Il sistema delle fonti: principi generali

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Il sistema delle fonti: principi generali
Domenico Galli
SOMMARIO
1. Il diritto dei contratti pubblici: nozione
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1.1. Evoluzione e principali caratteristiche
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2. La disciplina comunitaria
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3. Il mercato sovracomunitario: gli accordi internazionali
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4. La disciplina nazionale e la disciplina regionale
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5. I rapporti tra diritto comunitario e diritto nazionale
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5.1. La rilevanza sul piano pratico
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6. L’applicazione delle norme comunitarie in assenza di formale recepimento 00
7. Il contrasto tra norme comunitarie e norme nazionali
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1. Il sistema delle fonti: principi generali
 1. Il diritto dei contratti pubblici: nozione
Nozione Si può definire come “diritto dei contratti pubblici” il complesso
delle disposizioni, di fonte e rango diversi, che regolano l’attività negoziale di pubbliche amministrazioni e soggetti a queste ultime assimilati
per la realizzazione di lavori ovvero per l’acquisizione di beni e servizi.
Esso contiene la regolamentazione sia della fase scelta del contraente (v.
sez. II, cap. 5) che di quella di esecuzione del contratto (v. sez. III). Sul
piano oggettivo, prende in esame una pluralità di fattispecie negoziali
(appalti di lavori, di servizi e di forniture; concessioni di lavori pubblici o
di servizi pubblici; leasing immobiliare, ecc. (v. sez. I, cap. 6); sul piano
soggettivo, invece, supera i tradizionali confini della nozione di pubblica
amministrazione, potendo trovare applicazione anche a soggetti aventi
forma e natura privatistica (v. sez. I, cap. 3).
1.1. Evoluzione e principali caratteristiche
Il diritto dei contratti pubblici nasce come diritto di fonte esclusivamente
statale. Il blocco originale delle norme in materia, rimasto nella sua sostanza inalterato almeno sino agli anni settanta dello scorso secolo, era
costituito, infatti, dalla legge fondamentale sui lavori pubblici risalente al
1865 (Legge 20.3.1865, n. 2248, all. F); da alcune norme in tema di progettazione, direzione, contabilità e collaudo dei lavori pubblici (D.M.
29.5.1895 e R.D. 25.5.1895, n. 350); dalle disposizioni in tema di contabilità di Stato (Legge 18.11.23, n. 2440 e R.D. 23.5.24, n. 827); dal capitolato
generale del Ministero dei Lavori pubblici (dapprima, D.M. 29.5.1895;
poi, d.P.R. 16.7.62, n. 1063).
A partire dagli anni settanta, sia a livello sovrannazionale che nazionale,
è intervenuto un duplice ordine di fattori che ha inciso, in modo irreversibile, sulle originarie caratteristiche della disciplina:
• il primo fattore è costituito dall’avvio dell’intervento regolatorio della
Comunità Europea nel settore degli appalti e dallo svilupparsi di organismi sovrannazionali (ad es., l’Organizzazione Mondiale del
Commercio);
• il secondo fattore è rappresentato dalla istituzione, a partire dal 1970,
delle Regioni con proprie potestà legislative.
L’uno e l’altro - al pari di quanto, più in generale, registratosi sulla configurazione del diritto amministrativo - hanno comportato un superamento degli iniziali tratti caratteristici della materia, che ha perso la sua connotazione di diritto meramente statale. A partire da tale fase, infatti, i
contratti pubblici sono stati regolati, seppure con intensità - e talora anche con ambiti parzialmente diversi - oltre che da disposizioni di fonte
statale, anche da norme sovrastatali e infrastatali.
In questa prospettiva, la pluralità delle fonti ha accentuato il carattere
misto (composito) della disciplina, già caratterizzata dalla presenza di
norme di diritto pubblico, relative alla fase di scelta del contraente che si
conclude con il provvedimento amministrativo di aggiudicazione; e dalla
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Appalti pubblici
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2. La disciplina comunitaria
presenza di norme di diritto privato relative alla fase di esecuzione della
prestazione inserita in un rapporto contrattuale, a sua volta, regolato dai
principi in tema di obbligazioni. La distinzione tra momento di scelta del
contraente e quello di esecuzione della prestazione vale a distinguere anche gli ambiti della giurisdizione. Le controversie relative alla fase di gara rientrano, infatti, nella cognizione del giudice amministrativo; quelle
relative alla fase contrattuale rientrano, invece, in quella del giudice ordinario (v. sez. II, cap. 8 e sez. III, cap. 13).
In conclusione, il diritto dei contratti pubblici è costituito da norme di
fonte sovranazionale, statale e infrastatale; da norme di diritto pubblico e di diritto privato. Queste trovano applicazione non solo nei riguardi
delle Pubbliche amministrazioni, ma, in taluni casi, anche nei confronti di
soggetti di natura privata. Mista è anche la giurisdizione (del giudice
amministrativo o di quello ordinario).
2. La disciplina comunitaria
Obiettivo Il diritto comunitario è intervenuto a disciplinare la materia
dei contratti pubblici a partire dagli anni settanta in modo progressivamente più esteso: il che è essenzialmente legato, da un lato, alla consapevolezza del valore economico del settore che impegna risorse per un
ammontare di oltre il 16% del prodotto interno lordo dell’Unione Europea; dall’altro, al fatto che l’attività negoziale della Pubblica amministrazione incide, in forma diretta o indiretta, sulle libertà fondamentali tutelate dal Trattato della Comunità Europea (dell’Unione Europea, a partire
dal 2009, dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona): sulla libertà di
circolazione delle merci; sulla libertà delle prestazioni; sulla libertà di circolazione di servizi; sulla libertà di stabilimento.
La centralità della materia trova una conferma anche nel Trattato UE (art.
179), il quale fa riferimento in particolare, “all’apertura degli appalti
pubblici nazionali”, allo scopo di garantire alle imprese la possibilità di
sfruttare appieno le potenzialità del mercato interno.
L’obiettivo della politica comunitaria in tema di appalti pubblici, sin dalle origini, fu quello di predisporre le condizioni di concorrenza necessarie:
a) affinché i contratti potessero essere aggiudicati senza discriminazioni,
b) per pervenire ad un utilizzo razionale del denaro pubblico attraverso
la scelta del contraente migliore,
c) per rendere accessibile agli operatori economici un mercato unico, in modo
da consentire ad un’impresa di un qualsiasi Stato membro di concorrere per
l’affidamento di un determinato appalto in condizioni di parità con le altre
imprese provenienti dal medesimo Stato cui appartiene la stazione appaltante.
In aggiunta a ciò, allo scopo di assicurare effettività alla disciplina sostanziale sono state adottate, sin dalla fine degli anni ottanta, anche direttive volte a disciplinare i mezzi di tutela avverso violazioni del diritto
comunitario.
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Appalti pubblici
1. Il sistema delle fonti: principi generali
3. Il mercato sovracomunitario: gli accordi internazionali
Liberalizzazione dei contratti pubblici La progressiva liberalizzazione
dei contratti pubblici nell’Unione Europea ha costituito un modello adottato dalla stessa Unione anche per porre le condizioni per un’apertura alle imprese comunitarie di ambiti di mercato maggiormente ampi. In particolare, in data 15.4.94, ha concluso nell’ambito dell’Accordo che istituisce l’Organizzazione Mondiale del Commercio (World Trade Organization - WTO) stipulato a Marrakech il 15.4.94 ed entrato in vigore nel 1995,
anche uno specifico Accordo sui contratti pubblici (Agreement sugli appalti pubblici - GPA, all. IV) volto all’istituzione di un quadro multilaterale equilibrato di diritti e doveri in materia di appalti pubblici per liberalizzare ed espandere il commercio mondiale. L’Unione Europea ha
formalmente aderito al GPA con decisione del Consiglio n. 94/800/CE
del 22.12.94. L’operatività di questo Accordo è stata poi estesa, tramite
ulteriori accordi bilaterali stipulati dall’Unione Europea con singoli Stati
(ad esempio, v. l’Accordo bilaterale UE - Svizzera, con cui nel 1999, furono ampliati i termini dell’intesa conclusa in ambito OMC) ovvero direttamente dai singoli Stati. L’Accordo è stato modificato in data 2.12.13
(decisione del Consiglio dell’Unione Europea, n. 2014/115/UE, pubblicata sulla GUCE del 7.3.14, con l’approvazione del “protocollo che modifica
l’accordo sui contratti pubblici”. Il protocollo è entrato in vigore il 6.4.14).
Focus
Il GPA è un accordo plurilaterale, vincolante non per tutti gli Stati facenti parte
dell’Organizzazione ma unicamente per quelli che lo hanno sottoscritto.
Hanno aderito all’accordo sui contratti pubblici i seguenti Paesi:
- Armenia (15 settembre 2011);
- Canada (1 gennaio 1996);
- Unione Europea con riguardo ai suoi 27 Stati membri: Austria, Belgio, Danimarca,
Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Olanda, Portogallo, Spagna, Svezia e Inghilterra (1 gennaio 1996);
- Cipro, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica Slovacca e Slovenia (1 maggio 2004);
- Bulgaria e Romania (1 gennaio 2007) - Croazia (1 luglio 2013);
- Hong Kong, Cina (19 giugno 1997);
- Islanda (28 aprile 2001);
- Israele (1 gennaio 1996);
- Giappone (1 gennaio 1996);
- Corea (1 gennaio 1997);
- Liechtenstein (18 settembre 1997);
- Aruba (25 ottobre 1996);
- Norvegia (1 gennaio 1996);
- Singapore (20 ottobre 1997);
- Svizzera (1 gennaio 1996);
- Taipei Cinese (15 luglio 2009);
- Stati Uniti (1 gennaio 1996).
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Appalti pubblici
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3. Il mercato sovracomunitario: gli accordi internazionali
Condizioni di reciprocità In forza di ciò, le direttive comunitarie prevedono espressamente la parità di trattamento tra imprese dell’Unione
Europea ed operatori economici provenienti da Paesi firmatari
dell’Accordo (art. 5 della Dir. CE n. 2004/18 e art. 12 della Dir. CE n.
2004/17). La disciplina nazionale, nel recepire tale impostazione, pone gli
operatori italiani e quelli stabiliti negli altri Stati aderenti all’Unione Europea in posizione di piena equivalenza rispetto a quelli stabiliti nei Paesi
firmatari dell’Accordo sui contratti pubblici o in Paesi che in base ad altre
norme di diritto internazionale o in base ad accordi bilaterali siglati
dall’Unione Europea o con l’Italia consentano la partecipazione ad appalti pubblici a condizioni di reciprocità (art. 47 del Codice).
Questa disposizione ha tradotto sul piano nazionale le disposizioni del
GPA, a loro volta recepite dalle direttive europee, per cui,
nell’ordinamento italiano - in base all’impegno assunto dall’Europa - vige il principio di apertura del mercato degli appalti pubblici alla concorrenza internazionale, subordinatamente al rispetto del principio di qualificata reciprocità.
Peraltro, non vi è piena coincidenza tra gli ambiti ambito di applicazione
delle direttive e del GPA [Caroli Casavola].
CASISTICA
È possibile che un’impresa avente la propria sede legale in un Paese paese extracomunitario partecipi ad una gara in Italia in condizioni di reciprocità con
imprese italiane?
Ai fini di verificare se sussista o meno un obbligo per la Pubblica amministrazione di
ammettere alla gara un concorrente proveniente da paesi terzi occorre valutare se lo
Stato abbia aderito all’Accordo sugli appalti pubblici ovvero abbia concluso accordi
con UE o direttamente con l’Italia.
In base a questi presupposti, è stato escluso che un’impresa australiana potesse partecipare ad una gara bandita dal Ministero della Difesa: questo Paese non aveva mai
sottoscritto l’Accordo sui contratti pubblici; né stipulato alcun accordo bilaterale con
l’Unione Europea o con l’Italia (Tar Lazio, sez. I-bis, 16.12.08, n. 11405).
Le imprese con sede in San Marino possono partecipare alle gare in condizione di reciprocità con imprese italiane, previa specifica autorizzazione ai sensi della “disciplina
antiriciclaggio”. San Marino, infatti, ha siglato nel 1939 la Convenzione di amicizia e
buon vicinato con l’Italia, in virtù della quale “i cittadini di ciascuno dei due Stati saranno ammessi, nel territorio dell’altro, all’esercizio di qualsiasi industria, commercio,
professione o arte, e potranno accedere a qualsiasi pubblico impiego a parità di condizioni con i nazionali” (Tar Lazio, sez. III, 3.12.08, n. 12103). Rispetto a tale impostazione, vi era, tuttavia, una rilevante limitazione contenuta nella normativa in tema
di antiriciclaggio. San Marino faceva parte, infatti, dei Paesi appartenenti alla c.d.
black list di cui al decreto del Ministro delle Finanze 4.5.99: in ragione di ciò, la partecipazione delle imprese sanmarinesi alle gare era condizionata ad una specifica autorizzazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze (art. 37 del d.l. 31.5.10, n. 78,
convertito in Legge 30.7.10, n. 122). Questa limitazione è stata rimossa con D.M. del
12.2.14 che ha espunto San Marino dai paesi ricompresi nella c.d. black list.
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Appalti pubblici
1. Il sistema delle fonti: principi generali
CASISTICA
Il principio di reciprocità stabilito dall’art. 47 del Codice dei contratti pubblici è
applicabile anche nel caso di appalti di servizi o forniture ovvero deve trovare
limitata applicazione ai soli appalti di lavori?
La questione dell’ambito di applicazione del principio di reciprocità dettato dall’art. 47
del Codice dei contratti è stato analizzato dalla giurisprudenza amministrativa ed è
stato risolto nel senso della riferibilità della disposizione anche agli appalti di forniture
e servizi (vedasi, tra le altre, Cons. Stato, sez. III, 10.7.14, n. 3538; Tar Lazio, sez. I
bis, 16.12.08, n. 11405).
4. La disciplina nazionale e la disciplina regionale
Fonti La disciplina nazionale in tema di contratti pubblici, oltreché ultrastatale, è di fonte sia statale che regionale. La prima risente
dell’impostazione della disciplina comunitaria: da un lato, deve uniformarsi alle disposizioni contenute nelle direttive ai fini della scelta del
contraente così come alle connesse disposizioni in tema di risoluzione
delle controversie; dall’altro, anche per i contratti non assoggettati
all’ambito di applicazione delle direttive, la regolamentazione nazionale
deve essere conforme ai principi fondamentali del Trattato UE.
Ambito di potestà legislativa regionale Lo spazio di intervento del legislatore regionale nella materia dei contratti pubblici risulta oggi particolarmente contenuto a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione, per i vincoli derivanti dalle norme comunitarie, da un lato; e per gli
ambiti della potestà legislativa esclusiva e concorrente dello Stato,
dall’altro. Sotto il primo profilo, anche le Regioni sono tenute ad esercitare la propria potestà legislativa nel rispetto (oltreché della Costituzione
anche) dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, cosicché è incostituzionale la norma interna in contrasto con il diritto dell’Unione anche se non immediatamente efficace (Corte cost. 28.1.10, n. 28).
Sotto il secondo profilo, l’art. 117 Cost. indica le materie attribuite alla
potestà legislativa esclusiva o concorrente dello Stato e fissa il principio
della competenza residuale delle Regioni (nelle materie che non siano
oggetto di puntuale indicazione dallo stesso art. 117). La circostanza che,
nel delineare gli ambiti della potestà legislativa, la disposizione non faccia alcun riferimento ai contratti pubblici, non può indurre a ritenere che
essi costituiscano materia oggetto di potestà legislativa delle Regioni.
Con riferimento ai lavori pubblici (ma tale indicazione è riferibile in generale ai contratti pubblici), la Corte Costituzionale ha chiarito che la loro
mancata inclusione nell’elenco di cui all’art. 117 non implica che essi siano oggetto di potestà legislativa residuale delle Regioni; ma al contrario,
essi costituiscono ambiti di legislazione che non integrano una vera propria materia, ma che si qualificano a seconda dell’oggetto al quale afferiscono, di volta in volta, a potestà legislative esclusive dello Stato ovvero
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Appalti pubblici
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5. I rapporti tra diritto comunitario e diritto nazionale
a potestà legislative concorrenti. In questa prospettiva, ad esempio, la fase di scelta del contraente è riconducibile alla materia della tutela della
concorrenza; la fase di esecuzione del contratto, all’ordinamento civile:
ambedue sono ricomprese nelle materie di cui alla potestà legislativa
esclusiva dello Stato (cfr. Corte cost. 1.10.03, n. 303; 27.7.04, n. 272;
13.1.04, n. 14).
In linea con questa impostazione, l’art. 4, comma 3, del Codice stabilisce
che le Regioni non possano dettare una disciplina difforme da quella contenuta nello stesso Codice, in relazione: alla qualificazione e selezione dei
concorrenti, alle procedure di affidamento, esclusi i profili di organizzazione amministrativa; ai criteri di aggiudicazione; al subappalto; ai poteri
di vigilanza sul mercato degli appalti affidati all’Autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici; alle attività di progettazione e sicurezza; alla
stipulazione ed all’esecuzione dei contratti, ivi compresi direzione
dell’esecuzione, direzione dei lavori, contabilità e collaudo, ad eccezione
dei profili di organizzazione e contabilità amministrativa; al contenzioso.
La stessa disposizione conferma la competenza esclusiva dello Stato a disciplinare i contratti relativi alla tutela dei beni culturali (v. art. 117,
comma 1, lett. s); i contratti nel settore della difesa e quelli segretati o che
esigono particolari misure di sicurezza relativi a lavori, forniture e servizi (art. 117, comma 1, lett. d).
In merito a tale assetto normativo, si è pronunciata la Corte Costituzionale
(23.11.07, n. 401), che ha fatto salva l’impostazione del Codice, pressoché nella sua interezza: quindi gli ambiti per l’intervento del legislatore regionale sono,
per lo più limitati, a profili concernenti l’organizzazione e il funzionamento
dell’amministrazione (organi del procedimento e programmazione).
Le disposizioni del Regolamento attuative del Codice si applicano invece
alle Regioni nella parte in cui sono attuative ed esecutive di disposizioni
rientranti in ambiti di legislazione statale esclusiva, ed anche nella parte
in cui afferiscono ad ambiti di potestà legislativa concorrente, fintantoché
non avranno adeguato la propria disciplina ai principi desumibili dal
Codice.
5. I rapporti tra diritto comunitario e diritto nazionale
Al pari di quanto è avvenuto in altri settori dell’ordinamento, anche nel
settore dei contratti pubblici, il rilievo assunto dal diritto comunitario ha
posto il problema dei rapporti tra disposizioni di fonte diversa.
La questione non è di interesse soltanto teorico, ma, al contrario assume
rilievo sul piano pratico.
Le norme comunitarie che si sono succedute a partire dagli anni settanta
hanno profondamente modificato la configurazione del diritto nazionale,
spesso divergente da quello comunitario. Diversa ne era, innanzitutto,
l’impostazione. La disciplina in tema di procedure di scelta del contraente,
infatti, era contenuta nella normativa sulla contabilità di Stato, essenzialmente finalizzata all’individuazione del migliore contraente alle più convenienti condizioni di mercato. La disciplina comunitaria era diretta ad assi7
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Appalti pubblici
1. Il sistema delle fonti: principi generali
curare la più ampia apertura alla concorrenza tra operatori e corretti meccanismi di mercato, di cui l’economicità della gestione non poteva che costituire naturale effetto.
Inoltre, tra diritto nazionale e disciplina comunitaria, vi erano rilevanti
scostamenti in merito a categorie ed istituti giuridici fondamentali: ad
esempio, la nozione di pubblica amministrazione non coincideva; così
come diversa erano la natura della concessione (nella tradizione giuridica
nazionale, un provvedimento amministrativo; nel diritto comunitario, un
contratto); e la stessa estensione della nozione di contratto di appalto,
nella quale, secondo l’impostazione nazionale, non potevano ritenersi ricomprese le prestazioni aventi natura intellettuale.
Processo di integrazione normativa Tutto ciò ha reso non sempre agevole il processo di integrazione normativa e frequenti i casi di contrasto
tra ordinamento nazionale e comunitario. La progressiva espansione
dell’ambito di estensione dei principi fondamentali del Trattato UE anche
a fattispecie escluse dall’ambito di applicazione delle direttive in materia
e il contenuto sempre maggiormente dettagliato di queste ultime hanno
accentuato tali rischi. Una serie di ragioni di diversa natura (economica,
politico-istituzionale, organizzativa), spesso compresenti hanno prodotto
una connotazione del diritto nazionale interno difforme e non sempre
coerente con quello europeo. Numerosissime sono state le procedure di
infrazione avviate nel corso degli anni avverso l’Italia, a fronte di ritardata attuazione ovvero di violazioni del diritto comunitario; così come
si sono moltiplicate anche le occasioni di sindacato da parte dei giudici
comunitari e nazionali.
Prevalenza della fonte comunitaria In questo contesto, la questione della ritardata attuazione del diritto comunitario, così come quella della sua
non corretta trasposizione assumono una particolare rilevanza pratica. I
rapporti tra norme di fonte comunitaria e norme di fonte nazionale vanno risolti, da parte delle singole amministrazioni, sulla base del principio,
costantemente affermato dalla Corte di Giustizia, di prevalenza delle
prime sulle seconde. In ragione di ciò, ad esempio, non va tenuto conto
della norma nazionale in contrasto con norme dell’Unione (c.d. disapplicazione); inoltre, delle prime va fornita una lettura comunitariamente
orientata, in termini, cioè, che consentano di rendere applicabile in concreto e non solo in teoria il principio o la regola comunitaria (c.d. effetto
utile).
5.1. La rilevanza sul piano pratico
La ritardata ovvero la difforme trasposizione delle norme comunitarie
in tema di contratti pubblici contenute in direttive pongono perciò una
serie di problemi sul piano pratico: la verifica dei presupposti per
l’applicazione delle norme comunitarie, anche in assenza di un formale
provvedimento di recepimento e per la disapplicazione della norma nazionale; l’interpretazione delle norme nazionali che sia compatibile con il
diritto dell’Unione. In questo contesto, il giudice amministrativo ha avu8
Appalti pubblici
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6. L’applicazione delle norme comunitarie in assenza di formale recepimento
to un ruolo fondamentale nel plasmare regole e procedure previste
dall’ordinamento nazionale in termini coerenti con l’impostazione comunitaria. Ma, in mancanza di pronunce giurisprudenziali, la scelta su quale
soluzione adottare incombe sulle singole amministrazioni, con connesse
difficoltà e rischi: le prime sono legate all’accertamento dei presupposti
per l’operatività della disciplina comunitaria e per la disapplicazione di
quella nazionale; i secondi agli effetti della scelta in concreto adottata, nel
caso di successiva difforme valutazione del giudice amministrativo.
6. L’applicazione delle norme comunitarie in assenza di
formale recepimento
Ai fini dell’applicazione delle disposizioni contenute nelle direttive in carenza di un provvedimento di formale recepimento da parte degli Stati
membri, occorrono tre condizioni:
a) che lo Stato membro non abbia provveduto al formale recepimento
delle direttive comunitarie entro il termine fissato dalle direttive medesime;
b) che le disposizioni siano sufficientemente dettagliate, vale a dire chiare
e precise nella determinazione delle prescrizioni a carico dei destinatari;
c) che le stesse disposizioni siano incondizionate. Nell’ipotesi in cui le
norme contengano obblighi di non fare, esse sono immediatamente
operanti nei confronti dello Stato membro.
In sostanza, ove ricorrano le condizioni summenzionate, le stazioni appaltanti sono, comunque, tenute ad applicare le norme delle direttive
comunitarie.
FOCUS
L’art. 29 della Dir. CE n. 17/2004 ha introdotto e regolamentato in modo puntuale la
nuova procedura di scelta del dialogo competitivo stabilendo, tuttavia, che “Nel caso
di appalti particolarmente complessi gli Stati membri possono prevedere che
l’amministrazione aggiudicatrice, qualora ritenga che il ricorso alla procedura aperta o
ristretta non permetta l’aggiudicazione dell’appalto, possa avvalersi del dialogo competitivo….”.
Tale disposizione contiene una disciplina estremamente articolata della nuova procedura che non necessitava di alcuna ulteriore specificazione in sede nazionale quanto a
presupposti e modalità di svolgimento. Tuttavia, essa non avrebbe potuto trovare applicazione nelle more del formale recepimento della direttiva: si tratta, infatti, di una disposizione “condizionata”: la sua effettiva operatività all’interno degli ordinamenti nazionali presupponeva la scelta dei legislatori nazionali, in ordine all’introduzione o
meno di tale istituto nel proprio ordinamento. Ne consegue che le stazioni appaltanti
non avrebbero potuto utilizzare tale istituto prima del formale recepimento della direttiva (analoghe considerazioni possono essere svolte, sempre a titolo esemplificativo,
anche con riguardo all’art. 32 in tema di Accordo quadro in base al quale gli “Stati
membri possono prevedere la possibilità per le amministrazioni aggiudicatrici di concludere accordi quadro” - v. ora art. 58 del Codice).
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Appalti pubblici
1. Il sistema delle fonti: principi generali
7. Il contrasto tra norme comunitarie e norme nazionali
Valutazione Nel caso di contrasto tra norme o principi comunitari e
norme nazionali sono i primi a prevalere. La valutazione del contrasto
compete, prima ancora che al giudice comunitario e a quelli nazionali, ai
singoli committenti chiamati a disapplicare la disciplina nazionale a favore di quella sovrastatale. Il problema è legato alla difficoltà a distinguere i casi in cui vi sia un effettivo contrasto da quelli in cui, invece, sia
ipotizzabile una mera difformità nella regolamentazione di un medesimo
istituto: è solo nella prima ipotesi, infatti, che la norma nazionale deve
essere oggetto di disapplicazione. Non è, quindi, sufficiente che la disciplina nazionale introduca una disciplina difforme rispetto a quella comunitaria per integrare un contrasto, essendo, invece, necessario che da
questa differisca anche quanto ad obiettivi e finalità.
ESEMPI
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La disciplina comunitaria configura la procedura negoziata come deroga rispetto alle
procedure ordinarie (aperta e ristretta). Mentre queste ultime possono essere sempre
utilizzate dalle stazioni appaltanti indipendentemente dalla ricorrenza di condizioni
particolari, la prima si configura come eccezione rispetto alle altre procedure ed è
ammessa solo in ipotesi predefinite in deroga alle regole della procedura aperta o ristretta.
Nel disciplinare la procedura negoziata, l’art. 30 della Dir. n. 18/2004 prende in considerazione un novero di ipotesi maggiormente ampio rispetto alla disciplina nazionale.
Ad esempio, consente alle stazioni appaltanti di utilizzare questo istituto ove ricorrano
circostanze eccezionali, in cui la particolare natura del lavoro, della fornitura o dei
servizi ovvero imprevisti non imputabili alla stazione appaltante non consentano una
fissazione preliminare e globale dei prezzi (art. 30, par. 1, lett. b); e limitatamente a
servizi bancari o assicurativi e per prestazioni intellettuali (quali la progettazione di
opere), nel caso in cui la loro particolare natura non consenta di formulare le specifiche del contratto con una precisione sufficiente a permettere di aggiudicare l’appalto
selezionando l’offerta migliore (art. 30, par. 1, lett. c).
Nonostante, il ricorso alla procedura negoziata per tali ipotesi non sia prevista a livello nazionale (art. 56 del Codice), non si può parlare di contrasto tra normativa europea e normativa nazionale: anche quest’ultima stabilisce, infatti, il principio generale
della gara per la selezione del contraente, al fine di assicurare massima trasparenza
tra imprese e configura l’utilizzo della procedura negoziata come eccezione. La scelta, adottata in sede nazionale, di consentire l’utilizzo della procedura negoziata in
ambiti più ristretti rispetto a quanto stabilito a livello europeo vale a circoscrivere
l’operatività della deroga al ricorso alle gare pubbliche introdotta dalle direttive europee, garantendo una più ampia applicazione al principio generale della gara pubblica:
la norma nazionale, in sostanza, assecondandone (e non violandone) la ratio, non determina alcuna lesione del diritto europeo, che consente, ma non impone, la procedura negoziata.
Le stazioni appaltanti sono, quindi, tenute ad applicare la disciplina nazionale in tema
di procedura negoziata nella parte in cui introduce un regime maggiormente rigoroso
rispetto alla disciplina comunitaria. Altro sarebbe il caso in cui la disciplina nazionale
avesse introdotto la possibilità di utilizzare la procedura negoziata anche in ipotesi ul-
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Appalti pubblici
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7. Il contrasto tra norme comunitarie e norme nazionali
teriori rispetto a quelle previste dalle direttive. In tal caso, ricorrerebbe violazione della disciplina europea, in quanto la disciplina nazionale avrebbe ampliato gli ambiti delle eccezioni al principio generale della gara pubblica. In tale ipotesi, la norma nazionale dovrebbe essere oggetto di disapplicazione da parte della stazioni appaltanti.
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L’art. 191, comma 9, del Codice dei contratti stabilisce che i “contraenti generali dotati della adeguata e competente classifica di qualificazione per la partecipazione alle
gare (…) possono partecipare alla gara in associazione o consorzio con altre imprese
purché queste ultime siano ammesse, per qualunque classifica…”.
Il Tar Lazio (2.10.07, n. 9630) ha affermato il contrasto di questa disposizione con il
diritto europeo, nella parte in cui impone che almeno una delle imprese aderenti al
raggruppamento sia dotata della classifica adeguata per l’intero appalto (cfr. infra Case history). Essa è “peggiorativa” per raggruppamenti e consorzi non consentendo la
partecipazione alle gare tramite la sommatoria delle classifiche di qualificazione ed
imponendo agli stessi, ai fini della partecipazione alle gare, requisiti, nel complesso,
maggiori rispetto a quelli richiesti ad operatori singoli.
La norma, ancora in vigore, deve essere quindi disapplicata dalle stazioni appaltanti.
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Le direttive europee in tema di procedure di scelta consentono alla stazione appaltante di disporre l’esclusione del concorrente che abbia presentato un’offerta eccessivamente bassa rispetto alle prestazioni da eseguire soltanto nel caso in cui lo stesso
non sia stato in grado di fornire, in esito ad un contraddittorio con la stazione appaltante, elementi idonei a giustificare il ribasso offerto. La Corte di Giustizia ha, da
sempre, negato la legittimità di norme nazionali che, per gli appalti a rilevanza comunitaria, prevedevano meccanismi di esclusione automatica delle offerte eccessivamente basse, senza alcuna forma di contraddittorio (Corte di Giustizia CE, 22.6.89,
causa C-103/88).
Per quanto attiene agli affidamenti sottosoglia, la Corte di Giustizia ha precisato che
le stazioni appaltanti sono, comunque, tenute a rispettare le norme fondamentali del
Trattato relative alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione di servizi nonché il
principio generale di non discriminazione; e che queste norme ostano ad una normativa nazionale che, per gli appalti sottosoglia di interesse transfrontaliero certo, imponga alle stazioni appaltanti di ricorrere all’esclusione automatica. Quindi, la possibilità (e non l’obbligo) di ricorrere all’esclusione automatica è ammessa per gli affidamenti privi di rilievo transfrontaliero; mentre, per quelli a rilevanza transfrontaliera,
l’utilizzo di meccanismi di esclusione automatica potrebbe risultare accettabile nel solo caso in cui il numero eccessivamente alto delle offerte impongano
all’amministrazione di procedere alla verifica in contraddittorio di un numero offerte
eccedente la sua capacità operativa ovvero possano compromettere la realizzazione
del progetto a causa del ritardo che ne deriverebbe (Corte di Giustizia CE, sez. IV,
15.5.08, causa C-147/06 e C-148/06).
Per tutti gli appalti a rilevanza nazionale e fino al 31.12.13, l’art. 253, comma 20-bis
del Codice ha previsto la facoltà per le stazioni appaltanti di prevedere nel bando di
gara o nella lettera di invito il ricorso a meccanismi automatici di esclusione delle offerte anomale, in presenza di un numero di offerte valide non inferiore a dieci.
In base a quanto esposto, una generalizzata applicazione di questa disposizione sarebbe incompatibile con la disciplina europea. Il ricorso ai meccanismi di esclusione
automatica potrebbe essere considerato legittimo nel solo caso in cui gli affidamenti
siano di importo particolarmente contenuto tali da non far ritenere (anche in ragione
della loro localizzazione) gli stessi di interesse per operatori provenienti di altri Stati
(cfr. anche sez. II, cap. 6); ovvero nel caso in cui l’amministrazione sia in condizione
di dimostrare che le lungaggini procedurali legate alla eventuale verifica in contraddit-
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1. Il sistema delle fonti: principi generali
torio delle offerte non siano sostenibili sul piano organizzativo ovvero sotto quello della tempistica dell’intervento.
Quindi, l’effettiva compatibilità della disposizione con il diritto comunitario è legata alle concrete modalità di applicazione della stessa da parte delle stazioni appaltanti.
CASE HISTORY – EULEX STUDIO LEGALE LEGAL RESEARCH GALLI & PARTNERS
Il caso
Un bando di gara di una importante stazione appaltante nazionale per l’affidamento a
contraente generale ai sensi dell’art. 191, comma 9, del Codice ammetteva la partecipazione dei raggruppamenti temporanei e dei consorzi a condizione che almeno
una delle imprese aderenti fosse qualificata al sistema di qualificazione del contraente generale per classifica adeguata all’importo dell’affidamento.
Un’associazione di categoria si è rivolta allo Studio per impugnare il bando di gara
che limitava la possibilità di partecipazione alla gara delle proprie imprese associate.
Come è stato affrontato dallo Studio
Esaminata la questione, lo Studio ha sostenuto la tesi dell’illegittimità del bando di
gara, in quanto basato su una norma nazionale contrastante con il diritto comunitario.
L’art. 191, comma 9, del Codice, infatti, sembra condizionare la partecipazione dei
raggruppamenti temporanei e consorzi per gli affidamenti a contraenti generali al necessario possesso da parte di almeno un componente della intera classifica di qualificazione richiesta. Lo Studio ha sostenuto, tra l’altro, la tesi che, ove fosse stata da intendere nei termini suesposti, la disposizione sarebbe stata in contrasto con la disciplina comunitaria.
Questa, infatti, ai fini della partecipazione alla gara, consente a ciascun concorrente
di adottare la forma giuridica che preferisce, la quale deve potere essere utilizzata
senza subire alcuna discriminazione rispetto ad altre. In sostanza, un raggruppamento deve poter accedere alla gara alle medesime condizioni di un operatore singolo.
Secondo lo Studio, inoltre, vi sarebbe stato anche un contrasto con il principio di proporzionalità posto che al raggruppamento temporaneo (o consorzio) si sarebbe finito
con l’imporre requisiti complessivamente superiori a quelli dei partecipanti a titolo individuale.
La sentenza
Il giudice amministrativo ha concluso per l'illegittimità del bando di gara e per l’obbligo
per l’amministrazione di disapplicare la norma nazionale ritenuta contrastante, per le
ragioni suesposte, con il diritto comunitario (Tar Lazio, sez. III, 2.10.07, n. 9630).
APPROFONDIMENTI
Andreis M., I contratti pubblici tra principi interni e vincoli sovranazionali. Mercato, ambiente, responsabilità, Milano, 2010.
Benacchio G.A., Verso la direttiva di quarta generazione, in Benacchio
G.A., Cozzio Michele, Gli appalti pubblici tra regole europee e nazionali, Milano, 2012.
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Appalti pubblici
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7. Il contrasto tra norme comunitarie e norme nazionali
Caroli Casanova H., La globalizzazione dei contratti delle pubbliche
amministrazioni, Milano, 2012.
Fracchia F., Ordinamento comunitario, mercato e contratti della Pubblica Amministrazione, Napoli, 2010.
Picozza E., I contratti della Pubblica Amministrazione, tra diritto comunitario e diritto nazionale, in C. Franchini (a cura di), I contratti con
la Pubblica Amministrazione, Padova, 2007.
Picozza E., L’appalto pubblico tra diritto comunitario e nazionale. Una
difficile convivenza, in C. Franchini (a cura di), I contratti di appalto
pubblico, Padova, 2010.
Police A.-Gruner G., Le fonti, in C. Franchini (a cura di), I contratti di
appalto pubblico, Padova, 2010.
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