IL MICROSCOPIO OTTICO DOWNLOAD Il pdf di questa lezione (microscopio2.pdf) è scaricabile dal sito http://www.ge.infn.it/∼calvini/fistrum/ 09/03/2011 Lo scopo di questi appunti è la descrizione dei principi fisici che sono alla base del funzionamento del microscopio ottico. Il microscopio ottico è uno strumento che di un oggetto fornisce un’immagine ingrandita. L’ottica geometrica dà una spiegazione sufficientemente accurata del modo con cui il microscopio ottico forma l’immagine ingrandita di un oggetto. Questa modalità di formazione dell’immagine è comune ad altri strumenti ottici. 2 OTTICA GEOMETRICA: LUCE E RAGGI Le onde elettromagnetiche sono oscillazioni del campo elettromagnetico che si propagano con una velocità che nel ∼ 2.998 · 10+8 m/s. vuoto assume il valore c = La luce rappresenta la parte visibile dello spettro delle onde elettromagnetiche. I valori di frequenza del visibile stanno tra 4.3 · 10+14 Hz e 7.5 · 10+14 Hz mentre si hanno (nel vuoto) valori di lunghezza d’onda tra 4 · 10−7 m e 7 · 10−7 m. L’ottica geometrica studia la propagazione della luce mediante il concetto di raggi, intesi come perpendicolari al fronte dell’onda elettromagnetica. Il concetto di raggio luminoso è intuitivo, ma per averne un’idea concreta, anche se approssimata, basta pensare all’effetto della luce che penetra da una piccola apertura in una stanza buia e polverosa. 3 La descrizione della propagazione della luce fornita dall’ottica geometrica è approssimata. Tuttavia l’approssimazione risulta tanto migliore quanto meglio sono rispettate le seguenti condizioni, dette condizioni di Gauss: 1) la luce si propaga in linea retta nei mezzi trasparenti, omogenei e isotropi; 2) la lunghezza d’onda della radiazione impiegata è piccola rispetto alle dimensioni lineari degli strumenti ottici; 3) se gli strumenti ottici (lenti, specchi) hanno superfici sferiche, la dimensione lineare della zona delle superfici investita dalla radiazione luminosa deve essere molto più piccola dei raggi di curvatura delle superfici; 4 4) i raggi che investono le superfici ottiche devono essere quasi paralleli all’asse ottico (raggi parassiali); 5) la radiazione deve essere monocromatica. Le condizioni 3, 4 e 5 non sono rispettate nei più comuni sistemi ottici. Basti pensare che di solito si usa luce bianca, la quale non è ovviamente monocromatica. Si hanno spesso aberrazioni di varia natura, per le quali risulta necessario escogitare compensazioni mediante opportuni accorgimenti costruttivi. 5 OTTICA GEOMETRICA: 2 LEGGI FONDAMENTALI Le leggi della riflessione e della rifrazione rappresentano le due leggi fondamentali dell’ottica geometrica. Nella figura 1-a è riprodotto un esperimento in cui un raggio di luce proveniente dall’aria incide sulla superficie piana di un oggetto di vetro: una parte del raggio viene riflessa all’indietro in aria ed una parte, quella rifratta, procede nel vetro con una direzione deviata rispetto all’originale. Nell’esperimento la visualizzazione dei raggi è stata eseguita mediante effetti di diffusione (nebbia nell’aria e particelle in sospensione nel vetro). 6 Nella figura 1-b l’esperimento viene schematizzato geometricamente: θ1 è l’angolo di incidenza, θ10 è l’angolo di riflessione e θ2 è l’angolo di rifrazione. Con le notazioni usate nella figura le leggi della riflessione e della rifrazione possono essere enunciate nel seguente modo: 1) il raggio incidente, quello riflesso e quello rifratto giacciono tutti nello stesso piano che contiene la normale; 2) l’angolo di incidenza e quello di riflessione sono uguali in base a θ10 = θ1 (legge della riflessione) ; (1) 7 3) tra l’angolo di incidenza θ1 e quello di rifrazione θ2 sussiste la relazione (legge della rifrazione) sin θ1 v1 = . sin θ2 v2 (2) dove v1 e v2 sono rispettivamente le velocità della luce nei mezzi 1 e 2 (vedi figura 1-b). Per un mezzo i (trasparente) si può definire l’indice di rifrazione (assoluto) ni come c ni = , vi (3) ossia come rapporto tra la velocità c della luce nel vuoto e la velocità vi della luce nel mezzo i. Con questa definizione la legge (2) può essere riscritta nella seguente forma n2 sin θ1 = . sin θ2 n1 (4) 8 Gli indici di rifrazione sono sempre maggiori dell’unità. Per il vuoto si ha ovviamente nvuoto = 1. I valori che l’indice di rifrazione di una sostanza assume dipendono dalla frequenza/lunghezza d’onda della luce usata (dispersione della luce). In questa trattazione si supporrà di avere a che fare con luce monocromatica (vedi condizioni di Gauss). Nella slide successiva (figura 2) si mostrano i valori degli indici di rifrazione di alcune sostanze per luce di lunghezza d’onda λ = 5.893 · 10−7 m (valore di λ nel vuoto, è la riga D del Na, frequenza f = 5.087 · 10+14 Hz). 9 10 LENTI SOTTILI Le lenti sono oggetti che servono a deviare in maniera controllata i raggi di luce. Sono perciò fatte con materiali trasparenti aventi indici di rifrazione diversi da quello dell’aria ed hanno due superfici di cui almeno una è curva. Ci si limiterà a considerare lenti sferiche, cioè lenti le cui facce sono calotte sferiche. Una delle due facce può essere anche piana (raggio di curvatura infinito). La retta congiungente i centri di curvatura delle due calotte sferiche è detta asse ottico. 11 Inoltre ci si limiterà a considerare solo le lenti sottili, tali cioè che il loro spessore lungo l’asse ottico risulti trascurabile rispetto ai raggi di curvatura in gioco. La trattazione geometrico-matematica delle lenti sottili è abbastanza semplice. In particolare il piano della lente può essere introdotto con l’assunzione che la lente giaccia in questo piano, che è perpendicolare all’asse ottico. Il punto intersezione tra l’asse ottico ed il piano della lente è detto centro della lente e verrà indicato nelle figure con O. Le proprietà ottiche delle lenti sottili sono simmetriche rispetto al piano della lente. Nella slide successiva (figura 3) sono riprodotte le sezioni di alcuni tipi di lenti. 12 13 LENTI CONVERGENTI Le lenti convergenti trasformano un fascio di raggi paralleli all’asse ottico in un fascio di raggi che convergono verso l’asse ottico e lo intersecano in un punto chiamato fuoco. Le lenti divergenti non verranno trattate in questi appunti. La distanza del fuoco dal piano della lente viene indicata con f ed è detta distanza focale. Ogni lente ha due fuochi ed un’unica distanza focale in quanto i due fuochi sono disposti simmetricamente rispetto al piano della lente e ne sono equidistanti. 14 La distanza focale f dipende dal materiale di cui è fatta la lente, dal mezzo in cui essa è immersa e dai raggi di curvatura delle superfici della lente secondo l’equazione detta dei fabbricanti di lenti 1 n2 − n1 1 1 = − , (5) f n1 R1 R2 dove n1 ed n2 sono rispettivamente gli indici di rifrazione del mezzo in cui è immersa la lente e di quello del materiale di cui la lente è fatta. Le quantità (con segno) R1 ed R2 sono i raggi di curvatura relativi rispettivamente alle facce anteriore e posteriore della lente (... rispetto alla direzione di arrivo dei raggi). Il loro segno viene stabilito in accordo con la seguente convenzione che è la stessa usata per i diottri sferici: 15 un raggio di curvatura viene considerato positivo quando il corrispondente centro di curvatura risulta “a valle” rispetto alla direzione di arrivo dei raggi luminosi e negativo se il centro di curvatura si trova “a monte”. Pertanto le distanze focali possono essere tanto positive quanto negative. Però nel caso delle lenti convergenti sono sempre positive. In particolare, nel caso di lente convergente biconvessa la (5) dà due contributi positivi in quanto R2 è negativo. Nel caso di lente con faccia piana, il corrispondente contributo nella (5) è nullo in quanto si ha un raggio di curvatura infinito. 16 LENTI SOTTILI: COSTRUZIONE IMMAGINE Se le condizioni di Gauss vengono rispettate, una lente sottile fa corrispondere a punti luminosi posti su di un piano perpendicolare all’asse ottico punti immagine posti su un altro piano pure perpendicolare all’asse ottico (ortoscopia della lente). I due piani sono detti piani coniugati. La costruzione geometrica dell’immagine viene eseguita in base alle 3 seguenti regole: a) i raggi che passano per il centro della lente (O), definito come l’intersezione del piano della lente con l’asse ottico, non vengono deviati; b) i raggi paralleli all’asse ottico sono deviati dalla lente in modo tale da passare per il fuoco “a valle”; 17 c) proseguono paralleli all’asse della lente i raggi tali che essi o i loro prolungamenti all’indietro hanno attraversato il fuoco “a monte”. Due sole rette sono necessarie per localizzare la posizione di un punto immagine. Pertanto delle 3 regole enunciate, 2 sole bastano. L’uso della terza può servire per controllo. Nella figura 5 si mostra come una lente convergente forma l’immagine di una candela. 18 Nella figura 6 della slide successiva viene mostrata la costruzione dell’immagine A’B’ che una lente convergente forma dell’oggetto AB. Il piano della lente (perpendicolare al foglio ed indicato con linea tratteggiata) divide lo spazio in due semi-spazi. Quello a sinistra, che contiene l’oggetto, è detto spazio oggetto, l’altro è chiamato spazio immagine. Nella figura p rappresenta la distanza dell’oggetto dal piano della lente e q dà la distanza dell’immagine pure dal piano della lente. Un eventuale valore negativo per q va interpretato come immagine posizionata nello spazio oggetto. 19 20 Tra p, q e la distanza focale f della lente vale la seguente relazione, detta equazione dei punti coniugati, 1 1 1 + = , p q f (6) la quale tipicamente viene utilizzata per ricavare q, noti p ed f . Nel caso descritto nella figura 6 i valori di p, q ed f sono positivi. Si osservi che le linee che determinano la posizione dell’immagine seguono il percorso dei raggi reali. Questo vuol dire che, se si mette uno schermo in corrispondenza del piano che contiene A’B’, si può osservare l’immagine sullo schermo. Se al posto dello schermo ci fosse una pellicola fotografica, questa rimarrebbe impressionata. 21 In questa configurazione geometrica la lente convergente dà di AB un’immagine reale in quanto formata dall’incrocio dei raggi luminosi veri e propri. Questo fatto è collegato con la positività di q e quindi con l’essere A’B’ nello spazio immagine. Si ha concentrazione di energia luminosa in corrispondenza di un’immagine reale. Si vedrà in seguito che, quando q è negativo, si ha la formazione di un’immagine virtuale posizionata nello spazio oggetto. L’immagine virtuale è formata dal prolungamento all’indietro dei raggi luminosi e nella sua posizione non si ha concentrazione di energia luminosa. 22 INGRANDIMENTO LINEARE Si definisce ingrandimento lineare (o trasversale) M di una lente il seguente rapporto f q−f q =− , M =− =− p p−f f (7) che, in base alla similitudine dei triangoli ABO e A’B’O 0 0 della figura 6, eguaglia in valore assoluto il rapporto A B tra AB l’altezza dell’immagine e l’altezza dell’oggetto. Per ricavare la seconda e terza uguaglianza serve la (6). La quantità M può essere sia positiva che negativa: ad un valore positivo per q corrisponde un valore negativo per M (immagine reale capovolta) mentre ad un valore negativo per q corrisponde un valore positivo per M (immagine virtuale diritta). 23 MICROSCOPIO SEMPLICE Si usa una lente convergente come microscopio semplice se si colloca tra fuoco e lente l’oggetto di cui si desidera un’immagine ingrandita. La lente cosı̀ impiegata funge da lente di ingrandimento. Eseguendo la costruzione grafica (figura 7), si ottiene un’immagine virtuale diritta nello spazio oggetto. Con f > p ≥ 0 il calcolo dà q < 0 e in base alla (7) si ottiene M ≥ 1. L’immagine virtuale, formata dal prolungamento all’indietro dei raggi luminosi, è vista più grande dall’occhio dell’osservatore, ma più lontana e dove non è. 24 OCCHIO E CAMERA OSCURA È un dato di fatto che una lente convergente usata come lente di ingrandimento “fa vedere un oggetto più grande”. La quantificazione “di quanto più grande” necessita di alcune considerazioni sul funzionamento dell’occhio e porta all’introduzione del concetto di ingrandimento visuale, anche detto ingrandimento angolare. Dal punto di vista ottico l’occhio degli animali superiori è una camera di forma grosso modo sferica formata da una parete opaca in cui si trova un’apertura. L’apertura è occupata da una lente (cristallino) munita di diaframma (l’iride). L’immagine si forma sulla retina, che è situata sulla calotta sferica opposta all’apertura anteriore. 25 La retina è l’equivalente della lastra fotografica o, meglio, del sistema di sensori delle macchine fotografiche digitali. La retina è composta da cellule fotosensibili (coni e bastoncelli) che trasformano il segnale luminoso in segnale bioelettrico e lo inviano al cervello, il quale lo interpreta come immagine(∗). Il principio base del funzionamento dell’occhio è lo stesso della macchina fotografica e della camera oscura. Quest’ultima è semplicemente una camera a pareti opache con una sola piccola apertura (foro stenopeico) presente in una parete. I raggi provenienti da un oggetto ed entranti nella camera attraverso l’apertura formano sulla parete opposta della camera un’immagine reale capovolta dell’oggetto. (∗) vedere il sito http://web.tiscali.it/no-redirect-tiscali/mineman/didattica/did2000/Fisica4/ottica 26 La nitidezza e la luminosità dell’immagine dipendono dalle dimensioni dell’apertura. Sino a quando sono rispettate le condizioni dell’ottica geometrica, ossia dimensioni lineari dell’apertura molto maggiori della lunghezza d’onda della luce usata, quanto più piccola è l’apertura, tanto più nitida, ma meno luminosa, risulta l’immagine. Infatti, come si vede in figura, da uno stesso punto dell’oggetto partono più raggi che attraversano il foro ed incontrano la parete in punti diversi. Un punto luminoso viene trasformato in una estesa zona luminosa, la cui dimensione può essere ridotta restringendo il diametro del foro stenopeico. 27 Infatti, restringendo il diametro del foro si restringe la dimensione trasversale del fascio di raggi che, originati da uno stesso punto, riescono ad attraversare l’apertura. Cosı̀ facendo si rende l’immagine più nitida, ma meno luminosa. Per avere immagini nitide e luminose allo stesso tempo, si pone, al posto dell’apertura, una lente convergente che aumenta il numero di raggi che, originati da ogni punto dell’oggetto, entrano nella camera e convergono nel punto corrispondente dell’immagine. Lo scotto da pagare per questa soluzione consiste nel fatto che la lente, per la legge dei punti coniugati, forma un’immagine nitida solo ad una distanza q che dipende dalla sua distanza focale f e dalla distanza p dell’oggetto dal piano della lente. 28 Perciò lo schermo dove si forma l’immagine non può essere posto a una distanza qualsiasi dall’apertura dove è situata la lente. Se la lente ha distanza focale fissa si deve cambiare la distanza dello schermo dalla lente a seconda dei valori di p, che individuano la posizione dell’oggetto. Questo è il caso delle macchine fotografiche. L’operazione di “messa a fuoco” consiste proprio nel regolare la distanza tra la lente e la pellicola affinché questa venga a coincidere con la posizione del piano immagine quale è definita dalla legge dei punti coniugati. Nell’occhio invece la messa a fuoco avviene attraverso l’adattamento della distanza focale della lente (cristallino). Infatti appositi muscoli (muscoli ciliari) cambiano i raggi di curvatura delle superfici del cristallino (accomodamento). 29 INGRANDIMENTO VISUALE Nella figura 9 viene illustrata la geometria della formazione dell’immagine sulla retina. L’oggetto AB è posto alla distanza d dall’occhio. L’immagine MN reale e capovolta si forma sulla retina, alla distanza δ dal cristallino. L’elaborazione cerebrale fa percepire MN come diritta. I raggi AM e BN non sono deviati in quanto passano per il centro O della lente cristallino e formano l’angolo 2ω, che rappresenta l’angolo di visuale. 30 Infatti, quando si osserva l’oggetto AB ad occhio nudo, le sue dimensioni apparenti sono in relazione alle dimensioni dell’immagine MN che si forma sulla retina e all’angolo di visuale 2ω sotto il quale l’oggetto è visto dall’occhio. In base alla relazione, valida per piccoli angoli di visuale, δ ∼ ∼ M N = 2ω δ = AB d (8) la dimensione M N , che quantifica il numero di recettori della retina impegnati nella visione di AB, può essere aumentata riducendo d mediante l’avvicinamento di AB all’occhio e sfruttando la capacità di accomodamento del cristallino. Però le capacità di accomodamento sono limitate e si assume come minima distanza per la visione distinta il valore d◦ = 25 cm = 0.25 m (distanza del punto prossimo). 31 L’acuità visiva dell’occhio umano è definita come il minimo angolo tra due punti che l’occhio riesce ancora a vedere come distinti. Come valore di riferimento si prende αmin = ◦ 1 0 1 = 60 , valore che, convertito in radianti, diventa αmin = 1 ◦ 2π rad ∼ 2.9 · 10−4 rad. In un oggetto posto alla di= 60 360◦ stanza d◦ dall’occhio un osservatore riuscirà a distinguere dettagli distanti almeno ∼ 75 µm . dmin = d◦ αmin = 2.9 · 10−4 · 0.25 m = (9) I limiti della visione ad occhio nudo sono dati dalla densità foveale di recettori retinici. Lo scopo dei microscopi consiste nel presentare all’occhio immagini ingrandite dove i dettagli da osservare risultino distanziati linearmente almeno al valore dato dalla (9) (o angolarmente oltre 3 · 10−4 rad). 32 Se si dà all’occhio un qualche strumento per aumentare l’angolo di visuale di un oggetto rispetto a quanto ottenibile ad occhio nudo, si definisce come ingrandimento visuale o ingrandimento angolare Iv fornito dallo strumento il rapporto 2ω 0 M 0N 0 Iv = = 2ω◦ (M N )◦ (10) tra l’angolo di visuale 2ω 0 ottenuto con l’ausilio ottico ed il miglior angolo di visuale 2ω◦ ottenibile ad occhio nudo. L’ingrandimento Iv è anche uguale al rapporto tra le dimensioni delle immagini sulla retina nelle due situazione corrispondenti. 33 MICROSCOPIO SEMPLICE L’interposizione di una lente convergente di piccola distanza focale f (microscopio semplice o lente di ingrandimento) tra occhio ed oggetto è in grado di produrre un buon valore per Iv . 34 L’oggetto AB posto tra il fuoco F1 e la lente produce un’immagine diritta virtuale A’B’ che viene vista dall’occhio sotto l’angolo 2ω 0. Se AB è molto vicino a F1, l’immagine virtuale A’B’ è molto lontana, le due rette B’O” e B’O’ sono quasi ∼ AB . Con queste parallele e si può approssimare ω 0 con ω 00 = 2 f approssimazioni il calcolo dell’ingrandimento angolare Iv dà 2ω 0 ∼ 2ω 00 ∼ AB d◦ d◦ Iv = = . = = 2ω◦ 2ω◦ f AB f (11) In queste condizioni si può scrivere per l’ingrandimento angolare ottenibile da una lente convergente di distanza focale f l’espressione d◦ 0.25 m P Iv = = = , f f 4 D (12) 35 dove P = f −1 è detto potere diottrico o potenza di una lente e viene misurato in diottrie = D = m−1. Pertanto una lente con potere diottrico P = 12 D produce un ingrandimento visuale Iv = 3 X. Dalla (12) è evidente che l’ingrandimento visuale offerto dalla lente di ingrandimento risulta inversamente proporzionale alla sua lunghezza focale e in linea di principio non ci sono limiti all’ingrandimento ottenibile purché si utilizzino lenti con distanze focali abbastanza piccole. Tuttavia l’impiego di siffatte lenti pone diversi problemi di costruzione e di uso e si preferisce usare il microscopio composto. 36 MICROSCOPIO COMPOSTO Con il termine microscopio usualmente si vuole indicare il microscopio composto, il cui schema ottico è mostrato nella figura 11. Il microscopio composto è formato da due lenti convergenti: la prima, quella più vicina all’oggetto da esaminare, ne forma un’immagine reale capovolta e viene chiamata obiettivo, mentre la seconda, quella più vicina all’occhio del microscopista, viene chiamata oculare e forma un’immagine virtuale ingrandita della precedente immagine reale, con la quale condivide l’orientamento. L’occhio vede l’immagine virtuale, la quale risulta capovolta (= ruotata di 180◦) rispetto all’oggetto da esaminare. 37 Il disegno non è in scala con un vero microscopio. Per ragioni grafiche la lunghezza del tiraggio s è stata disegnata molto ridotta. 38 Come si vede nella figura 11, l’obiettivo forma dell’oggetto AB l’immagine reale capovolta A’B’, la quale a sua volta costituisce l’oggetto per l’oculare. La distanza tra obiettivo e oculare è regolata in modo che l’immagine A’B’ si formi tra il fuoco dell’oculare e lo stesso oculare, il quale funziona da lente di ingrandimento formando l’immagine virtuale A”B” di A’B’. In definitiva il microscopio composto funziona in maniera analoga al microscopio semplice, formando un’immagine virtuale e ingrandita dell’oggetto che si vuole esaminare. Sulla base del modo di funzionare del microscopio composto si può scrivere l’espressione per il suo ingrandimento visuale Iv come segue 39 d◦ 0.25 m Iv = |Mob| = |Mob| , foc foc (13) dove il rapporto rappresenta l’ingrandimento angolare dell’oculare ottenuto in base alla (11), mentre il fattore Mob è l’ingrandimento lineare dovuto all’obiettivo. Infatti l’oculare guarda un’immagine reale ingrandita proprio di questo fattore, il quale in base alla (7) può essere espresso come qob . |Mob| = pob (14) Nelle normali condizioni operative (vedi la figura 11) si ha ∼ f e q = ∼ s, dove con s si indica il tiraggio, che è la pob = ob ob distanza tra il fuoco dell’obiettivo ed il fuoco dell’oculare. 40 Finalmente si arriva a scrivere per l’ingrandimento visuale Iv del microscopio composto l’espressione s d◦ s Pob Poc Iv = = . fob foc 4 D (15) Si vede che l’ingrandimento visuale cresce con il tiraggio s. Negli strumenti moderni, adatti ad alti ingrandimenti, si ha ∼ 16 cm, f può essere di qualche milper il tiraggio s = ob limetro (es. fob ∼ 0.5 cm) e foc di qualche centimetro (es. foc ∼ 2.5 cm). Da questi valori derivano per l’ingrandimento visuale numeri dell’ordine di circa 300 X −400 X. Nei microscopi da dissezione o stereomicroscopi, usati nei laboratori per manipolare piccoli campioni e che devono avere un largo campo visivo e grandi distanze di lavoro (grande fob), gli ingrandimenti di solito non superano i 20 X − 30 X. 41