Agenzia SIR – SERVIZIO INFORMAZIONE RELIGIOSA
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Progetto IdR e NEWS
venerdì 17 gennaio 2014 (n. 3)
Tema: ESSERE LIEVITO DI FRATERNITÀ
SETTIMANA DI PREGHIERA PER L’UNITÀ DEI CRISTIANI (18-25 GENNAIO)
NOTIZIE
Perugia è pronta a onorare la “Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani”. Dal 18 al 25 gennaio la città umbra si
concentrerà sul tema dello stare “Insieme”, seguendo il programma redatto per la prima volta dal Consiglio delle
Chiese Cristiane istituito lo scorso 11 novembre e comprendente la Chiesa cattolica, la Chiesa ortodossa romena, la
Chiesa ortodossa russa, la Chiesa evangelica valdese e la Chiesa degli Avventisti del settimo giorno. L’inizio
dell’ottavario sarà preceduto domani, alla ore 17, dalla “Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra
cattolici ed ebrei”, che si svolgerà nel Centro ecumenico e universitario “San Martino”. Ogni giorno, durante le
celebrazioni ecumeniche che si svolgeranno nel tardo pomeriggio in differenti luoghi cittadini, si cercherà di cogliere
un aspetto differente dell’unione tra i cristiani. Atto finale della settimana sarà la celebrazione eucaristica presieduta
dall’arcivescovo di Perugia, monsignor Gualtiero Bassetti, di cui proprio domenica scorsa è stata annunciata la
creazione a cardinale da Papa Francesco.
(da Sir Attualità, 15 gennaio 2014)
Un appello perché tutte le 115 Chiese che aderiscono alla Conferenza delle Chiese europee (Kek) si uniscano alla
Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani che come ogni anno si celebra dal 18 al 25 gennaio. A lanciarlo è la Kek
che in un comunicato diffuso oggi rilancia a questo proposito una dichiarazione del suo segretario generale Guy Liagre.
“Pregare insieme per l’unità della Chiesa è il modo più forte che le nostre 115 Chiese membro hanno per mostrare il
loro spirito ecumenico. Ecco perché noi le invitiamo a partecipare alla Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani”.
“Cristo non può essere diviso!”: è questa affermazione tratta dalle lettere dell’apostolo Paolo ai Corinzi ad essere stata
scelta quest’anno come tema di meditazione e riflessione per la Settimana di preghiera. E a redigere quest’anno il
testo di preparazione alla Settimana - congiuntamente pubblicato poi dal Pontificio Consiglio per la promozione
dell’unità dei cristiani e del Consiglio ecumenico delle Chiese attraverso la sua Commissione fede e costituzione - è
stato un gruppo di rappresentanti di diverse regioni del Canada. “Consideriamo l’affermazione categorica di Paolo
‘Cristo non può essere diviso!’ come un pressante invito alla preghiera e a un esame di coscienza come cristiani singoli
e in comunità”.
(da Sir Attualità, 9 gennaio 2014)
APPROFONDIMENTI
- Cristo non può essere diviso
“Riconoscere i doni degli uni e degli altri” in un’Italia in cui le “diversità” sono “troppo spesso misconosciute e non
valorizzate”. È questo il messaggio che i leader delle Chiese cristiane presenti in Italia rivolgono al nostro Paese in
occasione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Come ogni anno, la Settimana si celebra dal 18 al 25
gennaio con una miriade di iniziative di dialogo, incontri, veglie e tavole rotonde che in questo periodo
attraverseranno l’Italia. Il tema quest’anno è tratto dalla prima Lettera dell’apostolo Paolo ai Corinzi: “Cristo non può
essere diviso!”. E i leader cristiani affermano: “Divisi nel nome di Cristo: questo è il paradosso e lo scandalo della
nostra vita cristiana”, per questo il tema scelto “è un ammonimento che riceviamo”. A sottoscrivere il messaggio sono
il vescovo Mansueto Bianchi, presidente della Commissione per l’ecumenismo e il dialogo della Cei, il pastore Massimo
Aquilante, presidente della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, e il metropolita Gennadios, arcivescovo
ortodosso d’Italia e di Malta ed esarca per l’Europa meridionale (Patriarcato ecumenico).
“Non si è Chiesa da soli - osservano -, ma nella comunione di tutti coloro che confessano il nome di Gesù. Riconoscere
i doni gli uni degli altri significa per noi oggi innanzitutto, riconoscere i doni della grazia elargiti con generosità
all’intero popolo di Dio, pur nelle sue diversità”. Nel messaggio i leader cristiani si soffermano alla situazione specifica
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italiana: “Pensiamo per esempio all’arrivo di migranti da ogni parte del mondo e, soprattutto, da quel Sud del mondo
nel quale oggi vive la maggioranza dei cristiani. Pensiamo alle chiese di migranti che si formano sul nostro territorio.
Pensiamo alla presenza di altre religioni giunte ad allargare i nostri confini culturali e perfino spirituali. Pensiamo
all’esigenza di libertà e di dialogo che una società multiculturale sempre più richiede. Sia anche questo l’orizzonte
ecumenico della nostra ricerca di unità, rafforzata dalla nostra continua e fervida preghiera di fraternità”.
(da Sir Attualità, 14 gennaio 2014)
- Le porte sono aperte tra ebrei e cristiani. E nelle chiese italiane
Prenderà il via a breve nel nostro Paese una settimana intensa di dialogo: ebrei e cattolici prima, le diverse Chiese
cristiane subito dopo, apriranno le porte delle loro comunità per conoscersi, confrontarsi su temi di attualità, guardare
insieme al Paese. Una miriade di iniziative - incontri, veglie e tavole rotonde - attraverseranno quest’anno l’Italia
gettando un po’ ovunque, su un territorio messo duramente alla prova, un lievito di comunione e di fraternità. Si parte
giovedì 16 gennaio con la celebrazione della XVIII Giornata per l’approfondimento del dialogo tra cattolici ed ebrei.
Istituita in Italia nel 1989, la Giornata del 2014 sarebbe venuta a cadere venerdì 17 gennaio, alla vigilia della Settimana
di preghiera per l’unità dei cristiani, cioè nel giorno in cui, nel pomeriggio/sera, gli ebrei avrebbero accolto il Sabato.
Questo avrebbe pregiudicato la loro partecipazione alle eventuali iniziative comuni organizzate per la Giornata.
Pertanto - di comune accordo con le autorità religiose del mondo ebraico italiano - la data è stata spostata a giovedì
16 gennaio 2014. Il 18 gennaio parte invece la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani che fino al 25 gennaio
richiamerà le comunità cristiane a riflettere sul tema tratto quest’anno dalla prima Lettera dell’apostolo Paolo ai
Corinzi: “Cristo non può essere diviso!”.
Con gli ebrei, l’Ottava Parola “Non ruberai”. “Dio allora pronunciò tutte queste parole: Non ruberai” (Esodo 20,1.15).
All’Ottava Parola del Decalogo è dedicata la XVIII Giornata per l’approfondimento del dialogo tra cattolici ed ebrei. A
presentare il tema sono il vescovo Mansueto Bianchi, presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il
dialogo e il rabbino Elia Enrico Richetti, presidente dell’Assemblea dei rabbini d’Italia. In un messaggio congiunto il
vescovo e il rabbino invitano a riflettere sulle “amplissime conseguenze per l’etica personale e pubblica” che derivano
dall’attuazione del comandamento “non rubare” e osservano: “La Scrittura in effetti dà larghissimo spazio agli
insegnamenti che mirano a orientare tutta l’azione umana sulla via della rettitudine e dell’onestà, con un
comportamento ispirato in modo armonico alla giustizia e alla carità”. Un ricco sussidio è stato preparato in vista della
celebrazione della Giornata. Vengono affrontati molti temi dalla giustizia alla misericordia: “Ciascun uomo e donna e
l’umanità nel suo insieme sono corresponsabili del benessere collettivo e sociale e dell’equilibrio ecologico globale in
virtù di un vincolo di solidarietà che risale al piano originario dell’amorevole Padre di tutti”. Lo sguardo delle comunità
di fede è rivolto alle categorie “più deboli e sfortunate, come lo straniero, l’orfano, la vedova, il levita, il malato”. Sono
e devono essere loro “i primi destinatari di questa benevolenza generosa” secondo la logica della “reciprocità e della
compassione”.
Unità dei cristiani: essere lievito di fraternità. A un altro tema particolarmente “caldo” per il nostro Paese è dedicato
il messaggio che quest’anno i leader delle Chiese cristiane rivolgono alle comunità italiane per la Settimana di
preghiera per l’unità dei cristiani: il tema della multiculturalità. In un messaggio congiunto dedicato al tema della
Settimana, il vescovo cattolico Mansueto Bianchi, il pastore Massimo Aquilante e il metropolita ortodosso Gennadios
(Patriarcato ecumenico) invitano a “riconoscere i doni degli uni e degli altri”. Poi soffermandosi sul contesto italiano, i
leader cristiani osservano come le “diversità” presenti in una società sempre più multiculturale come quella italiana
sono “troppo spesso misconosciute e non valorizzate”. Ed aggiungono: “Pensiamo per esempio all’arrivo di migranti
da ogni parte del mondo e, soprattutto, da quel Sud del mondo nel quale oggi vive la maggioranza dei cristiani.
Pensiamo alle chiese di migranti che si formano sul nostro territorio. Pensiamo alla presenza di altre religioni giunte ad
allargare i nostri confini culturali e perfino spirituali. Pensiamo all’esigenza di libertà e di dialogo che una società
multiculturale sempre più richiede. Sia anche questo l’orizzonte ecumenico della nostra ricerca di unità, rafforzata
dalla nostra continua e fervida preghiera di fraternità”.
(Maria Chiara Biagioni - Sir Attualità, 11 gennaio 2014)
- La via cristologica dell’ecumenismo
Il tema della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani - “Cristo non può essere diviso!” (1 Cor 1,1-17) - ci riporta
all’origine delle divisioni e segna come il punto di partenza di una storia aperta e mai conclusa. Già in epoca apostolica
nella comunità, pur piccola e piena di carismi, la comunità di Corinto, si trova annidata la tentazione della divisione.
Questa, come spiega Paolo, è dovuta al fatto che alcuni cristiani hanno scelto come loro capo un personaggio diverso
da Cristo. La mancanza di centralità riconosciuta a Gesù, l’unico Salvatore e Signore, l’unico che è stato crocifisso per
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la salvezza, sta all’origine della divisione. In questa vicenda raccontata da Paolo troviamo, oltre alla dura denuncia
della formazione di “partiti” separati e in contrasto tra loro, anche la via per ricomporre l’unione della comunità:
riportare al centro Cristo.
Potremmo chiamarla la via cristologia dell’ecumenismo, prendendo atto e rimarcando la differenza tra il Cristo e i suoi
apostoli, tra Cristo e la comunità dei discepoli, tra il regno e la Chiesa. Se, da una parte, Gesù ha voluto identificarsi
con i suoi apostoli: “Chi ascolta voi ascolta me”, per il Verbo che annunziano, e con questo ha deciso di legare la sorte
della fede e della salvezza al ministero dei suoi “inviati”, dall’altra parte, ha ammonito di non farsi padroni del gregge,
di non porsi al di sopra dei fedeli, ma accanto ad essi come loro servitori: “Chi vuol essere il primo sia l’ultimo”, “Non
fatevi chiamare maestri, uno solo è il vostro maestro”.
La storia delle divisioni, che ha indubbiamente molte cause, seguendo le indicazioni della lettera di Paolo, trova la sua
principale origine, quando al posto di Cristo si pongono personaggi o ideologie altre da Lui e dal suo Vangelo, quando
la parola di questi personaggi sovrasta quella del Vangelo. L’apostolo per avere il mandato da Cristo deve confessare
come Pietro “Tu sei il Cristo” e come Tommaso “Signore mio e Dio mio”. È bello pensare che a imitazione
dell’adorazione dei Magi - proskinesis - e la loro offerta di doni di cui si è fatta memoria nei giorni di Natale tutti i
discepoli, pur sparsi nel mondo, facciano esperienza anche emotiva di una profonda unione nella concorde
confessione di fede al di sopra d’ogni altra vicendevole diversificazione. La Settimana di preghiera nella sua lunga
storia ha superato la tentazione dell’ecclesiocentrismo - la Chiesa come centro e criterio normativo di fede per tutti per cui si proponeva di diventare tutti cattolici o tutti ortodossi o tutti evangelici, e ha intrapreso la strada della
comune convergenza a Cristo, affidandosi alla preghiera e alla conversione del cuore (Paul Couturier).
Il tema e la struttura della preghiera per la Settimana di quest’anno sono stati preparati da un gruppo misto di cristiani
del Canada, un Paese lontano da Roma, da Costantinopoli e da Ginevra, a indicare l’universalità della Chiesa. Le
iniziative comuni che si attivano costituiscono il segno d’unità già esistente, perché al centro è posto il Cristo e la sua
Parola, la realtà più importante e decisiva di unione rispetto a tutto il resto. Si dovrà ricordare e prendere atto, a tale
proposito, che se un tempo, quando il mondo era formato da una cultura almeno formalmente considerata cristiana,
era consentito discutere anche animatamente sulle differenze tra Confessioni cristiane in competizione e forte
dialettica dottrinale, oggi in una società globalizzata e secolarizzata e con migliaia d’offerte religiose sul mercato del
sacro è molto richiesta per la credibilità ed efficacia della missione evangelica la testimonianza d’unione, fraternità,
amore e condivisione di vita. Dovrebbero poter dire tutti quelli che vengono a contatto con i cristiani: “I cristiani, vedi
come si amano!”.
Il nuovo santo gesuita Favre, come si legge nel n. 3924 de “La Civiltà cattolica” (p. 551-556), già al tempo della
Riforma, trovandosi in Germania negli anni Quaranta del ‘500 riteneva che la divisione era determinata da cattiva
condotta dei cristiani e che poteva essere superata dal riconoscimento di ciò che abbiamo in comune - “le cose che
sono comuni a noi e a loro” (“Nobis et ipsis sint communes”). Intuizione di un santo, ancora del tutto attuale.
(Elio Bromuri - Sir Attualità, 14 gennaio 2014)
- È arrivata l’ora di ritrovarsi allo stesso altare
Papa Francesco è stato la grande “novità” del 2013. E “dal punto di vista ecumenico il suo pontificato è cominciato
subito molto bene. Alla festa dell’inaugurazione tutti i rappresentanti delle Chiese erano presenti. C’era anche il
Patriarca ecumenico di Costantinopoli ed era la prima volta nella storia che un Patriarca fosse presente
all’inaugurazione di un nuovo pontificato”. Dunque, racconta il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio
per l’unità dei cristiani, quest’anno il bilancio ecumenico - grazie anche a Francesco - conquista un vistoso segno “più”.
“Dal punto di vista di contenuto - aggiunge subito il cardinale - credo che ci sia una grande continuità tra Benedetto
XVI e Francesco perché entrambi hanno un cuore grande per l’ecumenismo”.
A proposito di contenuti, nell’Esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” Papa Francesco tocca punti molto
importanti come la collegialità e il primato del Pontefice. Come sono state recepite queste aperture?
“Le reazioni all’Esortazione apostolica che ho ricevuto dai rappresentanti di altre Chiese sono bellissime. Sono rimasti
molto toccati, apprezzando soprattutto il fatto che questa Esortazione esprime una visione comune. Nel paragrafo
riservato al dialogo ecumenico, si avverte come i cattolici possono imparare dalle altre Chiese. Il Santo Padre cita
come esempio di sinodalità la Chiesa ortodossa. E nella mia recente visita, il Patriarca di Mosca ha menzionato proprio
questo punto”.
Cinquant’anni fa l’abbraccio tra Paolo VI e il Patriarca Athenagora. Sembrava l’inizio di una storia nuova. Poi cosa è
successo?
“È stato un grande evento: i capi della Chiesa ortodossa e della Chiesa cattolica si incontravano dopo mille anni di
separazione a Gerusalemme. Questo incontro provocò un altro grande evento e, cioè, la fine della scomunica sancita
insieme nel 1965 dalle due Chiese nella cattedrale del Fanar a Costantinopoli e a San Pietro a Roma. Finì così l’era della
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scomunica e si aprì l’era della comunione. In questo senso l’incontro di Gerusalemme sancì l’inizio del dialogo della
carità e della verità”.
Per commemorarlo il 25 maggio il Papa e il Patriarca Bartolomeo si sono dati appuntamento a Gerusalemme. Che
cosa ci si attende da questo incontro?
“È in primo luogo un atto di commemorazione di questi 50 anni e spero che questo incontro possa far ritrovare la
passione per l’unità che era presente al tempo di Paolo VI e Athenagora. Se leggo oggi i testi raccolti nel Tomos Agapis,
emerge la passione per l’unità. Athenagora dice: ‘L’ora è arrivata’. L’ora di ritrovarci allo stesso altare. Mi sembra che
questa passione di ritrovare la comunione ecclesiale ed eucaristica, debba essere approfondita e rivitalizzata”.
Ci sarà una dichiarazione comune?
“Quale sarà il contenuto della dichiarazione è una cosa che Papa Francesco e il Patriarca devono ancora vedere per
capire cosa dire in comune al mondo e alla Chiesa. Questo incontro vuole essere un passo del viaggio da compiere per
il futuro”.
Lei ha incontrato il Patriarca Kirill. Avete parlato anche di un eventuale incontro con il Papa?
“Sì, abbiamo parlato di un eventuale incontro tra il Santo Padre e il Patriarca Kirill ma il metropolita Hilarion ha sempre
sottolineato quanto più della data sia importante la preparazione perché sarebbe la prima volta nella storia delle
relazioni tra Mosca e Roma che un Patriarca della Chiesa ortodossa russa e un Papa di Roma si incontrano. È quindi
necessario preparare bene che cosa vogliono fare e dire e questo fa parte di una fase preparatoria”.
Mosca, Costantinopoli, Roma. Io sono di Paolo. Io sono di Pietro. Il tema dell’imminente Settimana di preghiera per
l’unità dei cristiani (18-25 gennaio) è “Cristo non può essere diviso”. Quale passo in avanti è chiesto alle singole
Chiese?
“Penso che sia necessario prendere sul serio la consapevolezza che Cristo non può essere diviso. Il fondamento di
tutto l’impegno ecumenico è la preghiera sacerdotale di Gesù che dice che l’unità tra i discepoli di Cristo è la volontà
del Signore e noi tutti che veniamo da Paolo, Pietro e Andrea abbiamo il compito e la responsabilità di ascoltare la
volontà di Gesù e ritrovare questa unità. Paolo, Pietro e Andrea erano sicuramente persone diverse, con carismi
diversi ma tutti erano amici di Cristo”.
Non le sembra un paradosso che proprio il primato del Papa sia pietra di divisione?
“Lo disse già Paolo VI che il primato è l’ostacolo più profondo dell’ecumenismo. Ma questo è solo un lato della
questione: l’altro è che il primato è una grande opportunità per l’ecumenismo. Prendiamo, per esempio, i tre incontri
di Assisi che hanno indetto Giovanni Paolo II e Benedetto XVI: chi poteva invitare tutte le Chiese, e le altre religioni se
non il Papa di Roma? Giovanni Paolo II ha scritto nel libro ‘Varcare la soglia della speranza’ che il ministero di Pietro è
un ministero di unità e ha un senso profondo per l’ecumenismo. Tutti i Papi dopo il Concilio Vaticano II, da Paolo VI a
Francesco, sono Papi ecumenici che vogliono l’unità e in questo senso il loro primato non solo non è un ostacolo ma è
anche un grande ponte per l’ecumenismo”.
(Maria Chiara Biagioni - Sir Attualità, 14 gennaio 2014)
DOCUMENTI
La data tradizionale per la celebrazione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, nell’emisfero nord, va dal
18 al 25 gennaio, data proposta nel 1908 da padre Paul Wattson, perché compresa tra la festa della cattedra di san
Pietro e quella della conversione di san Paolo; assume quindi un significato simbolico. Nell’emisfero sud, in cui gennaio
è periodo di vacanza, le chiese celebrano la Settimana di preghiera in altre date, per esempio nel tempo di Pentecoste
(come suggerito dal movimento Fede e Costituzione nel 1926), periodo altrettanto simbolico per l’unità della Chiesa.
Per ulteriori informazioni:
http://www.chiesacattolica.it/ecumenismo/siti_di_uffici_e_servizi/ufficio_nazionale_per_l_ecumenismo_e_il_dialogo
_interreligioso/00004062_Ufficio_Nazionale_per_l_ecumenismo_e_il_dialogo_interreligioso.html
http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/chrstuni/sub-index/index_weeks-prayer_it.htm
- Il senso del dialogo
In un mondo diventato più piccolo è sempre più importante il dialogo e l’amicizia tra persone di diverse religioni. Papa
Francesco è partito da questa considerazione per svolgere un appassionato discorso in favore del dialogo
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interreligioso. E’ una realtà e una sfida, ha detto, che “interpella la nostra coscienza di cristiani” e che ha un’incidenza
sulla “vita concreta delle Chiese locali, delle parrocchie, di moltissimi credenti”. Del resto, ha constatato con amarezza,
“non mancano nel mondo contesti in cui la convivenza è difficile”:
“Spesso motivi politici o economici si sovrappongono alle differenze culturali e religiose, facendo leva anche su
incomprensioni e sbagli del passato: tutto ciò rischia di generare diffidenza e paura. C’è una sola strada per vincere
questa paura, ed è quella del dialogo, dell’incontro segnato da amicizia e rispetto”.
Dialogare, ha precisato il Papa, “non significa rinunciare alla propria identità quando si va incontro all’altro, e
nemmeno cedere a compromessi sulla fede e sulla morale cristiana”: “È per questo motivo che dialogo interreligioso
ed evangelizzazione non si escludono, ma si alimentano reciprocamente. Non imponiamo nulla, non usiamo nessuna
strategia subdola per attirare fedeli, bensì testimoniamo con gioia, con semplicità ciò in cui crediamo e quello che
siamo. In effetti, un incontro in cui ciascuno mettesse da parte ciò in cui crede, fingesse di rinunciare a ciò che gli è più
caro, non sarebbe certamente una relazione autentica. In tale caso si potrebbe parlare di una fraternità finta”.
Al contempo, ha soggiunto, come cristiani “dobbiamo sforzarci di vincere la paura, pronti sempre a fare il primo passo,
senza lasciarci scoraggiare di fronte a difficoltà e incomprensioni”. Il dialogo interreligioso, quando è “costruttivo”, ha
poi evidenziato serve anche a superare “la paura verso le diverse tradizioni religiose e verso la dimensione religiosa in
quanto tale”, fenomeno “in aumento nelle società più fortemente secolarizzate”.
“La religione è vista come qualcosa di inutile o addirittura di pericoloso; a volte si pretende che i cristiani rinuncino alle
proprie convinzioni religiose e morali nell’esercizio della professione”.
Il Papa ha osservato che è “diffuso il pensiero secondo cui la convivenza sarebbe possibile solo nascondendo la propria
appartenenza religiosa, incontrandoci in una sorta di spazio neutro”. Ma, è il suo interrogativo, “come sarebbe
possibile creare vere relazioni, costruire una società che sia autentica casa comune, imponendo di mettere da parte
ciò che ciascuno ritiene essere parte intima del proprio essere?”:
“Non è possibile pensare a una fratellanza da laboratorio. Certo, è necessario che tutto avvenga nel rispetto delle
convinzioni altrui, anche di chi non crede, ma dobbiamo avere il coraggio e la pazienza di venirci incontro l’un l’altro
per quello che siamo. Il futuro sta nella convivenza rispettosa delle diversità, non nell’omologazione ad un pensiero
unico teoricamente neutrale. Diventa perciò imprescindibile il riconoscimento del diritto fondamentale alla libertà
religiosa, in tutte le sue dimensioni”.
(da Radio Vaticana - Sir Attualità, 29 novembre 2013)
- Sitografia
http://www.agensir.it
http://www.vatican.va
http://www.it.radiovaticana.va
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