ONU, ISRAELE, EUROPA ~ ONU ~ ISRAELE EUROPA ~ ~ La ricostruzione La costruzione: da Ventotene alla moneta unica L’ONU L’ONU, che si pose sul sentiero tracciato dalla Società delle Nazioni, era stata già anticipata in diverse occasioni. Tra queste si possono ricordare: la Carta Atlantica del 1941 che a sua volta riprendeva i 14 punti di Wilson; la Dichiarazione delle Nazioni Unite del 1942; la Conferenza di Mosca del 1943, di Dumbarton Oax nel 1944 e di Yalta del 1945. Si decise di stabilire la sede centrale dell'ONU a New York nel Palazzo di Vetro. Durante la Conferenza Internazionale di San Francisco (25 aprile – 26 giugno 1945) nasce l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) con la partecipazione di 50 stati – oggi 193 su 196 - con lo scopo di garantire l'equilibrio internazionale tramite metodi pacifici. Nella fattispecie l’art. 1 e 2 dello Statuto sanciscono i fini e i principi: “Art. 1, comma 1. Mantenere la pace e la sicurezza internazionale, ed a questo fine: prendere efficaci misure collettive per prevenire e rimuovere le minacce alla pace e per reprimere gli atti di aggressione o le altre violazioni della pace, e conseguire con mezzi pacifici, ed in conformità ai princìpi della giustizia e del diritto internazionale, la composizione o la soluzione delle controversie o delle situazioni internazionali che potrebbero portare ad una violazione della pace. 2. Sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli fondate sul rispetto e sul principio dell’eguaglianza dei diritti e dell’auto-decisione dei popoli, e prendere altre misure atte a rafforzare la pace universale. 3. Conseguire la cooperazione internazionale nella soluzione dei problemi internazionali di carattere economico, sociale culturale od umanitario, e nel promuovere ed incoraggiare il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali per tutti senza distinzioni di razza, di sesso, di lingua o di religione. […] Art. 2, com. 3. I Membri devono risolvere le loro controversie internazionali con mezzi pacifici, in maniera che la pace e la sicurezza internazionale, e la giustizia, non siano messe in pericolo.” All’interno di questa organizzazione internazionale vi sono cinque grandi nazioni, che hanno un ruolo predominante rispetto alle altre: Unione Sovietica, Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e Cina. Tra gli organi principali dell’ONU vi sono: l’Assemblea Generale: formata da tutti gli stati membri, dove le delibere vengono prese per maggioranza; il Consiglio di Sicurezza: una sorta di organo esecutivo formato da dieci stati eletti a turno e dalle cinque potenze principali, le quali deliberano all’unanimità e hanno ognuna il diritto di veto, ovvero la possibilità di bloccare qualsiasi delibera ritenuta contraria ai propri interessi, diretti o indiretti, ponendo un enorme freno alla delibera dell’Assemblea Generale. Si ritiene, quindi, che la semplice maggioranza non sia sufficiente per decidere riguardo questioni di interesse nevralgico, che possono portare a ricadute, come lo era stata la Seconda Guerra Mondiale. Serve, pertanto, l’unanimità delle cinque nazioni. Ciò si spiega considerando che una grande potenza può essere messa in minoranza facilmente da un'alleanza tra tante piccole nazioni. Il Consiglio può decidere anche l’intervento armato attraverso le truppe dei Caschi blu. I due organi di controllo dell'ONU corrispondono ad altrettante concezioni: la concezione utopistica, presente nella Assemblea generale, che sostiene i principi di libertà dei popoli e di uguaglianza fra le nazioni; la concezione realistica, espressa nel Consiglio di Sicurezza, che, in linea con le idee del presidente americano Roosevelt, affida alle potenze vincitrici che hanno un notevole peso politico-militare le decisioni più importanti. ISRAELE Nel 1945 la Palestina era abitata da 500.000 Ebrei e da 1.500.000 Arabi. La presenza degli ebrei in Palestina era cresciuta soprattutto negli anni Trenta sotto la spinta del movimento sionista che ‘prometteva’ di riportare gli Ebrei in Palestina dopo la diaspora del 70 d.C. e fondare uno Stato ebraico. Il sionismo, la cui iniziativa si deve a Theodor Herzl, si sviluppa rapidamente anche favorita dalla Gran Bretagna che con la Dichiarazione Balfour del 1917 si dichiarava disponibile all’insediamento di uno Stato ebraico in quella zona. La Società delle nazioni aveva dato, sotto mandato, quelle zone alla Gran Bretagna a seguito della dissoluzione dell’Impero ottomano all’indomani della Prima guerra mondiale. La shoah aveva fatto sì che a livello internazionale si creasse un movimento favorevole alla nascita di uno Stato ebraico, che divenisse la terra dei superstiti delle atrocità nazi-fasciste. La causa sionista aveva forti alleati negli Stati Uniti, dove la comunità ebraica godeva di grande prestigio. Intanto, la sempre più massiccia presenza di coloni ebrei aveva creato frizioni con le popolazioni locali. Nel 1945 era nata anche la Lega araba (Libano, Siria, Iraq, Egitto, Arabia Saudita, Transgiordania e Yemen) con l’intento di costituire uno Stato arabo in Palestina. Le organizzazioni militari ebraiche passarono alla lotta armata, sotto la guida del leader ebreo David Ben Gurion, facendo saltare in aria nel 1946 la sede del quartier generale britannico a Gerusalemme (il King David Hotel) e provocando decine di vittime. Di fronte alla situazione divenuta ormai incontrollabile, la Gran Bretagna decise di ritirare le truppe dalla Palestina. Nel 1947 l’ONU propose di dividere la Palestina in due Stati, uno ebraico e uno arabo, con Gerusalemme zona internazionale. Gli Ebrei accettarono la spartizione mentre gli Arabi rifiutarono dichiarandosi pronti a ricorrere alle armi. Nel 1948, Ben Gurion proclamò la nascita dello Stato di Israele il giorno prima che l’ONU ne sancisse ufficialmente la nascita. Il giorno dopo la Lega Araba attaccò il nascente Stato d’Israele, ma dovette registrare una cocente sconfitta e l’affermazione definitiva dello Stato d’Israele come una realtà nuova quanto stabile nell’area medio-orientale. Al termine del conflitto, Israele aveva allargato i suoi confini del 40% oltre ciò che l’ONU aveva stabilito, e la creazione di uno Stato Arabo non fu più possibile. Un milione di profughi arabi fuggirono nei paesi vicini: nacque, così, la questione palestinese che si protrae fino ai nostri giorni e rende l’area instabile dal punto di vista geo-politico. Nel 1964 fu creata l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), allo scopo di combattere gli Israeliani e creare uno Stato palestinese, ma i conflitti sono aperti ancora oggi. Nel 1967 l’Egitto del presidente Nasser impediva agli israeliani il commercio nel golfo di Aqaba. La risposta di Israele fu pronta: attaccava l’Egitto e si difendeva da Siria e Giordania che prendevano parte alla guerra. Subito di schierarono in maniera aperta le superpotenze: gli Usa appoggiarono Israele, l’Urss l’Egitto. La “guerra dei sei giorni”, dal 5 al 10 giugno, registrò un nuovo successo israeliano che ampliò ancora i propri territori. L’Israele dimostrò la forza dirompente del suo esercito e della sua aviazione e conquistò la penisola del Sinai e la Striscia di Gaza che appartenevano al territorio Egiziano, la Cisgiordania e Gerusalemme che appartenevano alla Giordania e le alture del Golan che erano governate dalla Siria. Ancora, nel 1973, l’Egitto di Sadat (succeduto a Nasser) scatena la “guerra del Kippur” (festività israeliana), insieme alla Siria. Israele con grandi difficoltà riuscì comunque a respingere l’attacco e ad acquistare nuovi territori. Nel 1977 Sadat propose un accordo di pace che poi venne sancito nel 1978 a Camp David sotto lo sguardo del presidente americano Carter tra Sadat e l’israeliano Begin. Tale accordo fu considerato pregiudizievole dall’Olp e dagli interessi palestinesi. Il 1987 registra la cosiddetta Prima intifada (“risveglio”) o “guerra delle pietre” ovvero la rivolta dei ragazzi palestinesi (12-15 anni) che lanciano pietre contro i soldati israeliani che occupano la Cisgiordania e la Striscia di Gaza che finirà solo nel 1993 anno della storica stretta di mano tra Arafat, leader dell’Olp, e l’israeliano Rabin a Washington al cospetto del presidente americano Clinton. Ma la pace è, ancora oggi, da venire! EUROPA La ricostruzione Non solo la dottrina Truman caratterizzò il periodo post-guerra, ma anche quello che verrà chiamato il Piano Marshall, che assicurerà una massiccia partecipazione economica ai paesi alleati degli Stati Uniti, di fatto sarà, un propellente per il miracolo economico e per la ricostruzione europea che diede linfa vitale per uno sviluppo che surclassò ben presto la situazione ante guerra. Il Piano Marshall fu un vero e proprio volano per l’economia europea. Gli Stati Uniti parteciparono alla ricostruzione dal punto di vista economico in maniera eccezionale. Il Piano, ufficialmente chiamato European Recovery Programm, fu annunciato il 5 giugno del 1947 dal Segretario di Stato George Marshall, e divenne operativo l’anno successivo, nel 1948. L’intento dichiarato dagli americani fu quello di iniettare una massiccia dose di denaro nei paesi europei per favorire la ricostruzione, al fine di prevenire il rischio comunista e quindi di evitare eventuali rivolte, sommovimenti, rivoluzioni europee. Per evitare che i Sovietici e l’idea del comunismo potessero influenzare le economie europee e gli Stati europei stessi, si iniettò nel corpo vivo dell’Europa una quantità di denaro tale da poter tenere sedati gli animi della rivolta. Si addormentò, insomma, la rivoluzione comunista col farmaco del denaro, con l’anestetico del denaro. Il Piano si doveva inserire in quella vasta teoria di Keynes, che prospettava una piena occupazione attraverso un sostegno alla domanda. Gli Stati, tra l’altro, avevano capito in maniera cristallina che l’ascesa di Hitler era stata favorita esattamente dalla depressione economica e da una disoccupazione di massa, dunque, bisognava scongiurare entrambe proprio attraverso una ricostruzione economica che potesse prevedere delle mete ambiziose e un miglioramento della vita in generale. Già dal 1936 le teorie di Keynes e la politica rooseveltiana avevano dimostrato, che, in funzione anticiclica e quindi anticrisi, era possibile un’iniezione di denaro liquido tale da mettere in moto l’economia e da fornire benzina al capitalismo e a favorire, dunque, una ripresa. In questo senso i governi occidentali capirono che bisognava mantenere alta la domanda effettiva, in modo da assicurare una piena occupazione, ma accanto al Piano Marshall si inserì un altro tipo di strumentazione, ovvero una strumentazione che favoriva l’abilità monetaria. Gli accordi Bretton Woods, del 1944, stipulati tra 45 nazioni, crearono due strumenti estremamente importanti: il fondo monetario internazionale e la banca mondiale. In questa contrattazione si raggiunse un accordo tra gli stati, nel mantenere un regime di cambi fissi tra le varie monete, e, a lungo termine, di creare una libertà negli scambi internazionali. Con grande acume, Alcide De Gasperi, presidente del Consiglio italiano, chiese immediatamente, già dal 1947, che l’Italia fosse ammessa ad entrambi gli organismi previsti dagli accordi di Bretton Woods. È importante capire che la ripresa dell’economia europea non solo derivò da questa iniezione di liquidi, ma le radici della ripresa erano, paradossalmente, incardinate nella stessa crisi che aveva causato dei disordini economici in Europa e che aveva portato l’Europa alla guerra, vale a dire la ripresa aveva delle basi economiche che erano all’interno stesso del conflitto perché esso era l’acme di una crisi economica e politica, ma la guerra, nel suo incedere, aveva portato alla massima espressione il sistema economico. Il sistema economico si era concentrato sulla produzione bellica, che aveva prodotto una concentrazione di tecnologie e un’intensificazione dei metodi produttivi, che, convertiti in economia civile, saranno oltremodo importanti. Dunque lo sforzo bellico, nella produzione bellica convertita in usi civili, consentì una maggiore capacità da parte del capitalismo, sia nei processi di concentrazione economica, sia nei processi di intensificazione dello sfruttamento della forza lavoro, in modo che questo tipo di ammaestramento servì da volano anch’esso nella produzione e nello sviluppo economico post guerra. Questo tipo di carattere è visibile soprattutto in Gran Bretagna e in Germania. Il potenziale economico delle nazioni in guerra beneficiò dei progressi della tecnica e delle scoperte scientifiche che si ebbero soprattutto nelle industrie con delle munizioni. Il risultato fu, appunto, che il Regno Unito, l’Urss, l’USA e la Germania acquistarono nuove capacità tecniche, così come capacità soggettive e quindi capacità professionali; m industrie, una volta operato la trasformazione in termini civili si dimostrarono veramente assai proficue. Il Piano Marshall fu estremamente importante fu considerato dai Sovietici un oggetto di penetrazione della politica imperialistica americana, un tipo di impostazione perfettamente coerente. In effetti il Piano Marshall era appunto lo strumento di penetrazione della politica espansionista, imperialista americana, un imperialismo che oramai allargava la propria influenza non tanto con gli eserciti, ma con tutta una serie di strumentazione finanziaria. I legami sempre più stretti tra l’Europa occidentale e gli Stati Uniti furono ribaditi con il patto atlantico del 1949 e a livello militare con la NATO, cioè con il North Atlantic Treaty Organization, l’organizzazione del trattato Nordatlantico estremamente importante, che aveva come scopo la difesa militare dell’Occidente. Va ricordato che, soprattutto con la Francia e l’Italia, la NATO ha questo legame così forte e per molti versi definitivo. Essa poneva i paesi sotto la protezione statunitense, creò grandi dimostrazioni e grandi malcontenti soprattutto nei partiti di sinistra, quindi in Francia ed in Italia, dove questi ultimi erano massicciamente rappresentati. La costruzione Tre sono le ipotesi per giungere all’unità europea dopo che i nazionalismi europei si erano ferocemente dilaniati: L’Ipotesi confederale prevedeva una certa unità politica senza che i governi cedessero una qualche sovranità nazionale. L’ipotesi funzionalista si articolava sull’idea che l’integrazione economica, sempre più stretta, avrebbe portato pian piano alla constatazione della necessità della unità politica. L’ipotesi federalista si reggeva sull’idea di una vera federazione di stati che si costruiva sulla cessione della sovranità nazionale. La federazione, cioè, era possibile a patto che i singoli stati cedessero parte della loro sovranità nazionale fino alla costituzione di organismi europei, cioè di una Assemblea costituente europea capace di accentrare i poteri e di dar luogo ad una Costituzione federale. Quest’ultima ipotesi si era fatta strada già all’interno del movimento resistenziale europeo. Alfiere di questa via fu Altiero Spinelli, che al confino, insieme a Ernesto Rossi, scrisse il Manifesto di Ventotene che ebbe larga eco fra l’élite intellettuali. La via ipotizzata da Spinelli era soprattutto di ordine politico in una visione che faceva scendere dall’alto il processo unitario: la carta costituzionale europea avrebbe avuto la capacità di unire i diversi popoli che fino al giorno prima si erano ferocemente squassati. Nel 1948 fu costituita l’OECE, l’organizzazione per la collaborazione economica europea. Nel 1951 venne costituita, poi, la CECA, la comunità europea del carbone e dell’acciaio. All’interno di questo processo che riguarda i primi organismi economici europei, di notevole importanza è la data del 25 marzo 1957, quando, con il Trattato di Roma, si istituiva la CEE, comunità economica europea, detta anche MEC, mercato comune europeo che aboliva le tariffe doganali e gli ostacoli alla libera circolazione delle persone, e, nello stesso tempo si costituiva l’EURATOM, cioè comunità europea dell’energia atomica. Sia Alcide De Gasperi che Robert Schuman tentarono di proporre una maggiore unione tra diversi paesi reduci dall’esperienza della seconda guerra mondiale. Essi proponevano la costituzione di una comunità europea di difesa, la CED, ma evidentemente i tempi erano troppo immaturi per una cosa del genere. Si tenga conto che neanche oggi c’è una comune difesa europea, certamente questo avrebbe significato anche una maggiore cementificazione dal punto di vista politico perché l’uso della forza avrebbe necessariamente richiesto anche organismi estremamente importanti per quanto riguarda la fase legislativa, decisionale. L’Europa, dopo la seconda guerra mondiale, dilaniata dai conflitti tra gli stati, cercava faticosamente di ricomporre un’unità, quantomeno un’armonia con cui poter sopravvivere alle catastrofi che aveva prodotto. Il principio su cui l’Europa si mosse fu innanzitutto quello di diventare economicamente un’unità, ovvero di integrare le economie dei singoli stati e renderle sempre più cosa una. L’integrazione economica e l’interdipendenza doveva suscitare e, inevitabilmente, portare ad un’unione tra stati politica e ideologica, se si vuole considerare che poco prima si erano contese guerre, territori e lingue. Sarebbe stato difficile pensare che queste nazioni potessero rinunciare alla propria sovranità, quindi, per molti versi, il problema dell’Europa e di una pace europea fu intesa materialisticamente e marxisticamente come integrazione economica, dalla cui integrazione si sarebbe dovuti passare ad un’integrazione necessariamente politica e anche per quanto riguarda organismi di difesa. De Gasperi, in quel momento, ebbe il merito non solo di proporre, insieme a Schuman e Adenauer, questo obiettivo, ma di guardare lontano e appunto di vedere come la progressiva integrazione avrebbe poi richiesto una limitazione della sovranità nazionale a favore di organismi europei; l’obiettivo è ancora pienamente da raggiungere. Un’impostazione di tipo politica si ebbe nel 1979, quando si istituì il Parlamento europeo di Strasburgo eletto a suffragio universale e poi rinnovato nel 1984, ogni 5 anni. All’inizio il Parlamento di Strasburgo ebbe poteri molto limitati e si raccomandavano ai governi una serie di iniziative. Un passo avanti, estremamente importante, ci fu nel 1989 con la creazione del sistema monetario europeo (SME), con il quale si cercò sempre più di unire le monete europee in un rapporto di cambio estremamente stretto. Un altro passo importante verso l’unificazione dell’Europa fu il trattato di Maastricht del 1992, firmato a Maastricht, in Olanda. I 12 rappresentanti della Comunità economica europea vi si riunirono per concordare regole e scadenze dell’Unione europea con una moneta unica: l’euro. Solo la Gran Bretagna ottenne l’esenzione da questa moneta unica e le si concesse la possibilità di mantenere la propria, ovvero la sterlina. Questa accelerazione politica fu anche il prodotto della caduta del muro di Berlino del 1989 e delle preoccupazioni francesi per il ricostituirsi di una nuova grande Germania: l’Unione avrebbe legato la Germania all’Europa e limitato le sue aspirazioni di dominio europeo. Con questo Trattato si prevedeva l’introduzione, nel 1999, della moneta unica e della Banca centrale europea (BCE). Inoltre si elaborarono i parametri di convergenza economica per la permanenza e l’entrata nella Comunità. Tra i cinque parametri economici spiccano per la loro importanza la fissazione non superiore al 3% del rapporto tra deficit pubblico e PIL e non superiore al 60% il rapporto tra debito pubblico e PIL. Il Belgio e l'Italia con un rapporto superiore furono esentate da quest’obbligo, ma con l’impegno di ridurre tale rapporto. BIBLIOGRAFIA Libri A. Spinelli, R. Rossi, Il Manifesto di Ventotene, 1944 Film Il figlio dell’altra, di L. Lévy. 2012