CONTRIBUTI DALLA LEADERSHIP DI POCHI PERSONAGGI DI RILIEVO A QUELLA DI TUTTI I PROFESSIONISTI INFERMIERI Il Collega Carlo Calamandrei ci ha lasciato improvvisamente qualche giorno fa. A lui va il merito, assieme ad altri “pionieri”, di aver fatto transitare l’assistenza infermieristica di qualche decennio fa verso una vera e propria disciplina accademica. Non solo, di averci fatto guardare all’Infermieristica con una prospettiva che non poteva rinchiudersi al mero esercizio professionale quotidiano: essere infermiere significa molto di più, come ricorda in questo tra i suoi tanti scritti. Ancora grazie Carlo! Pubblichiamo, per gentile concessione dell’Editore, alcune pagine di Carlo Calamandrei tratte dal primo capitolo del volume: Carlo Calamandrei e Annalisa Pennini LA LEADERSHIP IN CAMPO INFERMIERISTICO Mc Graw Hill, 2006 > (…) LA LEADERSHIP DEL PROFESSIONISTA INFERMIERE DI OGGI È bene riflettere su figure esemplari (…), ma pensando all’oggi va fatta una fondamentale precisazione: la concezione prevalente è che le capacità di leadership non siano una caratteristica esclusiva di persone che occupano posizioni di comando o hanno doti particolari, ma debbano invece far parte del bagaglio di competenze di ogni infermiere in quanto professionista. Alla base di questa concezione stanno, da un lato, le sempre maggiori esigenze della società, dall’altro l’evoluzione che l’infermieristica ha avuto, grazie a fattori esterni (in primo luogo le leggi) e interni (soprattutto la crescita culturale) in risposta a tali esigenze. Un aspetto di questa evoluzione è rappresentato dalla consapevole acquisizione di capacità di leadership, almeno di quelle fondamentali, da parte di molti infermieri. LE ESIGENZE DEL CONTESTO La professione infermieristica, com’è ovvio, non costituisce un mondo a parte, ma mantiene strette relazioni con il resto della società, da cui riceve stimoli, richieste e pressioni (anche contraddittorie) di varia natura; di seguito ne vedremo quattro esempi. 1. È più diffusa che in passato la convinzione che la salute della popolazione abbia dei prerequisiti di carattere politico, socioeconomico e culturale. Lo confermano autorevoli documenti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), come la Dichiarazione di Giacarta (1997), nella quale leggiamo: “I prerequisiti per la salute sono la pace, una casa, l’istruzione, la sicurezza sociale, le relazioni sociali, il cibo, un reddito, l’attribuzione di maggiori poteri alle donne, un ecosistema stabile, un uso sostenibile delle risorse, la giustizia sociale, il rispetto dei diritti umani e l’equità. La più grande minaccia per la salute è soprattutto la povertà”6. È noto quanto spesso tali solenni principi siano tuttora violati. Inoltre vi sono orientamenti politico-culturali in base ai quali servizi come la sanità, l’istruzione e la previdenza – considerati fino a ieri diritti di ogni persona e, quindi, beni sottratti all’acquisto e alla vendita – dovrebbero essere restituiti, per intero o quasi, alla proprietà privata e al mercato, cosa che li renderebbe inaccessibili a molti. La parte più consapevole della professione, a somiglianza di personaggi come Lillian Wald, risponde a questi stimoli contrastanti mediante: • l’impegno a soddisfare i bisogni fisici, psichici, sociali e spirituali delle persone assistite, e a dare il proprio contributo a un pieno sviluppo del loro potenziale; • a cura particolare rivolta, soprattutto nell’ambito territoria- 6 La Dichiarazione di Giacarta sulla promozione della salute nel 21° secolo, 1997, è reperibile al sito www.ti.ch/DSS/DSP/SezS/UffPVS/temi/archivio/ politica_ps/delphi/pdf/All%20C-dichiarazione% 20Jakarta.pdf, accesso 16 marzo 2005. (Ndr. La numerazione delle note corrisponde a quella del volume). 28 L’INFERMIERE 4/2009 CONTRIBUTI le, a individui e gruppi sociali svantaggiati, come i portatori di handicap, gli anziani, gli immigrati e i rifugiati, gli appartenenti a minoranze etniche. In tutto questo le capacità di iniziativa e di leadership giocano un ruolo essenziale. 2. L’infermiere di oggi è riconosciuto contemporaneamente come: • un professionista dotato di una rilevante autonomia di giudizio e di scelta. Ad affermarlo in Italia è soprattutto il profilo professionale (D.M. 739/94), nel quale troviamo le seguenti disposizioni: “l’infermiere (…) è responsabile dell’assistenza generale infermieristica (…) identifica i bisogni di assistenza infermieristica (…) pianifica, gestisce e valuta l’intervento assistenziale infermieristico (…) si avvale, ove necessario, dell’opera del personale di supporto (…)”. Le modalità di svolgimento di queste attività sono decise dallo stesso professionista sulla base di tre fonti fondamentali: il profilo professionale, il codice deontologico e la formazione ricevuta. Quindi non sono né potrebbero essere fissate in dettaglio per legge (tranne casi particolari), come faceva il precedente “mansionario” (D.P.R. 225/74); • un operatore che, come in passato, continua a essere il principale collaboratore del medico. Il profilo professionale non cita in modo esplicito il rapporto con la professione medica, ma stabilisce che l’infermiere partecipi all’identificazione dei bisogni di salute e che collabori ai processi diagnostico-terapeutici, garantendo anche la corretta applicazione delle prescrizioni. Tutto questo presuppone una stretta relazione fra l’operato dei due professionisti, in un contesto che assegna un ruolo sempre più responsabile e autonomo all’infermiere anche in momenti in cui la sua attività è svolta su prescrizione o in collaborazione. Entrambe le componenti della sua attività richiedono all’infermiere un’adeguata preparazione di base e la disponibilità a un apprendimento costante, da realizzare con la formazione continua, la formazione durante il lavoro e così via. Solo a questa condizione egli può partecipare in qualche modo agli sviluppi della scienza infermieristica (in campo “filosofi- co”, metodologico, clinico-assistenziale, deontologico ecc.), inclusi quelli richiamati dal profilo, e ai paralleli progressi di una scienza e tecnologia medica di crescente complessità e orientate a una specializzazione sempre più accentuata. Un professionista che in tal modo risponde a quanto previsto dalla legislazione e dal codice deontologico esercita anche funzioni di leader nei confronti di utenti e loro familiari, colleghi e operatori di supporto (…). 3. Fenomeni come l’aumento della popolazione anziana e dei portatori di patologie croniche o di handicap implicano tra l’altro: • un grande impegno, soprattutto educativo e di supporto, nella prevenzione delle complicanze e nella promozione dell’autogestione. Un ulteriore beneficio di questo impegno – oltre all’ottenimento di un maggiore benessere per le persone assistite – è spesso rappresentato da una riduzione dei costi a carico della società; • una stretta integrazione fra le varie professioni sanitarie e fra servizi sanitari e servizi sociali; ai professionisti di entrambi i campi è richiesto di esserne pienamente consapevoli e di acquisire le necessarie capacità, a cominciare da quella di raccogliere, gestire e scambiarsi informazioni. Laddove i rapporti tra infermiere e assistente sociale non sono prevalentemente burocratici, ma orientati all’efficacia mediante la collaborazione, è possibile per esempio analizzare e soddisfare adeguatamente il bisogno di socializzazione di persone anziane e con limitazioni di vario tipo in centri di aggregazione ben gestiti; • in qualche caso, l’assegnazione a infermieri della gestione di una parte dei servizi volti a soddisfare i bisogni di queste categorie di cittadini. Tale scelta è legata al tipo di problemi che gli infermieri sanno affrontare (per es., le limitazioni della capacità di svolgere in modo autonomo le attività di vita quotidiana) e alle competenze manageriali sviluppate dalla professione. A tale proposito Santullo e collaboratori hanno illustrato l’esperienza della gestione di due Unità Operative (UO) Postacuti in Emilia Romagna, realizzata sulla base di direttive regionali. “L’UO Postacuti ha la finalità di fornire interventi personalizzati a pazienti L’INFERMIERE 4/2009 29 CONTRIBUTI che, superata la fase acuta della malattia, necessitano di assistenza infermieristica ad alta intensità, finalizzata allo sviluppo/recupero del massimo potenziale di autonomia residua. Pertanto gli obiettivi prioritari sono assicurare assistenza infermieristica non solo come “erogazione di prestazioni” (cioè atti assistenziali fini a se stessi), ma riconoscere ambiti di autonomia e risultati direttamente influenzabili dalle prestazioni infermieristiche risolutrici di problemi. (…) L’UO Postacuti è diretta dal coordinatore (infermiere), al quale è riconosciuta la responsabilità organizzativa e gestionale assimilabile a quella di un direttore di UO, a eccezione della responsabilità clinica del caso di pertinenza medica. (…)”7. Il modello organizzativo è quello delle piccole équipe e un ruolo importante è attribuito al case manager. Infermieri che lavorassero con una mentalità da esecutori, anziché da professionisti e da leader, non potrebbero rispondere adeguatamente a esigenze e richieste di questo genere. 4. Un desiderio di informazione e di partecipazione molto diffuso nella società e, quindi, tra gli utenti dei servizi sanitari impone ai professionisti l’assunzione della prospettiva della soddisfazione dei clienti. Ciò significa che sono indispensabili leader in grado di promuovere lo svolgimento di indagini ad hoc, facilitare la formazione di gruppi per il miglioramento della qualità, diffondere tra i colleghi informazioni e raccomandazioni di comportamenti appropriati e così via LE RISPOSTE DELLA PROFESSIONE E DELLA DISCIPLINA INFERMIERISTICA Per rispondere a queste e ad altre esigenze della società, servono infermieri qualificati, autentici professionisti che non si limitino a eseguire attività di routine, ma che, per la parte di loro competenza, siano capaci di valutare, scegliere, organizzare e anche coordinare l’attività di colleghi più giovani o degli indispensabili operatori di supporto. L’infermieristica è in grado di fornire risposte del genere? È difficile dire “sì”o “no” in generale, ma è certo che essa ha conosciuto una crescita culturale e un ampliamento delle capacità operative che le hanno permesso di passare in pochi decenni da attività puramente subordinata alla medicina allo status di semiprofessione e poi, in tempi recenti, a quello di professione e disciplina scientifica. In quanto professione, l’infermieristica ha ottenuto in molti paesi un albo professionale, organismi rappresentativi, una regolamentazione che per prima cosa definisce il suo ambito di intervento, una formazione di base di alto livello seguita da corsi postbase di varia natura, un codice deontologico, una propria struttura dirigenziale e così via. Come disciplina scientifica, per prima cosa ha acquisito e adattato alle sue esigenze principi e concetti derivanti da altre discipline. Per fare qualche esempio, dalle scienze biologiche e mediche ha appreso le relazioni tra il benessere e la nutrizione e la mobilità, nonché le nozioni che stanno alla base della disinfezione e della sterilizzazione; dalle scienze umane ha tratto i principi della comunicazione interpersonale (che in questo campo può diventare terapeutica), i concetti di ascolto attivo e di empatia e la consapevolezza dell’influenza della cultura sul modo di affrontare gli eventi di salute e malattia. Al tempo stesso la scienza infermieristica produce concetti originali – per poi convalidarli e applicarli – mediante una ricerca infermieristica che, a seconda dei paesi, si è grandemente sviluppata o sta cominciando a svilupparsi. A titolo di esempio si possono ricordare: • il concetto di “presenza autentica” dell’infermiere accanto alla persona che ha bisogno di assistenza, per esempio, perché cerca di elaborare il lutto dovuto alla perdita di funzioni corporee; • le diagnosi infermieristiche, gli interventi infermieristici e i risultati infermieristici definiti con procedimento scientifico da gruppi di studiosi in seno alla professione. Inoltre, la disciplina riflette sulla propria natura e le proprie finalità, specialmente grazie alla nascita, a partire dalla metà del Novecento, di una autonoma teoria del nursing, di cui la Nightingale aveva iniziato a porre le basi con il libro Notes on Nursing (1859). Sulla base di questa crescita (di cui non possiamo qui mettere in luce i dettagli, incluse le resistenze e i ritardi), gli infermieri di oggi – formati principalmente da colleghi più esperti che hanno rappresentato modelli di ruolo – sono professionisti capaci di emettere giudizi e di prendere decisioni clinico-assistenziali e organizzative autonome. Potendo assegnare agli operatori di supporto attività assistenziali standardizzabili (oltre che alcune improprie per l’infermiere), laddove ce ne siano le condizioni minime si dedicano ad attività avanzate, come l’analisi del fabbisogno di personale, la definizione degli standard di assistenza e il tutoraggio nei confronti del personale neoassunto, tutte attività che richiedono capacità di management e, ancora di più, di leadership. Inoltre, alla loro direzione provvedono figure, espresse dalla professione, abilitate a loro volta a esercitare una leadership che consenta di realizzare il coinvolgimento dei collaboratori con varie modalità, prima di tutto con la comunicazione e l’esempio. 7 Santullo A., L’infermiere e le innovazioni in sanità. Nuove tendenze e strumenti gestionali, 2/ed., Mc- Graw-Hill, Milano, 2004, p. 420. 30 L’INFERMIERE 4/2009