Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE
FISICHE E NATURALI
Corso di laurea in Fisica e Astrofisica
LE GALASSIE COME SISTEMI NON
COLLISIONALI
Laureando
Relatore
Matteo Martinelli
ANNO ACCADEMICO
Prof. R. Capuzzo Dolcetta
2005-2006
Introduzione
Nei problemi dinamici di natura stellare, le forze agenti sui corpi di un dato sistema
non sono esclusivamente esterne, come invece avviene nel caso di sistemi dinamici
su scale terrestri. Nei sistemi stellari è fondamentale il potenziale di auto-gravitazione
del sistema; tutti i componenti interagiscono tra loro gravitazionalmente e il
contributo dato dal termine
1 N Gmi m j
U 
2 i , j 1 ri  rj
i j
all’energia potenziale totale, non può essere trascurato rispetto al contributo della
distribuzione di massa esterna al sistema.
L’autogravitazione influisce in modo determinante sulla dinamica dei sistemi stellari;
la rotazione delle galassie ad esempio, è determinata dal moto dei corpi dettato dal
potenziale generato dalla massa situata all’interno del raggio orbitale. Il sistema causa
quindi la sua stessa rotazione.
Inoltre l’autogravità dei sistemi provoco una loro naturale tendenza al collasso.
Questa tendenza è ostacolata da vari fattori, come la presenza di moti disordinati e
della rotazione, che si oppongono al collasso.
Il termine di auto-gravitazione, che è fortemente dipendente dal tempo, introduce
notevoli complicazioni nello studio dei sistemi stellari e implica possibili divergenze.
I sistemi stellari non possono in ogni caso essere trattati tutti allo stesso modo, in
quanto il numero N di corpi che li costituiscono, può variare da poche unità (sistemi
binari di stelle e sistemi planetari) fino a circa 10 12 e le caratteristiche globali di tali
sistemi sono molto diverse. Ogni sistema è caratterizzato da un tempo di
attraversamento tcross, ossia il tempo medio impiegato da un componente per
attraversarlo, dal tempo di rilassamento collisionale trel e dalla sua età t.
Confrontando tra loro questi tempi caratteristici, è possibile costruire la seguente
tabella [1]
4
5
>10
9
<10
<10
regime
dinamico
deterministico
collisionale secolarmente
collisionale
non collisionale
tempi scala torb<<t
trel<tcross<t
tcross<<trel<t
tcross<t<<trel
sistema
stellare
ammasso
aperto
ammasso globulare
nucleo galattico
galassia, ammasso
di galassie
stelle doppie,
sistema planetario
10 -10
9
N
Tabella 1 – Esempio di classificazione di alcuni sistemi stellari in base al numero di
corpi (N), al regime dinamico e ai tempi scala caratteristici
1
Si nota quindi che il regime dinamico di un sistema gravitazionale è determinato dal
numero di corpi che lo compongono. Si usa dividere il problema a N corpi in
problema a pochi corpi (2≤N≤10), problema a numero di corpi intermedio
(100≤N≤109) e problema a molti corpi (N≥1011).
I sistemi a pochi e molti corpi sono vengono trattati in modo, per certi aspetti, simile
da un punto di vista numerico in quanto per la loro integrazione può essere adottato
un passo temporale costante, corrispondente ad una frazione del periodo orbitale più
piccolo, nel caso di sistemi a pochi corpi, e ad una frazione del tempo di
attraversamento, nel caso di molti corpi. In caso di N intermedio, la trattazione
numerica è più complicata, in quanto in questi sistemi le collisioni gravitazionali sono
importanti e quindi il campo agente sui corpi non può essere approssimato
soddisfacentemente da un campo medio, rendendo così necessaria una molteplicità di
passi di integrazione.
In questo lavoro si studieranno i sistemi galattici, i quali fanno parte della categoria
dei sistemi a molti corpi. In particolare si vuole passare in rassegna le caratteristiche
fisiche e matematiche dell’equilibrio dei sistemi galattici.
Le galassie infatti si comportano come sistemi all’equilibrio, caratteristica evinta
dalle distribuzioni di velocità e luminosità di questi sistemi; i profili di luminosità
direttamente osservati, come anche quelli di velocità ottenuti tramite l’effetto
doppler, sono infatti incredibilmente regolari, sintomo di un probabile
raggiungimento dell’equilibrio.
Si pone però, a questo punto, un importante problema concettuale; come vedremo nel
prossimo capitolo le galassie sono sistemi non collisionali, ovvero non sono
influenzate, data la loro età attuale, dal meccanismo di rilassamento collisionale.
L’equilibrio non ha quindi potuto instaurarsi tramite questo meccanismo (paradosso
di Zwicky). Devono quindi essere ipotizzati altri meccanismi di rilassamento che non
coinvolgano l’interazione gravitazionale stella-stella, la quale risulta ininfluente, dati
i tempi di scale, in sistemi stellari di tipo galattico.
Le galassie rientrano quindi nell’insieme dei sistemi non collisionali. In questi
sistemi, l’interazione tra i vari corpi può essere approssimata da un potenziale medio,
trascurando la granularità del sistema.
Per ottenere un potenziale che ben descriva la distribuzione di massa del sistema, è
importante tener conto delle diverse morfologie che le galassie presentano[2]:
- Galassie ellittiche; sono sistemi vecchi formati da stelle di popolazione II e
contenenti pochissimo gas interstellare. Il profilo di luminosità di queste
galassie è estremamente regolare. Esse sono suddivise in otto sottogruppi,
classificati da E0 a E7, a seconda del valore del rapporto 10(a  b) a dove a e b
sono i semiassi maggiore e minore della galassia.
- Galassie a spirale; a questa categoria appartengono la nostra galassia e la nostra
vicina M31 (Andromeda). Le galassie a spirale sono sistemi molto meno
regolari di quelle ellittiche essendo formate da un disco appiattito solcato da
2
braccia a spirale di numero variabile da galassia a galassia. Le braccia
contengono stelle giovani e brillanti, di tipo spettrale O e B, e sono sede di
intensa formazione stellare. Le galassie a spirale contengono prevalentemente
stelle di popolazione I, ma anche uno sferoide di stelle di popolazione II. La
luminosità relativa dello sferoide rispetto al disco è ben correlata con alcune
proprietà della galassia, come la quantità di massa in gas, il colore del disco e
quanto sono strette le spirali. Questa correlazione sta alla base della
classificazione di Hubble delle galassie a spirale, ossia un’ulteriore divisione in
4 tipi (Sa, Sb, Sc, Sd) in ordine di luminosità decrescente dello sferoide. Le
galassie a spirale possono essere ulteriormente divise in spirali normali e
spirali barrate.
- Galassie lenticolari; questi sistemi sono considerati di transizione tra le galassie
a spirale e le ellittiche in quanto presentano caratteristiche tipiche di entrambe,
ossia mancanza di gas, polveri e formazione stellare come nelle ellittiche, ma
con un andamento di luminosità simile a quello delle galassie a spirale.
- Galassie irregolari; sono sistemi contenenti grandi quantità di gas, la cui
luminosità è fornita in maggior parte da stelle massive giovani e regioni HII.
Gli argomenti svolti e i procedimenti matematici sono stati trattati seguendo le linee
guida del libro Galactic Dynamic [3].
3
Capitolo 1
I sistemi non collisionali
Alcuni sistemi stellari si trovano in un regime dinamico detto non collisionale. La
particolarità di questi sistemi è quella di poter approssimare il campo di forze, dovuto
a tutti i singoli componenti, tramite l’uso di un potenziale medio continuo. In pratica
si trascura la “granularità” del sistema e si suppone che ogni componente si muova in
un campo gravitazionale generato dalla massa del sistema distribuita in modo
continuo. L’approssimazione è possibile nel caso in cui gli incontri ravvicinati tra le
varie stelle non devino le traiettorie in modo apprezzabile da quelle derivate da un
campo continuo.
Questa approssimazione semplifica molto la trattazione dei sistemi stellari
consentendo di evitare lo studio di tutte le interazioni tra i vari corpi disaccoppiando
inoltre le equazioni del moto dei vari componenti, ma non può essere utilizzata per
tutti i sistemi. Essa è valida esclusivamente quando la velocità reale della stella si
discosta poco da quella che si otterrebbe nel caso in cui la massa del sistema fosse
distribuita in modo continuo.
Per valutare la validità dell’approssimazione in un dato sistema, si introduce un
parametro detto tempo di rilassamento.
1.1 Il tempo di rilassamento
Consideriamo una galassia di N stelle ognuna di massa m e concentriamoci sul moto
di una singola stella. L’obiettivo è quello di stimare l’ordine di grandezza della
differenza tra la reale velocità della stella, subito dopo aver attraversato il sistema, e
la velocità che avrebbe se la massa del sistema fosse distribuita in modo continuo.

Supponiamo che una stella passi a distanza b da un’altra; il vettore velocità v sarà

modificato di una quantità v dipendente da b e dalle masse e velocità delle due stelle.
Non ci addenteremo qui nel calcolo dettagliato di questa variazione [4], ma ci
limiteremo al caso, molto semplificato ma che fornisce comunque una buona stima
dell’ordine di grandezza, di incontri tra stelle in cui la stella perturbante sia quasistazionaria e in cui risulti

v
v
 1
In questo caso, è possibile calcolare la componente δv┴ ossia la componente della
variazione di velocità, perpendicolare alla velocità iniziale, assumendo che la nostra
stella viaggi su una traiettoria rettilinea nei pressi della stella perturbante e integrando
la componente della forza, F┴, perpendicolare alla traiettoria.
4
Figura 1 – Schematizzazione di un incontro stellare (Galactic dynamics)
Gm2
F  2
cos 
2
b x
3
Gm2b
2
2 3
(b  x )
2
Gm2
vt
 2 [1  ( ) 2 ] 2
b
b
.
(1.1)

L’equazione m v   F , integrata, dà
Gm

bv
v

 (1  s )
2

3
2
ds 
2Gm
bv
(1.2)
In questa soluzione approssimata |δv┴| è quindi uguale al prodotto tra la forza alla
minima distanza, Gm/b2, e la durata di tale forza, b/v. Supponendo che la nostra
galassia sia omogenea, e indicando con R il raggio caratteristico della galassia si può
ottenere la variazione di v2 dopo un attraversamento del sistema come:
v2  (
2Gm 2 2 N
)  2 bdb .
bv
R
(1.4)
La nostra trattazione è basata sull’assunzione che la stella si muova su una traiettoria
rettilinea. Questa ipotesi viene a cadere, togliendo validità al procedimento seguito,
quando v  v , ossia quando la variazione di velocità in modulo è
approssimativamente uguale al modulo della velocità stessa e la traiettoria ne risulta
apprezzabilmente modificata.
Dall’equazione (1.2), questo avviene quando b  bmin  Gm
.
2
v
Integrando ora la (1.4) su tutti i valori di b tra bmin e R, si ottiene
R
v 
2

2

v

  8N (
bmin
Gm 2
) ln  con   R .
Rv
bmin
(1.5)
5
Ricordando che la velocità tipica di una stella in una galassia è legata alla massa Nm
e al raggi R dalla relazione v 2  GNm R , si ottiene
v2 8 ln 

.
v2
N
(1.6)
Se la stella attraversa più volte il sistema, essa subirà una variazione di velocità v2
ad ogni passaggio. Dopo un numero di passaggi pari a
N
,
(1.7)
8 ln 
la variazione di velocità accumulata è dello stesso ordine di grandezza della velocità
iniziale della stella e quindi cade l’ipotesi di traiettoria rettilinea. Si può quindi
definire il tempo di rilassamento come trel  nrel  tcross dove tcross è il tempo di
attraversamento del sistema (crossing in inglese), ovvero il tempo impiegato in media
da un corpo ad attraversarlo.
nrel 
1.2 Il tempo di rilassamento delle galassie
Da quanto detto, il tempo di rilassamento indica il tempo necessario affinché gli
incontri stellari modifichino in modo apprezzabile la traiettoria della stella da quella
che essa avrebbe tenuto se la massa del sistema fosse stata distribuita in modo
continuo e non in modo discreto (“granuloso”).
Considerando che   R bmin  Rv 2 Gm  N , si vede dalla definizione di tempo di
rilassamento, che la stella viene deviata dalla traiettoria imperturbata dopo un tempo
pari circa al prodotto tra 0.1N/lnN e il tempo di attraversamento.
E’ quindi chiaro come la validità dell’approssimazione di potenziale continuo
dipenda dal numero di componenti del sistema, dal tempo di attraversamento e
dall’età del sistema. Grazie a queste considerazioni si spiega inoltre la divisione in
varie categorie del problema a N corpi, accennata in precedenza (Tabella 1).
Sistemi la cui età è inferiore al tempo di rilassamento e in cui quest’ultimo risulti
molto più grande del tempo di attraversamento, possono essere trattati trascurando
del tutto la granularità del sistema e studiando il moto dei suoi componenti all’interno
di un potenziale continuo generato dalla distribuzione di massa dei restanti
componenti.
Non rientrano nella categoria dei sistemi non collisionali gli ammassi aperti, in cui
trel  tcross  t , i quali sono completamente collisionali, e gli ammassi globulari, in
cui t cross  t rel  t , detti secolarmente collisionali . In quest’ultimo caso, nonostante
il tempo di rilassamento sia lungo rispetto al tempo di attraversamento, l’età del
sistema è così elevata da rendere determinanti le collisioni.
6
Sistemi non collisionali invece, sono le galassie, in quanto esse sono costituite da un
numero di corpi superiore a circa 1011 e la loro età attuale corrisponde solo a qualche
centinaio di attraversamenti, mentre il tempo di rilassamento è grossolanamente pari
a 4x109 tcross . Le galassie rientrano quindi nella categoria in cui tcross<<t<trel. I
componenti dei sistemi galattici non hanno quindi sofferto abbastanza collisioni
perché la granularità risulti determinante nella loro descrizione.
Per analizzare la dinamica delle galassie è quindi possibile costruire un potenziale
all’interno del quale si muovono i componenti del sistema. Per fare questo si dovrà
tener conto della morfologia della galassia in esame e di altre sue caratteristiche come
la densità, in modo da costruire un potenziale che approssimi nel miglior modo
possibile la distribuzione di massa del sistema.
Una volta ottenuto il potenziale, si può procedere al calcolo delle orbite dei vari
componenti del sistema.
Quanto detto finora sul tempo di rilassamento riguarda esclusivamente gli incontri
stellari, ma nei sistemi galattici sono presenti anche nubi di gas e polveri in quantità
diversa a seconda del tipo di galassia, visto che le ellittiche sono quasi prive di gas
mentre le galassie a spirale ne hanno in abbondanza. La presenza di queste ulteriori
componenti influenza il tempo di rilassamento [5].
7
Capitolo 2
L’Equazione di Boltzmann non collisionale
Immaginiamo un grande numero di stelle in moto sotto l’influenza di un potenziale
continuo Φ(x,t). Una descrizione ad ogni tempo t, di un qualsiasi sistema non
 
collisionale può essere data dalla conoscenza del numero di stelle f ( x , v , t ) d3x d3v
presenti in un volume infinitesimo dello spazio delle fasi d3x d3v centrato in

v.

x e in
 
La quantità f ( x , v , t ) è detta funzione di distribuzione del sistema. Ovviamente
questa è maggiore o uguale a zero in ogni punto dello spazio delle fasi.
In principio se conoscessimo le coordinate e le velocità iniziali di ogni singola stella,
potremmo calcolare le coordinate e le velocità ad un qualsiasi istante se potessimo
 
integrare le equazioni del moto di ogni stella. Questo corrisponde, data f ( x0 , v0 , t 0 ) , a
 
calcolare la f ( x , v , t ) per un qualsiasi tempo t usando solo le informazioni contenute in
 
f ( x0 , v0 , t 0 ) .
Consideriamo il flusso nello spazio delle fasi che si genera a causa del moto delle
stelle lungo la loro orbita; le coordinate saranno
 

( x, v )  w  (w1,..., w6 )
La velocità del flusso sarà




  (x
, v
 )  (v
w
, )

Il flusso descritto dal vettore a sei dimensioni w ha la caratteristica di conservare il
numero di stelle; queste infatti, in assenza di incontri con altre stelle che causino una
deviazione dalla traiettoria definita da un potenziale continuo, non hanno transizioni
improvvise da un punto ad un altro dello spazio delle fasi. Le stelle si muovono
quindi su traiettorie regolari nello spazio delle fasi quando sono trascurabili gli
incontri stellari che, variando in un tempo breve coordinate e velocità dei corpi,

causano discontinuità nelle traiettorie. La funzione di distribuzione f ( w, t ) soddisfa

quindi una relazione di continuità analoga a quella soddisfatta dalla densità  ( x , t ) di
un fluido ordinario.
6 ( f w
 j)
f

0
t j 1 w j
(2.1)
Integrando la (2.1) su un generico volume dello spazio delle fasi, si nota che il primo
termine descrive la velocità con cui cresce il numero di stelle all’interno del volume,
mentre, applicando il teorema della divergenza al secondo termine si nota che questo
descrive la velocità con cui le stelle escono dal volume.

Il flusso descritto dal vettore w possiede la seguente proprietà:
8
w j
 vi vi  3
   



  0









vi  i 1 vi  xi 
j 1 w j
i 1  xi
6
3
(2.2)
dove (vi xi )  0 in quanto vi e xi sono coordinate indipendenti dello spazio delle
fasi e dove, nell’ultimo termine delle (2.2),  non dipende dalle velocità. Il
potenziale infatti è una funzione delle coordinate e, eventualmente, del tempo.
Si può utilizzare l’equazione (2.2) per semplificare la (2.1) ottenendo l’equazione di
Boltzmann non collisionale:
6
f
f
  w j
0
t j 1 w j
(2.3a)
che in notazione vettoriale si esprime come
f 
f
 v  f      0
t
v
(2.3b)
Il significato fisico dell’equazione di Boltzmann può essere meglio espresso
estendendo il concetto di derivata lagrangiana ad uno spazio a sei dimensioni:
6
df f
f

  w j
dt t j 1 w j
(2.4)
L’equazione di Boltzmann non collisionale, quindi, risulta essere semplicemente
df
0
dt
(2.3d)
L’equazione di Boltzmann non collisionale descrive quindi l’evoluzione temporale di
un flusso di punti incompressibile, ossia un flusso tale che la densità f attorno ad una
stella qualsiasi resta sempre la stessa.
Questa equazione è valida esclusivamente per sistemi non collisionali, in quanto, in
presenza di incontri tra stelle, l’accelerazione da esse subita sarà discontinua perché
dovuta non solo al potenziale continuo, ma anche alle interazioni stella-stella. In
questo caso non è più valida l’equazione (2.2).
Il volume necessario affinché la definizione abbia significato deve essere tale da
contenere un numero sufficiente di stelle, in quanto se il volume contenesse solo
poche stelle si avrebbe una funzione con variazioni troppo rapide. Questa limitazione
può essere superata considerando la funzione di distribuzione come una densità di
9
probabilità: se al tempo t=0 c’è una certa probabilità che una stella si trovino in un
volume V0 dello spazio delle fasi, allora al tempo t generico, la stessa probabilità sarà
relativa al volume Vt in cui i punti di fase si sono mossi sotto l’influenza delle leggi
di Newton. La densità di probabilità quindi soddisfa le equazioni (2.1) e (2.3). In
questo caso la f gioca nella dinamica stellare il ruolo della funzione d’onda in
meccanica quantistica; essa infatti non è misurabile sperimentalmente, ma, una volta
ottenuta, può essere utilizzata per calcolare altre osservabili fisiche.
Resta aperto il problema della determinazione quantitativa della funzione di
distribuzione, del quale ci occuperemo nel capitolo successivo.
2.1 Le equazioni di Jeans
L’equazione di Boltzmann presenta un notevole limite applicativo: essa contiene la
funzione di distribuzione, ossia una funzione di sette variabili. La soluzione
dell’equazione risulta pertanto assai complicata. Manipolando opportunamente
l’equazione, la si può semplificare e ottenere al contempo dei validi risultati fisici di
carattere generale.
Ad esempio si può integrare l’equazione (2.3b) su tutte le velocità possibili,
ottenendo
f 3
f 3  f 3
d
v

v
 t
 i xi d v  xi  vi d v  0
(2.5)
L’intervallo di velocità su cui si integra non dipende dal tempo, quindi è possibile
portare fuori dall’integrale, la derivata parziale contenuta nel primo termine. Allo
stesso modo può essere portata fuori la derivata parziale fatta rispetto alle coordinate
spaziali xi in quanto le vi non dipendono da queste. Infine, l’ultimo termine si annulla
 
applicando il teorema della divergenza e tenendo conto che f ( x , v , t ) =0 per valori del
modulo della velocità abbastanza grandi (la velocità delle stelle è supposta limitata).
 

Definendo quindi la densità spaziale di stelle n(x ) e la velocità stellare media v (x )
n   fd 3v
;
vi 
1
f  v d 3v

i
n
si ha, sostituendo nella (2.5),
n  (n  vi )

0
t
xi
(2.6)
Se ora si moltiplica l’equazione per vj e si integra su tutte le velocità, si ottiene
10

f 3

f 3
3
f

v
d
v

v

v
d
v

v
d v0
j
j
 i j xi
t 
xi  vi
(2.7)
L’ultimo termine può essere riscritto applicando il teorema della divergenza e
sfruttando il fatto che f si annulla per grandi v:
 vj
v j
f 3
d v  
f d 3v     ij  f d 3v   ij  n
vi
vi
(2.8)
L’equazione (2.7) può quindi essere riscritta come
 (n  v j )
 (n  vi  v j )

1
 0 con vi  v j   vi  v j f d 3v
t
xi
x j
n
Sottraendo a questa equazione la (2.6) moltiplicata per vj si ha
n
v j
t

 vj
n
 (n  vi )  (n  vi  v j )


 n
xi
xi
x j
(2.9)
(2.10)
A questo punto è possibile spezzare il valor medio di vi vj in una parte relativa al
moto d’insieme vi  v j e in un termine σ2 dovuto al fatto che le stelle vicine ad un dato

punto x non hanno tutte la stessa velocità
 ij2  (vi  vi )  (v j  v j )  vi  v j  vi  v j
(2.11)
Si può a questo punto sostituire la (2.11) nella (2.10) ottenendo
 (n   ij )
n
 n  vi
 n

t
xi
x j
xi
v j
v j
2
(2.12)
Questa equazione prende il nome di equazione di Jeans.
Il termine  n   ij2 è un tensore di stress che descrive la pressione anisotropa dovuta
alla differenza di velocità tra le stelle del sistema.
L’equazione di Jeans può essere riscritta in coordinate cilindriche come
2
(nvz ) (n vR vz ) (n vz ) n vR vz




n
0
t
R
z
R
z
(2.13)
11
L’equazione di Jeans è utile per trovare quantità direttamente osservabili quali la
velocità di gruppo e la dispersione di velocità. Il problema è che non esiste nessuna
equazione che consenta di trovare le sei componenti indipendenti del tensore

simmetrico  2 , in quanto ogni tentativo di manipolare ulteriormente l’equazione di
Boltzmann porta a relazione che introducono nuove incognite. Per poter utilizzare

questa equazione è quindi necessario fare delle assunzioni ad hoc sulla forma di  2
analizzando il sistema in esame.
2.2 Applicazioni delle equazioni di Jeans
- Densità di massa nelle vicinanze del Sole
A partire all’equazione (2.13) è possibile stimare la massa presente nel disco galattico
nelle vicinanze del Sole. Il primo termine dell’equazione può essere eliminato se si
assume che il disco sia in uno stato stazionario. Si può inoltre dimostrare che il
secondo e quarto termine sono trascurabili rispetto al terzo ed al quinto. Tramite
queste assunzioni, l’equazione può essere riscritta come
2
1  (n vz )


n z
z
(2.14)
Poiché elle vicinanze del piano di un sistema appiattito, è possibile scrivere
l’equazione di Poisson nella forma semplificata
 2
 4G
2
z
(2.15)
dove ρ è la densità di massa locale, combinando (2.14) e (2.15), si può eliminare Φ
ottenendo
2
  1  (n vz

z  n z

)
  4G .

(2.16)
Se è possibile ottenere dalle osservazioni la densità numerica n e la velocità
quadratica media <vz2>, come funzione di z, di una popolazione stellare, l’equazione
(2.16) fornisce la densità di massa locale ρ.
Il problema di questo metodo è che la stima ottenuta è molto imprecisa, in quanto
necessita di una tripla differenziazione dei dati osservativi (una per ottenere η(z) e
altre due contenute nell’equazione). Per ovviare a tale problema si può procedere
calcolando la densità ρ per due diverse popolazioni stellari, ad esempio stelle F e K, e
12
poi mediando i risultati ottenuti. Questo è stato il metodo seguito da Oort il quale ha
ottenuto una densità pari a 0   ( R0 , z  0)  0.15M  pc 3 (limite di Oort).
E’ anche possibile ottenere la densità colonnare all’interno di una o due altezze di
scala del piano, relativa alla popolazione stellare considerata. La densità colonnare è
meno incerta della densità precedentemente ottenuta, in quanto richiede solo una
doppia differenziazione dei dati. Essa infatti può essere espressa come
2
1 ( vz )
( z )    ( z ' ) d z '  
(2.17)
2G
z
z
Oort ottenne un valore pari a (700 pc)  90M  pc 2 .
Per limitare l’incertezza dovuta alle molteplici differenziazioni, si utilizza il metodo
di Bahcall [6], il quale include nell’analisi tutte le componenti stellari presenti.
Tramite questo metodo si ottiene per le stelle F [7] 0  0.19M  pc 3 e
(200 pc)  40M  pc 2 , mentre per le giganti K [8], le quali hanno una maggiore altezza
di scala, 0  0.21M  pc 3 e (700 pc)  75M  pc 2 . Combinando queste due stime si
ottiene la densità di massa locale totale:
z
0  (0.18  0.03) M  pc 3
(2.18)
Da qui, conoscendo la densità di luminosità vicino al sole ( jV  0.067 L pc 3 ) , è
possibile ottenere il rapporto massa-luminosità in vicinanza del Sole
V 
0
jV
 2.7
(2.19)
La quantità Γv, per avere maggior significato fisico, ha bisogno di essere mediata su
una colonna del disco, in quanto le differenti popolazioni stellari presentano spessori
diversi. La media è però eseguibile solo fino ad un’altezza z pari a circa 700pc in
quanto la distribuzione di densità non può essere determinata oltre questo limite
nell’approssimazione in cui si è operato.
La brillanza superficiale totale è I  15L pc2 ed è quasi tutta dovuta alla zona
all’interno di z=700pc. Utilizzando la densità colonnare ottenuta precedentemente, si
trova
V 
(700 pc)
 5  
I
(2.20)
Questo è soltanto un limite inferiore per il rapporto massa-luminosità, in quanto non
si considera l’eventuale presenza di massa per valori di z maggiori di 700pc.
La presenza di massa ad altezze di scala maggiori è inferibile confrontando le densità
superficiali ottenute con la Σrot necessaria per mantenere la velocità circolare della
galassia pari a 220 km/s, ossia il valore che si ottiene nelle vicinanze del Sole.
vc2
 rot 
 210 M  pc  2
(2.21)
2  G  R0
13
Questo valore è quasi il triplo di quello ottenuto tramite i metodi di Oort e di Bachall
e ne consegue che buona parte della massa si trova ad altezze di scala maggiori di
700pc.
Un’ulteriore comparazione tra i risultati ottenuti e i dati osservativi, può essere fatta
confrontando il limite di Oort con la densità di materia nei pressi del Sole ottenuta
attraverso il conteggio di stelle e nubi di gas. Si ottiene dalle osservazioni una densità
di massa, relativa alle stelle visibili,  s  0.044M  pc . A questa va aggiunto il
contributo dei residui stellari, principalmente dovuto alle nane bianche, formatisi
durante la vita della galassia. Dai modelli di evoluzione stellare si ottiene che i residui
3
3
stellari contribuiscono alla densità totale con  wd  0.028M  pc . Infine va
aggiunto il contributo relativo al gas, ossia  gas  0.042M  pc . Si ha quindi un
limite inferiore, relativo alle informazione osservative, per la densità di massa nei
dintorni del Sole
3
min  s  wd   gas  0.114 M  pc3
(2.22)
Le densità dei residui stellari e delle nubi di gas sono piuttosto incerte ed il limite può
3
essere elevato fino a  min  0.14 M  pc . Il risultato ottenuto è comunque
significativamente minore del valore (2.18) stimato a partire dalle proprietà
dinamiche del sistema. Questo può essere imputabile alla presenza di materia non
osservabile in quanto poco luminosa [9].
- Sistemi con tensore di dispersione di velocità isotropo
Per risolvere le equazioni di Jeans è necessario fare delle assunzioni sulla forma del
tensore dispersione di velocità σ2. Il caso più semplice che si possa pensare è quello
di un tensore isotropo, il quale prende la forma
 i2j  (vi  vi )  (v j  v j )   2 i j
(2.23)
Non ci sono particolari motivazioni per questa assunzione, ma i risultati ottenuti
partendo da questo caso costituiscono un buon raffronto con le situazioni complicate
che si incontrano in realtà.
Ad esempio si può verificare se i sistemi stellari appiattiti che si osservano debbano
la loro particolare forma alla rotazione oppure ad altre cause. In particolare, un
sistema è appiattito a causa della rotazione quando la sua velocità d’insieme di
rotazione v ( R, z ) è tale da supportare una sufficiente forza centrifuga che possa
appiattire il sistema anche se la dispersione di velocità è isotropa. Si può quindi
tentare di costruire dei modelli isotropi di sistemi appiattiti per scoprire se la velocità
di rotazione del sistema è sufficiente a sostenere l’appiattimento o se questo deve
essere imputato ad altre cause.
Le equazioni di Jeans per un sistema a simmetria assiale, in uno stato stazionario, in
cui σ2 è isotropo e in cui l’unico moto di gruppo avviene in direzione azimutale,
diventano
14
v2 
 (n   2 )
 n( 
)0
R
R R
(2.24a)
 (n   2 )

n
0
z
z
(2.24b)
Supponiamo ora di conoscere la forma della densità di luminosità n(R,z) e del
potenziale gravitazionale Φ(R,z) di una certa galassia. La n può essere usata come
densità di luminosità se si assume f come distribuzione di luminosità. Ad ogni
raggio R è possibile integrare l’equazione (2.24b) da z   ad uno z arbitrario.
Nell’ipotesi in cui n  0 per
z   , si ottiene per σ2

1 
 ( R, z )   n
dz
n z z
2
(2.25)
Utilizzando questa relazione nella (2.24a) si ottiene

 R 

v ( R, z )  R

n
dz

R n R z z
2
(2.26)
Per un esempio pratico utilizziamo un potenziale logaritmico e la relativa densità di
luminosità
1 2  2
z2 
2
   L ( R, z )  v0  ln  RC  R  2 
2
q 

2 
 2
z
2
n  nL ( R, z )  n0 R   RC  R  2 

q 

2
C
(2.27a)
(2.27b)
dove i fattori q sono i rapporti assiali delle superfici di isodensità (qη) e di
isopotenziale (qΦ). Si ha che, se r  RC e 1  (1  q )  0.3(1  q ) , la densità di
luminosità è approssimativamente proporzionale alla densità di massa che genera il
potenziale. Risulta inoltre
15


 L
1
dz 2
2
z nL z dz  2 n0 ( RC  v0  q ) 2 ( R 2  RC2 )q2  z 2  ( R 2  RC2 )q2  z 2 
z


1
n0 RC2 v02
 ( R 2  RC2 )q2  z 2 
2

ln 

 q  2   ( R 2  RC2 )q2  z 2 
( R 2  RC2 )      1
 q 




(2.28)
Valutando l’equazione a z=0 ed inserendola nella (2.26), si ottiene
2 ln( q q ) 
v02 R 2 
v ( R,0)  2
 1

2
2 
R  RC  (q q )  1
2
(2.29)
Scrivendo ora
q 1   

 1  (    )  ...
q 1  
(2.30)
dove εη e εΦ sono le ellitticità delle superfici di isodensità e di isopotenziale,
possiamo espandere la (2.29) in potenze di (    )
v02 R 2
v ( R,0)  2
[(    )  ...]
R  RC2
2
(2.31)
L’equazione ottenuta può essere confrontata con l’espressione della velocità circolare
in un potenziale logaritmico
vC 
v0 R
RC2  R 2
(2.32)
La velocità di rotazione necessaria per appiattire un sistema descritto dalle equazioni
(2.27) è quindi la velocità circolare del sistema moltiplicata per un fattore     .
Inoltre, dato che per   piccolo si ha      0.7 , la velocità di rotazione richiesta
per appiattire un sistema fino ad una piccola ellitticità   decresce come il quadrato di
  . Questo implica che per supportare anche piccole ellitticità sono necessarie
velocità di rotazione piuttosto elevate.
16
Dalle osservazioni si nota che i sistemi sferoidali a bassa luminosità, in particolare le
componenti sferoidali delle galassie a disco, hanno velocità di rotazione comparabili
con quelle derivate da questa analisi, mentre le velocità delle galassie ellittiche
giganti sono molto più piccole di quelle predette. Questo implica che il tensore
dispersione di velocità σ2 per le componenti sferoidali delle spirali può essere
isotropo, mentre nelle galassie ellittiche giganti deve essere fortemente anisotropo.
2.3 Le Equazioni del Viriale
Moltiplicando l’equazione di Boltzmann per vj e integrando su tutte le velocità, si è
passati da un’equazione nelle sei coordinate dello spazio delle fasi per la quantità
scalare f, a tre equazioni alle derivate parziali per la quantità η ei momenti della
velocità. Moltiplicando ora l’equazione (2.8) per xk e integrando su tutte le posizioni,
si convertono le equazioni differenziali in un’equazione tensoriale relativa alle
proprietà globali della galassia. Identifichiamo η con la densità di massa ρ e
moltiplichiamo la (2.8) per xk per poi integrare
 xk
(   v j )
t
d 3 x   xk
 (   vi  v j )
xi
d 3 x     xk
 3
d x
x j
(2.33)
Il secondo termine nel lato destro dell’equazione è il tensore energia potenziale W. Il
primo termine dello stesso lato può essere espresso diversamente utilizzando il
teorema della divergenza
 xk
(   vi  v j )
xi
d 3 x     k i  vi  v j d 3 x  2 K k j
(2.34)
se si assume che la densità ρ si annulli per valori grandi del raggio. K è il tensore
energia cinetica, definito come
K jk 
1
  v j  vk d 3 x

2
(2.35)
Riutilizzando l’equazione (2.10) è possibile dividere K in due parti relative al
contributo del modo ordinato e del moto disordinato
1
1
K j k  T j k   j k con T j k     v j vk d 3 x e  j k      2 j k d 3 x
2
2
(2.36)
17
La derivata fatta rispetto al tempo nell’equazione (2.33) può essere portata fuori
dall’integrale in quanto xk è indipendente dal tempo. Si ottiene infine, mediando le
componenti (k,j) e le componenti (j,k) dell’equazione (2.33)
1 d
  ( xk v j  x j vk )d 3 x  2T j k   j k  W j k

2 dt
(2.37)
dove è sfruttata la simmetria di cambiamento di indice dei tensori implicati. Il
termine sinistro dell’equazione può essere espresso tramite il momento di inerzia
I j k     x j  xk d 3 x
(2.38)
Questa quantità ha una derivata temporale espressa nella forma
1 dI j k 1 
  x j xk d 3 x
2 dt
2 t
(2.39)
Utilizzando l’equazioni di continuità (2.6), il lato destro dell’equazione diventa
1  (   vi )
1
3
x
x
d
x

  vi ( xk j i  x j k i ) d 3 x dove l’uguaglianza è dovuta
j
k


2
xi
2
all’applicazione del teorema della divergenza. Sostituendo questo risultato
nell’equazione (2.39) si ottiene
1 dI j k 1
    (v j xk  vk x j ) d 3 x
(2.40)
2 dt
2
Combinando questo risultato con l’equazione (2.37), si ottiene il teorema tensoriale
del Viriale, derivato dall’equazione di Boltzmann non collisionale e quindi relativo
solo a sistemi in cui essa è valida.

2
1 d I jk
 2T j k   j k  W j k
2
2 dt
(2.41)
Questo teorema, come si può vedere, lega tra loro le qualità cinematiche e
morfologiche collettive di una galassia.
Di particolare interesse è la traccia di questa equazione. Dalla (2.36) si vede che
tracci(T )  1 2  traccia()  K dove K è l’energia cinetica totale del sistema. La traccia
di W invece, coincide con l’energia potenziale totale W. Se ci troviamo in uno stato
stazionario, ossia in uno stato in cui è nulla la derivata seconda del momento
d’inerzia, si ottiene il teorema scalare del Viriale
2K W  0
(2.42)
L’energia cinetica di un sistema stellare di massa M è K  1 2  M v , dove v 2 è la
velocità quadratica media.
2
18
Il teorema del viriale esprime quindi la relazione
W
GM
v2 

M
rg
(2.43)
dove rg è il raggio gravitazionale definito come
GM2
rg 
W
(2.44)
Tramite l’equazione (2.42) possiamo esprimere l’energia totale di un sistema come
1
E  K  W  K  W
(2.45)
2
Se quindi un sistema si è formato dall’aggregazione di materia da uno sta di riposo
all’infinito (K=W=E=0) e si è successivamente portato, tramite un qualsiasi processo,
all’equilibrio, esso ha utilizzato metà della sua energia gravitazionale dissipandola
durante il collasso sotto forma di energia cinetica, mentre l’altra metà è rimasta sotto
forma di energia di legame Eb=-E, pari alla sua energia cinetica, la quale impedisce al
sistema di disgregarsi.
2.4 Applicazione delle equazioni del viriale
- Rapporto massa-luminosità in sistemi sferici
Il teorema scalare del viriale può essere utilizzato per stimare il rapporto massaluminosità, Γ, di una galassia sferica, assumendo che questa non sia in rotazione e
che Γ resti costante al variare della distanza dal centro galattico.
Scegliamo un sistema di coordinate tale che l’asse x coincida con la linea di vista
verso la galassia. L’energia cinetica associata al moto in direzione x sarà data da
K xx 
1
2
3


v
d
x
x

2
(2.46)
La densità di massa ρ è legata alla densità di luminosità η proprio dal rapporto massaluminosità. Ne risulta quindi
 (r )    (r )
(2.47)
Combinando le due equazioni si ottiene
K xx 
1
  dy  dz   vx2 dx
2
(2.48)
L’integrale più interno indica la dispersione delle velocità lungo la linea di vista,
pesata tramite la luminosità. Kxx può quindi essere espresso in termini della
luminosità superficiale I e della dispersione di velocità lungo la linea di vista σp.
K xx 
1
   I ( y, z )   p ( y, z ) dydz
2
(2.49)
19
Essendo la galassia sferica e non rotante per assunzione, risulta
K  3K xx    J
(2.50)
dove J è definito come

J  3  I ( R)   p2 ( R)  R dR
(2.51)
0
E’ dimostrabile che la quantità η può essere espressa come
 (r )  
1

dI
 r dR
dR
R2  r 2
(2.52)
Combinando questa equazione con la (2.47), si ottiene

 dI
 (r )   
 r dR
dR
R2  r 2
(2.53)
Combinando questa relazione con l’espressione del potenziale W in un sistema
sferico

W  4G   (r )  M (r )  r dr
(2.54)
0
dove M(r) è la massa contenuta all’interno del raggio r, si ottiene
~
W  2 J
(2.55)
~
con J integrale dipendente da I(R) e σp(r). Utilizzando questo risultato e l’equazione
(2.42), si ottiene infine
J
  2 ~
J
(2.56)
Il rapporto massa-luminosità è quindi ottenibile partendo dalla misurazione della
luminosità superficiale e della dispersione di velocità lungo la linea di vista.
I modelli descritti dalle equazioni di Jeans o da quelle del Viriale, introdotte per
ridurre le variabili che entrano in gioco nell’equazione di Boltzmann, descrivono
un’ampia base di modelli. Non è però possibile sapere se questi modelli
corrispondano a situazioni di equilibrio realmente possibili in quanto richiedono, per
essere risolti, assunzioni specifiche, ad esempio, come si è visto, sulla forma del
tensore dispersione di velocità. La loro utilità risiede unicamente nel raffronto con i
sistemi reali, in modo da poter verificare se le assunzioni fatte nella modellizzazione
possano essere compatibili con il sistema in esame.
20
Capitolo 3
La Funzione di Distribuzione e i Teoremi di Jeans
Come si è visto nel capitolo precedente, per risolvere le equazioni che governano la
dinamica dei sistemi stellare, è necessario conoscere la funzione di distribuzione
f del sistema in esame. Tutte le quantità ricavate, infatti, presumono la conoscenza di


 (x ) e di v , entrambe dipendenti dalla funzione di distribuzione. In questo capitolo si
vuole fare una panoramica dei metodi atti a legare parametri osservabili alla funzione
di distribuzione. Per poter fare questo ed avere quindi la possibilità di risalire alla
funzione di distribuzione partendo da queste quantità (o viceversa) è necessario
introdurre i teoremi di Jeans.
Per fare questo va prima definito cosa sia un integrale del moto, in un dato potenziale
 
Φ(x). Una funzione delle coordinate dello spazio delle fasi I ( x , v ) è un integrale del
moto se e solo se
d  
I x (t ), v (t )  0
dt
(3.1)
lungo tutte le traiettorie del moto. Questa equazione può essere riscritta tramite le
equazioni del moto come

I
v  I     0
v
(3.2)
Confrontando queste equazioni con la (2.3b), ci si accorge che la condizione perché
una funzione sia soluzione stazionaria dell’equazione di Boltzmann è identica alla
condizione di integrale del moto, ed è quindi possibile risalire al seguente teorema.
- Teorema di Jeans
Ogni soluzione dell’equazione di Boltzmann in uno stato stazionario dipende dalle
coordinate dello spazio delle fasi solo attraverso integrali del moto del potenziale
galattico ed ogni funzione di tali integrali porta ad una soluzione dell’equazione di
Boltzmann in uno stato stazionario.
Dimostrazione:
La prima parte del teorema è dimostrata dall’identità delle condizioni da soddisfare,
infatti, se f è soluzione dell’equazione di Boltzmann, la sua derivata temporale sarà
nulla e sarà quindi anche un integrale del moto. La seconda parte è dimostrabile
assumendo che n funzioni I1…In siano integrali del moto e che f sia una qualsiasi
funzione di n variabili f[I1…In]. Si ottiene
n
d
 
 
f dI n
f I1 ( x, v ),..., I n ( x, v )  
0
dt

I
dt
m 1
n
(3.3)
21
equazione che dimostra la seconda parte del teorema, ossia che una funzione di
distribuzione così costruita sia soluzione dell’equazione di Boltzmann.
Il fatto che la funzione di distribuzione sia una funzione degli integrali del moto non è
di particolare utilità, in quanto raramente si conosce la forma di più di tre integrali del
moto, mentre le orbite in un qualsiasi potenziale indipendente dal tempo ammettono
necessariamente cinque integrali indipendenti.
Se però tutte le orbite in una galassia sono regolari, è possibile eliminare tutti gli
integrali non isolanti (dove per integrali isolanti si intendono quegli integrali del moto
che restringono lo spazio delle fasi disponibile al sistema). Questo porta alla
formulazione del seguente teorema
- Teorema di Jeans “forte”
La funzione di distribuzione di una galassia in uno stato stazionario, in cui quasi tutte
le orbite sono regolari con frequenze incommensurabili, può essere assunta come una
funzione di soli tre integrali del moto isolanti e indipendenti.
Dimostrazione:
Una galassia è in uno stato stazionario se tutte le sue proprietà osservabili sono
indipendenti dal tempo. Ogni proprietà osservabile presuppone la media della
funzione di distribuzione su una regione dello spazio delle fasi a volume non nullo
 
 
O   O( x , v ) f (x , v , t ) d 3 x d 3v
(3D.1)
 
 
dove f ( x , v , t ) è la funzione di distribuzione della galassia al tempo t e O ( x , v ) è una
funzione continua.
Essendo la galassia in uno stato stazionario, O sarà uguale alla sua media
temporale O . Si avrà quindi
 
 
O  O   O( x , v ) f (x , v , t ) d 3 x d 3v
(3D.2)
dove
T
 
1
f  lim  f ( x , v , t ) dt
T  T
0
(3D.3)
La funzione di distribuzione soddisfa l’equazione di Boltzmann, per cui risulta nulla
la sua derivata totale temporale e quindi
 
 
f ( x, v , t )  f ( xt , vt ,0)
(3D.4)
   

x
Dove t ( x, v ) , vt ( x, v )  sono le coordinate al tempo t=0 della stella che al tempo t
 
si trova in ( x , v ) . Si ha quindi
22
T
 
1
 
f ( x, v )  lim  f ( xt , vt ,0)
T  T
0
(3D.5)
Essendo le orbite
tutte regolari, è possibile passare alle coordinate azione 
angolo[10] ( J , ) , trasformando la precedente equazione in
T
 
 
1
f ( J , )  lim  f ( J ,   t ) dt
T  T
0
(3D.6)
È possibile dimostrare che, qualora le frequenze orbitali ωi siano incommensurabili,
una media temporale su un volume non nullo dello spazio delle fasi equivale ad una
media angolare. Si ha quindi
f 
1
(2 )3 
  3
f ( J , ) d 
(3D.7)
e quindi la f è esclusivamente funzione delle azioni. La (3D.2) può essere quindi
scritta come


   3 3
 
O   O( x , v ) f J ( x , v ) d x d v
(3D.8)
Quindi la media della funzione di distribuzione, funzione esclusivamente delle azioni,
genera gli stessi momenti e le stesse osservabili della vera funzione di distribuzione.
La media può quindi essere usata in vece della funzione originaria. Le azioni
possono, in linea di principio, essere espresse come funzioni di una terna qualsiasi di
integrali isolanti. Il teorema è quindi provato.
Applichiamo ora questi teoremi a sistemi di varie geometrie in modo da fornire alcuni
esempi del loro utilizzo.
3.1 Teoremi di Jeans applicati a sistemi sferici
La geometria più semplice a cui possiamo applicare i teoremi di Jeans è quella di un
sistema sferico.
Una qualsiasi orbita in un potenziale sferico ammette quattro integrali isolanti, in
particolare l’energia E e le tre componenti del vettore momento angolare. Dal primo
teorema di Jeans si ha che ogni funzione non negativa di questi integrali può essere
utilizzata come funzione di distribuzione per il sistema in esame. D’altra parte non è
possibile applicare, almeno in prima battuta, il teorema di Jeans forte, in quanto, in un
potenziale sferico, due delle tre frequenze ωk di una qualsiasi orbita sono sempre
23
uguali e questo non consente l’applicazione del teorema. Esiste però un’estensione
del teorema di Jeans forte la quale permette di concludere che in un qualsiasi sistema
sferico in uno stato stazionario, esclusi i sistemi con potenziali Kepleriani   1 r
dove tutte le ωk sono commensurabili, la funzione di distribuzione può essere

espressa come f E , L .
Se inoltre il sistema è a simmetria sferica in ogni sua proprietà, la funzione di
distribuzione non può dipendere dalla direzione del vettore momento angolare, ma
solo dal suo modulo; si ottiene quindi f  f ( E , L) .
Se, come nella stragrande maggioranza dei casi rilevanti, è il sistema stesso a
produrre il potenziale all’interno del quale si muovono le stelle, considerando la f
come funzione di distribuzione di massa, deve essere soddisfatta l’equazione di
Poisson
 2  4G  4G  f d 3v
(3.4a)
che, in simmetria sferica, si scrive
1 d  2 d 
  3
1 2
r

4

G
f
v


,
r
 v d v



 2
r 2 dr  dr 

(3.4b)
Può essere conveniente definire un nuovo potenziale ψ detto potenziale relativo e una
nuova energia ε detta energia relativa, definiti come
    0
1
e   E  0    v2
2
(3.5)
dove Φ0 è una costante, generalmente scelta in modo tale che f sia positiva per ε
positivo e che f sia nulla per ε minore o uguale a zero. Il potenziale relativo soddisfa

l’equazione di Poisson 2  4G e la condizione   0 per x   .
- Sistemi con tensore di dispersione isotropo
Studiamo un modello semplice ipotizzando che la funzione di distribuzione dipenda
esclusivamente da ε, ossia f  f (  1 2  v 2 ) . E’ possibile la dispersione di velocità in
direzione radiale come
vr2 
1 2

2
2
2 
dv
dv
dv
v

f


(
v

v

v
r

 r
r

 )


2

1
(3.6a)
dove l’integrale si estende su tutte le velocità. Allo stesso modo può essere espressa
la dispersione della velocità in direzione tangenziale
v2 
1 2

2
2
2 
dv
dv
dv
v

f


(
v

v

v
r

 
r

 )



2


1
(3.6b)
Le equazioni (3.6), come anche l’analoga espressione per vφ, differiscono solo per
l’indice di una variabile di integrazione, si ha pertanto che la dispersione di velocità è
identica per tutte le componenti e quindi il tensore di dispersione risulta isotropo.
24
Quanto detto è valido solo se la funzione di distribuzione dipende esclusivamente da
ε. La distinzione tra i sistemi stellari con funzioni di distribuzione di questo tipo e gli
altri sistemi è evidenziata dunque dalla forma del tensore di dispersione di velocità.
Analizziamo dunque il caso f  f ( ) , scegliendo la costante Φ0 in modo tale che
risulti f ( )  0 quando   0 . Si ha in questo caso dall’equazione (3.4b)
1 d  2 d 
2
r
  16 G
2
r dr  dr 
2

0
1 

f    v 2 v 2 dv 
2 


 16 G  f ( ) 2(   ) d
2
(3.7)
0
Questa equazione permette di legare tra loro il potenziale relativo ψ(r) con la
funzione di distribuzione f ( ) . Può essere interpretata sia come un’equazione non
lineare in ψ(r) data f ( ) oppure come un’equazione lineare in f ( ) data ψ(r).
Come esempio di utilizzo di queste equazioni, vediamo come è possibile ricavare la
funzione di distribuzione di un sistema sferico di una qualsiasi densità di massa  (r ) a
partire dal suo profilo di densità.
Scrivendo l’integrale di f su tutte le velocità come un integrale su ε, si ottiene grazie
alla (3.7)

 (r )  4  f ( ) 2(   ) d
(3.8)
0
Essendo ψ una funzione monotona di r, possiamo pensare ρ come una funzione di ψ,
ottenendo

1
 ()  2  f ( ) 2(   ) d
8
0
(3.9)
Derivando entrambi i termini rispetto a ψ si ha
1 d

8 d


0
f ( ) d
 
(3.10)
La (3.10) è un’equazione integrale di Abel la cui soluzione è

d d d
f ( ) 

8  2 d 0 d   
1
(3.11a)
Un’espressione alternativa è
f ( ) 

1  d 2

2
8  2  0 d
d
1  d  


 
 
  d    0 
(3.11b)
Questa equazione è detta formula di inversione Eddington. Data una distribuzione di
densità a simmetria sferica è possibile, in linea di principio, ricavare una funzione di
25
distribuzione dipendente dalle coordinate dello spazio delle fasi solo attraverso
l’energia, la quale genera un modello con la distribuzione di densità data.
Non c’è tuttavia la certezza che la soluzione delle equazioni (3.11) rispetti il requisito
fisico di essere non negativa per qualsiasi valore di ε. Si può comunque concludere,
dall’equazione (3.11a), che una distribuzione sferica di densità ρ(r) può essere quella
di un sistema la cui funzione di distribuzione dipenda solo dall’energia, se e solo se

d d
0 d   
è una funzione crescente di ε. Se questa condizione non è soddisfatto, il modello
ottenuto non ha validità fisica.
Per fare un esempio più concreto ricaviamo ora la funzione di distribuzione f J
generante il cosiddetto modello di Jaffe descritto da
 M 
rJ4

 (r )  
3  2
2
4

r
r
(
r

r
)
J 
J

GM  r 

( r ) 
ln 
rJ
 r  rJ 
(3.12a)
(3.12b)
dove M è la massa del sistema e rJ il raggio scala. È possibile introdurre le quantità
adimensionali
4 rJ3
rJ4
~

 2
M
r (r  rJ )2
 r
r
~
e    J    ln 
GM
 r  rJ



(3.13)
È possibile eliminare r dalle due equazioni ottenendo
1~
 
 12 ~
~
   e  e 2 


4
(3.14)
Da questa equazione si ottiene
 d~ 
0
 ~
~
 d   0

~
~
~
~
d 2 ~
2


 2

4
e

e

e

e
~
d 2
(3.15a)

(3.15b)
Sostituendo quanto ottenuto nella (3.11b) e cambiando variabile di integrazione con
~
x  ~   dove ~   E rJ GM , si ottiene
26
f (E) 
F (
M
2 (GMrJ )
3
3

2~ )  2 F ( ~ )  2 F ( ~ )  F ( 2~ )
2

(3.16)
dove si ha
x
F ( x)  e
 x2
 x
e
 dx
2
(3.17a)
0
con
F ( x) 
2
1
 e x erf ( x)
2
(3.17b)
- Sistemi con tensore di dispersione anisotropo
Abbiamo visto come la dipendenza della funzione di distribuzione dagli integrali del
moto influenzi la forma del tensore di dispersione di velocità; in particolare,
analizzando il caso in cui un sistema abbia una funzione di distribuzione dipendente
esclusivamente dall’energia, si è visto che sistemi di questo tipo presentano una
forma isotropa per il tensore di dispersione di velocità.
Analizziamo ora il caso generale in cui la funzione di distribuzione dipende
dall’energia e dal modulo del vettore momento angolare. Questo caso corrisponde a
sistemi il cui tensore dispersione di velocità è anisotropo. Un possibile approccio è
quello di tentare di ottenere un analogo della formula di Eddington.
Partiamo dall’equazione (3.4a) esprimendo l’integrale nel termine destro in
coordinate polari nello spazio delle velocità (v, ξ, ς).
vr  v cos 
v  v sin  cos 
v  v sin  sin  ;
(3.18a)
usando l’energia e il potenziale relativi, si ottiene




1
2


 (r )   f ( , L) d v  2  sin  d  f    v 2 , rv sin   v 2dv
3
0
0
(3.18b)
Da questa è in linea di principio possibile risalire ad una qualche relazione tra il
potenziale relativo e la funzione di distribuzione, come nel caso isotropo
precedentemente descritto.
27
- Distribuzione differenziale di energia
Una quantità utile da conoscere nello studio di un sistema stellare è la massa dM di
stelle in un intervallo di energia ( ,   d ) . La funzione risultante dM d è detta
distribuzione differenziale di energia.
Le stelle di energia relativa  poste al raggio r, si muovono con velocità
v  2(   )
(3.19)
Cambiando la variabile di integrazione nell’equazione (3.18b) da v in ε, si ottiene

(r )
0
0
 (r )  2  sin  d
 f ( , rv sin  ) v d
(3.20)
Scambiamo ora l’ordine delle integrazioni in  e in  , moltiplichiamo per 4 r 2 dr e
integriamo su tutti i raggi per ottenere la massa totale M del modello
M  8
(r )

2
r
2

dr
0

vd  f ( , rv sin  ) sin  d
0
(3.21)
0
Scambiamo ora le integrazioni in r e in  ottenendo
M  8
 ( 0)
2

d
rm ( )

0

vr dr  f ( , rv sin  ) sin  d
2
0
(3.22)
0
dove rm ( ) è il massimo raggio raggiungibile da una stella di energia relativa  ed è
definito dalla condizione (rm )   . L’equazione (3.22) rappresenta la massa totale
del sistema come una somma sui contributi derivanti da ogni intervallo energetico. Si
ha quindi
dM
 8 2
d
rm ( )


vr dr  f ( , rv sin  ) sin  d
2
0
(3.23)
0
dove v è espresso dall’equazione (3.19).
Se la funzione di distribuzione dipende esclusivamente dell’energia relativa, è
formalmente possibile integrare su  ottenendo
dM
 f ( ) g ( )
d
(3.24)
dove la g ( ) è la densità di stati, ovvero il volume di spazio delle fasi per intervallo
unitario di energia relativa, definita come
g ( )  16
rm ( )
2

2(   ) r 2 dr
(3.25)
0
28
3.2 Teoremi di Jeans applicati a sistemi a simmetria assiale
Lo studio portato avanti finora sui sistemi sferici non è di particolare interesse
pratico, in quanto sono pochissime le galassie di forma approssimativamente sferica.
È necessario quindi considerare geometrie più complesse passando ad esempio allo
studio di sistemi appiattiti come le galassie discoidali.
La maggior parte delle orbite in sistemi di questo tipo ammette tre integrali isolanti:
l’energia E, la componente del momento angolare parallela all’asse di simmetria (L z)
e un terzo integrale I3. Grazie al teorema di Jeans nella sua forma forte, è possibile
affermare che la funzione di distribuzione in galassie appiattite è una funzione di tre
variabili. Ricavare la specifica funzione di distribuzione di una certa galassia non è
però un problema semplice. Cominciamo quindi analizzando sistemi semplici
descritti da modelli di dischi di spessore infinitesimo.
- Sistemi piani
Modelli di questo tipo rappresentano un’approssimazione ragionevole, in quanto,
nella maggior parte delle galassie, quasi tutta la luce è emessa da un disco stellare
molto sottile. È tuttavia un’idealizzazione supporre che il potenziale che governa il
moto stellare sia completamente generato da questo disco sottile, in quanto esistono
evidenze sperimentali che la dinamica di tali dischi sia influenzata dal campo
gravitazionale generato da componenti oscure più spesse.
Studiando la dinamica di questi modelli idealizzati si nota che, mentre l’energia
cinetica totale del sistema è determinata dalla sua massa tramite il teorema del
Viriale, la divisione di questa energia tra moto ordinato e moto casuale non ha vincoli
di sorta. Per determinare univocamente la funzione di distribuzione di tali sistemi è
quindi necessario conoscerne la cinematica interna.
La notevole semplificazione introdotta nell’approssimare il sistema come piatto
risiede nel fatto che le orbite di un simile sistema ammettono solo due integrali
isolanti, E e I2; se il sistema è a simmetria assiale possiamo identificare il secondo
integrale con Lz. Dal teorema di Jeans forte si deduce che f  f ( E, Lz ) .
Ricaviamo ora la funzione di distribuzione generante un semplice modello di disco: il
cosiddetto disco di Mestel.
Consideriamo un disco con densità superficiale
( R ) 
 0 R0
R
(3.26)
Una densità di questo tipo porta ad una velocità circolare pari a
vC2   R

 2G0 R0
R
(3.27)
La costante utilizzata nella definizione del potenziale relativo è posta tale che
 (1)  0 . Integrando l’equazione (3.27) rispetto a R si ottiene
 ( R)  vC2 ln R
(3.28)
29
Consideriamo ora la seguente funzione di distribuzione
f ( , Lz )  F L e
q
z

2
f ( , Lz )  0
se Lz  0
(3.29)
se Lz  0
dove F, q e σ sono delle costanti. Eliminando Ψ nella (3.29) grazie alla (3.28) e
integrando su tutte le velocità nel piano, si ottiene che la densità superficiale ricavata
da questa funzione di distribuzione nel potenziale generato dal disco di Mestel è
 vC2
vR2  v2 
( R)  FR  v dv  exp  2 ln R 
dvR 
2 

2



v  0


q
 FR
2

 q  vC
 2





q
q
v

 e

2
1 v
2 2

dv
v  0


e
1 v R2
2 2
dvR 

 q 1
( q  2)
 22  
R
! F 
2


q

 q
 

vC2
2




(3.30)
Per riottenere, consistentemente, la densità superficiale (3.26 bisogna quindi porre
q
vC2
2
1 e F 
0 R0
 q  1  ( q  2)
22  
! 
2


q
(3.31)
Il parametro q che compare nella funzione di distribuzione misura quanto il disco sia
supportato dalla forza centrifuga, essendo σ la dispersione di velocità in direzione
radiale.
È possibile calcolare esplicitamente la velocità media in direzione azimutale come
 v2 
q
 dv
v exp  
2
 !
2 


v f ( , Lz ) dv dvR
2




2 
v 


 v2 
 q 1
q
 f ( , Lz ) dv dvR


v
exp

dv
   2 2    2 !


( q 1)
(3.32)
Nel limite in cui q tende a infinito, tutte le stelle del sistema sono su orbite circolari e
risulta v  vC .
30
- Sistemi a tre dimensioni con f=f(ε, Lz)
Passiamo ora a sistemi di spessore finito in direzione perpendicolare al loro piano
equatoriale. Abbiamo visto come il teorema di Jeans forte imponga che la funzione di
distribuzione dipenda da tre integrali; nonostante questo, funzioni di distribuzione
dipendenti solo dall’energia relativa e dalla componente verticale del momento
angolare generano sistemi fisicamente validi anche se appartenenti ad una sottoclasse
ristretta dei sistemi a spessore finito. Il grosso vantaggio è quello di poter costruire
modelli di questo tipo senza incontrare grandi difficoltà di calcolo.
È possibile calcolare, in sistemi con tali funzioni di distribuzione, il rapporto tra la
dispersione di velocità in direzione radiale e quella in direzione verticale

v
2
R
vz2


1 2

 2
2
2
f


(
v

v

v
),
Rv
R
z


    2
 vR dvR

 


1 2

 2
2
2
dv
dv
f


(
v

v

v
),
Rv

R
R
z


    2
 vz dvz

dv
dvz
(3.33)
I due integrali sono uguali tra loro; si ha quindi che qualora la funzione di
distribuzione dipenda solo dall’energia relativa e dalla componente verticale del
momento angolare, vR2  vz2 . Questo risultato è un utile termine di paragone con i
sistemi reali. Infatti si è visto dalle osservazione che nelle vicinanze del Sole la
dispersione di velocità radiale è maggiore di quella verticale. Se ne conclude quindi
che la funzione di distribuzione della nostra galassia non è della forma f ( , Lz ) .
Come è stato fatto nel caso di sistemi sferici, è possibile ricavare l’espressione di
f ( , Lz ) tali da generare alcune distribuzioni di densità  ( R, z ) assegnate.
La densità può essere espressa come


v 2  2
1
f (  v 2 , Rv ) d 3v
2
(3.34)
con la condizione che la funzione di distribuzione sia nulla per valori negativi
dell’energia relativa. Risulta che la dispersione di velocità radiale v r2 sia uguale a
quella verticale v z2
Utilizzando ora le variabili di integrazione (ε, Lz), si ottiene
31

2

d
f ( , Lz ) dLz 


R 0 L2  2(   ) R 2
z
2
d

R 0
R 2(   )

R 2(   )



4
d

R 0
  f ( , L )  f ( , L )dL
z
z
z

0
f

(3.35)
( , Lz ) dLz
0
Dove si ha
f ( , Lz )  f  ( , Lz )  f  ( , Lz )
(3.36a)
1
 f ( , Lz )  f ( , Lz )
2
(3.36b)
f  ( , Lz ) 
Si vede quindi che la densità dipende solo dalla parte della funzione di distribuzione
che è pari in Lz . Questo è dovuto al fatto che il contributo alla densità dato da una
certa stella, non dipende dal senso di rotazione di questa intorno all’asse di simmetria.
Questo risultato implica che, data una certa funzione di distribuzione che genera il
profilo di densità desiderato, è possibile crearne infinite aggiungendo semplicemente
una parte dispari in Lz.
La parte dispari della funzione di distribuzione non influenza il profilo di densità, ma
entra in gioco nella velocità d’insieme media

4
v 
d
R 2 0
R 2(   )
f

( , Lz ) Lz dLz
(3.37)
0
Conoscendo quindi ρ e vφ, è possibile risolvere le equazioni ottenendo la parte pari e
la parte dispari della funzione di distribuzione.
- Sistemi assiali con tre integrali del moto
Come si è visto i modelli assiali, in cui la funzione di distribuzione dipende solo
dall’energia relativa e dalla componente del momento angolare parallela all’asse di
simmetria, non descrivono molti dei sistemi stellari esistenti, tra cui la nostra galassia.
Infatti le simulazioni numeriche mostrano come nei sistemi a simmetria assiale la
maggior parte delle orbite ammetta un terzo integrale del moto I 3 oltre a quelli già
citati. Precedentemente abbiamo visto come partendo dalla conoscenza di  ( R, z ) e di
v ( R, z ) sia possibile risalire ad una f ( , LZ ) . Ci aspettiamo dunque che passando al
caso meno stringente di una f ( , LZ , I 3 ) ad una sola coppia (  , v ) corrispondano più
funzioni di distribuzione. Per determinare univocamente la funzione quindi, è
32
necessario avere ulteriori informazioni sulla struttura del sistema in esame. Ad
esempio è possibile considerare la dispersione di velocità lungo la linea di vista σp.
La conoscenza di ulteriori informazioni sulla velocità è essenziale. Prendiamo ad
esempio il caso di una galassia ellittica gigante; come si è detto in precedenza, questo
tipo di galassia ha una velocità di rotazione più bassa di quella che si avrebbe se il
tensore dispersione di velocità fosse isotropo. Se ne è concluso che le galassie
ellittiche giganti possiedono un tensore dispersione di velocità anisotropo.
Questa anisotropia è espressa dalla relazione
1 2
( vR  v2 )  vz2
2
(3.38)
È però necessario capire quale dei termini è principalmente responsabile di questa
disuguaglianza. Consideriamo ora i casi estremi
2
1) L’anisotropia è generata da un valore elevato di v R
Nella nostra galassia si ha per le stelle della componente sferoidale nei dintorni del
Sole
vR2  2 vz2  v  v 
2
(3.39)
Questo effetto, nella nostra galassia, è dovuto dalla dipendenza della funzione di
distribuzione da I3. Si può quindi immaginare che, in questo caso, anche per le
galassie ellittiche giganti risulti f ( , LZ , I 3 ) .
2
2) L’anisotropia è generata da un valore elevato di v
D’altra parte, le galassie ellittiche potrebbero avere funzioni di distribuzione
dipendenti esclusivamente dall’energia relativa e da LZ. In questo caso esse sarebbero
appiattite dall’elevato valore di v2 necessario per far sì che si verifichi
l’anisotropia.
Probabilmente la situazione reale si pone a metà tra questi due casi limite. Una valida
funzione di distribuzione potrebbe essere
f   f ( , Lz )  (1   ) f ( , Lz , I 3 )
(3.40)
Il parametro α determina il peso relativo dei due casi limite. Per conoscerlo è
necessario conoscere empiricamente il rapporto vR2 v2 tra la dispersione radiale e
quella azimutale.
I sistemi stellari possono presentarsi anche sotto la forma di sistemi triassiali, ma
sistemi di questo tipo richiedono un analisi molto complicata che esula dagli obiettivi
di questa tesi.
33
Capitolo 4
Equilibrio dei sistemi galattici
I metodi analitici studiati finora sono utilizzabili sotto la condizione che il sistema in
esame siano in uno stato stazionario, in quanto solo così le equazioni presentate
possono essere applicate a questi sistemi.
La regolarità dei profili di luminosità e di velocità delle galassie sembra avvalorare
questa assunzione. Se infatti si osserva l’andamento della luminosità di una galassia,
si può notare come questo sia ben descritto da leggi regolari e come sia privo di
improvvise variazioni le quali porterebbero a ipotizzare un’assenza di equilibrio.
Per i dischi galattici, la legge utilizzata è [11]
I ( R)  I 0 e

R
h
(4.1)
dove i parametri in gioco sono la brillanza centrale I0 e la lunghezza esponenziale h.
Per le galassie ellittiche, invece, si trova che la legge che meglio approssima i dati
osservativi è
I ( R)  I 0 e
 R
 7.67
 Re




14
(4.2)
dove Re è detto raggio effettivo della galassia, all’interno del quale è contenuta metà
della luminosità totale.
Anche i profili di velocità, studiati tramite l’effetto Doppler, sono fortemente
regolari.
Quanto detto fa quindi pensare che assumere le galassie come sistemi all’equilibrio
sia più che ragionevole. Le difficoltà sorgono quando ci si chiede come questi sistemi
vi siano giunti; per giungere all’equilibrio, i sistemi hanno bisogno di un meccanismo
che distribuisca energie e velocità dei suoi componenti in modo regolare.
Un ottimo candidato a tale compito è il rilassamento collisionale, ma le galassie,
come abbiamo visto in precedenza, sono sistemi non collisionali e quindi l’effetto di
questo meccanismo è trascurabile. In sistemi di questo tipo, infatti, il tempo
necessario perché il rilassamento collisionale abbia effetti apprezzabili è superiore al
tempo di vita dei sistemi stessi.
È quindi necessario individuare altri meccanismi di rilassamento per poter spiegare
come le galassie possano aver raggiunto l’equilibrio. Ci limiteremo qui a fornire solo
due esempi di questi meccanismi [12].
34
4.1 Meccanismi di rilassamento non collisionali
- Mescolamento di fase
Consideriamo N pendoli indipendenti della stessa lunghezza L, quindi con le stesse
proprietà dinamiche, non interagenti tra loro. I pendoli vengono inizialmente portati a
formare un angolo θ con la verticale. Gli angoli sono uniformemente distribuiti
nell’intervallo 0  1 2  con   0 . Ad ogni pendolo viene fornita una
velocità iniziale tale che i momenti p  L siano uniformemente distribuiti
nell’intervallo  p . A questo punto i pendoli vengono fatti oscillare. Le curve
descritte nello spazio delle fasi saranno delle traiettorie chiuse ad energia fissata. I
pendoli più energetici si muovono su curve di raggio più grande con minore velocità.
La figura generata dai punti di fase dei vari pendoli si modificherà quindi al passare
del tempo, portando ad una spirale confinata tra le curve di minima e massima
energia. Un sistema di questo tipo è descrivibile tramite l’equazione di Boltzmann e
perciò la densità dei punti di fase rimane la stessa ad ogni istante. Se invece si stima
la f in un volume di dimensioni finite, essa sarà inizialmente uguale alla f , ma al
passare del tempo la cella finita conterrà sia tratti della spirale formata dai punti di
fase che tratti vuoti. Si avrà quindi f  f . Il processo che causa la diminuzione di f
è detto mescolamento di fase. Questo mostra come l’equazione di Boltzmann non
imponga che f rimanga costante, ma che piuttosto non aumenti lungo un’orbita; non
è quindi possibile in nessun modo comprimere i punti di fase. Come vedremo in
seguito, l’entropia di un sistema può essere definita come   f ln f d 3 xd 3v . Sostituendo
f con f , si ottiene l’entropia media del sistema. La diminuzione di f causa
l’aumento dell’entropia media. È possibile quindi affermare che nessun sistema non
collisionale può evolvere da uno stato A ad uno stato B se S ( A)  S ( B) .
- Rilassamento violento
Questo meccanismo di rilassamento, agisce modificando le energie delle stelle del
sistema.
Quando una stella si muove in un potenziale costante nel tempo Φ, la sua energia
E  1 2 v 2   sarà a sua volta costante. Se invece il potenziale è anche una funzione
del tempo, si avrà

dE 1 dv 2 d  dv  



v

 v   
dt
2 dt
dt
dt t
t x (t )
(4.3)

dove l’ultimo passaggio è effettuato ricordando che v   .
Consideriamo una stella posta al centro di una protogalassia sferica in collasso.
Durante il collasso la buca di potenziale al centro del sistema si fa più profonda,
mentre la velocità della stella resta nulla; l’energia di questa stella, quindi,
diminuisce.
35
Le altre stelle della protogalassia, invece, aumenteranno la loro energia. Ad esempio
una stella posta vicino al raggio all’interno del quale si trova metà della massa del
sistema, risponderà lentamente al collasso. Quando essa comincerà a cadere verso il
centro, il sistema sarà già parzialmente collassato rendendo più profonda la buca di
potenziale. La stella quindi acquisirà molta energia cinetica. Quando questa sarà
passata vicina al centro, il sistema avrà già cominciato a riespandersi e quindi la buca
che la stella vedrà sarà meno profonda. Essa raggiungerà quindi il potenziale di
partenza con un’energia cinetica maggiore di quella precedente, aumentando così la
sua energia.
La variazione di energia generata da questo meccanismo dipenderà quindi dalle
posizioni e dalle velocità iniziale delle stelle e l’effetto globale sarà quello di
ampliare l’intervallo di energie dei corpi. Il risultato che si ha con un potenziale
variabile nel tempo è quindi analogo a quello che si ottiene in un gas per mezzo delle
collisioni. La differenza risiede nel fatto che l’effetto generato dal rilassamento
violento non dipende dalla massa della stella, mentre il rilassamento collisionale
tende a trasferire l’energia dalle particelle più massicce a quelle meno massicce.
Una trattazione più approfondita del rilassamento violento [13] può mettere in luce
fenomeni interessanti introdotti da questo tipo di meccanismo. Ad esempio si ipotizza
che il rilassamento violento sia il meccanismo fondamentale nella formazione delle
galassie ellittiche [14].
Tramite simulazioni numeriche si è evidenziato come i meccanismi di rilassamento
non collisionali non siano sufficienti a stabilire un vero e proprio equilibrio [15]. Le
galassie non si trovano quindi in uno stato stazionario, ma piuttosto in uno stato quasi
stazionario lentamente variabile. Data la lentezza delle variazioni in atto nei sistemi
galattici è comunque possibile assumere la validità dell’equazione di boltzmann e dei
suoi derivati, nonostante essa abbia come condizione l’equilibrio del sistema.
4.2 Scelta dell’equilibrio
Resta da chiarire come le galassie “scelgano” tra i vari tipi di configurazioni di
equilibrio possibili. Questa scelta può avvenire in quanto favorita da un qualche
principio fisico generale o in base alle particolari condizioni iniziali presenti all’epoca
della formazione della galassia. Niente esclude, tuttavia, che entrambi i fattori
giochino un ruolo determinante nella costituzione di una certa configurazione.
Bisogna ora capire quale principio generale possa determinare la “forma” di
equilibrio raggiunta da una certa galassia.
- Principio di massima entropia
Il principio di massima entropia afferma che le caratteristiche termodinamiche di un
sistema possono essere ottenute ricavando la densità di probabilità p che massimizza
l’entropia
36
S 
 p ln p d
(4.4)
spaziodelle fasi
Ci si può chiedere se questo principio possa essere utile nella determinazione delle
strutture galattiche.
In precedenza abbiamo visto come la funzione di distribuzione possa essere
interpretata come una densità di probabilità; è quindi naturale tentare di sostituire a p
la funzione di distribuzione e il volume d con d 3vd 3 x cercando poi la forma di f che
massimizzi l’entropia per i dati valori della massa e dell’energia della galassia.
Simulazioni numeriche hanno portato a dimostrare che una funzione di distribuzione
che estremizzi l’entropia dà come risultato un modello con massa ed energia infinite,
quindi incompatibile con le situazioni fisiche.
È quindi chiaro che nessuna funzione di distribuzione compatibile con M ed E finite
possa massimizzare l’entropia. Ponendo solo il vincolo sui valori di massa ed energia
si possono invece costruire modelli con entropia arbitraria semplicemente variando la
disposizione delle stelle.
Le galassie non sono in uno stato di equilibrio termodinamico definitivo, ma piuttosto
evolvono verso stati di più alta entropia.
37
Conclusione
L’obiettivo centrale di questa dissertazione è dare una rassegna dei metodi analitici
utilizzati per lo studio dell’equilibrio dei sistemi galattici.
Nel primo capitolo è stato fornito un metodo atto ad ottenere una stima del tempo di
rilassamento collisionale e si è mostrato come questo dipenda fortemente dal numero
di corpi componenti il sistema. Si è poi applicato il metodo per stimare il tempo di
rilassamento di una galassia, osservando che questo risulta essere maggiore del tempo
di attraversamento del sistema e dell’età della stella nella galassia. Si può quindi
studiare la dinamica di un sistema galattico trascurando le collisioni, senza per questo
commettere errori importanti, supponendo che le stelle si muovano per effetto di un
potenziale generato dalla materia galattica distribuita in modo continuo.
Nel capitolo successivo si è sviluppata questa idea, derivando l’equazione di
Boltzmann non collisionale. Questa equazione descrive l’evoluzione della funzione di
distribuzione, ovvero la densità nello spazio delle fasi del sistema.
Si è fatto quindi notare come l’equazione di Boltzmann sia intrinsecamente
complicata in quanto essa si riferisce ad una funzione, a priori dipendente da sette
variabili. L’equazione di Boltzmann è stata quindi ridotta in forme più utilizzabili,
ottenendo le equazioni di Jeans e le equazioni del viriale. Successivamente sono stati
mostrati alcuni esempi di utilizzo concreto di queste equazioni, mostrando la loro
utilità nel fornire previsioni o nel ricavare quantità poi direttamente osservabili. Si è
però evidenziato come queste forme ridotte dell’equazione di Boltzmann richiedano
assunzioni ad hoc per poter essere utilizzate; il problema risiede in particolare nel
tensore di dispersione delle velocità, la cui forma deve essere ipotizzata a priori per
poter creare modelli da confrontare successivamente con le situazioni reali. La
necessità di ipotizzare la forma del tensore è dovuta al fatto che se si tenta di
manipolare ulteriormente l’equazione di Boltzmann, in modo da ottenere delle
relazioni per il tensore di dispersione, si introducono inevitabilmente altre variabili.
Nel terzo capitolo si è affrontato il problema di come fare delle ipotesi ragionevoli
sulla funzione di distribuzione, essendo questa essenziale per l’utilizzo delle
equazioni discusse nel precedente capitolo. Sono stati esposti i teoremi di Jeans e si
sono forniti esempi del loro utilizzo in sistemi geometricamente semplici.
Le equazioni studiate nei primi tre capitoli descrivono l’equilibrio, ma non sono
valide se il sistema in esame non si trova in uno stato quasi stazionario. Si è voluto
quindi, nel quarto ed ultimo capitolo, affrontare la problematica dell’equilibrio dei
sistemi galattici. Come si è visto, le galassie non risentono del rilassamento
collisionale ed è quindi necessario supporre l’esistenza di altri meccanismi che
rendano possibile il raggiungimento dell’equilibrio. Come esempi, sono stati trattati il
38
rilassamento violento ed il mescolamento di fase, specificando però che questi
meccanismi non sono sufficienti, considerata l’età delle galassie, a portare i sistemi
galattici ad un equilibrio definitivo. Le galassie sono pertanto sistemi in uno stato
quasi-stazionario e continuano a evolvere lentamente. In quest’ultimo capitolo si è
anche tentato di spiegare a cosa sia dovuta la diversità di configurazioni di equilibrio
che si osservano; la spiegazione presentata è quella che sull’evoluzione di un
determinato sistema abbiano influenza sia le condizioni iniziali presenti nel luogo di
formazione, sia principi fisici universali. Come esempio di questa ultima categoria è
stato riportato il principio di massima entropia con i relativi problemi.
39
Bibliografia
[1] Capuzzo Dolcetta R., (2005) High performance computing for self- gravitating
systems
[2] Giannone P., 2004 – Elementi di astronomia, Pitagora Editrice s.r.l.
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Astrophysics
[4] Standish E.M., Aksnes K., (1969) Astrophysical Journal 158, 519
[5] Spitzer L., Schwarzschild M., (1951) Astrophysical Journal 114, 385
[6] Bahcall J., (1984) Astrophysical Journal 276, 156
[7] Bahcall J., (1984) Astrophysical Journal 276, 159
[8] Bahcall J., (1984) Astrophysical Journal 287, 926
[9] Tremaine S., Gunn E., (1979) Physical Review Letters 42, 407
[10] Boccaletti D., Pucacco G., (1999), Theory of Orbits, Springer
[11] Bertin G., (2000) Dynamics of Galaxies, Cambridge university press
[12] Shu F., (1969) Astrophysical Journal 158, 505
[13] Spergel D., (1992) Astrophysical Journal Letters 397, L75
[14] Tremaine S., Henon M., Lynden-Bell D., (1986) Monthly Notices From Royal
Astronomical Society 219, 285
[15] Shu F., (1978) Astrophysical Journal 225, 83
40
INDICE
Introduzione
pg.1
1. I sistemi non collisionali
1.1 Il tempo di rilassamento
1.2 Il tempo di rilassamento delle galassie
pg.4
pg.4
pg.6
2. L’equazione di Boltzmann non collisionale
2.1 Le equazioni di Jeans
2.2 Applicazioni delle equazioni di Jeans
2.3 Le equazioni del viriale
2.4 Applicazioni delle equazioni del viriale
pg.8
pg.10
pg.12
pg.17
pg.19
3. La funzione di distribuzione e i teoremi di Jeans
3.1 Teoremi di Jeans applicati a sistemi sferici
3.2 Teoremi di Jeans applicati a sistemi a simmetria assiale
pg.21
pg.23
pg.29
4. Equilibrio dei sistemi galattici
4.1 Meccanismi di rilassamento non collisionali
4.2 Scelta dell’equilibrio
pg.34
pg.35
pg.36
Conclusione
pg.38
Bibliografia
pg.40
41