Aspetti etico-deontologici dell`assistenza infermieristica in

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Aspetti etico-deontologici dell’assistenza infermieristica in
situazioni di stress
DAI Monica Fabbri (coordinatrice tecnico-pratica DU ASL RA)
Con l’entrata in vigore della L. 26-2-1999 N. 42 la professione infermieristica ha assunto
definitivamente la veste giuridica di professione intellettuale regolata e protetta. La definizione
giuridica della professione infermieristica costituisce un vero e proprio salto di qualità all’interno
del nostro ordinamento.
L’articolo 1 definisce il campo di attività e responsabilità della professione che è determinato:
- dal profilo professionale D.M. 739/94
- dagli ordinamenti didattici del corso di D.U./D.L.
- dalla formazione post base
- e in particolare dal contenuto del Codice Deontologico (C.D.) degli infermieri elaborato dal
comitato centrale della Federazione Nazionale Collegi IPASVI nel ’99.
Con ciò si riconosce l’ineludibile contenuto anche etico – deontologico delle professioni sanitarie e
si apre la strada alla convalida della tesi dell’utilizzabilità del rispetto delle norme deontologiche
quale criterio di valutazione delle responsabilità dell’esercente una professione sanitaria.
Il codice non deve essere considerato alla stregua di un mansionario, un repertorio di
comportamenti in cui si devono trovare tutte le risposte ma una “guida”, una scelta per
l’adeguatezza professionale e la trasparenza nelle relazioni, contro l’ossessione del dettaglio
normativo.
L’autonomia e l’assunzione di responsabilità dei professionisti trovano nelle norme deontologiche
un supporto ma sicuramente la qualità delle decisioni del singolo infermiere dipendono dalla sua
maturità etica.
A seconda del suo sviluppo morale un professionista può utilizzare il C.D. in modo molto diverso:
vi è chi lo ignora, chi ne aggira le indicazioni, chi lo segue in maniera rigida come se prescrivesse
comportamenti già definiti in tutti i dettagli, chi infine vede in esso una guida per le proprie scelte
che restano comunque personali.
In questo campo hanno ormai il carattere di veri e propri classici gli studi di L. Kohlberg sul
modello dello sviluppo morale (per un approfondimento vedi Cortese C., Fedrigotti A.: “Etica
infermieristica” ed. Sorbona – Milano 1992).
Recenti studi hanno dimostrato come tra i fattori scatenanti della sindrome di Burn-out ci sono
spesso crisi di coscienza scaturite da una divergente valutazione delle implicazioni etiche di un
comportamento clinico assistenziale. (In questa relazione non si vuole entrare in merito agli altri
fattori stressanti cause anch’esse di burn-out vedi ad esempio la relazione di Venturini L. su
Emergency Oggi n.3-2000).
Porre le basi per una analisi serena e costruttiva aiuta a prendere più rapidamente le decisioni, aiuta
a realizzarle con minor dispendio di energia ed aumentare il livello di soddisfazione personale
riducendo lo stress che si scatena davanti a possibili insuccessi.
Una delle possibili soluzioni è la formazione etica in un contesto multiprofessionale (in particolare
tra medici e infermieri) nella convinzione che possedendo un comune background etico e bioetico,
la collaborazione può procedere in modo più spedito proprio in quelle situazioni che avendo una
maggiore complessità possono diventare più facilmente oggetto di conflittualità e di tensione.
La conseguenza della conflittualità è il detrimento del paziente che viene a trovarsi al centro di
possibili divergenze decisionali su aspetti rilevanti che lo riguardano da vicino ma anche un
detrimento della serenità personale di infermieri e medici che possono trovarsi in una situazione di
conflitto di coscienza non facile da affrontare .
Ogni atto medico-assistenziale anche da un punto di vista teorico è un “atto integrato” fondato su di
un’etica del lavoro ben fatto e di fuga della mediocrità professionale.
Il percorso dell’insegnamento dell’etica professionale
deve risultare evidente all’interno della
pianificazione didattica generale triennale ed eventualmente recuperata dai professionisti.
?? L’Antropologia che affronta vari temi quali il dolore, la sofferenza fisica e psichica il significato
della vita e della morte e tende a far considerare allo studente il significato dell’approccio
personalistico che scaturisce dal valore della dignità umana che può essere integrato con un
vasto piano di letture filosofiche adeguate.
?? L’Etica intesa come quella parte della filosofia che studia la condotta dell’uomo, dei principi e
valori che ne stanno alla base. Gli studenti affrontano lo studio di questi principi alla base del
comportamento valutandone le caratteristiche, esaminando le conseguenze quando il
comportamento si distacca da questi principi. In altre parole si cerca di costruire una formazione
etica che ha come riferimento il fine dell’uomo e non la norma.
?? La Bioetica che ha come finalità l’analisi della rilevanza etica dei problemi legati alla
biomedicina e la loro connessione con gli ambiti del diritto e delle scienze umane .
Gli articoli del C.D. di interesse per poter sviluppare l’aspetto etico – deontologico in area critica
considerando le condizioni di disagio lavorativo e, soprattutto per poterne comprendere le cause
sono:
1.3
la responsabilità dell’infermiere consiste nel curare e prendersi cura della persona, nel
rispetto della vita, della salute, della libertà e dignità dell’individuo.
Il termine “cura” ha un’origine antica. Nel mondo al tino con questo termine si intendevano due cose
diverse, anche se strettamente collegate: da un lato indica “preoccupazione”, “travaglio”,
“afflizione”, dall’altro questo termine richiamava l’atteggiamento di chi si preoccupa degli altri
ovvero se ne prende cura; stava ad indicare un comportamento vigile e attento nei confronti di
un’altra persona, uno stare in un certo senso dalla sua parte. Troviamo entrambi i significati nel
racconto di un mito romano, il mito di Cura contenuto nel Liber Fabularum1 .
“Mentre Cura stava attraversando un certo fiume, ella vide del fango argilloso . Lo raccolse pensosa e cominciò a dar
forma a un uomo. Mentre stava riflettendo su ciò che aveva fatto, si avvicinò a Giove: Cura gli chiese di dare lo spirito
di vita all’uomo, e Giove acconsentì prontamente. Quando Cura volle dargli il suo nome, Giove lo vietò e disse che gli
si doveva dare il suo nome. Mentre Cura e Giove stavano disputando sul nome, si alzò Terra e disse che gli si doveva
dare il suo nome, poiché ella aveva offerto il suo stesso corpo. Essi presero Saturno per giudice; egli sembra aver deciso
per loro: Giove, poiché gli hai dato lo spirito, prendi la sua anima dopo la morte; poiché Terra offrì il suo corpo,
ch’ella riceva il suo corpo; poiché Cura lo fece per prima , che lo possegga finché, egli vive, ma poiché c’è controversia
sul suo nome, che sia chiamato Homo , poiché sembra sia stato tratto dall’humus “
Nel mito di Cura si apprende come “l’uomo” inteso come essere umano in generale, come umanità,
sia, per tutto il tempo dell’esistenza, accompagnato dalla cura in quanto è fin dal suo nascere
oggetto di cura, ed il suo è un destino di finitudine e di mortalità.
Il cenno al mito è solo uno stratagemma letterario per cominciare una riflessione sulla cura e serve
per chiarire come non sia facile parlare di questo concetto che si presenta sfuggente ed equivoco.
L’obiettivo di questa relazione è di dire perché la cura è un concetto morale e perché interessa
l’infermieristica come professione e come scienza.
Allo “stare accanto” si richiama immediatamente il significato di “assistenza“, dietro cui si cela
quel verbo latino adsistere che significa “stare presso “ e che ancora indica un venire “da” per
andare “verso” (ad) un qualche luogo.
Il suffisso “sistere” presente anche nella parola exsistere assume un ruolo centrale: indica infatti la
comune origine, il provenire tutti da un luogo indefinito, indica l’esistenza come provenienza e
appartenenza comune.
Proprio su questa stessa origine degli umani, si fonda il loro rapportarsi reciproco.
1
Igino: Liber Fabularum, II° sec. D.C.
“Cura” e “Assistenza” nelle accezioni sottolineate dicono dunque la stessa cosa, indicano un mio
stare accanto a qualcuno perché costui mi riguarda e mi interessa. Non è dunque una mera vicinanza
di luogo. Per chiarire come la cura e l’assistenza siano moralmente connotate e quale sia la loro
valenza morale, si deve considerare la “relazione” che accomuna sin dall’origine gli esseri umani
figli, come dice il mito, della cura.
Si è visto infatti che la cura implica una relazione , assistere ovvero stare accanto all’altro in un
atteggiamento di attenzione e sollecitudine.
La relazionalità è caratteristica naturale degli uomini, è un fatto che gli uomini siano
reciprocamente in relazione.
E’ curioso notare però come si possa vivere isolatamente anche stando con gli altri; in tal caso lo
“stare” è solo un’indicazione di luogo non certamente un modo di vivere.
La cura fornita all’altro indica certamente anche lo sforzo di dare risposta ad una sua richiesta di
essere curato. Nel campo dell’infermieristica si direbbe che soddisfare un bisogno o rispondere ad
una richiesta significa innanzitutto comprenderne l’oggetto ; una tale comprensione , oltre le parole
o i gesti richiede una conoscenza della persona e in questo la relazione è centrale nell’ambito
dell’etica della cura.
Per l’esigenza di conoscere il destinatario delle cure è necessario concepire l’assistenza come una
relazione oltre che come un insieme di conoscenze e di tecniche; la sua definizione richiede
un’attitudine personale, una propensione all’ascolto, alcune virtù , non basta soltanto “sapere” cosa
“si deve “ fare in una ipotetica situazione ma bisogna “comprendere” che cosa quella particolare
situazione o una persona in situazione di bisogno mi richiede di fare.
Significa riconoscere un ruolo alla virtù della cura : rispondere nella sua concretezza e nella sua
differenza rispetto a qualsiasi “altro” astrattamente inteso, è molto di più del proprio semplice
“dovere” inteso come prescrizione all’agire.
E’ chiaro che dire che l’infermiere deve fare più del “proprio dovere” non significa che
all’infermiere sia richiesto di entrare e di interferire con lo spazio vitale della persona e
intraprendere attività che esulano dall’ambito professionale, significa piuttosto non concepire
l’assistenza come attività articolata in doveri o compiti.
In definitiva significa comprendere concretamente il bisogno, decidere quali sono le risposte più
adeguate e assumere la responsabilità di tale decisione.
Come il sapere infermieristico non è una pura conoscenza teorica così per l’etica infermieristica non
è proponibile un modello di etica applicata non si tratta cioè solo di trovare la soluzione di dilemmi
pratici, da tentare attraverso l’applicazione di principi generali, ma di considerare come
fondamentale il significato dell’esperienza in cui ogni infermiere è inevitabilmente coinvolto.
Il ricorso alle teorie serve per organizzare la riflessione morale dando cioè un quadro di
riferimento e l’infermieristica in questo senso è luogo di mediazione dei principi e delle regole con
le situazioni, con storie personali dei pazienti con il contesto in cui vivono.
Ritornando alla disamina degli articoli del C.D. che possono aiutare gli infermieri a comprendere
meglio le cause e soprattutto come intervenire in caso di disagio lavorativo è necessario considerare
l’art. 2.7: l’infermiere contribuisce a rendere eque le scelte allocative anche attraverso l’uso
ottimale delle risorse. In carenza delle stesse, individua le priorità sulla base di criteri condivisi
dalla comunità professionale (inteso in termini operativi).
Anche l’art. 6.1: l’infermiere ai diversi livelli di responsabilità contribuisce ad orientare le
politiche e lo sviluppo del sistema sanitario al fine di garantire il rispetto dei diritti degli assistiti,
l’equo utilizzo delle risorse e la valorizzazione del ruolo professionale (inteso in termini
programmatici).
I diversi livelli di responsabilità riguardano oltre l’infermiere dirigente, il caposala o responsabili di
dipartimento, anche le figure infermieristiche che devono, per quanto possibile, collaborare
all’orientamento del sistema sanitario es.: presentando proposte più o meno formalizzate in
occasione di riunioni di lavoro, partecipando a progetti di miglioramento ma anche in altre forme
come la partecipazione a organismi di rappresentanza, a progetti ed esecuzione di ricerche,
redazione di articoli, organizzazione convegni ecc.
Per capire meglio il rapporto tra priorità e risorse (art.2.7) c’è da dire che gli infermieri non possono
affrontare tutti i bisogni e i problemi delle persone che a essi si rivolgono. Per quanto riguarda i
responsabili delle scelte allocative possiamo identificare un primo livello centrale (nazionale) dove
si identificano gli obiettivi della programmazione sociosanitaria (P.S.N.). Il secondo livello quello
Regionale ridefinisce i criteri di allocazione nell’ambito della cornice nazionale e assegna i
finanziamenti alle Aziende USL; solo nel terzo livello di scelta, quello periferico è coinvolto il
professionista.
Le risorse allocate seguono un giudizio clinico assistenziale piuttosto che economico e politico.
All’operatore dell’emergenza si richiede infatti la prestazione di un servizio “essenziale” non di un
servizio “totale” e la capacità di tradurre in ogni intervento un equilibrio ideale tra richiesta dei
singoli e risorse a disposizione.
In emergenza l’individuazione delle proposte deve avvenire sulla base di criteri generali dettati
dalla “validazione scientifica” e dalle norme statali e regionali che disegnano gli standard di
dotazione di risorse e di qualità di intervento nonché dei protocolli applicativi2 .
L’ultimo articolo del C.D. che vorrei prendere in esame per aiutare l’infermiere a capire l’origine
del disagio lavorativo è il 6.2 “ l’infermiere compensa le carenze della struttura attraverso un
comportamento ispirato alla cooperazione, nell’interesse dei cittadini e della istituzione.
L’infermiere ha il dovere di opporsi alla compensazione quando vengono a mancare i caratteri
della eccezionalità o venga pregiudicato il suo prioritario mandato professionale”.
Questo articolo riguarda i comportamenti di compensazione che sono comportamenti che
costituiscono un rimedio organizzativo che tende a far raggiungere ugualmente gli scopi
all’organizzazione ma in modo intuitivo e non pianificabile.
Entro certi limiti la presenza di questi meccanismi è fisiologica perché nell’organizzazione ci sono
sempre carenze da colmare e il C.D. afferma che sono un “dovere” in quanto ispirati alla
cooperazione nell’interesse dei cittadini e dell’istituzione.
Nella compensazione è implicito anche il concetto di senso di appartenenza che costituisce uno
dei principali fattori in gioco nel sentirsi corresponsabili di quanto avviene nell’organizzazione.
Tale dovere ha dei limiti, infatti il C.D. dichiara il contemporaneo dovere dell’infermiere di opporsi
alla compensazione quando vengono a mancare i caratteri della eccezionalità o venga pregiudicato
il suo prioritario mandato professionale.
La sicurezza dell’agire dell’operatore, legata anche a turni di servizio adeguati alle possibilità
psicofisiche dell’individuo, è direttamente proporzionale a quella dell’utente, nel cui interesse
superiore si esprime sempre e comunque il mandato del professionista che opera nel campo della
salute.
Per concludere vorrei porre l’attenzione su un importante studio pubblicato su “Lancet”3 ,
prestigiosa rivista medica, che tocca un problema non nuovo per gli infermieri ma altrettanto
sconcertante:
avere un aumento del carico di lavoro (sia per gli infermieri che per i medici) comporta più rischi per il
paziente e tra questi c’è anche quello di morire.
Il tema delle conseguenze del carico di lavoro non è nuovo in letteratura, molti lavori avevano
soprattutto l’obiettivo di dimostrare gli effetti dei tagli sul personale: per ridurre i costi
2
Per approfondire la conoscenza sui criteri nelle scelte allocative vedi L. Palazzini “Per una giusta distribuzione delle
risorse secondo la bioetica personalista” Med. e Morale n. 3 1999) e il documento approvato dal Comitato Nazionale di
Bioetica del 17.7.1998 sul tema della distribuzione delle risorse in campo sanitario.
3
Lancet, 2000, 356: 185-9
dell’assistenza si cerca di ridurre il numero di infermieri o limitarne la preparazione ad esempio
riducendo l’accesso ai corsi di aggiornamento.
Questo lavoro può dare elementi per capire cosa non va nei processi di lavoro, le ripercussioni sul
paziente ed imparare via via dall’esperienza, facendo della ricerca per la risoluzione di problemi
che si vivono quotidianamente.
BIBLIOGRAFIA
1. C. Calamandrei, L. D’Addio “Commentario al nuovo codice deontologico dell’Infemiere” Ed.
MC. Grow Hill 1999
2. G. Battarino “Responsabilità Penale in Emergenza Sanitaria” Ed. Sorbona 2000
3. Rivista di diritto delle professioni sanitarie N. 4 –2000
4. Medicina e Morale N.3 – 1999
5. Binetti P. Pontalti I., Santini D.: Il tutorato modelli ed esperienze nella didattica universitaria
Universo Roma, 1999
6. Assistenza Infermieristica e ricerca N. 3 /2000
7. Emergency Oggi N.3/2000
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