recensioni - Oscar De Summa

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di Tommaso Chimenti del 20 marzo 2009 “scanner.it”
Come ammodernare un classico (il, per eccellenza), senza distruggerlo, senza snaturarlo. Senza farsi
schiacciare, senza soccombere sotto il peso di parole declamate a mò di spot. Una drammaturgia
entrata nel senso comune, passata, filtrata in modi di dire, scivolata nel quotidiano, liquefatta, e
quindi stracciata e tritata, nella comunicazione contemporanea. Tutti fanno Amleto, tutti l’hanno
fatto almeno una volta, tutti l’hanno visto, tutti vorrebbero farlo, come accenna Oscar De Summa
nell’incipit-ouverture-confessione-legenda con il pubblico. Lo chiamano “pippone”. Ed hanno il
coraggio per farlo. C’è chi lo mette in scena in quindici ore e chi lo velocizza, lo comprime in una
scarsa e divertente oretta. Una piece pop: l’ideale per girare nel tendone dell’Ert nelle campagne
desolate in Emilia e dintorni. Oscar ha la faccia da schiaffi, un sorriso sempre pronto ad accendersi,
sul bordo del trampolino, per poi rientrare nella parte come un paguro nella sua conchiglia. E’ un
Amleto in forma ridotta, all’osso, andando all’essenziale, ma non è un bignami, è una selezione
delle scene necessarie. Un ringraziamento profondo per non aver utilizzato il teschio nel monologo
dell’essere o non essere. I costumi sono scarni, ci si cambia a vista, senza quinte, gli attori sono
anche mixeristi e musicisti. Questa è la forza dell’“Amleto a pranzo e a cena” dell’impertinente De
Summa: “Perché Amleto è come Lady D”. Come dire: è come il prezzemolo. Ovvero: non se ne può
più. Ed allora ribaltiamolo, maneggiamolo senza alcuna cura, sballottiamolo che il testo regge,
centrifughiamolo, shake(speare)riamolo. Le scene sono annullate, azzerate. Un quadrato ring, con
luce quasi sempre fissa ad inglobare anche la platea nella loro revisione, è il palco dove scendere e
salire ed entrare nella parte. Nella penombra si è solamente persone e attori, non più Ofelia o
Laerte, Polonio o Claudio, Gertrude o Orazio. Anche: “C’è del marcio in Danimarca” ci è stata,
finalmente, risparmiata. Ri-grazie. In formazione davanti al pubblico fanno delle “summa” delle
puntate precedenti. Ricordano da un lato, per impatto ed approccio l’“Amleto” del Teatro Minimo
(stessa provenienza geografica fervida, la Puglia) di Michele Santeramo e Michele Sinisi, dall’altro,
come scanzonatura tagliente e goliardia viscerale, i tipi dell’Accademia degli Artefatti. Dentro e
fuori. Gli attori stanno in panchina pronti a diventare titolari, ad entrare in gioco, a scattare in
scena, quando chiamati all’occorrenza. Potrebbe essere un provino. Il personaggio attende paziente
il suo turno come in una sala d’aspetto, guardando come in una interminabile partita a ping pong
cinese l’alternarsi delle battute da un capo all’altro. Tic-tac. Folgorante la scena di Rosencrantz e
Guildenstern, con le maschere con il nasone arcuato, come due anziani surreali annoiati al parco.
Anche con l’hip hop si arriva fino all’ultima fila, in un tourbillon di entrate ed uscite. Una tragedia.
Tutt’altro che una tragedia di spettacolo. Miglior interprete: l’arazzo.
Gianfranco Capitta del 22 marzo 2009 “il manifesto”
E Amleto diventò un trucco pedagogico
Una sorta di sfida alle regole elementari del teatro e dei suoi classici, che finisce per essere
una conferma della grandezza dei «testi sacri». Amleto a pranzo e a cena nasce come se
un'antica compagnia italiana, consapevole dei propri limiti, adattasse ai corpi dei propri
quattro attori il testo più classico e più rappresentato. Non per rendere omaggio a
Shakespeare, ma per trovare un linguaggio che comunichi con qualsiasi pubblico, in qualsiasi
situazione. Uno farà tutte le parti femminili, un altro quelle più rudi, un altro quelle più
tronfie, e uno infine darà il volto al protagonista. In realtà i quattro attori in questione sono
giovani e sperimentatori consumati. Oscar De Summa è regista e attore che ha già affrontato
prove interessanti, così come Angelo Romagnoli (attore e organizzatore di festival a Siena),
Roberto Rustioni (una lunga pratica con Barberio Corsetti) e Armando Iovino (che è un
intenso e reattivo Amleto). Insieme sembrano divertirsi, ma con intelligenza divertono
davvero qualsiasi pubblico. L'antica italiana è l'arte della commedia per eccellenza (e la
produzione Ert ha dato loro i costuni della Karenina di Nekrosius). Senza pretese esaustive, in
quella forma apparentemente leggera, i quattro attori frugano tra le infinite pieghe e
suggestioni dell'Amleto. Ogni spettatore può poi sceglierne o svilupparne le preferite, ma
intanto in uno spettacolo scorrevole e accattivante, ha potuto capire e apprezzare i
meccanismi fondamentali del teatro tutto. Perché in quel racconto e in quell'intreccio ci sono i
fondamenti di ogni convivenza. E proprio nel vederli indagati, incompresi, esagerati dai
quattro attori scatenati, si svelano regole e principi, passioni e debolezze. La carica
«pedagogica» dello spettacolo è una sorta di trucco. Servirà all'apparenza per acchiappare il
pubblico; in realtà è la prova che spesso ridendo si va molto vicini alla verità. G. Cap.
ANNA CONTINI 26 MARZO su Krapp’s last post
Ci sono testi drammaturgici indeformabili: li puoi tirare da una parte o dall’altra e loro
tornano sempre a posto; puoi farvi infinite variazioni e loro suonano sempre nel modo
giusto. Ci sono testi “eterni” per la qualità esemplare alla quale assurgono i personaggi,
per come sono strutturati e per la possibilità di inscrivervi il tempo nel quale il lettore vive,
rimanendo strabiliato dal fatto che non hanno tempo, vanno sempre bene.
L’“Amleto” di
Shakespeare risponde sicuramente a questi requisiti.
Proprio sulla struttura
incorruttibile di questo classico si innesta il gioco drammaturgico e registico di Oscar De
Summa, giovane astro delle scene italiane. La forza del lavoro sta nella sua capacità di
parlare a tutti, di divertire e commuovere universalmente. Tanto che la visione dello
spettacolo dovrebbe essere altamente consigliata agli studenti e a certi docenti, che
potrebbero sorprendersi del fatto che di teatro, di letteratura, si può anche ridere ed
interessarsi con attenzione creativa.
La tragedia è dissacrata, tanto che finisce in commedia, con il pubblico che si spancia dal
ridere in barba ai “pipponi” di Amleto. Qualsiasi possibilità di immedesimazione, e quindi di
catarsi, viene continuamente spezzata e negata dal fatto che il testo è sapientemente
contrappuntato da inserti dovuti al gioco del dramma nel dramma e al rapporto con il
pubblico.
Ma il lavoro è anche filologico, dal momento che i ruoli femminili sono interpretati da un
attore uomo, Oscar De Summa appunto, che ci riporta direttamente alle convenzioni del
teatro elisabettiano. Inedita la versione rap del “monologo” di Amleto e l’irrisione di certi
virtuosismi attoriali ad opera di Armando Iovino.
La pièce si compone di abili giochi di
parole e tagliente ironia, asse portante di tutto il lavoro: ironia nei confronti della tragedia e
del tragico quotidiano, nei confronti di un certo tipo di teatro e nei confronti della
convenzione teatrale della finzione condivisa.
Il teatro, per essere, non ha bisogno di
ricchi mezzi e altisonanti scenografie. Bastano pochi ma buoni attori, pochi costumi,
poche luci, musiche. Un arazzo. E il pubblico, elemento fondamentale, mai dimenticato.
Anzi, continuamente chiamato in causa grazie ad un gioco meta-teatrale ad incastro,
velocissimo ed efficace, cosicché tra scena e pubblico c’è continuo scambio e
comunicazione.
Molto bravi tutti gli attori in scena, e un plauso particolare va allo
sfrenato istrionismo di Roberto Rustioni nei panni di Polonio e Laerte. De Summa si
conferma, ancora una volta, attore, autore e regista da tenere d’occhio.
Franco Cordelli 22 luglio Corriere della sera
… Chi fa sul serio, l'unico, è Oscar de Summa. Nel suo “AmIeto a pranzo e cena” c'è una punta di
reale insofferenza - per il teatro di tradizione, per il troppo Shakespeare. Insofferenza, quindi critica,
critica reale dell'esistente. Quando lui e i suoi tre eccellenti attori, Armando lovino, Roberto
Rustioni e Angelo Romagnoli, eccedono nel farsesco, lo sfottò dei personaggi dell'Amleto diventa
accattivante, come lo sono gli altri loro coetanei, scrittori o registi. Ma il più delle volte lo spettacolo si mantiene sul filo di ironia impercettibile - e sono i casi in cui diventa sacrosanto prendere le
distanze anche da Shakespeare; dal troppo Shakespeare che ci viene quotidianamente ammannito.
Graziano Graziani 24 luglio Carta
Cosa altro ha da dirci la vicenda di Amleto dopo 400 anni di storia e di rappresentazioni?
Molto, evidentemente, se Oscar De Summa, ideatore e regista di «Amleto a pranzo e a
cena» – di recente in scena al festival Inequilibrio di Castiglioncello – riesce a regalarci
uno spettacolo memorabile, capace di coniugare ironia e poesia, parlandoci di vendetta e
di dubbio, come vuole la vicenda del principe danese, ma anche del nostro rapporto con i
classici, del loro legame con la verità e della sua capacità di emergere in teatro quando il
teatro non nasconde il suo lato finzionale, ma anzi mette candidamente in piazza i suoi
strumenti, recuperandoli come mirabili mezzi per produrre sì immaginazione, ma mai
mistificazione. Spettacolo autenticamente popolare ed estremamente divertente, nato
all’interno di un progetto di Teatro Errante dell’Ert che porta il teatro dove non c’è (e dove
non si è abituati a vederlo), il lavoro di De Summa conta su degli attori di grande talento
che, come lo stesso regista, interpretano a turno i personaggi del dramma: Armando
Iovino, Angelo Romagnoli e un trascinante Roberto Rustioni. Ma è un dramma che si
rovescia presto in commedia autentica, profondamente divertente senza scadere nella
farsa – perché gli attori/personaggi, un po’ dentro e un po’ fuori la scena delimitata da una
pedana di legno, giocano con maestria sui luoghi comuni della cultura, su un Amleto
proposto in tutte le salse, «a pranzo e a cena», che sbuca dovunque, «peggio di Lady D».
È naturale allora chiedersi come fare a dire per la milionesima volta “essere o non essere”
cercando di farsi capire dai giovani, e approdare – in una delle scene più esilaranti dello
spettacolo – all’hip-hop, sulla scia della derive giovanilistiche più trivialmente televisive. Ma
ad emergere, alla fine della giostra, è una lettura intelligente ma allo stesso tempo
(davvero) comunicativa della vicenda di Amleto, dove spiccano gli apici più intensamente
umani del testo shakespeariano: la morte di Ophelia, o l’urlo del fantasma del padre, resa
con grande maestria da quella risorsa immaginifica che è l’artigianalità. Sì, perché se la
scena di «Amleto a pranzo e a cena» è povera di mezzi – talmente povera che i costumi
sono stati riciclati da una produzione più ricca, precisamente l’«Anna Karenina» di
Nekrosius, spettacolo di punta della precedente stagione – composta solo da teli, da
panche dove gli attori siedono come atleti in attesa di essere chiamati in campo, e da basi
musicali che sgorgano un po’ distorte dagli altoparlanti di una pianola da piano bar, lo
spettacolo al contrario non è affatto povero di immagini: merito, oltre che della convincente
prova degli attori, di una scena che si manifesta manipolando con sapienza quei pochi
elementi, in una dinamica che ammanta lo spettacolo di un sapore antico, autenticamente
elisabettiano, e di attualissima (potremmo dire contemporanea) magia del teatro. Uno
spettacolo nato “per la strada” che di strada sicuramente ne farà, perché riconcilia
tradizione e ricerca e fa tirare a chi guarda un sospiro di sollievo.
[da Carta n°27/2009]
Enrico Fiore 28 gennaio 2010 Napoli
“Un Amleto assillante alla maniera di Petrolini”
“io sono il pallido prence danese/ che parla solo, che veste nero./ che si diverte nelle
contese/ che per diporto va al cimitero”…ricordate? È l’Amleto di Petrolini, quello che poi ci
informa:”per far qualcosa di ameno e gaio/ col babbo morto fo colazione”. Con noi
spettatori, invece, l’Amleto di Oscar De Summa consuma, per usare l’idioma del Bardo,
non solo il “breakfast” ma anche il “lunch” e il “dinner”. Infati si intitola “Amleto a pranzo e a
cena” lo spettacolo che De Summa – nella triplice veste di autore, regista e interpret4e –
presenta al nuovo, per la produzione di Emilia Romagna Teatro Fondazione, nell’ambito
del progetto “Shakespeare/Beckett” varato dallo Stabile napoletano in sinergia, per
l’appunto, con la sala di via Montecalvario.
È facile immaginare di che cosa si tratti. Giusto il titolo, Amleto, vien detto, risulta ormai
assillante come il fantasma mediatico di Lady Diana. E dunque – sullo sfondo di
frecciatine tra l’ironico e l’affettuoso agli equivalenti moderni dei Modena, Rossi e Salvini
tirati in ballo da Petrolini ( Latella con il suo Amleto di 14 ore, Nekrosius che ha regalato i
costumi di Anna Karenina) – si dispiega qui, in appena un ora e dieci minuti la parodia del
proverbiale testo inscenata da una compagnia povera ( soltanto 4 attori che s’accollano
tutte le parti, comprese quelle femminili) e riferita all’intero spettro dei generi: dalle
improvvisazioni della Commedia dell’Arte alle convenzioni della Doriglia-Palmi,
dall’avanspettacolo al circo, dal teatro dei pupi a quello delle ombre.
ENRICO FIORE 28 gennaio 2010 “Il Mattino”
La comicità ( ed è una comicità nello stesso tempo frenetica ed intelligente)
discende dalla reazione scatenata fra le alte battute originali lasciate intatte, il
modo in cui vengono pronunciate nella circostanza e l’ordito di gag che le
imprigiona: vedi, tanto per fare qualche esempio, l’essere o non essere che
diventa uno sgangherato rap, il Polonio che tira le cuoia esclamando “ L’uomo è
mortale, un arazzo è per sempre” e il Laerte che arriva dalla Francia intonando
“A paris” à la maniere di un assi improbabile Yves Montand.
Molto bravi e perfettamente in linea con l’assunto dello spettacolo i quattro
interpreti: accanto a De summa (una Gertrude ed Ofelia barbute), Armando
Iovino ( Amleto), Angelo Romagnoli ( Claudio, una guardia, Guildersten) e
Roberto Rustioni (Rosencrantz, Polonio, Laerte ). Ma infine è solo uno scherzo?
Pensiamo al sempre valido monito di Jan Kott: “ L’Amleto è come una spugna.
Basta non stilizzarlo e non rappresentarlo come un pezzo da museo, perché
assorba immediatamente tutta la nostra contemporaneità.
VALERIA OTTOLENGHI 13 febbraio 2010
“ Dal capolavoro Shakespeariano Oscar De summa realizza una proposta vivace
e colta”
E’ possibile recitare il più famoso monologo shakespeariano, l’essere o non
essere, a ritmo rap? Nell’intelligente, spiritoso, veloce “Amleto a pranzo e a cena”
ideazione e regia di Oscar De summa, presentato a Teatro Due, c’è anche questo
tentativo, di cui però subito ci si mette a discutere, teatro nel teatro, perché è
piuttosto necessario cercare nelle radici di noi stessi il senso di quelle parole.
Così il regista/finto, compagno di palcoscenico, cerca di spiegare. Vana ancora la
nuova soluzione:ne escono solo versi di un infelice come intrappolato da una
camicia di forza. Del resto non si può rinunciare ad un passaggio di tale
importanza! Ecco: forse meglio dirlo semplicemente così, questa l’ultima
indicazione, come fanno molti attori senza capirne il senso…
Sono quattro gli interpreti, Oscar De summa, Angelo Romagnoli, Armando
Iovino, Roberto Rustioni, che si cambiano continuamente d’abito e di ruoli, a
raccontare in questa forma ilare, con continui commenti interni, molte le
occasioni per ridere, questa tragedia che ha avuto innumerevoli interpretazioni,
di lettura critica, di trasposizione scenica.. Mentre il pubblico entra loro sono già
lì, tutto a vista: intorno alla pedana quadrata i costumi, gli strumenti musicali,
un paio di panchine. Ma devvero loro si sono presi l’impegno di recitare Amleto?
Non avrebbero potuto scegliere qualcosa di diverso? Ma certo sapranno essere
originali: tutto in una sola ora! E così sarà, senza dimenticare i passaggi
principali. E’ lo stesso De Summa, con tanto di barba, ad essere Gertrude ed
Ofelia, Polonio si muove in forma sinuosa/insinuante, moltiplicando luoghi
comuni.
Esilaranti le scene dove le battute saltano dall’uno all’altro, inseguendosi in buffi
tormentoni. Il ritmo è scandito, spesso anche dai passi, ogni scena giocata su
modalità teatrali differenti. Rosencrantz e Guilderstern indossano delle
maschere: sono lì e ancora una volta non capiscono la loro parte. Si sollevano
teli, uno bianco ed uno nero e un altro ancora come arazzo, sul fondo, dove
morirà( lentamente, comicamente) Polonio. Resuscitando presto come Laerte(
già: proprio simile al padre!).
Nell’affanno che diverte- non mancano dialoghi con il pubblico, ammiccamenti
complici-la teatralità è sempre ricca, di un umorismo vivace e colto. Insomma “
una tragedia”. Il resto naturalmente è silenzio. Buio in sala: un esplosione di
applausi.
IN SCENA AL NUOVO FINO A DOMENICA Stefano Di Stefano
“Un Amleto più umano al di là della tragedia” ( Corr. Del Mezzogiorno)
Si può ridere di Amleto e della sua sventurata vicenda familiare senza
trascendere nella vieta, ammiccante parodia? A vedere lo spettacolo in scena al
nuovo fino a domenica non ci sono dubbi: non solo è possibile, ma è addirittura
auspicabile, per restituire umana vitalità al personaggio shakespeariano troppe
volte ingessato in clichè interpretativi oleografici, ridondanti e privi di anima. Al
contrario “Amleto a pranzo e a cena” l’agile messinscena di Oscar De Summa,
prodotto da Emilia Romagna Teatro, si affida ad un piccolo ma efficacissimo
espediente, quello di far entrare ed uscire continuamente gli attori dal proprio
ruolo e dalla tragedia da loro rappresentata. Un’idea forse non nuova, ma che qui
consente ai quattro protagonisti( lo stesso De Summa nelle vesti di Gertrude ed
Ofelia barbute, Armando Iovino in quelle di Amleto, Angelo Romagnoli in quelle
di Claudio, e Roberto Rustioni in quelle di Polonio) di conservare fino alla fine
due registri genialmente contrapposti. Da una parte l’assoluto rigore di una
moderna scuola attoriale, figlia della ricerca teatrale degli ultimi vent’anni,
dall’altra l’arguta irriverenza con cui i quattro svelano le magagne di una
compagnia scalcagnata costretta dalle proprie esigue risorse ad una sola ora di
durata contro le 14 dell’ “Amleto” di Latella e ai costumi dell’ “Anna Karènina”
prestati da Nekrosius, per non presentarsi in mutande. E in mezzoun festival di
battute a presa rapida sospese fra citazioni testuali e attualità, fino
all’irresistibile “Essere o non essere” recitato a tempo di rap.
S.de St.
TEATRO DUE
L’ “AMLETO”? E’ PIU’ ATTUALE DI QUANTO CI IMMAGINIAMO
“Osca De Summa, qui attore e regista, rilegge un capolavoro in modo davvero
acuto”
Oscar De Summa è uno fra gli interpreti più interessanti della sua
generazione:sia come attore che come regista, sta raccogliendo bei riscontri di
pubblico e critica. L’occasione per avvicinarlo (o ri-avvicinarlo)? Eccola da
stasera a sabato al Teatro Due di Parma, dove arriva “Amleto a pranzo e a cena”
(ore 21). Nato da un progetto realizzato da ERT e teatro Errante e scritto
apposta per raggiungere luoghi dove non ci sono teatri e dove il teatro
normalmente non arriva, “Amleto a pranzo e a cena” sta riscuotendo un
incredibile successo toccando numerosissime piazze italiane.
Ideato e diretto appunto da Oscar De Summa, anche interprete in scena insieme
ad Angelo Romagnoli, Armando Iovino, Roberto Rustioni, “Amleto a pranzo e
cena” rivisita il classico dei classici per farci scoprire come il capolavoro
shakespeariano riesca ancora oggi a parlarci di noi, a rapirci il cuore e a dar voce
al nostro quotidiano. Una piccola e sgangherata compagnia teatrale, tra inidie e
gelosie, tenta di mettere in scena Amleto. Tra liti e complicità, gli attori si
scambiano consigli non proprio disinteressati ( un po’ come Rosencrantz e
Guilderstern) e lasciano affiorare velenosi grovigli familiari( Amleto non è
l’unico ad aver avuto problemi con la Mamma). Così teatro e vita si intrecciano
in un processo che vede attori e personaggi entrambi alle prese con le stesse
difficoltà. “Nella vicenda, apparentemente lontana, del principe danese-scrive
Osca De Summa-emergono così questioni semplici, che riguardano il comune
animo umano, e che mettono in luce quanto nulla sia cambiato dentro di noi,
quanto quel dentro di noi sia possibile nominarlo anche grazie a Shakespeare,
quanto Amleto abiti il nostro quotidiano, costantemente presente a pranzo e a
cena. Se per molte persone Amleto è solo uno che, col teschio in mano e lo
sguardo fisso nel vuoto, ripete il suo “essere o non essere”, emblema di un teatro
tanto noioso quanto sganciato dalla realtà, questo spettacolo ci fa toccare con
mano come il teatro di Shakespeare possa fornirci strumenti quanto mai efficaci
per interpretare il tempo in cui viviamo”.
NUOVO ( GIULIO BAFFI REPUBBLICA)
De Summa rilegge Amleto tra tormentoni e risate
Oscar De Summa s’avventura in una rilettura a rotta di collo del più celebre forse
tra i drammi di W. Shakespeare. E’ in scena al teatro nuovo “Amleto a pranzo e a
cena”. Quello che il pubblico conosce a memoria diventa sorpresa e divertente
scoperta: di “Amleto” c’è tutto, re traditore e fantasma corrucciato, Ofelia e
Polonio, comici e amici pronti a tradire. Quattro attori in scena, lo stesso De
Summa con Armando Iovino, Angelo Romagnoli e Roberto Rustioni. Ne
riscrivono il copione per scombinate sintassi, impensabili invenzioni,
tormentoni, assonanze e dissonanze, per funamboli della battuta. Risate e
applausi. In scena ancora questo pomeriggio.
Anna Bandettini Repubblica 25 giugno 2010
Essendo la tragedia classica più famosa del mondo, Amleto porta il pesante fardello di dover
ogni volta spiegarci le ragioni dell’interesse che ancora suscita in noi, cosa abbia da dirci, cosa
abbia voluto dire e da cosa si è separato… Così dei quattordici Amleto che solo questa
stagione hanno girato per i teatri, il Teatro Di Roma ne ha scelti con intelligenza due che
rileggono la tragedia in modo molto antiaccademico, quasi beffardo uno, quotidiano l’altro, e li
ha messi in una programmazione parallela. Così fino a domenica al Teatro India c’è l’Amleto
riletto da Filippo Timi (foto a sinistra) in una sala e quello riletto da Oscar De Summa in
un’altra (foto a destra).
Nello smontare l’aura di classico di Amleto, Amleto a pranzo e a cena, ideato e diretto da Oscar
De Summa (che ha già firmato anche un interessante Riccardo III)con De Summa stesso, Angelo
Romagnoli, Armando Iovino, Roberto Rustioni (produzione Ert), ne fa un gioco di ironia e grazia, di
provocazione e poesia.
Tutti uomini, vestiti con i costumi avanzati da uno spettacolo di Nekrosius (così almeno ci viene
detto dalla scena), gli attori su una nuda pedana denunciano la loro povertà e la loro miseria, si
scambiano scaramucce, fanno baruffe tra loro, ma quando recitano Amleto, pur contaminandolo
della loro quotidianità, lo recitano credendoci, consapevoli che, finzione o realtà che sia, quella
tragedia di Shakespeare siamo noi. A pranzo e a cena.
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