CHIMICA CONTRO CHIMICA I.T.I.S. « B. FO OC CA AC CC CIIA A» SAALLEERRN NO O FEED DEER RIIC CO O CO OP PP PO OLLA A V I Ogni anno in Italia vengono impiegate circa 150.000 tonnellate di prodotti fitosanitari. Il beneficio per le produzioni agricole che deriva da queste sostanze - spesso indicate col nome di pesticidi - non è in discussione, ma il loro uso pone questioni in termini di possibili effetti negativi sull’uomo e sull’ambiente. La maggior parte di esse, infatti, è costituita da molecole di sintesi concepite per combattere determinati organismi nocivi e per questo generalmente pericolose per tutte le specie viventi. Sono circa 400 le sostanze attive annualmente utilizzate in Italia, presenti con diverse formulazioni in alcune migliaia di prodotti commerciali. Molte di queste sostanze, peraltro, sono presenti anche nei biocidi, prodotti che trovano impiego in vari campi (disinfettanti, conservanti del legno, pesticidi per uso non agricolo, antincrostanti, ecc.), per i quali non si dispone di dati certi circa le quantità utilizzate e non è possibile pertanto quantificarne esdattamente l’incidenza in termini ambientali. I fitofarmaci sono utilizzati per combattere gli organismi nocivi alle colture, così da raggiungere rese produttive confacenti alle esigenze mondiali in continuo aumento. I pesticidi sono classificati in base all’organismo bersaglio o in base alla classe chimica di appartenenza. Si hanno, pertanto, fungicidi, erbicidi, acaricidi e organo clorurati, organofosforati ecc. I prodotti in commercio non contengono solo il principio attivo ma anche coformulanti e inerti che ne aumentano la persistenza e garantiscono una omogeneizzazione del principio attivo 1 nel prodotto stesso. Le formulazioni commerciali sono svariate, esistono prodotti in soluzione, micro incapsulato, gassoso ecc. Le diverse formulazione agiscono in modo differente, ad esempio un pesticida in polvere può essere facilmente trasportato dal vento mentre quando è micro incapsulato, il rilascio è lento e difficilmente si disperde nell’ambiente circostante. Di un fitofarmaco è importante conoscere il tempo di persistenza e la sua biodegradabilità: è necessario che il prodotto persista per un certo tempo per esercitare l’azione biocida ma è anche utile che, in ogni modo, sia biodegradabile entro un intervallo noto di tempo. Il “tempo di carenza” è appunto il tempo che deve intercorrere tra il trattamento e la successiva raccolta, mentre il “limite di tolleranza” è la quantità di fitofarmaco, espressa in mg/kg, che può essere ancora presente al termine del tempo di carenza. I limiti di tolleranza si stabiliscono tramite esperimenti su cavie, la dose che non comporta danni tessutali e cellulari prende il nome di NOEL (livello del tossico che non comporta alcun effetto sulla salute). Il valore più basso della NOEL è utilizzato per stabilire la dose massima giornaliera o ADI (Acceptable Daily Intake) di sostanza tossica che può essere assunta dall’ignaro consumatore, senza alcun rischio di sviluppo di un danno. La permanenza nell’ambiente del pesticida ancora attivo dipende dalle caratteristiche chimico-fisiche della molecola. Per quanto concerne il rischio di contaminazione, gli addetti al trattamento sono i più esposti per contaminazione cutanea e per esposizione di parti del corpo. L’ingestione del fitofarmaco riguarda, invece, tutti coloro che si cibano di vegetali trattati senza che sia stato rispettato il tempo di carenza. La diffusione dei fitofarmaci nell’ambiente anche a concentrazioni molto basse possono comunque produrre effetti negativi sull’uomo sia per bioaccumulazione, sia per biomagnificazione. La bioaccumulazione riguarda quelle sostanze che tendono ad accumularsi, producendo nel tempo, per assunzioni continue anche infinitesimali, un aumento significativo della loro concentrazione negli organismi viventi. La biomagnificazione riguarda invece la possibilità di assumere involontariamente quantità significative di biocidi solo perché essendo l’uomo al vertice della catena alimentare, va a cibarsi di specie che, bioaccumulando sostanze tossiche, trasferiscono al proprio predatore la somma delle quantità di biocida presenti in ciascuna specie che fa parte della catena alimentare. Una nota contaminazione ambientale è quella dei clororganici, in particolare del DDT, che provocò la quasi estinzione di alcune specie di rapaci per l’inibizione dell’enzima anidrasi carbonica, responsabile del metabolismo del calcio con la conseguenza che si produsse un guscio fragile che non riusciva a completare l’ontogenesi. 2 Per la produzione del pesticida 2,4,5 T si sfrutta la reazione del 2,4,5 triclorofenolo con NaOH che però porta alla formazione di diossina. Tale reazione è di secondo ordine rispetto al cloro fenossido di conseguenza dipende dal quadrato della concentrazione dello ione e dalla temperatura. I clorofenoli vengono largamente utilizzati come principi attivi in erbicidi e conservanti del legno, il più noto è il PCP, pentaclorofenolo. Il legno trattato con questa sostanza, quando brucia, eliminando HCl, porta alla formazione di OCDD ovvero ottaclorodibenzo p-diossina. Ottaclorodibenzo p-diossina In generale si è visto che la produzione di diossine avviene ogni qualvolta si verifica una combustione di sostanze contenenti cloro. Essendo di natura lipofila tende a bioaccumularsi negli strati di grasso. L’uomo è esposto a questo rischio tramite l’ingestione di carne, pesce e prodotto caseari. La poca conoscenza della tossicità di questa classe di composti, ha indotto i ricercatori a formulare svariate nuove molecole organoclorurate che col tempo si sono rivelate gravi pericoli ambientali. I policlorodifenile PCB che furono impiegati come isolanti e refrigeranti per il loro alto punto di ebollizione, inerzia chimica e alto potere dielettrico, costituiscono un valido esempio. Questa classe di sostanze si bioaccumula ed è molto persistente nell’ambiente. I PCB provengono dalla reazione di benzene alla temperatura di 750 °C catalizzata con cloruro ferrico Difenile Dalla stechiometria della reazione derivano quindi diversi congeneri, tutti però sono insolubili in acqua e affini alle sostanze grasse. 3 Per le loro peculiari caratteristiche ebbero grande successo commerciale ma presto si comprese l’elevata pericolosità derivante dalla loro tossicità e persistenza nell’ambiente che produsse danni ambientali ingenti. I PCB alle alte temperature e in presenza di ossigeno portano alla produzione di dibenzofurani, molecole strutturalmente simili alle diossine. Dibenzofurano La molecola presenta un anello furanico interposto tra due anelli benzenici. Tutti i congeneri dei dibenzofurani sono planari e si formano dalla eliminazione di due atomi in posizioni adeguate con sostituzione di ossigeno. In generale la produzione di PCDF avviene quando i PCB vengono portati a temperature inferiore ai 1200 °C. I furani presentano un DOL50 (Dose Letale Orale) più elevato rispetto alle diossine. Studi hanno dimostrato che i PCB, assunti in dosi elevati, provocano il cancro negli animali da laboratorio. I furani sono circa 500 volte più tossici rispetto ai PCB. In sintesi: la tossicità deriva dal grado e dal modello di cloro sostituzioni. Furani, diossine e PCB essendo altamente lipofili si accumulano e non vengono né metabolizzati né espulsi con facilità, solo i composti con carattere polare possono essere eliminati. La tossicità di queste classi di composti è rapportata al composto in assoluto più tossico, per conformazione e numero di sostituzione, il 2,3,7,8 TCDD a cui è assegnato un valore 1. 2,3,7,8-tetracloro-dibenzo-1,4-diossina Tra le molecole organiche tossiche rientrano anche gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) che contengono numerosi anelli benzenici condensati. Si parte da un minimo di due anelli, il naftalene, composto utilizzato come insetticida e presente in commercio come antitarme. IPA a tre anelli, antracene e fenantrene, si sprigionano da combustioni incomplete soprattutto da discariche e raffinerie. Gli IPA sono molto stabili e, a differenza del naftalene, non hanno impiego commerciale. Essi sono tra i maggiori inquinanti atmosferici: quelli a basso p.m. sono in forma gassosa e dopo aver stazionato nell’atmosfera vengono degradati con reazioni radicaliche, gli IPA con più di quattro anelli si condensano su particelle di fuliggine e polvere che respirati, entrano nel circolo sanguigno. 4 Una significativa fonte di inquinamento delle acque ha origine dal petrolio disperso nell’ambiente e dai punti di trivellazione, lisciviazione di IPA dal cresoto (conservante del legno). L’accumulo di IPA nei tessuti adiposi genera la formazione di lesioni e tumori epatici. E’ inoltre da tener ben presente il fatto che gli IPA esercitano la loro attività cancerogena non direttamente ma attraverso un preciso ‘’meccanismo d’azione’’, ovvero attraverso alcuni prodotti del loro metabolismo nel corpo, mediante idrocarbossilasi e idrocarbomonossigenasi. Tali enzimi rendono gli idrocarburi policiclici aromatici più polari e, quindi, essendo più solubili in acqua, sono facilmente eliminati dall’ organismo. Per prima cosa essi vengono trasformati in “ossidi di areni’’: epossidi in cui l’aromaticità di un anello è stata distrutta. L’idrolisi di questi composti, catalizzata da appositi enzimi, porta quindi alla formazione di dioli. I dioli formatisi, dopo ulteriori trasformazioni, sono eliminati anche se alcuni vanno incontro ad un’ulteriore epossidazione. Si formano così degli epossidi diossidrilati che sono le molecole responsabili dell’innesco del processo canceroso. Infatti, queste molecole rapidamente si convertono in carbocationi elettrofili che vanno a legarsi covalentemente ai siti nucleofili delle basi azotate del DNA, esercitando un’azione genotossica (ovvero che induce modificazioni all’interno della sequenza nucleotidica o della struttura a doppia elica del DNA). Proprio questo legame tra il diolo epossidico e il DNA può facilmente portare a mutazioni che aumentano le probabilità di cancerogenesi. Gli IPA si formano da reazioni di ripolimerizzazione di prodotti di cracking, la formazione di anelli aromatici condensati è quella più stabile; gli IPA presenti in atmosfera provengono dal traffico veicolare, dal fumo di sigaretta, dalla combustione del legno ecc. L'analisi chimica degli IPA è effettuata tramite HPLC, utilizzando un rivelatore di tipo fluorimetrico (dato che molti di questi composti danno emissione in fluorescenza) oppure con un rivelatore di tipo UV a 254 nm. Altra tecnica analitica molto usata è la gascromatografia, usando come rivelatore un FID, efficiente ed a basso costo (gli IPA sono idrocarburi e quindi combustibili), oppure combinata con la spettrometria di massa (gas-massa). 5 Due ceppi batterici per il biorisanamento da IPA L’uso delle tecniche di biorisanamento ormai consolidate hanno avuto il massimo successo in questi anni nella biodegradazione del naftalene a opera del batterio Pseudomonas putida in grado di utilizzare gli idrocarburi aromatici come fonte di carbonio e energia. Pseudomonas è un genere di batteri appartenenti alla famiglia delle Pseudomonadaceae. Sono bacilli gram-negativi e hanno le seguenti caratteristiche: Non formano spore Sono mobili con uno o più flagelli Hanno metabolismo aerobico Sono in grado di crescere su una vasta gamma di substrati organici La maggior parte sono organismi saprofiti e vivono nel suolo o nelle acque in cui svolgono un ruolo importante nella decomposizione, biodegradazione e nei cicli del carbonio e dell'azoto. A causa di questo stile di vita, gli Pseudomonas sono caratterizzati da una grande diversità metabolica e sono in grado di utilizzare una vasta gamma di fonti di carbonio, tra cui alcune molecole che altri organismi non possono abbattere. Di conseguenza, essi sono importanti organismi impiegati nel biorisanamento. Per alcuni ceppi batterici di Psuedomonas sono ormai noti i passaggi di degradazione, gli enzimi coinvolti. Gli enzimi in gioco sono stati caratterizzati per cui si conosce la loro struttura e meccanismo di azione. In particolare, l’aspetto più interessante consiste nella capacità di una particolare proteina la naftalene-1,2-diossigenasi, che catalizza la reazione : naftalene + NADH + H+ + O2 ⇄ (1R,2S)-1,2-diidronaftalene-1,2-diolo + NAD+ 6 L’azione della diossigenasi porta, dunque, alla formazione di un diolo. Esso viene convertito da altri enzimi in salicilato e poi in catecolo, un intermedio chiave che permette la rottura dell’anello ottenendo piruvato e acetaldeide (rottura extra-diolo) o succinil CoA e acetil CoA (rottura intra-diolo) ovvero prodotti che rientrano nel ciclo di Krebs. Pattern degradativo del naftalene ad adopera di Pseudomonas Putida 7 Alcuni membri del Mycobacterium genere sono in grado di degradare l'ambiente varie sostanze chimiche tossiche. Il Mycobacterium vanbaalenii PYR-1 è stato trovato in Texas nel 1986. Si distingue per la sua capacità di degradare gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) come il pirene che usa come suo unica fonte di carbonio e di energia. Gli IPA ad alto peso molecolare sono comuni inquinanti organici; alcuni, come il pirene, si trovano nella combustione incompleta di prodotti petroliferi. I Mycobacteria sono grampositivi, batteri che vivono soprattutto nel suolo e sono coinvolti nella decomposizione dei materiali organici. Come altri Mycobacterium, il M. vanbaalenii è un batterio aerobico. Ha una forma ad asta e non è dotato di movimento. Le cellule possono crescere singolarmente, in coppia, o gruppi con quasi nessuna variazione di dimensioni o forma. A differenza degli altri batteri ha uno strato di cellulosa idrofobo nella parete cellulare più spesso che lo rende particolarmente resistente e in grado di crescere in condizioni in cui altri batteri non hanno potuto. La temperatura ottimale per la crescita è di 24\30°C. Parete cellulare dei batteri G- e G + 8 Il derivato dell’IPA si lega al DNA Il diolo epossidico viene legato al DNA attraverso attacco nucleofilo, ad esempio da parte della adenina. L’attacco covalente del grosso residuo idrocarburico rappresenta un evidente danno per il DNA. Questo danno provoca delle mutazioni e, con le mutazioni, una maggiore probabilità di cancerogenesi. L’idrocarburo in assoluto più cancerogeno è il benzo[a]pirene che presenta 5 anelli (prodotto di combustioni incompleta di rifiuti, combustibili fossili e legno) assieme al benzo[a]antracene. Si è visto che IPA che hanno subito metilazioni presentano un potere cancerogeno amplificato. I gas di scarico contengono un diverso tipo di IPA che presenta il gruppo nitro –NO2 (nitro pirene e dinitro pirene) responsabile dell’insorgenza del cancro. Poiché gli IPA rappresentano solo lo 0,1% del particolato atmosferico, l’assunzione quotidiana è dovuta soprattutto all’alimentazione. 9 Idrocarburi policiclici aromatici più comuni Il caso di Porto Marghera La laguna di Venezia è un ecosistema che ha subito un lungo impatto antropogenico; recentemente è stato riscontrato un significativo accumulo di POP’s nei sedimenti e nella fauna marina. I sedimenti contengono una elevata concentrazione di questi inquinanti soprattutto nel raggio d’azione dei canali industriali. Vista la massiccia attività di pesca delle vongole 10 (tapes philippinarum) nei pressi dei canali è risultato necessario stimare il rischio per la salute dei consumatori. In particolare Diossine e PCB, per la loro bassa biodegradabilità, tendono a bioaccumularsi e, trasferendosi nella catena trofica, danno fenomeni di biomagnificazione. L’uomo, essendo predatore apicale, rappresenta un indicatore dello stato di salute dell’ambiente in cui vive. Negli ultimi 10 anni, per far luce riguardo la contaminazione, sono stati pubblicati studi che riportano soprattutto monitoraggi delle concentrazioni dei POP’s. I dati pubblicati concordano nel dimostrare che le massime concentrazioni sono in corrispondenza dell’area industriale e della parte di laguna prospiciente Porto Marghera, mentre i centri urbani come Venezia costituiscono fonti secondarie di inquinanti organici. Le concentrazioni di POP’s sono di 1-3 ordini di grandezza maggiori dell’età preindustriale (dal 1950 al 2000 sono stati scaricati in laguna circa 6 kg di diossina provenienti dalla produzione di CVM), i sedimenti che li contengono sono il veicolo di POP’s alle vongole. La pesca ormai bandita di tali specie, ma condotta illegalmente, rappresenta un fattore di rischio per la salute umana non trascurabile. I laboratori dell’INCA hanno sperimentato un modo per detossificare naturalmente la fauna ittica contaminata entro 60 giorni. Le vongole contaminate vengono prelevate e deposte in ambienti lagunari a bassa contaminazione. Seveso, 1976 Nello stabilimento chimico dell’ICMESA una valvola di sicurezza di un reattore esplode provocando la fuoriuscita di alcuni chili di diossina nebulizzata. Era noto che con il surriscaldamento della reazione si sarebbe formata diossina. L’impianto fu lasciato carico un sabato, con la convinzione errata che il processo sarebbe progredito lentamente fino al lunedì. Le cose andarono in modo diverso, la reazione si innescò fuori controllo, ci fu una esplosione e i prodotti di reazione furono proiettati nell’ambiente circostante. Il vento disperse la nube tossica verso est; nella Brianza. Dopo quattro giorni dall’incidente iniziò la moria degli animali, morirono galline, uccelli, conigli. Le foglie degli alberi ingiallirono e caddero, gli alberi in breve tempo morirono, come tutte le altre forme vegetali. Nell’area interessata vivevano circa 100.000 persone. Solo dopo pochi giorni si verificarono i primi casi di intossicazione nella popolazione. Il 15 luglio il sindaco emanò una ordi- 11 nanza di emergenza: divieto di toccare la terra, gli ortaggi, l’erba e di consumare frutta e verdura, animali da cortile, di esporsi all’aria aperta. Si consigliò accurata igiene della persona e dell’abbigliamento. I casi di intossicazione aumentarono, i più colpiti furono i bambini. Si diede nome a una malattia quasi sconosciuta: la cloracne. La cloracne è il sintomo più eclatante dell’esposizione alla diossina, colpisce la pelle soprattutto del volto e dei genitali, se l’esposizione è prolungata si diffonde in tutto il corpo. Si presenta con comparsa di macchie rosse che evolvono in bubboni pustolosi giallastri di difficile guarigione, e la pelle cade a brandelli. Inoltre compromette le funzionalità epatiche, l’inalazione del composto comporta seri problemi respiratori. Dalle analisi risultava una elevata concentrazione di TCDD nella zona maggiormente colpita dalla nube tossica. Il terreno contaminato venne suddiviso in tre zone concentriche, a seconda della quantità di diossina. Il composto che si deposita sul terreno non è assolutamente biodegradabile né è intaccato dai microrganismi presenti nel terreno. La diossina non provocò morti tra gli abitanti, ma distrusse l’equilibrio eco biologico. Si sospetta che a 30 anni di distanza, il terreno sia ancora contaminato di diossina nonostante l’impianto ICMESA sia stato interrato e al suo posto sia sorto il “Bosco delle Querce” con flora e fauna importate, come simbolo per non dimenticare. 12 Analisi dei fitofarmaci L’analisi dei pesticidi nei prodotti vegetali destinati al consumo alimentare è da tempo diventata una delle più importanti analisi di routine per i laboratori data la complessità delle matrici ed il livello di concentrazione dell’analita, spesso estremamente basso (ppb). Dati i limiti di rivelabilità è indispensabile l’impiego di un rivelatore specifico come l’ ECD1. Anche le colonne devono soddisfare determinati requisiti come un’elevata inerzia chimica e una buona tolleranza verso eventuali accumuli di sostanze non eluite. Queste ultime devono essere eliminabili mediante lavaggio con solventi che la colonna deve essere in grado di sopportare. Metodica multiresiduo I campioni sottoposti ad analisi si conservano in frigorifero in recipiente di vetro scuro. La fase critica è l’estrazione, in quanto i fitofarmaci appartengono a classi chimiche diverse. Il solvente generalmente solubilizza non solo gli analiti ma anche moltissime altre molecole, che risultano interferenti nel metodo. Il campione si omogeneizza con acetone che non è fortemente polare e risulta un buon solvente. Per 100g di vegetale si impiegano 200ml di acetone. L’estrazione è migliorata con l’impiego degli ultrasuoni. Per l’analisi è necessario prevedere lo standard di processo. Nella fase iniziale si aggiunge uno standard interno a concentrazione nota e che sicuramente non è presente nel campione (DDT). Dopo la filtrazione dell’eluato si prelevano 10 ml che contengono anche il DDT, una quota parte (1 ml) si fa passare attraverso una (SPE) cartuccia polare (SiO2) e si lava con etere di petrolio per allontanare le sostanze apolari. Gli analiti così purificati sono estratti dalla colon- 13 nina con metanolo. A seconda del rivelatore si utilizzano standard differenti. In particolare per la GC-MS si utilizza del DDT deuterato2. 1 Rivelatore a cattura di elettroni (ECD, Electron Capture Detector), un radioisotopo, in genere 63Ni viene utiliz- zato come sorgente. Composti contenenti atomi elettronegativi, fortemente assorbenti il flusso di elettroni tra la sorgente ed un rivelatore di elettroni, possono venire visualizzati via via che eluiscono dalla colonna gascromatografica. In genere queste molecole sarebbero scarsamente visibili con altri detector: ad esempio molti composti alogenati oltre a non bruciare sono addirittura estinguenti la fiamma, e porrebbero dei problemi ad un FID. 2 La spettrometria di massa e’ una tecnica analitica strutturale basata sulla ionizzazione di una molecola e sulla sua successiva frammentazione in ioni di diverso rapporto massa / carica (m/z). Questa tecnica consente di misurare le masse molecolari e di ottenere dei profili di frammentazione che sono specifici per ciascun composto, di cui costituiscono quindi un’impronta digitale (analisi qualitativa). Si può così individuare la formula di struttura di composti sconosciuti, anche avendone a disposizione piccole quantità. L’utilizzo in accoppiamento con le più comuni tecniche cromatografiche (cromatografia liquida e gassosa) rende lo spettrometro di massa un detector di elevate prestazioni. In questo modo la tecnica da puramente qualitativa diviene una tecnica quantitativa di notevole versatilità. La rapidità e la selettività di analisi sono solo le maggiori caratteristiche della spettrometria di massa impiegata come detector cromatografico. 14 Per distruggere ciò che si è creato Nell’odierno immaginario collettivo la chimica è vista come la scienza responsabile della produzione di molecole pericolose e, quindi, l’agettivazione chimico è costantemente usato come negativo. Come tutte le scienze nessuna è cattiva o buona ma dipende dall’uso che l’uomo ne fa. Negli USA è nata l’esigenza di bonificare i teatri di guerra che hanno subito attacchi con gas nervino ma, vista la somiglianza, anche per abbattere la tossicità dei pesticidi organo fosforici che hanno soppiantato gli organo clorurati. Gli organo clorurati sono caratterizzati da tossicità cronica come fa riferimento il DDT, bandito negli anni ’70. DDT 1,1,1-tricloro-2,2-bis(p-clorofenil)etano Gli organo fosfati sono dotati di tossicità acuta e provocano danni devastanti. L’intossicazione avviene per inalazione o assorbimento cutaneo (gruppi lipofili). L’oggetto della ricerca USA si chiama Salen derivato dalla condensazione di due molecole: aldeide salicilica e etilendiammina. Il Salen è capace di scindere i legami P=O e C=O in un’unica reazione diretta e senza reazioni secondarie, questo processo risulta di gran lunga più economico rispetto alle idrolisi catalizzate da metalli rari e costosi come Ag, Pd, Pt ecc. Anche altri composti sono adatti ma non sono selettivi e danno reazioni esplosive e corrosive. Le molecole sulle quali opera il Salen sono gli esteri dell’acido fosforico che sono alla base di molti pesticidi e gas nervini. 15 Struttura tipica dei pesticidi R’’’ | R’ – O – P = S | O – R’’ R’ , R’’ sono gruppi lipofili Struttura tipica dei gas nervini R’’’ | R’ – O – P = O | O – R’’ R’’’ è un gruppo elettricamente instabile Gli organo fosfati presentano: • un ossigeno legato con doppio legame al fosforo P=O (nei composti meno tossici P=S) • due gruppi lipofili che veicolano la molecola attraverso le membrane cellulari • un gruppo elettricamente instabile (un alogenuro) che rende la molecola più reattiva. Motivo di tossicità Gas nervini e pesticidi sono in grado di inattivare l’enzima acetilcolinaesterasi, responsabile per la trasmissione neuromuscolare dei segnali nervosi, negli insetti e nei mammiferi. Il meccanismo d’azione consiste nell’instaurazione di un legame covalente tra l’atomo di fosforo e il gruppo ossidrile della L-serina, amminoacido presente nel sito catalitico. L’acetilcolinaesterasi è un enzima fondamentale per il corretto funzionamento motorio e rappresenta un punto critico del nostro sistema nervoso. L’idrolisi dell’acetilcolina in colina e acido acetico, tramite l’acetilcolinaesterasi, è inibita dalla reazione coi gas nervini. Acetilcolinaesterasi È un’ inibizione irreversibile nella quale le molecole dell’inibitore (I) si legano irreversibilmente ai residui del sito attivo formando un complesso stabile enzima – inibitore (E-I), incapace di trasformarsi in prodotto; il substrato per tanto non può interagire con l’enzima. E + I + S EI + S EI X P 16 I composti organo fosforici furono impiegati per la formulazione di armi chimiche durante la seconda guerra mondiale, ma anche di recente a Tokyo nel ’95 è stato utilizzato il Sarin da una setta neo buddista che ha portato la morte a 12 persone, intossicandone 300. Il Sarin è un gas incolore, inodore, facile da sintetizzare e venti volte più tossico del cianuro; i sintomi sono abbassamento della pressione sanguigna, defecazione e minzione involontaria, cianosi, vomito e sensazione di soffocamento, il decesso sopraggiunge entro 10 minuti. L’utilizzo degli esteri fosforici ha indotto i chimici a sintetizzare antidoti: quello maggiormente efficace è la pralidossima che, se tempestivamente somministrato, si lega all’inibitore staccandolo dal sito attivo ripristinando le funzioni dell’acetilcolinaesterasi, in contemporanea si somministra l’atropina che interrompe i segnali di contrazione muscolare. Pralidossima Atropina I pesticidi organo fosforici furono identificati nel 1932 e realizzati dalla Bayer. Sfortunatamente durante la seconda guerra mondiale, il governo nazista costrinse gli scienziati a sviluppare armi chimiche come il sarin, il tabun e il soman. Nel contempo le truppe inglesi avevano già sperimentato il diisopropilfluorofosfato (DPF) e negli anni ’50 il temuto VX che provocava la morte al solo contatto cutaneo. Sarin Tabun Soman DPF VX Il Salen è un esempio del cambiamento di volto della chimica che è sempre più vicina all’ambiente e all’ ecosostenibilità. 17