4-1 Capitolo 4 Caratteri costruttivi e tecniche per interventi di conservazione e recupero 4.1 - I materiali lapidei del Verbano Cusio Ossola 4-3 Massimo Marian 4.1.1 - Introduzione 4.1.2 - Geologia e bacini estrattivi 4.1.3 - I materiali 4.1.4 - Caratteristiche delle pietre naturali 4.1.5 - Valutazione di un materiale lapideo 4.2 - Il comportamento statico degli edifici in pietra, la “struttura scatolare”, le fondazioni. Il miglioramento statico strutturale 4-3 4-3 4-7 4-13 4-16 4-19 Alessandro Grazzini 4.2.1 - Introduzione 4.2.2 - Statica degli edifici murari 4.2.3 - Meccanismi di danno 4.2.4 - Principi di miglioramento sismico 4.3 - Murature di pietra 4-19 4-20 4-29 4-34 4-37 Riccardo Nelva, Marco Zerbinatti 4.3.1 - Caratteri costruttivi e classificazione delle murature 4.3.2 - Tecniche di intervento 4.4 - Balconi 4-37 4-43 4-57 Riccardo Nelva 4.4.1 Criteri di dimensionamento di massima di lastre e mensole di balconi di pietra 4.5 - Tetto con manto “di piode” 4-57 Sara Fasana, Paolo Scarzella 4-61 4.5.1 - La struttura portante 4.5.2 - Varietà nei modi di disporre le capriate “di testata” 4.5.3 - Richiami di materiali e tecniche tradizionali per il taglio delle lastre da tetto 4.5.4 - Il manto tradizionale in lastre di pietra di elevato spessore 4-62 4-64 4-68 4-70 4-2 4 - Caratteri costruttivi e tecniche per interventi di conservazione e recupero 4.5.5 - Caratteristiche e comportamento di manti tradizionali: accorgimenti per la lavorazione e la disposizione in opera delle lastre 4.5.6 - Valutazione della stabilità dei manti: proposta di un metodo 4.5.7 - Scelta di materiali attualmente disponibili 4.5.8 - Linee risolutive per interventi di recupero e conservazione di tetti con manto di piode 4-72 4-74 4-79 4-80 4.6 - Volte Marco Zerbinatti 4.6 - Solai Riccardo Nelva, Marco Zerbinatti 4-83 4-91 4.8 - Interventi per migliorare le prestazioni energetiche e ridurre i disperdimenti termici Riccardo Nelva, Marco Zerbinatti 4.8.1 - Introduzione 4.8.2 - Soluzioni praticabili per l’isolamento 4.8.3 -Valutazione della quantità di vapor d’acqua condensata e verifica della sua rievaporazione in un ciclo stagionale 4-99 4-99 4-101 4-104 4.9 - Le superfici esterne: malte, intonaci a vista, superfici tinteggiate, decorazioni pittoriche o a graffito Marco Zerbinatti 4.9.1 - Introduzione 4.9.2 - Fenomeni di degrado “endemici” 4.9.3 - Fenomeni di degrado provocati da interventi errati o inadatti 4.9.4 - Criteri di intervento e soluzioni tecniche compatibili 4-117 4-117 4-119 4-123 4-127 4.1 - I materiali 4-3 4.1 - I materiali lapidei del Verbano Cusio Ossola Massimo Marian 4.1.1 - Introduzione L’utilizzo dei materiali lapidei nell’edilizia del Verbano Cusio Ossola ha radici antichissime. Praticamente da sempre, le popolazioni locali, impiegano la pietra a fini costruttivi e ornamentali. La disponibilità di materie prime con ottime caratteristiche tecniche e le elevate competenze degli operatori del settore, in termini di abilità nella coltivazione e lavorazione delle risorse, derivanti da un’antica attività artigiana migliorata e tramandata nei secoli, hanno permesso al VCO di raggiungere livelli di eccellenza nello sfruttamento di una fondamentale ricchezza naturale per la costruzione di infrastrutture per l’edilizia e l’ornamentazione. La lavorazione dei materiali lapidei sul territorio ha origine in epoca romana e si è particolarmente sviluppata durante il Medioevo. Soprattutto in Ossola, la pietra è sempre stata il principale materiale da costruzione, anche in sostituzione del legno. A favorire l’impiego di questa materia prima vi era addirittura un diritto, stabilito dai consoli, che permetteva ai residenti di disporre gratuitamente delle pietre di proprietà comunale per costruire un’abitazione o un muro a secco; eventuali forestieri che avessero voluto usufruire del materiale lapideo dovevano, invece, corrispondere un adeguato importo alla comunità. Oltre all’impiego per la produzione di manufatti locali, i lapidei ornamentali del Verbano Cusio Ossola, grazie alle loro qualità estetiche e tecniche, hanno oltrepassato i confini del territorio trovando impiego sia a livello nazionale sia, in epoca più recente, in ambito internazionale. Lo scenario attuale, che vede il Verbano Cusio Ossola come uno dei comprensori di riferimento per il settore lapideo a livello nazionale, prende forma a partire dalla seconda metà del Novecento in seguito alla progressiva e totale chiusura delle miniere. Il venir meno dell’attività mineraria ha indirizzato gli sforzi imprenditoriali verso lo sfruttamento delle risorse lapidee a fini ornamentali permettendo, oltre allo sviluppo economico del territorio, la riscoperta di un patrimonio tradizionale e di una cultura plurisecolare delle popolazioni locali. 4.1.2 - Geologia e bacini estrattivi La provincia del Verbano-Cusio-Ossola rappresenta una delle più importanti aeree di estrazione di pietre naturali in Italia grazie alla varietà e alle peculiarità dei materiali disponibili. Questa ricchezza litologica è da ricercarsi nella notevole complessità geologica del territorio dovuta alla sovrapposizione di numerosi processi tettonici 4-4 4 - Caratteri costruttivi e tecniche per interventi di conservazione e recupero nel tempo; la storia delle Alpi occidentali, infatti, ebbe inizio circa 400 milioni di anni fa e non si è ancora conclusa. La particolare conformazione geologica e geografica dell’area compresa tra l’Ossola ed il Verbano consente l’affioramento delle litologie e delle strutture più profonde di tutta la catena Alpina. Il territorio provinciale rappresenta, quindi, un punto di osservazione unico sui processi orogenetici alpini permettendo agli studiosi di ricostruire gli eventi geologici avvenuti in centinaia di milioni di anni. Grazie a questa peculiarità, la provincia del Verbano Cusio Ossola, ha rivestito estrema importanza nell’ambito degli studi geologici sulla catena Alpina. Come accennato in precedenza, l’affioramento di una notevole varietà di specie litologiche, oltre a permettere al territorio di assumere un ruolo decisivo nello sviluppo del pensiero geologico moderno, ha garantito la disponibilità di notevoli varietà e quantità di materiali lapidei sfruttabili a fini costruttivi. L’accenno agli aspetti geologici è quindi finalizzato a cogliere la profonda connessione esistente tra i materiali lapidei e la natura del luogo. Una relazione, questa, che rende indissolubile il legame tra il territorio e il suo costruito, essendo quest’ultimo tradizionalmente realizzato con ciò che la natura ha reso disponibile. Riflettere su questo aspetto aiuta a comprendere il ruolo nevralgico che la pietra ha interpretato nella storia millenaria dei luoghi e delle popolazioni locali. Rimandando a trattazioni specifiche per un inquadramento geologico – strutturale di dettaglio, ci limiteremo quindi a definire alcuni elementi utili a comprendere le caratteristiche geolitologiche e strutturali dei materiali lapidei qui estratti e lavorati. Le Alpi costituiscono una catena a doppia vergenza: una Europea, o Catena Alpina in senso stretto, ed una Africana, le Alpi Meridionali o Dominio Sudalpino. I due domini sono separati da una importante linea tettonica denominata Lineamento Periadriatico o Linea Insubrica che, nel territorio del V.C.O., prende il nome di Linea del Canavese e attraversa la Val d’Ossola in prossimità degli abitati di Vogogna e di Loro (comune di Pieve Vergonte). Vedremo nel seguito come, questa divisione, risulti utile anche ai fini di un inquadramento dei bacini estrattivi lapidei. Procedendo da sud-est verso nord-ovest sul territorio provinciale è dunque possibile osservare parte di entrambi i principali domini alpini. Il dominio Sudalpino è rappresentato da un basamento cristallino costituito dalla Serie dei Laghi a sud-est (porzione di crosta continentale intermedia) e dalla Zona Ivrea-Verbano a nord-ovest (porzione di crosta continentale profonda). La Serie dei Laghi è costituita da rocce metamorfiche pre-alpine, in facies anfibolitica, di età Ordoviciana (470 Ma) (Fig. 4.1-1). Queste rocce, di origine antica, sono intruse da corpi plutonici d’età più recente (tardo Varisico - 280 Ma) cui appartengono le masse plutoniche granitiche - granodioritiche, note come Graniti dei Laghi, (Baveno-Mottarone, Montorfano, Alzo, Roccapietra e Quarna). Da questi corpi plutonici sono estratti graniti bianchi, rosa e verdi con ottime caratteristiche tecniche e riconosciuta importanza commerciale. Nella Zona Ivrea-Verbano, in contatto con la Serie dei Laghi attraverso la linea del Pogallo, il metamorfismo passa dalla faces anfibolitica di alta tempe- 4.1 - I materiali Fig. 4.1-1 - Carta Geologica della Serie dei Laghi e della Zona Ivrea-Verbano (Boriani et al.). 4-5 ratura a quella granulitica procedendo da sud-est a nord-ovest. Anche le rocce appartenenti a questa unità sono di età pre-alpina. La presenza in questa unità tettonica di rocce sedimentarie calcaree ha dato origine, in seguito alla ricristallizzazione dovuta al metamorfismo regionale, a lenti di marmo intensamente coltivate a fini ornamentali. In quest’area sono infatti estratti e lavorati il “Marmo di Candoglia” (estratto dal 1387 per la costruzione del Duomo di Milano e oggi coltivato unicamente per i sui periodici restauri), il “Marmo Rosa Valtoce”, il “Marmo Grigio Boden” appartengono a questa Unità tettonica. La catena alpina, o edificio Alpino a Falde, nella Provincia del VCO, è rappresentata da porzioni di crosta continentale di età pre-alpina intruse da corpi 4.1-1 4-6 4 - Caratteri costruttivi e tecniche per interventi di conservazione e recupero gabbrici e plutoni granitici-granodioritici (Fig. 4.1-2). Questi complessi litologici formano il nucleo delle falde tettoniche che costituiscono la catena alpina ed hanno subito una intensa rigenerazione tettonico-metamorfica in faces anfibolitica. Le diverse falde sono separate da lembi di rocce, prevalentemente carbonatiche, delle coperture mesozoiche dell’originario basamento. Nell’edificio a falde vi è altresì presenza di lembi di crosta oceanica Mesozoica che costituiscono due principali unità ofiolitiche (Zermatt-Saas e Antrona). Procedendo da sud-est a nord-ovest sul territorio provinciale, si attraversano il dominio Austroalpino, le falde del Pennidico superiore, medio e infe- Fig. 4.1-2 - Carta e Sezione Geologica della Val d’Ossola (Università di Milano Bicocca). 4.1-2 4.1 - I materiali 4-7 riore, terminando con il dominio sub-Pennidico rappresentato dal “granito di Verampio”. L’assetto strutturale delle unità Austroalpine e Pennidiche superiori è verticalizzato, per cui le singole Unità affiorano con scarsa potenza. L’Austroalpino nella regione Ossolana è rappresentato dalla “Zona SesiaLanzo”, principalmente costituita da paragneiss, ortogneiss e metabasiti. Alcuni tipi di beola (le beole di Vogogna) appartengono a litologie di questa Unità, così come le peridotiti serpentinizzate della Val Loana, commercializzate come Pietra Ollare (Scisti di Fobello e Rimella). Tra le falde Austroalpine e le falde Pennidiche è interposta la Zona Piemontese, costituita da calcescisti con pietre verdi, che in Val d’Ossola affiora in modo ridotto ed invece è meglio esposta più ad occidente, in Valle d’Aosta. Le falde Pennidiche superiori sono formate da ortogneiss con subordinati paragneiss e sono rappresentate dalla falda Monte Rosa, dalle ofioliti di Antrona, dalla Zona Camughera (Monte Rosa-MR) e dalla Zona Orselina-Moncucco-Isorno (OMI-San Bernardo). Dalla falda Monte Rosa provengono le beole di Beura e Pallanzeno, mentre dalla Zona Orselina-Moncucco-Isorno vengono estratte le beole del Croppo (Domodossola). Le falde Pennidiche inferiori costituite da prevalenti ortogneiss granitici, sono esposte a nord di Domodossola dove si riconoscono in successione da sud a nord le falde Monte Leone (ML) – Pioda di Crana (PdC), Lebendun (Lb) e Antigorio (An) e infine dall’ortogneiss di Verampio (Ve). Da Domodossola verso nord, l’assetto strutturale passa da subverticale o lievemente immergente a nord fino a suborizzontale nella zona di Verampio per poi immergere nuovamente a nord in alta Val Formazza. La falda Antigorio per il suo assetto suborizzontale costituisce una scaglia molto potente e quindi fortemente sfruttabile. Da questa falda provengono le differenti varietà di serizzo, il materiale più rilevante dal punto di vista volumetrico della produzione lapidea ornamentale del Verbano Cusio Ossola. Tra le falde Monte Leone e Antigorio è interposta una limitata fascia di sedimenti calcarei mesozoici metamorfosati in età alpina. In questa fascia sono coltivati i marmi dolomitici di Crevoladossola (Marmo Palissandro in diverse varietà). 4.1.3 - I materiali La notevole varietà di materiali estratti e lavorati a fini ornamentali è la principale ricchezza del comprensorio lapideo del Verbano Cusio Ossola. Alla produzione più consistente e conosciuta di serizzi e beole, si affiancano infatti i Graniti dei Laghi e anche alcune varietà di marmo. Il mondo lapideo riconosce a ognuno di questi materiali una particolare rilevanza storica, architettonica e monumentale sia in ambito nazionale che internazionale. La distribuzione tipologica dei siti estrattivi, come detto in precedenza, segue la variazione geologico – strutturale a livello regionale e consente di identificare specifiche aree di produzione per le diverse varietà di materiali lapidei (Fig. 4.1-3). 4-8 4 - Caratteri costruttivi e tecniche per interventi di conservazione e recupero 4.1-3 Nella trattazione sono utilizzati i nomi storici e tradizionali dei materiali come richiamati nella norma tecnica “UNI EN 12440: Pietre Naturali – Criteri per la denominazione” che si pone l’obiettivo di elencare i materiali lapidei coltivati nei paesi membri dell’Unione Europea. Questo approccio ci permette di avere un criterio riconosciuto per la presentazioni dei materiali garantendo l’inclusione di tutte le pietre storicamente coltivate nel Verbano Cusio Ossola. A questa nomenclatura “ufficiale” si affiancano, sempre più spesso, denominazioni alternative o aggiuntive, dovute ad esigenze commerciali e/o all’estrema variabilità della pietra naturale anche a scala locale. Infatti, le aziende del settore hanno necessità di distinguere i propri prodotti nel mercato e le variazioni d’aspetto, anche all’interno dello stesso sito estrattivo, ed esigono l’identificazione di quello specifico prodotto, spesso disponibile per un tempo ed un volume molto limitato. Inoltre, l’odierna valorizzazione delle variazioni estetiche e tecniche, fino a non molto tempo fa, spesso, considerate difetti, permettono la commercializzazione di prodotti unici e irripetibili. Menzioneremo anche materiali non più in produzione, ma di particolare rilevanza storica o potenzialmente ancora coltivabili qualora cambiassero le caratteristiche e le esigenze del mercato. Fig. 4.1-3 - Carta geologica con distribuzione dei bacini estrattivi del Verbano – Cusio – Ossola (Università di Milano Bicocca). Il comparto estrattivo del Verbanoo Cusio Ossola può essere diviso in tre grandi aree: - l’area meridionale dei graniti e dei marmi paleozoici (Sudalpino); - l’area centrale delle beole (Pennidico Medio-Inferiore); - l’area settentrionale del serizzo e dei marmi mesozoici (Pennidico Inferiore). 4.1 - I materiali 4-9 4.1.3.1 - Serizzi Fig. 4.1-4 - (a) Serizzo Antigorio; (b) Serizzo Formazza; (c) Serizzo Sempione; (d) Serizzo Monte Rosa. Il materiale del Verbano Cusio Ossola quantitativamente più abbondante è un ortogneiss granitoide biotitico, più o meno occhiadino e foliato, con regolare suddivisibilità in grosse bancate. Spesso molto compatto, è coltivato in blocchi e successivamente segato in lastre, oppure, quando presenta un’elevata fissilità, può essere lavorato anche a spacco. Deriva da protoliti granitici tardo paleozoici che hanno subito un metamorfismo in facies anfibolitica. Le numerosissime cave di serizzo sono ubicate nell’alta Val d’Ossola e nelle Valli Antigorio e Formazza. Serizzo è un termine commerciale che comprende 3 varietà principali definite dalla variabilità mineralogico – strutturale che si manifesta in evidenti variazioni di colore, sempre sulle tonalità del grigio: Serizzo Antigorio, Serizzo Formazza e Serizzo Sempione (Fig. 4.1-4). Le denominazioni forniscono anche un’indicazione precisa sulle zone principali di estrazione. Esiste una quarta varietà di serizzo, denominata Monte Rosa, oggi non più coltivata nonostante il giacimento sia ancora sfruttabile. La zona di estrazione è ubicata in Valle Anzasca e l’aspetto differisce notevolmente dalle altre varietà grazie alla presenza di grossi porfiroblasti bianchi di feldspato alcalino, immersi in una foliazione grossolana. I serizzi sono stati largamente sfruttati già durante l’età comunale e Viscontea. La città di Milano, in particolare, ha avuto un ruolo di primo piano nella diffusione delle pietre del VCO. Di Serizzo sono, per esempio, lo zoccolo e i piloni interni del Duomo di Milano, parti in varie altre chiese, le torri del Castello Sforzesco; ai giorni nostri, di serizzo sono i pavimenti degli aeroporti di Milano Malpensa e Francoforte e i rivestimenti delle metropolitane di Milano, Bruxelles e Singapore oltre ad alcune facciate di grattaceli a Manhattan, New York. 4.1.3.2 - Beole 4.1-4a Materiale caratteristico e diffuso soprattutto dalla media Val d’Ossola fino a Crevoladossola, è uno gneiss tabulare fissile, raramente occhiadino. La sfaldatura regolare e la grana generalmente minuta ne fanno un materiale adatto alla lavorazione a spacco. La tenacità consente la coltivazione in 4.1-4b 4.1-4c 4.1-4d 4-10 4 - Caratteri costruttivi e tecniche per interventi di conservazione e recupero blocchi di notevole dimensione e la produzione di lastre. Beola è, ancora, un nome commerciale ed anche in questo caso racchiude molte varietà dello stesso materiale ben distinguibili grazie a peculiari caratteristiche estetiche e variazioni cromatiche: Bianca, Grigia, Ghiandonata, Argentata o Favalle (Fig. 5a-d). Nel territorio comunale di Vogogna, fino a qualche anno fa, erano coltivati dei particolari litotipi gneissici, particolarmente ricchi di quarzo in alcune vene, chiamate per questo commercialmente ed impropriamente Quarziti (bianca e verde). Si tratta in realtà di materiali assimilabili alle Beole e dunque correttamente denominate Beole di Vogogna o più semplicemente Verde e Bianco Vogogna (Fig. 5e-f). Le cave di beola sono, con ogni probabilità, le più antiche dell’Ossola e l’esportazione di questo materiale sembra risalire alla fine del XIII secolo, quando fu reso navigabile il Naviglio Grande sino a Milano. Può darsi però che già gli antichi romani sfruttassero questa pietra dato che l’antica via romana passava per la località di Beura, paese da cui la stessa prende il nome. Le beole hanno rappresentato il mezzo più pratico e adatto all’edilizia locale (ma non solo), come è dimostrato efficacemente, in ogni comune del territorio, soprattutto nelle coperture dei tetti, specificatamente trattate in altre parti del presente manuale: per esempio, la città di Domodossola costituisce un’ottima testimonianza in tal senso, avendo tutti i marciapiedi storici costituiti da beole, comprese le cordonature. Le costruzioni più antiche sono interamente erette in beola, dai muri ai gradini, ai ballatoi, balconi, terrazzi, alle Fig. 4.1-5 - (a) Beola Bianca; (b) Beola grigia; (c) Beola Ghiandonata; (d) Beola Favalle; (e) Bianco Vogogna; (f) Verde Vogogna. 4.1-5a 4.1-5b 4.1-5c 4.1-5d 4.1-5e 4.1-5f 4.1 - I materiali 4-11 mensole, alle architravi per finestre e porte, ai tetti. Con le lavorazioni superficiali oggi disponibili, le beole assumono particolare pregio (idroscolpitura, fiammatura e, soprattutto, spazzolatura) e sono state spesso selezionate per importanti arredamenti d’interni. Ricordiamo, tra gli altri, la pavimentazione dell’aeroporto di Amsterdam in Beola Bianca. 4.1.3.3 - Graniti Un’importanza commerciale significativa è riconosciuta ai Graniti dei Laghi, coltivati nelle varietà Bianco, Rosa e Verde (quest’ultimo attualmente non estratto) dai plutoni Sudalpini esposti allo sbocco meridionale della Val d’Ossola, in prossimità del Lago Maggiore. Pur non essendo volumetricamente importanti rispetto alla produzione globale del territorio, (rappresentano circa 1/10 rispetto all’insieme serizzi-beole), la tessitura omeogranulare e le ottime caratteristiche fisico-meccaniche ne hanno fatto un materiale pregiato usato sia in edilizia che in campo decorativo. Il loro utilizzo inizia nel XVI secolo (porticato del Lazzaretto di Milano di Granito Rosa Baveno), si sviluppa nel XVII secolo, soprattutto per fusti di colonne di grandi palazzi e edifici religiosi, data la possibilità di cavare blocchi di dimensioni gigantesche. Nel XVIII e XIX secolo l’uso dei graniti del Verbano si estende a zoccolature, scalinate, portali e pavimentazioni. Si ritrovano manufatti in tutto il Piemonte, Lombardia e anche a Roma, dove vennero trasportate via acqua le colonne in Granito Bianco Montorfano da inserire nelle navate e nel quadriportico della basilica di S. Paolo Fuori le Mura. Anche il Granito Rosa Baveno ha varcato gli oceani, approdando a New York (monumento a Cristoforo Colombo) e a Bangkok (Palazzo Reale). Un particolare campo di applicazione legato al granito è la realizzazione di macine. Le macine erano esportate principalmente in Toscana e Liguria, per le operazioni di frangitura delle olive, ma anche all’estero (Svizzera, Belgio, Inghilterra) per il cacao, mais, industria orafa, ecc. Ancora oggi si producono questi manufatti, ovviamente a macchina e non a mano come un tempo, in quanto le macine di granito danno, nonostante il progresso tecnologico, i migliori risultati nell’industria molitoria. Fig. 4.1-6 - (a) Granito Bianco Montorfano; (b) Granito Rosa Baveno. 4.1-6a 4.1-6b 4-12 4 - Caratteri costruttivi e tecniche per interventi di conservazione e recupero 4.1.3.4 - Marmi I marmi del Verbano Cusio Ossola, seppure quantitativamente ridotti rispetto ad altri materiali, hanno avuto già nel passato notevole sfruttamento sia per le loro intrinseche caratteristiche sia per la buona viabilità garantita dai corsi d’acqua e dal Lago Maggiore, che hanno permesso di raggiungere facilmente città come Milano e Pavia. Poco a nord della zona dei graniti si estraggono i marmi calcitici di Candoglia costituiti da lenti e bancate di limitato spessore (variabili tra gli otto ed i trenta metri) e ad andamento trasversale rispetto l’asse vallivo; sono formati da sedimenti metamorfosati di età paleozoica intercalati ai paragneiss del Complesso Kinzigitico Ivrea-Verbano. Oggi, il Marmo di Candoglia è in pratica fuori commercio, poiché le cave sono di proprietà della “Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano” a partire dal 1387 e il materiale è stato ed è tuttora usato esclusivamente per gli interventi di manutenzione e restauro dello stesso Duomo di Milano. Tuttavia, del Marmo di Candoglia si conosce l’uso fin dall’epoca romana per la realizzazione di stele e altari. Oltre al Marmo Rosa di Candoglia, in destra orografica della Val d’Ossola, nel territorio del Comune di Ornavasso, sono state coltivate, fino a non molto tempo fa, varietà geologicamente analoghe quali il Marmo Grigio Boden di Ornavasso e il Rosa Val Toce (Fig.4.1-7a-b). Il Rosa Val Toce presenta spesso bande scure sul predominante colore rosa. Fig. 4.1-7 - (a) Marmo Grigio Boden; (b) Marmo Rosa Val Toce; (c) Palissandro Oniciato; (d) Palissandro Classico; (e) Palissandro Blu Nuvolato; (f) Palissandro Bluette. 4.1-7a 4.1-7b 4.1-7c 4.1-7d 4.1-7e 4.1-7f 4.1 - I materiali 4-13 Questa caratteristica lo rende adatto, se tagliato controvena, a particolari composizioni geometriche come la macchia aperta. Il notevole contrasto di colore è spesso sfruttato per applicazioni di effetto cromatico. Il Grigio Boden è stato spesso utilizzato a fini strutturali, grazie alla sua alta resistenza meccanica se tagliato “al verso”. Se ne rileva l’impiego anche come rivestimento ornamentale in edifici religiosi e, in misura minore, civili. L’impiego storico di questi due marmi è fondamentalmente contestuale a quello del Marmo di Candoglia. Poco a nord di Domodossola sono coltivati, in un’unica cava, le numerose varietà del marmo dolomitico di Crevoladossola, il Palissandro. Questo pregiato materiale appartiene ad un insieme di sedimenti calcarei e calcareo-silicei risalenti al mesozoico metamorfosati in età alpina. Le varietà più note sono quattro: Oniciato, Classico, Blu Nuvolato e Bluette (Fig.4.1-7c-f). Nel periodo in cui scriviamo, la produzione è particolarmente intensa e l’ampliamento della cava ha portato alla luce nuove ed apprezzate varietà. Il Marmo di Crevola è stato utilizzato per la costruzione del Duomo di Pavia nel XIV° secolo e per il colonnato e le statue dell’Arco della Pace di Milano. Altre realizzazioni degne di menzione sono le gradinate elicoidali del Monumento ai Caduti in guerra e le colonne esterne del Planetario a Milano oltre alle parti marmoree della chiesa parrocchiale di Castellanza e del Duomo di Monza. Molte le applicazioni recenti, in ogni forma di edilizia civile e industriale. A titolo d’esempio, viene citato il palazzo “Zentrum” a Zurigo. In Palissandro è stata inoltre realizzata, impiegando ben 27 tonnellate di materiale, un’imponente scultura per l’Unicef, intitolata “L’uovo della Pace”. 4.1.4 - Caratteristiche delle pietre naturali I materiali lapidei sono, per loro natura, estremamente variabili a qualsiasi scala di indagine. Non esiste, infatti, una pietra uguale all’altra. Questa peculiarità risulta evidente a qualunque osservatore se si paragonano materiali di origine e/o composizione diversa, ma all’occhio esperto o in seguito a specifiche indagini, è possibile apprezzare differenze più o meno significative anche tra materiali simili o addirittura “uguali” dal punto di vista commerciale o di denominazione. Eppure, si è soliti riferirsi ai materiali lapidei, spesso purtroppo anche tra gli addetti ai lavori, come ad un semplice ed unico materiale da costruzione. Questo approccio è certamente errato e può causare problematiche rilevanti in seguito all’utilizzo non consapevole della pietra naturale nelle costruzioni. Per una corretta scelta ed un corretto impiego della pietra naturale è dunque fondamentale conoscere le sue caratteristiche, le sue regole e le sue peculiarità, in particolare quelle che possono variare a seconda della tipologia. Possiamo innanzi tutto distinguere tra: 4-14 4 - Caratteri costruttivi e tecniche per interventi di conservazione e recupero - caratteristiche qualitative - caratteristiche tecniche Tra le caratteristiche qualitative devono essere menzionate: le proprietà intrinseche del materiale che ne permettono la coltivazione in blocchi (grado di fratturazione dell’ammasso roccioso, la presenza di superfici che facilitino o impediscano l’estrazione dei volumi desiderati, ecc.), la possibilità di lavorazione della superficie per ottenere particolari effetti (tutti i materiali sono lavorabili in superficie, ma ognuno risponde in maniera diversa allo stesso trattamento: lucidatura, bocciardatura, fiammatura, granigliatura, ecc.), l’estetica (tutto ciò che contribuisce alla valorizzazione di un materiale: colore, disegno, grana, difetti – a volte valorizzati in pregi in base alla fluttuazione delle richieste di mercato - e così via). Le caratteristiche tecniche determinano il comportamento del materiale nei confronti delle sollecitazioni cui viene sottoposto in opera (meccaniche, fisiche, chimiche, biologiche). Essendo queste caratteristiche anche profondamente diverse in relazione al materiale cui si fa riferimento, appare evidente la necessità non solo di conoscere le proprietà della pietra naturale, ma anche il tipo di impiego previsto. Le sollecitazioni menzionate possono danneggiare seriamente sia le pietre sia i manufatti in cui esse sono istallate; pertanto, in base alla tipologia di installazione, i materiali dovrebbero rispettare specifici requisiti. Queste proprietà possono oggi essere determinate quantitativamente attraverso l’esecuzione di specifiche prove di laboratorio. Le modalità esecutive delle prove di laboratorio sono codificate da norme tecniche diverse per ogni paese e, operando in ambito internazionale, occorre conoscere e applicare le prescrizioni vigenti nei diversi Stati. L’Unione Europea dispone oggi di norme tecniche armonizzate che garantiscono regole condivise per tutti gli Stati membri. Questo fatto, unitamente all’obbligo di Marcatura CE dei prodotti in pietra naturale, stabilito dal Regolamento Comunitario 305/11, al fine di garantire la sicurezza per l’utilizzatore, ha contribuito allo sviluppo della caratterizzazione tecnica dei materiali lapidei, tradizionalmente selezionati in funzione di fattori estetici e/o della possibilità di lavorazione. Sebbene la produzione mondiale di pietre naturali sia sempre stata considerevole ed oggi sia in forte crescita, sono tantissimi i materiali per i quali non esistono dati tecnici e non si ha nessuna valutazione delle loro possibili prestazioni. Spesso tale situazione è imputabile ai progettisti che, sempre più interessati a valutare l’aspetto estetico piuttosto che quello prestazionale delle pietre, non hanno stimolato i produttori a qualificare tecnicamente i loro materiali. Questa consuetudine ha fatto sì che i prodotti lapidei, rispetto ad altri materiali da costruzione, rimanessero più legati alla tradizione, senza particolari slanci verso un’innovazione di prodotto che li portasse a proporsi in veste più tecnologica e a conquistare nuove fasce di mercato. Conoscere le caratteristiche tecniche di un materiale è fondamentale in quanto da esse dipendono l’idoneità all’impiego, ma anche possono dipendere la funzionalità, la sicurezza e la durabilità di un’opera. Una scheda tecnica può essere considerata una sorta di “carta d’identità” del materiale cui l’acquirente e il progettista possono fare riferimento per selezio- Caratteristiche geometriche: EN 13373 - Determinazione delle caratteristiche geometriche degli elementi Caratteristiche petrografiche: EN 12407 - Esame petrografico Caratteristiche fisico-meccaniche: EN 1925 - Determinazione del coefficiente di assorbimento d’acqua per capillarità EN 1926 - Determinazione della resistenza a compressione EN 1936 - Determinazione delle masse volumiche reale e apparente e della porosità totale aperta EN 12372 - Determinazione della resistenza a flessione con carico concentrato EN 13161 - Determinazione della resistenza a flessione a momento costante EN 13364 - Determinazione del carico di rottura in corrispondenza dei fori di fissaggio EN 13755 - Determinazione dell’assorbimento d’acqua a pressione atmosferica EN 14146 - Determinazione del modulo elastico dinamico (tramite misurazione della frequenza fondamentale di risonanza) EN 14157 - Determinazione della resistenza all’abrasione EN 14158 - Determinazione dell’energia di rottura EN 14205 - Determinazione della durezza Knoop EN 14579 - Determinazione della velocità di propagazione del suono EN 14580 - Determinazione del modulo elastico statico EN 14581 - Determinazione del coefficiente di dilatazione lineare termica Caratteristiche di durabilità: EN 12370 - Determinazione della resistenza alla cristallizzazione di sali EN 12371 - Determinazione della resistenza al gelo EN 13919 - Determinazione della 4.1 - I materiali resistenza all’invecchiamento dovuto a SO2 in presenza di umidità EN 14066 - Determinazione della resistenza all’invecchiamento accelerato dovuto allo shock termico EN 14147 - Determinazione della resistenza all’invecchiamento mediante nebbia salina Caratteristiche tecnologiche: EN 14231 - Determinazione della resistenza allo scivolamento tramite l’apparecchiatura di prova a pendolo. Norme di prodotto: EN 1341 - Lastre per pavimentazioni esterne EN 1342 - Cubetti per pavimentazioni esterne EN 1343 - Cordoli per pavimentazioni esterne EN 1469 - Lastre per rivestimenti EN 12058 - Lastre per pavimentazioni e scale EN 12057 - Marmette modulari 4-15 nare la pietra più idonea alla specifica applicazione. Spesso, infatti, si cade nell’errore di pensare che pietre con qualche similitudine (colore, composizione, nome) presentino le stesse proprietà, mentre le variabili sono di gran lunga maggiori di quanto si possa immaginare. Dunque, ogni pietra ha proprie caratteristiche tecniche che la differenziano da qualsiasi altra e che devono essere prese in considerazione, più dell’aspetto estetico, in fase di scelta e installazione. Nel testo a lato sono riportate le proprietà tecniche determinabili con prove di laboratorio standardizzate da norme europee. Ogni prova, eseguita in conformità alle norme, restituisce risultati che possono essere utilizzati per paragonare materiali diversi, mentre è lasciata alla legislazione dei singoli Stati la definizione di specifici limiti di accettazione in relazione agli impieghi previsti. In Italia, tale legislazione è particolarmente carente ed assume fondamentale importanza la formazione e la conoscenza specifica dei tecnici per garantire installazioni di qualità, sicure e durevoli. Come osservabile nel testo a lato, le caratteristiche tecniche possono essere divise in categorie. Le caratteristiche geometriche e dimensionali non sono proprie del materiale, ma dipendono dalla lavorazione e sono fondamentali per la corretta posa del manufatto, sia dal punto di vista funzionale sia da quello estetico. La petrografia di un materiale ne permette la classificazione e fornisce informazioni sulla sua natura. Questo test, che presuppone un’analisi microscopica, è spesso utilizzato anche per valutare lo stato di alterazione, di micro-fessurazione e di inclusioni che potrebbero portare alla deturpazione del manufatto nel tempo. La determinazione delle proprietà fisico-meccaniche quantifica caratteristiche peculiari dei singoli materiali come il peso specifico, la porosità (presenza di vuoti e cavità, sia comunicanti che non), l’assorbimento d’acqua in diverse condizioni, la dilatazione termica e la resistenza alle sollecitazioni meccaniche (compressione, flessione, abrasione, rottura). Le prove di durabilità permettono di valutare il comportamento delle pietre nei confronti di potenziali agenti degradanti. I test sottopongono il materiale ad attacchi o invecchiamenti accelerati, al fine di simulare la loro risposta alla stessa aggressione nel corso del tempo. In seguito all’esecuzione di queste azioni aggressive, sono valutate le capacità dei materiali di mantenere o meno le proprie caratteristiche fisiche, meccaniche, cromatiche. Infine, la prova tecnologica di resistenza allo scivolamento, così definita perchè dipendente in larga misura dalla finitura superficiale del materiale più che dalle sue caratteristiche interne, valuta la capacità di un prodotto per pavimentazione in pietra di frenare lo scivolamento di un corpo in movimento su di essa. In precedenza è stato fatto cenno all’obbligo di Marcatura CE per i prodotti in pietra naturale; nel testo a lato è riportato l’elenco delle norme di prodotto armonizzate che stabiliscono i criteri per la marcatura. Le norme armonizzate europee trattano tutte le caratteristiche prestazionali essenziali dei prodotti rilevanti per la soddisfazione dei requisiti di base delle opere di costruzione stabiliti dal Regolamento Europeo 305/11. 4-16 4 - Caratteri costruttivi e tecniche per interventi di conservazione e recupero Le norme armonizzate quindi contengono: - l’elenco di tali caratteristiche; - i metodi di prova o di calcolo per la determinazione delle caratteristiche (o un riferimento a norme che contengano i metodi); - le modalità di espressione dei risultati; - le indicazioni su chi debba attestare la conformità e con quali compiti; - le prescrizioni sulla marcatura CE e sulle informazioni che devono accompagnarla. Le norme armonizzate, come già detto, non contengono limiti di accettazione in relazione a specifici impieghi previsti (se non nel caso in cui, al di sotto di una certa prestazione, un prodotto non sia idoneo a nessun impiego nelle costruzioni). Ciò che il Regolamento Europeo, per mezzo delle norme armonizzate di fatto unifica, sono i metodi di prova e i metodi per dichiarare i valori delle prestazioni del prodotto. La scelta di limiti di accettazione, per impieghi determinati, è lasciata ai legislatori nei singoli Stati membri, che rimangono liberi di fissarli nelle regolamentazioni cogenti, nazionali o locali, sulle opere. I produttori possono quindi essere sicuri che i metodi di prova e le modalità di dichiarazione dei risultati siano gli stessi in tutti gli Stati membri dell’Unione Europea e che i prodotti, se caratterizzati come disposto dalle norme armonizzate, possano essere immessi legalmente sul mercato di tutta la UE, ma devono comunque informarsi sull’esistenza di eventuali regolamentazioni cogenti nazionali o locali che fissino limiti all’impiego dei prodotti nelle opere. 4.1.5 - Valutazione di un materiale lapideo La pietra naturale è impiegata in numerosissime realizzazioni. Probabilmente, non esiste un altro materiale da costruzione così versatile ed adatto (o adattabile) a tutte le applicazioni in cui possiamo osservare l’utilizzo della pietra. Grazie all’innovazione tecnologica, inoltre, i campi di impiego della pietra naturale si arricchiscono ogni giorno di nuove possibilità. Questo potrebbe far credere che l’utilizzo di un materiale lapideo sia semplice, banale e sempre possibile, ma come in parte accennato in precedenza, non è affatto così. Senza una corretta progettazione e conoscenza dei materiali, si può facilmente incorrere in errori che possono pregiudicare la realizzazione finale, a partire da marginali, ma esecrabili, difetti estetici a più gravi problematiche di funzionalità o addirittura di sicurezza. La scelta di un materiale lapideo deve rigorosamente avere inizio da un’attenta analisi dell’ambiente di destinazione. Intendendo, con questa espressione, racchiudere tutte le condizioni al contorno relative all’installazione. Anche se molte delle pietre naturali disponibili sul mercato possono soddisfare la maggior parte delle esigenze costruttive, certamente alcune, in funzione delle loro caratteristiche, sono più o meno adatte di altre per uno specifico impiego. Occorre dunque partire dal presupposto che non esiste un materiale migliore o peggiore di un altro, ma la sua qualità deve essere valutata in funzione del- 4.1 - I materiali 4-17 l’idoneità all’uso previsto. Una scelta consapevole dovrà poi coniugare le esigenze estetiche con quelle tecniche. Prima di procedere alla selezione del materiale lapideo, quindi, è necessario valutare le condizioni a cui la pietra sarà sottoposta nel corso della sua vita di esercizio. In primo luogo si dovrà tener conto se il luogo di installazione si trova in interno o in esterno. In linea generale le sollecitazioni che la pietra dovrà affrontare in un ambiente esterno sono più intense di quelle in interno. Basti pensare ad agenti quali pioggia, neve, grandine, ma anche un’eventuale elevata insolazione, importanti escursioni termiche, gelo. Attenzione deve essere riservata anche all’esposizione: a nord o comunque in zone poco assolate, sarà più difficoltosa l’evaporazione, ma meno frequenti i cicli di gelo e disgelo; al contrario aree particolarmente esposte al sole subiranno forte riscaldamento che può favorire, tra l’altro, la dilatazione termica (in questo caso gioca un ruolo fondamentale anche il colore del materiale). Da non trascurare, inoltre, la possibile aggressione chimica, sia naturale (ad esempio atmosfere saline in zone di mare) che indotta (sali disgelanti, piogge acide, inquinamento, ...). Tra gli ambienti interni, possono essere critiche le area ad elevata umidità (terme, piscine, cucine), soggette ad escursioni termiche (zone in prossimità di vetrate, lucernai) o temperature rigide (celle frigorifere, ecc). Definito il luogo di istallazione, assume particolare rilevanza la destinazione d’uso. L’intensità della sollecitazione dipende infatti sia dall’impiego previsto che dalla frequentazione del luogo che sarà estremamente diversa in caso di ambiente domestico, pubblico o industriale. Gli ambiti domestici sono certamente quelli a minor grado di sollecitazione, ma anche quelli in cui l’esigenza dell’utilizzatore risulta maggiore. In questo caso, più che le prestazioni tecniche, assumono particolare importanza la posa in opera, i dettagli e la precisione delle lavorazioni, i trattamenti superficiali e la manutenzione. Questi aspetti non possono certo essere trascurati nelle altre localizzazioni, ma appare evidente come, in luoghi particolarmente frequentati come aeroporti, metropolitane, centri commerciali, luoghi di lavoro, di svago o di culto, le caratteristiche meccaniche, in particolare di resistenza all’abrasione, all’urto, alla flessione, siano maggiormente importanti. In questi luoghi anche le aggressioni chimiche dovute alla pulizia delle superfici hanno un impatto elevato. I mezzi e i prodotti utilizzati, infatti, sono sicuramente più energici rispetto a quelli in uso in ambienti civili privati, dove comunque occorre agire con cautela nella manutenzione. La resistenza chimica diventa la caratteristica più importante in luoghi dove l’igiene è un requisito fondamentale. Si pensi ad esempio a luoghi di cura, cucine di ristoranti e mense, bagni destinati al pubblico utilizzo; in questi luoghi, la necessità di disinfezione richiede l’uso di prodotti particolarmente aggressivi. In ambito industriale, ovviamente, tutte le sollecitazioni sono particolarmente rilevanti ed è in queste situazioni di impiego che i materiali lapidei devono rispondere ai requisiti più severi in tutte le categorie menzionate in precedenza. Una menzione specifica meritano le pavimentazioni, sia in interno che in 4-18 4 - Caratteri costruttivi e tecniche per interventi di conservazione e recupero esterno, poiché le variabili che determinano l’insieme di sollecitazioni cui la pietra dovrà resistere sono molteplici. Oltre agli aspetti ambientali, di cui abbiamo già discusso, devono essere considerati il tipo di transito (pedonale, veicolare, pesante, misto), la sua frequenza (occasionale, continuo, intenso), la velocità, la direzione prevalente (rettilineo, curvo, rotatorio), la possibile interazioni con altri oggetti o sostanze (caduta di oggetti o di liquidi, impiego di sostanze per pulizia o manutenzione). A ben vedere, ognuna delle condizioni citate può presentare delle variabili secondarie. Per fare qualche semplice esempio possiamo pensare al passaggio pedonale che, in determinate situazioni, può comportare il trascinamento di carrelli, trolley e passeggini. Oppure una pavimentazione esterna di un’area pedonale dove però, occasionalmente, è permesso un transito pesante (raccolta immondizia, carico e scarico merci). O ancora pavimentazioni interne reputate poco sollecitate che incorrono nell’azione di acqua, neve, sabbia, sali disgelanti perchè accolgono persone o mezzi provenienti da zone esterne. Esistono molte altre casistiche, ma gli esempi riportati sono sicuramente sufficienti per comprendere il grado e il tipo di attenzione che richiede l’indagine preliminare alla scelta di un materiale lapideo. Potrebbe sembrare superfluo, ma è importante sottolineare che in qualsiasi applicazione, la pietra naturale non è l’unico elemento che richieda attenzione nella scelta e nella progettazione. Anche la selezione della migliore pietra possibile, per un determinato intervento non può, da sola, garantire l’esecuzione dell’opera a regola d’arte e preservarla dal degrado e dall’insorgere di problemi più o meno gravi, se tutti gli elementi che compongono la realizzazione non sono stati progettati, scelti e posati in modo corretto. In occasione di danni più o meno gravi a realizzazioni che includono materiali lapidei, si tende ad attribuirne la responsabilità alla pietra naturale, ma solo in un numero limitato di casi questa accusa si rivela fondata. Molto spesso le problematiche che si manifestano sono invece dovute ad una errata esecuzione, intendendo con questa espressione tutte le attività di supporto: dalla progettazione alla scelta dei materiali necessari all’installazione, alle modalità di realizzazione del manufatto, alle opere accessorie. BIBLIOGRAFIA Cap. 4.1 Filipello A., I lapidei ornamentali della Provincia del Verbano Cusio Ossola: una banca dati geotematica, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Torino, Relatore Prof.ssa L. Fiora, 2004. Primavori P., Pianeta Pietra, Giorgio Zusi Editore, Verona, 1999. Primavori P., Il comprensorio lapideo del V.C.O., in: Marmomacchine Classic n° 198, Ed. Promorama, Milano, 2007. Primavori P., Introduzione alla Pietra Naturale, Giorgio Zusi Editore, Verona, 2014. Regione Piemonte, Pietre Ornamentali del Piemonte, 2000. Sfratato F., Sperimentazione in sito ed analisi del fenomeno di caduta massi, Università degli Studi di Milano, Tesi di Laurea, Relatore Prof. A. Clerici, 2002. www.assograniti.it www.csl-vco.it www.pietredelvco.it 4.2 - Il comportamento statico degli edifici di pietra, il comportamento scatolare, le fondazioni, il miglioramento statico strutturale 4-19 4.2 - Il comportamento statico degli edifici di pietra: la “struttura scatolare”, le fondazioni, il miglioramento statico strutturale Alessandro Grazzini 4.2.1 - Introduzione Nota 4.2-1 D.M. 14/01/2008 Norme tecniche per le costruzioni. Nota 4.2-2 Circolare 2 febbraio 2009, n. 617 - Istruzioni per l’applicazione delle “Nuove norme tecniche per le costruzioni” di cui al D.M. 14 gennaio 2008. Il progetto di recupero dei tradizionali edifici in pietra a secco dovrà necessariamente affrontare il tema del consolidamento statico e del miglioramento sismico delle strutture, alla luce sia dell’attuale stato di degrado nel quale versa una vasta parte di queste costruzioni, sia dei requisiti di sicurezza richiesti dalle nuove normative tecniche1-2. Nella letteratura scientifica nazionale e internazionale esiste pochissimo materiale tecnico di supporto alla progettazione di interventi di recupero statico e sismico su strutture murarie in pietra a secco, come ulteriore conferma dell’unicum costruttivo che questi edifici rurali dell’architettura della parte nord dell’Insubria rappresentano, invece meritevoli di un approfondito studio ingegneristico. Gli indirizzi operativi che questo manuale vuole offrire a professionisti e tecnici chiamati a intervenire per la messa in sicurezza di questi edifici sono impostati sul massimo rispetto e sulla conservazione delle peculiarità strutturali e architettoniche del costruito storico, in sintonia con la Direttiva del 9 febbraio 2011 recante “Linee guida per la valutazione e riduzione del rischio sismico del patrimonio culturale tutelato” con riferimento alle Norme Tecniche per le Costruzione D.M. 14/01/2008. Infatti, sebbene la maggior parte degli edifici rurali e civili non siano sottoposti a vincoli diretti del Ministero per i beni e le attività culturali, essi esprimono un elevato valore storico-architettonico da tutelare con i medesimi criteri di conservazione previsti per gli edifici posti sotto vincolo ministeriale. Gli interventi proposti all’interno del manuale sono basati su tecniche semplici, alcune tradizionali altre eseguite con materiali innovativi già utilizzati positivamente. Una delle principali finalità è quella di contemperare in modo soddisfacente, per quanto possibile, due esigenze apparentemente contrastanti quali: - da un lato, quella di preservare le peculiarità architettonico costruttive degli edifici e i loro connotati funzionali, - d’altro canto, la necessità di ottemperare alle richieste di messa in sicurezza sotto il profilo strutturale proposto dalle attuali normative tecniche per le costruzioni. Particolare attenzione sarà prestata alla valutazione della vulnerabilità sismica delle strutture in pietra, in ottemperanza a quanto richiesto 4-20 4 - Caratteri costruttivi e tecniche per interventi di conservazione e recupero dalle attuali Norme Tecniche per le Costruzioni in occasione di ristrutturazioni globali degli edifici. In particolare gli autori sono concordi nel sostenere interventi di solo miglioramento sismico, ben consapevoli che la tipologia costruttiva di questi edifici difficilmente potrà raggiungere i medesimi livelli di sicurezza sismica (adeguamento) previsti per le nuove costruzioni. 4.2.2 - Statica degli edifici murari Gli edifici tradizionali di pietra della Valle Ossola e del Ticino sono caratterizzati da geometrie semplici, solai lignei, coperture con struttura portante di legno e manto di piode molto pesanti, come visibile in Fig.4.2-1. Sono riscontrabili diversi modi di apparecchiare le murature: a secco, con allettamento in malta di calce (a giunti sottili e a giunti spessi), con intonaco raso pietra, intonacate. La tessitura muraria risulta solitamente ben ammorsata nello spessore, con diatoni diffusi. Solo nelle costruzioni più importanti le pietre sono accuratamente sbozzate o risquadrate: il loro grado di lavorazione diminuisce col diminuire della rilevanza della costruzione, per essere quasi nullo nei casi dei muriccioli poderali o nei muri di terrazzamento di modeste dimensioni3. Come tutti gli edifici costruiti con muratura portante, anche per queste costruzioni è necessario valutare la struttura mediante uno schema scatolare costituito da elementi “indipendenti” efficacemente collegati: - le pareti che svolgono una funzione portante rispetto ai carichi verticali e/o di controventamento rispetto ai carichi orizzontali (vento e sisma); - solai sufficientemente rigidi e resistenti per sopportare i carichi Nota 4.2-3 Paragrafo 4.3.1“Caratteri costruttivi e classificazione delle murature”. Fig. 4.2-1 Tipica casa rurale in pietra a secco con tetto in piode (Veglio). 4.2-1 4.2 - Il comportamento statico degli edifici di pietra, il comportamento scatolare, le fondazioni, il miglioramento statico strutturale Nota 4.2-4 In tal senso, la presenza di sistema di coperture come quelle tradizionali col manto di piode può giocare un ruolo positivo se il sistema di copertura stesso è correttamente impostato sui muri di appoggio, ovverosia non genera spinte orizzontali e l’orditura lignea riconduce a soli carichi verticali le forze in gioco. 4-21 verticali e per ripartire le azioni orizzontali tra i muri di controventamento (azione di diaframma). Gli edifici di muratura sono infatti strutture complesse tridimensionali, costituite da pareti disposte secondo due direzioni mutuamente ortogonali, e da un sistema di elementi orizzontali che - mutuamente vincolati - costituiscono l’organismo strutturale. Gli elementi resistenti devono essere efficacemente connessi in modo da garantire un comportamento statico di natura scatolare, atto a resistere a sollecitazioni provenienti da qualsiasi direzione. Pertanto tutti i muri devono avere, per quanto possibile, sia la funzione portante che di controventamento. Inoltre, i solai devono essere sufficientemente rigidi e ben vincolati a tutte le pareti su cui poggiano, in modo da legarle e da ripartire sulle pareti di controventamento i carichi orizzontali (vento e sisma) secondo la direzione ad esse longitudinale. La capacità dei muri di resistere alle azioni orizzontali è favorevolmente influenzata dalla presenza di forze verticali stabilizzanti4. Tale concezione strutturale, corrispondente al “comportamento scatolare” richiesto dalle normative stesse1-2, fornisce al fabbricato un’ottima resistenza d’insieme, comprovata dal buon comportamento che hanno gli edifici di muratura, anche in zona sismica, se correttamente costruiti. In Fig. 4.2-2 è illustrato come la resistenza dei muri a forze agenti nel piano sia maggiore rispetto a quella di forze agenti ortogonalmente al piano, e quindi è maggiore la loro efficacia come elementi di controventamento. I muri ortogonali fra loro devono essere efficacemente ammorsati lungo le intersezioni verticali, mediante un’opportuna disposizione degli elementi. Il buon ammorsamento tra le pareti tende a realizzare una maggiore ridistribuzione dei carichi verticali fra i muri ortogonali anche nel caso di solai ad orditura prevalente in una direzione. La Fig. 4.2-3 illustra infatti il buon comportamento che deriva da un efficace collegamento tra solai sufficientemente rigidi e pareti quando l’edificio è sollecitato da una azione orizzontale (vento o sisma). Come si vede la rigidezza del solaio, che svolge l’azione di diaframma, unita all’efficace collegamento tra il solaio e le pareti e delle pareti fra di Fig. 4.2-2 Illustrazione della resistenza delle murature a seconda della direzione di applicazione dei carichi orizzontali e importanza dell’efficace collegamento tra tutte le strutture per raggiungere il comportamento scatolare. 4.2-2 4-22 4 - Caratteri costruttivi e tecniche per interventi di conservazione e recupero Fig. 4.2-3 - Corretta distribuzione delle forze orizzontali verso le pareti di controventamento se viene raggiunto un buon comportamento scatolare che collega tutte le strutture. 4.2-3 loro, permette di distribuire le azioni orizzontali verso le pareti a maggior inerzia nella medesima direzione di sollecitazione (controventi); nello stesso tempo consente di non far gravare tali azioni sulle pareti ad esse ortogonali, le quali, data la scarsa rigidezza nella direzione trasversale, rischierebbero il ribaltamento. In questa situazione ottimale le pareti ortogonali all’azione orizzontale risultano vincolate come una piastra che può garantire una sufficiente resistenza fuori dal piano per la minima quota parte di azioni orizzontali ad esse attribuite. Al contrario, come è visibile in Fig. 4.2-4, la mancanza di uno o più di questi requisiti (solai non sufficientemente rigidi, collegamenti non efficaci tra solai e pareti, o delle pareti tra di loro) non garantisce più la corretta distribuzione delle azioni orizzontali lungo le pareti di controventamento. Pertanto le pareti ortogonali a queste non efficacemente collegate al solaio o alle altre pareti, saranno gravate da un’azione orizzontale di intensità non compatibile con la loro scarsa resistenza nella direzione ad esse ortogonale, generando labilità e vulnerabilità per il rischio di potenziali ribaltamenti fuori dal piano. La muratura, in generale, è un manufatto composito le cui principali caratteristiche sono la disomogeneità, l’anisotropia, il diverso com- Fig. 4.2-4 - Distribuzione non corretta delle forse orizzontali generata da una mancanza di comportamento scatolare dell’edificio. 4.2-4 4.2 - Il comportamento statico degli edifici di pietra, il comportamento scatolare, le fondazioni, il miglioramento statico strutturale Nota 4.2-5 - Cangi G.; Manuale del recupero strutturale e antisismico, DEI, Roma 2005. Figura 4.2-5 - Posizione degli ortostati e dei diatoni all’interno della tessitura muraria. 4-23 portamento a compressione e a trazione, la non linearità nel legame sforzi-deformazioni. Pertanto la muratura, come aggregato di diversi componenti, risulta spesso di difficile definizione meccanica. E’ solo possibile schematizzarla con una resistenza a compressione e modulo elastico quanto mai vari, scarsissima duttilità e ancora più esigua (e quindi trascurabile) resistenza a trazione. La tabella C.8A.2.1 della Circolare 617 del 2 febbraio 20092 fornisce alcuni utili valori indicativi, compresi tra un minimo cautelativo e un massimo, delle principali caratteristiche meccaniche di alcune tessiture murarie, non riuscendo ovviamente a coprire il vasto panorama di diverse tessiture presenti nel patrimonio storico-architettonico italiano. La particolare tessitura muraria della pietra a secco rientra tra quelle non sufficientemente studiate e indagate, sulla quale si può presupporre una più che buona resistenza a compressione in considerazione dei pesanti elementi lapidei che la compongono, ma nulla si conosce a livello quantitativo riguardo il comportamento a taglio e pressoflessione nel piano. La difficile quantificazione delle caratteristiche meccaniche delle singole murature presenti anche nel medesimo fabbricato e l’accumulo di danni conseguenti a decenni di abbandono rendono quanto mai problematica l’analisi dell’affidabilità nelle verifiche statiche. Il giudizio sulle reali condizioni di salute di una costruzione di muratura, specialmente se antica, è da fare conseguire ad una valutazione di sintesi, nella quale le verifiche analitiche danno un supporto tanto più affidabile quanto più queste sono recepite con spirito critico5. Nello studio e nel calcolo delle strutture murarie perdono in parte di significato i numeri e l’affinamento ossessivo ed accanito dei metodi di calcolo. Quando possibile, è meglio affidarsi a schemi di calcolo chiari, isostatici, a rottura, che spesso non hanno bisogno della conoscenza dei legami costitutivi dei materiali e seguono le leggi dei corpi rigidi della meccanica razionale. La tessitura muraria di pietre a secco degli edifici presenta diverse varietà e tecniche costruttive, a seconda dell’area geografica e delle condizioni economiche nel contesto di edificazione. La maggior parte delle murature ossolane è costruita con pietre a secco disposte regolarmente con giunti verticalmente sfalsati e comprendono la presenza fondamentale di elementi ortostati e di diatoni trasversali, come evidenziato nelle Figg. 4.2-5,-6. Figura 4.2-6 - Stratigrafia di una muratura in pietra a secco eseguita seguendo la regola d’arte. 4.2-5 4.2-6 4-24 4 - Caratteri costruttivi e tecniche per interventi di conservazione e recupero 4.2-7 Gli ortostati sono blocchi posti con il loro lato più lungo nella direzione del muro ed hanno la funzione di legare l’apparecchio murario nel piano della parete, in modo da conferire un comportamento monolitico per azioni che sollecitano la parete nel proprio piano. I diatoni sono invece i blocchi posti con il loro lato più lungo ortogonalmente alla direzione del muro in modo da consentire un comportamento monolitico nei confronti delle azioni che tendono a ribaltare la parete fuori del proprio piano. La regolarità e la simmetria orizzontale dei giunti favoriscono una migliore resistenza della parete ad azioni orizzontali ad essa ortogonali che possono innescare pericolosi ribaltamenti fuori dal piano, come illustrato in Fig. 4.2-7. Lo sfalsamento verticale dei giunti garantisce inoltre una migliore distribuzione dei carichi verticali e una migliore risposta della parete sottoposta ad azioni orizzontali nel proprio piano, come evidenziato in Fig. 4.2-8. I vuoti tra le pietre sono spesso riempiti con piccole zeppe lapidee, come illustrato in Fig. 4.2-6. Gli spigoli erano rinforzati con i cantonali per garantire maggior rigidezza lungo le fondamentali intersezioni tra le pareti perimetrali ortogonali, ai fini di un buon comportamento scatolare dell’intero fabbricato come visibile nelle Figg. 4.2-9,-10. Tuttavia alcune tipologie murarie non risultano eseguite a regola d’arte e denotano una sezione multistrato dove i due paramenti murari sono slegati essendo assenti i diatoni trasversali, come visibile nelle Figg. 4.2-11,-12 presso alcune sezioni murarie rilevate a Veglio. Queste sezioni risultano particolarmente vulnerabili in corrispondenza di azioni orizzontali fuori dal piano poichè tendono a disgregarsi in modo Fig. 4.2-7 - Importanza della linearità dei giunti orizzontali ai fini di una maggior resistenza che la parete muraria può offrire per contrastare il ribaltamento fuori dal piano in corrispondenza di azioni orizzontali ad essa ortogonali. Figg. 4.2-9 e 4.2-10 Presenza di poderosi cantonali lungo gli spigoli degli edifici di Veglio. Fig. 4.2-11 e 4.2-12 - Sezioni murarie multistrato con paramenti esterni non connessi (Veglio). Fig. 4.2-8 - Effetto benefico della disposizione sfalsata dei giunti verticali sia per la buona resistenza ai carichi verticali sia per quella a carichi orizzontali nel piano della parete. 4.2-8 4.2 - Il comportamento statico degli edifici di pietra, il comportamento scatolare, le fondazioni, il miglioramento statico strutturale 4-25 4.2-9 4.2-10 4.2-11 4.2-12 4-26 4 - Caratteri costruttivi e tecniche per interventi di conservazione e recupero 4.2-13 4.2-15 caotico, come illustrato nelle Figg. 4.2-13,-14. Infatti, in queste situazioni non è assolutamente garantito l’auspicabile comportamento monolitico che la parete deve dimostrare per garantire resistenza sia nel piano sia fuori da piano. Occorre infatti ricordare che l’azione sismica fuori dal piano, cioè in direzione ortogonale alla parete (quindi lungo la direzione di minor rigidezza), può essere ulteriormente gravosa quando il sistema strutturale non è sufficientemente “scatolare”, e pertanto la maggior parte dell’azione sismica non viene correttamente ripartita sulle sole pareti longitudinali, bensì una quota si riversa in direzione ortogonale causandone il crollo. Come illustrato in Fig. 4.2-15, occorre un’azione sismica molto più grande per generare il ribaltamento di una parete a tessitura monolitica, al contrario è sufficiente una bassa azione sismica per determinare il collasso fuori dal piano di una muratura multistrato trasversalmente disconessa. Infatti la regola d’arte ha un ruolo fondamentale per il comportamento statico e dinamico dell’edificio. Essa prevede, per esempio, la presenza dei diatoni trasversali. Una tessitura a comportamento monolitico oppure multistrato non connessa può notevolmente influenzare la resistenza statica della struttura muraria sotto sollecitazione sismica, come illustrato in Fig. 4.2-16. Gli edifici di pietra a secco della Val d’Ossola sono altresì carat- 4.2-14 Figg. 4.2-13 e 4.2-14 - Differente comportamento statico tra tessitura monolitica e muratura caotica non ammorsata trasversalmente Fig. 4.2-15 - Importanza del comportamento monolitico della tessitura muraria ai fini di una migliore resistenza della parete ad azioni ortogonali Fig. 4.2-16 - a) Confronto della risposta statica di quattro tessiture murarie diverse, da quella compatta e monolitica fino a quella più caotica e disomogenea (multistrato); b) Particolare di una buona tessitura in pietra a secco presso Veglio. 4.2-16a 4.2-16b 4.2 - Il comportamento statico degli edifici di pietra, il comportamento scatolare, le fondazioni, il miglioramento statico strutturale Fig. 4.2-17 - Elementi tipologici e strutturali del sistema di copertura a piode. 4-27 teristici per le loro pesanti coperture di piode. La struttura del tetto è costituita da capriate di legname, spesso tondo, di larice o castagno. La Fig. 4.2-17 ne illustra il funzionamento statico come una struttura costituita da dormienti (A), tiranti (B), puntoni (C), correnti orizzontali (D) e caviglie di collegamento (F). La descrizione approfondita e dettagliata della composizione strutturale è rimandata al capitolo 4.5. Queste coperture sopportano carichi enormi, dell’ordine di 4-5 quintali ogni metro quadro di peso proprio, più i carichi spesso asimmetrici della neve (la neve bagnata pesa 9-10 quintali al metro cubo) e quelli dinamici prodotti dal vento e dal sisma. Le falde del tetto si avvicinano più ad un’apparecchiatura muraria a “falsa volta” che ad un semplice strato di copertura. Il materiale di copertura è costituito da lastre di pietra (in ossolano piode) di gneiss di circa 60-100 centimetri di lunghezza per 40-60 centimetri di larghezza, spesse dai 5 ai 10 centimetri. Una pioda pesa circa 50 chilogrammi, per coprire un solo metro quadrato ce ne vogliono da sette a otto. Occorrono dai 3 ai 4 metri quadri di piode per formare 1 metro quadro di coperto. Il tetto tradizionale ossolanoticinese non è formato da lastre adagiate secondo la pendenza del tetto e disposte su di un assito, bensì le piode sono posate quasi in orizzontale come se formassero un muro a secco, rifinito, inclinato e armato con legno. Il sistema statico spaziale costituisce una capriata reticolare come illustrato in Fig. 4.2-18, dove in alcuni esempi si trovano anche dei controventi di falda. Le capriate centrali sono sempre collegate a due controventi che puntano nel medesimo verso della chiusura del nodo a “mezzo legno” del colmo; se così non fosse, quando i controventi lavorano tenderebbero ad aprire il nodo di colmo tra puntone e puntone (l’unione a mezzo legno è chiodata con un perno passante di legno maggiociondolo). In Fig. 4.2-19 sono illustrate le diverse tecniche costruttive rilevate per un efficace collegamento delle strutture della capriata sul dormiente inferiore. Nell’esempio 1 si evidenzia l’alternanza del controvento sul tirante e il sottostante solaio ligneo; l’esempio 2 è Fig. 4.2-18 - Esempio di capriata lignea che sorregge il manto di piode (Veglio). 4.2-18 4-28 4 - Caratteri costruttivi e tecniche per interventi di conservazione e recupero 4.2-19b Fig. 4.2-19 - (a, b) Sistema di appoggio e incastro della capriata sul dormiente. 4.2-19a analogo al precedente con la sola differenza di possedere un dente sommitale di muratura; nell’esempio 3 il dormiente è squadrato e inglobato interamente nella muratura sommitale, costituendo un vero e prorpio “cordolo”. Infatti una delle carenze di queste tipologie costruttive è l’assenza di un efficace cordolo sommitale che possa meglio legare le pareti e la pesante copertura. Anche se la tipologia di copertura non è Fig. 4.2-20 - Esempio di solaio con travi in legno (orditura principale), travicelli (orditura secondaria) e tavolato semplice (Veglio). 4.2-20 4.2 - Il comportamento statico degli edifici di pietra, il comportamento scatolare, le fondazioni, il miglioramento statico strutturale 4-29 staticamente spingente per la presenza della catena, tuttavia ai fini di un migliore comportamento sismico occorre prevedere l’inserimento di un cordolo sommitale, dalle caratteristiche non invasive e compatibili con la tipologia muraria storica, per “cerchiare” e legare meglio le pesanti murature tra di loro e queste con la struttura di copertura. I solai sono costruiti prevalentemente con travi in legno e soprastante tavolato semplice, come visibile in Fig. 4.2-20. Al di là dello stato di degrado e abbandono che ha generato notevoli inflessioni delle orditure principali e secondarie, risulta evidente che tale tipologia di solaio non può costituire un efficace diaframma per la corretta distribuzione delle azioni orizzontali verso le pareti di controventamento, a causa della sua scarsa rigidezza. Esso necessiterà di compatibili ed efficaci tecniche di rinforzo (descritte al capitolo 4.6) con lo stesso materiale e con l’eventuale ausilio dell’acciaio per garantire un adeguato collegamento dell’intero solaio alle murature perimetrali e svolgere pertanto la funzione di solaio rigido. Le fondazioni di questi edifici sono superficiali - date le esigue altezze che li contraddistinguono - e sono a tipologia continua della stessa muratura che caratterizza le pareti di elevazione. 4.2.3 - Meccanismi di danno Il collasso delle costruzioni di muratura avviene in genere per perdita di equilibrio di porzioni strutturali piuttosto che per il raggiungimento della tensione di rottura del materiale. Il DM 14 gennaio 2008 , come illustrato anche in Fig. 4.2-21, stabilisce al punto 8.7.1 la distinzione fra: - meccanismi locali: quelli che interessano singoli pannelli murari o più ampie porzioni della costruzione e sono favoriti dall’assenza o scarsa efficacia dei collegamenti tra pareti e orizzontamenti e fra i pannelli murari; - meccanismi globali: quelli che coinvolgono l’intera costruzione e impegnano i pannelli murari prevalentemente nel loro piano. Il comportamento delle murature storiche, oltre che dalle caratteri- Fig. 4.2-21 - Distinzione tra risposta locale e globale di danneggiamento dell’edificio in muratura. 4.2-21 4-30 4 - Caratteri costruttivi e tecniche per interventi di conservazione e recupero Fig. 4.2-22 - Meccanismi di danno per azioni orizzontali. 4.2-22 stiche dei singoli elementi costruttivi, è influenzato dal sistema delle connessioni verticali e orizzontali, la cui presenza può garantire il comportamento scatolare d’insieme e tenere unito l’intero organismo strutturale in condizioni statiche e dinamiche. Le connessioni migliorano il funzionamento dei vincoli, trasformandoli da monolateri a bilateri, ossia da elementi capaci di esercitare un’azione di solo contrasto a dispositivi capaci anche di trattenere e quindi di assicurare una resistenza a trazione. La maggior parte delle carenze strutturali rilevabili nell’edilizia storica derivano proprio dall’assenza o dalla scarsità della capacità di contrasto dei vincoli. In campo sismico si distinguono pertanto due differenti modalità di danneggiamento, illustrati in Fig. 4.2-22, la cui attivazione dipende molto dal grado di comportamento scatolare dell’edificio murario. I meccanismi di danno di modo I si innescano nelle pareti murarie investite da azioni sismiche ortogonali che tendono a produrne il ribal- Fig. 4.2-23 - Lesione per compressione (Torre di Beura-Cardezza). 4.2-23 4.2 - Il comportamento statico degli edifici di pietra, il comportamento scatolare, le fondazioni, il miglioramento statico strutturale 4-31 tamento; questo avviene quando tali pareti non sono sufficientemente legate a quelle ortogonali o quando la mancata azione di diaframma rigido del solaio comporta un valore molto elevato di azione sismica ortogonale, incompatibile con la resistenza della parete investita. La vulnerabilità sismica dell’edificio risulta fortemente condizionata dai meccanismi di danno di primo modo, molto frequenti e responsabili di dissesti rovinosi: il loro controllo rappresenta il primo obiettivo di qualsiasi intervento di prevenzione. I meccanismi di modo II interessano invece le pareti sollecitate da azioni sismiche complanari. Si innescano facilmente ma in genere comportano valori di moltiplicatore di collasso elevati. Il muro lesionato dall’azione orizzontale agente nel suo piano scorre su se stesso o ruota rispetto ad un punto di cerniera per effetto dell’azione sismica. Per evitare che i meccanismi di secondo modo siano rovinosi è necessario che la tessitura muraria possieda un regolare ammorsamento trasversale. Se il muro è eseguito secondo le regole dell’arte, tale modalità di danno può essere definita duttile, in analogia con le costruzioni di cemento armato e acciaio: le lesioni nelle pareti murarie possono raggiungere la larghezza di diversi centimetri, senza produrre pericolose perdite di equilibrio. Di seguito sono illustrati alcuni esempi di danneggiamento delle murature a secco. Innanzitutto, come visibile in Fig. 4.2-23, il danneggiamento può avvenire anche per il superamento della resistenza a compressione per carichi verticali, spesso dovuta a fenomeni di instabilità pressoflessionale generati dalla mancanza di solai intermedi di collegamento. In Fig. 4.2-24 è illustrato un classico esempio di ribaltamento della parete fuori dal piano, dovuto a elevati valori di azioni sismiche ad essa ortogonali poichè l’elevata deformabilità dei solai non ha garantito una Fig. 4.2-24 - Foto e schema di ribaltamento fuori dal piano (Montecrestese). 4.2-24 4-32 4 - Caratteri costruttivi e tecniche per interventi di conservazione e recupero 4.2-25a azione di diaframma, alla mancanza di adeguati collegamenti tra le pareti. Medesima situazione è rilevabile nelle Figg. 4.2-25a-b-c e 4.2-26 dove la causa principale è anche la grande decoesione della tessitura muraria che conferma inequivocabilmente la scorporazione dell’edificio strutturale in macroblocchi da analizzare dal punto di vista cinematico. Un’altra tipologia di danno ricorrente può essere quella di flessione verticale o orizzontale che interessa il pannello murario tra due vincoli (solai sufficientemente collegati alle pareti o presenza di catene di trattenuta), come visibile nell’esempio della Torre di BeuraCardezza in Fig. 4.2-27. 4.2-25b 4.2-25c Figg. 4.2-25 - Ribaltamento fuori dal piano. a) Crevola d’Ossola; b) Montecrestese; c) Schema illustrativo. L’assenza di cordoli sommitali e la carenza di efficaci collegamenti tra le murature può gravemente contribuire al ribaltamento a cuneo come descritto in Fig. 4.2-28 quando si ha la presenza di un solaio ligneo con travi non vincolate efficacemente alle murature e pertanto Figg. 4.2-26 - Foto (a) e schema illustrativo (b) del ribaltamento fuori dal piano del timpano presso la Torre dei Lossetti di BeuraCardezza. 4.2-26a 4.2-26b 4.2 - Il comportamento statico degli edifici di pietra, il comportamento scatolare, le fondazioni, il miglioramento statico strutturale 4-33 4.2-27a 4.2-27b Figg. 4.2-27 - Foto (a) e schema illustrativo (b) del danneggiamento per flessione verticale e/o orizzontale sulle pareti della Torre dei Lossetti di BeuraCardezza. Fig. 4.2-28 - Esempio di ribaltamento sommitale di una porzione di parete generata dalle spinte e dallo sfi lamento del solaio ligneo o dalla copertura sommitale. zate, ben collegate, ben mantenute. Al contrario non pochi interventi in conglomerato cementizio armato eseguiti su edifici tradizionali hanno provocato danni irreversibili con i loro spostamenti rigidi. L’obiettivo principale resta sempre la conservazione non solo della materia ma anche del funzionamento strutturale accertato, qualora questo non presenti carenze tali da poter comportare la perdita dell’edificio. L’intervento dovrà pertanto essere proporzionato agli obiettivi di sicurezza e di durabilità, contenendo gli interventi in modo tale da produrre il minimo impatto sul manufatto storico. In molte situazioni di grave vulnerabilità del patrimonio storico-architettonico italiano, risulta sicuramente più conveniente eseguire pochi e compatibili interventi di consolidamento accontentandosi di non raggiungere i medesimi livelli di sicurezza sismica previsti per le nuove costruzioni, migliorando tuttavia la resistenza dell’edificio senza alterare i caratteri legati alle sue vicende edificatorie. Gli interventi devono essere in genere rivolti a singole parti del 4.2-28 4-34 4 - Caratteri costruttivi e tecniche per interventi di conservazione e recupero 4.2-29 4.2-30 soggette allo sfilamento. Tale situazione comporta anche il crollo del solaio stesso con grave situazione per la conservazione interna dell’edificio. La presenza di alcuni semplici tiranti può già contribuire a contrastare e limitare il danneggiamento collegato a tale vulnerabilità. Non meno importante è anche l’analisi dell’interazione tra edifici adiacenti, spesso non ammorsati nelle diverse fasi di edificazione, come visibile nelle Fig. 4.2-29-30-31. In occasione di un evento sismico si possono instaurare eventuali fenomeni di martellamento soprattutto se i solai degli edifici si trovano a differenti livelli. 4.2-31 4.2.4 - Principi di miglioramento sismico Alla luce dei fallimenti, oramai accertati dagli ultimi eventi sismici, di tecniche invasive basate sulla demolizione di solai e tetti lignei esistenti con la sostituzione di analoghe strutture di cemento armato che hanno portato soltanto a comportamenti ibridi, gli autori desiderano riflettere su soluzioni del tutto compatibili con il fabbricato storico e con il suo originario schema strutturale. Al termine “adeguamento” che spesso ha comportato interventi con materiali inadeguati che nulla hanno a che fare con la tipologia costruttiva e con i caratteri connotanti degli edifici storici, finalmente le “Linee guida per la valutazione e riduzione del rischio sismico del patrimonio culturale tutelato” (Direttiva del 9 febbraio 2011) hanno confermato l’esigenza per il costruito storico di fermarsi al solo termine “miglioramento” nei confronti del comportamento strutturale, mediante riparazioni minime non invasive. Per quanto possibile, la riabilitazione strutturale non deve stravolgere la condizione originaria di equilibrio. La maggior capacità di assorbimento delle sollecitazioni sismiche è stata dimostrata da quelle murature, orizzontamenti, coperture (anche lignee) che erano state ben realiz- Fig. 4.2-29, 4.2-30 e 4.2-31- Foto e schema descrittivo di possibili vulnerabilità sismiche derivanti dalla mancanza di ammorsamento tra edifici adiacenti (Veglio). 4.2 - Il comportamento statico degli edifici di pietra, il comportamento scatolare, le fondazioni, il miglioramento statico strutturale 4-35 manufatto, contenendone il più possibile l’estensione ed il numero, e comunque evitando di alterare in modo significativo l’originale distribuzione delle rigidezze negli elementi. Gli interventi dovranno, per quanto possibile, rispettare la concezione e le tecniche originarie della struttura, nonché le trasformazioni significative avvenute nel corso della storia del manufatto. Nei successivi capitoli saranno descritti, per ogni tipologia strutturale, gli interventi che gli autori propongono come ventaglio di possibili soluzioni per il miglioramento sismico degli edifici in pietra a secco, ricordando che nella pratica non esiste “la migliore tecnica in assoluto” bensì quella che in rapporto con le caratteristiche specifiche dell’edificio e delle sue potenziali vulnerabilità rappresenta la migliore soluzione nei confronti anche della conservazione del valore storicoarchitettonico del manufatto. 4-36 4 - Caratteri costruttivi e tecniche per interventi di conservazione e recupero BIBLIOGRAFIA Cap. 4.2 Cangi G., Manuale del recupero strutturale e antisismico, DEI, Roma 2005 Circolare 2/02/2009 n.617, Istruzioni per l’applicazione delle “Nuove norme tecniche per le costruzioni” di cui al D.M. 14 gennaio 2008, Gazzetta ufficiale 26/02/2009 n. 47. Ministero delle Infrastrutture: Roma, 2009. D.M. 14/01/2008, Norme Tecniche per le Costruzioni. Gazzetta ufficiale 04/02/2008 n. 29. Ministero delle Infrastrutture: Roma, 2008