relazione - Università degli Studi dell`Insubria

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“Dinamica del territorio ed evoluzione recente del
paesaggio in un transetto attraverso l’Appennino
Centro-Meridionale:Bacino di Rieti, Sarno, Vesuvio
e Campi Flegrei”
Escursione interdisciplinare 16-21 sett. 2002
BANFI GABRIELE mat.609876
Bacino di Rieti
INTRODUZIONE
Il bacino di Rieti è un sito di grande interesse geologico e archeologico, infatti è stato
sottoposto a molte ricerche, finalizzate alla ricostruzione del ruolo svolto dal clima e
dalla tettonica nell’evoluzione del paesaggio del tardo quaternario.
La definizione della successione cronologica degli eventi è stata facilitata dalla
disponibilità di una vasta documentazione archeologica presente nella zona.
Il recente assetto geomorfologico è caratterizzato da un progressivo innalzamento del
livello di base locale, legato all’innalzamento della soglia travertinosa delle Marmore,
il quale ha determinato in passato la formazione di un vasto lago; gli elementi relativi
proprio a questo bacino lacustre possono costituire un valido riferimento per
evidenziare la presenza di movimenti tettonici recenti.
Durante il nostro sopralluogo sono intervenuti il dott. Raglione e il dott. Lorenzoni
dell’Istituto per lo studio e per la protezione del suolo, il dott. Leggio (assessore alla
cultura di Rieti) e il generale Landi, direttore della scuola nazionale del Corpo
Forestale di Città Ducale.
INQUADRAMENTO GEO-MORFOLOGICO DELL’AREA
La piana attuale del bacino di Rieti è costituita da depositi alluvionali e lacustri
olocenici, con spessori localmente superiori ai 50 m, passanti verso Sud alla
piattaforma delle Marmore, che costituisce la soglia del bacino. La piattaforma delle
Marmore è costituita da un grosso lastrone di travertino formatosi dalla precipitazione
chimica del carbonato di calcio e si estende per circa 90 Km² degradando da Sud
verso Nord, con quote che passano da 390 a 370 m.
Il bacino è attraversato dal Velino, fiume che nasce in corrispondenza di una piccola
sorgente situata poco a nord di Cittareale; lungo il suo percorso, più di 70 sorgenti
riversano le loro acque nel fiume giungendo alla Cascata delle Marmore con una
portata di circa 60.000 lt/sec.
La soglia della cascata, situata a 375 m di quota e
impostata su un lastrone di travertino spesso circa 160 m,
costituisce il livello di base locale del bacino.
L’analisi geomorfologia ha permesso di individuare
evidenze di un antico livello lacustre nel bacino di Rieti;
sono stati infatti rilevati dei lembi di superfici terrazzate
procedendo da Nord verso Sud lungo le coste dei laghi di
Piediluco e Ventina; queste, sono delle piattaforme di
abrasione ampie alcuni metri, con sviluppo variabile fino
a centinaia di metri, al di spora delle quali sono presenti
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depositi limosi calcarei in facies di spiaggia, ricchi di gasteropodi e lamellibranchi di
ambiente lacustre.
Le quote di tali elementi permettono quindi di rilevare che la posizione altimetrica
della linea di riva risulta superiore ai depositi alluvionali della piana e a quella dei
bacini lacustri attuali. Ciò indica che nel recente passato, circa 3.000 anni fa, le
condizioni climatiche erano tali da indurre variazioni importanti nel paesaggio.
EVOLUZIONE GEO-MORFOLOGICA DEL BACINO
Durante l’ età del Bronzo recente - prima età del ferro, l’ odierna piana si presentava
diversamente da oggi: i versanti degradavano fino a quote inferiori di 5-6 m a quelle
attuali (il sito di Montisola ad esempio è passato da 367 m a 373 m ).
Successivamente, grazie ai periodi di deposizione del Carbonato di Calcio,
l’ accrescimento della soglia travertinosa delle Marmore aveva determinato un
innalzamento generale del livello di base, comportando un rapido innalzamento del
livello delle acque del bacino lacustre; ciò è indicato dall’ assetto giaciturale dei
depositi e dalle caratteristiche della superficie di contatto con il substrato
conglomeratici.
La stratigrafia della zona è molto ben identificabile nei pressi di Foresta, dove lo
studio del suolo ci ha permesso di riconoscere l’ evoluzione nel tempo dei
conglomerati Villafranchiani, i quali hanno ormai lasciato il loro posto alle argille e
ai residui di ciottoli fortemente
alterati. Anche il suolo ci da
importanti indicazioni riguardo le
condizioni ambientali del passato, in
quanto la presenza di sedimenti
limoso-argillosi e di limi calcarei
testimoniano la presenza del vasto
bacino lacustre.
Attualmente,la posizione dell’ antica
linea di riva, presenta delle
differenze di quota nell’ ordine di 12 m, il che prova l’ esistenza di
movimenti tettonici tardo olocenici
strettamente legati alle evidenze
geomorfologiche e paleosismiche
rilevate; il margine settentrionale,
infatti, è impostato lungo un sistema
di faglie E-W, mentre altre faglie NS sono presenti ai margini della
piana, la quale risulta quindi
Immagine dell’ antico bacino lacustre
circondata da una serie di faglie e,
di conseguenza, sottoposta a movimenti tettonici che la spingono verso il basso.
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Sono questi movimenti, che permettendo l’ innalzamento dei monti circostanti, hanno
deviato il corso del fiume Velino e determinato poi la struttura morfologica attuale,
coadiuvati ovviamente dalle variazioni climatiche che hanno permesso la deposizione
del Travertino.
CONCLUSIONI
Lo studio dell’ evoluzione di questa zona è stato secondo il mio parere, un perfetto
esempio di come più agenti (clima, movimenti tettonici ..) possano collaborare e
modificare in maniera molto significativa un particolare ambiente.
E’ fondamentale inoltre lo studio degli episodi che in passato hanno contribuito alla
creazione delle morfologie odierne, poiché è proprio questo il punto di partenza per
riuscire a prevedere cosa potrà accadere in futuro, e come soprattutto il
comportamento dell’ uomo possa influire sull’ ambiente circostante, sia in modo
positivo che in negativo.
L’ ultima considerazione va fatta per la visita al Centro di Formazione del Corpo della
Guardia Forestale di Città Ducale, molto interessante per la storia che racchiude
all’ interno dei suoi edifici, ma anche molto utile in quanto ci è stato illustrato il ruolo
che ha questo corpo all’ interno della salvaguardia e della tutela dell’ ambiente.
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Sarno
INTRODUZIONE
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Veduta panoramica di Sarno
Questo articolo ci introduce all’ escursione svoltasi il giorno 18 settembre nell’ abitato
di Sarno, quattro anni dopo il catastrofico evento.
Tutt’ ora sono visibili, e a dir poco impressionanti, i segni lasciati dalle colate di fango
che hanno investito il paese del Salernitano: le case semi-distrutte, ma anche quelle
che hanno resistito all’ onda d’ urto, hanno ancora le pareti esterne dipinte dal marrone
scuro del fango assassino staccatosi dai versanti del Pizzo d’ Alvano. Durante la
nostra escursione abbiamo cercato di capire quali sono state le cause dell’ evento e
qual’ è la situazione ambientale odierna in base al rischio al quale gli abitanti sono
ancora sottoposti e alle opere che sono state fatte proprio per ridurre la possibilità che
si verifichi un’ altra catastrofe.
INQUADRAMENTO GEO-MORFOLOGICO DELL’ AREA
L’ assetto geologico e geomorfologico locale è dominato dalla piana del fiume Sarno
e dai rilievi montuosi circostanti, di fondamentale importanza è la geologia stessa del
Pizzo d’ Alvano, il monte dal quale si sono staccate le imponenti colate di fango e
detriti che hanno investito Sarno: su un basamento roccioso calcareo si sono
depositate, nel corso dei millenni, spesse coltri di piroclastiti vulcaniche, ceneri e
lapilli eruttati dal Vesuvio e dagli apparati vulcanici, ora quiescenti, dei Campi
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Flegrei. Si tratta di materiale scarsamente consolidato, spesso fino a decine di metri
lungo le pendici inferiori dei versanti, facilmente penetrabile dalle acque piovane e
che può quindi assumere consistenza fluida. I versanti, sono inoltre molto ripidi, con
quote che raggiungono 1100 m di altezza e presentano stratificazione con giaciture
variabili da reggipoggio a franappoggio.
Stralcio Carta Geologica d’Italia
Foglio 185 – SALERNO
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Detrito di falda sciolto o debolmente cementato, frammisto a materiale
piroclastico dilavato
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Alluvioni subattuali e recenti: sabbie, ghiaie, coperture eluviali, argille
palustri, lapilli rimaneggiati.
Prodotti d’eruzioni vesuviane e materiali di dilavamento + - pedogenizzati
Travertino con alternanze di materiale piroclastico o alluvionale in lenti,
talora stratificato, con impronte vegetali.
Tufi incoerenti, suoli, materiale detritico e piroclastico rimaneggiato,
frequentemente copertura di ridotto spessore del "Tufo campano"
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Calcari grigi, bianchi o avana, detritici, a luoghi cristallini, compatti,
raramente conglomeratici.
Alternanza di calcari dolomitici e microcristallini, grigiastri o avana, calcarei
e conglomerati calcarei di colore grigio scuro con fitte intercalazioni di marne
verdastre e calcari marnosi grigi.
ANALISI DELL’ EVENTO: LE PROBABILI CAUSE
Lo scopo principale del nostro sopralluogo è stato quello di individuare le cause che
hanno determinato il disastroso evento, proprio per questo abbiamo visitato l’ abitato
di Sarno nella zona più recente (la parte vecchia infatti non è stata colpita dalle
colate), spingendoci fino alle pendici dei versanti.
Le sfavorevoli condizioni geologiche del territorio, sono sicuramente i fattori che più
hanno influito nel causare il disastroso evento; difatti, risalendo verso il Pizzo
d’ Alvano, si nota, anche dagli scavi effettuati per opere di canalizzazione, la
stratigrafia della copertura posta al di sopra del substrato calcareo: sono presenti
diversi strati di vulcaniti piroclastiche, di colore scuro, e strati costituiti in prevalenza
da pietra pomice, di colore chiaro.
Questi materiali sono tutti originati dalle attività vulcaniche, quindi, come abbiamo
già detto, sono facilmente penetrabili dalle acque piovane e possono assumere
consistenza fluida. L’ azione dell’ acqua su questi tipi di materiali può alterare anche
lo stato tensionale interno del terreno, dando luogo ad una diminuzione della
resistenza al taglio, che alla fine non risulta più compatibile con l’ elevata pendenza
dei versanti; la coltre, quindi, scivola velocemente verso il basso seguendo impluvi ed
incisioni naturali, provocando i cosiddetti PXGIORZV
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Veduta aerea della zona di Sarno – In blu sono evidenziate le colate di fango
La pioggia, caduta in maniera consistente per un periodo significativo, culminando
poi con 140 mm nelle ultime 48 ore, ha permesso il verificarsi dei fenomeni sopra
citati.
Queste sono quindi le due cause principali che hanno provocato un evento di
dimensioni tali che nessuno avrebbe mai potuto evitare; quando parliamo però di
“catastrofe”, riferendoci in particolare non ai danni subiti dal territorio, ma alla
perdita di più di 200 vite umane, di cause da prendere in considerazione se ne
aggiungono parecchie; a partire dallo scriteriato abusivismo edilizio, che ha portato
alla costruzione di abitazioni in aree ad alto rischio idrogeologico (se la città
l’ avevano costruita un po’ più in la forse un motivo c’ era ...) e di strade, che hanno
modificato la topografia dei versanti (vedi la strada lungo il vallone Santa Lucia,
costruita per raggiungere la cava e la discarica abusiva).
La mancanza di adeguati monitoraggi, di mappe del rischio e il disboscamento dei
versanti, completano quindi l’ elenco di ciò che ha trasformato questo fenomeno
geodinamico in tragedia.
CONCLUSIONI
La visita nel territorio di Sarno è stata a dir poco sbalorditiva per due motivi: le
dimensioni del disastro, che sono davvero impressionanti , e ciò che QRQ è stato fatto
per evitare che tutto ciò possa accadere di nuovo.
E’ davvero incredibile vedere che gran parte dei fondi stanziati per il ripristino e la
protezione dell’ area siano stati utilizzati in maniera pressochè inutile: le uniche opere
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tutt’ ora presenti sono dei canali di drenaggio (ampliati dopo il 1998) che attraversano
il paese, i quali potrebbero rappresentare forse più un pericolo che una soluzione,
visto le condizioni in cui si trovano in questo momento (sono pieni di rifiuti al loro
interno).
Alcuni scenari del disastro
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Napoli
INTRODUZIONE
L’ obiettivo prefissato per la nostra escursione nella zona di Napoli era di
comprendere lo stato di attività del Vesuvio al fine di poter formulare delle ipotesi
sulla sua attività futura e quindi sul rischio che esso può rappresentare per l’ ambiente
e per gli abitanti della zona. A tal scopo, la nostra escursione ci ha portato a visitare
appunto il Vesuvio, l’ abitato di Napoli, gli scavi di Ercolano e Pompei e la zona dei
Campi Flegrei, sotto la guida del dottor Mastrolorenzo, il quale ci ha illustrato il
presente e il passato geologico dei luoghi visitati.
VESUVIO: EVOLUZIONE DELL’ APPARATO VULCANICO
Il Vesuvio si è evoluto in una regione forgiata dal vulcanismo per almeno 300.000
anni. L’ attuale montagna, alta 1.281 m è propriamente conosciuta come SommaVesuvio: il nome Vesuvio, descrive strettamente il cono vulcanico formatosi alla
sommità del monte Somma, che rappresenta l’ intero edificio vulcanico.
Circa 25.000 anni fa, l’ attività del Somma passa dalle modeste colate laviche alle
eruzioni di tipo Pliniano; da allora si sono susseguiti cinque eventi di questo tipo, ad
intervalli di circa 2.000-8.000 anni, dei quali il più famoso è indubbiamente il più
recente, che nel 79 d.C. distrusse Pompei ed Ercolano.
Questo tipo di eruzioni, spesso precedute da scosse
sismiche premonitorie, sono in assoluto le più
devastanti: l’ esplosione provoca la formazione di una
colonna di gas, ceneri e lapilli che può raggiungere
decine di chilometri di altezza (durante l’ eruzione di
Pompei la colonna arrivò a circa 32 Km di altezza), e
che quando raggiunge una determinata densità,
collassa, provocando dei flussi che scendono a grande
velocità lungo le pendici dell’ edificio vulcanico, le
cosiddette FRODWHSLURFODVWLFKH o VXUJH nel caso in cui
la fase è principalmente gassosa.
Originariamente, il monte Somma raggiungeva i 2.000 m di quota, ma l’ attività
vulcanica e i suoi collassi hanno fatto si che almeno 40 Km³ dell’ edificio originale
siano andati perduti negli ultimi 25.000 anni; attualmente, le pareti della caldera del
Somma sono altamente irregolari, raggiungendo i 1.000-1.150 m. a Nord-Nordest e
500-700 m in direzione della costa.
Dal 79 d.C., il basamento della caldera è stato seppellito dai depositi piroclastici e
dalle colate laviche, e il suo centro ha formato le fondamenta di un cono alto 400 m e
con un’ ampiezza di base di circa 2 Km.
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Tra il 203 d.C. e il 1631, almeno dieci eruzioni di cui sette esplosive avvennero ad
intervalli di decenni o secoli; la più grande è stata quella del 472.
Dal 1631, un cono è stato costruito all’ interno della caldera, innalzandosi di circa 50
m. sopra il margine della caldera, è questo l’ edificio propriamente identificato come
Vesuvio, il quale rappresenta tutt’ ora il centro delle attività eruttive. Parzialmente
distrutto dall’ eruzione sub-Pliniana del 1631, il cono ha continuato a crescere,
raggiungendo l’ attuale altezza di 1281 m.
I CAMPI FLEGREI
I Campi Flegrei sono formati da un sistema vulcanico costituito da una serie di 19
crateri disposti secondo un allineamento Est-Ovest, ricoprendo un’ area di circa 65
Km².
La formazione di questa particolare morfologia, caratterizzata dalla presenza di
caldere (depressioni di forma circolare all’ interno delle quali si sono sviluppati più
coni vulcanici), è dovuta principalmente all’ avvenimento di due grandi eruzioni
avvenute circa 34.000 e 12.000 anni fa, le quali hanno permesso la formazione di
vasti depositi dell’ “Ignimbrite Campana” e del “Tufo Giallo Napoletano”. La prima
formazione affiora lungo i bordi di tutta la piana Campana, con spessori variabili da
20 a 60 m, ma la si può trovare anche fino agli Appennini a circa 1000 m di quota.
L’ Ignimbrite Campana,formata dal deposito di più flussi piroclastici, è costituita in
prevalenza da pomici e scorie nere, in parte schiacciate e deformate, inglobate in una
matrice di ceneri e cristalli; mentre il Tufo Giallo consiste in un vasto deposito
proveniente dai flussi piroclastici, che hanno modellato la zona occidentale di Napoli.
Nei Campi Flegrei, è in atto un particolare fenomeno chiamato %UDGLVLVPR,
consistente in un lento innalzamento o abbassamento del terreno, causato
fondamentalmente dai movimenti del magma che avvengono in profondità, e
dell’ interazione del magma stesso con il circuito idrotermale profondo della Piana
Campana.
CONCLUSIONI
Questa escursione ci ha permesso di osservare un altro esempio di area ad elevato
rischio ambientale, ma a quanto pare, il fascino della zona, ha attirato gli
insediamenti umani fino ad arrivare a costruire lungo le pendici del vulcano.
Oggi, il vulcano è sottoposto a continui controlli, e la zona acquisisce quindi una
maggiore sicurezza in termini di prevenzione e di previsione degli eventi, sono pronti
infatti anche diversi piani di evacuazione che potranno quindi limitare al minimo gli
effetti di un?eruzione, in termine di perdite di vite umane. Ma quello che noi ci siamo
chiesti, è se tutto ciò è sufficiente a far fronte ad un evento che può assumere
dimensioni impressionanti come potrebbe essere un eruzione di tipo Pliniano, i cui
effetti si sviluppano in pochi secondi.
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