Massimo Botti
Elena Dacrema
Educazione Strategica
Rimedi strategici ad uso di genitori ed
insegnanti alle prese con ragazzi difficili
Prefazione di Giorgio Nardone
Indice
Prefazione
Avvertenza
Introduzione
pag. 2
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6
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8
» 10
Voglio, ma non posso: “Il ticcoso”
Cap. 1 - Autoinganni e realtà
1.1
La costruzione della realtà
1.2
Logica strategica
1.3
Il concetto di Tentata Soluzione (T.S.)
1.4
Cambiare per conoscere
1.5
La costruzione degli interventi
1.6
Terapia Strategica e intervento indiretto
con genitori e insegnanti
Cap. 2 - Ambiti di applicazione del Manuale
2.1
3 - 5 anni: l’ingresso nel mondo
2.2
6 - 10 anni: l’età scolare
2.3
11 - 14 anni: il pensare che gli altri pensino
2.4
Tipologie di problemi
2.5
Problemi nella fascia d’età 3 - 5 anni
2.6
Problemi nella fascia d’età 6 - 10 anni
2.7
Problemi nella fascia d’età 11 - 14 anni
Cap. 3 - Le Tentate Soluzioni
3.1
Comuni Tentate Soluzioni
3.2
Le T. S. specifiche per Disturbo d’Ansia
di Separazione e dormire nel lettone
3.3
Le T. S. specifiche per Mutismo Selettivo
3.4
Le T. S. specifiche per Disturbi da
Deficit di Attenzione/Iperattività
3.5
Le T. S. specifiche per Disturbo Oppositivo
Provocatorio e classe indisciplinata
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59
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60
»
63
3.6
3.7
3.8
Le T. S. specifiche per Disturbo della Condotta
Le T. S. specifiche per Tricotillomania,
Disturbi da Tic, Disturbo
Ossessivo-Compulsivo
Le T. S. specifiche per Fobia Specifica,
Fobia Sociale (Fobia scolare, lamentele su
insegnanti e compiti, scarso rendimento
scolastico e pignoleria)
Cap. 4 - Manovre Terapeutico/educative
Introduzione
4.1
Come peggiorare
4.2
La ristrutturazione
4.2.1 La ristrutturazione con connotazione positiva
4.3
Uso di paradossi, aneddoti, metafore
4.4
Le prescrizioni di comportamento
4.5
Dichiarazione d’impotenza e premio
disorientante
4.6
Frustrazione del sintomo e “irragionevolezza”
Cap. 5 - L’applicazione dell’intervento strategico
5.1
Sblocco nella fascia d’età 3 - 5 anni
5.2
Esempi di casi
A scuola mi denigrano! …
Un caso di Mutismo funzionale
Mio figlio ha dei Tic
Il piacere di dormire nel lettone
5.3
Sblocco nella fascia d’età 6 - 10 anni
5.4
Esempi di casi
Comando io. E il re è nudo!
Gli altri hanno l’orsacchiotto? Io ho l’orso!
Un caso di lutto
E’ pigra e con DSA. Non c’è nulla da fare!
Io sono grande
3
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98
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107
113
116
119
122
5.5
5.6
Pre-occupazioni genitoriali
Sblocco nella fascia d’età 11 - 14 anni
Esempi di casi
Lo sfaticato con probabile deficit
d’intelligenza
Fobia scolastica. Un caso di paranoia
Ad ogni pensiero un capello
Trauma e Fobia specifica
Asfal-ta-to!
“Mi fa fastidio”
pag. 125
» 128
»
»
»
»
»
»
131
134
137
141
144
146
Epilogo
DSA o NON-DSA?
−
Cosa sono i DSA
−
Come si accerta un DSA
−
Quanti sono i DSA?
»
»
»
»
150
150
154
158
Esempi di DSA che non sono DSA
La manipolatrice
La paura di sbagliare
L’aiuto inutile
“Ci vedo!”
»
»
»
»
160
163
166
170
Appendice
Disturbi da Deficit di Attenzione/Iperattività
Disturbo Oppositivo Provocatorio
Disturbo della Condotta
Tricotillomania
Disturbi da Tic
Disturbo d’Ansia di Separazione
Fobia Specifica
»
»
»
»
»
»
»
175
177
178
180
181
183
184
4
Fobia Sociale
Disturbo Ossessivo-Compulsivo
Mutismo Selettivo
pag. 185
» 186
» 187
Bibliografia
»
5
189
Prefazione**
………….*
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6
Avvertenza1!
Nel presente testo, sebbene i casi riportati siano riferiti a
reali terapie ed interventi svolti, i nomi sono sostituiti e le
circostanze adattate in modo tale da rendere irriconoscibili i
protagonisti.
Ai protagonisti stessi va il più felice e grato
riconoscimento per quanto hanno permesso di imparare così da
poter rendere più efficace l’intervento per la soluzione dei loro
problemi, assieme alla più sincera stima per le loro risorse.
L’obiettivo principale di questo lavoro è presentare la
possibilità di intervenire efficacemente ed in tempi brevi su
problemi di bambini e ragazzi dai tre ai quattordici anni con
riferimento all’esperienza maturata in oltre dieci anni con tali
specifiche difficoltà e perniciosi problemi.
Lungi dal voler propinare ricette sulla corretta educazione
da impartire ai figli o regole universali da applicare a qualsiasi
studente o figlio con la promessa di una crescita armoniosa e la
formazione di una personalità perfetta. Non esistono, a tutt’oggi,
ricette magiche che si adattano a qualsiasi essere umano, specie
se quell’individuo soffre per qualche problema. La pretesa
dell’adozione di un sistema globale e assolutamente vero di
“cura” e “educazione” sarebbe un’estremizzazione patologica.
Non esistono due individui identici su questo pianeta, ma
esistono problemi identici portati da soggetti differenti;
l’intervento sul problema quindi, adattando la comunicazione a
seconda dell’età e caratteristiche del soggetto, consente a
individui diversi di superare il problema stesso mediante il
medesimo intervento dimostratosi scientificamente efficace in un
numero considerevole di casi.
1"Titolo"originale"dell’opera:"Sasso,"carta,"forbice"(2013)
7
"
In ogni problema portato dai bambini, sia che alla base ci
sia rabbia, paura, insicurezza o cattive abitudini, ciò che ha
sempre guidato il nostro lavoro è l’eliminazione della sofferenza
- sotto ogni forma - che il bambino, e gli adulti di riferimento
con lui, vivono e a cui hanno cercato inutilmente di porvi
rimedio.
8
“Nei modi più diversi siamo tutti simili”
(L. Mérö)
Introduzione
La morra cinese, meglio conosciuta in Italia come sassocarta-forbice, è un gioco di mano molto popolare giocato spesso
dai bambini. Il gesto è quasi identico a quello del “pari o
dispari”. Diversamente dal lancio della moneta o altri sistemi
puramente aleatori e, contrariamente a quanto si potrebbe
pensare, esiste in questo gioco un margine essenziale per
applicare una strategia vincente, per lo meno se si gioca
ripetutamente con lo stesso avversario. Si può infatti prestare
attenzione alle sue ridondanze, o in termini strategici alle sue
Tentate Soluzioni, che in altre parole sono la tendenza ad agire
con una propria regolarità e quindi prevedibilità.
I due giocatori tengono la mano chiusa a pugno e la fanno
dondolare mentre scandiscono assieme “un… due… tre!” oppure
“sasso… carta… forbice!"; al “tre!” (o al “…ce!”) ogni giocatore
gioca immediatamente il pugno in una delle tre possibili giocate:
• sasso: la mano chiusa a pugno;
• carta: la mano aperta con tutte le dita stese;
• forbice: mano chiusa con indice e medio estesi a formare
una “V”.
Lo scopo è scegliere un segno in grado di battere quello
dell'altro, secondo le seguenti regole:
• il sasso spezza le forbici (vince il sasso);
• la forbice taglia la carta (vincono le forbici);
• la carta avvolge il sasso (vince la carta).
Se i due giocatori compiono la stessa scelta, il gioco è pari
e si gioca di nuovo.
La Teoria dei Giochi (Nash J.F., 1950; Neumeann J. von Morgenstern O., 1953; Israel G. - Gasca M., 1995; Mérö L.,
9
2005) ha ampiamento dimostrato e validato in numerosi campi
(militare, economico, psicologico ecc.) che qualsiasi strategia
predefinita, anche se molto articolata e complessa, è perdente
rispetto a una strategia non predefinita. La teoria dei giochi è la
scienza matematica che analizza situazioni di conflitto e ne
ricerca soluzioni competitive e cooperative tramite modelli, ossia
uno studio delle decisioni individuali, in situazioni in cui vi sono
interazioni tra due o più soggetti, tale per cui le decisioni di un
soggetto possono influire sui risultati conseguibili da parte
dell’altro mediante la retroazione.
Nash, premio Nobel con il famoso Teorema dell’Equilibrio
che prese il suo nome e reso famoso al pubblico con il film “A
beautiful mind”, dimostrò matematicamente che, se la sequenza
di comportamenti cambia in funzione degli eventi x, y o z in
maniera probabilistica, anziché in maniera predefinita, allora
una strategia mista vince contro qualsiasi strategia pura. In altri
termini: se conosco con una buona approssimazione (data
dall’esperienza, dai risultati conseguiti in passato e dall’attuale
modalità di comportamento) lo schema di comportamento di una
persona, posso adottare la strategia che mi assicura la maggiore
probabilità di successo in quell’interazione; non fideisticamente,
ma scientificamente assodata.
A dimostrazione ulteriore della validità della strategia
mista, rispetto a quella predefinita, nel giugno 2012 l'Ishikawa
Oku Lab dell'Università di Tokyo ha realizzato un robot
imbattibile che è in grado di vincere il 100% delle partite di
morra cinese disputate contro un essere umano. Il merito è di
una telecamera che legge ad altissima velocità i movimenti della
mano dell’uomo-giocatore e che permette al robot-giocatore di
rispondere con la mossa vincente nello spazio di un
millisecondo. Ossia: sapendo quale giocata farà l’essere umano,
il robot adotta la giocata - non predefinita a priori - che gli
consente la certezza della vincita.
10
Ma veniamo all’argomento del libro… proprio studiando
in modo approfondito la sequenza di interazione fra i
comunicanti in seno ai problemi di bambini e fanciulli dai tre ai
quattordici anni, è stato possibile creare delle strategie ad hoc
che consentano il rapido sblocco delle situazioni patologiche in
cui il fanciullo, il genitore o l’insegnante “gioca” sempre la
stessa parte che lo fa restare nel problema. Come se, giocando a
sasso-carta-forbice, il soggetto giocasse sempre la stessa
“mano”; questa giocata - compresa, studiata e validata
scientificamente - permette di individuare la contro-mossa
adeguata con cui rispondere strategicamente affinché la
situazione evolva positivamente liberandosi dal problema.
Unica differenza rispetto alla morra cinese è che si vince
tutti, non ci sono perdenti quando si supera un problema, ognuno
- per la sua parte - contribuisce al benessere dato dal problema
superato.
Dodici anni fa, oltre a proseguire l’attività clinica presso il
Centro di Terapia Strategica di Piacenza, ebbe inizio l’avventura
di ciò che è comunemente chiamata “Psicologia Scolastica”
presso le scuole d’Infanzia, Primaria e di I Grado di Piacenza e
provincia. Nel senso declinato strategicamente per lo
svolgimento della professione, la psicologia scolastica è sempre
consistita nell’adozione di ogni strategia, relazione, tecnica e
stratagemmi utili alla soluzione di problemi portati dagli
studenti, dai genitori e dagli insegnanti.
Specialmente nel mondo della scuola sono diffusi
sentimenti, fra insegnanti e genitori, di impotenza e frustrazione
uniti a fortissime resistenze al cambiamento per quanto attiene
all’indagine sul problema e quella sulla gestione della funzione
educativa con gli alunni e i figli. Gli interventi a cui sono abituati
sono sostanzialmente tesi all’ascolto passivo dell’insegnante e
11
all’interpretazione del disagio nell’alunno anche attraverso il
materiale prodotto quali disegni, testi ecc., sulla dinamica
famigliare ed educativa che dà luogo a simili disagi e sul clima
nel gruppo-classe che favorisce il comportamento adeguato o
inibisce il comportamento inappropriato nello studente.
Il fatto che l’intervento per il minore sia basato
prevalentemente sulla spiegazione psicologica e/o psicodinamica
sull’origine del problema, sulla struttura genitoriale e le modalità
educative che hanno originato la patologia, sull’eventuale presa
in carico del caso da parte del professionista o del servizio
Materno Infantile dell’ASL di competenza, giocano un ruolo
preponderante nella non-soluzione dei casi. Infatti,
classicamente, la parte maggiore nella trattazione del caso è
riservata al “perché” del problema.
Inoltre, e quest’ipotesi è forse la più pregnante, i genitori e
gli insegnanti vivono spesso la lettura dei problemi come una
disconferma del comportamento sino allora tenuto e questo
favorisce da un lato le ovvie resistenze al cambiamento e
dall’altro lato contribuisce all’incremento del senso di
frustrazione per l’incapacità di risolvere i problemi.
La Terapia Breve Strategica, così come sviluppata da
Nardone e dai suoi collaboratori presso il Centro di Terapia
Strategica di Arezzo dove sin dalla sua fondazione nel 1987
viene portata avanti una ricerca empirico-sperimentale che
coinvolge migliaia di pazienti per i più svariati problemi, è stata
messa a punto sviluppando il modello generale di psicoterapia
breve del MRI (Mental Research Institute di Paolo Alto - CA).
L’idea chiave di questo Modello è quello di sviluppare dei piani
strategici di intervento per singole patologie o difficoltà articolati in rigorose sequenze di manovre terapeutiche che
possiedono un potere euristico e predittivo.
12
L’adozione del Modello di Terapia Breve, a scuola come in
studio, consente di assistere al miglioramento del senso di
efficacia ed auto-efficacia degli adulti per il figlio/studente, i
quali migliorano la collaborazione sul caso, riducono ciò che si
definirebbero le resistenze al cambiamento ed è ampiamente
ridotto - se non scompare - il senso di impotenza e frustrazione
che spesso, se non troppo e non a causa loro, accompagna
insegnanti e genitori.
La resistenza al cambiamento - invero - assume i connotati
del terapeuta incapace; infatti è grazie alla mutata modalità di
approccio al problema che si ottiene la collaborazione
dell’interlocutore: paziente, insegnante o genitore che sia.
Nel corso degli anni i casi risolti sono andati aumentando
con la contemporanea diminuzione del tempo necessario per
risolverli, tanto che, talvolta, sono stati necessari solo due
colloqui/interventi diretti per modificare radicalmente la
situazione consentendone un rapido evolversi positivo.
Il libro si snoda, attraverso gli argomenti trattati, come un
manuale particolareggiato dell’approccio strategico ai problemi
di figli-studenti e genitori-insegnanti. Si pone come strumento
operativo per individuare concretamente cosa e come fare per
risolvere efficacemente e in tempi brevi i problemi più frequenti
in infanzia e fanciullezza.
Come si formano i problemi di comportamento fra genitori
e figli?
Attraverso quali modalità di comunicazione le difficoltà si
trasformano in problemi?
Come è possibile che certi problemi persistano per tanto
tempo?
Quali sono le manovre terapeutico/educative e le strategie
efficaci per risolvere tali specifiche problematiche?
Il libro è fondamentale per lo specialista, ma è dedicato
13
anche al genitore e all’insegnante che potrà trovare affascinante
l’illustrazione della strategia utilizzata attraverso i numerosi casi
dettagliatamente esposti nel testo.
14
“E’ semplice rendere le cose complicate,
ma è difficile renderle semplici”
(F. Nietsche)
Voglio, ma non posso: “il ticcoso”
di Massimo Botti
Un giorno, mentre entravo in una scuola Primaria,
un’insegnante si avvicinò chiedendo l’intervento per un bambino
di classe seconda che la poneva in seria difficoltà.
Mi presentò il caso di Luigi, un bambino minuto,
estremamente carino, con ottimo profitto scolastico; sempre
pronto alla risposta adeguata durante le verifiche orali e sempre
pronto a rispondere correttamente alla maestra durante le lezioni.
Con i compagni si comportava adeguatamente anche se giocava
molto poco e a ricreazione tendeva a starsene in disparte. Il
problema era dovuto al fatto che sembrava motorizzato quando
era seduto in banco. Secondo la descrizione della maestra, era
affetto da tic motori, iperattivo e costantemente sotto agitazione
psicomotoria.
La maestra riferiva, anche dando voce alle due colleghe,
che stare in classe con lui stava diventando a dir poco
impossibile; come quando si sta vicino ad una persona che
sbadiglia e sovviene lo sbadiglio; stare in classe con Luigi
provocava nelle maestre una sorta di agitazione interiore che
disturbava non poco.
Già nella classe prima le maestre avevano notato qualche
avvisaglia, ma con la speranza che col tempo passasse non
avevano ritenuto di intervenire.
Sino a quel momento le maestre avevano provato a dirgli
di stare fermo, di comportarsi compostamente come i compagni,
15
ma sebbene al momento e diligentemente Luigi si conformasse,
poco dopo ricominciava.
Ottenuto il consenso all’osservazione in classe da parte dei
genitori, persone squisite, rilassate e desiderose sinceramente di
aiutare il figlio, e dopo aver fissato un ulteriore colloquio con
loro per definire quale intervento porre in atto, mi recai in classe
per valutare il disturbo nel luogo ove si manifestava.
All’osservazione notai un bambino abbastanza composto
in banco, attento alle spiegazioni della maestra e con due occhi
estremamente vispi. Luigi però era come agitato in tutto il corpo
con una preponderanza di movimenti all’altezza delle ginocchia
che saliva lungo il corpo; muoveva le ginocchia fra loro,
saltellava sulla barra d’appoggio del banco con le punte dei
piedi, muoveva il bacino e - quando non scriveva - non sapeva
dove tenere le mani. Ma la testa era ben orientata alla lavagna o
verso la maestra che spiegava. Un’attenzione decisa, intelligente.
Effettivamente, a ben osservarlo, si provava un senso di
agitazione e d’inquietudine per quel corpo in costante agitazione.
Una sorta di sensazione in pancia che pervadeva tutto il corpo.
Mentre la maestra spiegava rivolta alla classe, mi avvicinai
a Luigi ponendomi davanti a lui, tenendomi ad un’altezza pari ai
suoi occhi; mi presentai e gli dissi che avevo chiesto
precedentemente alla mamma e al papà il permesso di potergli
parlare.
Gli dissi, a bassa voce, che capivo quale fastidio poteva
dargli il muoversi in continuazione e, a poco a poco, Luigi mi
confidò che aveva già provato a fermarsi, ma che era più forte di
lui, non poteva controllarsi.
Chiesi a Luigi se voleva provare un nuovo sistema per
controllare i movimenti e gli dissi che mi sarebbe stato molto
utile sapere quali sensazioni si sarebbero provate. Ottenuto il
consenso all’esperimento, presi il suo astuccio e lo posi fra un
ginocchio e l’altro, gli chiesi di tenerlo molto delicatamente in
16
posizione orizzontale fra le ginocchia, ma di non farlo cadere e
di ascoltare le sensazioni che provenivano dalle sue gambe.
Dopodiché mi rimisi ad osservare distante da lui. Nei quindici
minuti in cui stetti ad osservarlo tenne le gambe e tutto il resto
del corpo fermo, in una posizione rilassata tanto che si poteva
notare nel suo viso una piacevole progressione di rilassamento, i
suoi occhi cambiarono e divennero più dolci, più distesi.
………………
Alcuni giorno dopo, prima di fare il colloquio “di
restituzione” con i genitori, mi informai dalla maestra come era
andato Luigi e questa, ancora stupita, mi disse che praticamente
non si era più mosso.
Con i genitori spiegai quanto era stato bravo Luigi,
consigliai di fargli scaricare la pila proponendogli tennis o altro
sport praticabile in piccolo gruppo e di farlo studiare talvolta con
qualche amico combinando con le mamme di qualche compagno
di classe.
Nei due colloqui successivi con i genitori monitorai
l’andamento di Luigi, facendo in modo che fossero i genitori
stessi ad assumere informazioni presso le maestre, così che
potessero avere gratificazioni da un terzo soggetto (le maestre)
non coinvolto nel problema.
Il bambino a tutt’oggi, a distanza di quattro anni, non ha
più mostrato alcun segno di agitazione, gioca con tutti i
compagni e saltella solo qualche volta sulla barra d’appoggio del
banco per i piedi (come tutti!).
Luigi, con la sua agitazione comunicava la gran voglia di
interagire, ma al tempo stesso il blocco ad instaurare relazioni
con altri bambini; sostanzialmente se nella mente era bloccato
dalla paura, nel corpo scaricava tutta la sua voglia di muoversi.
17
La soluzione ha spiegato il problema sulla base dei
comportamenti e atteggiamenti che assunse Luigi a problema
superato. Il fatto che il bambino intraprese un maggior numero
relazioni con i coetanei, iniziò a partecipare maggiormente nel
gioco con i compagni e l’intensificazione dei rapporti fuori da
scuola spiegano - senza dubbi a posteriori - che il problema era
quello ed era stato superato.
Un intervento focale, di fatto in una sola seduta. Senza preoccuparsi di fare diagnosi o confermare ipotesi catastrofiche su
disturbi o disagio in ambiente famigliare o scolastico. Cercando
solo il punto di equilibrio; la leva vantaggiosa che, con un
particolare modifica l’universale.
Sarebbe stato molto semplice - e dannoso per Luigi individuare cause di disagio, antipatie subite o agite con
compagni, interesse o disinteresse eccessivo della famiglia o
delle insegnanti, cercare e trovare uno stato di repressa
aggressività o di ansia di prestazione (queste si trovano sempre!);
con qualche sforzo creativo si poteva confermare qualche
modaiolo DSA (Disturbo Specifico dell’Apprendimento) come
la disgrafia nei momenti di particolare agitazione allorquando i
movimenti del corpo influenzavano quelli della mano mentre
scriveva. In ogni modo il tempo di disagio sofferto da Luigi
sarebbe stato molto lungo, avrebbe dovuto capire quello che lo
specialista aveva immaginato dentro di sè - e quindi
indimostrabile per definizione - e che Luigi avrebbe dovuto
accettare (sennò avrebbe negato e quindi sarebbe stato anche
oppositivo!); oppure sottoporsi alle medesime istruzioni di star
fermo, ma stavolta per poter scrivere bene.
Talvolta - in interventi molto creativi - si assiste alla
modifica della gestione di tutta la classe per il disagio sofferto
dall’alunno anche a seguito di questionari e test somministrati a
tutti gli alunni; è questo il caso del più pernicioso intervento che
conferma, mantiene e esacerba il disturbo.
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Un’altra modalità sarebbe stata di intervenire su tutta la
famiglia per comprendere come mai il figlio scaricava nel corpo
l’apparente tranquillità di mamma e papà che ovviamente erano
colpevoli del disagio del figlio.
Chi sa poi perché i genitori non possono essere sanamente
tranquilli?
Rammento, a questo proposito, che ad un corso di
formazione per dirigenti di un’importante azienda
multinazionale, durante un break, uno di loro mi chiese consiglio
su un problema che affliggeva un suo amico. Costui aveva 45
anni e nove anni prima, dopo il primo attacco di panico, aveva
intrapreso senza successo tre psicoterapie presso tre diversi
psichiatri e psicologi. In ogni psicoterapia aveva ricevuto la
sentenza che i suoi attacchi di panico erano “colpa dei genitori”.
Dopo essermi complimentato con il dirigente per la capacità di
sopravvivenza a nove anni di terapia, dissi che ero molto
dispiaciuto per il fatto che l’amico malato avesse incontrato sulla
sua strada gli unici tre esseri umani che avevano avuto genitori
perfetti! A questo punto il dirigente aveva capito da sé il tempo
sprecato a cercare qualcosa d’inutile, passato e immodificabile
che manteneva il problema degli attacchi di panico. Come
migliaia di anni fa Epitteto suggeriva: “Accusare gli altri delle
proprie disgrazie è conseguenza della nostra ignoranza;
accusare se stessi significa cominciare a capire; non accusare
né sé, né gli altri, questa è vera saggezza”.
Il sorriso, la serenità e lo sguardo fiero di Luigi con la sua
soluzione dopo l’intervento in classe è la spiegazione migliore di
come si possa superare un problema rapidamente senza
colpevolizzare alcuno; conferma che ridurre un disagio nel più
breve tempo possibile è la strada migliore per chi soffre e che per
superare un problema non dobbiamo interpretare il mondo, ma
trasformarlo.
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