Kuhn: La scienza dopo il Positivismo. La risposta

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Kuhn: La scienza dopo il Positivismo.
La risposta epistemologica al positivismo
di Nicola Pagani - 3a A Liceo Ginnasio statale Ugo Foscolo - Pavia
A.S. 2000-2001
http://www.emory.edu/EDUCATION/mfp/kuhnquote.html
INDICE
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Prefazione
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Kant, Comte, Popper
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Ippocrate: la nascita dell’epistemologia?
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Il positivismo e la sua diffusione nella letteratura di fine ‘800
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Il verismo (struttura operativa e alcuni testi di Capuana e Verga)
•
Naturalism in Dubliners by Joyce
•
L’evoluzione del filosofo Kuhn nell’epistemologia del Novecento
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La struttura delle rivoluzioni scientifiche
•
il campo gravitazionale come paradigma per il campo elettrico
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Biografie
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Prefazione
Il percorso che esporrò sarà incentrato su un saggio di epistemologia di T.S. Kuhn: “La
struttura delle rivoluzioni scientifiche” (1962). Il testo di Kuhn si può considerare ormai un
"classico" per l'indiscussa originalità teoretica, ed è coerente con un curriculum liceale di storia
della filosofia in quanto fortemente legato all’epistemologia otto-novecentesca, con l’assunzione
di alcune teorie come proprio implicito retroterra culturale o, rispetto ad altre, con un’esplicita
dichiarazione di antitesi. La personalità dell’autore, l’argomento trattato e il titolo del saggio ne
dichiarano il carattere pluridisciplinare prima ancora del contenuto, che affianca
all’argomentazione filosofica alcuni celeberrimi dibattiti interni alla scienza, in qualità di
supporto o di vero e proprio punto di partenza delle proprie tesi.
Sintetizzare però la congerie di autori, pensatori e scienziati, che verrà in seguito esposta
passo-passo, e lo stesso saggio sopra citato, facendone emergere il confronto sul solo tema del
rapporto scienza-filosofia (o scienza-metafisica) sarebbe però eccessivamente riduzionistico e
conseguentemente condurrebbe ad un fraintendimento nella comprensione di ciascuno di essi
singolarmente nei loro ambiti. Proprio per evitare ciò si è cercato di procedere il più possibile in
modo lineare, senza racchiudere in compartimenti stagni il confronto con il presunto “centro
dell’argomentazione” secondo i molteplici punti di vista su di esso, pur all’interno di una
struttura argomentativa orizzontale e verticale (necessaria a fini di chiarezza.
Kant, Comte (e il positivismo), Popper e Kuhn costituiranno l’impianto filosofico di questo
percorso: il punto di riferimento rimangono Kuhn e il suo saggio, gli altri autori verranno proposti
(sempre con il tentativo di rispettare le avvertenze di cui sopra) secondo una traccia che tenderà
ad evidenziarne gli aspetti inerenti l’epistemologia e in particolare l’epistemologia di Kuhn.
Il positivismo, pensiero ancora attuale per la sua diffusione capillare (soprattutto all’interno
delle varie discipline scientifiche), pervenne a risultati dall’alterno e spesso discusso successo
nelle sue versioni artistiche e speculative. Ho voluto pertanto mostrare alcuni effetti del pensiero
positivistico nella letteratura e nell’arte figurativa, accostandomi a quei fermenti culturali e quelle
correnti artistiche che si autodefiniscono e operano in relazione al progresso e alla scienza
(naturalismo e verismo), nonostante la dimensione comunque allotria dell'arte rispetto alle
problematiche dell'epistemologia. Ne risulterà un percorso “orizzontale” e “verticale”: orizzontale
nell'approfondimento del momento del positivismo (sue radici e diffusione), verticale nell’analisi
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del superamento epistemologico del concetto di scienza da esso proposto, secondo un’ipotesi
ermeneutica che considera il primo indispensabile per la seconda.
Ho cercato inoltre di mettere in luce alcuni temi scientifici proposti nel saggio di Kuhn,
avvalendomi peraltro proprio di quei manuali scolastici che risultano così centrali nelle sue
riflessioni sulla scienza normale.
Infine tratterò rapidamente alcuni caratteri del pensiero di Ippocrate in un passo, per due
ragioni: in quanto autore più antico che ci ha lasciato riflessioni di carattere epistemologico, e in
quanto portatore (in testi che presenterò in lingua originale) di alcuni valori che potrebbero essere
di per sé considerati positivisti ante litteram.
Kant, Comte, Popper
Kant, il filosofo della distinzione come momento costitutivo del pensiero, introduce in modo
implicito sin dalla sua fase precritica una pluralità di punti di vista possibili sul mondo, ciascuno
con una propria logica interna: una pluralità di domande possibili da porre alla realtà, una
pluralità di interpretazioni del reale e una necessità rigorosa di comprendere la portata di ogni
prospettiva nelle sue possibilità e nei suoi limiti (Æ Locke). In particolare, nella prima delle tre
critiche, la Critica della ragion pura, egli, partendo da un’interrogativo gnoseologico (circa le
possibilità della conoscenza umana e i suoi limiti), raggiunge una sistemazione epistemologica: i
termini gnoseologici Verstand e Vernunft, se trasposti sul piano epistemologico, diventano lo
strumento umano di comprensione della scienza e della metafisica. La metafora kantiana della
colomba esemplifica la relazione intercorrente fra queste due dimensioni Essa, volando frenata e
nel contempo sostenuta dall’aria, ritiene di poter volteggiare nel vuoto con più agio, mentre nel
vuoto sarebbe proprio la mancanza di quella resistenza - supporto (l’aria) ad impedirle di volare.
Il limite e le possibilità dell’intelletto umano risultano pertanto proprio in quella realtà
fenomenica sulla quale è possibile costruire una scienza del progresso, laddove nel “vuoto” della
realtà noumenica al contrario risiede la metafisica nella sua staticità. Le idee della metafisica
mantengono un valore teoretico proprio che verrà sviluppato nelle due critiche successive: esse,
perso il loro valore costitutivo, mantengono tuttavia un valore regolativo nei confronti
dell’intelletto e quindi della ricerca scientifica. Pertanto, pur nella loro impossibilità di
raggiungere uno status rigorosamente scientifico, le idee della metafisica non sono unicamente
illusioni, bensì un ineliminabile tentativo di estensione alla totalità, un incitamento
all’ampliamento reale delle nostre conoscenze, una guida e un punto di riferimento costante per
lo scienziato e per la comunità scientifica.
Dal punto di vista metodologico, Kant non può prescindere dalla demolizione della causalità
di Hume; diventa così di centrale importanza la domanda: “come ritrovare un sapere scientifico
progressivo, fecondo, universale e necessario con questa premessa?” (Popper si domanderà un
secolo e mezzo dopo: “come risolvere il problema dell’induzione?”). Come coniugare il
carattere della scienza in quanto scopritrice di sempre nuove nozioni e il suo carattere universale?
La risposta di Kant (abbandonata da Popper) individua nel soggetto umano il centro delle
rappresentazioni del mondo compiute dagli uomini: Egli introduce le forme trascendentali,
strutture cognitive comuni a tutti gli esseri umani, attraverso le quali la realtà noumenica dopo
essere stata filtrata ci appare nella sua fenomenicità. I giudizi formulati sul mondo saranno così
dipendenti dalle forme trascendentali: la realtà percepita dagli uomini si configura come una
possibile realtà, strutturata ed organizzata secondo il tipo di domande che l’uomo può porre
proprio in quanto essere umano. Con queste premesse è possibile introdurre un giudizio sintetico
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a priori, in cui un predicato aggiunga qualcosa di nuovo al soggetto, secondo un criterio “a priori”
(garantito dalle forme) che ne assicura l’universalità e la necessità per gli esseri umani.
Nel positivismo e in particolare in Comte (Corso di filosofia positiva) la posizione del Kant
della prima critica viene contemporaneamente riproposta ed estremizzata, ma svuotata del suo
significato generale: da una filosofia della distinzione si passa ad una filosofia della totalità che,
proprio attraverso la abiura e la svalutazione della metafisica, elegge la scienza a interprete unica
della società, del mondo e della realtà nel suo complesso. Uno scientismo dunque che, con una
scienza centrale, onnidirezionale e monolitica non riconosce alla metafisica neanche un valore
regolativo; le problematiche filosofiche sono, in ultima analisi, sempre svuotate del loro valore
teoretico e riducibili a problematiche scientifiche. Diventa così centrale il fattuale, l’obiettivo, il
positivo, l’elemento incontrovertibile, per una scienza della verificabilità e del continuo
progresso.
In un secolo di grande espansione scientifica, tecnica e tecnologica -il secolo
dell’industrializzazione- il positivismo esercita una enorme influenza culturale nella società e
nell’arte, raggiungendo un’altissima diffusione nella cultura comune, grazie anche ad
un’intrinseca semplicità e ad una centralità del momento del progresso. Ancora oggi lo
scientismo positivista costituisce l’orizzonte di pensiero di numerosi scienziati, nonostante esso
sia stato largamente superato filosoficamente e non abbia mai realmente costituito un originale
punto di riferimento teoretico.
Popper in quanto epistemologo (forse il più importante del ‘900) diceva di sé che la propria
importanza era legata alla confutazione del neopositivismo. Il neopositivismo nel ‘900 (anni ’20 e
’30) era una corrente fortemente legata al circolo di Vienna, cui Popper era legato a livello
personale e che aveva avuto proprio nei suoi confronti il merito di averlo iniziato alle
problematiche epistemologiche. Esso riproponeva tesi del positivismo ottocentesco, la
proposizione scientifica come unico tipo di affermazione verificabile e pertanto dotata di senso,
svalutando ogni altro possibile giudizio come puro flatus vocis, e era giunto nel suo slancio
passionale a produrre una posizione di ateismo semantico, una dimostrazione dell’inesistenza di
Dio legata all’insensatezza e impossibilità di verificare ogni affermazione relativa a Dio.
Partendo dal problema dell’induzione, che Popper svaluta dal punto di vista logico nella sua
incapacità di raggiungere una conoscenza universale, egli ribalta la tesi del verificazionismo
neopositivista: una teoria risulta scientifica, quando è falsificabile. La forza della scienza risiede
proprio nella sua debolezza, nella sua apertura a costanti progressi, nel suo essere una strada
infinita in una sorta di “rivoluzione permanente”. Egli abbandona la strada seguita da Kant di
giustificazione della scienza su base trascendentale e “a priori”, ma da esso riprende l’idea che le
ipotesi metafisiche costituiscano il quadro di riferimento indispensabile per la scienza e che non
si possa privarle del loro valore di cornice.
Dal confronto con Adler emerge la sua contrapposizione rispetto a quelle dottrine
(psicoanalisi, marxismo, oltre al positivismo) che, pur professandosi scientifiche, ignorano la
dimensione costitutiva e fondamentale della scienza: la falsificabilità. In una equilibrata teoria
filosofica che aborre la totalità anche in campo politico (vs Platone – πολιτεια, Hegel – dottrina
dello stato etico e Marx) riaffiora pertanto ancora una volta, come filosofia di riferimento,
l’illuminismo kantiano della distinzione e dei punti di vista, oltre ad un empirismo che si
sostituisce e ribalta il concetto di “positivo”.
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Ippocrate: la nascita dell’epistemologia?
Il testo di Ippocrate, costituisce forse il più antico esempio di riflessione epistemologica che
possediamo
Alla fine del V secolo si colloca anche un generale dibattito sulla validità scientifica delle
singole τεχναι, che avevano cercato di affermare la loro autonomia liberandosi dai
condizionamenti imposti dal pensiero filosofico. La τεχνη medica era stata considerata sia da
Eschilo sia da Sofocle una tra le massime conquiste dell’uomo nella sua storia; Platone nello Ione
la collocava addirittura al vertice delle τεχναι, seguita dalla matematica.
All’invadenza della filosofia nella medicina si riferisce polemicamente L’antica medicina, uno
dei trattati di maggiore elaborazione e profondità metodologica, che esprime critiche radicali nei
confronti dei medici-filosofi, e in generale con quanti volevano spiegare la costituzione del corpo
umano e le sue patologie servendosi di un postulato semplificatore (come il caldo, il freddo, il
secco o l’umido). Il medico non rinuncerà a capire la natura dell’uomo, ma a questa conoscenza
arriverà non in base ad astrazioni filosofiche, ma attraverso la pratica medica stessa: ecco dunque
la preferenza per un approccio empirico e poco vincolato a schemi astratti, basato sulla costante
osservazione del decorso delle malattie e sui risultati terapeutici raggiunti in passato. Per
giustificare la validità della τεχνη si traccia una storia della medicina: attraverso un processo
continuo, dalle prime esperienze sui diversi cibi e sui modi di renderli adatti all’uomo, si è
formato un patrimonio di conoscenze che, con la flessibilità dovuta al variare dei fattori, permette
di trovare una cura per le diverse affezioni.
Ippocrate dimostra così che la medicina ha una storia e un metodo acquisiti con l’esperienza:
in lui troviamo espresso il concetto di progresso e ricerca in campo scientifico. Nel discorso
metodologico l’immagine è quella del cammino (οδος): la scienza si basa sull’accumulo del
sapere e sulla ricerca, non si può fare a meno delle scoperte precedenti e quello che manca si
scoprirà, ci sono infiniti ambiti ancora aperti.
Il positivismo e la sua diffusione nella letteratura di fine ‘800
Venendo al settore umanistico, occorre sottolineare il grande rilievo che ebbe lo storico della
letteratura francese Hippolyte Taine (1828-93), cui va riconosciuto l’impegno nell’estendere il
metodo positivista alle discipline letterarie e artistiche, riconoscendo alla base di ogni opera
d’arte e creazione intellettuale tre elementi costitutivi: la razza, l’ambiente, il momento storico
(«race, milieu, moment»). L’arte sarebbe perciò il risultato di questi fattori, dunque un
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organismo sistematico fondato anch’esso su precisi tratti determinanti e determinabili, verificabili
concretamente nelle loro leggi socio-ambientali-storico-culturali.
Solo sullo sfondo di un clima positivista, la tendenza filosofica implicita più feconda in altri
ambienti culturali, si può capire la rapida e clamorosa affermazione del Naturalismo letterario
francese. Espressione letteraria della cultura positivista, il Naturalismo sostituì alla narrativa di
ispirazione sentimentale e psicologica il romanzo-documento-indagine, che analizzava i
meccanismi delle vicende umane con la stessa freddezza clinica con cui uno scienziato si chinava
a studiare il fenomeno naturale. Dietro l’ambizione scientifica e sperimentale dello scrittore
naturalista sta la certezza tipicamente positivista che i fatti morali e sentimentali sono governati
dalle medesime leggi riscontrabili in natura.
In Italia, soprattutto con gli anni ’90 dell’Ottocento, il positivismo in letteratura assume un
atteggiamento differente. Metodo di lavoro, e non sistema ideologico globalizzante, non dottrina
compiutamente intesa. Al Positivismo faranno riferimento certi critici, storici della letteratura,
storici della lingua, filologi, che applicano all’indagine storico-letteraria i metodi delle scienze
esatte. Al positivismo come “metodo” fanno pure riferimento le operazioni letterarie del nostro
Verismo. Basterà ricordare le parole del maestro del Verismo, Giovanni Verga, che interrogato
nel 1894 da Ugo Ojetti in un’intervista, risponde da letterato appunto e non da ideologo: «Il
nostro è un metodo […] non è un pensiero, ma un modo di esprimere il pensiero». Proprio gli
anni novanta, in tutta Europa e dunque anche in Italia, vedranno il declino e la crisi del
movimento Positivista.
Il verismo (struttura operativa e alcuni testi di Capuana e Verga)
I. Considerare un tranche de vie (pezzo di vita- termine diffuso nel dibattito promosso dal
naturalismo francese) Æ (Malavoglia, famiglia di un piccolo paesino siciliano)
II.
Analizzarlo accuratamente (con caratteri scientifici)
III. Mettere in evidenza i meccanismi che determinano il verificarsi di situazioni
Di un’azione si studiano:
a)
cause
b)
effetti
Il susseguirsi degli eventi risulta segnato da un determinismo il cui primo movente risulta la
lotta per l’esistenza (struggle for life) e il tentativo di migliorare la propria condizione sociale.
IV. Scrivere in modo che il romanzo sembri farsi da sé (non deve risultare visibile la mano
dell’autore)
a)
discorso indiretto libero
b)
uso della terza persona
c)
stile asciutto, paratattico, senza indugi di tipo descrittivo o osservazioni soggettive
d)
lingua di uguale altezza della materia trattata (un sapore di Sicilia rimane nella pagina di
Verga)
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e)
lessico italiano
f)
sintassi vicina al siciliano
g)
uso di forme dialettali
h)
nomi propri che rievocano la realtà storica meridionale
Da Per l’arte, Luigi Capuana (1885)
Il romanziere moderno è uno scienziato, aggiungiamolo subito, dimezzato. Lo scienziato,
appena creato o scoperto un processo (val tutt’una) è più fortunato di quello: può riprodurne il
fatto a piacere, quante volte gli garba, e può servirsi di tal processo per scopi più belli e più
ragionevoli che non siano quelli della Natura. Il suo “fatto” avviene fuori di lui, è il suo
schiavo.
Il romanziere moderno, invece, dopo che ha scoperto o creato un processo (ripetiamolo: val
tutt’una) non può verificare il fatto, non può riprodurlo a suo piacere. E’una inferiorità naturale,
invincibile: non sappiamo che farci. Ma voi vi lamentate contro ragione, perché egli si serve,
precisamente, come facevano i suoi predecessori, degli spessissimi elementi dell’opera d’arte.
Per rappresentare, per far del vivo ci vogliono sempre quelle due divine facoltà: la fantasia,
l’immaginazione, che potrebbe anche darsi siano un’identica cosa.
Vi dirò anzi che il romanziere moderno ne adopera oggi in maggior quantità che non quelli
del passato. Come potete affermare di no, se egli ha rinunciato volontariamente a tutti i mezzucci
di effetto della vostra vecchia retorica?
Trovatemi venti righe di descrizione oziosa nelle cose del Verga, e vi darò causa vinta.
Se quel suo dialogo narrato, se quella sua narrazione parlata del personaggio, che dànno
tanto sui nervi all’amico Scarfoglio (mi permetta di dirglielo l’amico mio, egli questa volta è
andato fuor di carreggiata per troppa foga); se quella semplicità di mezzi ottiene un effetto di
colorito, di rilievo, di movimento, di vita vera, come nessun romanziere di trent’anni fa se l’è mai
sognato, da che diavolo dunque proviene questo? Dalla fantasia, dall’immaginazione!
Sissignori! E da null’altro. Ed ego autem dico vobis v’è cento volte più ricchezza, più sfoggio
d’immaginazione in mezzo volume dei Malavoglia, che non in tutti i Montecristo, i Tre
Moschettieri, i Misteri di Parigi e simili libri presi insieme.
Da I Malavoglia, Giovanni Verga (1881) – prefazione
[…]
Chi osserva questo spettacolo non ha il diritto di giudicarlo; è già molto se riesce a trarsi un
istante fuori del campo della lotta per studiarla senza passione, e rendere la scena nettamente,
coi colori adatti, tale da dare la rappresentazione della realtà com’è stata, o come avrebbe
dovuto essere.
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Naturalism in Dubliners by Joyce
Joyce, one of the most important writers of the XX century, in the first section of his literary
production shows some naturalistic devices. In Dubliners, Joyce portrays some characteristic
situations which could reveal the historical, social and psychological forces that Dubliner’s life
and led them to a moral and psychological paralysis. In this description, he proceeds from the
individual to the general, and from childhood to mature and public life. He says: “I have tried to
present […] (Dublin’s paralysis) under four of its aspects: childhood, adolescence, maturity and
public life. The stories are arranged in this order.”.
The remarkable amount of details gives a realistic, naturalistic portrait of the city Joyce lives
in, but naturalism is combined with symbolism. Such details do not serve a merely descriptive
purpose, but often have a further, deeper meaning.
Also in his narrative technique, he perceives realistic and naturalistic purposes, he rejects the
omniscient narrator and the single point of view: each story is told from the perspective of the
character. Narrated monologue, in the form of indirect thought and often of free indirect thought,
is widely used: it consists in the presentation of the protagonist’s thoughts through limited
mediation by the narrator, and allows the reader to acquire direct knowledge of the character.
Finally, in order to recollect the whole Joyce’s taught as regards this work, we can report a
quotation: if Dublin would have been destroyed (he said), it would be possible to rebuild it using
his texts as a map.
Il neopositivismo negli anni 50-60
Per meglio mettere in luce la posizione di Kuhn, conviene ricordare la concezione della
scienza che dominava alla fine degli anni cinquanta e che si fondava sui lavori di autori come
Carnap, Hempel,
Reichenbach, Nagel. La scienza, secondo questa corrente ispirata al neopositivismo di cui si è
sinteticamente accennato sopra, si fonda su alcuni punti essenziali:
1. il realismo, ovvero l’idea che la scienza scopre un mondo che è oggettivo ed indipendente
dalle opinioni degli scienziati
2. vi è un chiaro criterio di demarcazione tra le teorie scientifiche ed altri tipi di credenze,
criterio che si concretizza nel rifiuto del senso comune in favore, appunto, di una conoscenza
basata sulla controllabilità e sulla verifica empirica degli asserti
3. il progresso scientifico si fonda sull’accumulazione della conoscenza, dato che le vecchie
teorie non si abbandonano finché non possono essere migliorate, perfezionate e inglobate in
altre teorie più generali
4. esiste una netta distinzione tra la teoria e l’osservazione
5. solo l’osservazione e la sperimentazione servono da fondamento o da giustificazione alle
ipotesi ed alle teorie
6. le teorie sono rigorosamente deduttive e le prove delle teorie si ricavano dai protocolli
osservativi
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7. i concetti e i termini usati nel lavoro scientifico devono essere precisi e definiti in modo
chiaro
8. esiste una netta distinzione fra il contesto di scoperta che fa riferimento alle ragioni
psicologiche e sociali che intervengono in ogni scoperta e il contesto della giustificazione, che
consente di dare fondamento alla validità della scoperta
9. la scienza è unitaria, dato che le scienze meno formalizzate sono riducibili ad altre che
hanno un più elevato livello di formalizzazione (la sociologia è riducibile alla psicologia, la
psicologia alla biologia, la biologia alla chimica, la chimica alla fisica)
Naturalmente non tutti gli autori erano d’accordo su tutti i punti, ma nel complesso era questa
l’immagine complessiva del lavoro scientifico che guidava gli studi in quegli anni.
L’evoluzione del filosofo Kuhn nell’epistemologia del Novecento
Lo storico delle scienze è un narratore che deve cominciare il suo racconto preparando la
scena, cioè descrivendo le convinzioni e specificando il vocabolario degli attori del passato. Deve
affrontare problemi di traduzione, nella consapevolezza che nelle scienze, come in letteratura, le
difficoltà di traduzione hanno la stessa causa, cioè l’incapacità del linguaggio di conservare le
relazioni strutturali fra le parole.
Nell’epistemologia del Novecento la prospettiva neopositivista e quella di Popper risultano per
certi versi analoghe: entrambe condividono una concezione unitaria del metodo scientifico,
prestano più attenzione alla giustificazione delle teorie che alla loro scoperta, inseguono un
criterio di demarcazione fra scienza e non scienza, movendo dalla premessa che si possono
distinguere aspetti osservativi e teorici. E’in particolare con Kuhn (e poi con Feyerabend) che tali
presupposti vengono sottoposti a critica radicale. Nel caso di Kuhn, è la storia della scienza ad
offrirsi come luogo di confronto delle tesi epistemologiche: la storia doveva essere considerata
“come qualcosa di più che un deposito di aneddoti o una cronologia”, non poteva ridursi a
serbatoio di esempi che confermassero l’immagine del progredire del sapere per congetture e
confutazioni (del resto, proprio Popper ci ha spiegato che chi cerca conferme le trova sempre).
La scienza dimentica facilmente il proprio passato, tende ad interpretarlo alla luce del
presente, sulla base del “paradigma” del giorno; si finisce così per veicolare l’idea che la scienza
proceda in modo lineare e cumulativo, da antichi precursori a futuri eredi. Ma se proviamo a
leggere gli scritti scientifici del passato inseguendone la coerenza interna e nel loro contesto
culturale, scopriamo che non sempre gli antichi concetti si riferivano alle stesse realtà cui si
rivolgono oggi. E’come se, prima di Copernico o di Einstein, si guardasse il mondo in modo
diverso da oggi, si vedesse un’anatra là dove noi vediamo un coniglio, per riprendere la figura
ambigua, resa nota dagli studiosi della Gestalt e ripresa nelle Ricerche Filosofiche di
Wittgenstein.
Proprio questi mutamenti percettivi, questi slittamenti di significato, ci impongono di
riconoscere l’esistenza di rivoluzioni scientifiche: la storia delle scienze è percorsa da fratture, da
discontinuità, e la variazione di un paradigma trasforma i fatti stessi presi in considerazione
(l’energia e la materia non sono più la stessa cosa dopo Einstein).
Non esiste dunque una base comune, un identico mondo osservabile, che possa fungere da
terreno di confronto fra le teorie: dall’attenzione filologica alla storia delle scienze emergeva così
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quella nozione di incommensurabilità fra teorie e paradigmi, a cui negli stessi anni giungeva
Feyerabend. Gran parte della riflessione successiva a Kuhn, fino alla morte nel 1996, cercherà di
chiarire tale nozione, come attestano i saggi raccolti in Dogma contro critica, due dei quali
risalgono ai primi anni Sessanta, gli altri agli anni Ottanta e Novanta. I saggi raccolti in Dogma
contro critica, permettono inoltre di apprezzare un significativo mutamento in Kuhn: il lessico
della psicologia (gestaltico o piagetiana) e della sociologia cede il passo a quello della linguistica
e della critica letteraria (anche per la vicinanza con Noam Chomsky, al Mit di Boston, dove Kuhn
insegna dal ’79). Se i paradigmi forniscono i filtri, gli “a priori” della conoscenza (era proprio
Kuhn a proclamarsi un “kantiano con categorie mobili”), l’incommensurabilità non è più una
conseguenza dei modi diversi di percepire il mondo, ma dell’adozione di differenti vocabolari
concettuali: diviene una sorta di intraducibilità. Le rivoluzioni mutano la struttura lessicale e
dunque cambiano i sistemi di classificazione, la tassonomia utilizzata dagli scienziati; gli oggetti
vengono ridistribuiti secondo categorie differenti, la Terra e la Luna entrano in nuove relazioni di
somiglianza dopo Copernico, la caduta dei gravi entra in nuovi insiemi di fenomeni dopo
Galileo… “lo storico diventa bilingue”.
La struttura delle rivoluzioni scientifiche
Come scrittore, Kuhn persegue chiarezza ed efficacia (non svincolate da un’acuta analisi
dell’oggetto della sua ricerca), mediante il ricorso a due strategie di discorso: un sistematico uso
di immagini concrete attinte dall’ambito scientifico per rappresentare processi astratti e una
schematicità che risulta individuabile nella singola pagina e nel singolo passaggio argomentativo.
Tale schematicità si riflette anche nella macrostruttura del testo, la successione dei capitoli
costituisce infatti ottimo esempio di (estrema) sintesi del percorso argomentativo e filosofico
proposto:
I.
Introduzione: un ruolo per la storia
II.
La via verso la scienza normale
III.
La natura della scienza normale
IV.
La scienza normale come soluzione di rompicapo
V.
La priorità dei paradigmi
VI.
L’anomalia e l’emergere di teorie scientifiche
VII.
La crisi e l’emergere di teorie scientifiche
VIII. La risposta alla crisi
IX.
La natura e la necessità delle rivoluzioni scientifiche
X.
Le rivoluzioni come mutamenti della concezione del mondo
XI.
La invisibilità delle rivoluzioni
XII.
La soluzione delle rivoluzioni
XIII. Progresso attraverso le rivoluzioni
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La prima metodologica affermazione di Kuhn è: “La storia, se fosse considerata come
qualcosa di più che un deposito di aneddoti o una cronologia, potrebbe produrre una
trasformazione decisiva dell’immagine della scienza […]”. Con un tale atteggiamento, ne risulta
una scienza dell’accumulazione, le cui verità tendono asintoticamente al reale senza fratture, con
una ricerca nell’epoca passata che tende a privilegiare “i contributi permanenti che quella ha
apportato al nostro benessere attuale”: una cifra di pensiero neopositivista, superata
dall’epistemologia moderna, ma ancora così radicata nei libri che fungono da manuali scolastici o
universitari delle diverse scienze (il significato di tale radicamento verrà trattato più avanti).
Quello proposto da questo saggio è un modello storico-epistemologico differente, la singola
scienza procede attraverso differenti stadi di “scienza normale”, interposti ai quali si collocano i
momenti di “rivoluzioni scientifiche” e di “scienza straordinaria”.
La “scienza normale” presenterebbe, se scevra da un contesto scientifico caratterizzato
dall’elemento dell’anomalia e della rivoluzione, caratteri simili alla scienza tout court secondo il
positivismo. Essa procede per accumulazione e secondo un tentativo di “incasellare” al proprio
interno ogni risposta fornita dalla natura. Il lavoro dello scienziato si configura pertanto simile a
quello di un risolutore di enigmi: puzzles e rebus la cui eventuale mancata risoluzione risulta
imputabile al solo scienziato e non all’intera teoria.
Dominante nell’ambito della scienza normale è quindi il paradigma, introdotto nella comunità
scientifica attraverso lo studio dei manuali, che anche per questa ragione hanno la tendenza di cui
sopra a reinterpretare i momenti scientifici passati secondo la teoria in auge. Essi costituiscono le
coordinate del campo di indagine, i principi di fondo, gli esperimenti standard, le applicazioni
tipiche della disciplina, le “conquiste scientifiche universalmente riconosciute, le quali, per un
certo periodo, forniscono un modello di problemi e soluzioni accettabili a coloro che praticano un
certo campo di ricerche”.
Il passaggio al nuovo paradigma e alla nuova fase di scienza normale, passa attraverso una
rivoluzione, una fase di “scienza straordinaria”, in cui lo scienziato è portato inevitabilmente a
porsi problematiche di carattere epistemologico; di qui la tendenza tipicamente positivista e
neopositivista degli scienziati a occuparsi, con esiti alterni e talvolta risibili, di problematiche
filosofiche anche di più vasto respiro. La comunità scientifica attraversa una fase di
“riorientamento gestaltico” che Kuhn esemplifica con alcune metafore, “i segni sulla carta che
dapprima erano visti come un uccello, sono ora visti come un’antilope o viceversa”.
La scienza pertanto non si fa portatrice di un criterio di verità che abbia la pretesa di
comprendere la realtà in modo asintoticamente crescente, ma costruisce sé stessa sulla base di
paradigmi sempre più efficaci rispetto agli elementi nelle mani dello scienziato. E’una scienza
con dei punti fissi sempre potenzialmente in discussione e che coniuga il momento popperiano
della falsificabilità con il momento della stabilità e della risoluzione “normale” di enigmi (questo
secondo momento nasce anche e soprattutto da esigenze “pratiche” di lavoro). Centrale è la
rivoluzione, ma non si tratta più una rivoluzione permanente, per usare un termine di Feyerabend
(l’allievo di Popper).
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Il campo gravitazionale come paradigma per il campo elettrico
Dalla somiglianza fra la teoria del campo gravitazionale e quella del campo elettrico si
potrebbe subire una qualche sorta di “fascino dell’identico”: secondo Kuhn tale reazione sarebbe
del tutto inadeguata ed inappropriata.
Una concezione del reale lontana da Kuhn può portare alla convinzione che alle simmetrie
nelle teorie fisiche e scientifiche in generale corrispondano simmetrie nel reale: questo può a sua
volta portare a dimostrazioni dell’esistenza di Dio per inferenza a partire dall’ordine del mondo
(come è recentemente accaduto con il celebre fisico Zichichi).
Pur nella consapevolezza che le due teorie sono parti di ambiti scientifici adiacenti ma non
coincidenti, mi accosterò ai concetti di campo elettrico e di campo magnetico cercando di
metterne in evidenza i punti di contatto.
Le domande poste da Coulomb alla natura circa il fenomeno elettrico ricalcano le domande
poste alla natura in sede di analisi quantitativa del fenomeno gravitazionale (esperimento di
Cavendish Æ bilancia di torsione). Le risposte, spesso positive, di volta in volta ottenute con il
metodo sperimentale confermano e contemporaneamente stimolano la comunità scientifica a
procedere nella direzione di una costruzione mentale che descriva, interpreti, approfondisca il
fenomeno dell’elettrostatica come Newton aveva fatto con l’interazione gravitazionale. Nascono
così i concetti di campo elettrico e di potenziale. Si tratta di funzioni matematiche che associano
ad ogni punto del piano un vettore (nel caso del campo) o uno scalare (nel caso del potenziale),
nei quali l’intervento delle umane “categorie mobili” (Æ Kuhn) risulta particolarmente evidente.
Nello studio del campo magnetico, risulta così centrale anche la non conservatività e la mancata
possibilità di definire il concetto di potenziale.
“E’importante osservare la differenza tra il campo elettrico generato da cariche elettriche
ferme e l’induzione magnetica: il campo elettrico ha la circuitazione sempre nulla ed è perciò un
campo conservativo; l’induzione magnetica, invece, ha la circuitazione uguale al prodotto di m0
per la corrente totale concatenata con il cammino chiuso e pertanto non è conservativa” - Dalla
meccanica alla costituzione della materia 2, A. Caforio, A. Ferilli.
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Risulta pertanto evidente in questo caso come tale rapporto non dipenda da m.
L’esempio mostrato mette in evidenza il caso di un campo generato da una massa puntiforme:
tale nozione può in realtà essere estesa ad altri casi di campo gravitazionale, ad esempio il campo
gravitazionale costante oppure situazioni più complesse di campi generati da più masse.
Anche in questo caso dunque, risulta evidente come tale rapporto non dipenda
da q.
L’esempio mostrato mette in evidenza il caso di un campo generato da una carica puntiforme:
tale nozione può in realtà essere estesa ad altri casi di campo elettrostatico, ad esempio il campo
elettrico costante oppure situazioni più complesse di campi generati da più cariche (di un
curriculum liceale dell’ultimo anno di fisica in particolare fa parte lo studio del campo elettrico
costante).
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Una volta introdotta la nozione di campo, risulta naturale proporre il concetto di circuitazione,
che nel caso del campo gravitazionale generato da una massa puntiforme e nel caso del campo
elettrico generato da una carica puntiforme, è sempre 0, lungo qualunque cammino chiuso.
Questa particolarità permette di descrivere tali campi con una funzione a valori reali: il cosiddetto
potenziale gravitazionale o elettrico.
Considero la definizione di potenziale elettrostatico, generato da una carica puntiforme
(analogo discorso si può fare per il campo gravitazionale). Poiché la circuitazione del campo
lungo ogni linea chiusa è 0, la circuitazione del campo fra due punti qualsiasi A e B dello spazio
non dipende dalla particolare traiettoria seguita e dunque, se fissiamo un punto A possiamo
definire
B Æ U(B) = circuitazione del campo tra A e B.
Questa funzione, detta potenziale, è una funzione scalare e ha la proprietà di descrivere
completamente il campo. Se cerchiamo di descrivere in modo analogo il campo magnetico
generato ad esempio da un filo percorso da corrente, questo non risulta possibile perché la
circuitazione non è sempre 0. In questo caso la circuitazione è 0 se e solo se la linea chiusa non è
concatenata con il filo.
Biografie
Kuhn, Thomas Samuel
Storico e filosofo della scienza statunitense, nato a Cincinnati (Ohio) il 18 luglio 1922.
Laureato in fisica alla Harvard University nel 1943, conseguì il Ph.D. nella stessa università nel
1949, dov'è poi rimasto come assistant professor dal 1951 al 1956. Ha successivamente insegnato
storia della scienza nelle università della California a Berkeley (1958-64) e Princeton (1964-79);
dal 1979 al 1983 e stato professore di filosofia e storia della scienza al Massachussets Institute of
Technology, dove e stato in seguito Laurance S. Rockefeller professor of philosophy.
A Kuhn si deve innanzitutto quella proficua interconnessione fra storia e filosofia della scienza
che avrebbe determinato, per l’influenza della sua opera maggiore, "The structure of scientific
revolutions" (1962), una fondamentale svolta in seno alla storia e alla filosofia della scienza.
Sollecitato dalle ricerche di A. Koyre e A.O.Lovejoy, Kuhn ha messo in evidenza le continue
interazioni, nella storia della scienza, fra concezioni filosofico - metafisiche e prassi scientifica in
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senso stretto, interazioni che priverebbero di fondamento l'idea di una razionalità e di un metodo
scientifici avulsi dal contesto storico - culturale entro cui operano le particolari comunità
scientifiche e sorgono le varie teorie scientifiche. Di qui una concezione epistemologica
alternativa tanto alla tradizione empiristica quanto al razionalismo critico popperiano,
caratterizzata da un lato dal ridimensionamento del ruolo dell’esperienza come condizione
primaria dell’elaborazione scientifica e neutrale fattore di controllo delle teorie, dall'altra dalla
negazione dell’idea, tipica del falsificazionismo popperiano, che nella scienza si dia un progresso
cumulativo, cioè che la successione storica delle teorie sia concepibile come una progressiva
acquisizione di verità.
La storia della scienza registrerebbe piuttosto un alternarsi di fasi di "scienza normale" e fasi
di "scienza straordinaria": le prime sarebbero caratterizzate dalla continua articolazione ed
estensione di alcune assunzioni teoriche fondamentali (che costituiscono ciò che Kuhn chiama
paradigma), in funzione di un'applicazione sempre più esaustiva ai vari campi di ricerca; le altre
insorgerebbero in seguito al manifestarsi di "anomalie" nel tentativo di "forzare la natura entro le
caselle prefabbricate e relativamente rigide fornite dal paradigma": l'impossibilita di riassorbire
nella scienza "paradigmatica" tali anomalie darebbe luogo a rotture rivoluzionarie e
all'elaborazione e all’accettazione (in base a criteri non sempre qualificabili come razionali) di un
nuovo paradigma. Corollario di questa concezione è la tesi, condivisa con P.K Feyerabend
dell’"incommensurabilità" delle teorie, che comporta l'impossibilità, date le radicali fratture
rivoluzionarie, di porre a confronto, non solamente sul piano della valutazione relativa al
progresso scientifico ma anche su quello delle rispettive ontologie, teorie scientifiche che sono
sorte entro differenti tradizioni o paradigmi.
Alle tesi di Kuhn. non sono state risparmiate obiezioni: in particolare esse sono state
fortemente criticate per le eccessive aperture alla sociologia e alla psicologia nonché agli esiti
soggettivistici, relativistici e irrazionalistici cui condurrebbero, esiti che nelle opere più recenti
Kuhn ha cercato di attenuare.
Opere principali:
The Copernican revolution: planetary astronomy in the development of western thought, 1957
(trad. Ita 1972)
The structure of scientific revolutions, 1962 (trad Ita 1969)
"Logic of discovery or psycology of research?" in Criticism and the growth of knowledge, a
cura di I. Lakatos e A. Musgrave, 1970 (trad Ita 1976)
The essential tension: selected studies in scientific tradition and change, 1977 (trad. Ita 1985)
Black-Body theory and the quantum discontinuity 1894-1912, 1978 (trad. Ita 1981)
The trouble with the historical philosophy of science, 1992
(Enciclopedia Treccani)
Popper, Karl Raimund
Nacque a Vienna nel 1902. Logico ed epistemologo austriaco frequentò la locale università e
cominciò la carriera scientifica come psicologo e psicoanalista ed esercitò anche attività di critico
musicale. Il contatto con il circolo di Vienna lo convertì ai problemi critici della scienza (pur
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mantenendo un atteggiamento lucidamente critico nei confronti dei propri interlocutori). Verso la
fine degli anni 20 scrisse Logik der Forschonung (Logica della ricerca- pubblicato solo nel 1935),
testo capitale dell’epistemologia moderna. Nel 1937 emigrò in Nuova Zelanda, e, avvenuta
frattanto l’annessione dell’Austria alla Germania nazista, vi restò sino al 1946, quando venne
chiamato ad insegnare alla London School of Economics fino al 1948. E’morto il 17 settembre
1994. Critico verso il Neopositivismo, la Scuola di Francoforte e la filosofia analitica, fu forse il
più grande filosofo della scienza del secolo appena passato; fu inoltre difensore tenace ed acuto
della società aperta, cioè dello stato democratico.
Opere principali:
Logica della scoperta scientifica (1934),
La miseria dello storicismo (1944/45)
la società aperta e i suoi nemici (1945),
La ricerca non ha fine,
Cattiva maestra televisione
(Enciclopedia UTET)
Bibliografia
•
Enciclopedia UTET
•
Enciclopedia Treccani
•
Ippocrate; L’antica medicina
•
N. Abbagnano; Storia della filosofia, UTET, Torino 1966
•
K.R.Popper; Logica della scoperta scientifica, Giulio Einaudi Editore, Torino
1970
•
T.S. Kuhn; La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Chicago 1962
F.Ciuffi, G.Luppi, A.Vigorelli, E.Zanette; Storia della filosofia, Edizioni
Scolastiche Bruno Mondatori, Pioltello (MI) 1998
•
•
M. Spiazzi, M. Tavella; Only Connect, Zanichelli, Bologna 1997
•
A. Caforio, A. Ferilli; Dalla meccanica alla costituzione della materia 2, Le
Monnier, Milano 1995
•
M.Alonso, E.Finn; Fundamental University Physics, London 1969
16
C. Segre, C. Martignoni; Testi nella storia 3, Edizioni Scolastiche Bruno
•
Mondatori, Pioltello (MI) 1992
•
Angelo Marchese; Le strutture della critica letteraria, SEI Torino 1983
•
G.Contini; Letteratura dell’Italia unita 1861-1968; Sansoni, Firenze 1968
17
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