KUHN Kuhn avrebbe dovuto spiegare meglio quali fattori di condizionamento impediscono a una comunità scientifica di entrare in crisi, di abbandonare il proprio paradigma (in cui ha sempre creduto) e di accettare un diverso paradigma, in grado di contestare quello precedente (che se fosse esente da critica si trasformerebbe in un pregiudizio). Kuhn ha ragione nei confronti di Popper: un ricercatore dà per scontato che il proprio paradigma (o matrice disciplinare) sia giusto, poiché solo così egli può fare una ricerca seria, tranquilla, specialistica. L'uso del dubbio è giusto, ma fino a un certo punto, altrimenti diventa paralizzante: si può fare ricerca partendo dalla scepsi, ma per continuarla occorre altro. Tuttavia Kuhn ha torto quando lascia intendere che l'ovvietà del paradigma dipende più dall'abitudine che non dalla convinzione d'essere nel vero. Kuhn sembra negare l'idea che la scienza progredisca verso la verità. Forse perché ha costatato che negli USA la scienza è più che altro funzionale agli interessi del potere (politico o economico). Per Kuhn la scienza contemporanea è più "vera" rispetto a quella del passato, ma non lo è sino al punto da garantire un progresso verso la verità. Tale paradosso è incredibile: la scienza moderna è più vera di quella passata ma più falsa di quella futura! E' più vera -secondo Kuhn- sul piano del contenuto e più falsa sul piano del metodo. Come se metodo e contenuto potessero marciare, "impunemente", separati! Kuhn anzitutto dovrebbe chiarire in che modo una scienza falsa sul piano del metodo è più vera su quello del contenuto. Siamo proprio sicuri che nel passato non sia esistita una scienza più vera della nostra? La verità di contenuto di una scienza non dipende forse anche dal modo come essa si pone nella società? Kuhn ha presente le pressioni politiche, economiche, sociali, culturali, militari che incombono sulla comunità scientifica; anzi, le dà quasi per scontate, poiché evita di analizzarle in relazione alla ricerca scientifica vera e propria. Egli non ha mai esaminato, nel dettaglio, ciò che avviene nel momento in cui una comunità scientifica s'accorge che un paradigma sta per diventare obsoleto. Kuhn ha preferito soffermarsi sulle questioni psicologiche (o di sociologia del gruppo scientifico) -e ciò è tipicamente americano, sottraendosi a un'analisi politica del rapporto scienza/istituzioni (di potere). Per lui i condizionamenti sono presenti soprattutto nella coscienza del singolo scienziato o nel rapporto tra scienziati o tra diverse comunità scientifiche. Il laboratorio in cui lo scienziato opera sembra isolato dal contesto sociale. Ecco, in questo senso Kuhn non ha mai spiegato come sia possibile che una comunità scientifica del genere sia veramente in grado di produrre verità scientifiche sul piano del contenuto. E' possibile cioè che la verità teorica possa proseguire il suo cammino senza mettere in discussione (anche politica o istituzionale) i rapporti che la legano alla società civile e allo Stato? In realtà, le rivoluzioni scientifiche raramente avvengono se prima non si sono già affermate quelle socio-culturali o politiche. Quando una rivoluzione scientifica anticipa di molto i suoi tempi, gli effetti che produce sulla società sono minimi. Spesso devono passare molti secoli prima che vengano riprese certe scoperte o geniali intuizioni. Se non si accetta il presupposto della priorità della rivoluzione sociale, si sarà poi indotti ad affermare -alla stregua di Kuhn- che la scelta di un paradigma in luogo di un altro dipende da fattori esclusivamente soggettivi (intrinseci alla comunità scientifica o addirittura alla personalità del singolo ricercatore). Kuhn sbaglia quando ritiene che nel momento della scelta fra un paradigma e l'altro non vi sono mai argomenti oggettivamente convincenti a favore dell'uno o dell'altro. A suo parere, esiste solo una situazione di crisi, dalla quale si può uscire attraverso una specie di "conversione religiosa", cioè secondo motivazioni di fede, strettamente personali. 1 Fu questo il motivo per cui i popperiani accusarono Kuhn d'irrazionalismo. In realtà Kuhn andava accusato di convenzionalismo, poiché i veri irrazionalisti teorici sono proprio i popperiani. In ogni caso sarebbe stato meglio che Kuhn avesse sostenuto l'idea di "interesse", che è sempre più realistica. Solo che con questa idea non avrebbe poi potuto giustificare la superiorità (anche teoretica) della scienza moderna su quella antica. Non è comunque vero che non vi sono argomenti migliori di altri che possono favorire determinate scelte; è vero però che l'interesse può non accorgersi della diversità dei paradigmi e, peggio ancora, pur accorgendosene, può rifiutare consapevolmente di accettare il paradigma più credibile. Il fatto è che uno scienziato non è semplicemente un "tecnico" o una persona neutrale, asettica, ma è anche un uomo e un cittadino dotato di convinzioni etiche, politiche, filosofiche... Occorre senza dubbio una salto qualitativo per rivedere criticamente molte concezioni in cui si credeva, cioè occorre una decisione coraggiosa, che comporta un relativo margine di rischio: cosa che sicuramente (almeno in un primo momento) non è prerogativa della maggioranza degli scienziati. Quando si cambia paradigma, in una società come quella capitalistica, si devono affrontare critiche e opposizioni da tutte le parti. Tuttavia, il salto qualitativo non viene compiuto nel buio -come Kuhn lascia intendere-, e la sua validità epistemologica non dipende da come gli altri (scienziati soprattutto) l'accetteranno. E' altresì da escludere l'idea che il salto possa essere compiuto per uno scopo di natura effimera: quando sono in gioco grandi interessi, il mutamento di paradigma implica sempre una notevole dose di coraggio. Se non esiste un ragionamento migliore di un altro, non c'è, in ultima istanza, nessun motivo perché la comunità scientifica debba cambiare paradigma. Certo, il ragionamento non può essere di un'evidenza lapalissiana, altrimenti tutti vi crederebbero facilmente. D'altra parte nel momento in cui per la prima volta lo si formula, le incertezze, i dubbi, le critiche vanno messe in preventivo, almeno finché qualcuno non si deciderà ad approfondire personalmente l'argomento. Il fatto di cambiare paradigma non può essere il frutto di un conformismo sociale, poiché la legge del conformismo vuole che si conservi il "vecchio" o che lo si modifichi in meglio (almeno nelle intenzioni), piuttosto che accettare il "nuovo". Solo la convinzione di realizzare un certo progresso scientifico (per il bene della verità, ma oggi bisognerebbe aggiungere per il benessere generale della collettività) può indurre uno scienziato a fare scelte diverse dalle solite. 2