OCCHI: UN DOLCE LUME
Studio critico sulle canzoni 71,72,73 di Petrarca
a cura di Costanza Lamotte classe III B ind. Figurativo Liceo artistico “A.
Gentileschi” Carrara A.S. 2010/11
IL CANZONIERE DI PETRARCA
Francesco Petrarca nasce ad Arezzo nel 1304, al seguito del padre, esiliato da Firenze. Insieme a lui,
la famiglia si stabilì presso Avignone, dove Francesco iniziò gli studi e si dedicò
all’approfondimento dei classici latini, in particolare di Cicerone, Virgilio e Tito Livio.
Nel 1327, nella Chiesa di Santa Chiara in Avignone, incontrò Laura, la donna che amò per tutta la
vita e che fu l’unica sua grande ispiratrice.
Nel 1347 fu a Roma, attratto dalle imprese di Cola di Rienzo, che però lo deluse.
Nel 1348 giunse a Verona come ambasciatore di Papa Clemente VI, in seguito andò a Firenze dove
conobbe Boccaccio, e nel 1351 tornò ad Avignone.
Petrarca tollerava sempre meno l’ambiente corrotto della città, e in lui cresceva sempre più l’amore
per l’Italia.
Prese dimora a Milano, ospite dei Visconti. Per sfuggire alla peste, nel 1361 si trasferì a Padova,
quindi a Venezia, ospite fino al 1368 della Repubblica e fissando poi definitivamente la sua dimora
sui Colli Euganei, dove morì.
Petrarca affida la sua immagine di scrittore ai testi latini in versi e in prosa e il suo amore per i
classici tradisce il lettore ancora imbevuto di Cristianesimo e di Medioevo, ma innegabile è il gusto
con il quale egli distingue il latino classico da quello cristiano.
L’umanesimo di Petrarca si basa in misura maggiore sull’attività letteraria e filosofica: egli si
impegnò polemicamente nel rifiuto della cultura scolastica e aristotelica, soprattutto in base al
pensiero di S. Agostino.
Grazie al possesso di alcuni manoscritti autografi e di copie, condotte sotto la diretta sorveglianza
del poeta, ci è possibile in molti casi conoscere le varie redazioni petrarchesche di uno stesso testo,
studiare le correzioni apportate dal poeta, valutare il suo meticoloso intervento di lima anche a
distanza di parecchi anni dalla stesura.
Ogni intervento di correzione su un testo determina l’esigenza di riconsiderare il testo stesso nella
sua interezza, per valutare le conseguenze delle novità introdotte in esso. E’ ciò a determinare
correzioni a catena, con riscrittura di parti intere.
Questo principio, poi, può, in casi particolari, applicarsi anche nei confronti di testi limitrofi a
quello sul quale è operato il cambiamento, soprattutto quando vi sia affinità tematica e continuità
narrativa.
Il suo più grande capolavoro ha il titolo di Francisci Petrarche laureati poete Rerum vulgarium
fragmenta (Frammenti di cose in volgare di Francesco Petrarca, poeta laureato).
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E’ invalso però nella tradizione, già anticamente, il titolo generico di Canzoniere, accanto al quale
si trovano anche altri titoli, quali Rime e Rime sparse.
Il riferimento ai “frammenti” contenuto nel titolo petrarchesco allude anzitutto al carattere appunto
frammentario della narrazione quale viene presentata al lettore attraverso i testi poetici, dotati
ciascuno di autonomia poetica.
D’altra parte il riferimento ai “frammenti” comporta anche l’identificazione di un tema centrale
della ricerca petrarchesca: la ricostruzione e la ricomposizione della personalità psicologica e
morale del poeta, lacerato da esperienze e passioni contrastanti, diverse nel tempo e spesso anche
conviventi. In questo senso il Canzoniere rappresenta il tentativo di dare un senso complessivo e
un’unità ai vari momenti dell’esistenza.
Scritte lungo tutto l’arco della sua vita, queste rime sono in massima parte per amore di Laura, ma
contengono anche due canzoni civili (Italia mia e Spirito gentile).
Il processo di elaborazione del Canzoniere fu piuttosto complesso, tanto che Petrarca ne apprestò
ben 9 redazioni; l’ultima stesura, sistemata tra il 1373 e il 1374, consta di 366 rime: è tutta l’Opera
come un diario d’amore, di malinconia, di rimpianto e si chiude con la canzone alla Vergine, cioè
con il pentimento religioso.
Nella sua forma definitiva il libro si presenta come un diario. Infatti i testi sono scritti in prima
persona e si riferiscono a esperienze, sentimenti, idee di un unico personaggio, coincidente con la
persona dell’autore.
La disposizione dei testi segue un criterio prevalentemente cronologico. Egli vuole ricostruire
davanti al lettore un itinerario che trasmetta sia il senso dell’immediatezza dell’esistenza, sia un
esempio morale.
I testi definiscono la cronologia dei fatti narrati, non quella della scrittura. In pratica, per fare un
esempio, è possibile che un sonetto composto in anni tardi sia collocato nella parte iniziale
dell’opera, se tratta temi particolarmente legati al periodo cui si riferisce quella parte del libro.
D’altra parte, poiché l’insieme dei testi vuole disegnare una parabola che abbia un valore ideale,
l’opera è, oltre che un diario, un’autobiografia. La natura di diario è data dal riferimento puntuale a
fatti e situazioni. La natura autobiografica è data dalla costruzione generale dell’opera.
Dal punto di vista dei singoli testi prevale il taglio diaristico. Dal punto di vista della loro
organizzazione nel libro prevale il taglio autobiografico.
Il Canzoniere racconta le alterne vicende di un amore non ricambiato per una donna di nome Laura
che rappresenta, per molti aspetti, una figura a sua volta nuova rispetto alla tradizione lirica d’amore
precedente.
Ella si mostra infatti dotata di una propria specifica personalità, definita dalle tappe biografiche
(giovinezza, invecchiamento, malattia, morte), dalle notizie anagrafiche (a partire dal nome e dal
luogo di nascita), dalla concezione morale e ideologica (la quale è all’origine del rifiuto di
ricambiare l’amore del poeta). Inoltre Laura determina alcuni fatti narrativi fondamentali. La donna
può mostrare stati d’animo e atteggiamenti via via decisivi per le reazioni del poeta e per lo
sviluppo della situazione narrativa, può essere di buon umore o contrariata, può ammalarsi e
guarire.
Tra la Laura viva inutilmente amata dal poeta e la Laura morta, da questi rimpianta e sublimata, si
compie una significativa trasformazione.
La donna , morta, collabora , con il suo insegnamento morale, a ricostruire la personalità e l’identità
del poeta, prima divise fra tentazione erotica e sublimazione religiosa.
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La morte introduce d’altra parte il tema decisivo dell’assenza, al quale si aggiunge quello della
memoria, tra i più importanti e originali del Canzoniere.
A Laura si associa una complessa serie di riferimenti culturali, espressi soprattutto dal nome steso
della donna.
Il “lauro” (o alloro) è un’eco del nome dell’amata che richiama sia la sacralità dell’arte (in quanto
pianta sacra al dio pagano delle arti Apollo) sia la “laurea” poetica conseguita da Petrarca a Roma
(e affidata appunto, tradizionalmente, a un’incoronazione di lauro). Una svolta si realizza dopo
che la canzone 70 ha ripercorso, attraverso citazioni di incipit memorabili, la linea maestra della
poesia amorosa in volgare (il provenzale Arnaut Daniel, Guido Cavalcanti, Dante Alighieri, Cino da
Pistoia e lo stesso Petrarca): le canzoni 71,72 e 73, in lode degli occhi di Laura, mostrano in atto
la sublimazione del desiderio e celebrano l’elevazione spirituale che la donna ispira, accogliendo
un’ottica stilnovista . Ma la svolta non è definitiva: il narratore conosce presto una ricaduta e
riprende i suoi ondeggiamenti fra ripianti per il tempo perduto, rinnovate speranze di infrangere la
durezza di Laura, lodi estatiche della sua bellezza, sensi di colpa e tentativi di sottrarsi al gioco
amoroso.
La svolta definitiva, preparata da una serie di premonizioni, ha luogo subito dopo l’inizio della
seconda parte del Canzoniere, quando il sonetto 267 annuncia la morte di Laura.
Da un punto di vista di storia dei generi l’elemento più innovativo del Canzoniere consiste nel
disporre le poesie entro una struttura narrativa. La storia dell’amore per Laura ha inizio in un giorno
preciso, il 6 aprile 1327 (data dichiarata nel sonetto 211); viene scandita da vari testi di anniversario
che commemorano il giorno dell’innamoramento; viene segnata dalla morte della donna, occorsa il
6 aprile 1348. Il numero delle poesie del Canzoniere, 366, allude probabilmente al numero dei
giorni di un anno: al di là delle varie forme di struttura calendariale che sono state ipotizzate al
riguardo, sembra innegabile la volontà petrarchesca di rendere la sua raccolta lirica una sorta di
breviario laico.
La coincidenza delle date indica, in se stessa, il carattere esemplare della vicenda; e in particolare il
ritorno del numero sei ne fa un numero consacrato a Laura, così come il nove lo è alla Beatrice di
Dante. Tale numero sei è contenuto due volte, non casualmente, nel numero totale dei
componimenti che formano l’opera, così come due volte esso ha avuto una funzione decisiva nella
vita di Petrarca.
Il Canzoniere comprende diverse forme metriche alternate fra loro: 317 sonetti, 29 canzoni, 9
sestine, 7 ballate e 4 madrigali. Petrarca dunque rifiuta sia la frequentazione di un unico metro
(ossia, in sostanza, il modello duecentesco della corona di sonetti) sia la disposizione dei testi su
base metrica, affidando alla loro mescolanza il compito di suggerire una varietà formale oltre che
contenutistica .
Meritano di essere rilevate, perché sono scelte che avranno conseguenze nella poesia dei secoli
successivi, l’emancipazione della sestina quale forma autonoma di canzone e la promozione del
neonato madrigale a genere della lirica alta; viceversa, la ballata conosce una svalutazione rispetto
alla pratica duecentesca.
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LE CANZONI DEGLI <<OCCHI>>
Le canzoni 71,72,73 prendono il nome di cantilene oculorum o canzoni degli occhi e su di esse
vogliamo focalizzare la nostra attenzione.
Le canzoni sono caratterizzate dall’essere omometriche, differenziandosi per il solo numero delle
stanze che le compongono, e dall’avere una forte unità macrotestuale.
Nonostante la grande fortuna che conobbero in ambito cinquecentesco, nota è infatti
l’interpretazione in chiave platonica che ne fece Bembo, esse non hanno goduto della stessa fortuna
nel recente risorgere degli studi petrarcheschi, almeno secondo la studiosa Claudia Berra.
Solo alcuni critici ci si sono dedicati, come Santagata, che ne ha studiato le matrici stilnovistiche; il
Bettarini ed il Molinari che hanno segnalato l’ambiguità dei componimenti nei quali la loda, tipica
della poesia del tempo, perviene a un amaro fallimento.
Petrarca intreccia in esse suggestioni opposte.
La disparità nel numero delle stanze tra le tre canzoni LXXI di sette stanze, LXXII di cinque e
LXXIII di sei è spiegata dalla Berra con la considerazione che la prima delle tre contiene una sorta
di prologo generale, al quale segue, nella seconda strofa, il vero e proprio prologo della canzone.
Nel 1545 appare il Volume primo delle “Rime diverse di molti eccellentissimi autori” edito dal
tipografo veneziano Gabriele Giolito per la cura di Ludovico Dolce, e in cui Benedetto Varchi,
console per quell’anno dell’Accademia fiorentina, pronuncia tra l’aprile e il giugno le sue otto
lezioni Sulle tre canzoni degli occhi.
Il letterato fiorentino, sebbene allievo di Bembo, di cui intendeva proseguire il progetto linguistico,
del maestro non accettava la condanna di Dante in quanto più filosofo che poeta, nè si limitava,
come il sodale Sperone Speroni, a separare le due figure col conseguente avvilimento della seconda.
Così , “se Bembo bocciava Dante perché filosofo, Varchi promuove Petrarca (proprio) perché
filosofo, maestro non solo di lingua e di stile, ma anche di medicina e teoria psicologica”.
Il quarto giovedì d’aprile del 1545 il letterato fiorentino di fronte agli accademici riuniti esordisce
dicendo “i poeti ed i filosofi sono nel vero una cosa medesima.”
Ne consegue la necessità di descrivere lo statuto retorico dei loro componimenti, di render conto
delle loro grazie stilistiche, delle loro scelte linguistiche e grammaticali, ma sempre per arrivare al
contenuto di verità.
La prima lezione è così dedicata alla descrizione dell’oggetto: descrizione innanzitutto retorica,
visto che le tre canzoni sono considerate come un discorso oratorio continuo appartenente al genere
dimostrativo, ossia rivolto alla lode; e Varchi è ben attento a distinguere tra unità delle tre canzoni e
unità dell’organismo poetico nel suo complesso, prendendo in tal modo le distanze da ogni ipotesi
di possibile “romanzo” d’amore, per invece rimarcare l’esemplarità del testo in quanto discorso
oratorio.
Non uomo è dunque Petrarca agli occhi di Benedetto Varchi, ma poeta e filosofo: amante, sì, per
tradizione, ma soprattutto perché psicologicamente e intellettualmente compromesso nella passione
nobilitante per eccellenza; amante sì, allora, ma in quanto “dotto amante”.
L’analisi non manca insomma di rispettare il linguaggio specifico dell’arte, anzi il discorso artistico
viene attentamente valutato senza nemmeno rinunciare alla tradizione fiorentina di leggere l’autore
con l’autore, di spiegare lezioni e scelte espressive con paralleli prelevati da altri punti del
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Canzoniere, ma sempre tenendo di vista l’obiettivo principale: che è quello di far trapelare dal
tessuto retorico il contenuto di verità.
Tale è l’impostazione, per esempio, anche lì dove, dopo aver dichiarato che gli occhi di Laura non
potevano esser “dipinti più leggiadramente” che con il sintagma “soavemente tra ‘l bel nero e ‘l
bianco” fa appello all’auctoritas scientifica di “Aristotele e Galeno” secondo la quale “negli occhi
non è colore nessuno veramente, ma solo in apparenza, come si vede nell’arcobaleno”,
confermando a conclusione sia la lezione poetica sia l’osservazione medica.
Quanto alla filosofia, poi, la convergenza del pensiero aristotelico e di quello platonico è nel
letterato fiorentino assai significativa.
Allo stesso modo in cui Giovanbattista Gelli utilizza argomenti e categorie aristoteliche dentro una
griglia prevalentemente platonica, così il Varchi introduce categorie e argomenti platonici dentro un
sistema prevalentemente aristotelico.
Certo, la strumentazione concettuale è per lo più riferita al primo filone, ma anche l’altra tradizione
appare con frequenza, e non sol come omaggio alle tradizioni quattrocentesche di Firenze se è vero
che, per tacere di numerosi altri riscontri minori, all’inizio della lezione settima viene fornita una
descrizione della gerarchia dei tipi di amore che risale direttamente alla scuola ficiniana e al
commento del Simposio.
Il prevalente interesse delle Lezioni tutte, queste “degli occhi” come le altre “dei sensi”o
“dell’amore”, resta rivolto alla matrice filosofica che soggiace al discorso poetico.
E resta prevalente la declinazione naturalistica piuttosto che quella metafisica, ossia in senso lato
aristotelica piuttosto che platonica.
Infatti spesso l’esposizione del testo petrarchesco lascia il posto a lunghe digressioni sul dolore, la
memoria, la circolazione del sangue e la sede fisica di amore.
In queste e altre occasioni Varchi spiega dunque al suo uditorio accademico la natura dell’amore e il
funzionamento dell’immaginazione, ossia dell’anima sensitiva, senza perdere di vista né il portato
intellettuale di tali dinamiche naturali, né, soprattutto, il testo.
Il nostro autore mira, come si diceva in principio, a valorizzare il poeta in quanto filosofo, non a
ricavare dai testi poetici una storia esemplare, se non, al più, in quanto modello di conoscenza.
Si veda per esempio la spiegazione di RIF 71, 61-75, dove, a proposito dell’espressione “vigor
naturale” (v. 66), si afferma che nel corpo sono quattro doti supreme, le quali corrispondono alle
quattro virtù dell’animo e lo fanno perfetto.
E queste sono una certa vivacità o vero vivezza delle sentimenta, la quale il Petrarca chiamò
dottamente “vigor naturale”, e questa vivezza risponde alla prudenza; perché come l’anima
mediante la prudenza, conosce e comprende le cose agibili, cioè quello che si debba o fare, o non
fare, così l’anima medesima, mediante la bontà dei sensi, comprende e conosce le cose sensibili.
O si veda la discussione del sintagma “l’anima sente” al v. 75, dove si precisa che
se bene egli dica “l’anima sente” si deve intendere dell’anima e del corpo insieme.
Risalta in questi esempi con chiarezza il fatto che Petrarca viene costantemente corretto in chiave
naturalistica, anti metafisica.
La lettura filosofica del Petrarca che abbiamo visto trova nella Firenze di metà Cinquecento il suo
polo aggregatore e propulsivo, si diffonde nei decenni successivi in vari centri culturali italiani,
favorita dal rinnovato successo della tradizione platonica e da un certo ripiegamento spirituale.
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E’ in questo contesto che il trentacinquenne Sebastiano Erizzo, uomo politico veneziano noto nel
mondo letterario per le traduzioni di Platone e per gli scritti di antiquaria, pubblica nel 1561 una sua
“Esposizione nelle tre canzoni di M. Francesco Petrarca. Chiamate le tre sorelle” presso lo
stampatore Andrea Arrivabene.
Se l’oggetto dell’esposizione è il medesimo di Benedetto Varchi, il taglio interpretativo è del tutto
opposto, essendone qui esplicita e insistita la declinazione platonica.
Non che manchino strumenti e concetti aristotelici, com’era inevitabile, e basti segnalare il ricorso
alle quattro cause per spiegare il rapporto del bello rispetto l’amore, ma è senza dubbio la tradizione
concorrente a orientare il ragionamento dell’espositore veneziano, che arriva a dichiarare che con
“l’alte opre sì belle” di Rvf 72, 19 il poeta “non solamente potesse intendere le opere belle del
cielo, cioè le cose celesti prodotte belle dal Creatore”, ma gli esemplari propri delle idee nel cielo
esistenti, alla conversione de i quali l’eterno motore dell’universo genera.
La poesia diventa qui uno strumento per accedere alle idee dell’Iperuranio.
Erizzo parte dal presupposto che il “Poeta perfetto” debba “apprendere i precetti di tutte le ottime
arti”, e in particolare debba “essere intendente della Filosofia”.
Poesia non è certo filosofia, perché si tratta di regimi discorsivi che utilizzano procedure
argomentative differenti; esse si identificano però per quanto riguarda il comune fine educativo e
morale.
Quel che interessa è che il trittico petrarchesco venga non solo interpretato come un unico corpo
allegorico, ma che in esso venga rilevato uno svolgimento dottrinale che sarebbe anche un percorso
morale.
Se così “tutti gli amori si incominciano dal vedere”, nelle canzoni “degli occhi” viene raffigurato
l’amore dell’” Homo contemplativo”, quello che “dalla vista ascende alla mente”
La filosofia naturale del Petrarca si mostrerebbe così ispirata al pensiero del “suo maestro Platone”:
e come Ficino aveva spiegato che l’amor Hereos, o “infermità” d’amore “è una malia, un mal
d’occhio, una incantagione che non ha rimedio”, così Erizzo dichiara che “amore sia un certo male
d’occhio”
I sonetti 74 e 75 dei Rerum Vulgarium Fragmenta costituiscono una sorte di appendice delle celebri
“canzoni degli occhi “Rvf 71, 72 e 73”, che ne conclude il lungo discorso riportandolo alla misura
minore del sonetto: o meglio alla misura intermedia, ben presente nei fragmenta, del dittico dei
sonetti, che oppone due tessere tra loro strettamente correlate, ma di significato contrastante.
La coppia, pertanto, non ha solo funzione di minuendo formale, ma, con un complesso gioco di
rispecchiamenti, esplicita due nuclei tematici profondi delle canzoni, rappresentandone quindi una
postilla importante.
Inoltre, mettendo a frutto gli studi sulla poetica grafico-visiva “Libro d’autore” nel quale la mise en
page è correlata all’articolazione del macrotesto, si può osservare che non solo il terzetto delle
Cantilene “è in realtà un quintetto” ma che anche il sonetto 76 appare legato ai precedenti. (1)
(1)Bologna 2007, p.p 186-187. Per il Vat. Lat come “Libro d’autore” e la sua poetica grafico-visiva.
Questa particolare poetica contraddistinta dall’instabilità risponde appieno, non casualmente, a
come la concezione “stilnovistica” dell’amore è presentata e confutata nel Secretum, che -come è
noto- rappresenta un vero palinsesto del Canzoniere, soprattutto nella redazione degli anni
Cinquanta: in un lungo dibattito, Francesco difende il proprio amore, nobile perché diretto ad una
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donna nobile, mentre Agostino lo biasima perché, nonostante le pretese di purezza, antepone la
Creatura al Creatore; e lo rivela per quello che è, una passione carica di turbamenti e infelicità.
ANALISI DELLE TRE CANZONI
Nella canzone LXXI possiamo notare, almeno nella prima parte, subordinate,ipotetiche, vocativi,
esclamativi che tentano di rendere gli snodi patetici del discorso.
Se la prima parte si focalizza su due temi ricorrenti nelle canzoni: la brevità della vita e l’esito
dolente del canto, la sirma richiama gli occhi, connotati da una serie di attributi derivanti dalla
tradizione stilnovistica.
La seconda stanza costituisce il prologo vero e proprio della canzone, segnato da un “ma”
avversativo e da un vocativo.
Questo canto trascina il poeta verso un oggetto smisurato.
Nel desiderio di cantare Laura il poeta non trova ragione e ne ha sempre maggiore scoramento, in
questa stanza, perciò nasce e si accampa quello struggimento che caratterizza l’intero gruppo.
La terza strofa è dominata da un lato dalla paura mentre dall’altro Petrarca simula la continuità della
scrittura, citando sia le rime petrose di Dante sia la prima parte dello stesso Canzoniere.
Nella quarta stanza ricomincia la lode, ma il lessico impiegato testimonia una passione non così
piana nel proprio svolgimento, ed è anche attraverso la citazione di Così nel mio parlar voglio esser
aspro, che si ha un deragliamento della lode verso territori angosciosi.
La quinta strofa rappresenta un vero e proprio scoglio nell’interpretazione, si perviene a un giubilo
non misurato di autocompiacimento, risolto in parte nell’andamento positivo che il discorso riceve
nella sirma.
Nella sesta stanza la lode riparte, come testimonia la presenza del verbo dichiarativo e, se viene
affermata l’intermittenza e la brevità della felicità, si arriva a una visione mediativa tutta impregnata
di riferimenti al Secretum.
L’ultima strofa si chiude circolarmente con un ritorno positivo alla lode e alla donna che induce il
miglioramento dell’uomo.
Il congedo alimenta i dubbi nella consapevolezza del poeta.
La canzone LXXII rappresenta il momento più positivo all’interno del trittico come è indicato
dalla generale dulcedo che caratterizza il dettato.
La prima stanza introduce un’inedita nota di movimento nel guardare degli occhi che implica una
forte innovazione in questo tema topico.
Mentre la prima stanza si colloca ancora nell’ambito della lode della donna, nella seconda,
introdotta dal dichiarativo “io penso” in relazione quindi della stanza sesta del componimento
precedente, è presente l’altrettanto topico motivo del carcere d’amore.
La terza e quarta strofa, dove la possibilità del riverberarsi di un tema per più strofe marca la
diversità di questa canzone degli occhi dalle altre, portano all’attenzione il modulo iperbolico
dell’amore per la donna, anche se il tono positivo appare interrotto dalla presenza nel verso 55 della
menzione del “torto” che getta una luce negativa .
Infatti la mano, interponendosi tra lo sguardo della donna e il poeta, provoca il ritorno del gran
desio. La quinta stanza ribadisce il ruolo della donna che induce l’uomo a cose elevate, ma si chiude
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su un finale innervato di una frustrazione espressa per via di una causale prolettica e un’ipotetica
che si contrappone alla certezza.
Il congedo porta a focalizzare nuovamente l’attenzione sulla valenza meta poetica di questa
canzone.
La canzone LXXIII rappresenta una rottura inopinata.
Il dettato è più franto e spezzato e tradisce la perplessità crescente di mantenere la lode.
Il poeta è mosso da grande desiderio e chiede ad Amore di dargli una mano a temperare il fuoco che
lo muove.
Se accettiamo l’idea della Molinari per cui il dire rappresenta la lode, mentre i sospiri stanno per i
lamenti, dobbiamo pensare che la prima delle strofe costituisca un impossibile sollievo e anche la
seconda e la terza.
Le stanze successive conducono agli aspetti negativi che erano stati diffusi precedentemente, anche
se il poeta si ostina nel proporre la lode della donna con toni ottativi, che sono anche propri della
rappresentazione del desiderio nelle sestine dantesche e petrarchesche, fino all’ammissione del
fallimento nella sesta strofa.
Il tema che interessa questi tre componimenti, se rappresenta una sconfitta bruciante, pur tuttavia si
mostra come un’esperienza perturbante per lo stesso lettore.
Il grande impegno compositivo non è finalizzato, come altrove in Petrarca, alla creazione di un
tessuto armonico, ma piuttosto alla demarcazione di differenti e conflittuali istanze.
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LE MOTIVAZIONI DELLA SCELTA
Vorrei concludere dicendo il perché ho scelto proprio le canzoni degli occhi di Petrarca. Sono
rimasta molto colpita dalla modernità di questo intellettuale, di come riesce a esprimere il suo
dissidio interiore, il dispiacere dell’amore non corrisposto di Laura e il rimorso per gli errori
commessi nella sua vita. Mi hanno colpito in maniera particolare queste tre canzoni 71-72-73,
l’importanza che Petrarca dà agli occhi della sua amata, il modo in cui li descrive (occhi leggiadri
dove amor fa nido, vostr’occhi un dolce lume che mi mostra la via ch’al ciel conduce, gli occhi
vostri lucenti sono il mio segno e’l mio conforto solo.)
Credo che Petrarca abbia anche individuato, e per questo scelto come elemento da elogiare della sua
musa ispiratrice, gli occhi, essendo essi una parte del corpo o forse l’unica parte che non si degrada
e non invecchia esteriormente. Abbiamo appunto visto a questo proposito la diversità di pensiero a
confronto con Dante, la donna angelo e la donna reale,visto che Petrarca riconosce in Laura una
donna che si ammala, invecchia e muore, ed è anche soggetta ai cambiamenti di umore e ad altre
fenomenologie proprie delle donne reali.
In conclusione si deve riconoscere in questo grande nome della letteratura italiana trecentesca una
sensibilità attuale ed è per questo che, a mio avviso, può essere maggiormente comprensibile anche
per le attuali generazioni.
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BIBLIOGRAFIA
1. Giancarlo Alfano «Una filosofia numerosa et ornata» Filosofia naturale e scienza della
retorica nelle letture cinquecentesche delle «Canzoni Sorelle» - Napoli Quaderns d’Italià 11,
2006 147-179
2. “Le Rime di Francesco Petrarca colle note di Varii a cura di Luigi Carrer, Padova 1837
3. Claudia Berra, Le canzoni degli occhi (Rvf LXXI - LXXIII) Lectura Petrarce e
conversazioni petrarchesche XXX ciclo - Accademia Galileiana – Sala del Guariento 15
aprile 2010
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SOMMARIO
IL CANZONIERE DI PETRARCA ........................................................................................................................... 1
LE CANZONI DEGLI <<OCCHI>> .......................................................................................................................... 4
ANALISI DELLE TRE CANZONI ............................................................................................................................. 7
LE MOTIVAZIONI DELLA SCELTA ........................................................................................................................ 9
BIBLIOGRAFIA .................................................................................................................................................. 10
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