CAPITOLO 2
LE MALATTIE DEL CUORE
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Le malattie che colpiscono il cuore (CARDIOPATIE) possono interessare le varie strutture che abbiamo appena descritto. Semplificando distingueremo pertanto:
- malattie che interessano primitivamente il muscolo cardiaco, ma di
cui non conosciamo le vere cause (MIOCARDIOPATIE IDIOPATICHE);
- malattie che interessano il muscolo cardiaco secondariamente: ad
esempio per valori di pressione arteriosa elevati (CARDIOPATIA
IPERTENSIVA), per abuso di alcolici (MIOCARDIOPATIA ALCOLICA), dopo un’infezione (MIOCARDITI) o come conseguenza di una
grave malattia dei polmoni (CUORE POLMONARE);
- malattie che colpiscono le valvole (VALVULOPATIE). Possono provocarne un restringimento (STENOSI), ostacolando il passaggio del
sangue; oppure impedirne una corretta chiusura (INSUFFICIENZA),
provocandone un cambiamento di direzione. Spesso entrambe queste alterazioni sono presenti nella stessa valvola (STENO-INSUFFICIENZA);
- malattie che colpiscono l’impianto elettrico o che alterano il normale battito cardiaco (ARITMIE);
- malattie che interessano il “sacco” che avvolge il cuore (PERICARDITI);
- i rari tumori del cuore (il più frequente è il MIXOMA);
- malattie che interessano le arterie coronariche (CARDIOPATIA
ISCHEMICA).
Quest’ultima è la malattia di cuore più frequente.
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LA CARDIOPATIA ISCHEMICA
Che cos’è la cardiopatia ischemica?
Ischemia significa ridotto apporto di sangue ad un tessuto. Un’ischemia può, infatti, interessare altri distretti, oltre al cuore: il cervello, il rene, gli arti inferiori, ecc...
Le coronarie, quando si ammalano, possono ridurre tale apporto di
sangue temporaneamente, provocando dei dolori al petto per alcuni minuti (ANGINA PECTORIS); oppure definitivamente, provocando dolori più prolungati, con conseguente danno irreversibile del
muscolo cardiaco (INFARTO MIOCARDICO). In quest’ultimo caso
le cellule morte verranno sostituite da una cicatrice, che ovviamente non sarà più in grado di contrarsi.
Molto spesso gli episodi ischemici decorrono senza causare disturbi
(ISCHEMIA SILENTE), ma possono venire evidenziati con particolari esami da parte del cardiologo (Test da sforzo, Holter, Ecocardio-
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gramma con stress farmacologico, Scintigrafia miocardica).
Qual è la malattia che colpisce le coronarie?
Tale malattia è l’ARTERIOSCLEROSI (o ATEROSCLEROSI, che dal
punto di vista pratico possiamo considerare sinonimi), cioè la perdita di elasticità della parete e la formazione di incrostazioni al suo interno, che ne riducono il diametro (STENOSI CORONARICHE).
Queste incrostazioni possono predisporre alla formazione di coaguli di sangue, detti TROMBI, che occludendo improvvisamente, in parte o totalmente, il vaso sanguigno, aggravano la malattia portando all’infarto; cioè alla morte di quelle cellule che non ricevono più l’ossigeno necessario al loro funzionamento.
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L’arteriosclerosi colpisce solo le coronarie?
No! Possono essere interessate le arterie presenti anche in altri tessuti: cervello, rene, arti inferiori, ecc…
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Qual è la causa dell’arteriosclerosi?
L’arteriosclerosi è una malattia in gran parte ancora sconosciuta. Tuttavia la ricerca scientifica ha permesso di individuare alcuni fattori che
possono facilitare la sua comparsa ed accelerarne l’aggravamento. Essi costituiscono i FATTORI DI RISCHIO e possono venire distinti in:
fATTORI DI RISCHIO NON MODIfICABILI
1) SESSO MASCHILE. I maschi vanno incontro più frequentemente
e più precocemente all’aterosclerosi.
2) ETÀ. Con l’avanzare dell’età aumentano le probabilità di ammalarsi. Le donne si ammalano circa 10 anni dopo gli uomini (protezione
esercitata dagli estrogeni), soprattutto dopo la menopausa.
3) FAMILIARITÀ e FATTORI GENETICI. La probabilità di ammalarsi aumenta se tra i propri familiari ci sono stati degli eventi cardiovascolari.
fATTORI DI RISCHIO MODIfICABILI
Sono più importanti perché su di essi possiamo agire per cercare di
prevenire o ritardare la comparsa della malattia:
1) IPERTENSIONE ARTERIOSA. È molto frequente e purtroppo
poco curata. Il paziente che ne è affetto abitualmente non accusa
nessun disturbo quindi o non sa di averla o è restio ad iniziare un
trattamento (“perché devo sottopormi a diete o assumere farmaci
se sto bene?”).
Niente di più sbagliato! È oramai ampiamente dimostrato che ridurre la pressione arteriosa con opportune modificazioni dello stile di
vita e con farmaci, riduce sensibilmente le complicanze e le morti
causate da questa malattia.
Quali sono i valori pressori normali?
Il rischio cardiovascolare inizia già da valori pressori di 115/75 mmHg
e si raddoppia per ogni aumento di 20/10 mmHg.
Le più recenti Linee Guida Europee pubblicate nel 2007 hanno de-
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finito pertanto come OTTIMALI i valori pressori INFERIORI a
120/80, mentre i valori superiori a 139/89 sono stati definiti come
IPERTENSIONE. Qualora la pressione arteriosa venga automisurata
a domicilio si parla di ipertensione per valori superiori a 135/85.Valori pressori intermedi, compresi tra 120 e 139 di sistolica e 80 e 89
di diastolica sono ancora considerati normali o normali-alti, mentre
per gli americani tali valori vengono considerati come PRE-IPERTENSIONE, valori cioè che necessitano di un intervento sullo stile
di vita per una adeguata prevenzione delle complicazioni cardiovascolari.
Infine bisogna sapere che nelle persone sopra i 50 anni valori pressori sistolici superiori a 140 mmHg sono un fattore di rischio più importante dei valori pressori diastolici.
CLASSIfICAZIONE DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA
Sistolica
Diastolica
Ottimale
Inferiore a 120
Inferiore a 80
Normale
120 - 129
80 - 84
Normale alta
130 - 139
85 - 89
Ipertensione 1° grado
140 - 159
90 - 99
Ipertensione 2° grado
160 - 179
100 - 109
Ipertensione 3° grado
Superiore a 179 Superiore a 109
Ipertensione sistolica isolata Superiore a 139 Inferiore a 90
Ipertensione automisurata Superiore a
Superiore a 85
a domicilio
130-135
TECNICA DI MISURAZIONE DELLA PRESSIONE ARTERIOSA
Il soggetto deve essere rilassato, in posizione comoda.
Lo strumento utilizzato si chiama sfigmomanometro: è costituito da
un bracciale che viene avvolto attorno al braccio del soggetto e mantenuto all’altezza del cuore. Possono essere utilizzate entrambe le
braccia, ma bisogna ricordare che qualora esistano differenze sensi-
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bili nei valori misurati nelle
due braccia, si dovrà utilizzare per la misura il braccio
con la pressione più elevata.
La misurazione può essere
manuale od automatica. Nel
primo caso bisogna utilizzare uno stetoscopio, cioè
uno strumento che permette di udire i rumori che sono generati dal passaggio
del sangue nell’arteria del
braccio. Lo stetoscopio è
appoggiato a livello dell’arteria brachiale, sopra la piega del gomito.
Contemporaneamente si palpa il polso radiale, cioè la pulsazione dell’arteria che passa a livello del polso, dallo stesso lato in cui si trova
il pollice.
A questo punto il bracciale viene
gonfiato sino alla scomparsa sia dei
rumori provenienti dallo stetoscopio che del polso radiale: in questo
momento la pressione del bracciale è superiore alla pressione arteriosa.
Successivamente si riduce lentamente la pressione del bracciale,
facendo uscire l’aria in esso contenuta. Quando la pressione sarà
uguale a quella arteriosa, un pò di
sangue riuscirà a passare nell’arteria producendo un rumore: il primo rumore udito chiaramente
corrisponderà alla PRESSIONE SI-
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STOLICA (detta anche “MASSIMA”). Riducendo ulteriormente la
pressione i rumori diventeranno inizialmente più intensi, quindi via via
più deboli: la completa scomparsa dei rumori corrisponderà alla
PRESSIONE DIASTOLICA (detta anche “MINIMA”). La pressione
viene quindi indicata con due valori, ad esempio 130/80: il primo valore è la sistolica, il secondo, la diastolica.
La pressione arteriosa viene osservata sul manometro, a colonna di
mercurio oppure ad aneroide (simile ad una sveglia), in quest’ultimo
caso deve essere tarato ogni sei mesi.
Se ti sembra troppo difficile misurare la pressione manualmente, con
lo stetoscopio (ci dev’essere sempre un breve periodo di apprendimento, soprattutto con l’aiuto di qualcuno che lo fa abitualmente),
puoi utilizzare un metodo automatico. Acquista comunque solo apparecchi clinicamente validati secondo i protocolli internazionali
delle società medico-scientifiche, quali AAMI, BHS o della Società
Europea dell’Ipertensione. Gli sfigmomanometri da polso sono spesso meno affidabili di quelli da braccio.
Quando e quanto spesso misurare la pressione arteriosa? Devono essere effettuate almeno due misurazioni successive e, se la pressione differisce di più di 5 mm Hg nelle due circostanze, si deve procedere con ulteriori misurazioni fino a che i valori misurati risultino
stabili.
Nel sospetto di un’ipertensione arteriosa o per valutare se la terapia è
efficace oltre alla misurazione dal proprio medico, molto utile è l’automisurazione domiciliare. In questo caso si consiglia di effettuare:
- 2 misurazioni al mattino (preferibilmente tra le 6 e le 9, prima dell’eventuale assunzione di terapia);
- 2 alla sera (preferibilmente tra le 18 e le 21);
- possibilmente tutti i giorni o per non meno di 3 giorni alla settimana,
per almeno 1 settimana (con un numero minimo di 24 misurazioni).
Per la verifica periodica è invece sufficiente un controllo settimanale.
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2) IPERCOLESTEROLEMIA. Può essere legata ad un’alterazione del
metabolismo di natura genetica o ad errori nella dieta. Si distingue un
colesterolo “buono” (HDL-colesterolo) che è lo “spazzino” delle
arterie, cioè quello che protegge le arterie dall’arteriosclerosi, ed un
colesterolo “cattivo” (LDL-colesterolo) che invece la favorisce.
Recenti studi hanno inequivocabilmente dimostrato che l’abbassamento del colesterolo, con alcuni farmaci, riduce la mortalità da cardiopatia ischemica e le sue complicanze, sia nei soggetti già affetti da
tale malattia (prevenzione secondaria) che in quelli ancora apparentemente sani (prevenzione primaria).
È chiaro tuttavia che una modifica dello stile di vita (alimentazione
corretta ed attività fisica regolare) può evitare, in molti casi, l’assunzione di farmaci.
In prevenzione primaria, cioè nei soggetti che non sono affetti da
un’aterosclerosi nota, i livelli “desiderabili” di colesterolo totale, secondo le più recenti linee guida, devono essere inferiori ai 190 mg/dl,
quelli di HDL-colesterolo superiori a 40 mg/dl per gli uomini e 50
mg/dl per le donne e quelli di LDL-colesterolo al di sotto di 115
mg/dl.
3) FUMO DI SIGARETTA. Sono oramai ampiamente noti gli effetti
nocivi del fumo: bronchite cronica, tumore del polmone ed aterosclerosi solo per citare i più importanti. Infatti, il fumo è un fattore di
rischio accertato o sospetto di oltre 25 diverse malattie e provoca
più morti di quelli legati all’alcool, all’AIDS, alle droghe illegali, agli incidenti stradali, ai suicidi e agli omicidi considerati assieme.
Il fumo di sigaretta è una miscela di oltre 4000 sostanze gassose e
corpuscolari che originano dalla combustione delle foglie di tabacco.
In particolare citiamo la nicotina (provoca lo spasmo delle arterie, aumenta la frequenza cardiaca e la pressione arteriosa), l’ossido di carbonio (si lega ai globuli rossi contrastando il trasporto dell’ossigeno)
il benzopirene ed altre sostanze cancerogene.
La quota di fumatori in Italia è andata diminuendo negli ultimi 25
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anni di oltre 12 punti percentuali. Ciò soprattutto a causa del decremento di fumatori tra gli uomini, mentre la percentuale di fumatrici è rimasta complessivamente stabile. Secondo i dati ISTAT riferiti all’anno 2005 i fumatori in Italia rappresentano il 21,7% della
popolazione (27,5% dei maschi e il 16,3% delle femmine) di 14 anni e più. È stato rilevato inoltre che gli adolescenti e i giovani iniziano a fumare più precocemente rispetto al passato.
La nocività aumenta proporzionalmente al numero di sigarette fumate: chi fuma 1 pacchetto di sigarette al giorno ha un rischio 3-3,5
volte superiore di andare incontro ad un infarto miocardico rispetto ai non fumatori. Inoltre chi continua a fumare dopo un infarto ha
una mortalità 3 volte superiore.
In uno studio su 34.000 medici britannici la durata della vita nei fumatori è stata più breve di 6,5 anni. Alle donne il fumo fa più male
che agli uomini. In uno studio recentissimo, svolto all’Ospedale di
Lillehammer in Norvegia, è stato evidenziato che le donne che fumano rischiano di avere un attacco di cuore 13,7 anni prima di
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quelle che non fumano, mentre per gli uomini la differenza è stata
di 6,2 anni. Anche il fumo passivo, cioè quello inalato in ambienti saturi di fumo, per la presenza di altri fumatori, è dannoso alla nostra
salute.
4) DIABETE MELLITO. Il soggetto diabetico presenta un aumento
della quantità di zucchero nel sangue (GLICEMIA). Questo aumento può dipendere da una ridotta produzione di un ormone chiamato INSULINA o da una insufficiente risposta dell’organismo all’insulina stessa. Oltre alla glicemia, il vostro medico potrebbe prescrivervi il controllo dell’emoglobina glicata, che fornisce una valutazione
dell’andamento della glicemia nei 2-3 mesi precedenti.
Se non sono curati bene, con la dieta, con l’esercizio fisico e con i farmaci quando necessario, gli elevati valori di zucchero nel sangue aumentano notevolmente i danni a livello delle arterie (50% di probabilità in più di sviluppare una cardiopatia ischemica).
Esistono delle situazioni in cui la glicemia a digiuno è normale, ma
aumenta considerevolmente dopo un carico di zucchero assunto
con il cibo. Questa situazione viene definita come “intolleranza glucidica“, una sorta di pre-diabete, e può essere scoperta misurando la
glicemia dopo aver somministrato al paziente una quantità nota di
zucchero (curva da carico con glucosio).
5) OBESITÀ. L’obesità‘ favorisce la comparsa degli altri fattori di rischio. Inoltre, quando il grasso si accumula a livello addominale, sono più frequenti le malattie cardiovascolari, il diabete e l’ipertensione arteriosa. Infatti, il tessuto adiposo addominale non è solo un deposito di energia, ma un vero organo che produce varie sostanze ormonali e chimiche (adiponectina, IL-6,TNFα, resistina, PAI-1, proteina
C-reattiva, ecc...).
Un sistema molto semplice per individuare l’entità del rischio dipendente dall’obesità è quello di misurare la circonferenza addominale:
se questa è superiore a 94 cm nell’uomo e a 80 cm nella donna il ri-
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schio per la salute è “moderato”. Quando tale misura è superiore a
101 cm nell’uomo e 87 cm nella donna si parla di rischio “alto”.
Istruzioni per misurazione della circonferenza addominale. Il nastro di
misurazione è posto in corrispondenza di un piano orizzontale tutto intorno all’addome a livello del punto segnalato nella figura. La misurazione deve essere effettuata senza comprimere l’addome.
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Infine bisogna tener presente che l’obesità presente al momento della pubertà, aumenta il rischio per malattie cardiovascolari anche qualora in età adulta si modifichi lo stile di vita e si raggiunga un peso normale.
6) SEDENTARIETÀ. Una recente indagine italiana, coordinata dall’Istituto Superiore di Sanità e dall’Associazione dei Cardiologi Ospedalieri (ANMCO), ha evidenziato che nel tempo libero oltre 1/3 degli uomini e quasi la metà delle donne sono sedentari. Chi non pratica un’attività‘ fisica moderata e regolare favorisce l’obesità‘, l’aumento del colesterolo totale, dei trigliceridi, della glicemia e della
pressione arteriosa. Inoltre la sedentarietà aumenta il rischio di depressione ed osteoporosi. Infine nei soggetti fisicamente attivi l’HDLcolesterolo, cioè il colesterolo buono, aumenta.
Un’analisi su soggetti di sesso femminile di 65 anni, ha fatto rilevare
una riduzione dell’aspettativa di vita di 5,7 anni nel gruppo di soggetti
sedentari rispetto al gruppo di quelli più attivi.
7) STRESS. Da tempo è stato rilevato che i soggetti più a rischio di
eventi coronarici, sono quelli che vivono in uno stato di continua tensione emotiva, ansietà, arrivismo; soprattutto se associato a frustrazioni, a mancato raggiungimento degli obiettivi che si sono imposti
nella carriera e nel proprio stato sociale.
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Una particolare attenzione deve essere posta anche alla depressione: recenti studi hanno dimostrato essere, infatti, un fattore di rischio indipendente di nuovi eventi cardiaci e mortalità, soprattutto nei soggetti già affetti da una malattia delle coronarie.
La probabilità di ammalarsi nel corso degli anni, aumenta notevolmente se un soggetto ha più fattori di rischio.
vuoi valutare il tuo rischio?
Da tempo sono state elaborate alcune CARTE DEL RISCHIO CORONARICO, che tengono conto di più fattori di rischio eventualmente presenti per stimare la probabilità di avere un “attacco cardiaco” nei prossimi 10 anni. In Italia vengono utilizzate le carte del rischio del Progetto Cuore, coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità. In appendice potrai trovare le carte del rischio corrispondenti a
4 categorie: uomo diabetico, uomo non diabetico, donna diabetica,
donna non diabetica. Per ognuna di queste quattro categorie le carte sono suddivise per fumatori e non fumatori.
Il rischio cardiovascolare è suddiviso in categorie di rischio MCv (da
I a VI): ogni categoria indica quante persone su 100 con quelle stesse caratteristiche sono attese ammalarsi nei 10 anni successivi.
Le categorie di rischio sono espresse in 6 livelli: livello I rischio inferiore al 5%, livello II rischio tra il 5 e 10%, livello III rischio tra il 10 e
15%, livello IV rischio tra il 15 e 20%, livello V rischio tra il 20 e 30%,
livello VI rischio oltre il 30%.
Queste carte possono essere utilizzate solo dai soggetti che non sono già affetti da una malattia cardiovascolare nota.
I soggetti già affetti da malattia coronarica, con pregresso ictus o aterosclerosi periferica e quelli con un singolo fattore di rischio molto alto
(colesterolo totale >320 oppure LDL-colesterolo >240 o una pressione arteriosa >180/110) o diabetici sono considerati già ad alto rischio e richiedono pertanto un intervento intensivo sullo stile di vita e, spesso, un trattamento farmacologico.
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Quali disturbi può provocare la Cardiopatia Ischemica?
L’aterosclerosi delle coronarie inizia spesso già nei primi anni di vita.
Per fortuna la sua evoluzione è molto lenta, ma può essere accelerata dai fattori di rischio precedentemente analizzati.
Quando l’entità‘ dell’ostruzione coronarica ha raggiunto una determinata gravità compaiono i primi segni di ischemia, cioè di ridotto apporto di sangue ad una parte del nostro muscolo cardiaco. Come abbiamo già visto, in molti soggetti, non compaiono disturbi significativi: il cuore soffre in silenzio!
Manca cioè quel “campanello d’allarme” che è il dolore (ISCHEMIA SILENTE). È questo, infatti, uno dei motivi per cui quando si vuole iniziare un’attività‘ sportiva intensa (soprattutto per i soggetti sedentari e di
una certa età), è consigliabile sottoporsi ad una visita cardiologica. Il cardiologo potrà poi richiedere altri esami. Molto spesso però il cuore fa
“sentire” la sua sofferenza: compare cioè l’ANGINA PECTORIS!
Quali sono i sintomi?
Angina pectoris significa dolore al petto, ma, ma il dolore può presentarsi sotto diverse forme:
- più spesso inizia al centro del petto, sotto forma di oppressione, di
bruciore o di costrizione; aumenta progressivamente sino a raggiungere la sua massima intensità e quindi si riduce per scomparire nel giro di alcuni minuti;
- può propagarsi al collo, alla mandibola, alle spalle, alle braccia, all’epigastrio (cioè a quella zona posta subito al di sotto dello sterno,
dove si trova lo stomaco) o al dorso.Talvolta il dolore può localizzarsi
unicamente in queste sedi;
- può provocare sudorazione fredda, debolezza marcata, mancanza
di respiro e palpitazioni;
- talora può essere confuso con un’indigestione per la comparsa di
nausea e vomito.
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Quanti tipi di Angina Pectoris ci sono?
- L’angina può manifestarsi durante uno sforzo (ANGINA DA SFORZO) perchè il muscolo cardiaco sottoposto ad un superlavoro necessita di un maggior apporto di ossigeno, ma, ma l’ostruzione coronarica impedisce al sangue di passare oltre una certa quantità. Solitamente il dolore compare sempre per la stessa intensità e tipo di
sforzo, per cui il paziente che ne è affetto impara a limitare le proprie attività prevenendo il dolore.
Alcune circostanze tuttavia possono far variare la soglia di comparsa del sintomo; ad esempio uno sforzo eseguito dopo il pasto, quando il cuore è già al lavoro per aumentare il flusso di sangue all’intestino. Oppure in presenza di basse temperature esterne che provocano, a parità di sforzo, un maggior incremento della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca. Infine anche una forte emozione
od il rapporto sessuale possono, per gli stessi motivi, scatenare una
crisi anginosa.
- La sintomatologia anginosa può comparire a riposo o nel sonno
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(ANGINA SPONTANEA). In questo caso il flusso di sangue nelle
coronarie può essere ostacolato da una contrazione temporanea,
detta “spasmo delle arterie coronariche”, che riduce ulteriormente
il diametro interno della coronaria. In altri casi la causa può essere la
rottura della placca aterosclerotica, che attivando il processo della
coagulazione, porta alla formazione di un trombo che ostacola il passaggio di sangue, pur non arrivando alla occlusione completa, come
avviene nell’infarto.
- La sintomatologia può presentarsi nello stesso soggetto sia durante lo sforzo che a riposo (ANGINA MISTA).
Come si può vedere i disturbi non sono sempre uguali, né sempre
caratteristici. In questi casi bisogna parlarne subito al proprio medico curante od al proprio cardiologo, che vi potranno tranquillizzare
individuando un’origine diversa dei sintomi oppure consigliarvi alcuni esami per identificarne la causa.
Bisogna sapere inoltre che per una diagnosi esatta è molto importante eseguire un elettrocardiogramma (ECG) durante la sintomatologia, in quanto la sua esecuzione anche solo pochi minuti dopo la
sua scomparsa può mostrare un tracciato completamente normale.
Che cosa succede in caso di Infarto Miocardico?
Come abbiamo visto in precedenza l’infarto è causato dall’improvvisa chiusura di una coronaria da parte di un trombo, che interrompe
completamente il flusso di sangue. A seconda della sede in cui avviene
tale occlusione il danno sarà di entità diversa.
I sintomi saranno gli stessi dell’angina pectoris, ma con dolore generalmente più prolungato (alcune ore più spesso) ed intenso.
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Che cos’è lo Scompenso Cardiaco?
Molte delle malattie, che abbiamo in precedenza elencato, possono
danneggiare il muscolo cardiaco e portare ad un quadro di scompenso: il cuore non è più in grado di “pompare” la quantità di sangue di cui l’organismo ha bisogno.
Cosa succede in questi casi? Che disturbi compaiono?
Il ridotto trasporto di sangue può causare una notevole stanchezza,
soprattutto per riduzione del flusso a livello muscolare. A livello renale si riduce la produzione di urina (oliguria) che causerà un accumulo di liquidi con aumento del peso corporeo.
Se il cuore non è in grado di pompare correttamente il sangue che
gli arriva dalle varie parti del corpo, questo si accumulerà nei tessuti: principalmente nelle gambe, che diventeranno gonfie; nel fegato e
nell’intestino, con la comparsa di disturbi digestivi. L’accumulo di sangue nei polmoni ostacolerà i normali scambi gassosi (ossigeno ed
anidride carbonica), quindi il sintomo predominante sarà la DISPNEA,
cioè la mancanza di respiro.
Se avete presentato o presenterete qualcuno di questi sintomi non
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dovrete necessariamente spaventarvi: il gonfiore delle gambe può essere la conseguenza di
un disturbo circolatorio
locale (ad esempio i
portatori di vene varicose) o dell’assunzione
di alcuni farmaci (calcioantagonisti). La dispnea
può essere conseguenza di molte malattie dei
polmoni o essere semplicemente un fattore emotivo (stato ansioso). Recatevi quindi dal
vostro medico curante o dal cardiologo che ricercherà l’origine dei
disturbi.
Che cosa sono le aritmie?
È un termine generico per definire qualsiasi variazione del ritmo regolare del battito cardiaco. Questa irregolarità del battito in alcune
occasioni può essere percepita dal soggetto come palpitazione: cioè
quella sensazione soggettiva, in genere sgradevole, del proprio battito cardiaco.
In altre occasioni l’aritmia non viene assolutamente percepita dal soggetto: in questo caso può essere rilevata casualmente durante una visita medica o dopo l’esecuzione di un elettrocardiogramma.
Che tipi di aritmie esistono?
Esistono diversi tipi di aritmie.
Possono provocare un rallentamento del battito (ARITMIE IPOCINETICHE) od una sua accelerazione (ARITMIE IPERCINETICHE).
Possono originare dagli atri (ARITMIE ATRIALI) o dai ventricoli
(ARITMIE VENTRICOLARI).
Le aritmie più frequenti sono la FIBRILLAZIONE ATRIALE, la TA-
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CHICARDIA PAROSSISTICA SOPRAVENTRICOLARE e le EXTRASISTOLI ATRIALI e VENTRICOLARI.
Che cosa s’intende per tachicardia?
È un termine generico per indicare un aumento della frequenza cardiaca. Non necessariamente si tratta di un’aritmia, talora può essere
un fatto del tutto normale. In questo caso si parla di TACHICARDIA
SINUSALE: ad esempio durante uno sforzo fisico, un’emozione, in
corso di febbre, ecc…
Che cosa significa bradicardia?
Ha un significato opposto alla tachicardia, corrisponde cioè ad un rallentamento del battito cardiaco (al di sotto di 60 battiti al minuto).
Anche in questo caso può essere del tutto normale, soprattutto nei
soggetti allenati (negli sportivi di alto livello non è raro trovare valori inferiori a 40 battiti al minuto). In altri casi può essere la conseguenza di un’alterazione nell’impianto elettrico del cuore (ARITMIE
IPOCINETICHE: malattia atriale o malattia del nodo del seno, blocchi atrio-ventricolari).
Che cos’è la fibrillazione atriale?
In caso di fibrillazione atriale il nodo del seno viene sopraffatto da
un’attività elettrica incontrollata che si origina negli atri e che invia
centinaia di impulsi al minuto al nodo atrio-ventricolare. Fortunatamente quest’ultimo riesce a bloccare la maggior parte di tali impulsi, ma questo blocco è spesso insufficiente, per cui i ventricoli si contraggono con una frequenza troppo elevata, oltre che irregolare.
Che cos’è un’extrasistole?
È un battito “irregolare” che spesso può comparire in persone con
un cuore completamente sano.
Che cos’è una tachicardia parossistica sopraventricolare?
È un’aritmia che compare improvvisamente ed altrettanto improvvisamente cessa. Nella sua forma più tipica compare quasi sempre in
assenza di malattie del cuore ed ha un andamento nel tempo molto irregolare: può comparire ad intervalli molto ravvicinati come ripresentarsi solo dopo molti anni.
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Sono pericolose le aritmie?
Come avete potuto notare le aritmie sono molto diverse le une dalle altre, possono comparire in cuori sani ed essere del tutto benigne,
o in cuori molto malati ed essere rischiose per la vita.
Come si curano le aritmie?
Molto spesso non richiedono alcun trattamento, mentre in altri casi può essere utile un trattamento con farmaci. In altri casi ancora
possono essere utilizzate procedure invasive (ablazioni) o
particolari dispositivi, ad
esempio un pacemaker per le
aritmie ipocinetiche o un defibrillatore impiantabile (o ICD)
per le aritmie ventricolari più
gravi.
Che cos’è il pacemaker artificiale?
È uno stimolatore cardiaco
composto da una batteria (ge-
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neratore) e un circuito elettronico in grado di inviare un impulso al
cuore che modifica la frequenza cardiaca in base alle esigenze del
corpo.
Che cos’è il defibrillatore impiantabile?
È uno stimolatore cardiaco alimentato da una batteria, che controlla i segnali elettrici del cuore ed eroga una scarica elettrica quando
rileva un ritmo anomalo di un certo tipo.
Che cos’è la Claudicatio Intermittens?
Abbiamo già visto a pag. 23 che l’arteriosclerosi può interessare anche le arterie presenti in altri tessuti, comprese quelle degli arti inferiori. Il disturbo più frequente in questi casi è il dolore alla gamba
che compare quando si cammina e scompare con il riposo, causando una zoppia intermittente. Possiamo paragonare la claudicatio a
quello che succede nell’angina da sforzo: in entrambi i casi i muscoli
della gamba ed il muscolo cardiaco non ricevono dalle rispettive arterie (arterie delle gambe e coronarie) la quantità di sangue necessaria al loro lavoro.
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