Crepuscolo degli idoli - Liceo Classico Psicopedagogico Cesare

Friedrich Nietzsche
Crepuscolo degli idoli
Introduzione, traduzione e commento
di Pietro Gori e Chiara Piazzesi
C
Carocci editore
Questo volume è frutto di un intenso lavoro di integrazione e di costante revisione tra i contributi dei due autori. Ciononostante, è possibile specificare che a Chiara Piazzesi si deve la redazione dei paragrafi Una grande
dichiarazione di guerra e La questione della décadence del saggio introduttivo e la traduzione del testo di Nietzsche, mentre a Pietro Gori si deve la
redazione dei paragrafi Verso una trasvalutazione di tutti i valori e “Verità”
e fede metafisica del saggio introduttivo. Per quanto riguarda il commento
al testo, una netta distinzione dei singoli contributi risulterebbe invece arbitraria e infruttuosa.
1a edizione, settembre 2012
© copyright 2012 by Carocci editore s.p.a., Roma
Impaginazione: Imagine s.r.l., Trezzo sull’Adda (mi)
Finito di stampare nel settembre 2012
dalle Arti Grafiche Editoriali s.r.l., Urbino
isbn 978-88-430-6586-8
Riproduzione vietata ai sensi di legge
(art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633)
Senza regolare autorizzazione,
è vietato riprodurre questo volume
anche parzialmente e con qualsiasi mezzo,
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o didattico.
«Un demone che ride»:
esercizi di serenità filosofica
Ozio di un dio lungo il Po
(eh, Crepuscolo degli idoli 3)
Una grande dichiarazione di guerra
Nella missiva che accompagnava l’invio del manoscritto del primo nucleo di quello che, nel corso dei mesi successivi, diventerà il
Crepuscolo degli idoli, Nietzsche scriveva da Sils-Maria all’editore
Constantin G. Naumann, il 7 settembre 1888:
Si tratta di uno scritto che, per quanto riguarda la veste tipografica, dovrà
essere interamente il gemello del Caso Wagner. Il titolo è: Ozio di uno psicologo. Mi è necessario pubblicarlo adesso, perché l’anno prossimo probabilmente ci dovremo accingere a dare alla stampa la mia opera principale,
la Trasvalutazione di tutti i valori. Questa infatti ha un carattere molto rigoroso e serio, non posso farla seguire da qualcosa di allegro [Heiteres] e
grazioso. D’altra parte deve trascorrere un certo lasso di tempo fra la mia
ultima pubblicazione e quell’opera seria. Inoltre non <vo>rrei che uscisse
immediatamente dopo la mia irriverente farce* contro Wagner. – Questo scritto, non di grandi dimensioni, può forse sortire anche l’effetto di
risvegliare un po’ l’attenzione su di me: cosicché l’opera principale di cui
parlavo non incontri lo stesso assurdo silenzio del mio Zarathustra (ksb 8,
pp. 411 s.; efn v, pp. 725 s.).
Se ne coglie una strategia editoriale molto precisa, programmata
su larga scala, in cui l’Ozio di uno psicologo avrebbe dovuto chiudere una fase, marcare un’epoca, aprire la strada e favorire l’ascolto
– in senso tanto filosofico quanto rispetto all’accoglienza del pubblico – per il grande lavoro progettato, per l’opera fondamentale a
cui Nietzsche lavora alacremente negli ultimi mesi della sua produzione. Dalla Prefazione al Crepuscolo degli idoli si apprende che
questa “strategia” è tale fuori di ogni metafora: se la Trasvalutazione è già una pratica di guerra, e guerra porta, il Crepuscolo è insieme il riposo di colui che alla battaglia si è consacrato, ma allo stesso tempo anch’esso «una grande dichiarazione di guerra».
9
Una dichiarazione di guerra che non si offre esplicitamente, né nel
tono né nei modi, ma che va cercata, va colta, portata alla luce. Per
esempio, proiettando le conseguenze del lavoro critico del Crepuscolo (soprattutto nel Problema di Socrate, nella “Ragione” nella filosofia, in Come il “mondo vero” finì per diventare favola) sulla storia della filosofia e sulle abitudini di pensiero che caratterizzano il
lavoro filosofico fino a Nietzsche. Oppure apprezzando la portata impressionante dell’analisi e della diagnosi relative alla modernità (soprattutto, ma non solo, nelle Scorribande di un inattuale),
alla cultura e alle istituzioni politiche europee, all’arte decadente,
all’egalitarismo, alla psicologia dell’individualismo, diagnosi che,
come il pensiero del xx secolo mostra ampiamente, non ha smesso
di essere attuale. Ancora, comprendendo la profondità e il carattere traumatico, per il lettore stesso che è portatore di tale psicologia, della vivisezione della psicologia occidentale nel suo impianto
moralistico, nelle sue strutture di falsificazione (per esempio l’inferenza causale, o l’invenzione dei «fatti interiori» come la volontà e l’Io), nel suo rapporto funzionale rispetto agli scopi della
morale e della religione viste come forme di “gestione” dell’incertezza, dell’ignoto, del disordine, della responsabilità (soprattutto
nei Quattro grandi errori). Questi specifici affondi del Crepuscolo recuperano e portano a una formulazione sintetica, incisiva, evidentemente preparatoria per un compito già sentito come epocale
(e già in opera), i temi fondamentali della filosofia nietzscheana fino
al 1888: le sue polemiche caratterizzanti, le sue intuizioni più profonde, le sue indagini su ciò che la filosofia, prima di allora, non
solo non aveva interrogato, ma sembrava non essere nemmeno in
grado di vedere come «problema» – un esempio per tutti: la morale (cfr. fw 345 e 355).
Una posizione strategica, quindi. Corrispondentemente, una
struttura pensata come doppiamente propedeutica: alla filosofia
di Nietzsche nella sua totalità, da una parte, d’altra parte all’opera
in preparazione, e che in realtà sta già vedendo la luce mentre l’Ozio di uno psicologo è portato a compimento. Nella lettera del 9 settembre 1888 a Carl Fuchs, aggiornando l’amico sulla propria eccezionale produttività nelle ultime settimane, Nietzsche scrive:
Incredibile ma vero: stamattina ho spedito in tipografia il manoscritto più
accurato, pulito e rifinito che io abbia mai steso – non intendo proprio
mettermi a contare in quanti pochi giorni sia venuto alla luce. – Il titolo
10
è abbastanza gradevole, Ozio di uno psicologo – mentre il contenuto è uno
dei peggiori e dei più radicali, per quanto nascosto sotto molte finesses*
e attenuazioni. È una perfetta introduzione generale alla mia filosofia: –
poi seguirà la Trasvalutazione di tutti i valori (di cui è quasi pronto il primo libro). Staremo a vedere fino a che punto oggi sia propriamente lecita
la “libertà di pensiero”: ho un oscuro presagio che per questo subirò una
gran bella persecuzione (ksb 8, p. 414; efn v, p. 728).
Il primo libro della Trasvalutazione, a cui Nietzsche fa riferimento, è quello che sarà pubblicato, e che noi conosciamo, con il titolo di Anticristo: Nietzsche ne segnala il completamento in calce alla Prefazione del Crepuscolo, con la data del 30 settembre 1888,
a Torino. È su questo sfondo che va letto, dice Nietzsche, l’Ozio:
un’introduzione, un compendio. Ma non un compendio semplificato, chiarificatore, accomodante, magari gradevole alla lettura, come «il titolo innocuo» sembrerebbe annunciare: piuttosto,
come Nietzsche scrive a Heinrich Köselitz il 12 settembre 1888,
«una sintesi molto ardita e precisa delle mie principali eterodossie filosofiche» 1 (ksb 8, p. 417; efn v, p. 731). La lettera prosegue:
Contiene molti giudizi sul presente, su pensatori, scrittori etc. L’ultimo
capitolo s’intitola Scorribande di un inattuale; il primo Sentenze e strali.
Nel complesso molto sereno [heiter], nonostante giudizi assai severi [...].
Altri capitoli, a parte quelli or ora citati: Il problema di Socrate; La “ragione”
nella filosofia. Come il “mondo vero” finì per diventare favola. Morale come
contronatura. I quattro grandi errori. I “miglioratori” dell’umanità. Si tratta di vere e proprie osservazioni psicologiche [psychologica] e di ciò che è più
sconosciuto e più fine. (– Ai Tedeschi vengono dette alcune verità, in particolare verrà motivata la scarsa opinione che ho della spiritualità dei Tedeschi del Reich) (ksb 8, p. 417; efn v, pp. 731 s., trad. mod.).
È da questi contrasti che anche il Crepuscolo nella sua versione poi
data alle stampe trae gran parte della sua incisività. Accade in esso qualcosa di simile a ciò che Nietzsche osservava, nella Prefazione per la seconda edizione dell’opera, rispetto alla Gaia scienza: il
confronto serrato e impavido con i problemi filosofici più profondi, più gravi e più inquietanti, è compiuto con spirito leggero, libero, perfino lieto, e il registro stilistico dell’opera è il primo ambasciatore di questa ritrovata, restituita serenità. La Heiterkeit, la
serenità gioiosa che apre la Prefazione al Crepuscolo e che si contrappone alla serietà pesante di cui si circonda il compito della
Trasvalutazione, apriva già il quinto libro della Gaia scienza, coe-
11
vo della citata Prefazione alla seconda edizione (1886), e denotava
la leggerezza della liberazione, la «nuova aurora» di «riconoscenza, di meraviglia, di presagio, d’attesa» dopo la morte di Dio – la
ritrovata capacità, per gli uomini della conoscenza, di navigare in
mare aperto, di prendere dei rischi inediti (fw 343).
Un altro aspetto del suo Ozio che Nietzsche enfatizza, e che pare considerare di una certa importanza nell’ottica propedeutica di
cui si diceva, è la sua relativa «attualità», cioè il fatto che in esso
non si attacchino soltanto le eterne verità della metafisica, della filosofia e della morale – simboleggiate dagli idoli 2, che il martello
del filosofo fa vibrare e suonare cavi –, ma anche «idoli recentissimi, e perciò i più decrepiti», per esempio «“le idee moderne”»
(eh, Crepuscolo degli idoli 2). Il confronto con l’attualità della modernità ha luogo, in particolare, nel capitolo più ampio del Crepuscolo, che già nella prima stesura dell’Ozio recava il titolo, tra il
guerresco e il satiresco, di Scorribande di un inattuale. L’attualità della sezione si nutre dell’inattualità di colui che compie le proprie incursioni e le proprie imprese nel territorio della modernità,
smascherando alcuni dei più illustri protagonisti della cultura europea, criticando le istituzioni e i movimenti politici del suo tempo, smontando l’ingranaggio della psicologia dell’individuo moderno, rovesciando i valori della morale così come dell’arte della
décadence. Ma Nietzsche segnala ancora un’altra forma di attualità dell’Ozio nell’attacco ai suoi compatrioti, che nella versione finale del Crepuscolo costituirà un intero capitolo 3, consacrato appunto alle mancanze dei Tedeschi: «Dico le mie “galanterie” su
tutti i possibili pensatori e artisti europei contemporanei – senza contare che ai Tedeschi vengono dette in faccia le più implacabili verità in puncto* spirito, gusto e profondità» (lettera a Franz
Overbeck, 14 settembre 1888, ksb 8, p. 434; efn v, p. 749).
Già alla fine di settembre del 1888 l’Ozio di uno psicologo esce di
scena, e fa il suo ingresso il Crepuscolo degli idoli. Ovvero: come
si filosofa col martello 4. Alle osservazioni di Köselitz rispetto alla scelta del primo titolo 5, Nietzsche reagisce infatti precisandolo
e inasprendolo – soprattutto nel senso di un’altra «cattiveria contro Wagner» 6, il che, ritiene, probabilmente gli garantirà un maggiore ascolto (lettera a Köselitz, 27 settembre 1888, ksb 8, p. 443;
efn v, p. 759). Cambia anche in parte, e secondo la lettura suggerita dallo stesso Köselitz, la caratterizzazione dell’opera, che tende a
12
sua volta a prendere una nota insieme più battagliera e più sarcastica: «Quest’opera è già una dichiarazione di guerra su cento fronti,
con un lontano rimbombo sulle montagne; in primo piano molte
cose “allegre” [Lustiges], di quel genere di allegria [Lustigkeit] condizionata che mi è propria... Con questo scritto sarà quanto mai
facile constatare il mio grado di eterodossia, che in effetti non lascia pietra su pietra» (lettera a Overbeck, 18 ottobre 1888, ksb 8,
pp. 453 s.; efn v, pp. 768 s.). E a Georg Brandes, due giorni dopo:
«Questo scritto è la mia filosofia in nuce* – radicale 7 fino al crimine...» (20 ottobre 1888, ksb 8, p. 457; efn v, p. 772). Tutto fa
pensare che Nietzsche stesso, estremamente preso dalla produttività impressionante delle settimane tra il settembre e il novembre
del 1888, guadagni a poco a poco una distanza dal suo «piccolo»
scritto, e ne comprenda (e ne apprezzi) progressivamente la portata effettiva, l’incisività, l’equilibrio stilistico e di contenuto 8. Il 13
novembre Nietzsche annuncia a Overbeck che la stampa del libro
è terminata (ksa 8; efn v) 9. Il 25 comunica a Köselitz di averne ricevuto i primi esemplari e, di quello che era inizialmente concepito come un riposo e un divertissement filosofico nell’ambito dell’impresa
della Trasvalutazione, scrive: «Confesso che il Crepuscolo degli idoli mi sembra perfetto; non è possibile dire cose più decisive con maggiore chiarezza e delicatezza...» (ksb 8, pp. 488 s.; efn v, p. 804).
Il Crepuscolo, allora, è tutto questo insieme: ristoro e ozio di uno
psicologo che osserva e diagnostica, ma allo stesso tempo dichiarazione di guerra 10; esercizio di serenità e radicalità, di ironia e
polemica; compendio di eterodossie filosofiche e attacco a tutti gli idoli antichi e moderni, in cui la civiltà occidentale affonda
le sue radici. In Ecce homo, redatto a poche settimane di distanza dall’imprimatur al Crepuscolo, passando in rassegna la serie dei
propri scritti per portarne alla luce l’essenziale, Nietzsche ne scriverà: «Questo scritto di neppure 150 pagine, dal tono sereno [heiter] e fatale 11, un demone che ride» (eh, Crepuscolo degli idoli 1).
Verso una trasvalutazione di tutti i valori
La genesi del Crepuscolo si lega strettamente con la storia del progetto editoriale che Nietzsche porta avanti a partire dal 1884,
principalmente sotto il titolo di Trasvalutazione di tutti i valori.
13
Esso doveva costituire il compimento del suo pensiero filosofico,
quella «filosofia dell’avvenire» di cui Al di là del bene e del male
rappresentava il preludio. Nell’estate del 1886, sull’ultima pagina
di quest’opera viene in effetti annunciata la futura pubblicazione
di uno scritto che all’epoca recava il titolo La volontà di potenza.
Saggio di una trasvalutazione di tutti i valori, e nei quaderni dell’epoca si trovano una serie di indici che si riferiscono a un testo così
intitolato, suddiviso in un numero variabile di sezioni e il cui oggetto muta costantemente (pur assestandosi attorno ad alcuni temi principali, come quello della critica dei valori e della diagnosi
del nichilismo). Malgrado in quel periodo il progetto sembri prendere forma attorno a uno dei filosofemi più noti e discussi del pensiero di Nietzsche, nei due anni successivi si assiste a una serie di
cambiamenti che testimoniano quanto egli fosse incerto sul modo
in cui presentare il proprio pensiero maturo; un’incertezza, la sua,
che si risolverà con la decisione di mutare radicalmente la struttura dell’opera, eliminando il riferimento alla Volontà di potenza per dare invece maggiore importanza alla nozione di Trasvalutazione dei valori (negli ultimi indici assunta a titolo principale
del testo) 12. Il progetto trova così nuove articolazioni, assestandosi
nell’ultimo periodo su una struttura quadripartita, che a sua volta oscilla tra una divisione in capitoli e una in libri separati tra di
loro. All’interno di queste sezioni compaiono temi che si ritrovano nel Crepuscolo, come ad esempio la questione della «verità», il
problema della décadence, la critica ai valori morali consolidati 13.
Da quanto emerge dalle lettere di Nietzsche, il progetto editoriale avrebbe raggiunto una forma definitiva intorno al settembre del
1888 e di lì a poco sarebbe stato consegnato alle stampe il primo libro, ossia l’Anticristo 14. Se ne trova conferma dall’analisi dei quaderni, in cui ad esempio l’ultimo piano di un’opera intitolata La
volontà di potenza. Saggio di una trasvalutazione di tutti i valori
reca come data «ultima domenica del mese di agosto 1888» (18[17]
1888, ksa 13; ofn viii/3). In questo indice Nietzsche si concentra in
particolare sul punto di vista del «valore» e ritorna sull’idea di
scrivere una «storia del nichilismo europeo» che aveva lasciato da
parte nel periodo immediatamente precedente. Di lì a poco il piano viene però scartato e si assiste alla svolta decisiva per il nuovo
progetto editoriale: Nietzsche prepara un nuovo indice all’interno del quale organizza del materiale che era stato da lui elabora-
14
to nei mesi precedenti, mentre pensa a nuovi titoli per scritti a venire o per sezioni della sua opera principale. Questo indice si trova
in un foglio sparso del 1888, nella cui pagina esterna, per la prima
volta, si legge quale prova di titolo solamente «Trasvalutazione di
tutti i valori / di / Friedrich Nietzsche» (19[2] 1888, ksa 13; ofn
viii/3). All’interno compaiono invece alcune titolazioni che fanno
riferimento a un compendio della filosofia di Nietzsche e che, con
buona probabilità, potevano essere prove per scritti nati a margine
dell’opera che stava progettando (19[3] 1888); infine, dopo il nuovo
indice, si legge il titolo «Ozio / di uno psicologo / di / Friedrich
Nietzsche» (19[6] 1888, trad. mod.). I 12 capitoli in cui viene suddiviso il testo sono (19[4] 1888):
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
Noi Iperborei
Il problema di Socrate
La ragione nella filosofia
Come il mondo vero finì per diventare favola
Morale come contronatura
I quattro grandi errori
Per noi - contro di noi
Concetto di una religione della décadence Buddhismo e cristianesimo
Dalla mia estetica
In mezzo ad artisti e scrittori
Sentenze e strali.
Se si esaminano i manoscritti definitivi delle opere che Nietzsche
diede alle stampe nei mesi successivi (il Crepuscolo e l’Anticristo), si
può ricostruire il testo che egli aveva in mente con questa suddivisione. Ai numeri 2, 3, 4, 5, 6 e 12 del piano si trovano i titoli esatti di alcuni capitoli del Crepuscolo, mentre i temi al 10 e all’11 rientreranno nelle Scorribande di un inattuale. I titoli ai numeri 7, 8 e
9 si trovano infine cancellati alla testa dei primi quattro gruppi di
paragrafi del manoscritto dell’Anticristo. Montinari (1999, p. 160)
ne conclude che
le parti citate del Crepuscolo degli idoli e i primi 23 paragrafi dell’Anticristo appartenevano dunque, originariamente, a uno stesso manoscritto, che
Nietzsche per un momento considerò come la Trasvalutazione di tutti i
valori. A questo punto Nietzsche decise di ridimensionare ulteriormente
il suo programma rispetto al piano del 26 agosto 1888 [...], tolse i capitoli 1,
7, 8, 9 dal manoscritto per riservarli a un’opera sul cristianesimo [...], e da
15
quello che rimase compose un “compendio” della sua filosofia (prima intitolato Ozio di uno psicologo, poi Crepuscolo degli idoli).
Le vicende del progetto letterario della Volontà di potenza non terminano però a questo punto. Nel settembre del 1888 Nietzsche
pensa a un’opera in quattro volumi, intitolata Trasvalutazione dei
valori e la cui prima parte sarebbe stata intitolata L’anticristo. Nei
piani successivi egli mantiene questa titolazione, modificando in
vario modo la struttura del testo. Nel complesso, comunque, il
contenuto della nuova opera non si allontana dai temi che intendeva sviluppare nei piani precedenti, a riprova del fatto che nelle
intenzioni di Nietzsche il nuovo progetto editoriale era destinato
a soppiantare quello precedente e non si poneva come a esso alternativo. Le annotazioni elaborate nei mesi in cui pensava alla Volontà di potenza diventano così il materiale per l’Anticristo, mentre il Crepuscolo raccoglie quello che resta inutilizzato nel nuovo
progetto. Tutto questo sembra trovare compimento il 30 settembre 1888, data che assume per Nietzsche un valore simbolico e che
compare sia nella Legge contro il cristianesimo che chiude l’Anticristo, quale «giorno della salvezza, primo giorno dell’anno uno», sia
in calce alla Prefazione del Crepuscolo, per l’appunto a indicare il
«giorno in cui fu terminato il primo libro della Trasvalutazione
di tutti i valori». Per quanto capitale sia questa data, il testo concluso costituisce solo il primo di quattro volumi.
Nietzsche continua così a lavorare al suo progetto e nei quaderni si
trovano alcune annotazioni relative a un altro libro della Trasvalutazione, intitolato «L’immoralista» 15. La preparazione di questo testo ha però vita breve: viene interrotta dalla stesura di Ecce
homo per essere poi definitivamente abbandonata nelle settimane a venire. In una lettera a Brandes del 20 novembre 1888, infatti, Nietzsche dichiara di avere scritto tutta la Trasvalutazione, che
egli identifica con l’Anticristo (ksb 8; efn v). Pochi giorni dopo comunica la cosa anche a Paul Deussen: «La mia vita giunge ora al
suo culmine: ancora un paio d’anni e la terra tremerà come per
una folgore immane. [...] La mia Trasvalutazione di tutti i valori,
che ha come titolo principale “l’Anticristo”, è pronta» (26 novembre 1888, ksb 8, pp. 491 s.; efn v, p. 807). Nell’ultimo frontespizio per la stampa «Trasvalutazione di tutti i valori» compare
infatti come sottotitolo dell’Anticristo, salvo poi essere cancellato
16
all’ultimo momento, sostituito da «Maledizione del cristianesimo». Questa correzione costituisce l’ultimo capitolo del progetto
letterario che Nietzsche stava portando avanti da oltre quattro anni, la cui storia conosce dunque finalmente – oltretutto alla vigilia del crollo mentale di Nietzsche – un punto di arrivo (per quanto non sia possibile dire con certezza se sarebbe stato il definitivo).
“Verità” e fede metafisica
Il Crepuscolo degli idoli si inserisce dunque nel ben preciso contesto della definitiva resa dei conti di Nietzsche con la tradizione filosofica che lo ha preceduto, al fine di preparare il terreno per la
sua nuova proposta filosofica. Più precisamente, con il Crepuscolo
Nietzsche intende esporre con tutta la chiarezza possibile una sintesi dei presupposti fondamentali di questa proposta, sia in senso
critico che in senso speculativo. Se ne comprende già come il nuovo libro sia tutt’altro che una raccolta di materiale rimasto inutilizzato, priva di una struttura portante; al contrario, come si avrà
modo di mostrare nel commento al testo, le sezioni che lo compongono rispondono a una precisa logica di argomentazione. Esse
rappresentano vari, cumulativi aspetti del confronto di Nietzsche
con il pensiero occidentale e con le articolazioni storiche della prospettiva «metafisica» che lo ha caratterizzato a partire da Platone, il cui pensiero, come Nietzsche mostra nel Crepuscolo, era a
sua volta radicato nella razionalità socratica. Da questo confronto con la tradizione emergono alcuni nodi fondamentali, alcuni
“punti cardinali” su cui si regge la struttura del Crepuscolo. Uno
di essi è il tema della “verità”, del «mondo vero», che costituisce
l’ambito stesso di definizione del regno della metafisica (per come
Nietzsche la intende).
La centralità di questa nozione è evidente, per esempio, da quanto Nietzsche scrive in Ecce homo in merito al Crepuscolo: nel presentare il testo, egli spiega che «ciò che nel titolo viene chiamato idolo è semplicemente ciò che fino ad oggi si chiamava verità.
Crepuscolo degli idoli – in altre parole: è finita con la vecchia verità» (eh, Crepuscolo degli idoli 1) 16. La struttura dell’opera conferma quest’interpretazione. La celebre sezione dedicata a Come il
“mondo vero” finì per diventare favola occupa un posto centrale nel
17
Crepuscolo: essa chiude una riflessione sui caratteri della razionalità, che è a sua volta preliminare alle successive considerazioni sulle
specifiche articolazioni dell’ideale metafisico. Questa schematica
ricostruzione delle tappe fondamentali del pensiero occidentale, che termina con una dissoluzione della distinzione platonicokantiana tra cosa in sé e apparenza, è il punto di arrivo di una riflessione che Nietzsche portava avanti da molti anni e che era sorta
dalle sue considerazioni giovanili sulla teoria della conoscenza.
La tematizzazione del problema della “verità” accompagna l’intera produzione di Nietzsche, e assieme a essa evolve. Una sua articolazione originaria può essere rintracciata già nello scritto postumo Su verità e menzogna in senso extramorale, in cui Nietzsche
sistema le prime compiute considerazioni relative alla questione
del linguaggio. Egli connette le posizioni schopenhaueriane sulla
conoscenza umana come «mezzo di conservazione dell’individuo
e della specie» (Il mondo come volontà e rappresentazione i, § 27)
con la teoria di Gustav Gerber, ricavandone la ben nota definizione dell’attività intellettiva come produzione di «metafore» (wl,
ksa 1; ofn iii/2) 17. L’idea di fondo, non ancora compiutamente
sviluppata, è che l’uomo intervenga sul mondo in maniera creativa, e che la conoscenza sia un’operazione artistica, estetica, di produzione di forme a partire da un materiale caotico che richiede di
essere ordinato per poter essere gestito. Nell’ambito del suo agire
comunicativo, l’uomo si serve dunque di un’“interpretazione” della realtà percepita, un’“illusione” di verità, che però, in ragione del
suo valore fondamentale per la vita, viene scambiata con quest’ultima 18. Nietzsche non dà immediatamente seguito a questa sua
prima intuizione: per formularla in maniera più compiuta egli ha
ancora bisogno di un fondamento più stabile, che trova di lì a poco nelle pagine dell’altro testo che, assieme agli scritti di Schopenhauer, rappresentò il principale stimolo alla sua riflessione filosofica: la Storia del materialismo di Friedrich A. Lange 19. In questo
testo, ricchissimo di spunti e di sollecitazioni, Nietzsche trovò una
trattazione della fisiologia della percezione che insiste sull’attività
di selezione propria degli organi di senso rispetto agli stimoli provenienti dal mondo esterno. La teoria della conoscenza di Lange
rafforzò quindi l’idea di Nietzsche, secondo cui il referente della descrizione umana del mondo non è altro che l’insieme delle
stesse creazioni dell’uomo, che non devono, pertanto, essere con-
18
fuse sul piano teoretico e gnoseologico con la realtà delle cose 20.
Ci si muove così in direzione della teoria della conoscenza che
Nietzsche svolgerà in alcuni aforismi di Umano, troppo umano, in
cui il carattere metaforico della descrizione linguistica del mondo lascia il posto alla sua costitutiva “erroneità”. Presupponendo
un intervento attivo degli organi percettivi sulla realtà, Nietzsche
arriva a considerare ogni atto conoscitivo come una fondamentale
“falsificazione” del mondo, da cui consegue che la nozione di “verità” possa essere valutata solamente a partire da una valutazione
relativa (e pragmatica) tra le molteplici determinazioni erronee 21.
Il mondo fenomenico non sarebbe dunque nient’altro che la «rappresentazione del mondo fabbricata con errori intellettuali e tramandataci in eredità», un quadro che l’uomo stesso ha dipinto,
ma che non sa riconoscere come sua produzione (ma 16).
È in questo contesto che Nietzsche riflette per la prima volta sulla
distinzione tra fenomeno e cosa in sé e, stimolato anche dalla lettura di Denken und Wirklichkeit di Afrikan Spir 22, muove oltre il
suo padre filosofico:
Mentre Schopenhauer afferma che il mondo della rappresentazione dà a
riconoscere nei tratti della sua scrittura l’essenza dell’esistenza, logici più
rigorosi hanno negato ogni connessione tra l’incondizionato, il mondo
metafisico e il mondo conosciuto: sicché nell’apparenza non apparirebbe affatto la cosa in sé. [...] Noi abbiamo avvolto l’apparenza negli errori,
anzi l’abbiamo intrecciata con essi in modo che nessuno più può pensare
il mondo dell’apparenza separato dagli errori. Dunque: le cattive, illogiche abitudini, che l’intelletto eredita fin dalla nascita, hanno aperto tutto
quell’abisso tra cosa in sé e apparenza: questo abisso sussiste solo in quanto sussistono il nostro intelletto e i suoi errori (23[125] 1877, ksa 8 = 23[88]
1877, ofn iv/2).
L’idea che la scissione del mondo in due ambiti di realtà sia riconducibile all’elaborazione concettuale umana torna in maniera esplicita nelle pagine di Umano, troppo umano, collegata ancora più profondamente alla questione del linguaggio. Secondo
Nietzsche, «l’uomo pose mediante il linguaggio un proprio mondo accanto all’altro» e «in quanto ha creduto per lunghi periodi
di tempo nelle nozioni e nei nomi delle cose come in aeternae veritates*, […] ha acquistato quell’orgoglio col quale si è innalzato al
di sopra dell’animale: egli credeva veramente di avere nel linguaggio la conoscenza del mondo» (ma 11). La funzionalità del lin-
19
guaggio, la sua utilità ai fini dell’orientamento conoscitivo all’interno del mondo, e il conseguente vantaggio che esso determina
per l’animale uomo (fw 110-111), hanno fatto sì che crescesse la fiducia dell’essere umano nelle proprie potenzialità esplicative, fino
al punto in cui una semplice costruzione logica è scambiata per la
determinazione dell’essenza stessa della realtà.
Si tratta di una posizione teoretica che Nietzsche sosterrà a lungo, e che costituisce di fatto il fondamento della sua critica matura al pensiero metafisico. Come suo solito, nel corso degli anni
Nietzsche rielabora e raffina le proprie riflessioni, ribadendo comunque il carattere erroneo della conoscenza umana e parlando
della creazione di un «altro mondo» (fw 151) o di un «mondo
dietro al mondo» (za, Di antiche tavole e nuove), per arrivare progressivamente alla terminologia che caratterizzerà il Crepuscolo 23.
Che l’origine del «mondo vero» sia riconducibile alle riflessioni
giovanili lo mostra in modo particolare una nota del 1888, che tocca questioni poi fatte oggetto della sezione La “ragione” nella filosofia 24, muovendo dalla medesima distinzione tra piano logico e
ontologico di cui si è detto:
Il traviamento della filosofia è dovuto al fatto che, invece di vedere nella logica e nelle categorie di ragione dei mezzi per accomodare il mondo
a fini utilitari (e dunque “in linea di principio” per un’utile falsificazione),
si è creduto di avere in loro il criterio della verità ovvero della realtà. Il
“criterio della verità” era di fatto solo l’utilità biologica di un tale sistema
della falsificazione per principio; e poiché una specie animale non conosce
niente di più importante del conservarsi, era effettivamente lecito parlare qui di “verità”. L’ingenuità è stata solo di prendere come misura delle cose, come criterio del “reale” e dell’“irreale” l’idiosincrasia antropocentrica; insomma di rendere assoluto qualcosa di condizionato. E guarda un
po’, ecco che il mondo si spaccò improvvisamente in un mondo vero e in
un mondo “apparente”; e proprio il mondo, per abitare e stabilirsi nel quale l’uomo aveva inventato la sua ragione, proprio quello gli venne discreditato (14[153] 1888, ksa 13; ofn viii/3).
La questione teoretica relativa all’intervento (sia percettivo che
razionale) dell’uomo sulla realtà esterna costituisce la base della determinazione del «mondo vero» di cui Nietzsche parla negli ultimi anni ottanta, ma non ne esaurisce i caratteri. La scelta
di adottare la nuova terminologia, parlando appunto di «mondo vero» e «mondo apparente» dove in precedenza erano state
20
adottate altre denotazioni, mostra come Nietzsche fosse giunto a
un altro stadio della formulazione della stessa problematica, e che
quindi, pur collegandosi a una riflessione precedente, egli intenda
proporne alcuni nuovi aspetti.
Nel corso degli anni, la nozione di “verità” aveva assunto per
Nietzsche un significato più profondo, che toccava in modo particolare la questione del valore, e si era così estesa dalla sfera teoretica a quella morale. Grazie a questo spostamento di piano, essa
aveva assunto una rilevanza particolare, in quanto luogo di riflessione privilegiato per sviscerare la questione stessa della metafisica,
cioè dell’idea fondamentale del pensiero occidentale (platonicocristiano) 25. Questa centralità emerge in modo particolarmente
forte in una sezione della terza dissertazione della Genealogia della morale, in cui Nietzsche affronta la questione dell’ideale ascetico e della possibilità di un affrancamento da quest’ultimo. La «fede nell’ideale ascetico», in particolare, viene definita da Nietzsche
come «la fede in un valore metafisico, nel valore in sé della verità,
quale solo quell’ideale garantisce e convalida»:
Manca una coscienza di quanto la stessa volontà di verità abbia prima bisogno di una giustificazione, ecco una lacuna in ogni filosofia. – donde
deriva ciò? Dal fatto che l’ideale ascetico è stato fino ad oggi padrone di
ogni filosofia, dal fatto che la verità è stata posta come essere, come Dio,
come la stessa istanza suprema, dal fatto che non era in alcun modo lecito alla verità essere problema. Si intende questo “era lecito”? – A partire dall’istante in cui la fede nel Dio dell’ideale ascetico è negata, esiste anche un nuovo problema: quello del valore della verità. – La volontà di verità
ha bisogno di una critica – con ciò determiniamo il nostro proprio compito –, in via sperimentale deve porsi una volta in questione il valore della verità (gm iii 24).
La realizzazione di questo obiettivo è evidentemente fondamentale per la filosofia matura di Nietzsche: si tratta di lavorare alla liberazione dal vincolo che impedisce all’uomo di passare a un livello superiore di esistenza. All’inizio del paragrafo della Genealogia,
in particolare, è in questione la dimensione dello «spirito libero»,
la cui realizzazione passerebbe appunto per l’abbandono della fede nella verità e, con essa, dei valori metafisici. Nelle conseguenze di questo abbandono sta la pregnanza della proposta filosofica
del Nietzsche maturo: esso non viene rappresentato in senso negativo, nei termini di una perdita che lasci un vuoto incolmabile
21
per l’uomo; al contrario, la messa in questione della fede nella verità comporta il superamento della dipendenza da essa, e quindi l’apertura di un orizzonte di creazione non più condizionato
da vincoli esterni, che paradossalmente erano determinati dalla
pretesa dell’esistenza di un alcunché di incondizionato 26. Il sentimento che accompagna questa apertura è la Heiterkeit, la «gioiosa serenità» che Nietzsche evoca nella Prefazione del Crepuscolo e sotto la cui insegna si apre il quinto libro della Gaia scienza,
testo cui Nietzsche fa esplicito riferimento nella Genealogia della morale (iii 24), per rendere più comprensibili le proprie osservazioni 27. Egli cita un passo di fw 344 («In che senso anche noi siamo ancora devoti»), che è un appello all’affrancamento teoretico
dalla «fede metafisica», proprio nell’ambito di quella scienza che
dovrebbe costituire uno spazio scevro dalla dipendenza da principi assoluti:
L’uomo verace, in quel temerario e ultimo significato con cui la fede nella scienza lo presuppone, afferma con ciò un mondo diverso da quello della vita, della natura e della storia; e in quanto afferma questo “altro mondo”, come? non deve per ciò stesso negare il suo opposto, questo mondo, il
nostro mondo? [...] È pur sempre una fede metafisica quella su cui riposa la
nostra fede nella scienza – anche noi, uomini della conoscenza di oggi, noi
atei e antimetafisici, continuiamo a prendere anche il nostro fuoco dall’incendio che una fede millenaria ha acceso, quella fede cristiana che era anche la fede di Platone, per cui Dio è verità e la verità è divina... Ma come è
possibile, se proprio questo diventa sempre più incredibile, se niente più si
rivela divino, salvo l’errore, la cecità, la menzogna – se Dio stesso si rivela
come la nostra più lunga menzogna? (gm iii 24, cfr. fw 344)
Con questa citazione del suo scritto, Nietzsche chiarisce ulteriormente il senso della sua critica alla nozione di “verità” e prepara il
contesto entro cui si inscrive la riflessione del Crepuscolo. La presa di posizione nei confronti di una nozione privata dell’assolutezza che le viene tradizionalmente attribuita è la postura propria di
chi voglia veramente dirsi «ateo e antimetafisico» e voglia muovere verso un più adeguato concetto di “conoscenza”, inteso non
più come un ricondurre ciò che è ignoto a qualcosa di noto, ma
piuttosto come la messa in questione proprio di ciò che si ritiene
essere massimamente noto, perché quello «è l’abituale, e l’abituale
è il più difficile a “conoscere”» (fw 355). La nuova postura da adottare nei confronti della “verità” resta però sullo sfondo della porta-
22
ta della critica di Nietzsche a questa nozione, che nel passo in oggetto emerge in maniera ben più evidente come critica a Platone,
alla metafisica che egli ha prodotto, e quindi all’intero sistema di
pensiero occidentale. Una critica che non si ferma alla contestazione di questi singoli elementi, ma mira alla struttura stessa che
li contiene: l’obiettivo di Nietzsche, come emerge nel Crepuscolo,
è il superamento del dualismo che la stessa scienza continuamente
ripropone, semplicemente sostituendo i termini in gioco. La messa in questione della “verità” è allora la messa in questione di una
modalità concettuale e gnoseologica, un cambiamento complessivo che investe il soggetto stesso del conoscere, oltre a rendere possibile, a seguito della distruzione, una fase creativa compiutamente non-metafisica. Condizione ne è che si faccia riferimento a una
nuova nozione di verità, la quale ammetta il condizionamento come suo principio fondamentale, e non pretenda di avere un valore assoluto. Una verità, questa, che è prima di tutto processualità,
un’espressione della «volontà di potenza» come principio dinamico antitetico alla determinazione di una «cosa in sé» 28.
Il carattere che Nietzsche attribuisce alla “verità”, facendo di essa il nucleo portante della metafisica occidentale ed evidenziando il fatto che esso sia un principio di assolutezza privo di un fondamento solido, rende dunque evidente quale sia l’obiettivo che
egli si prefigge di realizzare con il Crepuscolo, quel «compito, che
è un destino» (ein Schicksal von Aufgabe) di cui fa menzione nella
Prefazione dell’opera. L’«auscultazione degli idoli» consiste nella messa in questione delle antiche verità, in un’analisi che ne riveli la vacuità interna, l’inconsistenza ontologica che è loro costitutiva 29: è un’operazione che, di conseguenza, permette di liberare
il campo per la nuova determinazione dei valori che Nietzsche ha
in mente.
La questione della décadence
Nella Prefazione al Caso Wagner, Nietzsche scrive qualcosa che
non v’è ragione plausibile per mettere in discussione: il problema
della décadence è ciò che lo ha occupato nella maniera più profonda. E aggiunge perfino che il problema di bene e male, quel problema della morale che noi usiamo riconoscere come il tema distinti-
23
vo della sua filosofia, non è altro che una «Spielart» del problema
della décadence 30. Esistono per Nietzsche, dunque, non soltanto
un fenomeno, non soltanto un’epoca, non soltanto delle manifestazioni, ma un vero e proprio problema della décadence. Un problema per la conoscenza, un problema per l’azione – in una parola, un problema per la filosofia come Nietzsche la intende: come
un’attività critica avente una portata trasformativa, come quel lavoro della mente che si gioca tra sapere storico, capacità analitica e
riflessività autocritica, e che è capace di modificare aspetti fisiologici e psicologici di chi la pratica.
Che senso hanno quei concetti ausiliari della morale, “anima”, “spirito”,
“libero arbitrio”, “Dio”, se non quello di rovinare fisiologicamente l’umanità?... Non trattare più con serietà l’autoconservazione, l’incremento della forza del corpo, cioè della vita, farsi dell’anemia un ideale, costruirsi la
“salvezza dell’anima” con il disprezzo del corpo, che altro sarebbe questo
se non una ricetta per la décadence? – La perdita del centro di gravità, la resistenza agli istinti naturali, in una parola l’“altruismo” – questo si è chiamato finora morale... (eh, Aurora 2).
La maggior parte dei contemporanei di Nietzsche rileva e afferma in maniera accorata il fatto che la décadence sia prima di tutto
il tratto distintivo della civiltà europea del tardo xix secolo. Una
sorta di crisi epocale, di esaurimento e stanchezza, di disgregazione – un evento manifesto, a tratti sorprendente, che pone di fronte a questioni inaudite sul futuro delle culture occidentali.
Nella letteratura e nella critica contemporanee a Nietzsche, con le
quali egli si confronta assiduamente a partire dai primi anni ottanta, il termine décadence ha una molteplicità di occorrenze, corrispondenti ai molti aspetti diversi di uno stesso sentire: può indicare lo scadimento della letteratura nel puro esercizio di abilità
stilistica; la sperimentazione di generi artistici sfociante nella loro confusione; la presenza di temi macabri o scabrosi, oppure della
depravazione nell’arte; la percezione netta della deriva nichilistica
della civiltà europea, della «morte di Dio». I critici della décadence
sono perciò mossi da preoccupazioni insieme psicologiche, morali,
sociali ed estetiche.
È a seguito della lettura degli Essais de psychologie contemporaine
di Paul Bourget, alla fine del 1883, che Nietzsche inizia a occuparsi
assiduamente della questione della décadence 31. In questo periodo,
24
Nietzsche le attribuisce un’accezione quasi identica a quella assegnatale dal critico francese: un fenomeno avente una portata prevalentemente estetica, la disgregazione dello stile, l’ipertrofia del
particolare e del dettaglio, che prendono il sopravvento sulla totalità dell’opera. Fin da questa prima tematizzazione, Nietzsche riconoscerà nel melodramma wagneriano la manifestazione esemplare dell’arte della décadence (come è ancora più che evidente
negli ultimi scritti polemici contro Wagner 32).
A partire dalla fine del 1886, la metafora impiegata da Bourget 33
per rappresentare lo stile della décadence – quella di un organismo
che perde di coesione, in cui le parti cominciano a operare in maniera indipendente dal tutto – diventa, per Nietzsche, lettera: la
décadence in arte è una delle molte manifestazioni che corrispondono a uno stato fisiologico, in cui viene a mancare la coordinazione tra le diverse parti dell’organismo 34. In questo senso, il concetto di décadence fisiologica è coerente con l’idea nietzscheana della
pluralità delle istanze vitali nell’organismo 35. Décadence diviene
per Nietzsche il termine 36 per indicare una condizione patologica dell’organico (una disgregazione), avente una dimensione fisiologica e psicologica; l’insieme di valori e di manifestazioni che da
questa condizione derivano; infine, il fenomeno storico caratterizzante la fine del xix secolo, e la cui genealogia è da far risalire molto indietro nella storia della civiltà occidentale.
Sintomo di salute fisiologica è la capacità di coordinazione e di gestione delle forze, di “digestione” delle esperienze 37, di modulazione degli stimoli e delle reazioni a essi 38. Una carenza di forza
organizzativa è già décadence, è già minaccia di disgregazione, di
declino. Questo è il caso dell’illustre protagonista della seconda
sezione del Crepuscolo degli idoli – Socrate – il cui esempio è forse
il migliore per chiarire la continuità intrinseca, e non solo linguistica, tra le differenti accezioni di décadence. Discutendo il «problema» di Socrate, infatti, Nietzsche mostra la corrispondenza tra
lo stato patologico della forma di vita, sottoposta a un rischio capitale, e le soluzioni adottate per fargli fronte: la razionalità, la logica, la dialettica 39, come rimedi di emergenza alla sopravvenuta
incapacità di dominare i propri istinti, di trarne vantaggio. Psicologia e fisiologia, come è da attendersi nella filosofia matura di
Nietzsche, si corrispondono, ma a queste due prime dimensioni
della critica se ne aggiunge una terza: dalle sezioni successive del
25
libro risulterà con grande evidenza la continuità tra queste prime
“invenzioni” filosofiche, atte a tamponare uno stato di indigenza fisio-psicologica, e la patologia fondamentale insita nella forma
mentis occidentale, in particolare in quanto morale (cristiana) e filosofia metafisica. In questo senso, il Crepuscolo degli idoli è forse il
testo in cui la multidimensionalità del fenomeno della décadence,
come processo di evoluzione storica, fenomeno culturale epocale
che da esso risulta, infine come fenomeno fisiologico che può avere come non avere una dimensione filogenetica, viene alla luce con
maggiore chiarezza.
Nietzsche riconosce la continuità di questo fenomeno, fin dal sorgere della filosofia greca (gd, Quel che devo agli antichi 2) 40, in tutte le manifestazioni tendenti, anche in maniere apparentemente differenti, a conferire un primato all’universale immutabile sul
particolare mutevole, all’eterno sul divenire, alla verità sulla molteplicità delle prospettive, tendenti insomma a fissare (e idolatrare) il canone di un dover essere trascendente in contrapposizione
all’“imperfezione” della vita, nella quale bellezza e bruttezza, crescita e declino, dolore e gioia si fondono 41. Si tratta di una sorta di
necessità di controllo – come nel caso di Socrate – di ciò che non è
controllabile, una necessità che finisce per prendere il sopravvento
su ciò che intende controllare, e per rivestirlo di una forma di disprezzo: questo “qualcosa” è la vita stessa 42. In questo senso, tutto
ciò che può essere ricondotto alla struttura e alla configurazione
dell’ideale ascetico, a cui Nietzsche consacra la terza dissertazione
della Genealogia della morale, è una formula della décadence (eh,
Genealogia della morale; nw, Noi antipodi). Così, fenomeni eterogenei 43 come la religione cristiana – come sarà ancora più chiaro nell’Anticristo –, la filosofia kantiana e schopenhaueriana, l’imperativo dell’amore del prossimo, la morale dell’altruismo e della
compassione (gd, Scorribande di un inattuale 35 e 37), l’arte del
realismo francese, il romanticismo, l’idealizzazione della natura, le istituzioni liberali moderne (§§ 38, 39 e 41), l’ideale socialista ecc., sono profondamente accomunati da un fondamentale disprezzo per la vita, per il qui e ora, per il mondo «reale» (come
mostrato nel paragrafo precedente a proposito della concezione
della verità): la maggioranza degli ideali moderni è espressione di
questo disprezzo, profondo perché ormai radicato in una psico-fisiologia, quindi nascosto, invisibile direttamente, che richiede una
26
sensibilità di analisi e di indagine per essere ricostruito nel dettaglio della sua genealogia. Nella sezione del Crepuscolo dedicata alla
morale come «contronatura», prima di proporre la propria interpretazione dell’esistenza umana e del divenire, Nietzsche tira le seguenti conclusioni:
Quando parliamo di valori, parliamo sotto l’ispirazione, sotto l’ottica
della vita: la vita stessa ci costringe a porre valori, è la vita stessa a valutare attraverso di noi, quando poniamo dei valori... Ne segue che anche
quella morale che è una contronatura, la quale concepisce Dio come controconcetto e condanna della vita, è solo un giudizio di valore della vita –
quale vita? quale specie di vita? – Ma ho già risposto: della vita declinante,
indebolita, esausta, condannata. La morale, come è stata concepita finora – come infine è stata formulata da Schopenhauer in quanto «negazione della volontà di vivere» – è l’istinto della décadence* stesso, che fa di sé
stesso un imperativo: essa dice: «perisci!» – è il giudizio di un condannato... (gd, Morale come contronatura 5).
La décadence è, come ogni altra cosa, una manifestazione della vita. Ma, nella fattispecie, si tratta di una condizione in cui la vita si
rivolta contro sé stessa, adotta, per mezzo di processi di differente gittata, delle misure autocoercitive, per immobilizzare sé stessa. Alla base delle creazioni di valori che costituiscono la filosofia,
la religione, la morale dell’Occidente moderno sta una psicologia
specifica, un certo atteggiamento dell’essere umano nei confronti
della vita stessa che egli è; e questa psicologia è radicata a sua volta – senza che vi sia una discontinuità ontologica tra questi piani –
in una condizione fisiologica di stanchezza, di insicurezza, di perdita di energia. La disgregazione della forza del volere, la riduzione
dello spazio favorevole allo sviluppo della personalità, la dissoluzione della forza sintetica e creativa, la spersonalizzazione, il rifugio nel “nulla” della trascendenza – sono i caratteri fondamentali
della civiltà occidentale fin dalle sue origini, i sintomi della décadence che ne è al cuore.
Che si sia imparato a disprezzare gli istinti primari della vita; che si sia finta l’esistenza di un’“anima”, di uno “spirito”, per far andare in rovina il
corpo; che si sia imparato a considerare come qualcosa di impuro ciò che è
il presupposto della vita, la sessualità; che si sia andati a cercare il principio
del male nella profondissima necessità del crescere, nel rigoroso egoismo
(– e già la parola è una calunnia! –); e che, all’inverso, si sia visto un valore superiore, ma che dico! il valore in sé!, nei segni tipici del declino e della
27
contraddizione degli istinti, nel “disinteresse”, nella perdita del centro di
gravità, nella “spersonalizzazione” e nell’“amore del prossimo” (– morbo
del prossimo!)... E come! Sarebbe forse l’umanità stessa in décadence*? E
lo è stata sempre? – Resta sicuro che le hanno insegnato a considerare valori sommi solo i valori della décadence* (eh, Perché io sono un destino 7).
Del concetto di “disinteresse”, “rinnegamento di sé”, che è il vero segno
distintivo della décadence*, la fascinazione della rovina, il non-poter-piùtrovare-il-proprio-utile, l’autodistruzione, si è fatto il segno del valore in
generale, del “dovere”, del “sacro”, del “divino” nell’uomo! (eh, Perché io
sono un destino 8).
È così che anche il problema “morale” fondamentale della fine
del xix secolo, cioè quello del nichilismo, non può essere pensato separatamente da quello della décadence, nelle sue molteplici
dimensioni. In un importante contributo metodologico, Montinari (1992, p. 281) sottolinea giustamente il collegamento fondamentale che Nietzsche instaura fra quelli che appaiono come tre
differenti termini dello stesso problema: egli riconduce il pessimismo al nichilismo e il nichilismo alla décadence, di cui esso, secondo Nietzsche, non è tanto causa, quanto logica 44. Quello che
Nietzsche definisce come nichilismo passivo si distingue per una
consolatoria conservazione della forma dei valori perduti anche a
fronte del loro svuotarsi di ogni sostanza 45, per la ricerca di una
posizione di quiete e di sicurezza, per la mancanza del coraggio di
portare fino in fondo il processo in corso: è a questo che mira, specificamente, il grande progetto di una Trasvalutazione di tutti i
valori 46. È nel Crepuscolo degli idoli che Nietzsche affermerà, in
polemica contro i conservatori:
Non ci si può fare nulla: si deve andare avanti, voglio dire passo per passo più in là nella décadence* (– questa è la mia definizione del “progresso” moderno...). Si può ostacolare questo sviluppo e, ostacolandolo, arginare, raccogliere, rendere più veemente e improvvisa la degenerazione: non si
può fare di più (gd, Scorribande di un inattuale 43).
Lungi dallo stigmatizzare la décadence in maniera assoluta,
Nietzsche ne comprende invece il carattere connaturato alla vita 47. Non solo: egli vede come, una volta resa cosciente e compresa nella sua complessità come un modo di essere dell’umano, essa
offra un potenziale di creatività e di sensibilità che può essere impiegato, laddove ne sussistano le condizioni fisiologiche, per mutar-
28
ne il corso. È portando la décadence alle sue proprie estreme conseguenze che si può sperare di uscirne. Ma che cosa significa un
movimento del genere?
Nietzsche non si presenta soltanto come colui che può offrire una
risposta: egli è già la (o, almeno, una) risposta. Nella Prefazione al
Caso Wagner si incontra un’affermazione di enorme importanza,
che sarà ribadita anche in Ecce homo: Nietzsche stesso, esattamente come Wagner, è e sa di essere figlio del proprio tempo, cioè un
décadent. Ciò che lo distingue tuttavia dal décadent non è un’eterogeneità costitutiva, ma l’esito che la stessa radice fisiologica, psicologica, culturale ha avuto nella sua persona. Se egli può (nel senso, soprattutto, che è in condizione di) rappresentare un inizio dal
punto di vista filosofico, è perché egli lo è dal punto di vista fisiopsicologico. Nel notissimo passo di Ecce homo dedicato alla propria caratterizzazione, afferma: «Io sono un décadent: però ne
sono anche l’antitesi. E posso provarlo, per esempio: io ho scelto
sempre, per istinto, i rimedi giusti per i miei mali, mentre il décadent in sé sceglie sempre dei rimedi che lo danneggiano». Egli è
sano in quanto «summa summarum*», come dimostra la sua
comprovata capacità a guarirsi da solo: «Questo può riuscire [...]
soltanto a condizione di essere fondamentalmente sani» (eh, Perché sono così saggio 2) 48.
Questa natura “doppia”, complessa, dinamica, nella quale fasi di
esaurimento e di stanchezza fisio-psicologica si alternano a fasi di
ripresa e di vigore, è proprio ciò che conferisce a Nietzsche la capacità, unica e senza precedenti, di penetrazione del fenomeno della décadence, nella sua portata epocale, nelle sue sottigliezze, nelle
sue dissimulazioni e trasformazioni. Egli è lo smascheratore, l’investigatore, l’analista di un fenomeno di cui è parte, e proprio in
virtù del fatto che ne è parte. Quel che è ancora più importante
è questa capacità di fare di Nietzsche colui che è in condizione di
mettere in opera la propria impresa più complessa e decisiva, a cui
anche il Crepuscolo si riferisce, cioè la trasvalutazione dei valori.
Ancora in Ecce homo, si legge:
Per me, guarire vuol dire una serie di molti, troppi anni, – vuol dire purtroppo anche le ricadute, il deperimento e la periodicità di una sorta di
décadence*. A questo punto, devo ripetere ancora una volta che sono esperto in materia di décadence*. La ho compitata [buchstabiert] in ogni senso. Persino quell’arte della filigrana nel prendere e comprendere in gene-
29
re, quel tocco per le nuances*, la mia capacità psicologica di “vedere dietro
l’angolo” e quant’altro mi è proprio, io lo imparai allora; fu il vero dono
di quel periodo, in cui tutto si affinò in me, a cominciare dall’osservazione stessa e da tutti i suoi organi. Con ottica di malato guardare a concetti e valori più sani, o all’inverso, dalla pienezza e sicurezza della vita ricca
far cadere lo sguardo sul lavoro segreto dell’istinto di décadence* – questo è stato il mio più lungo esercizio, la mia vera esperienza, l’unica in cui,
se mai, sia diventato maestro. Ora è in mano mia, mi sono fatta la mano
a spostare le prospettive [Perspektiven umzustellen]: ragione prima per cui
forse a me solo è possibile una “trasvalutazione dei valori” (eh, Perché sono così saggio 1).
In conclusione, tutte queste considerazioni testimoniano della solidarietà intrinseca tra i temi del Crepuscolo, e più in generale della
filosofia nietzscheana dell’ultimo periodo: la questione della verità e della critica al pensiero metafisico occidentale; la lettura della
civiltà occidentale come processo di articolazione e di complessificazione di una décadence fondamentale, il cui fulcro è da individuare proprio nell’investimento sulla questione teoretico-morale
della verità; la portata lentamente sfibrante di questo investimento per tutte le energie vitali dell’umano, così come il segno del giudizio di valore rispetto alla vita che esso esprime; il compito della
trasvalutazione e di restituzione di dignità al divenire, al cambiamento, al gioco di creazione e distruzione che caratterizza la vita
stessa. Di questa ossatura filosofico-critica fondamentale il Crepuscolo è una manifestazione equilibrata, ricca, elegante, il cui fascino maggiore sta forse proprio nel gioco articolato, e immediatamente apprezzabile, dei rimandi tematici interni – così come dei
richiami alle opere precedenti e successive, presenti come una costellazione attorno a un esercizio filosofico di serenità e insieme di
estrema acutezza diagnostica.
Note
1. Questo commento viene ribadito da Nietzsche nella lettera a Franz
Overbeck del 14 settembre 1888, in cui egli scrive dell’Ozio che «per
me ha molto valore perché esprime la mia fondamentale eterodossia filosofica nella forma più breve (forse anche più ingegnosa)» (ksb 8, p. 434;
efn v, p. 749). Anche nella lettera a Georg Brandes del 13 settembre 1888
Nietzsche annuncia, a seguire di qualche mese il Caso Wagner, «qualcosa
30
di filosofico» (ksb 8, p. 420; efn v, p. 734), e a Reinhard von Seydlitz scrive
lo stesso giorno: «Alla fine dell’anno verrà pubblicata un’altra mia cosa,
che presenta la mia filosofia nella sua triplice natura di lux*, nux* e crux*.
Il titolo riecheggia grazia e virtù: Ozio di uno psicologo» (ksb 8, p. 423;
efn v, p. 738).
2. Sugli «idoli eterni» cfr. infra, Prefazione e relativo commento.
3. Aggiunto già con la lettera del 18 settembre 1888 all’editore Naumann
(ksb 8, pp. 441 ss.; efn v, pp. 756 s.). Altre aggiunte al Crepuscolo vengono
ordinate da Nietzsche il 4 ottobre dello stesso anno.
4. Per un approfondimento sulla questione della caratterizzazione del
Crepuscolo da parte di Nietzsche, delle modificazioni del titolo progettato per esso, nonché sulla caratterizzazione del «martello» di cui in esso è questione, si veda Thatcher (1985). Specificando che la natura del
martello non è quella di un utensile di distruzione (su questo, cfr. anche
Kaufmann, 1981-82), Thatcher (1985, pp. 257 ss.) suggerisce di leggere il titolo del Crepuscolo come una diagnosi. Della questione si tratterà anche
oltre, nonché nel commento alla Prefazione.
5. Nella lettera a Nietzsche del 20 settembre 1888, Köselitz scriveva: «Il
titolo Ozio di uno ps<icologo> mi suona – se penso alla scarsa intelligenza
dei Suoi contemporanei – troppo modesto, troppo poco espressivo. Lei ha
portato la Sua artiglieria alle sue vette più alte, Lei ha i cannoni come finora non sono mai esistiti, e può anche sparare alla cieca, disseminando tuttavia il terrore per le bassure. Il passo [Gang] di un gigante che fa tremare le montagne dalle fondamenta non è più un ozio [Müssiggang]... Perciò
La prego – se mi permette – di trovare un titolo più vistoso, più brillante»
(kgb iii/6, p. 309; lt, p. 207).
6. Nietzsche gioca con il titolo dell’ultima opera del ciclo del Ring des
Nibelungen di Richard Wagner, cioè Il crepuscolo degli dei (Götterdämmerung). L’opera fu rappresentata per la prima volta il 17 agosto 1876 a
Bayreuth nell’ambito dei Festspiele, alla presenza di Nietzsche (cfr. Janz,
1978-79, vol. 1, cap. 18; eh, Umano, troppo umano 2).
7. Cfr. anche lettera a Meta von Salis, 14 novembre 1888; abbozzo di lettera a Hippolyte Taine, 8 dicembre 1888; lettera a Helen Zimmern, intorno
al 17 dicembre 1888 (ksb 8; efn v).
8. Nietzsche considera il Crepuscolo particolarmente adatto per introdurre la propria filosofia all’estero (cfr. cartolina all’editore Naumann, 20 dicembre 1888, ksb 8; efn v), e darle così quella diffusione che in Germania, fino ad allora, era stata per lui piuttosto deludente. Egli invia il testo a
Taine nel dicembre del 1888 (cfr. l’abbozzo di lettera dell’8 dicembre, ksa
8; efn v), augurandosi di poter essere tradotto in francese. Taine gli consiglia di rivolgersi a Jean Bourdeau, collaboratore della “Revue des Deux
Mondes” e del “Journal des Débats”, con cui Nietzsche corrisponde a partire dalla metà di dicembre. Nell’abbozzo di lettera del 17 dicembre gli
presenta così il Crepuscolo, per il quale propone il titolo francese Marteau
des idoles (cfr. su questo infra, commento alla Prefazione): «L’introduzione più rapida e approfondita ai miei pensieri», «radicale nel pensiero e au-
31
dace nella forma» (ksb 8, p. 534; efn v, p. 849). Attorno al 17 dicembre
scrive anche a Zimmern per accordi su una possibile traduzione inglese, e
le segnala di essere già in contatto con Bourdeau, così come fa anche nella
lettera ad August Strindberg del 18 dicembre (ksb 8; efn v).
9. Per la pubblicazione vera e propria si attende il 1889 (cfr. lettera a Naumann, 27 dicembre 1888, ksa 8; efn v).
10. È presentando il Crepuscolo a Zimmern e spiegandole che i suoi argomenti non hanno precedenti, che Nietzsche impiega l’espressione, resa celebre da Ecce homo, «non sono un uomo, sono dinamite» (intorno al 17
dicembre 1888, ksb 8, p. 537; efn v, p. 852).
11. Gli stessi aggettivi sono usati da Nietzsche, nella lettera a Overbeck
del 13 novembre 1888, per caratterizzare lo stile di Ecce homo, così come
«tutto quello che scrivo» (ksb 8, p. 470; efn v, p. 785).
12. Per una analisi critica del susseguirsi dei progetti editoriali di un’opera intitolata Volontà di potenza, che Nietzsche elaborò nei suoi quaderni
a partire dal 1885, si veda Montinari (1982, cap. 8, Nietzsches Nachlaß von
1885 bis 1888 oder Textkritik und Wille zur Macht). Una versione ridotta
di questo scritto è presente in ksa 14, pp. 383-400. Cfr. anche Montinari (1999, pp. 133-63).
13. Cfr., per esempio, 15[100] ss., 16[86], 18[17] e 19[8] 1888 (ksa 13; ofn
viii/3).
14. Cfr. le lettere a Köselitz, 12 settembre 1888 e a Overbeck, 14 settembre
1888 (ksb 8; efn v).
15. Cfr., per esempio, 23[4] e [5] 1888 (ksa 13; ofn viii/3).
16. Sul significato del termine «idolo» cfr. anche infra, Prefazione e relativo commento.
17. Il testo di Gerber letto da Nietzsche è Die Sprache als Kunst (2 voll.,
1871-72). Gerber fu un filosofo del linguaggio della seconda metà dell’Ottocento, oggi quasi dimenticato, che può essere collocato nella tradizione della linguistica romantica. Nietzsche utilizzò in particolare il
primo volume del testo di Gerber per un corso di retorica che tenne
a Basilea nel semestre invernale del 1872-73. Le note di questo periodo testimoniano la lettura di quel testo e l’assimilazione da parte di
Nietzsche di alcune tesi relative al carattere non finalizzato, artistico e
poetico della lingua, tesi che in seguito egli elaborò in maniera personale sino alle formulazioni contenute in wl. Secondo Behler (1992, p. 115)
«attraverso Gerber la filosofia del linguaggio di Nietzsche acquisì un
più marcato carattere di disciplina, determinato a partire dalla retorica, senza tuttavia perdere la sua base romantica». A proposito dell’influsso di Gerber sulla teoria del linguaggio del giovane Nietzsche, si
vedano Meijers, Stingelin (1988), Crawford (1988) e il già citato Behler
(1992, § 3).
18. «Le verità sono illusioni di cui si è dimenticata la natura illusoria»
(wl, ksa 1; ofn iii/2).
19. Cfr. Salaquarda (1978) e Stack (1983).
20. Cfr. su questo Gori (2009a, cap. 1, § 3.4) e Stack (1983, cap. 5).
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21. Questa posizione permane alla base della teoria della conoscenza di
Nietzsche, come si legge ad esempio in una nota del 1885: «La verità non
significa il contrario dell’errore, bensì la posizione di taluni errori rispetto
a taluni altri» (34[247], ksa 11; ofn vii/3). Sui principi dell’epistemologia
di Nietzsche e sulla tesi falsificazionista a essa collegata, si vedano in particolare Grimm (1977), Clark (1990) e Gori (2009a, cap. 1, § 3).
22. Cfr. su questo Green (2002) e D’Iorio (1993).
23. Per una trattazione più dettagliata della questione, si rimanda nuovamente a Gori (2009a, cap. 1, § 3 e cap. 3, § 2).
24. Per un ulteriore approfondimento delle questioni gnoseologiche sottese a questa sezione, cfr. infra, commento a essa relativo.
25. Su questo si veda in particolare Stegmaier (1985).
26. Cfr. Stegmaier (1985, p. 76).
27. L’altro luogo cui rimanda è la Prefazione di Aurora (scritta nel 1886),
in cui egli parla di un’indagine su «un’antica fede, sulla quale noi filosofi,
da un paio di millenni, eravamo soliti edificare come sul più sicuro fondamento [...]: la nostra fede nella morale» (m, Prefazione 2).
28. Cfr. quanto Nietzsche scrive nella nota postuma 9[91] 1887 (ksa 12;
ofn viii/2) e Stegmaier (1985, pp. 83 s.).
29. Cfr. Gori (2009a) e infra, commento alla Prefazione.
30. Le note postume del gruppo 11, ma soprattutto quelle dei gruppi 14
e 15 del 1887 e 1888, abbondano di annotazioni in cui Nietzsche si sforza
di ricondurre la maggior parte dei temi cruciali della propria filosofia alla
questione della décadence, come avremo modo di dire nel prosieguo. Corrispondentemente, tale questione giocherà un ruolo preponderante anche
in Ecce homo (si vedano, per esempio, le sezioni dedicate a opere quali Aurora e la Genealogia della morale).
31. Bourget pubblicò i suoi saggi critici – su autori quali Baudelaire, Flaubert, Taine, Stendhal, Renan, i Goncourt ecc. – inizialmente sulla Nouvelle Revue tra il 1881 e il 1885, poi nei due volumi degli Essais de psychologie contemporaine (1883) e Nouveaux essais de psychologie contemporaine
(1885, bn), che Nietzsche lesse entrambi, appena furono pubblicati. Anche le riviste alle quali Bourget collaborava (oltre alla “Nouvelle Revue”, il
“Journal des Débats” e il “Parlement”) gli erano familiari.
32. Cfr. soprattutto il Caso Wagner, in particolare i §§ 4, 5, 7 e 11.
33. La valenza multipla della presenza di Bourget sullo sfondo del Crepuscolo si evince anche dal già citato abbozzo di lettera a Jean Bourdeau, redatto attorno al 17 dicembre 1888, in cui Nietzsche richiama il progetto di
una traduzione francese della sua opera: «Consideri, stimato signore, se
il Crepuscolo degli idoli, un libro estremamente radicale nel pensiero e audace nella forma, non debba essere tradotto. Confesso che sarebbe per me
un grandissimo piacere – – – me stesso come un volume di Paul Bourget
(– uno spirito profondo e tuttavia non pessimista –) – – –» (ksb 8, p. 534;
efn v, p. 849).
34. Ancora in Ecce homo si leggerà: «Quando all’interno di un organismo il più piccolo organo tralascia, anche in minima misura, di provvede-
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re con totale sicurezza alla propria autoconservazione, al recupero della sua
forza, al suo “egoismo”, allora il tutto degenera [entartet]» (eh, Aurora 2).
35. Sull’idea nietzscheana di una pluralità di forze, per meglio dire: di
volontà di potenza nell’organismo vivente, si veda Müller-Lauter (1978)
che, oltre a fornire un’analisi dell’influenza dell’opera di Wilhelm Roux
sul pensiero di Nietzsche in merito a tali questioni, offre anche un’efficace presentazione della concezione fisiologica della pluralità autoregolativa delle volontà di potenza (cfr. infra, commento a Scorribande di un inattuale 44).
36. Montinari (1999, p. 155) scrive che nel termine décadence, che
Nietzsche inizia a usare con le tre accezioni qui elencate nella primavera
del 1888, «confluiscono tutte le manifestazioni del pessimismo, del nichilismo e del cristianesimo».
37. Cfr. gm iii 16: «Un uomo forte e ben riuscito digerisce le sue esperienze (incluse azioni e malefatte), come digerisce i suoi pasti, anche se deve ingollare amari bocconi. Se “non la fa finita” con una esperienza, questa
specie di indigestione è altrettanto fisiologica quanto ogni altra».
38. In una nota del 1888, dal titolo Per la storia del nichilismo, Nietzsche
elenca, tra gli stati tipici della décadence, quello in cui «si perde la forza
di resistenza agli stimoli, si è determinati dalle casualità: si ispessiscono e
si ingrandiscono le esperienze vissute fino a dimensioni smisurate... una
“spersonalizzazione”, una disgregazione della volontà» (17[6] 1888, ksa 13;
ofn viii/3).
39. Si veda anche eh, Perché sono così saggio 1.
40. Cfr. anche 14[99; 116; 129] e 23[3] 1888 (ksa 13; ofn viii/3).
41. Cfr. gd, La “ragione” nella filosofia 6: «Dividere il mondo in un mondo “vero” e in uno “apparente”, che sia alla maniera del Cristianesimo o
alla maniera di Kant (di un cristiano capzioso, in fin dei conti) è solo una
suggestione della décadence*, – un sintomo di vita declinante... Il fatto che
l’artista stimi maggiormente l’apparenza rispetto alla realtà non è un’obiezione a questa proposizione. “L’apparenza”, infatti, significa ancora una
volta la realtà, solo in una selezione, potenziamento, rettificazione... L’artista tragico non è un pessimista, – egli dice precisamente sì perfino a tutto ciò che è problematico e terribile, egli è dionisiaco...».
42. Cfr. 11[150; 227] 1887-88 (ksa 13; ofn viii/3).
43. Cfr. 15[32] 1888 (ksa 13; ofn viii/3) per una rassegna dei problemi della modernità che Nietzsche interpreta come dipendenti dalla questione
della décadence.
44. Cfr. 14[86] 1888 («il nichilismo non è una causa, ma solo la logica
della décadence») e 17[6] 1888 (ksa 13; ofn viii/3).
45. Cfr. 9[35] 1887 (ksa 12; ofn viii/2).
46. Cfr. i piani provvisori della Volontà di potenza, per esempio nella nota 14[156] del 1888 (ksa 13; ofn viii/3), in cui i capitoli analitico-critici sulla civiltà occidentale caratterizzano quest’ultima – nella morale, nella religione, nella psicologia – attraverso il concetto di décadence. Cfr. anche
15[101] 1888.
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47. Cfr., per esempio, 15[31] 1888 (ksa 13; ofn viii/3).
48. Cfr. anche eh, Perché sono così saggio 6. In una nota del 1888,
Nietzsche scrive, con riferimento alla propria reazione contro Wagner, a
cui si riferisce anche la Prefazione a ma: «L’energia della salute si rivela
nei malati con la brusca opposizione agli elementi morbosi... con una reazione dell’istinto, per esempio contro la musica, in me» (14[211] 1888, ksa 13;
ofn viii/3). In una nota precedente si trova scritto che il vigore di un organismo si misura su «quanta morbosità esso sappia prendere su di sé e superare – sappia trasformare in sanità. Ciò che rovinerebbe gli uomini più delicati fa parte degli stimolanti» (2[97] 1885-86, ksa 12; ofn viii/1).
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