QUALE psicologia, Nuova Serie, Anno 3, Numero 5, Supplemento n. 4, Gennaio 2016.
Semestrale dell’Istituto per lo Studio delle Psicoterapie fondato nel 1992.
Organo della Società Italiana di Psicoterapia e della Società Italiana di Psicoterapia Strategica.
Direttore responsabile Valeria Verrastro.
Copertina a cura di Renato De Marco.
Direzione, Redazione e Amministrazione 00185 Roma; Via San Martino della Battaglia 31;
Telefoni 06 44340019, 328 6068080; Fax 06 44340017; www.qualepsicologia.it
Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 86 del 17 Aprile 2013.
ISSN 1972-2338.
Finito di stampare in proprio il 30 Gennaio 2016.
Gambling, il trattamento del gioco d'azzardo patologico
A cura di Valeria Verrastro
A cura di Valeria Verrastro
Gambling, il
trattamento
del gioco
d'azzardo
patologico
QUALE psicologia, Nuova Serie, Anno 3, Numero 5, Supplemento
n. 4, Gennaio 2016
ISSN 1972-2338
In collaborazione con l’ISP, Istituto per lo studio delle psicoterapie
ed il BART, Behavioral Addiction Research Team
A cura di Valeria Verrastro
Gambling
Il trattamento del gioco d’azzardo patologico
QUALE psicologia, Nuova Serie, Anno 3, Numero
5, Supplemento n. 4, Gennaio 2016 ISSN 1972-2338
2
In collaborazione con l’ISP, Istituto per lo studio delle
psicoterapie ed il BART, Behavioral Addictions Research Team
QUALE psicologia, Nuova Serie, Anno 3, Numero 5,
Supplemento n. 4, Gennaio 2016
Semestrale dell’Istituto per lo Studio delle Psicoterapie
fondato nel 1992
Organo della Società Italiana di Psicoterapia e della Società Italiana di Psicoterapia Strategica
Direttore responsabile Valeria Verrastro.
Copertina a cura di Renato De Marco.
Direzione, Redazione e Amministrazione 00185 Roma;
Via San Martino della Battaglia 31; Telefoni 06
44340019, 328 6068080; Fax 06 44340017;
www.qualepsicologia.it
Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 86 del 17
Aprile 2013.
ISSN 1972-2338
Finito di stampare in proprio il 30 Gennaio 2016.
3
Indice
5
Aspetti ossessivo-compulsivi e gioco
d’azzardo patologico
F. Petruccelli, P. Diotaiuti, V. Verrastro, I. Petruccelli, M. L. Carenti, D. De Berardis, F. Iasevoli, A. Valchera, M. Fornaro, G. Martinotti, M.
Di Giannantonio, L. Janiri
22
Mercato d’azzardo. Il gioco online
Carolina Zegarelli
27
Gambling: tra impulsività e pensiero magico
David Scaramozzino
36
Il Gioco D’Azzardo e la sua progressione
in patologia
Maria Luisa Carenti
40
Il trattamento del gioco d’azzardo patologico
Valeria Saladino
57
102
La scatola nera del gioco
Matteo Pio Ferrara
Autori
4
Aspetti ossessivo-compulsivi e gioco d’azzardo
patologico
F. Petruccelli, P. Diotaiuti, V. Verrastro, I. Petruccelli, M. L. Carenti, D. De Berardis, F. Iasevoli, A. Valchera, M. Fornaro, G. Martinotti, M. Di
Giannantonio, L. Janiri
traduzione a cura di Fiorenza Giordano
Il gioco d’azzardo patologico (PG) è definito come
un modo di giocare inadeguato e compulsivo che
persiste nonostante conseguenze negative per
l’individuo, il suo lavoro e la sua famiglia. Questo
comportamento disfunzionale è spesso associato
a un aumento di problemi finanziari, legali e psicologici. In Italia questa pratica è in aumento, è
stato stimato che il 54% della popolazione adulta
(tra i 18 e i 74 anni) gioca d’azzardo almeno una
volta l’anno. I giocatori sono circa 30 milioni
suddivisi nelle varie tipologie di gioco, e la spesa
per il gioco d’azzardo, le scommesse e le lotterie è
aumentata da 6000 a 17000 milioni di euro in
quattro anni. Il gioco d’azzardo patologico riguarda anche gli adolescenti ponendo importanti
questioni relative alla prevenzione. Attualmente
la quinta edizione del Manuale statistico e diagnostico dei disturbi mentali (DSM-5) include il
PG nella categoria dei disturbi da dipendenza: è
definito come disturbo da gioco d’azzardo (GD) e
costituisce la sola nuova dipendenza ad essere
stata aggiunta, l’unica “senza una sostanza”. Il
GD presenta numerose analogie con i disturbi da
5
utilizzo di sostanze (SUDs), ad esempio, la progressiva perdita di controllo sul comportamento,
la ricerca di uno stato euforico o “elevato”, la
brama, la resistenza e i sintomi da astinenza.
Inoltre, ma non meno importante, il PG mostra
molteplici assonanze con il disturbo ossessivocompulsivo (OCD). Infatti il dibattito su come
considerare il PG, se come un disturbo da dipendenza o come un disturbo appartenente allo spettro del disturbo ossessivo-compulsivo, è rimasto
aperto fino alla pubblicazione del nuovo manuale. La definizione di disturbo ossessivocompulsivo è stata proposta da diversi ricercatori
agli inizi del 1990 e si riferisce a un gruppo di disturbi che condividono alcune caratteristiche con
l’OCD.
L’OCD è il prototipo del disturbi compulsivi. Le
ossessioni sono definite come pensieri ricorrenti
e persistenti, percepiti dal soggetto come invasivi.
I comportamenti compulsivi sono definiti come
azioni ripetitive, rigide e stereotipizzate; gli individui riferiscono di essere spinti a compierle al
fine di prevenire o ridurre conseguenze avvertite
come negative. L’ossessione per il gioco
d’azzardo descritta nel DSM-5 richiama i tipici
pensieri ossessivi dei pazienti che soffrono di
OCD; inoltre il giocare d’azzardo si presenta come un’azione ripetitiva, a cui è difficile opporre
resistenza e sembra volta a neutralizzare o ridurre il cattivo umore come ad esempio l’ansia e la
tensione, mostrando ancora una volta punti di
contatto con l’OCD. Si è ipotizzato che nella dipendenza la compulsione abbia origine da una
6
squilibrio di specifiche sostanze neurochimiche
che colpiscono i sistemi di gratificazione e di
stress del cervello. Un’altra ipotesi ha proposto
che alla base del comportamento compulsivo vi
sia un coinvolgimento della sfera dell’anedonia.
L’indebolimento della capacità edonistica, come
possibile conseguenza di una disfunzione neuropsicologica di base, potrebbe essere decisivo nel
determinare un coinvolgimento in frequenti e ripetuti episodi di gioco d’azzardo, che rappresenterebbero un tentativo di compensazione per riequilibrare un benefico stato di anedonia, nonostante le conseguenze negative. Questa ipotesi è
stata proposta anche per altre tipologie di dipendenza. La relazione tra il disturbo da gioco
d’azzardo e quello ossessivo-compulsivo è stata
analizzata da diverse prospettive. La maggior parte delle ricerche si rivolgono agli aspetti fenomenologici dei due disturbi. Alcuni studi hanno
messo a confronto contemporaneamente il PG e
l’OCD dalla prospettiva della personalità, individuando delle analogie nell’ambito della personalità e riscontrando che i pazienti PG e quelli OCD
presentano profili simili. Blaszczynski nel 1999 ha
analizzato la presenza di ossessioni e compulsioni in soggetti affetti da PG utilizzando il Padua
Inventory. Altri studi hanno riportato che il PG
presenta maggiori analogie con i SUDs che con
l’OCD. L’obiettivo del nostro studio è stato quello
di valutare l’incidenza del gioco d’azzardo nel
campione italiano, considerando l’influenza di
variabili sociodemografiche e di individuare
eventuali correlazioni tra le caratteristiche pro-
7
prie del gioco d’azzardo e quelle del disturbo ossessivo-compulsivo.
Metodi e procedimento
L’analisi è stata effettuata in Italia, più specificamente in piccoli paesini del Lazio, della Campania e della Sicilia, presso bar e tabaccai dotati
di slot-machines e postazioni del lotto. I partecipanti sono stati informati degli obiettivi dello
studio e la loro partecipazione è stata volontaria.
Valutazione. Il gioco d’azzardo patologico è stato
analizzato attraverso il South Oaks Gambling
Screen (SOGS). Le variabili sociodemografiche e
gli aspetti ossessivo-compulsivi sono stati esaminati e valutati in base all’Assessment CognitivoComportamentale 2.0 (CBA 2.0). Il South Oaks
Gambling Screen (SOGS) è un questionario con
20 item basato sui criteri diagnostici del DSM-III
relativi al gioco d’azzardo patologico. Si tratta di
un questionario autosomministrato e sembra essere un valido e affidabile strumento di valutazione per un rapido screening sul gioco d’azzardo
patologico. La batteria dell’Assessment Cognitivo-Comportamentale 2.0 (CBA 2.0) è costituita da
dieci tabelle, ognuna delle quali comprende quesiti che esplorano uno specifico aspetto del soggetto, ad esempio la storia personale, l’ansia, alcune caratteristiche della personalità, lo stress, le
paure, la depressione, e l’ossessione e compulsione. Le scale del CBA 2.0 utilizzate nel nostro
studio sono state le tabelle numero 1 e numero 9.
La tabella 1 è costituita da 25 quesiti e raccoglie i
8
dati personali. È una sorta di fascicolo autobiografico che indaga la storia personale del soggetto analizzando inoltre il percorso scolastico e accademico e le attuali condizioni di coabitazione.
La tabella numero 9 (MOCQ-R) è un formato ridotto del Maudsley Obsessional-Compulsive
Questionnaire (MOCQ). L’MOCQ-R consta di 21
quesiti dicotomici suddivisi in tre sottoscale
ognuna delle quali comprende 7 quesiti che analizzano le tre principali caratteristiche del disturbo ossessivo-compulsivo: il controllo (comportamenti finalizzati a ripetere un controllo non necessario), la pulizia (preoccupazioni riguardo
l’igiene, la pulizia e improbabili contaminazioni), e il dubbio-rimuginio (dubbi ricorrenti e pensieri invasivi). Per prima cosa sono stati misurati i
comportamenti ossessivo-compulsivi, ad esempio
il rituale del controllo (checking), i rituali relativi
all’ordine e alla simmetria (ordering), i rituali riguardanti il lavarsi e le procedure di decontaminazione (cleaning), e i pensieri ossessivi (obsessing). In una seconda fase le misurazioni sono
state volte a distinguere tra i giocatori d’azzardo
patologici e sociali, individuando anche una zona
borderline.
Risultati
Il campione è costituito da 300 soggetti di età
compresa tra i 18 e i 65 anni (età media 36 anni);
174 maschi (58%) e 126 femmine (42%). La scelta
dei soggetti è stata casuale. Abbiamo innanzitutto
analizzato l’affidabilità dello strumento del South
9
Oaks Gambling Screen. I partecipanti che hanno
raggiunto un punteggio compreso tra 0 e 2 sono
stati considerati, in relazione al gioco, soggetti
con un buon controllo, coloro che hanno ottenuto punteggi di 3 e 4 sono stati classificati come
giocatori borderline, e infine coloro che hanno
totalizzato un punteggio di 5 o più sono stati classificati come giocatori d’azzardo patologici. Tra
questi ultimi, i punteggi superiori a 5 indicano un
serio problema con il gioco d’azzardo. Come risultato di questa classificazione e in relazione ai
punteggi ottenuti i partecipanti sono stati suddivisi in quattro gruppi in base al punteggio ottenuto (1= buon controllo; 2= borderline; 3= problemi
con il gioco d’azzardo; 4=seri problemi) e in base
all’età sono stati inseriti in tre gruppi principali
con un intervallo di 15 anni ciascuno (18-33; 34-49;
50-65). Il 17.3% del campione si colloca in un’area
caratterizzata da una relazione patologica con il
gioco d’azzardo. Considerando anche coloro che
si collocano in un’area borderline abbiamo potuto individuare un gruppo particolarmente ampio
di soggetti (25.6%). Rispetto al genere, abbiamo
registrato una notevole prevalenza di uomini. La
fascia d’età maggiormente vulnerabile al gioco
d’azzardo patologico è stata la prima (18-33 anni),
mentre i casi borderline appartengono fondamentalmente alla seconda fascia d’età (34-49 anni). Il trend è lo stesso per maschi e femmine. Lo
studio ha innanzitutto reso possibile identificare
all’interno del campione un numero significativo
di soggetti che per le loro caratteristiche comportamentali di pensiero e azioni possono essere
10
esclusi dal gruppo di coloro che presentano un
disturbo di tipo ossessivo-compulsivo. La correlazione riscontrata tra gli strumenti ci ha fornito
ulteriori spunti di riflessione sulla prospettiva da
cui approcciare il disturbo ossessivo-compulsivo
e il gioco d’azzardo. Il dibattito in letteratura è
tutt’ora aperto e oscilla dal modello di gioco
d’azzardo in quanto comportamento patologico
(in cui le componenti ossessive-compulsive giocano un ruolo centrale) a quello delle dipendenze
comportamentali. La controversia deriva dal fatto
che spesso caratteristiche specifiche del disturbo
ossessivo-compulsivo coesistono nel gioco
d’azzardo insieme a elementi che possono invece
condurre verso teorie differenti. Con il nostro
studio abbiamo individuato chiaramente i profili
del disturbo ossessivo-compulsivo, ma la correlazione tra la gravità del problema e l’ampiezza e la
frequenza
dei
comportamenti
ossessivocompulsivi è stata negativa. Cosa che suggerirebbe che il gioco riduce la tendenza al controllo
continuo, l’emergere di dubbi e pensieri invasivi
o i rituali compulsivi della pulizia. Questa tendenza sembra essere più pronunciata nel secondo gruppo (età 34-49), quello in cui i soggetti
hanno mostrato i problemi più seri con il gioco
d’azzardo.
Una
spiegazione potrebbe essere che,
nell’approcciarsi al gioco d’azzardo, i soggetti con
inclinazioni ossessivo-compulsive attraverso la
ripetizione convulsa di sessioni di gioco ottengono continue rassicurazione sulla loro capacità di
controllo, in questo caso una pratica composta da
11
brevi sessioni ritmiche, consente al soggetto un
riscontro continuo che fondamentalmente esorcizza la paura della disintegrazione. La compensazione
ossessivo-compulsiva
determina
l’emergere di una vera e propria disfunzione auto-regolatrice, laddove né il controllo ossessivo,
né i pensieri invasivi, né i rituali riescono a proteggere il soggetto. In quest’ottica, la scoperta di
una correlazione negativa con le sfere del controllo e della pulizia acquista senso in quanto il
soggetto subisce un concreto indebolimento delle
sue
capacità
di
azione
e
dell’autodeterminazione. Questa interpretazione non intende escludere i comportamenti ossessivi e dipendenti; cerca piuttosto di osservare la transizione da una forma all’altra. Nel contesto italiano
i dati mostrano una situazione estremamente critica riguardo al gioco d’azzardo, in particolar
modo nelle aree di provincia. Nella fascia d’età
che va dai 18 ai 33 anni, oltre alla presenza di situazioni clinicamente rilevanti relative a componenti ossessivo-compulsive, abbiamo riscontrato
una più diffusa e ampia tendenza verso questi
comportamenti, sebbene non ancora palesemente patologici.
L’aumento di problemi comportamentali legati al
bisogno di risorse, all’aumento dei debiti, e a una
diminuzione di interesse verso il lavoro e/o lo
studio, le problematiche familiari, e le difficoltà
nella gestione dei contatti personali sembra essere sempre più correlata al contesto del gioco e a
un disturbo ossessivo-compulsivo. Obiettivo di
questo studio è stato anche quello di monitorare
12
come l’emergere di casi critici cambia in relazione all’età. Come abbiamo potuto osservare dai
nostri risultati, la diffusione del gioco d’azzardo
patologico tra la popolazione maschile aumenta
con l’età. Un altro aspetto che merita attenzione è
la valutazione e l’individuazione di strumenti di
aiuto per il soggetto con problemi di gioco
d’azzardo. La famiglia sembra essere ancora la
principale istituzione in grado di fungere non solo da contenimento emotivo ma anche da supporto economico per il giocatore, che non è più in
grado di autogestire efficacemente le sue risorse.
In base a questa prospettiva diviene estremamente importante disporre di strumenti affidabili per
la rilevazione e la diagnosi precoce dei casi.
Conclusioni
Attraverso questo studio è stato possibile verificare il significato e la rilevanza dell’uso combinato dei due strumenti per la misurazione della
percezione dei problemi di gioco d’azzardo nei
clienti di sale da gioco e bar dotati di slotmachines per una valutazione simultanea delle
componenti ossessivo-compulsive. In Italia, dove
il fenomeno è in crescita esponenziale, in parte a
causa di forti interessi (più o meno legittimi) relativi a quest’ambito, sarà necessario monitorare
costantemente il rapido evolvere della situazione.
Parallelamente a un accurato assessment, è necessario individuare metodi appropriati di intervento specifico in base alla tipologia degli individui coinvolti e dei loro contesti, soltanto in que-
13
sto modo si possono raggiungere risultati realmente incisivi. Alla luce di quanto emerso dal nostro studio un altro punto fondamentale è lo sviluppo di trattamenti alternativi, sarebbe infatti
più appropriato sviluppare modelli in grado di
equilibrare aspetti psicopatologici e cognitivocomportamentali al fine di intervenire in quella
che sembra emergere come una sindrome disomogenea. In base ai risultati del nostro studio il
campione di giocatori d’azzardo che abbiamo
analizzato non appartiene alla sfera dei disturbi
ossessivo-compulsivi. I comportamenti compulsivi osservati nel PG sono molto simili alla compulsione osservata nel SUD piuttosto che a quella mostrata dai pazienti OCD. Questo è in linea
con l’approccio recentemente proposto dal DSM5; tuttavia, sono necessari ulteriori studi al fine di
chiarire il concetto estremamente ampio di compulsione. In definitiva la nostra ricerca conferma
la validità del modello proposto dal DSM-5 riguardo alla classificazione del PG e suggerisce
l’importanza di investire in trattamenti analoghi
a quelli utilizzati nei disturbi da uso di sostanze
piuttosto che in quelli propri dei disturbi ossessivo-compulsivi.
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21
Mercato d’azzardo. Il gioco online
Carolina Zegarelli
Il mercato del gioco online è uno dei settori
emergenti dell’economia mondiale, capace di
muovere un volume di affari superiore ai 70 miliardi di dollari. Dagli albori con la legalizzazione
nel paradiso fiscale di Antigua e Barbados, passando per la diffusione negli Stati Uniti e nel
Vecchio Continente, l’iGaming ha compiuto passi da gigante coinvolgendo un target di riferimento molto ampio e variegato. Il primo prodotto di
intrattenimento progettato per essere implementato su un terminale mobile, è stato sviluppato
dagli ingegneri Nokia per alcuni dei suoi modelli
ed è stato rilasciato nel 1997 con il titolo di “Snake”. Oggi, invece, si prevede che entro il 2016 il
valore del mercato globale dei videogames sarà
di 86,1 miliardi di dollari. L’Italia occupa il quarto
posto a livello continentale nella classifica dei
consumi; un giro di affari che produce un fatturato di ben 84 miliardi e che rappresenta il 4% del
PIL e il 10% del totale della spesa per consumi
privati. Queste sono le cifre, ovviamente da capogiro ma, nonostante questo, risulta ancora molto
indietro nelle gerarchie legate allo sviluppo e
produzione di giochi. L’esplosione economica del
settore ha tuttavia alimentato la creazione di
nuovi posti di lavoro e favorito la proliferazione
di migliaia di ingegneri informati e sviluppatori
italiani. Parallelamente al mercato classico dei
22
videogiochi si è affiancato quello del gambling,
che dopo il largo successo ottenuto sulla rete, in
particolare con i casinò games, ha trasferito i suoi
prodotti anche su smartphone e tablet. Il mercato
del gambling online gode di una salute invidiabile, e si prevede possa mantenere questa tendenza
al rialzo anche per i prossimi anni, insediando in
un breve lasso di tempo la leadership di altri settori dell’intrattenimento virtuale. In particolare,
nel primo semestre del 2015 sono stati registrati
un gran numero di accessi attraverso i sistemi
portatili alle piattaforme di casinò games regolamentate AAMS: 4.4 milioni di utenti in Italia,
hanno usufruito di smartphone e tablet per accedere da internet ai servizi di gambling, avendo a
disposizione un’ampia selezione di roulette, migliaia di tavoli virtuali di blackjack e poker, oltre
agli innovativi giochi a distanza. Per esempio, in
terra campana, ben il 57,8% degli studenti delle
scuole superiori è un giocatore assiduo. Stiamo
parliamo quindi del gioco minorile e di una media nettamente superiore rispetto a quella nazionale, che si aggira intorno al 47%. Il tutto appare
essere strettamente collegato a delle condizioni
di povertà assoluta purtroppo abbastanza diffuse.
Infatti, in Campania, sono 130 mila, ossia l’11,7%,
rispetto ad una media nazionale del 10,3%, che
vivono in questa condizione di disagio, che, il più
delle volte, porta a fare un qualcosa di rischioso e
che va al di là di ciò che un minore dovrebbe fare.
Ed è proprio per questo che gli organi regionali
stanno tentando di mettersi in moto per cercare
di regolamentare in maniera dettagliata la mate-
23
ria, al fine di evitare che il tutto possa trasformarsi in un qualcosa di patologico.
La diffusione dei casino games, sia tre le nuove
generazioni che nella fascia adulta, ha innescato
un vero e proprio fenomeno sociologico grazie
alla nascita di gruppi e fanpage sui social network, agorà virtuali funzionali per innescare relazioni sociali che oltrepassano la semplice puntata ad una roulette o la sfida ad un tavolo virtuale di poker. L’approdo in pianta stabile su Facebook rappresenta la nuova frontiera
dell’iGaming e dei casinò games, che hanno trovato terreno fertile per diffondere il proprio
brand e la propria polarità. A fare da ulteriore
cassa di risonanza ci hanno pensato le app dedicate sviluppate da tutti gli operatori di gambling
e perfettamente compatibili con qualsiasi dispositivo portatile. Smartphone e tablet stanno contribuendo agli introiti del settore, perché forniscono agli appassionati del ramo di giocare da
qualsiasi località in cui si trovino purché sia attiva una connessione a internet wi-fi o 3G/4G. In
definitiva, possiamo concludere come la crescita
dell’iGaming sia strettamente relazionata
all’evoluzione tecnologica compiuta negli ultimi
10 anni dalla nostra società. Internet e i suoi social network, smartphone, tablet e le loro applicazioni, sono tutti strumenti innovativi capaci di
rendere interattivi e sempre più attraenti i prodotti del gioco d’azzardo.
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26
Gambling: tra impulsività e pensiero magico
David Scaramozzino
Giocare d’azzardo è un’attività che accomuna
gran parte delle persone. Rappresenta un momento di svago, di evasione, di condivisione; un
cerimoniale che arricchisce l’atmosfera di momenti aggregativi.
Dietro al gioco, soprattutto se supportato da denaro, si cela la sfida dell’uomo alla natura, intesa
come società e sistema produttivo. Il desiderio di
riscatto immediato da una condizione esistenziale aberrante o semplicemente noiosa, ciclicamente svanisce e si rinnova attraverso la giocata,
l’attesa, il verdetto.
Non tutti coloro che si relazionano al gioco
d’azzardo divengono vittime del gambling. Esistono giocatori occasionali che ben conoscono la
misura e la cautela. La condotta del giocatore occasionale è contenuta dal buon senso, dalla paura
e dall’ansia di perdere il denaro e cioè il controllo
sui propri averi e le proprie certezze.
Robert Custer (1984), uno dei maggiori studiosi
dell’argomento, definisce tali soggetti “giocatori
sociali casuali” e cioè coloro che cercano nel gioco un momentaneo ed isolato divertimento.
Inoltre, come accade per chi si approccia alle sostanze stupefacenti, incombe la preoccupazione
di sviluppare una morbosa dipendenza degenerativa. Talvolta tale timore è sufficientemente forte
da conferire moderazione e autocontrollo.
Per una vasta e altrettanto oscura mole di fattori
27
psicologici, comportamentali, culturali e persino
genetici, alcuni soggetti sono più vulnerabili di
altri (o semplicemente meglio predisposti) e finiscono per essere catturati nell’ipnotica trama
dell’azzardo.
La distinzione tra il “gioco per vincere” e il “gioco
per il gioco” la ritroviamo già tra le pagine di Dostoieskij né “il giocatore”, di cui Freud (1920) fu
studioso e critico.
A muovere l’animo dei giocatori ritratti dallo
scrittore russo non sembra essere la bramosia del
guadagno, bensì un istinto innato, una vocazione,
per certi aspetti delinquenziale, che soggioga la
persona alla tirannia del rischio.
Così il piacere ottenuto dalla giocata sancisce
l’onnipotenza dell’IO e lo svincolo definitivo dalle pastoie dell’Altro. L’illusione del controllo, definizione che prendiamo in prestito dalla teoria
cognitivista, è un effetto collaterale di tale onnipotenza e di un’euristica patologica improntata
sull’istinto.
Ricerche recenti di Psicologia Sperimentale e
Clinica si sono orientate sull’esplorazione, non
solo di fattori innati e predisponenti al gioco,
bensì di caratteristiche di ragionamento e di funzionamento psichico che accomunano i giocatori
vittime del gambling, come la superstizione e
l’impulsività.
Uno studio dell’Errore. Riferimento a collegamento ipertestuale non valido. (Chimienti V., De
Luca R. 2012) ha evidenziato come l’impulsività e
il ragionamento viziato siano caratteristiche presenti in gran parte dei giocatori affetti da gam-
28
bling. Secondo la ricerca, il giocatore è un impulsivo, più incline alla superstizione, a cogliere segnali propiziatori dall’ambiente, a trasformare il
naturale in magico. Sarebbe proprio l’impulsività
a dirottare il pensiero sul magico e cioè alla distorsione cognitiva della realtà e far derivare
quello che viene chiamato gioco patologico o
gambling.
Freud, a riguardo sostiene che il giocatore patologico (gambling), attraverso l’azzardo, sfidi irriverente il Fato, al fine di sferrare l’attacco al padre punitivo e severo. Ciò produce inevitabilmente un rinvigorimento del senso di colpa e del
circolo compulsivo del gioco. Il senso di colpa
spinge compulsivamente verso il gioco e la perdita conferisce al giocatore l’espiazione.
Il “masochismo psichico” di cui parla Bergler
(1957) conduce il soggetto dapprima a mettere in
scena una “latente ribellione” verso le autorità
genitoriali, attraverso il gioco, per poi convincersi
inconsciamente che la perdita è l’unica forma di
espiazione per l’aggressione inflitta all’oggetto
amato.
In tal senso la sconfitta assume una valenza autopunitiva e rappresenta il vero obiettivo del giocatore d’azzardo. Il gioco diviene oppiaceo della
sottostante sofferenza psichica associata alla colpa, all’angoscia o al tenere a bada impulsi di ostilità e aggressività. Senza dimenticare il carattere
masturbatorio di un’attività che consente la “scarica immediata” in soggetti caratterizzati
dall’“incapacità di tollerare la tensione psichica”
(dsm IV-TR).
29
Per il DSM IV-TR, nella condizione di gap (giocatore d’azzardo patologico) “la persona è eccessivamente assorbita dal gioco d’azzardo (per es., è
eccessivamente assorbita nel rivivere esperienze
passate di gioco d’azzardo, nel soppesare o programmare la successiva avventura, o nel pensare
ai modi per procurarsi denaro con cui giocare). Il
gioco diventa oggetto di ogni pensiero oltre ad
offrire una via di fuga dall’ansia, dalla scarsa autostima e dalla depressione.
Divenire un giocatore d’azzardo comporta un
cambio di vita, di relazioni, abitudini e persino
d’identità. Il gioco rappresenta un’esperienza totalizzante che risponde a bisogni profondi della
persona, legati a relazioni oggettuali arcaiche.
Ad una tale trasformazione psichica, con il conseguente innesco di una reale dipendenza da gioco, contribuisce cognitivamente un’intuizione: la
paura di perdere il denaro è la causa principale
dell’insuccesso. Un vecchio proverbio infatti affermava: “Chi gioca per bisogno, perde per necessità”. Il raggiungimento più o meno graduale
di tale consapevolezza implica, non solo un nuovo modo di vedere ed interpretare il tavolo da
gioco, bensì anche uno spostamento libidico ed
emotivo importante.
L’ansia, che inizialmente affliggeva il giocatore
occasionale, rientrava in una modalità prettamente anticipatoria e il raggiungimento del piacere risiedeva nell’aver fortuitamente vinto anziché perso una somma di denaro. Lo stato emotivo
si intensificava quando era palese la possibilità di
perdere il denaro. Il giocatore occasionale mal
30
tollera il rischio e se ne tiene alla larga. Evita le
giocate nelle quali è male “equipaggiato” o che
richiedono un grosso investimento di denaro.
L’ansia, talvolta, soprattutto se la posta in palio è
molto alta, impedisce al giocatore persino di stare
al gioco, nonostante sia dotato di una “mano” di
tutto rispetto, utilizzando un gergo pokeristico.
Un passaggio determinante nella carriera del
GAP è, dunque, il superamento della paura di
perdere il denaro. Ciò comporta nuove modalità
di raggiungimento del piacere e l’eccitazione che,
adesso, prescindono dalla vincita o perdita di beni materiali. Il circuito del piacere si svincola dal
denaro e dalla vincita per insediarsi nel brivido
che avvolge la grande giocata. Vincere significa
esclusivamente mettere in circolo adrenalina
(dopamina nel nostro caso) attraverso il ritmico
susseguirsi di giocate sempre più strategiche e
stupefacenti.
Il giocatore, di fatto, gode persino nel parlare di
gioco, ricorda giocate storiche, tavoli agguerriti e
avvincenti scambi. Tutto assume minore importanza rispetto all’euforia, quasi psicotropa, riconducibile al gioco. Subentra l’esplorazione del rischio prima del beneficio; la vittoria prima della
vincita. L’attività cognitiva ed emotiva è fervida
ma divorante. La giocata precede il baratro
dell’annullamento e dell’autodistruzione. Adesso
l’ansia non è più anticipatoria o riconducibile alla
perdita: il malessere proviene dal tempo di nongioco, un craving agguerrito che demolisce la vita
quotidiana, sempre più vuota e insignificante.
Perdere non è un problema quanto lo è invece
31
non giocare. Chi è vittima di gambling spera di
raggiungere una vincita per migliorare la propria
condizione, la propria vita, in realtà non può fare
a meno neppure di perdere. La celebre frase consolatoria: “l’importante è partecipare” in questo
caso viene sostituita da “meglio perdere che non
giocare”. Il vuoto cronico che la persona si accinge ad affrontare nel momento in cui interrompe
una partita è intollerabile e carico di ansia e di
instabilità emotiva, soprattutto a seguito di una
perdita. La vincita produce dei benefici ed un alleggerimento della pressione ansiosa ma, in seguito alla perdita di una grossa somma, la sofferenza aumenta vertiginosamente e sorge
l’urgenza di recuperare denaro per poter giocare.
Come in molte dipendenze patologiche anche nel
gambling, il GAP riduce la dimensione del problema di fronte ad amici e famiglia o nega del tutto la sua esistenza. Cresce il bisogno di negare il
gioco con la stessa veemenza con cui lo si desidera. La negazione nasce da sentimenti di vergogna
che da sempre accompagnano il giocatore
d’azzardo conferendogli l’immagine di perdente
e di “rovina famiglie”. Per reazione, il giocatore
diviene con il tempo sempre più abile ad “occultare l’entità del proprio coinvolgimento nel gioco
d’azzardo” (dsm-IV)
Il volto perverso, ossessionante e distruttivo del
gioco ha messo in allarme di recente persino la
Commissione Affari Sociali della Camera per dar
inizio ad una “indagine conoscitiva sugli aspetti
sociali e sanitari del gioco d’azzardo”.
Negli ultimi tempi stiamo assistendo ad una de-
32
contaminazione mediatica del gioco e delle sue
conseguenze, prossimo alla assoluta legalizzazione. L’obiettivo sembra quello di voler allontanare
il gioco dalla clandestinità, verso una dimensione
sportiva e riconosciuta.
La possibilità, inoltre, di salvaguardare
l’anonimato attraverso il gioco online ha consentito la nascita di una nuova generazione di giocatori, altrettanto aggressivi e compulsivi ma meno
esposti al giudizio sociale. L’accessibilità di tali
servizi ha generato un progressivo aumento del
desiderio di gioco in fasce dapprima non coinvolte, come le donne e gli adolescenti.
Il rischio reale è che la legittimazione del gioco
d’azzardo produca l’assottigliamento delle differenze e delle dovute distinzioni tra tipologie di
giocatori, levigando sempre più i confini diagnostici e clinici di una categoria fortemente a rischio, che necessita di aiuto specialistico.
Da un lato i governi, Italia in testa, con la loro
monopolistica promozione del “gioco responsabile”, al punto da sponsorizzarne persino
l’ingresso tra le discipline olimpiche di Londra
2012; dall’altro la psichiatria e le professioni di
cura che traggono vantaggio economico dalle
turbe psichiche associate al gioco e alle dipendenze in generale.
Sarà di certo una “bella mano” che speriamo tenga conto in primis della disperazione e dalla richiesta d’aiuto.
Per citare un saggio quasi sconosciuto: “Il gioco
d’azzardo è il miglior modo per ottenere nulla da
qualcosa”(Wilson Mizner).
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Il Gioco D’Azzardo e la sua progressione in patologia
Maria Luisa Carenti
Il Gambling Disorder (GD) è un disturbo da dipendenza (APA, 2013), riconosciuto ufficialmente
come patologia dall’Associazione degli Psichiatri
Americani (APA) già dal 1980.
Il suo andamento progressivo è stato suddiviso
da Custer (1982) in 7 fasi, ad oggi ancora molto
utili ad illustrarne il suo sviluppo.
La prima è la Fase Vincente, caratterizzata da
gioco occasionale a scopo per lo più ricreativo e
in cui predominano esperienze di vincite di denaro rispetto alle perdite. Una “grossa vincita”, di
solito, rinforza il giocatore nell’idea di essere un
professionista, contribuendo allo sviluppo di fantasie di vittorie esagerate, ottimismo irragionevole e all’aumento del tempo e del denaro impiegato nel gioco. La durata di questo momento va dai
tre ai cinque anni.
Segue una Fase Perdente, caratterizzata da gioco
solitario ed in cui il gioco non è più un passatempo e le perdite, che ora superano le vincite, vengono attribuite ad un periodo sfortunato; questa
fase dura mediamente più di cinque anni e il
pensiero è completamente focalizzato sul gioco
con una totale incapacità di astenersi. Il giocatore
inizia così la “rincorsa della perdita”, gioca per
recuperare denaro e chiede soldi in prestito per il
gioco, iniziano le bugie che coinvolgono tutte le
sue attività e che sono utili a mantenere,
36
all’apparenza degli altri, un’immagine di sé come
abile e fortunato; conseguono le prime difficoltà
finanziarie, i soldi chiesti in prestito per risanare i
debiti sono spesso investiti nel gioco ed il gambler diventa irritabile ed agitato, spesso è inosservante degli obblighi lavorativi e mostra scarso
interesse verso la famiglia ed il coniuge.
Inizia così una Fase di Disperazione in cui il
gambler ha totalmente perso il controllo sul gioco; gioca per alleviare le sue pene causate per lo
più dal gioco stesso, si ostina a giocare nonostante le numerose perdite; le bugie e l’irritabilità sono fuori controllo. Spesso incorre in attività illegali, quali furti di vario genere ed appropriazione
indebita, al fine di procurarsi del denaro da investire nell’attività di gioco; i soldi illegalmente ottenuti sono considerati dal giocatore come un
prestito che è certo di restituire a seguito di una
“grossa vincita” che sta per arrivare; la sua reputazione è ormai compromessa, è presente alienazione dagli amici, rimorso, panico, esaurimento
nervoso e spesso abuso di sostanze. La famiglia, a
questo punto, spesso inizia a prendere le distanze
dal giocatore.
È a questo punto che subentra, una Fase Cruciale
in cui la situazione del gambler si riversa, infatti,
anche sulla sua famiglia, che risente del problema soprattutto a livello finanziario. Le persone
care al giocatore sono a conoscenza del suo problema e delle sue bugie, il coniuge spesso cade in
depressione. Il giocatore incolpa tutti tranne se
stesso dei suoi problemi ma internamente prova
una grande angoscia: vorrebbe smettere di gioca-
37
re ma non ci riesce e non sa il perché, deve stare
in azione pur sapendo di non poter vincere, spesso pensa al suicidio. Il partner non conosce niente sulla malattia del suo caro e spesso lo abbandona o ricorre a degli ultimatum.
Iniziano da qui in poi le ultime tre fasi, cosiddette
di “guarigione”, proposte da Custer, in cui il giocatore si trova in una situazione ingestibile, soprattutto a livello finanziario, capisce di aver bisogno d’aiuto e spesso intraprende un percorso
terapeutico.
Abbiamo una Fase Critica in cui finalmente si palesa un sincero desiderio di aiuto da parte del
gambler che smette di giocare, inizia ad affrontare i suoi problemi e torna a lavorare, intraprendendo solitamente anche un programma di risarcimento debiti; segue, dunque, una Fase di Ricostruzione, in cui i rapporti con familiari migliorano ed il giocatore ricomincia a rispettare se stesso
e riprogetta il suo futuro. La Fase di Crescita è invece il momento in cui la preoccupazione per il
gioco finisce, i rapporti interpersonali, oltre che
familiari, migliorano e il giocatore riacquista la
comprensione degli altri oltre a recuperare la capacità di donare affetto (Custer 1982).
In conclusione, lo schema proposto da Custer risulta uno strumento molto utile non solo per
comprendere gli stadi che il giocatore attraversa
durante lo sviluppo del problema del gioco ma
anche le fasi della guarigione dalla medesima patologia.
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39
Il trattamento del gioco d’azzardo patologico
Valeria Saladino
Attualmente non è stato possibile individuare un
trattamento scientificamente valido ed universalmente condiviso per la cura del gioco
d’azzardo patologico. Persiste un dibattito che
vede coinvolti clinici e ricercatori nella categorizzazione di quegli approcci basati sui valori e sulla
quantificazione empirica della ricerca che possa
supportare la teoria. Da un lato alcuni suggeriscono che senza un’esplorazione empirica sia
impossibile conoscere l’efficacia del trattamento
(Chambless, Ollendick, 2001). Dall’altra parte, altri affermano che la validazione empirica del trattamento dovrebbe derivare dai dati ottenuti attraverso i vari interventi terapeutici (ibidem).
Questo dibattito è lontano dall’essere risolto poiché entrambe le argomentazioni risultano valide.
I clinici e ricercatori che ci sono concentrati sulle
problematiche legate al gambling hanno individuato non molti ma costanti step riguardanti il
trattamento del GAP. Questo lavoro è tuttavia
ancora ad uno stadio embrionale in quanto i clinici hanno interesse verso molte malattie mentali
ed il trattamento del gambling rappresenta più
un aneddoto; mentre i ricercatori sono molto attaccati alla comprensione della natura del problema e ad identificare l’estensione del fenomeno
a livello della popolazione generale. Sono poche
dunque le risorse utilizzate ai fini del trattamento. Tuttavia le strategie di trattamento sono state
40
“prese in prestito” dagli approcci clinici destinati
alla cura dei disturbi mentali; questi protocolli
sono stati adattati in base ad alcuni approcci e
modelli che riguardano il disturbo da gioco
d’azzardo patologico.
Il gaming non è un’attività priva di rischi, sebbene vi siano molte persone che giocano d’azzardo
senza incorrere in conseguenze negative, una
percentuale di giocatori sviluppa una serie di
problemi fisiologici, sociali, psicologici collegati
in maniera diretta o indiretta al gioco d’azzardo.
Vi sono una varietà di prospettive differenti riguardo il gaming. Queste derivano da interpretazioni informali sul fenomeno che influenzano
comunque le modalità interpretative; inoltre tali
interpretazioni sulla natura del gioco d’azzardo
possono rappresentare delle vere proprie teorie
circa le origini di questa dipendenza comportamentale. Questi modelli si muovono lungo un
continuum. Tuttavia le prospettive sono tante, di
considerevole respiro e racchiudono in se una serie di aspetti comuni capaci di spiegare il fenomeno del gioco d’azzardo (tab.1). Rivisitando i vari approcci è possibile vedere come i clinici tendano ad utilizzare la strategia trattamentale basata sulla propria prospettiva teorica. Ad esempio,
il clinico che vede nel gaming una causa biologica potrebbe suggerire la farmacoterapia; altri che
vedono il medesimo fenomeno come il risultato
di distorsioni cognitive potrebbero invece suggerire una combinazione di strategie educative di
tipo cognitivo comportamentale.
41
Tabella 1
risulta comprensibile dunque l’esistenza di vari
metodi e modelli per quanto riguarda il trattamento del gambling. È importante sottolineare
42
che la ricerca di una cura non è l’unico modo per
risolvere la problematica del giocatore d’azzardo.
Come molti altri comportamenti nel pattern della
dipendenza si nota come le persone con disturbo
da gioco d’azzardo compulsivo possono cambiare
anche senza un trattamento definito “formale”.
Allo stesso modo la stessa opzione dell’auto aiuto
potrebbe dare dei benefici (Hodgins, Wynne, &
Makarchuk). Esistono infatti varie tipologie di
trattamento.
Un primo tipo può essere definito “naturale” o
senza assistenza. Molti riferiscono che l’unico
modo per guarire dalla dipendenza sia ricevere
un trattamento, mentre autori come Winick
(1962) hanno per la prima volta descritto l’idea di
un intervento informale. Idea tra l’altro molto più
diffusa di quello che si possa pensare. Questo
pensiero è stato maturato per quanto concerne
l’uso di sostanze narcotiche, soprattutto con i fumatori (Schachter, 1982). Tuttavia, se il gaming è
un disordine simile all’uso di sostanze allora coloro i quali ne soffrono potrebbero ricavare lo
stesso giovamento tramite il medesimo trattamento, definito naturale, utilizzato per le altre
dipendenze.
Un altro tipo di trattamento è quello “assistito”.
Non tutti possono o credono di potere attivamente riprodurre il cosiddetto trattamento naturale.
Di conseguenza molte di queste persone utilizzano un intervento che veda anche una componente clinica. Tuttavia, vi sono vari fattori che influenzano il trattamento ed alcuni metodi che
non sono propri dell’approccio clinico e che ven-
43
gono utilizzati da molti di coloro i quali soffrono
di gambling.
Fattori e outcome
Le caratteristiche di un trattamento informale includono tutti quegli aspetti di tipo anagrafico che
fanno parte della persona e che influenzano la
terapia, come l’educazione ricevuta, il supporto
familiare ed altri aspetti simili; i fattori relazionali
che si innescano e che caratterizzano la stessa alleanza terapeutica, ad esempio l’empatia, il prendersi cura e la comprensione che il terapeuta ha
del suo paziente. Un altro aspetto fondamentale
riguarda le aspettative del cliente ed il cosiddetto
effetto placebo. Questo solitamente coincide con
l’inizio dello stesso trattamento. Da una stima
degli effetti terapeutici dei programmi trattamentali è emerso che incidono sulla terapia anche dei
fattori non terapeutici. Uno di questi aspetti è la
prevenzione che avviene prima del trattamento,
ricerche suggeriscono che il gambling è un problema di tipo sociale che necessita di attenzione e
approfondimenti ulteriori, oltre che di modalità
di prevenzione diverse, (Dunne, 1985). Analogamente, alcuni asseriscono che definire tale problema un disagio sociale accresca la consapevolezza circa le professioni d’aiuto ed inoltre fornisca una visione multifattoriale dello stesso problema, che includa l’aspetto sociale, biologico,
economico, psicologico e tanti altri aspetti. Dunque maggiore rilevanza viene attribuita al pro-
44
blema ed anche alle pratiche preventive (Korn &
Shaffer, 1999). La possibilità per giovani ed educatori di ottenere informazioni circa il gambling
tramite delle attività educative, scolastiche e teorico pratiche è scarsa; tuttavia vi sono stati alcuni
successi educativi presso alcune scuole medie in
cui è stato proposto un progetto di video educazione (Ferland, Ladouceur, & Vitaro). I risultati di
tali interventi educativi hanno dimostrato che
questi comportano realmente dei benefici. Ad
esempio, nonostante il fatto che il gaming stia divenendo socialmente più accettato ed anche più
accessibile, alcuni interventi come d’esempio dei
semplici opuscoli permettono già di ampliare le
conoscenze circa il problema ed i rischi; dunque
di incrementare le risorse per combatterlo. La
maggiore accessibilità alla conoscenza circa il
gaming non sempre però gode di buoni risultati
ma un breve intervento educativo potrebbe cambiare ciò. Questo suggerimento fa pensare alla
prevenzione e alle strategie riguardanti la salute
pubblica. Inoltre ricerche nel campo della prevenzione delle altre dipendenze sopportano tale
teoria (Brown & Miller, 1993; Walitzer, Dermen,
& Connors, 1999). Tuttavia vi sono anche risultati
contrari. Da un test-retest svolto in alcune scuole
superiori circa la legalità, il commercio, i comportamenti ossessivi, la patologia e le coping skills
legate al gambling è emerso come al follow up le
strategie di coping ed i comportamenti legati al
gambling non avevano subito modifiche (Gaboury & Ladouceur, 1993). Ciò ovviamente non vuol
dire che i programmi di intervento mostrano a
45
priori i risultati misti, ma unicamente che non
sempre comportano un successo totale. Tali risultati suggeriscono l’importanza di ulteriori ricerche. Un altro fattore fondamentale è
l’assessment. Ogni trattamento inizia con una valutazione iniziale, il trattamento e la valutazione
sono rappresentabili in ciò è possibile definire un
feedback infinito o feedback loop, in cui ogni attività programmata produce una risposta
nell’altro, costituendo una sequenza di interventi.
Ciò comporta che una valutazione non possa essere compresa senza l’aver stabilito degli obiettivi
comuni. Allo stesso modo non si può comprendere un trattamento senza aver fatto prima una
valutazione.
La storia del trattamento delle dipendenze rivela
che il prefiggersi degli obiettivi rimane uno dei
più controversi concetti del trattamento. Questa
problematica comprende anche il trattamento
del gambling. Per esempio, mentre per convenzione l’astinenza è l’obiettivo più comune di programmi di trattamento, l’obiettivo della maggior
parte dei programmi terapeutici rispetto al gambling è quello di migliorare e controllare
l’outcome. Infatti, coerentemente con i concetti e
le nozioni cliniche, i terapeuti riconoscono
l’importanza di alternare comportamenti di gioco
non patologico e non di sospendere del tutto il
comportamento come di solito avviene nella cura
delle dipendenze da sostanza. Un approccio di
questo tipo, focalizzato su la “non astinenza” è
stato ampiamente criticato. Molti clinici ritengo-
46
no che l’ideologia dei 12 step rimanga dubbia.
Questi concetti non vengono espressi senza una
giusta causa, infatti vi sono molte ricerche che
danno risultati di tipo opposto. Inoltre, è importante enfatizzare che molte persone non intraprenderanno un trattamento se pensano che
l’unico obiettivo della terapia sia l’astinenza. Di
conseguenza, la prospettiva circa il controllo del
comportamento del gioco d’azzardo, spesso comporta una maggiore aderenza delle persone al
trattamento.
Setting
Il setting clinico influenza l’andamento della terapia e della relazione. I setting che il clinico ha a
disposizione sono di tre tipi: contesto ospedaliero, contesto non ospedaliero, entrambi i contesti.
La scelta del setting dipende unicamente dalla
gravità del disturbo e dai fattori individuali. Motivo per cui i vari setting possono essere intervallati in base all’andamento della terapia. Esistono
inoltre anche dei trattamenti definiti di self-help
che includono una varietà di strategie e setting.
Ognuna di queste deve districarsi con le dimensioni principali della vita del soggetto, ossia
l’aspetto psicologico, sociale e biologico. Tra le
tipologie di trattamento esiste anche l’utilizzo di
libretti informativi ed opuscoli, metodo non del
tutto comprovato per la cura del gambling. Per
quanto riguarda le altre dipendenze è stata dimostrata l’efficacia di questo metodo (Fleming, 1993;
Sobell, Cunningam, Sobell, et.al., 1996). Un lavo-
47
ro preliminare di ricerca, che non ha previsto un
gruppo di controllo, suggerisce che i workbook e
gli opuscoli riducono in effetti l’incidenza del
gioco d’azzardo. Inoltre, Miller (2000) suggerisce
che questo tipo di trattamento non sia meno efficace di uno più intensivo. L’empatia che si sviluppa in una singola sessione di counseling è
predittiva del futuro outcome del trattamento.
Questo tipo di intervento, basato unicamente
sull’informazione, sia con che senza un supporto
motivazionale, interviene nel ridurre o eliminare
il comportamento patologico (Hodgins, Currie, &
el-Guebaly, 2001). Ancora, vediamo il trattamento
occupazionale. Deriva dal senso comune l’idea
che tenere occupata la mente comporti un giovamento per coloro i quali soffrono di una dipendenza, poiché questo sembra alleviare
l’urgenza di mettere in atto il comportamento. Vi
sono infatti molti programmi terapeutici e di
supporto che inseriscono all’interno dei loro programmi aspetti di questo approccio (Griffith,
Bellringer, Farrell-Roberts & Freestone, 2001).
Recenti ricerche hanno validato empiricamente
la sostituzione di strategie terapeutiche. Ad
esempio l’utilizzo del metadone per contrastare il
tabagismo. Mentre per quanto riguarda le dipendenze comportamentali, che non riguardano
l’ingestione di alcuna sostanza, si prevede di applicare la sostituzione di un pensiero alternativo
e di illustrare forme di comportamento diverso
da quello patologico. Le ricerche suggeriscono
che il sopprimere volontariamente un pensiero
può comportare il riemergere dello stesso fre-
48
quentemente (Wenzlaff & Wegner, 2000). Bisogna dunque incrementare gli studi per comprendere quanto questo intervento possa servire nella
cura del gioco patologico d’azzardo.
Un filone di intervento molto conosciuto riguarda la terapia psicodinamica, ed il counseling che
sono stati applicati ampiamente con persone che
hanno problemi di gioco d’azzardo, prima
dell’emergere della terapia cognitivo comportamentale. Questa infatti è la più utilizzata
nell’ambito delle dipendenze. Tuttavia vi sono
delle evidenze empiriche che supportano
l’efficacia
della
terapia
psicodinamica
nell’ambito delle dipendenze. Lo scopo della terapia psicodinamica nella cura del gambling è
quello di aiutare queste persone a comprendere
le origini emotive e del significato attribuito al
comportamento del gioco. Questa prospettiva
teorica tenta così di spiegare il comportamento
ripetitivo che affligge il giocatore d’azzardo a partire da contenuti inconsci di cui lo stesso è inconsapevole.
49
Financial Management Counseling
Il financial counseling da assistenza alle persone
che hanno dei debiti finanziari derivati dal gioco,
indicandogli un piano finanziario, insegnandogli
ad amministrare il loro budget ed a sviluppare
modalità di pagamento, oltre che a migliorare la
capacità di valutare il valore del denaro (National
Endowment for Financial Education & National
Council on Problem Gambling, 2000). Questo tipo di supporto potrebbe essere utile sia ai giocatori d’azzardo che hanno debiti che per coloro i
quali non hanno debiti ma giocano d’azzardo.
Dal momento che la principale preoccupazione
del gambler deriva dal denaro, è fondamentale
indirizzare il soggetto verso una maggiore responsabilizzazione nella gestione delle sue finanze. Tramite la gestione di questi problemi che sono reali e pressanti nel quotidiano della persona,
il trattamento potrebbe diminuire il livello di
stress e di ansia associate ai debiti finanziari che
la persona che potrebbe avere. Un programma, il
“Personal Financial Strategies for Loved Ones of
Problem Gamblers”, prevede alcuni interventi
per imparare a gestire le proprie finanze. Il primo
step riguarda identificare il proprio reddito e patrimonio, il secondo invece creare e mantenere
un piano di spesa; coinvolgere i membri della
famiglia nella gestione e controllo delle finanze
ed infine ripagare i debiti ed investire con saggezza. Questo programma prevede anche che il
giocatore d’azzardo e la sua famiglia consultino
un rappresentante legale ed uno specialista pri-
50
ma di fare delle modifiche finanziarie. Questo tipo di approccio permette di sviluppare un maggiore senso di controllo ed efficacia rispetto alla
propria capacità di amministrare il denaro e di
affrontare il problema. Ciò comporta una maggiore motivazione al cambiamento e al trattamento. Come già detto in precedenza la terapia
cognitivo comportamentale è quella maggiormente utilizzata per la cura delle dipendenze.
Kadden (2001) ha sintetizzato le strategie utilizzate per la cura dell’alcolismo e le ha applicate al
trattamento del gambling. Secondo la terapia cognitivo comportamentale il gambling è un comportamento appresoe come tale può essere modificato per interrompere il comportamento patologico. Di conseguenza, dopo aver analizzato attentamente ed aver determinato dove, come e
quanto frequentemente il comportamento avviene, lo specialista aiuterà il giocatore d’azzardo ad
individuare il contesto emotivo e sociale che attiva il comportamento. Una volta individuato il
paziente sarà indirizzato verso un comportamento alternativo in un setting di vita reale per ridurre la probabilità di ricaduta. Gli psicologi dunque
riconoscono le cognizioni interne come risposta
al contesto e per questo applicano questi principi
per modificarle. Questo tipo di approccio si basa
sulla valutazione del comportamento di dipendenza come di uno schema maladattivo
l’obiettivo è quindi quello di correggere la percezione erronea circa le probabilità, le abilità, e la
fortuna. Di conseguenza il trattamento prevede
la ristrutturazione cognitiva ed il social skill trai-
51
ning. In questo modo il paziente è capace di mantenere gli obiettivi terapeutici prefissatisi.
Un’altra tecnica terapeutica è quella della motivazione, che consiste nell’incrementare la capacità da parte dei pazienti di riconoscere
l’ambivalenza del loro comportamento. É proprio
a causa di tale ambivalenza che spesso il paziente
usa il meccanismo di difesa della negazione. Il
clinico che utilizza la tecnica motivazionale solitamente
si
focalizza
sull’incrementare
l’inadeguata motivazione e sullo smontare la resistenza al cambiamento. Ad esempio, se la motivazione a cambiare è scarsa deve essere rinforzata esattamente come una batteria scarica. Per poter far ciò il clinico utilizza una serie di strategie
che consistono nello stimolare il paziente. Lo
stesso vale per la resistenza al cambiamento, che
non è altro che il risultato di una scarsa motivazione. Solitamente si chiede al paziente quali sono i benefici di questa sua attività.
Relapse Prevention (RP)
Un’altra tecnica utilizzata è la prevenzione dalla
ricaduta che si basa sull’ incrementare e
sull’identificare le situazioni ad alto rischio più
comuni che potrebbero comportare una ricaduta.
Questa tecnica viene molto utilizzata nell’ambito
delle dipendenze da sostanza. Di recente questo
metodo è stato utilizzato per il trattamento del
gambling. Tra i fattori ad alto rischio rientrano
anche il contesto, come il casinò è le lottery; i fat-
52
tori individuali, quindi ansia, rabbia, depressione
e stress; le difficoltà interpersonali che comprendono la famiglia, il lavoro ed i problemi finanziari. Lo scopo è sviluppare delle strategie di coping
per contrastare queste situazioni ad alto rischio
senza ricadere nella dipendenza. Vi sono diverse
ricerche che dimostrano l’efficacia della prevenzione della ricaduta nel gambling. Ladoucer
(et.al, 1998) hanno identificato un protocollo per
la cura del gioco d’azzardo patologico partendo
dall’identificazione di situazioni ad alto rischio e
dai pensieri erronei che emergono in queste situazioni; questo dà la possibilità di applicare una
seconda correzione sulla distorsione cognitiva.
Un’applicazione di tale modello all’interno dei
trattamenti terapeutici si evince dall’adattamento
dell’Inventory of Gambling Situations (IGS), basato su uno strumento simile all’ Inventory of
Drinking Situations (IDS) e all’ Inventory of
Drug-taking Situations (IDTS) (Annis, 1982, 1985).
L’IGS si basa su situazioni ad alto rischio, partendo da una valutazione delle aree più problematiche nella vita del paziente, che potrebbero dunque esporlo a situazioni di ricaduta. Questo
strumento può essere utile dunque al paziente
per insegnarli come affrontare tali situazioni durante e dopo il trattamento. Inoltre questo strumento è utile per alimentare la consapevolezza
del paziente circa il suo comportamento.
53
Self-Help Gamblers Anonymous (GA)
Originariamente fondato nel 1957, Gamblers
Anonymous (GA) è una comunità di auto aiuto
per persone che hanno problemi di gioco
d’azzardo, esattamente come nel gruppo degli alcolisti anonimi si compone di 12 passi. Questo
non vuol essere un trattamento formale tuttavia
presenta dei risultati terapeutici per i suoi membri. Ciò è reso possibile dal potenziale terapeutico delle risorse personali, infatti lo scopo principale di tali comunità è quello di stimolare
l’impegno dell’aiuto reciproco fra i membri tramite la partecipazione e l’incontro. Le ricerche
mostrano che vi è un’astinenza dell’8% durante il
primo anno. Inoltre gli step del GA sono stati
spesso integrati nelle terapie formali.
I Dodici passi
1 Noi abbiamo ammesso di essere impotenti di
fronte al gambling e che la nostra vita era
diventata incontrollabile.
2 Siamo giunti a credere che un Potere più grande di noi avrebbe potuto riportarci alla
salute della mente.
3 Abbiamo deciso di affidare la nostra volontà e
la nostra vita a questo potere superire,
così come noi potevamo concepirLo.
4 Abbiamo fatto un inventario morale, profondo
e coraggioso, di noi stessi.
5 Abbiamo ammesso di fronte a noi stessi, e ad
un’altra persona, la natura esatta dei no-
54
stri torti.
6 Siamo giunti ad accettare di eliminare tutti
questi difetti del nostro carattere.
7 Gli abbiamo umilmente chiesto di porre rimedio alle nostre insufficienze.
8 Abbiamo fatto un elenco di tutte le persone a
cui abbiamo fatto del male ed abbiamo
deciso di fare ammenda verso tutte queste persone.
9 Abbiamo fatto direttamente ammenda verso
queste persone quando possibile, salvo
nei casi in cui questo avrebbe potuto recar danno a loro o ad altri.
10 Abbiamo continuato a fare il nostro inventario
personale e, quando ci siamo trovati in
torto, lo abbiamo ammesso senza esitare.
11 Abbiamo cercato, con la preghiera e la meditazione, di migliorare il nostro contatto cosciente con Dio, così come noi potevamo
concepirLo, chiedendoGli solo di farci
conoscere la Sua volontà e di darci la forza per compierla.
12 Avendo ottenuto, come risultato di questi Passi, un risveglio spirituale, abbiamo cercato di trasmettere questo messaggio ad altri giocatori d’azzardo compulsivo e di
mettere in pratica questi principi in tutti i
campi della nostra vita.
55
Bibliografia
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56
La scatola nera del gioco
Matteo Pio Ferrara
Le new addictions sono quelle dipendenze in cui
non è previsto l’uso di una sostanza tossicochimica, ma una o più attività lecite/legali e socialmente riconosciute, come lo shopping, il gioco d’azzardo, l’utilizzo di internet, il lavoro, il sesso, le relazioni sentimentali.
Tutti questi comportamenti, pur essendo considerati come normali abitudini o attività della vita
quotidiana, possono, per alcuni versi e per alcuni
individui, divenire delle vere e proprie dipendenze comportamentali, che sconvolgono ed invalidano l’esistenza del soggetto stesso e del suo sistema relazionale. Le dipendenze comportamentali, infatti, si manifestano quando vi è l’urgente
bisogno di dover praticare un’attività, per riempire un qualche vuoto e tutto questo, a lungo andare,
condurrà
inconsapevolmente
all’autodistruzione. Pertanto, anche se non vi è
assunzione di sostanze chimiche, il quadro fenomenologico è molto simile a quello della tossicodipendenza e dell’alcolismo.
Spesso le new addictions si incrociano tra loro, o
si accompagnano alle dipendenze da sostanze;
molto frequente è, per esempio, l’associazione di
Gioco d’Azzardo Patologico e Dipendenza
dall’Alcol (Croce & Zerbetto, 2001; Guerreschi,
2000). Si riscontrano, inoltre, passaggi da una dipendenza ad un’altra, la quale diventa sostitutiva
57
di quella precedente (Lavanco, 2001). In alcuni
casi, si riscontra che il soggetto che riesce ad uscire dal tunnel della tossicodipendenza, cessa l’uso
delle sostanze, ma in seguito sviluppa un incontrollabile bisogno di giocare d’azzardo, quindi
non è realmente guarito, ma ha solamente spostato sul comportamento di gioco l’oggetto della
propria dipendenza. Si può avere anche una dipendenza fisica senza sviluppare una vera e propria addiction, cioè senza sviluppare una fenomenologia patologica che conduce mano a mano
alla completa autodistruzione e all'isolamento del
soggetto.
Si pensi, ad esempio, alla dipendenza dalla nicotina: l'organismo richiede la sostanza e si sviluppa
anche una dipendenza psicologica, ma difficilmente si arriva ad azioni illegali o comportamenti antisociali a causa del fumo (Shaffer, 1996).
Tra le new addiction si prenderà in considerazione il gioco d’azzardo patologico (GAP) che si
presenta in realtà come un fenomeno estremamente sfuggente e particolarmente invalidante,
di difficile classificazione e dall’eziologia incerta.
Nonostante i numerosi studi effettuati su tale argomento, in particolar modo per ciò che riguarda
la sua collocazione nella III edizione del DSM
(Manuale diagnostico e statistico dei disturbi
mentali) del 1980, i punti aperti rimangono ancora molti, anche se gli studi e le ricerche stanno
proseguendo.
Sembra doveroso, in questo contesto, citare
Wittgenstein che nel suo Trattatus, sostiene che
“ciò che non si può teorizzare si deve narrare”.
58
Narrare e cercare di comprendere dalle diverse e
svariate storie cliniche dei giocatori il significato
simbolico che il gioco ha assunto per loro, come
esso si sia insidiato nelle loro esistenze, quali
“vuoti abbia colmato”, quali emozioni abbia offerto, anziché cercare forzatamente una entità
psicopatologica sofferta nella costruzione e debole nella verifica empirica. Le stesse amare conclusioni del rapporto della National Research Council del 1999, del resto, hanno metaforicamente
collocato nella fase dell’infanzia lo stato della ricerca sul gioco d’azzardo, mettendo in evidenza
la necessità di un approccio multidimensionale e
lo sviluppo di programmi di trattamento multimodali in grado di comprendere le diverse angolazioni e specificità che il gioco patologico presenta.
Essendo il gioco d’azzardo patologico interesse di
diverse discipline, si è assistito in particolar modo
negli ultimi anni, alla pubblicazione in campo
nazionale ed internazionale di una gran mole di
studi da prospettive differenti, abbracciando un
modello olistico, bio-psico-sociale.
Presupposto fondamentale di tale modello è che
ogni condizione di salute o di malattia sia la conseguenza dell’interazione tra fattori biologici,
psicologici e sociali (Adler, Engel, 1977, 1980).
La concezione di uomo come unità inscindibile
bio-psico-socioculturale, appare molto in sintonia con quanto le ultime ricerche affermano
sull’eziopatogenesi del gioco d’azzardo patologico che rintraccia in fattori ambientali (pressione
sociale, ambiente familiare e suoi valori, ecc.),
59
psicologici (volontà di autopunizione, necessità
di fuga e di eccitazione, sensazione di poter controllare l’esito del gioco, ecc.) e neurobiologici
(deficit del sistema neurotrasmettitoriale della
ricompensa, fattori ereditari, ecc.) gli elementi
che possono essere causa del comportamento di
dipendenza del GAP, e gli effetti catastrofici che
si ripercuotono sullo stato di salute.
Infatti la salute è definita, nella Costituzione
dell'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) all’interno di un Continuum benesseremalattia, non più come conseguenza dell’assenza
di malattia, ma determinata da una molteplicità
di fattori biologici, psicologici e sociali che
s’influenzano e determinano reciprocamente
(Fulcheri, 2005). La salute viene a coincidere con
uno “stato di benessere fisico, psicologico e sociale” (OMS, 1986).
I fattori della dipendenza
La dipendenza è una manifestazione estremamente articolata, che comprende una molteplicità di fattori, concernenti il comportamento delle
persone in tutti i suoi aspetti, che vanno dalla sua
storia personale, le sue evidenze psicologiche e le
ripercussioni che scaturiscono da tale esperienza.
Per tale presupposto il concetto di dipendenza
può essere definito secondo molteplici punti di
vista, ed una definizione unica ed univoca risulterebbe alquanto fragile nella sua spiegazione. È
infatti oggi riduttivo spiegare ad esempio il con-
60
cetto di tossicodipendenza avvalendosi esclusivamente alle caratteristiche chimiche della sostanza, o comunque appellandosi ad un unico
tratto di fragilità della personalità del soggetto.
Da una prospettiva psicologica si ritiene opportuno focalizzare l’attenzione sulla costruzione
delle relazioni che il soggetto costruisce e il valore che assegna a tali relazioni, poiché gli stessi
scambi patologici possono innescare la medesima relazione con la sostanza dandole particolare
significato (Shaffer, 1996; Rigliano, 1998). Per questo motivo sarebbe opportuno comprendere che
non è il tipo di sostanza o di attività a causare la
dipendenza, ma il rapporto o l’interazione che si
instaura tra il soggetto, l’oggetto e il contesto. Bateson (1976; 1984) ha formulato un concetto molto
interessante per chiarire la complessità dei sistemi di interazioni tra persone, spiegando che queste relazioni/interazioni non procedono lungo
una struttura che richiama un unico aspetto.
Quindi ciò che si determina in seguito ad un
evento agisce e retroagisce sulle cause, andando a
ristrutturare il vissuto e la percezione della persona e delle sue relazioni. Pertanto non sono le
cause a determinare il comportamento, ma è
l’esito del comportamento stesso che, creando un
particolare significato, ne faciliterà o meno la reiterazione.
Prendendo in considerazione i presupposti sistemici di G. Bateson, Rigliano (1998) teorizza una
definizione sulla dipendenza ricca di significato:
“La dipendenza è ciò che risulta dall’incrocio tra
il potere che la sostanza ha in potenza e il potere
61
che quella persona è disposta ad attribuire alla
sostanza”.
Il soggetto, avente un insieme di caratteristiche e
di necessità, potrebbe nel suo cammino incontrare l’oggetto della dipendenza che potrebbe essere
una sostanza, un comportamento o una relazione, di conseguenza potrebbe sviluppare
un’esperienza speciale dettata dalla ristrutturazione che la persona subisce a seguito del particolare incontro.
Shaffer (1996) ritiene che il nucleo della dipendenza è l’esperienza soggettiva, la maniera in cui
l’oggetto trasforma la condizione dell’individuo.
Pertanto la dipendenza non può essere solo “vizio”, né tanto meno una malattia, ma è un andamento che si innesca quando la persona, nel contatto con un particolare oggetto si sperimenta in
situazioni diverse ed elabora questa ristrutturazione del sé come positiva e funzionale.
Queste interpretazioni, dunque, sostengono che
la dipendenza, sia essa chimica o comportamentale, si innesca per diverse cause ed attraverso la
necessità di colmare vuoti o bisogni.
Gioco d’azzardo patologico: addiction or dipendence
La lingua inglese opera un rilevante distinzione
tra i termini Dipendence e Addiction che in italiano vengono frequentemente tradotti con il
termine unico “Dipendenza”.
Addiction è un termine inglese ma di origine latina, che riflette l’etimologia della parola “schia-
62
vitù” (“addictus” in latino indicava colui che si
era reso “schiavo per un debito contratto con un
padrone”); questo si riferisce alla dipendenza psicologica che spinge alla ricerca dell’oggetto senza
il quale l’esistenza diverrebbe priva di significato.
Questo termine che racchiude in sé un po’ tutto il
quadro fenomenologico della dipendenza, comprese le conseguenze negative che ne derivano e
che invalidano la vita dell’individuo, portandolo
ad un coinvolgimento sempre maggiore, entrando in una spirale distruttiva; un disordine progressivo, cronico recidivante che, in genere, comprende compulsione e perdita di controllo.
Per dipendence si intende quella condizione psichica e fisica, che si determina dall’interazione
tra un individuo e una sostanza tossica, chimica o
naturale, caratterizzata da risposte comportamentali e da altre reazioni, concernenti bisogni
compulsivi di assumere la sostanza in modo continuativo o periodico, allo scopo di provare i suoi
effetti psichici e talvolta di evitare il malessere
della sua privazione.
Gli elementi patognomonici da prendere in considerazione come sintomi della patologia da dipendenza sono:
1) craving (desiderio irrefrenabile e incontrollabile di ripetere l’uso della sostanza);
2) drug-seeking-behavior (comportamentocompulsivo di ricerca della sostanza che si mette in
pratica senza preoccuparsi delle conseguenze).
L'addiction è dunque l'atto di consegnarsi completamente ad un padrone (un oggetto, un'attività
o una persona) tanto da esserne interamente pos-
63
seduti. L'individuo quindi perde la propria individualità e integrità personale spesso anche morale, ma soprattutto la propria libertà.
Per essere ancora più precisi, possiamo prendere
in considerazione quanto Maddux e Desmond
(2000) hanno tenuto a sottolineare: con Addiction si intende definire una condizione generale
in cui la dipendenza psicologica spinge alla ricerca dell'oggetto, senza il quale l'esistenza diventa
priva di significato. Con Dependence si vuole indicare la dipendenza fisica e chimica, la condizione in cui l'organismo necessita di una determinata sostanza per funzionare, perciò la richiede.
Al fine di non creare confusione, nell’elaborato
seguente si utilizzeranno i due termini in maniera interscambiabile.
64
Psiche e Gioco
Come detto in precedenza la propensione al gioco è presente in ognuno di noi.
Probabilmente potremmo tutti definirci giocatori
occasionali (scommettiamo in occasione dei
Mondiali di calcio, una schedina del superenalotto) o regolari (ogni settimana o una volta al mese
compriamo un "gratta e vinci").
In questi casi il gioco rappresenta un passatempo,
un'attività piacevole, il sogno di una vincita che
permetterebbe di abbandonare una quotidianità
forse un po' noiosa e frustrante, ma non tutti siamo per questo giocatori d’azzardo.
Il gioco d’azzardo patologico o compulsivo è poco
conosciuto, sicuramente per il fatto di avere
un’apparenza innocua, socialmente ben accettata
e con profonde tradizioni popolari. In realtà, finché la sua pratica si mantiene nei termini di una
tranquilla frequentazione, esso può svolgere un
ruolo ricreativo e ludico assolutamente positivo.
Significativi problemi nascono quando, per una
serie complessa e profonda di cause, il piacere del
gioco diventa un impulso incontrollabile, patologico, che arriva a stravolgere i rapporti familiari,
sociali, finanziari in una maniera forse ancora
troppo sconosciuta nel nostro paese.
Un giocatore veramente dipendente è una persona in cui l’impulso per il gioco diviene un bisogno irrefrenabile e incontrollabile, al quale si accompagna una forte tensione emotiva ed una incapacità, parziale o totale, di ricorrere ad un pensiero riflessivo e logico. L’autoinganno e il ricorso
65
a ragionamenti apparentemente razionali assumono la funzione di strumenti di controllo del
senso di colpa e innestano ed alimentano un circolo autodistruttivo in cui se il giocatore dipendente perde, giustifica il suo gioco insistente col
tentativo di rifarsi e di “riuscire almeno a riprendere i soldi persi”, se vince si giustifica affermando che “è il suo giorno fortunato e deve approfittarne”, sottolineando una temporanea vittoria
che supporta, attraverso una realtà vera ma alquanto instabile e temporanea, questa affermazione interiore o esteriore.
Lo stato mentale di un giocatore patologico è pertanto estremamente diverso da quello di un giocatore anche assiduo non patologico e si caratterizza per il raggiungimento di uno stato similare
alla sbornia, con una modificazione della percezione temporale, un rallentamento o perfino
blocco del tempo, che nasce da una tendenza a
raggiungere uno stato alterato di coscienza completamente assorbiti, fino ad uno stato di estasi
ipnotica, dal gioco. Talvolta questa condizione
della mente è favorita da un reale consumo di alcolici o di altre sostanze, associato al gioco, che
alimenta la perdita di controllo della propria
condotta.
Ma chi è il giocatore d’azzardo patologico?
Guerreschi ha ritenuto opportuno differenziare 6
macro categorie.
1. Giocatori d’azione con sindrome da dipendenza: hanno perso il controllo sul loro modo di giocare. Per loro, giocare
d’azzardo è la cosa più importante nella
66
vita, l’unica cosa che li mantiene in “azione”. Il gioco d’azzardo compulsivo è una
dipendenza progressiva che abbraccia tutti gli aspetti della quotidianità e della vita
del giocatore. Mentre continua a giocare,
la sua famiglia, i suoi figli, i suoi amici ed il
suo lavoro vengono influenzati negativamente dalla sua attività di gioco. Il giocatore compulsivo non può smettere di giocare, indipendentemente da quanto lo desideri o da quanto duramente ci provi.
2. Giocatori per fuga con sindrome da dipendenza: giocano per trovare sollievo
dalle sensazioni di ansietà, depressione,
rabbia, noia o solitudine, da un particolare
vuoto interiore. Usano il gioco d’azzardo
per sfuggire da crisi o difficoltà. Il gioco
provoca un effetto analgesico invece di
una risposta euforica.
3. Giocatori sociali costanti: il gioco
d’azzardo è la fonte principale di relax e
divertimento, sebbene questi individui
mettano il gioco in secondo piano rispetto
alla famiglia e al lavoro. I giocatori sociali
costanti mantengono ancora il controllo
sulle loro attività di gioco.
4. Giocatori sociali adeguati: giocano per
passatempo per svago, per socializzare e
per divertirsi: Per questa classe, il giocare
d’azzardo può essere una distrazione o
una forma di relax. Il gioco non interferisce con le obbligazioni familiari, sociali o
lavorative. A questa categoria di giocatori
67
appartiene la maggior parte della popolazione adulta.
5. Giocatori antisociali: sono giocatori antisociali coloro che si servono del gioco
d’azzardo per ottenere un guadagno in
maniera facile ma soprattutto illegale.
6. Giocatori professionisti non-patologici: si
mantengono giocando d’azzardo e considerano il gioco d’azzardo una professione.
L’evoluzione del gioco
I giochi d’azzardo, ormai, non sono più solo i Casinò, bische o giochi clandestini (lontani dalla
maggior parte della gente comune), ma scommesse (cavalli, sport, ecc.) disponibili in svariate
forme e tipologie (fisiche e locali, ma anche telefoniche, tramite tv digitale, telematiche ecc.). I
nuovi giochi tecnologici (pur rifacendosi o richiamando in qualche caso i giochi tradizionali)
si stanno caratterizzando per la loro attitudine ad
un gioco solitario ed a-sociale con evidenti rischi
di sconfinamento in forme di gioco problematico
e patologico. Questi nuovi giochi, quali Lotto e
derivati dello stesso, Bingo, Win for life, 10 e Lotto, Slot-machine, New Slot e VLT (acronimo di
video lottery terminal con la possibilità di giocare
fino ad un massimo di 10 euro a tiro e con la possibilità di vincere un jackpot tra gli apparecchi
racchiusi nella stessa rete), facilmente accessibili
a tutti, diffusi sui territori anche online e in maniera spropositata. Questi attività restano co-
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munque legali ma non per questo risultano meno
legati alle tematiche dell’azzardo, poiché giocandoci vengono investite somme di denaro (spesso
ingenti) sulla previsione di una vincita che esula
da qualsiasi abilità del giocatore ma riguarda solo
il caso, il fato e il denaro investito non verrà più
reso se perduto.
Il gioco d’azzardo attualmente si presenta come
una nuova e incentiva forma di consumo, che
produce alte forme di benefici economici sia per
chi lo gestisce, che per lo Stato.
Oggi più che mai ci si rende conto dell’enorme
impatto che le politiche di progressiva legittimazione ed incentivazione del gioco d’azzardo ha
avuto a livello sociale.
A partire dal 1990 negli Stati Uniti e in Europa, si
sono moltiplicate le ricerche volte a stabilire il
tasso di prevalenza dei giocatori problematici e
patologici. In Italia si stima che l’80% della popolazione giochi almeno una volta l’anno e che, la
percentuale dei giocatori patologici è compresa
tra l’1% e il 3% (Lavanco e Varveri, 2001). A tal
proposito, Guerreschi (2000) sostiene che lo Stato
dovrebbe contribuire alla creazione di una cultura del gioco d’azzardo, per cui il gioco diventi una
possibilità di divertimento e di arricchimento, e
non un’alternativa all’attività lavorativa. Basti
pensare che in Italia il settore dei giochi non conosce crisi, infatti, il gioco d’azzardo patologico
(GAP) rappresenta la terza impresa Nazionale
dopo Eni e Fiat, con cifre che oscillano tra gli
86/90 miliardi di euro annui. Cifre che, nostro
malgrado, sono costrette ad aumentare.
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I giocatori patologici sono più di 800 mila, mentre i soggetti a rischio sono oltre 2 milioni.
Ogni persona gioca una cifra media di 1.300 euro,
che se moltiplicata per i soggetti patologici o a rischio, rappresenta il 4% del Prodotto Interno
Lordo (PIL) Nazionale.
Solo nel 2006 gli italiani hanno per così dire “investito” 33,4 miliardi di euro. Tra i tanti giochi
precedentemente citati e presenti sul territorio
nazionale, il terribile primato spetta al “Gratta &
Vinci” che ha registrato il record di incremento
tra il 2005/06 del 150% in più, grazie alla sua versione telematica, i suoi bilanci saranno costretti
ad aumentare. Anche le New Slot hanno particolarmente sedotto il popolo italiano e non solo,
con un incremento del 30% tra il 2005/06. Nel
complesso il tasso di crescita dei giochi pubblici
in Italia tra il 2005 e 2006 è cresciuto del 16% con
un trend in particolare aumento.
Un altro aspetto di cui poco si parla e poco si studia è il giocare in borsa tramite internet (trading
online), e in alcuni casi assume caratteristiche
simili a quelle del gioco d’azzardo patologico: il
soggetto vive un’esperienza di rischio soggettivo
che si accompagna ad una transitoria alterazione
del contatto con la realtà (“dissociazione”) e ad
una sensazione di “potere” derivante dall’operare
in prima persona davanti alla consolle (Pc). Può
causare problemi economici, familiari e sociali di
entità superiore ad altri giochi d’azzardo, con
l’unica differenza che non è accessibile a tutti per
questioni culturali e di interessi di natura economico-politico, poiché bisogna essere a cono-
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scenza dei vari andamenti di mercati nazionali ed
internazionali, documentarsi sulle varie fusioni
ed acquisizioni tra aziende, riconoscere il trend in
rialzo o in calo di un titolo azionario e tanto altro.
Tuttavia, alcuni soggetti arrivano a sviluppare
forme problematiche di gioco o, peggio, patologiche. Dunque, anche il gioco d'azzardo è figlio della rivoluzione tecnologica degli ultimi anni e della cultura della globalizzazione che non poteva
non investire anche il mondo delle scommesse.
Il gioco e l’uomo
“Il gioco ci rapisce. Giocando siamo per un po’
liberati dall’ingranaggio della vita, come trasferiti
su un altro mondo dove la vita appare più leggera, più aerea, più felice”.
(Fink E., 1969. Il gioco come simbolo del mondo)
Il gioco è una costante del comportamento culturale dell’essere umano ed accomuna sia il bambino che l’adulto; dà libero sfogo alle fantasie ed,
al contempo, detta ed insegna delle regole che il
gioco stesso racchiude in sé.
Il gioco è spesso scisso dalla realtà comune, sono
numerosi e di diverso genere: di società, di destrezza, d’azzardo, di pazienza, di costruzione,
ecc.; ed il grandissimo numero e l’infinita varietà
rende complessa una loro classificazione secondo
un principio che consente di suddividerli tutti in
un numero di categorie ben definite.
Un’interessante chiave interpretativa delle dinamiche psicologiche inerenti il gioco d’azzardo
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ci sono data da Caillois (1962) tramite una riflessione che ricompone osservazioni etologiche, filosofiche e pedagogiche, l’autore propone una
classificazione dei giochi (accolta ed adottata coralmente dagli studiosi della materia) riconducibile a quattro tipologie, in base all’elemento motivazionale predominante e al tipo di attitudine
richiesta: 1) Giochi di Agòn (competizione); 2)
Giochi di Mimicry (imitazione); 3) Giochi di Alea
(rischio); 4) Giochi di Ilinx (vertigine). Nei giochi
di Agon gli elementi dominanti sono rappresentati dalla fiducia nelle proprie capacità e nella
propria intelligenza, dall’assertività e dalla tenacia, dallo spirito di sacrificio, dalla generosità,
dall’autostima e dalla stima dei propri meriti e
delle proprie responsabilità. Rappresentano il
trionfo delle potenzialità umane e l’appagamento
dei bisogni esistenziali più importanti, in tutte le
età della vita. Inoltre l’aspetto agonistico incita lo
spirito di squadra e l’emergere di valori e sentimenti “sani” rafforzando il senso di competenza e
autoaffermazione. Fanno parte di questo tipo, naturalmente, tutte le discipline sportive e i giochi
di abilità. I giochi di Mimicry si basano sulla
componente fantastica e immaginativa e sul desiderio, innegabilmente presente in tutti gli esseri
umani, di poter essere qualcun altro o qualcos’altro, di reinventarsi, di descriversi in una
realtà diversa dalla ordinaria. Senz'altro il modo
stesso in cui queste attività sono predisposte presuppone l’utilizzo di “analogie” e il ricorso al
pensiero magico. In questo senso questi giochi
rivestono una funzione importante, soprattutto
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nell’infanzia, per apprendere e gestire aspetti della vita reale attraverso gradi variabili di simulazione. Esempi di queste attività sono i giochi di
ruolo, le recite, le mascherate, ma anche le rappresentazioni teatrali stesse. I giochi di Ilinx sono
caratterizzati dalla ricerca della vertigine e del
brivido e dal tentativo deliberato di alterare la
normale percezione della realtà attraverso il ricorso ad esperienze tipicamente “no limits”;
l’aspetto motivazionale di base di soggetti dediti a
queste attività sembra essere la ricerca del sensazionale (il cosiddetto “sensationseeking behavior”) come compensazione ad un livello di attivazione fisiologica percepita come insufficiente.
Ne sono esempi gli sport estremi, le pratiche fisiche di caduta o lancio, le corse illecite di auto
truccate, e altre condotte pericolose. Com’è intuibile, già in questo tipo di giochi si riscontra
l’aspetto di assunzione del rischio (“risk taking”),
ma nello specifico sono i giochi di Alea (dalla parola latina che indica il gioco dei dadi) quelli che
intrinsecamente
contengono
l’elemento
dell’“azzardo” per antonomasia, rappresentato
dall’incertezza dell’esito e dall’affidamento al caso, cui si aggiunge la presenza di una posta in
gioco attraverso la scommessa. “Aleatori” sono
infatti quei giochi in cui il risultato finale dipende
quasi esclusivamente dalla “Dea Bendata”, dalla
sorte e solo in minima parte dall’abilità del giocatore. È interessante notare come ciò che qualifica
l’azzardo in questi giochi non sia rappresentato
tanto dalla presenza di una posta economica,
quanto dall’atto dello “scommettere”, che assume
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la valenza di una sfida dell’uomo versus il proprio destino, nell’illusione di controllarlo (un
esempio fra tutti la pratica mortale della roulette
russa in cui ci si gioca la vita per confermare il valore e il senso perduto dell’esistenza). Nel rapido
break della scommessa la tensione adrenalinica,
determinata
dall’incertezza
dell’esito
e
dall’azzardo, sale a dismisura e trasloca il giocatore in una dimensione fantastica ed estatica in
cui il principio di realtà è soverchiato da quello
del piacere. Per questo i giochi con una forte
componente aleatoria, rispetto a quelli di Agòn,
possono rappresentare un’abdicazione del senso
di responsabilità, in favore di un passivo e regressivo abbandono a ciò che la sorte riserva, senza
più valutazione di merito, né sacrificio, nè senso
di frustrazione per aver fallito, perché buona parte della responsabilità dell’esito sarà sempre attribuibile alla presenza del fato. È pur vero che
tale distinzione non deve essere interpretata rigidamente, in quanto diversi giochi racchiudono
sia aspetti di Agòn che di Alea simultaneamente
(ad esempio il poker e anche alcune competizioni
sportive). Le forme più patologiche di gambling
sono associate a quei giochi caratterizzati da un
grado molto elevato di aleatorietà rispetto a quello di abilità, perché ciò procura loro quelle particolari condizioni psicofisiche che il giocatore
percepisce come pressanti e indispensabili e che
possono assumere l’aspetto di una vera e propria
forma di dipendenza. La sfida non è più quindi
uomo versus uomo ma diventa uomo versus fortuna (caso o destino) spostandosi dal piano reale
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a quello fantasmatico (perciò necessariamente
impari) con la predisposizione a far scivolare il
giocatore in una dimensione sempre più artefatta
e separata dalla realtà, amministrata da forze e
leggi di tipo magico, che oltrepassano sempre più
la consapevolezza di sé e delle proprie reali facoltà. Alla luce di questa distinzione delle attività di
gioco, un’interessante ipotesi interpretativa riguarda appunto quanto possano influire sulla
spinta motivazionale il rapporto fra la componente di abilità (Agòn), quella di rischio (Alea) e il
sistema di aspettative del soggetto riguardo alla
propria competenza.
Il pathological gambler che fa del gioco d’azzardo
il suo mestiere cerca di dichiarare la propria capacità su un terreno in cui non può esserci una
reale valutazione di capacità, poiché il caso domina su tutto, incontrastabile, nonostante i sistemi di credenze magiche innalzate dal giocatore stesso. L’atteggiamento di disprezzo, del pericolo e di assunzione del rischio, ostentato dal giocatore come atto di coraggio, (e anche, talvolta,
come stile di vita) si rivela, spesso, come il patetico e fallace tentativo di lenire sentimenti di inefficacia, fallimento e insoddisfazione personale
presenti su altri fronti, di compensare
un’autostima carente e una scarsa fiducia in sé e
nelle proprie capacità. Così il gioco si configura
come evasione rispetto a sentimenti di inferiorità
e\o a dimensioni depressive e richiama sempre
più l’azzardo, innescando un circolo vizioso in
cui c’è sempre meno spazio per l’Agòn. Ne deriva
che facendo aumentare la percezione di compe-
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tenza personale del soggetto in attività di gioco
che implichino e sviluppino capacità fisiche o intellettuali e possano fortificare la percezione della propria autostima, si potrebbe attendere
un’evoluzione nell’assetto psicologico e cognitivo
del giocatore, facilitando il riappropriarsi del
proprio ruolo attivo e produttivo anche nella vita.
Devereux (1968), considerava il gioco d’azzardo
come un modello di devianza istituzionalizzata,
sviluppatosi a partire dalle pratiche magiche e
religiose di gente che ambiva a confrontarsi con
l’incertezza e con il fato. Secondo l’autore, l’etica
del lavoro protestante incentrato sulla diligenza e
sull’abitudine di vita ispirati alla morale e alla castigazione dei costumi era di per se frustante
all’interno di una società di sistemi capitalistici.
Quindi il gioco d’azzardo veniva definito come
attività strumentale volta in modo cosciente solo
a fini economici e come divertimento fine a se
stesso. A tal proposito, si potrebbe affermare
quanto detto da autori quali Caldwell (1972) e
Cornish (1978), che il gioco d’azzardo è legato
all’insoddisfazione del proprio status, ed è associato all’appagamento che nasce dall’esperienza
in sé, dall’attività stessa di giocare.
Ulteriori studi, sostengono il movente economico, che tuttavia potremmo riscontrare anche con
lo stato attuale delle cose. Oltre cinquant’anni fa,
Tec (1964), in una sua ricerca, condotta in Svezia,
su giocatori di totocalcio, ha provato che essi si
concentravano più di altri a migliorare le proprie
condizioni e prospettive lavorative, ed erano più
insoddisfatti del loro livello salariale di coloro
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che non si dedicavano al gioco: consideravano le
vincite al totocalcio come una possibile via per
migliorare il proprio stile di vita economico e sociale.
Secondo Croce (2002), il gioco d'azzardo è un'attività ludica che ha tre caratteristiche fondamentali:
1. lo scopo del gioco è l'ottenimento di un
premio in denaro, beni materiali, ecc;
2. per parteciparvi è necessario rischiare
una somma più o meno ingente di denaro o altri tipi di beni (mobili o immobili);
3. la vincita è spesso dettata dal caso, quasi
mai dalle abilità del giocatore o solo in
rarissimi casi.
I nuovi giocatori: le donne
In passato il giocatore era l’uomo, le donne potevano partecipare solo ad alcuni giochi, sia per
questioni di contesto socio-culturale sia per ragioni economiche, oggi, nel presente, “l’azzardo si
veste di rosa” (Cesare Guerreschi); infatti si è
constatato un incremento del gioco d’azzardo da
parte di donne, mamme, mogli.
La classica immagine è quella di un uomo giovane, alla ricerca di sensazioni forti, amante del rischio, delle belle donne, di soldi. Oggi, invece,
l’immagine è anche quella di una donna semplice, una casalinga di mezza età, alle prese con le
fatiche della vita quotidiana e della routine, della
famiglia, che lotta contro la depressione, la soli-
77
tudine degli affetti, tutto meno che alla ricerca
dell’avventura.
La probabilità di sviluppare una dipendenza da
gioco d'azzardo sembra essere due volte maggiore per gli uomini rispetto alle donne (La Barbera,
2010).
La prevalenza del disturbo è però influenzata
dalla crescente disponibilità del gioco d'azzardo
unita alla pubblicità sempre più invasiva, si pensi
che su alcuni siti web vi sono dei tutorial per imparare a giocare a diversi giochi, pseudo-trucchi
ecc; il solo cliccare o cercare uno di questi fa sì
che in automatico arrivino proposte di gioco, di
casinò online e tanto altro.
La percentuale di donne dipendenti dal gioco ha
quindi iniziato ad aumentare costantemente tanto da avvicinarsi a quella degli uomini (stime nazionali ed europee, si muovono dal 30 al 40%).
Le donne, così come si osserva per altre dipendenze, impiegano più tempo degli uomini per valicare la barriera della trasgressione, ma se questo accade, lo si fa in modo esasperato; il GAP
rappresenta oggi per le donne un altro “tabù infranto” (Prever, 2011).
L’evolversi della dipendenza nelle donne è spesso più rapido che per gli uomini e, in breve tempo passano alla fase della disperazione (Custer,
1982). Si è constatata una maggiore difficoltà da
parte delle donne nella richiesta di aiuto, poiché
il sintomo viene sottovalutato o negato dai familiari o semplicemente non accettato; difficile è
anche trovare servizi “tagliati su misura”, con
orari e setting adeguati che favoriscano le attività
78
svolte quotidianamente dalle donne che sono
maggiormente impegnate tra casa e lavoro.
Nell’intervento elettivo, quello di gruppo, spesso
non trovano spazio per esprimere sentimenti legati a problemi relazionali più intimi, che solo
nel femminile trovano ascolto ed empatia (Prever
e Locati, 2010; Locati e Tadini, 2010).
Gli adolescenti
Particolare preoccupazione riveste il forte impatto e la diffusione delle nuove forme di gioco tra
gli adolescenti, dove si riscontra il passaggio da
giochi informali auto-organizzati e autogestiti
verso il consumo a forme di gioco commerciale a
forte rischio di addiction, poiché questi sono facilmente reperibili tramite internet; oggi presente
su tutti i dispositivi (cellulari, smartphone, tablet,
ecc.). Tale aumento è stato spiegato da uno studio
condotto da Ladd e Petry (2002), su soggetti adolescenti con problematiche di gioco d’azzardo. Lo
studio riporta come i ragazzi che utilizzavano internet hanno maggiori problematiche gioco
d’azzardo correlate, probabilmente dovute alla
semplicità nell’accedere a vari casinò e giochi online. Di contro, i ragazzi che non utilizzavano
molto internet o che non erano pratici
nell’utilizzo di tale strumento, mostravano una
soglia più bassa nella perdita del controllo degli
impulsi, quindi minori problematiche nel controllare l’esordio del gioco d’azzardo.
79
Un'altra importante ricerca (Capitanucci, 2005)
mette in evidenza come i giovani oggi sono particolarmente coinvolti in attività di gioco d’azzardo
e come sviluppano e conservano pensieri irrazionali sul gioco con il rischio di incorrere in gravi
problemi di addiction. I primi contatti con il gioco d’azzardo avvengono sin dalle Scuole Primarie
e l’abitudine a giocare d’azzardo è già ben consolidata in tarda adolescenza. Quanto prima una
persona inizia a giocare tanto più è a rischio di
sviluppare un problema di gioco d’azzardo patologico in età adulta.
Molinaro (2012), osserva come circa il 40% degli
studenti italiani alle scuole superiori, circa 45.000
giovani tra 15 e 19 anni, sostiene di essersi avvicinato al gioco almeno una volta nell’arco
dell’anno. L’incontro con il mondo dei giochi è
spesso fortuito: il 52% ha iniziato a giocare per caso. I ragazzi giocano di più rispetto alle coetanee
(52,6 vs. 28,8%). I giochi preferiti sono Gratta e
Vinci, Lotto, Superenalotto e Poker. Tipicamente
maschili, invece, slot-machine (almeno una volta
il 14% dei maschi e il 4% delle ragazze) e scommesse sportive (30% dei ragazzi e appena il 3%
delle femmine). Tra gli studenti giocatori, il 69%
nell’ultimo mese ha speso fino a 10 euro, il 24%
tra gli 11 e i 50 euro ed il 7% più di 51 euro. Simili i
dati raccolti da Bono (2009), su un campione rappresentativo di 8.582 studenti dell’ultimo biennio
delle superiori: evidenziando le motivazioni al
gioco, prevalgono speranza di vincita (51%) e divertimento (28%).
80
Bastiani e collaboratori (2012, 2013), confermano
che sebbene i giovani giochino meno degli adulti
(35,7% vs. 45,3%) manifestano maggiori problemi
sia in forma lieve (6,9% vs 5,8%) che severa (2,3%
vs 2,2%). Atteggiamenti e cognizioni relativi
all’attività di gioco costituiscono importanti fattori di rischio per lo sviluppo di comportamenti patologici.
Un fenomeno da considerare, poiché segue
un’evoluzione esponenziale grazie ad internet, è
il poker online, sia a torneo che cash, la propensione a questo gioco coinvolge giovani dai 14 ai 30
anni e vi si investe molto tempo e denaro, i controlli per età o conti correnti esistono ma sono in
alcuni casi eludibili, inoltre vi è una cospicua
presenza di banner pubblicitari, che invogliano al
gioco, su diversi siti web con offerte e bonus che
possono facilmente catturare l’attenzione di un
ragazzo minorenne e non solo. Secondo Bedrina
(2012), si tratta delle nuove leve del poker: tra 18 e
30 anni (ma anche minorenni che aggirano le
barriere del web riuscendo ad aprire conti-gioco)
sono studenti, impiegati, disoccupati; giocano solo online e il poker viene visto e «studiato» in
quanto fonte di guadagno. Spesso giocano a livelli troppo alti per le loro possibilità e giocare diventa lo scopo della giornata. Possono praticare
questa attività fino a 18 ore al giorno, con circa
2.000 – 2.500 mani, anche su 16 tavoli contemporaneamente. Inseguendo il sogno di diventare
Professional Poker Players, molti abbandonano
studi o lavoro sperando di ottenere contratti con
le poker room online per scalare le vette e giun-
81
gere al successo ed emulare idoli quali Tom
Dwan o Dario Minieri, diventando a loro volta
star del circuito, guadagnando molto denaro, trasformando una passione in un lavoro, acquisendo fama e popolarità, viaggi di lusso, suite e limousine.
Anche senza risultati, molti tentano la strada del
professionismo pensando di farcela prima o poi:
ma nel frattempo dilapidano conti correnti, smettono di investire sulla costruzione del loro futuro.
Probabilità ed illusione
Molte ricerche hanno messo in evidenza, come
frequentemente la maggior parte delle persone
vada incontro ad “errori e credenze” che si fondano sull’idea che gli eventi aleatori siano trasformabili, siano interpretabili, siano prevedibili.
In altre parole, non solo che “abbiano una loro
logica, siano correlati o correlabili con altri eventi”, ma che sia possibile comprendere tale logica,
prevederla, manipolarla o interpretarla da “segni
esterni”, il classico messaggio premonitore. I
meccanismi più frequenti che si possono rintracciare riguardano, ad esempio, l’avvicinamento
alla vincita (come accade nei gratta e vinci se un
numero sorteggiato si avvicina a quelli della fascia superiore dello stesso), cosi come può essere
il sorteggio di un numero vicino o simile a quello
di cui si era in possesso (Reid, 1986). Questa percezione di essere “vicini alla vittoria” può sviluppare l’aberrante convinzione che sia necessario
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continuare ad insistere per raggiungere
l’obiettivo e, di conseguenza, i buoni propositi di
limitazione che si erano prefissati debbano essere
accantonati in quanto “ormai è fatta”.
Anche la cosiddetta teoria dei “numeri ritardatari”, ovvero l’idea che, poiché un numero non viene estratto da molto tempo ha una probabilità di
gran lunga superiore di essere estratto a differenza di altri numeri, questo fenomeno può portare
a “dimenticare l’aleatorietà degli eventi” e, continuare ad insistere sul numero o sulla combinazione che da tempo non viene sorteggiata (Cohen, 1972). Tuttavia, per il giocatore pervaso dal
pensiero magico può valere anche il procedimento inverso, sebbene della stessa (a)logica, ovvero
l’insistere sull’evento “fortunato” perché si interpreta la ricorrenza come segno del destino, come
“filotto”, come momento fortunato, come “provocazione-segnale”. Ovviamente, questo atteggiamento accresce il senso di onnipotenza del giocatore, in quanto “a dispetto” della “logica” che porterebbe a scommettere sull’evento ritardatario, si
segue invece l’istinto, l’emozione, il rischio.
Anche l’idea di avere un “ruolo attivo” nel gioco
spesso sostiene la reiterazione e la (a)logica nella
condotta. Si pensi ad esempio, ad alcuni esperimenti condotti con il lancio dei dadi, in cui la velocità e la forza con cui si lanciano i dadi appare
in correlazione all’aspettativa di uscita di numeri
alti o viceversa (Henslin, 1967).
Già Wortman (1975), aveva notato come la partecipazione attiva favorisca un sentimento immoti-
83
vato di scelte e di responsabilità che, tuttavia,
modifica la percezione di controllo.
Un altro fattore che può influenzare la condotta
del gioco è relativo alla credenza di “essere scelti”. Si pensi, alla gente che acquista un biglietto
della lotteria, ha la tendenza a rifiutare la vantaggiosa idea di scambio con più biglietti, ritenendo
che il proprio biglietto abbia maggior possibilità
di vittoria o che comunque non lo si “debba tradire” di fronte ad un’offerta, sebbene vantaggiosa
o comunque sicura.
Un altro fattore di fallacia percettiva è determinata dalla combinazione dei numeri che assumono un valore “divinatorio” e contrario alle leggi della logica e delle probabilità. Non si sceglie
un numero di biglietti della serie A123456 se si ha
l’alternativa di uno della serie N123456, in quanto
si ritiene impossibile che esca dall’estrazione un
biglietto della serie A, nonostante abbia le stesse
probabilità di uscita nell’estrazione. La stessa
identica motivazione che porta alcuni giocatori
del lotto a non giocare numeri quali: 1,2,3,4,5 oppure 10,20,30,40, ma si preferisce disporre diversamente la propria scelta, per esempio,
25,47,55,29. Questi fattori, comuni anche ai non
giocatori patologici, di fatto “predispongono, costruiscono, mantengono” comportamenti di gioco e spesso costituiscono il fondamento sulla
quale si innescano escalation e reiterazioni.
Uno dei meccanismi problematici più frequenti,
che indicano anche la gravità dei giocatori problematici è la cosiddetta rincorsa alle perdite
(chasing), che porta il gioco ad un incremento
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esponenziale, dettato dall’esigenza di recuperare
il denaro perduto e all’assunzione di forti rischi
(per esempio, usura, indebitamento, condotte di
rilevanza penale, che riguarderebbero il criterio 8
del DSM-IV-TR), finalizzati al procacciarsi denaro per poter continuare. Questa esigenza di recupero è spesso accompagnata dall’ideologia che
una volta raggiunti il pareggio tra vincite e perdite non si continuerà a giocare. In alcuni studi
condotti da Kahneman e Tversky (1979), sul paradosso della propensione al rischio, ovvero che, le
persone sono più propense ad accettare rischi
nelle fasi di perdita piuttosto che in quelle di vincita. Questo fenomeno venne dimostrato attraverso un esperimento in cui venivano offerti 1000
dollari a dei soggetti con la possibilità di raddoppiare tale somma oppure di perderla con una
probabilità del 50%. La maggior parte dei partecipanti di fronte ad un guadagno sicuro non accettava il rischio. Tuttavia, se si proponeva loro
una perdita sicura di 100 dollari con la possibilità,
sempre con il 50% di probabilità di andare a pari
oppure di perderne 200 dollari, la maggior parte
delle persone preferiva accollarsi il rischio.
Applicando questa teoria in diversi ambiti del
comportamento umano, si spiegherebbe come
nel caso del gioco in “fase di perdita” e di “necessità di recupero” il giocatore patologico assumerebbe maggiori rischi. Non meno rilevante è il
“sunk cost effect” (Thaler, 1985), ovvero la teoria
“dell’affondamento”, che spiega come la volontà
di mantenere il proprio modus operandi possa
essere influenzato in maniera spropositata ed ir-
85
ragionevole dalle proprie risorse (tempo, denaro,
fatica) precedentemente investite. Tali teorizzazioni non riguardano solo il gioco d’azzardo ma
gli investimenti con un’accezione generale: economici, affettivi, professionali e spiegherebbe
come le persone persistano in comportamenti distruttivi e deleteri o ancora antieconomici, anche
di fronte a realtà che suggeriscano di modificare i
propri atteggiamenti.
Il giocatore d’azzardo patologico commette degli
errori cognitivi di logica: applica delle strategie
proprie, cerca di interpretare ogni segnale
dell’ambiente che lo circonda, si affida alle sue
sensazioni interne e a calcoli particolari sulle
probabilità, ben lontana dalle leggi della statistica pura, tutto ciò al fine di dominare la situazione
di gioco e ottenere una vincita, nella speranza che
sia quella che gli cambi per sempre il resto della
vita.
Quando si rivedono gli aspetti decisionali del
gioco, bisogna prendere in considerazione tre
importanti fenomeni che illustrano l’irrazionalità
del pensiero e delle decisioni prese da chi vi partecipa: la “fallacia del giocatore” (fallacia di Montecarlo), “l’illusione di controllo” e “la quasi vincita” (Gilovich, 1983) cioè la convinzione che gli insuccessi sono vicini a diventare successi.
La fallacia del giocatore viene spesso associato al
nome di Cohen (1972) e si verifica quando il giocatore tende a sopravvalutare la probabilità di
successo di una scommessa dopo una serie di sequenze inesatte e scommesse perse; al contrario
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un giocatore si sente meno sicuro della vincita in
seguito ad una scommessa vinta.
L’illusione di controllo di cui parlava Langer
(1975) definita come “aspettativa di successo personale erroneamente alta rispetto a quanto
l’obiettivo possa garantire” si riferisce alla situazione in cui le persone manipolano gli eventi casuali come se dipendessero dalla loro personale
volontà, o percepiscono il gioco d’azzardo come
un gioco di abilità.
Frequentemente queste tre variabili si scontrano
tra di loro e i giocatori d’azzardo compiono rituali
di ogni genere pur di esorcizzare la sfortuna.
Gambling e Disedonia
Koob & Le Moal (1997), in uno studio delle dipendenze hanno parlato, per la prima volta, di
“disregolazione omeostatica edonica”, nota come
“disedonia”. Ma cos’è di fatto? Analizzando il
termine da un punto di vista etimologico è possibile provare ad individuare una chiave interpretativa. Il suffisso “dis-” sta ad indicare una mancanza o carenza in una qualche funzione, in questo caso in quella edonica, ovvero la capacità di
provare piacere. L’uomo è per istinto portato a
ricercare piacere pertanto seleziona comportamenti tesi a questo precipuo fine. In essi è possibile identificare diverse componenti distinguibili
in: una componente preparatoria (desiderio), una
incentivante (attivazione/eccitazione/approcci)
87
ed una componente consumatoria (piacere/soddisfazione/gratificazione).
L'aspetto incentivante degli stimoli motivazionali
naturali è associato alle loro proprietà sensoriali
specifiche (odore, sapore, forma, temperatura)
che li identifica. La componente consumatoria
dei comportamenti motivazionali, coinvolge gli
effetti metabolici e fisiologici, del contatto e
dell'interazione, con lo stimolo gratificante (piacere, sazietà, orgasmo). Ognuna di queste componenti può considerarsi piacevole ed indurre
uno stato emotivo positivo (gratificazione), ma
tutte risultano indispensabili agli stimoli motivazionali naturali, per essere del tutto rinforzanti.
Una prima definizione di alterazione nella funzione edonica venne proposta sin dal 1897 da Ribot, il quale coniò il termine “anedonia” per definire una condizione tipica di alcune patologie
psichiatriche che si caratterizzava per l’incapacità
nel provare piacere.
Con il termine “disedonia” oggi si intende invece
la disregolazione dell’omeostasi edonica, ovvero
una patologia funzionale dei sistemi cerebrali di
modulazione della gratificazione. Essa include
tutte le possibili variazioni qualitative e quantitative della capacità di gratificazione di un soggetto. In particolare, possono essere evidenziate clinicamente e correlate neuro-biologicamente, variazioni qualitative e quantitative della funzione
edonica, nella componente preparatoria, incentivante-motivazionale ed in quella consumatoria
(Manna et al. 2003). Queste stesse variazioni, innescando alterazioni a livello dei sistemi neuro-
88
trasmettitoriali, sottostanti al piacere, si pongono
alla base non solo delle dipendenze da sostanze
ma anche di quelle comportamentali. Uno dei sistemi principalmente coinvolto è quello dopaminergico, dove la dopamina appare funzionalmente correlata, non solo a tutte le fasi del comportamento d’approccio allo stimolo gratificante ma
anche all’apprendimento condizionato dei rinforzi secondari.
L’attività funzionale del sistema cerebrale di ricompensa e la connessa capacità edonica, secondo alcuni studiosi, potrebbe essere distinta in due
componenti fondamentali:
- l’impatto
edonico
(correlato
all’attivazione elicitata dallo stimolo incondizionato);
- l’apprendimento della ricompensa (associazione tra stimolo condizionato e stimolo incondizionato).
Qualora lo stimolo sia risultato piacevole e immagazzinato in memoria si registrerà una maggiore o minore propulsione alla ricerca dello
stesso. Tutto ciò è siglabile nella sola accezione
di: craving, condizione che è manifesta non solo
nelle sostanze d’abuso ma anche per quel che
concerne cibo, sesso, alcol e gioco d’azzardo
(Berger et al. 1996; Brauer et al. 1997). Dimostrando così come la ricerca spasmodica dell’oggetto
della dipendenza non sia imposta solo da meccanismi fisiologici che richiedono la sostanza al fine
di poter funzionare bene, ma anche da fattori
psichici. La “disedonia” potrebbe, perciò, correlarsi, non solo ad alterazioni funzionali della ca-
89
pacità di provare piacere, ma anche ad alterazioni funzionali della capacità di desiderare e rapportarsi agli stimoli gratificanti, in un approccio
concettuale di spettro psicopatologico, che potrebbe includere non solo disturbi del tono
dell’umore e schizofrenia, ma anche disturbi da
abuso di sostanze, disturbi dell’alimentazione,
alcolismo, disturbi del controllo degli impulsi e
disturbi di personalità. (Manna 2006; Manna et
al. 2006).
Conclusioni
Recentemente all’espansione del fenomeno sociale del gioco d’azzardo si va associando un aumento di casi di patologia da dipendenza da gioco. Si stima che nella maggior parte delle società
dove il gioco si è sviluppato rapidamente nel corso degli ultimi decenni, la percentuale dei giocatori patologici oscilla tra l’1-3% della popolazione.
Sono 500 mila gli italiani per i quali il brivido saltuario di una giocata alla slot-machine, gratta e
vinci o poker online finisce per trasformarsi in
una vera e propria ossessione quotidiana. Alcune
persone finiscono per stravolgere la propria esistenza secondo i dettami del “dio azzardo”: prestiti, ipoteche, aguzzini ed in un attimo il giocatore
si trova inghiottito in una spirale da cui non è più
in grado di uscire. Questi sono dati che parlano di
giocate legali ma resta un fenomeno di difficile
quantificazione. Secondo uno studio condotto da
“Libera” (Fondatore Don Luigi Ciotti) nel nostro
90
paese ci sono oltre due milioni di giocatori a rischio di dipendenza e circa 800 mila giocatori
'patologici'. La dipendenza, psicologica ed economica, è uno dei principali fattori di allarme
lanciato nel corso della presentazione del dossier
di Libera. Il gioco d’azzardo, un fenomeno personale e sociale di difficile gestione, anche dovuto
al fatto che resta legale, in ogni bar, tabacchi,
club ricreativi in ogni angolo siamo perseguitati
da slot-machine, video poker, gratta e vinci, superenalotto ecc.
Per quanto il problema si sia ormai reso evidente
alla “coscienza collettiva” il problema resta e non
viene ben delineato dalle forze Politiche. Anche il
Decreto Balduzzi che in un certo qual modo cerca di mettere a freno questo problema ha comunque delle falle che andrebbero colmate. Inoltre lo Stato non si rende conto che gli introiti di
oggi saranno le spese di domani che serviranno a
curare tutti coloro che sono diventati giocatori
patologici.
Il problema gioco è sempre esistito e come detto
all’inizio del trattato, vi sono dei riferimenti già
nel 3000-4000 a.C., ma negli ultimi anni questo
fenomeno si è esteso a macchia d’olio coinvolgendo ragazzi adolescenti, anziani, uomini e
donne che per diverse ragioni di tipo psicologico,
sociale ed economico sono rimasti imbrigliati
nella trappola fatale del vincere facile del gioco
d’azzardo. Le conseguenze sociali e psicologiche
di questa trappola spesso hanno costi alti da pagare e non solo in termini economici. Basti pensare a tutte le cascate di eventi che ne conseguo-
91
no. Sentiamo parlare di una mamma che lascia i
suoi due bambini in auto mentre lei passa qualche ora al Bingo, oppure un ragazzo di 19 anni
che si toglie la vita perché non riesce a smettere
di giocare e non sa come spiegarlo ai suoi genitori.
In conclusione di tale elaborato, dopo avere indagato e interpretato scientificamente i vari
aspetti psicopatologici del gioco d’azzardo, si
vuole rimandare il lettore ad una riflessione più
umanistica.
Attualmente non stiamo affrontando sicuramente un periodo florido, le aziende chiudono bottega, le tasse sono molte e spesso le famiglie non
riescono ad arrivare a fine mese; ma come diceva
uno dei grandi padri dell'economia, Adam Smith,
filosofo che più di 200 anni fa scrisse cose che ad
oggi sarebbero state molto utili e attuali: “Non s’è
mai visto e mai si vedrà una lotteria perfettamente equa”, non solo ai patiti di lotteria, ma a tutti
coloro che sarebbero incappati nella morsa del
vincere facile. Detto in maniera grossolana, se il
gioco fosse stato una fonte di reddito sicura per
tutti coloro che ne intraprendono il percorso oggi
saremmo tutti giocatori e non esisterebbero professioni. Basti pensare come nel caso del Milionario (uno dei gratta e vinci più diffusi in Italia) che
la possibilità di vincere 500mila euro è 1 su 6 milioni e la probabilità di beccarlo è lo 0,0000167%
ma ovviamente questo non è scritto sul biglietto.
Per rendere ancora più chiara la possibilità di
vincita “immaginate l’intera strada da Milano a
Potenza, 912 km, coperta di gratta e vinci, quelli
92
del Milionario per la precisione, lungo 15.33 cm,
uno in fila all’altro. Tra i 6 milioni di biglietti che
servono per coprire la distanza ce n’è uno, uno
soltanto, che vale 500mila euro. Immaginate di
poterne scegliere un biglietto. Uno soltanto. I
500mila euro vi sembrerebbero ancora a portata
di mano? (Matteo Iori, presidente del Coordinamento nazionale gruppi per giocatori d’azzardo
Conagga)”.
Come è stato ampiamente discusso, alla base di
coloro che giocano e diventano giocatori patologici vi sono altre problematiche di base che, non
riguardano solamente la sfera economica, ci sono
problemi personali, familiari e psicologici e sociali. Spesso si comincia a giocare qualche euro e
dopo un po’ il gioco diventa oasi di distacco da
tutti gli altri problemi che vengono lasciati alle
spalle, si ha una depersonalizzazione che porta il
giocatore a non rendersi conto di ciò che sta accadendo e molto spesso solo toccando il fondo se
ne rende conto.
L’ invito è cercare di affrontare i problemi con le
persone più care senza cercare aiuto o supporto
in attività dannose quali alcool, gioco d’azzardo o
sostanze stupefacenti, per poi arrivare a conseguenze ancora peggiori. Se si è già intrapreso un
percorso dannoso, esistono figure di riferimento
utili e capaci che in scienza e coscienza possono
dare una mano: oggi sul territorio nazionale ci
sono centri con figure professionali come Psicologi, Psichiatri, Sociologi, Educatori e Tutor che
seguono anche le vicende economiche per cercare di ripristinare le finanze.
93
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Sitografia
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www.conagga.it
www.giocaresponsabile.it
www.norc.org
101
Autori
Maria Luisa Carenti, psicologo clinico, dottorando di ricerca presso l’Università degli studi di
Cassino e del Lazio Meridionale.
Domenico De Berardis, medico, Azienda Sanitaria Locale Teramo.
Massimo Di Giannantonio, Università degli Studi
G. d'Annunzio Chieti e Pescara.
Pierluigi Diotaiuti, ricercatore, Università di Cassino e del Lazio Meridionale.
Michele Fornaro, Columbia University.
Fiorenza Giordano, dottore in lingue.
Felice Iasevoli, Università Federico II.
Luigi Janiri, Università cattolica del Sacro Cuore,
Roma.
Giovanni Martinotti, medico Psichiatra, Università G. D'Annunzio Chieti-Pescara.
Filippo Petruccelli, professore associato di psicologia dello sviluppo e dell’educazione, Università
di
Cassino e del Lazio Meridionale.
Irene Petruccelli, assistant professor di psicologia
sociale, Università “Kore” di Enna.
Matteo Pio Ferrara, Psicologo clinico.
David Scaramozzino, psicologo-psicoterapeuta,
Istituto per lo Studio delle Psicoterapie.
Valeria Saladino, Psicologo clinico.
Alessandro Valchera, Ospedale Villa San Giuseppe, Ascoli Piceno.
Valeria Verrastro, psicologo-psicoterapeuta, Istituto per lo Studio delle Psicoterapie.
Carolina Zegarelli, Psicologo clinico.
102
Gli Autori contribuiscono ai progetti di ricerca
del BART, Behavioral Addictions Research Team,
che ha come partner l’Università di Cassino e del
Lazio Meridionale, l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, l’Istituto per lo Studio delle
Psicoterapie, l’Università degli Studi di Chieti Pescara “Gabriele D’Annunzio”, la Società Italiana
di Psichiatria delle di- pendenze e l’Associazione
Maninellaterra.
Behavioral Addictions Research Team
Il campo delle dipendenze comportamentali sta
acquisendo un posto sempre più di rilievo
nell’attenzione della comunità scientifica, delle
autorità socio sanitarie e dell’opinione pubblica.
A tal proposito, a seguito di rapporti di collaborazione, oramai consolidati, tra enti qualificati, nasce il progetto BART (Behavioral Addictions Research Team), in cui le parti coinvolte, per le quali non sono previsti costi diretti, si impegnano,
ognuna con le sue specificità, nella ricerca,
nell’organizzazione e gestione di corsi di formazione e nella pianificazione di progetti di intervento (prevenzione, percorsi terapeutici e rieducativi ecc..) nel campo delle dipendenze comportamentali. In un’ottica di miglioramento dei risultati e risparmio delle risorse, le parti coinvolte
pongono l’accento sulla necessità di “fare rete” e,
lasciano libera la possibilità di aderire al BART
ad altri enti, pubblici e privati, nazionali ed esteri,
che si occupino degli stessi campi di ricerca, di
103
formazione ed intervento. Ciò anche al fine di favorire la collaborazione tra istituzioni competenti
e per poter accedere a fondi nazionali e sovranazionali per reperire sovvenzioni.
Valeria Verrastro: curatore del presente volume;
psicologo-psicoterapeuta, Istituto per lo Studio
delle Psicoterapie; direttore scientifico della rivista Qualepsicologia; ricercatore, Università degli
studi di Cassino e del Lazio Meridionale.
104
IstitutoperloStudiodellePsicoterapiesrl
ScuoladiSpecializzazionein
PsicoterapieBrevi
adApproccioStrategico
RiconosciutaconDM20/3/1998aisensidell’art.3dellalegge
56/1989
BARI–ViaG.Capruzzi326
CATANIA–ViaPlebiscito158
LAMEZIATERME(CZ)–ViaRoccoScotellaro14
ROMA-ViaSanMartinodellaBattaglia31
SANTICOSMAEDAMIANO(LT)–ViaCadore8
www.istitutopsicoterapie.it
[email protected]
0644340019-3286068080
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BART-BehavioralAddictionsResearchTeam
www.beavioraladdictions.it
[email protected]
3479247118
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