Hus ; ottiene un largo successo, sostenendo la causa del popolo ceco dominato dall’elemento tedesco, che aveva avuto fino ad allora il predominio politico e culturale. Hus sull’eucaristia è ortodosso .La Chiesa è costituita dall’universitas prædestinatorum, passati, presenti e futuri : l’unico capo è Gesù Cristo ; il papato è un’istituzione di Costantino, non il capo della chiesa universale. L’Università di Praga nel 1403 condanna le posizioni di Wyclif. Il re Venceslao modifica per renderli favorevoli a sé e ad Hus. La parte tedesca lascia l’università e fonda quella di Lipsia. Durante lo scisma Hus e la Boemia sostengono l’obbedienza romana, ma è proprio Gregorio XII a condannare Wyclif. Hus è colpito dalla scomunica anche da Giovanni XXIII ; si appella al concilio generale, sostenuto dal re Venceslao e dall’imperatore Sigismondo che lo fornisce di salvacondotto per recarsi a Costanza e difendersi. A maggio del 1415 le tesi di Wyclif sono condannate dal Concilio. Il 6 luglio 1415 Hus è condannato e consegnato al braccio secolare. Un anno dopo è condannato anche Gerolamo da Praga. Morto Hus, la nazione boema, che lo considera un eroe e un martire insorge, con a capo la nobiltà. Il movimento, che si divide in utraquisti o calixtini (più moderati) e taboriti (più estremisti), chiede l’uso del calice per i laici, la libertà di predicazione, la non possibilità per i sacerdoti di possedere beni temporali e sanzioni pubbliche per i peccati mortali (la simonia). Nel 1436 si raggiunge un accordo tra gli ussiti boemi e il concilio di Basilea (i“compactata”), ma l’accordo è solo formale e per tutto il resto del sec. XV la Boemia rimane staccata dal resto della cristianità nella pratica e nella dottrina, nonostante i tentativi di riunificazione. 99 Storia della Chiesa 2 100 GLI ORDINI RELIGIOSI SEC. XIII-XV. CRISI E RIFORMA DELL’OSSERVANZA 1. LA SITUAZIONE DEGLI ORDINI MONASTICI • • • • • • • • • Con il Concilio Lateranense IV nel 1215 inizia un nuovo periodo per i vecchi ordini monastici, ma i decreti riformatori riguardano più l’amministrazione che la vita spirituale : suddivisione in province governate dal capitolo quadriennale, diritto-dovere del vescovo di ispezionare le case non esenti. Compaiono nuovi ordini monastici nell’ambito benedettino, con una vita più austera, ma che ebbero un successo limitato : 1231 i silvestrini, dal fondatore Silvestro Guzzolini a Monte Fano, 1264 i celestini, dal fondatore papa Celestino V, 1344 gli olivetani, fondati da Bernardo Tolomei, sul Monte Oliveto. I certosini si sviluppano con regolarità ; dal sec. XIV si installano nelle città . I monasteri perdono la loro supremazia culturale : i nuovi centri sono le università e gli studi teologici dei mendicanti. Quasi tutti gli ordini monastici diventano possidenti per assenza di fratelli laici che lavorino e per lo sfruttamento delle rendite terriere. Anche all’interno del monastero cambia la vita : viene ridotto il tempo dedicato alla liturgia per aumentare quello dello studio. Viene pure mitigato il regime alimentare con l’introduzione della carne, legalizzato anche dalle costituzioni e dai decreti approvati dal papa Benedetto XII (tra il 1335 e il 1339). Ogni tentativo serio di riforma fallisce. Il rilassamento diviene generale, soprattutto per le dispense pontificie distribuite durante lo scisma. I superiori abitano in appartamenti separati dalla comunità, possono disporre di fondi, fonti di reddito e servitori personali. I frati cominciano a ricevere un salario annuale per le loro necessità e spese personali. Gli ordini religiosi sono decimati dalla peste nera del 1348-1349 : le comunità si riducono o addirittura scompaiono. Anche le guerre di quest’epoca contribuiscono alla loro decadenza. Un’altra piaga è costituita dal sistema della commenda (l’abate titolare, anche laico, oppure chierico secolare è assente, non residente), praticato durante il periodo avignonese su larga scala, abusato durante lo scisma, universale in Italia, Francia, Spagna. Tutto ciò provoca nei sec. XIV e XV : generale declino e secolarizzazione della vita religiosa, diminuzione generale dell’osservanza della regola. Nella Germania il reclutamento dei monaci si restringe alla nobiltà, particolarmente nel settore femminile ; ciò accentua il carattere secolarizzato della vita religiosa, considerata una carriera come un’altra. L’entrata per vocazione è considerata una rarità. La riforma congregazionale Un nuovo modello di struttura monastica riformata parte dall’Abbazia di Santa Giustina a Padova (monastero cluniacense decadente), dove nel 1412 Ludovico Barbo, poi divenuto vescovo di Treviso dal 1437 al 1443, riceve il mandato da Gregorio XII di riformarla. La sua riforma viene approvata dal papa nel 1431 : si abolisce la stabilitas loci, scompare l’abbaziato a vita, sostituito da quello elettivo periodico, della durata di tre anni, si crea la struttura congregazionale con l’abolizione dell’autonomia di ciascun monastero, l’autorità è demandata al capitolo generale, che elegge un definitorio di 9 membri, con potere legislativo ; il quale a sua volta elegge l’abate ; si evita il sistema della commenda. È una costituzione rivoluzionaria rispetto alle consuetudini benedettine. In Italia i monasteri benedettini accettano la riforma di santa Giustina. Nelm 1492 lo stesso sistema è adottato dalla congregazione di Valladolid. Nel 1504 vi aderisce Montecassino e tutta la congregazione benedettina ne assume il nome. In Austria, Baviera e Svevia, a partire dal 1418, su iniziativa del duca Alberto V, che vuol applicare le riforme del Concilio di Costanza, dall’Abbazia di Melk nasce un movimento di riforma osservante, privo di costituzioni solide, che sparisce con l’avvento della riforma protestante. Frutto del Concilio di Basilea è la riforma di Bursfeld, abbazia madre della congregazione, con abbaziato Storia della Chiesa 2 101 generale a vita ; ogni monastero è governato autonomamente da un abate. Il capitolo generale ha potere legislativo. Quella di Bursfeld, durata fino a Napoleone, è una riforma di tipo tradizionalista. 2. I MENDICANTI Poco tempo dopo il loro sorgere entrano in conflitto con due autorità esterne : le università e i vescovi. I mendicanti rivendicano libertà e autonomia rispetto ad obblighi e a statuti universitari, pur godendone i privilegi. I professori secolari contestano la stessa esistenza di ordini al contempo studenti e predicatori. Papa Alessandro IV (1254-1261) interviene nella controversia e li difende. La predicazione degli ordini mendicanti, che si diffonde in tutta Europa per i privilegi e le esenzioni pontificie, trova l’opposizione di vescovi e preti che vedono i frati sconfinare nelle loro competenze amministrative e finanziarie. Nel 1254 Innocenzo IV limita agli ordini mendicanti l’accesso alle chiese parrocchiali e proibisce di predicarvi e confessarvi, se non invitati dai sacerdoti. Vi è anche un tentavi fallito di sopprimere gli ordini mendicanti al 2° concilio di Lione nel 1274. Martino IV nel 1281 permette agli ordini mendicanti di predicare e confessare ovunque senza autorizzazione : così facendo il papa invade i diritti dei vescovi. La situazione si stabilizza con Clemente V (1305-1314) che impone ai frati il permesso del prete prima di confessare e predicare in parrocchia. I domenicani subiscono un declino, il reclutamento rallenta ; si moltiplicano gli scandali, l’osservanza della povertà si rilassa. Dopo la condanna degli “spirituali” nel 1317 continua la controversia sulla povertà tra i francescani. Tutti essi sono tenuti a predicare che la loro povertà consiste in una eccezionale imitazione della povertà di Cristo, che era assoluta. Qualcuno predica che Cristo ha rinunciato a tutti i diritti di proprietà. Papa Giovanni XXII, con la bolla Quia nonnumquam dichiara che Cristo e gli apostoli ebbero dei possessi, anche se individualmente avevano il diritto alla rinuncia. Il ministro Generale Michele da Cesena e il capitolo generale affermano che la povertà assoluta di Cristo è dottrina riconosciuta da tutti i cristiani. Si entra in conflitto con il papa, che condanna questa dottrina. Michele da Cesena, convocato ad Avignone, fugge nel 1328 ; accusa il papa di eresia e si schiera con il partito imperiale. Il papa lo scomunica. Per molto tempo gruppi di frati minori permangono nello scisma, soprattutto in Germania. I frati, moltissimi e onnipresenti, diventano il bersaglio degli attacchi satirici per il lusso, la mondanità, l’abbondante alimentazione. Tra i francescani sale sempre più il desiderio di una riforma. A partire dal 1368 si fondano conventi di “osservanti”, che vogliono tornare all’osservanza primitiva della regola, all’inizio all’interno dello stesso ordine, come sezione separata, poi fondano un ordine a parte. Gli ordini femminili Le religiose sono molto meno numerose degli uomini e hanno minore importanza. Nel sec. XII nascono le canonichesse agostiniane, che poco si distinguono dalle benedettine. In Francia, a Fontevrault, nasce una grande casa da quattro precedenti monasteri, sotto la direzione di una badessa. Vi è poi nel sec. XIII la tendenza di creare accanto ai nuovi ordini ,maschili i corrispondenti femminili (domenicane, francescane), che però hanno solo vita contemplativa e liturgica. Nel sec. XIV nelle regioni renano-fiamminghe si sviluppano i beghinaggi, che consentono alle donne di condurre una vita spirituale più attiva. Nascono due nuovi ordini femminili : le carmelitane, in Italia prima, poi si diffonde in Spagna e le brigidine, perché fondate da Santa Brigida, in Svezia, che hanno come casa madre Vadstena. IL CONCILIO DI FERRARA-FIRENZE , CONTINUAZIONE DI BASILEA (1438-1439) 1. I TENTATIVI DI RIUNIFICAZIONE TRA ORIENTE ED OCCIDENTE Storia della Chiesa 2 102 Nel 1261 i bizantini riconquistano Gerusalemme . La forzata latinizzazione della Chiesa bizantina e la ripartizione dei territori dell’impero tra Franchi e Veneziani lascia nella Chiesa un’amarezza tuttora presente. L’imperatore Michele VIII, per difendersi da Carlo d’Angiò, re di Sicilia, che vuole riconquistare l’impero latino d’Oriente, cerca, con la mediazione di papa Gregorio X , di giungere all’unificazione delle due chiese. A Lione il 7 maggio 1274 si apre un concilio cui partecipano 300 vescovi. In ritardo arrivano i greci, dopo un mese, alla fine giunge pure una delegazione mongola. Si giunge all’unione coi i greci. Michele VIII incontra una nutrita resistenza tra il popolo. L’alto clero è passivo. Il patriarca Giovanni IX, favorevole, non riesce a togliere gli ostacoli. Ostile e più tenace è l’opposizione dei monaci che influenzano popolo e corte. Papa Martino IV (12811285), succube degli Angiò, scomunica Michele VIII e i suoi collaboratori per i temporeggiamenti. L’unione era stata annunciata a Bisanzio nel 1277 ma i vescovi greci non avevano voluto prestare giuramento di fedeltà al papa e si erano rifiutati di inserire nel Credo il Filioque. In occidente frattanto diminuisce sempre più la volontà di fare una crociata per restaurare l’impero latino d’Oriente. Anche nel corso del sec. XIV ci sono trattative tra Roma e Bisanzio, ma si tratta di un ecumenismo politico, portato avanti dagli imperatori bizantini, nei loro viaggi in occidente, perché si fa sempre più pressante la minaccia turca. Martino V, sull’onda della fine dello scisma d’occidente, spera nella conclusione di quello con l’oriente ed invita i greci ad un concilio di unione. Nel 1430 si conviene che esso avverrà in una città costiera dell’Adriatico; oltre all’imperatore di Bisanzio vi parteciperanno i patriarchi orientali ed altre 700 persone a spese della Chiesa latina. Frattanto è in corso il concilio di Basilea. 2. L’INIZIO DEL CONCILIO Gli orientali rifiutano Basilea come luogo del concilio. Tra settembre e ottobre l437 arrivano a Costantinopoli i delegati sia pontifici sia del concilio di Basilea. L'8 febbraio 1438 giungono a Venezia l'imperatore bizantino e il patriarca. Il 30 dicembre 1437 Eugenio IV trasferisce definitivamente il concilio a Ferrara. L'8 genn. 1438 si apre ufficialmente il concilio sotto la presidenza del card. Albergati. Frattanto Basilea il 24 genn. sospende il papa. L'imperatore Giovanni VIII e il patriarca bizantino giungono a Ferrara il 4 e l'8 marzo. Il 9 aprile si tiene la sessione solenne inaugurale. L'imperatore ottiene una dilazione di quattro mesi per poter invitare i principi occidentali per esporre loro la causa del suo popolo. Il 4 giugno iniziano le discussioni sul purgatorio. In questo modo si vuole aggirare l'ostacolo e non perdere tempo utile. Come base di accordo il card. Cesarini propone la professione di fede sul purgatorio fatta da Michele VIII Paleologo al 2° concilio di Lione. Non c'è una posizione chiara fra i greci. La discussione sull'argomento termina per un triplice motivo: a) non approda ad alcun risultato; b) il papa e l'imperatore Giovanni sono preoccupati per la situazione politica e la scarsa adesione dei principi al concilio; c) a Ferrara scoppia la peste. L'imperatore viene convinto da papa e patriarca a non attendere là le delegazioni dei principi. La questione del Filioque. L'oggetto riguarda l'intoccabilità o meno del Credo nicenocostantinopolitano, non tanto la dottrina. Fra i greci serpeggia l'intenzione di ritirarsi e rientrare. 3. TRASFERIMENTO A FIRENZE Sorgono problemi economici per il mantenimento da parte della Santa Sede dei greci a Ferrara, a causa del concilio basileense che con la curia parallela incamera rendite. La città di Firenze offre di accollarsi le spese di mantenimento del concilio per otto mesi. Dopo alcune esitazioni i greci accettano il trasferimento, all’inizio del 1439. A Firenze si inizia a trattare il tema della processione dello Spirito Santo. Dopo una fase di empasse nella discussione, l'imperatore propone che la strada per la ricerca dell'unione sia delegata a riunioni di 2 comitati, formati da 10 persone ciascuno. Il papa approva. I comitati si accordano su una formula previa di definizione della processione dello Spirito Santo. Fra i greci, invitati frattanto a chiarire la loro dottrina, c'è molta incertezza nell'accettare la dichiarazione. Dopo Pentecoste, per Storia della Chiesa 2 103 sbloccare la situazione, il papa chiede all'imperatore di potersi rivolgere al sinodo greco. Il suo discorso e un caldo appello all'unione. Si trova finalmente una via d'uscita nel fatto che i santi greci e latini esprimono la processione in modo differente, e i santi sono ugualmente assistiti dallo Spirito Santo. Unione sulla processione dello Spirito Santo . Il patriarca dichiara che le espressioni dal Figlio e attraverso il Figlio si equivalgono. Il 3 giugno si ha la riunione plenaria in cui il patriarca ribadisce la sua posizione e si dichiara in comunione con i latini; a questo punto l'accordo è generale. Alla fine solo altri 4 oltre a Marco Eugenico rimangono all'opposizione. L'imperatore convoca il sinodo dei vescovi per il 7 giugno; e l’8 la formula previa di definizione presentata un mese prima è definitivamente approvata. Altri punti di divergenza. 4 metropoliti greci vengono successivamente invitati esporre le loro opinioni su eucaristia, purgatorio, primato del papa e su essenza ed essenza ed operazioni divine. Per quanto riguarda i primi tre punti i greci si mostrano concilianti, non sul quarto. Il 10 giu. muore il patriarca. Il 26 giu. i greci accettano il primato del papa, aggiungendovi solamente la menzione dei patriarcati. La bolla di unione Lætentur cœli . Il 28 giugno le due delegazioni presso la sacrestia di S. Francesco iniziano la stesura della bolla in duplice lingua. Dopo notevoli traversie, alla terza stesura si raggiunge l'accordo In S. Maria del Fiore se ne ha la solenne promulgazione. La bolla, oltre la questione della processione , stabilisce per l'eucaristia come materia valida anche il pane lievitato. Il purgatorio viene definito come uno stato di patimento nel quale le anime possono essere aiutate dai suffragi della chiesa militante; (si sorvola sulla questione del fuoco). Si dichiara inoltre il primato del papa e la sua plenitudo potestatis, nonché l'ordine e i privilegi dei patriarchi. I metropoliti vengono accolti a Costantinopoli il come reprobi che hanno venduto la loro fede. 4. L'UNIONE CON LE ALTRE CHIESE D'ORIENTE. I francescani con l'aiuto delle autorità genovesi in accordo con il patriarca armeno riescono a portare a Firenze due delegati armeni. Al termine delle discussioni il 22 nov. 1439 viene promulgato il decreto per gli Armeni, la bolla Exultate Deo in cui dopo il Credo nic.-costant. contenente il Filioque, venivano elencati i concili ecumenici precedentemente non riconosciuti dagli armeni, i sette sacramenti con materia, forma, effetti e ministro di ciascuno, il credo di S. Atanasio e una lista delle principali feste in vista di una armonizzazione del calendario. Il 18 dic. 1439 Eugenio IV crea 17 nuovi cardinali, tra cui due greci, Bessarione e Isidoro, i principali fautori dell'unione. Bessarione, su invito del papa tornerà in Italia nel dic. 1440 per risiedere nella curia romana. Isidoro di Kiev, nominato legato a latere per i principati russi e le comunità rutene di Lituania e Polonia, giunge a Mosca il 19 mar. 1441, con le insegne pontificali. Il principe di Mosca Basilio dopo 4 giorni lo fa arrestare e rinchiudere in monastero. Quindi liberato e di nuovo arrestato riesce a tornare a Venezia nel giu. 1443. In Russia il progetto di unione fallisce. Il francescano Alberto di Sarteano porta al patriarca greco di Alessandria una copia della "Laetentur coeli", poi incontra al Cairo il patriarca dei Giacobiti (copti). Egli ritorna con due delegati copti nel 1441. Nella sessione solenne del 4 feb. 1442 viene promulgata la bolla di unione Cantate Domino , che contiene la dottrina latina sulla Trinità, la lista dei libri dell'A.T. e N.T., la lista dei primi sette concili con le rispettive eresie condannate, e delle altre "legittime assemblee". Il papa cerca poi di far giungere il documento al Negus di Addis Abeba (il francescano inviato tentò a tre riprese, venendo anche arrestato; forse una copia giunse effettivamente colà). Il concilio lascia Firenze il 7 mar. 1443 e giunge a Roma il 28 set. Il 30 sett. 1444 in Laterano il patriarca della chiesa siriaca Abdala, giunto a Roma ad opera dei francescani, firma la bolla Multa ed admirabilia . Il domenicano André Chrisobergès porta con sé dei maroniti e dei caldei con i quali si sigla l'unione attraverso la bolla Benedictus sit Deus. 5. LA CADUTA DI COSTANTINOPOLI L'accoglienza dell'unione a Costantinopoli è molto fredda da parte del popolo, dei monaci e del clero che non ha partecipato al Concilio. Alcuni dei firmatari cambiano opinione, altri, sono Storia della Chiesa 2 104 troppo deboli per imporsi. Durante questo periodo, il patriarca rimane praticamente isolato per la debolezza dell'imperatore, mentre Marco Eugenico ha mano libera per condurre la sua campagna antiunionista. L’imperatore Costantino, succeduto al fratello Giovanni VIII, cerca, ma senza riuscirci, di persuadere i capi antiunionisti. Il 12 die. 1452 Isidoro di Kiev promulga a S. Sofia il decreto di unione. 700 mercenari genovesi e 200 alabardieri portati da Isidoro sono gli unici aiuti dell'occidente a Costantinopoli assediata dai Turchi, che cade definitivamente il 23 mag. 1453. Maometto insediandosi in città pone Scolarios come nuovo patriarca, col nome di Gennadio. Storia della Chiesa 2 105 LA CHIESA IN ITALIA NEL SEC. XV Il papato subisce una grave decadenza di potere e di prestigio, viene sempre più coinvolto negli affari politi dell’Italia. Conduce una vita di corte lussuosa, brillante e spesso scandalosa. Si dimostra prodigo verso le arti (è l’epoca dell’umanesimo e del rinascimento) ma rinuncia ad una autorità spirituale effettiva. Si diffonde il nepotismo, come difesa del papa al potere dei cardinali e alle “capitolazioni” che venivano fatte durante l’elezione del pontefice, all’ostilità di potenti famiglie romane feudatarie dello stato della Chiesa, al nazionalismo dei cardinali. Le conseguenze del nepotismo sono : il cumulo dei benefici, la loro assegnazione a inetti, indegni, bambini, l’assenteismo pastorale. Nella curia romana si estende la corruzione, attraverso la vendita degli uffici, che costituiscono fonte di entrata. Per quanto riguarda l’episcopato non mancano buone figure. In genere i vescovi sono di estrazione nobiliare, con legami feudali con i regnanti, e conducono una vita principesca, Si tratta di vescovi aulici, senza vocazione ecclesiastica, vera religiosità e preoccupazione pastorale, anche se mecenati e letterati. I canonici sono simili ai vescovi. Il clero inferiore è numeroso, ignorante, immorale, simoniaco, supplito nella cura pastorale dagli osservanti. Il XV è tuttavia un secolo importante dal punto di vista religioso, Girolamo Savonarola (1452-1498), domenicano, nel 1488 è eletto priore del convento si S. Marco a Firenze ; diventa predicatore ardente di riforma ecclesiastica e di penitenza, vuol fare di Firenze un convento. Eccessivamente legato al potere politico, con il rovescio della fortuna ne segue le sorti. Viene condannato, impiccato e bruciato nel 1498, sotto il pontificato di Alessandro VI Borgia. Il XV è un secolo di grandi santi in Italia : Antonino, arcivescovo di Firenze (†1459) e Lorenzo Giustiniani, protopatriarca veneziano (†1455) ; tra i francescani osservanti Bernardino da Siena (†1449), Giovanni da Capistrano e Giacomo della Marca. Ci sono due sante mistiche : Caterina da Bologna e Caterina da Genova. Nascono tre ordini religiosi : osservanti francescani, carmelitani e minimi (s. Francesco di Paola). Storia della Chiesa 2 106 LA DEVOTIO MODERNA 1. Religiosità individualistica e intimistica Dal punto di vista strutturale, la prassi religioso-ecclesiale del tardo medioevo si limitò a continuare le forme che si erano sviluppate a partire dal primo e dall'alto medioevo. Nel frattempo però si era allargata anche la base dei beneficiari di queste forme, raggiungendo, attraverso l'attività degli ordini mendicanti e attraverso sforzi pastorali, gli strati sociali più bassi con la loro devozione tradizionale e popolare. In tal modo, se da una parte questa venne clericalizzata, dall'altra però penetrarono anche nella devozione ecclesiale forme arcaico-primitíve di prassi religiosa. Si deve dire che la chiesa del tardo medioevo aveva perso la forza e la volontà di purificare, disciplinare e integrare queste forme popolari di religiosità. Così nella devozione tardomedievale che aveva acquisito una base più ampia non furono quasi per nulla sviluppate idee nuove. L'incremento quantitativo di ciò che era già noto era l'elemento che colpiva di più: aumento dei pellegrinaggi, del culto di santi e di reliquie; una devozione eucaristica per cui, nell’esposizione del Santissimo contava il mostrare, il portare in processione, l'esibire (ostensorio); fondazione di messe e 'per l'altare', nonché un'infinità di altre opere buone che, accresciute nel loro valore dalle indulgenze, occupavano nella religiosità individuale un posto importante a proposito della «contabilità salariale per a Cielo». Tali eccessi di una religione tanto favorevole agli aspetti tangibili e all'incremento quantitativo non poteva non provocare una reazione e non risvegliare il bisogno di semplificazione e concentrazione. Nella riformistica 'eliminazione delle immagini' si ebbe una ripercussione di questo rapporto dialettico tra esteriorizzazione ed interiorizzazione. Ma anche questo passaggio aveva il suo antefatto, che appartiene alla religiosità tardomedievale. Questa, infatti, accanto all'esteriorizzazione, conosceva anche una crescente tendenza a favorire individualismo e interiorità. Le linee intersecantisi di questa evoluzione possono essere descritte coi termini di cultura letteraria, Devotio moderna ed umanesimo religioso. Nella cultura letteraria del tardo medioevo la letteratura religiosa di edificazione ricopriva un ruolo importante. Questa letteratura religiosa trovò nel xv secolo una massiccia diffusione, dapprima ancora attraverso i manoscritti, e dalla seconda metà del XV secolo per mezzo della stampa, la cui invenzione deve esser considerata un'importante condizione per lo sviluppo della cultura letteraria. In questo processo venne sempre più in primo piano la letteratura in volgare. La ricerca meno recente vedeva in questo un sintomo di una crescente emancipazione della pietà dai vincoli ecclesiasticoclericali, e l'inizio di una religiosità 'secolare' ed autonoma dei laici. Ma questo modo di vedere pecca di miopia sotto l'aspetto sia personale che strutturale. Infatti la maggior parte degli scritti religiosi nacque nell'ambiente ecclesiastico - clericale; venne tradotto o rielaborato in volgare soprattutto l'antico patrimonio monastico - edificante e scolastico - didascalico. La sociologia della letteratura, la ricerca sul pubblico e la storia della diffusione dei singoli generi letterari non documentano una laicizzazione della formazione religiosa, ma piuttosto l'interesse di ampie cerchie di laící colti a partecipare all'elevata religiosità ascetico-monastica della tradizione. Il suo destinatario era l'individuo, il suo intento la devozione personale e la vita virtuosa. La letteratura religiosa che si spingeva al di fuori del convento rafforzò dunque la tendenza ad individualizzare ed interiorizzare la pietà. I trattati destinati alla lettura personale, come l'Horologium sapientíae di Heinrích Suso, la Imítatío Chri'sti di Tommaso di Kempen, gli innumerevoli libriccini consolatori, gli 'specchi dell'anima' e 'della coscienza' trovarono amplissíma diffusione. Lo stesso vale per le guide alla devozione personale, come le considerazioni sulla vita di Gesù, di Maria, dei santi, sulla morte ecc., e per i 'Libri delle ore'. La Devotio moderna, sorta in Olanda alla fine del XIV secolo e rimasta vitale fin addentro il secolo seguente, va collegata a questa tendenza generale. Perciò, non è detto che in altri paesi aspirazioni analoghe e centri spirituali siano stati influenzati o addirittura condizionati dalla Devotio moderna. Inoltre' questa non era innovativa nel suo ideale devozionale e nei modelli. Si rimaneva al livello della cultura letteraria e della relativa prassi religiosa: veniva posto l'accento sulla pia interiorità, mentre si mantenevano le distanze nei confronti delle forme esteriori. Esercitare le virtù in una vita quietamente ritirata dal mondo: ecco l'ideale. Nuovo era il desiderio di vivere in convento senza vincolarsi con dei voti. Ancora all'inizio del XIV secolo la stessa aspirazione aveva portato Storia della Chiesa 2 107 alla condanna e alla persecuzione delle beghine: ora invece questa idea ebbe il riconoscimento della chiesa. La vita monastica definita e determinata giuridicamente veniva ora interpretata come una delle vie verso la perfezione, ma non più come la quintessenza della vita perfetta. Questa concezione dominò totalmente l'umanesimo religioso del tardo medioevo. Alla svolta verso il XVI secolo, l'ideale di religiosità e di erudizione, nutrito da fonti diverse, acquistò poi, nell'umanesimo religioso del tempo, una nuova configurazione e trovò nei padri della chiesa e nella sacra Scrittura norme nuove. Questa pietas, approfondita e sostenuta dalla erudítio, confidava di più nella diretta illuminazione dello Spirito santo che nel magistero della chiesa: questo naturalmente non incorreva ancora nella critica. Le forme tradizionale della pratica religiosa, come pellegrinaggi, culto dei santi ed indulgenze, venivano respinte come esteriorità e superstizioni. La nuova 'opinione pubblica religiosa' veniva diffusa attraverso una poliedrica letteratura e i rapporti personali. Ci si rivolgeva soprattutto alle persone colte della città e delle corti principesche, che costituivano una nuova classe dirigente. Per forma e contenuto questa era già, in abbozzo, una religiosità in cui l'individuo si assicurava direttamente la propria salvezza, accanto all'amministrazione clericale dei sacramenti. Così occorreva ancora soltanto una spinta particolare, perché venisse messa in dubbio addirittura la mediazione salvifica papale-ecclesiale. L'eco ampia e concorde che la concentrazione riformística trovava nella 'sola fede' e che la semplificazione della religiosità trovava nella 'sola Scrittura' era stata preparata dalla religiosità individualistica e intimistica del basso medioevo. Tale concentrazione e semplificazione verificatasi ovunque sotto l'influsso dell'umanesimo religioso, non portava però necessariamente alla chiesa della riforma, ma poteva attuarsi anche nell’ambito della chiesa antica. Su ispirazione di Ruysbroeck e dei certosini fiamminghi nascono i Fratelli della vita comune, una congregazione di laici e chierici al centro dell’Olanda e quindi la congregazione dei canonici di Windesheim (1394-95). Più attivi che contemplativi ; fondano scuole e ospedali. L’obiettivo è una vita comunitaria semplice. La pietà si semplifica, va all’essenziale : è importante far conoscere ai laici la sacra Scrittura in volgare. L’eredità più importante di tale spiritualità è costituita dall’Imitazione di Cristo, che ha per centro l’incarnazione e la redenzione.