Questione omerica - Blog-ER

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Dallo Zibaldone di Giacomo
Leopardi
•
Omero è il padre e il perpetuo principe di tutti i
poeti del mondo. Queste due qualità di padre e
principe non si riuniscono in verun altro uomo
rispetto a verun’altra arte o scienza umana. Di
piú, nessuno riconosciuto per principe in
qualunque altra arte o scienza, se ne può con
questa sicurezza, cagionata dall’esperienza di tanti
secoli, chiamar principe perpetuo. Tale è la natura
della poesia ch’ella sia somma nel cominciare.
La questione omerica
•
Con questo termine si indica il dibattito sorto fin dall’antichità
sull’Iliade e l’Odissea, due opere straordinarie, anche
dimensionalmente, che segnano la nascita della letteratura europea,
tanto più che non sembrano lasciare nessuna traccia dietro di sé,
anche per un’assenza plurisecolare della scrittura in Grecia nel
periodo immediatamente precedente la verosimile composizione dei
poemi. Lo stesso poeta, Omero, a cui sono tradizionalmente attribuiti
appariva già nell’antichità figura nebulosa, le cui caratteristiche, a
partire dalla cecità, sembrano rispondere più ad un’ideale modello di
aedo (ἀοιδός) divinamente ispirato che ad una reale persona
storicamente determinabile.
I problemi messi in discussione sono vari e significativamente
mutati nel passaggio fra l’antichità e l’età moderna.
●
Chi era Omero?
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Quando e dove è vissuto?
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L’Iliade e l’Odissea sono opere dello stesso poeta?
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Quale delle due è anteriore?
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In quali circostanze e in quale forma sono state create?
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Si può parlare di una creazione individuale di un poeta o predomina la dimensione tradizionale e composita?
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Sono state fissate per iscritto fin dall’inizio o sono state per lungo tempo trasmesse solo a memoria?
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Qual è il testo originale e quali le parti successivamente aggiunte nel corso della tradizione orale e scritta?
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Qual è il grado di storicità di ciò che viene narrato e descritto?
I dati di partenza
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Due poemi: Iliade e Odissea,
considerati già dagli antichi l’origine della letteratura greca
Appartengono al genere epico (da ἔπος, “parola” ma anche “verso”, dalla
radice indoeuropea woq/weq, da cui anche l’aoristo εἶπον e in latino vox e
voco), cioè poema di gesta eroiche
Sono accomunati dal riferimento tematico alla guerra di Troia-Ilio, di cui
l’Iliade narra una sezione, l’Odissea il ritorno in patria di uno dei
protagonisti
formulati in versi esametri dattilici catalettici (15.688 l’Iliade, 12,110
l’Odissea)
Impiegano una lingua letteraria che presenta un predominio di elementi
dialettologici eolici e ionici, a cui si aggiungono alcuni attici, ma non dorici.
Si presentano attualmente suddivisi in 24 libri, nominati con le lettere
dell’alfabeto greco.
L’autore(?)
La tradizione greca più antica è concorde nell’indicare come autore dei due
poemi l’aedo (cioè poeta epico creatore) Omero (assolutamente disusato
come nome proprio: ὅμηρος significa pegno, garanzia, ostaggio)
Tradizionalmente presentato come un aedo cieco (falsa etimologia da ὁ μὴ
ὁρῶν o immagine topica del vate divinamente ispirato?).
Identificato come autore di altre opere minori giunte integre (Inni omerici,
Batracomiomachia, alcuni epigrammi) o solo frammentarie (Margite)
Vissuto secondo Erodoto attorno all’850 a.C., secondo altri nell’VIII secolo.
Sette città si contendevano la sua nascita: Chio, Smirne, Colofone, Atene,
Argo, Rodi e Salamina.
A Chio sappiamo che era ancora attiva in età classica una gilda
(congregazione) di rapsodi itineranti che si richiamava direttamente ad Omero
Esiste una decina di Vite di Omero, con notizie spesso non coincidenti e non
attendibili storicamente, fra cui due di età imperiale falsamente attribuite a
Erodoto e Plutarco.
Quandoque bonus dormitat Homerus
(Orazio, Ars poetica)
Pur nell’impostazione tematicamente unitaria sono state notate già
nell’antichità delle incongruenze testuali consistenti che sembrano mettere in
discussione l’idea di una creazione unitariamente compiuta.
Fra le più significative:
● Un guerriero dell’Iliade precedentemente ucciso ricompare più avanti vivo e
vegeto
● Nell’ambasceria ad Achille del IX libro dell’Iliade è inviata una delegazione a
tre, ma talora si parla di loro solo in duale
● Alcuni riferimenti astronomico-temporali non collimano
● Alcuni elementi narrativi non vengono sviluppati in modo coerente
● Ai personaggi sono talora associati epiteti non congruenti con la situazione
narrativa
● Vi sono inoltre riprese meccaniche di versi anche a breve distanza
Le età del poema
In età contemporanea il confronto del racconto omerico con le scoperte
archeologiche hanno permesso di evidenziare una vera e propria
stratificazione storica a più livelli
Nel poema vi sono descritti usanze, vestiti, armi non compatibili con unico
periodo storico ma riferibili a 3 periodi diversi
1) L’età micenea (elmo di zanne di cinghiale, grande scudo di Aiace,
combattimento con i carri, le armi solo di bronzo)
2) Il medioevo ellenico (mercanti fenici, strutture politiche, riferimenti al
ferro)
3) L’età arcaica (uso di cavalcare)
Inoltre le strutture sociali dell’Odissea sembrano in genere rappresentare
uno stadio di evoluzione posteriore rispetto a quelle dell’Iliade
Il problema della scrittura
●
Mentre nei poemi omerici non c’è chiara evidenza dell’uso di una vera e propria scrittura
verbale (si parla solo nel VI libro di una tavoletta affidata dal re Preto a Bellerofonte con
“segni di morte” e di tavolette con segni distintivi per un sorteggio nel VII libro), è
storicamente certo che l’epoca di formazione letteraria dei poemi corrisponde
all’introduzione in Grecia dei φοινικήια γράμματα. Si passa così da un periodo di oralità
primaria (manca completamente la scrittura) ad un periodo di oralità secondaria o
auralità (esiste la scrittura, ma la trasmissione culturale resta ancora legata all’oralità). Fra
l’altro le due più antiche iscrizioni - coppa di Nestore da Ischia e oiniochoe del Dipylon da
Atene -, dell’VIII secolo, sono in versi esametri epici.
●
Può essere tuttavia problematico supporre che sia stata immediatamente impiegata per
trascrivere opere di così grande ampiezza, tenendo presente le grandi dimensioni delle
lettere (solo maiuscole) usate e la difficoltà di trovare supporti adeguati (l’importazione del
papiro in Grecia sembra più tardo, in mancanza del quale solo le pelli avrebbero potuto
servire, ma non c’è attestazione al riguardo).
Da Contro Apione di Giuseppe Flavio (I sec. D. C.)
•
Un’originaria stesura scritta dei poemi omerici venne esclusa dallo
storico ebreo Giuseppe Flavio (I sec. d. C.), che espone un’opinione
condivisa da molti studiosi contemporanei.
•
Si ammette concordemente che, presso i Greci, della scrittura non vi è
traccia prima dei poemi di Omero. Dicono anzi che neanche lui abbia
lasciato la sua opera in forma scritta, ma che essa fosse tramandata e
cantata a memoria e che solo in seguito da quei canti sia stata messa
insieme una stesura scritta; e che questo spieghi le molte
contraddizioni che vi si riscontrano (Giuseppe Flavio, Contro Apione, 1,
12).
La cd. Coppa di Nestore (Ischia, 730 c., a. C.)
Νέστορος [εἰμὶ] εὔποτον ποτήριον
ὃς δ' ἂν τοῦδε πίησι ποτηρίου αὐτίκα κῆνον ἵμερος αἱρήσει
καλλιστεφάνου Ἀφροδίτης
Oinochoe del Dipylon (740 a. C. ca.)
Un'oinochoe rinvenuta ad Atene nella necropoli del Dipylon e databile
grossomodo al 740 a.C. ha rappresentato l’esempio più antico a noi noto
di scrittura greca fino alla scoperta della ‘coppa di Nestore’. Essa reca
infatti, alla base del collo, un epigramma in due versi inciso con una
punta dura: il primo allude a una sorta di competizione tra danzatori,
mentre il secondo, probabilmente incompleto, resiste finora
all’intepretazione; con buona probabilità il breve componimento
epigrafico ricorda che l’oinochoe fu il premio riservato al danzatore più
abile.
hὸς νῦν ὀρχηστῶν πάντων ἀταλότατα παίζει
τοτοδεκαλμιν
"Il danzatore che si esibisca nella maniera più delicata (?)”
Le performances storicamente attestate
Gli Omeridi erano rapsodi itineranti originari di Chio che si richiamavano ad
Omero come fondatore e si esibirono nell’età dei pisistratidi in alcune delle più
importanti città del mondo antico, da Atene a Siracusa, sotto la guida di
Cineto.
Pressoché attendibile è la realizzazione di un’edizione ufficiale scritta dei
poemi nell’Atene dei Pisistratidi (II metà del VI sec. a.C:), attribuita da
Cicerone agli anni della tirannide dello stesso Pisistrato, ma forse coincidente
con la recita dei poemi alle Panatenee da parte degli Omeridi durante la
tirannide di Ipparco, figlio di Pisistrato, come ricordato da Platone.
Gli Omeridi
Uno scolio (nota di commento) a Pindaro fornisce importanti notizie sulla gilda di
rapsodi detti Omeridi
Anticamente furono chiamati Omeridi i membri della famiglia di Omero che
cantavano i suoi poemi in successione, ma in seguito anche i rapsodi che non
discendevano da Omero. Fra costoro si distinsero Cineto e il suo gruppo, dei
quali si dice che inserirono nei poemi omerici molti versi composti da loro stessi.
Questo Cineto era originario di Chio e, fra le opere attribuite a Omero, fu lui che
scrisse l’Inno ad Apollo e glielo attribuì. Questo Cineto fu il primo a recitare i
poemi di Omero a Siracusa, nella 69a Olimpiade (= 504/501 a.C.), come riferisce
Ippostrato.
(Scolio a Pindaro, Nemea 2)
Dal De oratore di Cicerone:
la redazione pisistratea (3° quarto VI sec. a. C.)
•
Quis doctior eisdem illis temporibus aut cuius
eloquentia litteris instructior fuisse traditur
quam Pisistrati? qui primus Homeri libros
confusos antea sic disposuisse dicitur ut nunc
habemus. (3.34.13)
•
Chi fu più colto – a quanto si tramanda – in quei
tempi o chi aveva un’eloquenza più
letterariamente raffinata di Pisistrato? Egli per
primo – si dice – ordinò i libri di Omero,
dapprima confusi, nel modo in cui si presentano
ora.
LA RECITA CONTINUA DEI POEMI ALLE PANATENEE SOTTO I PISISTRATIDI
Si tratta di un mio e di un tuo concittadino, figlio di Pisistrato, del demo
di Filaide: Ipparco, il maggiore e il più sapiente tra i figli di Pisistrato, il
quale, tra le molte altre belle prove della sua sapienza, fu il primo a
introdurre in questo paese i poemi di Omero e costrinse i rapsodi a
recitarli alle Panatenee, gli uni dopo gli altri e in ordine, come ancora
oggi essi fanno; dopo averlo mandato a prendere con una nave a
cinquanta remi, fece venire ad Atene Anacreonte di Teo, mentre
Simonide di Ceo lo aveva sempre al suo fianco, persuadendolo a
restare con grandi ricompense e doni. Si comportava così con l'intento
di istruire i cittadini, per poter regnare su uomini che fossero i migliori
possibile, nella convinzione che a nessuno si dovesse negare il diritto
alla sapienza, da quell'uomo eccellente che era.
Platone, Ipparco
Omero fondamento della paideia greca
Il ruolo che dalla fine dell’età arcaica assunsero i poemi omerici nella cultura e
nell’educazione è ben espresso dalle parole di Socrate nella Repubblica di
Platone, sia pure all’interno di un atteggiamento critico nei confronti della
poesia
Ebbene, Glaucone, continuai, quando tu incontri gente che loda Omero e
sostiene che questo poeta ha educato l'Ellade e che merita di essere preso
e studiato per amministrare ed educare il mondo umano, e che secondo
le regole di questo poeta si organizza e si vive tutta la propria vita, questa
gente si deve sì baciarla e abbracciarla come quanto mai eccellente, e
riconoscere che Omero è il massimo poeta e il primo tra gli autori
tragici; ma si deve anche sapere che della poesia bisogna ammettere
nello stato solamente la parte costituita da inni agli dèi ed elogi agli
onesti. Ma se vi ammetterai la sdolcinata Musa lirica o epica, nel tuo stato
regneranno piacere e dolore anziché legge e quella che da tutti
concordemente è sempre giudicata l'ottima ragione. (Platone, Repubblica)
Le edizioni ellenistiche
•
Un momento fondativo per i poemi omerici è costituito dalle edizioni del testo
omerico realizzate ad Alessandria nel III secolo da parte di Zenodoto di Efeso,
Aristofane di Bisanzio ed Aristarco di Samotracia. Nelle edizioni alessandrine si
suddivide il testo in 24 libri e si selezionano, confrontando le copie pervenute, le
varianti che diverranno ufficiali espungendo, o meglio atetizzando (indicando cioè
con il segno obelos †) i passi ritenuti aggiunte spurie al testo omerico originale.
•
Aristarco in particolare introduce il principio di spiegare Omero con Omero
( Ὅμηρον ἐξ Ὁμήρου σαφηνίζειν).
•
Se le citazioni indirette dei testi omerici in autori anteriori all’edizione
alessandrina mostrano una significativa varietà di lezioni, dopo il III secolo tutte le
citazioni si rifanno al testo fissato dagli studiosi della Biblioteca.
Χωρίζοντες (separatisti)
•
Con questo nome vengono indicati i filologi ellenisti Xenone ed
Ellanico (III sec. A. C.), che sostenevano la diversità degli autori
dell’Iliade e dell’Odissea, dal momento che quest’ultima sarebbe
stata scritta molto dopo .
•
Questa idea fu avversata da Aristarco di Samotracia, curatore di
un’edizione di Omero e strenuo sostenitore della teoria unitaria.
Il Trattato del Sublime
Il trattato Del sublime (Περὶ ὕψους), pervenuto anonimo ed
erroneamente attribuito a Longino, databile dal I sec. a.C al I sec. d.C.,
sembra mediare le ipotesi degli unitari e quella dei separatisti,
attribuendo i due poemi a momenti diversi della vita di Omero: l’Iliade,
esempio di stile drammaticamente sublime, sarebbe stata composta
nella giovinezza e l’Odissea, caratterizzata da toni più narrativi, nella
vecchiaia.
Invece nell’Odissea (…) mostra che è tipico di un grande genio, quando si avvicina alla vecchiaia, l’amore
per il racconto. Da molti altri indizi è evidente che compose per seconda questa opera, ma anche dal fatto
che egli ha trattato in una serie di episodi il seguito delle vicende dell’Iliade e vi ha aggiunto persino i
compianti e i lamenti funebri per gli eroi dell’Iliade come fossero personaggi già noti. L’Odissea non è
niente altro che l’epilogo dell’Iliade;
lì giace Aiace guerriero, lì Achille,
lì Patroclo, di saggezza pari agli dei,
lì il mio caro figliolo.
Per questo motivo, io credo, dato che l’Iliade fu scritta quando la sua forza creatrice era al culmine, egli
riempì l’opera di dialoghi e di azione, mentre l’Odissea ha un aspetto prevalentemente narrativo,
com’è caratteristico della vecchiaia.
Perciò l’Omero dell’Odissea potrebbe essere paragonato al sole quando tramonta: è ancora ugualmente
grande, ma meno ardente. Infatti qui egli non conserva una tensione paragonabile ai grandi canti
dell’Iliade, né la grandezza sempre uguale senza cadute, né quel continuo susseguirsi di passioni, né la
capacità d’improvvise variazioni, l’eloquenza, la densità di immagini realistiche: è come Oceano che si
ritira in se stesso, e trova in sé la sua misura, mentre ancora compaiono i riflussi dell’antica grandezza
anche in quelle divagazioni favolose e incredibili.
Quando dico questo, non voglio trascurare le tempeste dell’Odissea, l’episodio dei Ciclopi e altri ancora: è
una vecchiezza, ma la vecchiezza di Omero! Però in questi episodi l’elemento narrativo (τὸ μυθικόν)
prevale su quello drammatico (τὸ πρακτικόν). (Ps. Longino, Del sublime)
Una parodia della questione omerica antica:
nelle isole dei beati Omero chiarisce tutto
Non erano passati due o tre giorni che avvicinatomi al poeta Omero - né lui né io avevamo
niente da fare - cominciai a tempestarlo di domande: in primis di dove fosse originario; gli spiegai
che si trattava di una questione su cui, da noi, stavano ancora compiendo ricerche su ricerche.
Neppure lui ignorava - mi rispose allora - che certuni lo ritenevano di Chio, altri di Smirne, i più di
Colofone: era babilonese, invece; tra i suoi concittadini non veniva chiamato Omero, ma Tigrane:
in seguito, inviato in Grecia come ostaggio, si era cambiato il nome. Gli chiesi poi se avesse
scritto veramente lui certi versi ritenuti da espungere, e mi confermò che erano tutti autentici; per
cui condannai come davvero eccessiva la pedanteria di Zenodoto e Aristarco e dei filologi loro
seguaci. Soddisfatto delle risposte avute sull'argomento, gli domandai ancora perché mai
avesse cominciato l'Iliade dall'«ira» di Achille: mi disse che gli era venuto in mente così, non
l'aveva studiato a bella posta. Morivo inoltre dalla voglia di sapere se avesse scritto prima
l'Odissea dell'Iliade, come i più ritengono: e lo negò. Che poi non era nemmeno cieco - altra
voce che circola sul suo conto - me ne sono accorto subito: ci vedeva, e così non ho avuto
neppure bisogno di chiederglielo.
Luciano di Samosata, Storia vera (180 d.C. ca.)
Iliade. Codice Venetus A (X sec.)
La riscoperta di Omero in
Occidente
L’approdo nell’Europa
occidentale nel XV secolo dei
codici dei poemi omerici (a
sinistra il Venetus A dell’Iliade,
del X secolo) e le prime
edizioni a stampa (a destra
l’Iliade pubblicata da Demetrio
Calcondila nel 1488) sono la
premessa per una ripresa
dell’interesse attorno al
problema dell’origine dei
poemi omerici
d'Aubignac
Nelle sue Conjectures académiques sur l'Iliade,
pubblicate postume nel 1715. François Hédelin,
abate d'Aubignac (1604-1676) apre la fase moderna
della questione omerica, esprimendo una severa
critica sul valore dei poemi omerici e mettendone
in luce l’incoerenza interna e ritenendoli di fatto
una composizione di materiale tradizionale
tramandato oralmente da secoli e fissato per iscritto
solo all’epoca di Pisistrato.
Giovan Battista Vico (1678-1784)
Il filosofo napoletano Giovan Battista Vico, nel terzo
libro de La Scienza Nuova (1744) intitolato La
discoverta del vero Omero, ritiene che Omero sia solo
un nome simbolico con cui la Grecia tramandò i due
poemi, il primo espressione dei primordi della civiltà
ellenica, il secondo di uno stadio già avanzato.
Tutte le cose e discorse e narrate, che sono sconcezze e inverisimiglianze nell'Omero finor creduto, divengono
nell'Omero qui ritruovato tutte convenevolezze e necessità. E primieramente le stesse cose massime lasciateci
incerte di Omero ci violentano a dire
I Che per ciò i popoli greci cotanto contesero della di lui patria e 'l vollero quasi tutti lor cittadino, perché essi
popoli greci furono quest'Omero.
II Che per ciò variino cotanto l'oppenioni d'intorno alla di lui età, perché un tal Omero veramente egli visse per le
bocche e nella memoria di essi popoli greci dalla guerra troiana fin a' tempi di Numa, che fanno lo spazio di
quattrocensessant'anni.
III E la cecità
IV e la povertà d'Omero furono de' rapsòdi, i quali, essendo ciechi, onde ogniun di loro si disse «omèro»,
prevalevano nella memoria, ed essendo poveri, ne sostentavano la vita con andar cantando i poemi d'Omero per
le città della Grecia, de' quali essi eran autori, perch'erano parte di que' popoli che vi avevano composte le loro
istorie.
V Così Omero compose giovine l'Iliade, quando era giovinetta la Grecia e, 'n conseguenza, ardente di sublimi
passioni, come d'orgoglio, di collera, di vendetta, le quali passioni non soffrono dissimulazione ed amano
generosità; onde ammirò Achille, eroe della forza: ma vecchio compose poi l'Odissea, quando la Grecia aveva
alquanto raffreddato gli animi con la riflessione, la qual è madre dell'accortezza; onde ammirò Ulisse, eroe della
sapienza. Talché a' tempi d'Omero giovine a' popoli della Grecia piacquero la crudezza, la villania, la ferocia, la
fierezza, l'atrocità: a' tempi d'Omero vecchio già gli dilettavano i lussi d'Alcinoo, le delizie di Calipso, i piaceri di
Circe, i canti delle sirene, i passatempi de' proci e di, nonché tentare, assediar e combattere le caste Penelopi.
Friedrich August Wolf
Nei suoi Prolegomena ad Homerum (1795)
il grande filologo tedesco Friedrich August
Wolf sostiene la redazione dei due poemi
omerici all’epoca di Pisistrato a partire da
poemi brevi di tradizione orale risalente al
950 a. C. riuniti assieme: il poeta originario
sarebbe vissuto molto prima
dell’introduzione della scrittura. Il testo
avrebbe subito ulteriori modifiche fino agli
Alessandrini.
•
Habemus nunc Homerum in manibus, non qui
viguit in ore Graecorum suorum, sed inde a
Solonis temporibus usque ad haec Alexandrina
mutatum varie, interpolatum, castigatum et
emendatum. Id e disiectis quibusdam indiciis iam
dudum obscure colligebant homines docti et
sollertes; nunc in unum coniunctae voces omnium
temporum testantur, et loquitur historia. At
historiae quasi obloquitur ipse vates, et contra
testatur sensus legentis. Neque vero ita
deformata et difficta sunt Carmina, ut in rebus
singulis priscae et suae formae nimis dissimilia
este videantur. Immo congruunt in iis omnia ferme
in idem ingenium, in eosdem mores, in eandem
formulam sentiendi et loquendi. Eam rem quisque
intime sentit, qui accurate e cum sensu legit.
Melchior Cesarotti e la corrente unitaria
A Wolf rispose nel 1801, con una Digressione sopra i
Prolegomeni all'edizione di Omero del chiarissimo
signor Federico Augusto Wolf, l’abate padovano
Melchior Cesarotti, autore di una traduzione molto
libera (e criticata) dell’Iliade, che difese la paternità
omerica di entrambe le opere a partire
dall’omogeneità stilistica e dall’identificazione di una
struttura fondante progressiva in entrambe. A suo
parere l’Iliade si potrebbe ridurre ad 8 canti essenziali,
attorno a cui Omero avrebbe aggiunto altri episodi per
compiacere il suo pubblico.
Una visione unitaria della redazione dei poemi fu
difesa in Germania anche da Gregor Wilhelm Nitzsch,
che osservò come la scrittura si fosse diffusa in Grecia
già prima di Pisistrato.
Johann Gottfried Hermann e l’Ur-Ilias
•
Rappresentante della corrente analitica,
il filologo tedesco Hohann Gottfried
Hermann nella sua dissertazione De
interpolationibus Homeri (1832) e De
iteratis apud Homerum (1840) sostiene
la presenza di un nucleo originario (UrIlias, cioè Paleoiliade), in sostanza
un‘Achilleide su cui altri rapsodi
avrebbero fatto aggiunte.
La Liedertheorie di Karl Lachmann (1793-1851)
Nelle sue Betrachtungen über Homers Ilias
del 1847 Karl Lachmann, altro “analitico”,
propone una originaria composizione
dell‘Iliade in 16 o 18 poemetti (Einzellieder),
che sarebbero stati unificati
successivamente. Anche il suo allievo
Kirchhoff fece lo stesso a partire dall‘Odissea.
Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff
Distaccandosi dalle posizioni degli analitici, nel
suo saggio Die Ilias und Homer (1916)
Wilamowitz sostiene la paternità omerica del
nucleo primitivo dell‘Iliade, composto nell‘VIII
secolo verosimilmente a Chio, a partire da
tradizioni preesistenti, e poi arricchito
posteriormente da aggiunte.
Gilbert Murray: l’Iliade come ancient traditional book
L’inglese Murray in The Rise of Greek Epic, pubblicato in
prima edizione nel 1907, inquadrò le opere omeriche, al pari
del Canto dei Nibelunghi, della Canzone di Rolando e del
Pentateuco, nella categoria di libro tradizionale, in cui
l’identità di un autore originario si dissolve attraverso gli
adattamenti che il testo subisce nei secoli in occasione della
performance:
“I have been arguing on general grounds that what we
should expect to find in the Homeric poems is some form of
Traditional Book, which, like the Song of Roland, or the
Niebelungenlied, or even the Pentateuch, has reached
its present form by a process of gradual growth and
constant rehandling.”
Il neounitarismo
Ad opporsi ad una concezione meccanicamente
analitica (ma anche rigidamente oralistica) è la
corrente neounitaria di cui il massimo
rappresentante è il filologo e traduttore Wolfgang
Schädewaldt (1900-1974). Attraverso l’analisi dei
rimandi interni nel poema Schädewaldt intende
mostrare come i poemi omerici, pur nell’adozione
del linguaggio tradizionale della oral poetry,
rispondano ad una struttura studiata che richiede
sia la presenza di un poeta creatore sia la scrittura
come forma di fissazione.
La corrente neoanalitica
Rappresentante massimo della corrente neoanalitica
è il greco Ioannis Kakridis (14901-1992). Partendo
dalla convinzione unitaria che l’Iliade è l’opera di un
unico grande poeta, è passato poi alla corrente
analitica. Tuttavia mentre gli analitici ritenevano le
inconguenze narrative come indizio di interventi
maldestri di più autori, per Kakridis testimoniano
l’abilità dell’autore nell’acquisire e nell’elaborare temi
presenti nell’epica preomerica, nel folclore e nei canti
popolari, anche trasferendo materiale da un carattere
o mito all’altro. Nell’epica omerica Kakridis scoprì
motivi strutturali e tecniche narrative familiari ai
racconti folcloristici e ai canti popolari della Grecia
medievale e moderna: Omero avrebbe fatto lo stesso
con racconti presistenti.
La teoria oralistica
Le ricerche dell’americano Milman Parry (1902-1935), docente all’Università di Harvard,
sul folklore Jugoslavo, poi pubblicate dopo la prematura morte di Parry dal suo
assistente Albert Lord, in The Singer of Tales (1960) mostrò la similarità delle strutture
poetiche omeriche, e in particolare della sua formularità, alla poesia improvvisata dei
cantastorie serbi, in grado anche di memorizzare migliaia di versi. Ciò mette in primo
piano rispetto alla figura del poeta-creatore, una tradizione di cantori che mantiene vivo
il racconto nella memoria e lo varia ed arricchisce all’occasione (oral poetry).
Erick A. Havelock
Il filologo inglese Erik Havelock (1903-1988) ha
sottolineato il valore dei poemi omerici come poemi
tradizionali, espressioni cioè assai più che di una
personalità poetica, del sentire di una comunità, che
ascolta nella performance orale riaffermati i suoi principi
fondanti, il suo sapere. Per Havelock i poemi
costituiscono
«un’enciclopedia tribale, che offre
abbondanti esempi di tutti gli schemi e le forme di
comportamento da osservare, pressoché in ogni
situazione sociale, nella comunità. La continuità della
tradizione culturale viene assicurata attraverso la
reiterazione dell’esecuzione pubblica della poesia da
parte degli aedi»
Barry Powell
Tra i contributi più interessanti e discussi
attuali v’è quello dell’americano Barry
Powell che nel suo studio Homer and the
Origin of the Greek Alphabet ipotizza che
proprio la scrittura dei poemi omerici sia
all’origine dell’adozione dell’alfabeto
fenicio in Grecia, visto che le più antiche
iscrizioni presentano esametri (anfora del
dipylon ad Atene e coppa di Nestore ad
Ischia).
Minna Skafte Jensen
Ha riacceso l’interesse sulla questione omerica un recente
saggio della danese Minna Skafte Jensen dal titolo
Writing Homer, secondo cui la tradizione omerica si
sarebbe formata in Asia minore a partire dall’VIII secolo
presso il santuario di Panionio, per poi estendersi
successivamente. Tuttavia la forma dell’Iliade si dovrebbe
alla performance durata 24 giorni sul tema dell’Ira di
Achille, effettuata in occasione delle Panatenaiche da
rapsodo Cineto ad Atene nel 522 a. C. e trascritta per la
prima volta da un team di scribi sotto l’egida di Ipparco.
Più tarda sarebbe stata la composizione in analoghe
circostanze dell’Odissea.
Franco Ferrari
L’idea di una redazione scritta dei poemi solo nella seconda
metà del VI secolo è stata contestata fra gli altri da Franco
Ferrari, docente presso l’università dell’Aquila. Secondo Ferrari
i dati linguistici e storici porterebbero a supporre già nella
seconda metà dell’VIII secolo a.C. l’elaborazione dell’Iliade e
poi dell’Odissea da parte di una gilda epica, sotto la direzione
di un grande poeta, e la fissazione scritta. Sotto Ipparco, verso
il 520 a. C. ci sarebbe stata la successiva fissazione di una
versione ufficiale ateniese, comprensiva di adattamenti e
integrazioni, in corrispondenza con la performance dei rapsodi
Omeridi guidati da Cineto. Secondo Ferrari il loro nome non
sarebbe dipeso da quello del leggendario fondatore, ma al
contrario il nome Omero sarebbe stato coniato a partire da
quello degli Omeridi, il cui significato, legato al verbo ὁμηρέω
(“accordarsi”), era riferito all’accordo fra i vari rapsodi nel
collegare le loro narrazioni a quelle del collega precedente e di
quello successivo (passaggio simbolico del bastone durante la
performance)
In sintesi
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Le divergenze persistenti fra gli studiosi di Omero riguardo al rapporto fra formazione e prima fissazione
scritta dei due poemi e più in generale sull’effettiva esistenza di un ruolo autoriale non impediscono di
sottolineare alcuni punti che possono definirsi assodati
L’Iliade e l’Odissea hanno caratteristiche stilistiche e formali riconducibili ad una tradizione di poesia
orale
Si rifanno ad un repertorio di leggende panelleniche relative ad un evento bellico che ha forse riferimenti
storici
La narrazione include elementi sicuramente riferibili all’età micenea, ma le strutture sociali rappresentate
sono quelle sviluppate nel medioevo ellenico
L’elaborazione dell’Iliade può essere anteriore all’Odissea
La poesia sicuramente databile nel VII o VI secolo implica la preeesistenza di una tradizione omerica
Ferma restando la continuità della trasmissione orale è da ritenere come attendibile una fissazione dei
testi anche per iscritto nell’Atene del tardo VI secolo pisistratea, che ha favorito la normatività della
versione, riconducibile agli Omeridi, ma ciò non esclude trascrizioni anteriori, dall’VIII secolo in poi
Pur in presenza di aggiunte diacroniche i poemi hanno anche un’unità strutturale generale che si
esprime anche attraverso rimandi significativi fra episodi lontani fra loro. Ciò non fa escludere una
presenza autoriale, inserita comunque in una tradizione di oralità.
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