Scheda di progetto P16-03.33 - ASST-PG23

Ricerca di soggetti disponibili a supportare attività aziendali mediante
contratti di sponsorizzazione o liberalità
Bando di riferimento:
P16 deliberazione n. 1350 del 03/10/2013
Tipologia di riferimento:
P16-03 “Sostegno ad attività di sperimentazione studio, ricerca e sviluppo in campo medico
scientifico, clinico, di perfezionamento – formazione e ottimizzazione dei processi aziendali;”
Scheda di progetto P16-03.33
Data di emissione
Maggio 2015
Titolo
“Progetto P.R.E.G.I.O.”
(PREVENZIONE DEL RISCHIO EREDITARIO E
GENETICAMENTE INDOTTO IN ONCOLOGIA)
PROPOSTA DI AVVIO DEL
MODULO MAMMELLA / OVAIO
Periodo riferimento
agosto 2015-luglio 2017
Struttura proponente
USC ONCOLOGIA MEDICA
Responsabile progetto
Dott. Carlo Tondini
Direttore
Tel. 035 2673690/ e-mail: [email protected]
Stato di avanzamento
Il progetto inizierà con la raccolta dei finanziamenti proposti
Anno 1:
Infermiere case manager: Perfezionamento della raccolta anamnesi
familiare
Contratto per Medico oncologo: perfezionamento del percorso
Contratto per Psicologo di consultazione: perfezionamento del percorso
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Anno 2:
Analisi sistematica dei dati di familiarità di tutte le pazienti di Senologia e
Ginecologia sospette per familiarità
Fasi e tempi di
realizzazione stimati
2 anni rinnovabili
Collaborazioni con
altre strutture aziendali
o altri soggetti esterni
//
Risorse Professionali
Medico Oncologo
Infermiere case manager
Psicologo di consultazione
Strumentazione
Nessun supporto strumentale aggiuntivo richiesto.
Finanziamento
richiesto
Euro 50.000,00 / anno rinnovabili
Criteri ed indicatori per
la verifica del
raggiungimento degli
obiettivi
Rapporti annuali e valutazione degli obiettivi
Contropartita per i
finanziatori
Non prevista
APPENDICE
Descrizione progetto
BACKGROUND
Il carcinoma della mammella (CM) è il tumore più frequente nel sesso femminile.
Sebbene il CM sia una patologia a carattere prevalentemente sporadico, è
dimostrato che il 5-10% dei CM è riferibile a causa genetica. Dal 1990 ad oggi
sono stati identificati due geni che, in caso di mutazioni, predispongono al CM:
BRCA1 (cromosoma 17) e BRCA2 (cromosoma 13), responsabili di oltre il 50%
dei casi di CM ereditari. Più recentemente è stato identificato un ruolo
importante anche per un ulteriore gene, PALB2, il cui utilizzo tuttavia nelle
indagini routinarie non è stato ancora codificato con certezza.
Nei soggetti mutati il rischio di sviluppare un tumore della mammella è molto
elevato (BRCA1: 65-80%; BRCA2: 45-85%) e viene trasmesso ai figli come
carattere autosomico dominante. Si associa ad un rischio aumentato per altri
tumori, in particolare il carcinoma ovarico (CO: in assenza di mutazione: 1,4%;
BRCA1: 37-62%; BRCA2: 11-23%); ma anche il tumore della mammella
maschile (BRCA2: 6%), carcinoma alla prostata (5-25%), pancreas (> 2%),
stomaco, testa e collo. Il CM ereditario ha un’alta probabilità di insorgenza
precoce (donne di età < 40), è spesso multifocale o multicentrico e con
caratteristiche biologiche aggressive (G3, alta attività proliferativa, recettori
ormonali negativi).
Dopo CM BRCA-associato adeguatamente trattato, il rischio di sviluppare un
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CM controlaterale entro 5 anni è del 30-60%
Le problematiche aperte in ambito di gestione dell’alto rischio genetico di
sviluppare un carcinoma della mammella e dell’ovaio possono essere riassunte
in 3 punti:
1. Identificazione
Attualmente l’identificazione di donne potenziali portatrici di mutazione
BRCA1-2 è casuale e avviene per lo più dopo una diagnosi di
carcinoma mammario (o, meno frequentemente, ovarico). La
sporadicità del riscontro comporta che spesso non sia possibile
predisporre per queste persone alcun percorso specifico.
Un’identificazione sistematica delle persone affette da mutazione
comporterebbe dati più precisi dal punto di vista epidemiologico,
renderebbe fattibile un programma di prevenzione e giustificherebbe
l’organizzazione di un Centro di riferimento “HUB” per la gestione delle
famiglie con sindrome di suscettibilità ereditaria al CM e/o CO, in linea
con le più recenti raccomandazioni Europee sui requisiti delle Unità di
Senologia.
2. Prevenzione
Prevenzione SECONDARIA. Per le donne con mutazione BRCA1-2 o
comunque ad alto rischio è necessaria l’elaborazione di un protocollo di
sorveglianza specifico, che tenga conto della precoce età di insorgenza
dei tumori nelle donne mutate, della necessità di integrare l’esame
mammografico con la RMN, l’ecografia e l’esame clinico,
dell’opportunità di intervalli più brevi tra i controlli, della prevenzione
contestuale del CO, della inclusione in programmi di sorveglianza anche
di soggetti maschili portatori di mutazione.
Prevenzione PRIMARIA. In alternativa alla donna ad alto rischio viene
proposta la prevenzione primaria attraverso la chirurgia profilattica, oggi
meglio definita anche preventiva o “risk-reducing”. Essa rappresenta ad
oggi la strategia più efficace disponibile per prevenire il tumore nelle
donne ad alto rischio e comporta l’asportazione chirurgica degli organi
sede potenziale di sviluppo di neoplasia, quindi le mammelle
(mastectomia bilaterale con ricostruzione immediata) e l’ovaio
(annessiectomia bilaterale). Com’è facilmente intuibile questo tipo di
chirurgia comporta conoscenze ed esperienza specifiche sia di tipo
tecnico che delle problematiche psicologiche ad essa associate.
3. Gestione multidisciplinare
Le problematiche della gestione della donna ad alto rischio sono
complesse e richiedono competenze multidisciplinari che devono
essere coordinate da un responsabile specificamente preposto. Il team
multidisciplinare potrebbe comprendere chirurgo senologo, genetista,
radiologo, oncologo medico, ginecologo, chirurgo plastico, psicologo
.
Obiettivi del progetto
Scopo del presente progetto è di:
1. Selezionare donne appartenenti a famiglie ad alto rischio di predisposizione
eredo-familiare per carcinoma mammario e ovarico
2. Counseling genetico per possibilità di test genetico per
mutazioni/riarrangiamenti predisponenti
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3. Esecuzione del test
4. Proposta alla paziente di percorso di prevenzione primaria e secondaria
Materiali e metodi
Il percorso di identificazione e gestione del rischio eredo familiare
La raccolta della storia famigliare come strumento per l’invio in
consulenza genetica
La raccolta dell’anamnesi famigliare può essere eseguita con vari livelli di
approfondimento: occorre quindi individuare con chiarezza il grado di
approfondimento necessario a svolgere la valutazione che ci si propone di
effettuare.
Il massimo grado di approfondimento prevede la ricostruzione completa
dell’albero famigliare almeno fino ai parenti di terzo grado (4 generazioni per il
ramo materno e paterno) e la valutazione della documentazione clinica relativa
ai casi di tumore riferiti. Questo tipo di approfondimento è proprio della CGO.
Nella fase preliminare di valutazione del rischio genetico (che ha come obiettivo
la decisione se inviare o meno alla CGO), è importante raccogliere informazioni
sui parenti prossimi e sull’età alla diagnosi delle neoplasie riferite, ma non è
solitamente necessario ricostruire in modo completo l’albero famigliare né
richiedere la documentazione dei casi riferiti.
E’ importante ricorDonne ad alto rischio e che l’anamnesi famigliare riportata
nella cartella clinica di un paziente affetto spesso è inadeguata per porre il
sospetto di tumore ereditario.
Inoltre, è noto che il grado di correttezza dell’informazione riferita è variabile,
alto per i parenti di primo grado (genitori, fratelli, figli) e per alcune patologie (es.
tumore della mammella) ma sensibilmente inferiore per certi tipi di tumore (es.
dell’ovaio, delle alte vie urinarie) e per i parenti più lontani.
Infine, la storia famigliare è un concetto dinamico poiché può variare nel tempo
e, quindi, i soggetti esclusi dalla CGO o ritenuti non eleggibili ad un test genetico
possono essere meritevoli di rivalutazione in caso di cambiamento
dell’anamnesi oncologica personale e/o famigliare.
Criteri adottati per la valutazione del rischio familiare
Lo schema successivo illustra i criteri attraverso i quali andranno valutati i livelli
di rischio
per le donne interessate. Essi sono ricavati dai criteri previsti dalle linee guida
NICE e
verranno valutati dal medico di medicina generale, dagli operatori dei centri
screening o da
eventuali altri professionisti di primo contatto.
Tre sono i livelli di rischio individuati:
- Profilo 1: livello di rischio oncologico equivalente a quello della
popolazione generale
- Profilo 2: livello di rischio oncologico due volte superiore a quello della
popolazione generale.
- Profilo 3: livello di rischio oncologico tre volte (o più) superiore a quello
della popolazione generale.
Profilo 1 - Familiarità con rischio assimilabile alla popolazione
generale:
- 1 familiare di primo grado diagnosticato dopo i 40 anni
- 2 familiari di primo grado diagnosticati dopo i 60 anni
- senza alcuna delle condizioni che seguono
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Profilo 2 - Familiarità con rischio moderatamente più elevato
rispetto alla
popolazione generale:
- 2 familiari di primo grado con diagnosi tra i 50-59 anni
- 2 familiari di secondo grado del ramo materno con diagnosi di cancro
mammario a < 50 anni
- 1 familiare di primo o secondo grado con diagnosi di cancro
mammario 50-59 anni + 1 familiare di primo o secondo grado con
diagnosi di cancro ovarico ad ogni età
- senza alcuna delle condizioni che seguono.
Profilo 3 - Familiarità con rischio molto elevato e relativi criteri per
considerare
l’invio alla consulenza genetica
Storia personale o familiare di:
- Maschio con carcinoma mammario
- Donna con carcinoma mammario e carcinoma ovarico
- Donna con carcinoma mammario con le seguenti caratteristiche:
• < 36 anni, con o senza storia familiare
• < 50 anni con carcinoma bilaterale, con o senza storia
familiare
• < 50 anni e 1 o più parenti di primo grado con:
carcinoma mammario
< 50 anni
carcinoma ovarico a
qualsiasi età
carcinoma mammario
bilaterale
carcinoma mammario
maschile
• >50 anni solo se storia familiare di carcinoma mammario o
ovarico in 2 o più parenti in primo grado tra loro (di cui uno
in primo grado con lei)
- Donna con carcinoma ovarico e un parente di primo grado con:
• carcinoma mammario < 50 anni
• carcinoma ovarico a qualsiasi età
• carcinoma mammario bilaterale
• carcinoma mammario maschile
- storia familiare di carcinoma mammario o ovarico in > 2 parenti di
primo grado (di cui uno in primo grado con lei)
- Mutazione nota di BRCA1, BRCA2, P53.
Criteri di accesso al test genetico
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Nell’ambito del percorso di consulenza genetica è appropriata l’esecuzione del
test genetico di ricerca di mutazioni di BRCA1 e BRCA2 quando siano
soddisfatti i seguenti criteri:
1) Breast Ovarian Cancer (BOC): Pazienti affette da tumore sia mammario che
ovarico
2) Hereditary Ovarian Cancer (HOC): 2 o più pazienti affetti da neoplasia
ovarica
3) Hereditary Breast and Ovarian Cancer (HBOC): Famiglie con ≥ 1 caso
carcinoma ovarico associato a ≥ 2 carcinomi mammari di cui uno ≤ 40 anni o
bilaterale e parentela di I grado tra i 3 individui
4) Carcinoma mammario e ovarico sospetto ereditario (SHBOC): 3 o più
pazienti affetti da carcinoma mammario/ovarico con parentela di I grado senza
giovane età o bilateralità, oppure con giovane età o bilateralità ma senza
parentela di I grado
5) Hereditary Breast Cancer (HBC): 3 o più pazienti affette da carcinoma
mammario, di cui uno entro i 40 anni o bilaterale e parentela di I grado tra i 3
individui.
6) Carcinoma mammario e ovarico fortemente sospetto per familiarità
(SFBOC+): 1 paziente affetta da carcinoma mammario e 1 da carcinoma
ovarico con familiarità di I grado e ≤40 anni o bilateralità.
7) Early Onset Breast Cancer (EOBC): Pazienti affette in età ≤35 anni senza
familiarità:
8) Male Breast Cancer (MBC): Paziente affetto da carcinoma mammario
maschile
9) Familiare per carcinoma mammario ed ovarico (FBOC): 3 pazienti affetti da
carcinoma mammario ed ovarico senza essere HBOC o SHBOC
10)
Fortemente sospette per familiarità per carcinoma mammario
(SFBC+):2 casi parenti di I grado, di cui 1 con età ≤ 40 anni o bilaterale
11)
Carcinoma mammario duttale infiltrante G3I “triplo negativo”
(RE=negativo; RPg=negativo, c-Erb=negativo), in età ≤40 anni
Il counseling genetico oncologico
E’ importante tener presente che la decisione del Medico specialista o di
medicina generale sull’invio alla CGO deve essere frutto di un insieme di
considerazioni relative anche al grado di motivazione della persona (è
importante rispondere ad una domanda del paziente, più delicato sollevare il
problema se ciò non viene richiesto o se ignorato) ed al suo stato di salute o di
malattia (il tempo intercorso dalla diagnosi o dalla fine delle terapie, l’eventuale
ripresa di malattia o la malattia avanzata pongono in rilievo aspetti personali e
medici molto diversi). L’utilità presunta della CGO (per il paziente e/o per i
famigliari) deve essere soppesata tenendo conto delle condizioni psicologiche e
relazionali del momento, in quanto quasi mai essa si configura come
prestazione urgente. Qualunque sia il risultato della valutazione formale del
rischio eredo-famigliare di cancro, è importante rassicurare la persona perché la
percezione del rischio di cancro in presenza di famigliarità è spesso superiore al
rischio reale. E’ noto infatti che la gran parte dei soggetti con famigliarità per
tumore non svilupperà la stessa malattia e sarà sufficiente per essi seguire le
raccomandazioni di prevenzione valide per la popolazione generale. Inoltre,
anche gran parte dei casi inviati in CGO non rappresentano situazioni di rischio
elevato di malattia.
Infine, anche nel caso in cui l’esito della valutazione in CGO fosse
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l’identificazione di una mutazione ereditaria, ciò non corrisponde
necessariamente ad una diagnosi di malattia nel tempo.
I criteri di invio comunemente usati nel sospetto di un tumore ereditario si
basano sostanzialmente sulla presenza di un insieme di caratteristiche (numero
di parenti affetti, rapporto di parentela tra gli affetti, età allo sviluppo dei tumori,
parenti affetti da tumori bilaterali o multipli, caratteristiche istologiche delle
neoplasie) che configurano una probabilità convenzionalmente pari o superiore
al 10% di essere in presenza di una predisposizione ereditaria per la quale è
disponibile un test diagnostico.
Tale soglia viene ritenuta essere un ragionevole compromesso tra l’utilità clinica
presunta e la salvaguardia dell’appropriatezza prescrittiva, a fronte dell’attuale
complessità e costi dei test genetici.
Al fine di consentire una valutazione della probabilità di mutazione, sono stati
sviluppati vari strumenti (es. modelli, score, criteri tabellari) che sono utilizzati
nelle linee guida patologia-specifiche.
In relazione all’aumento delle conoscenze (nuovi geni, nuovi studi sulla
prevalenza delle mutazioni, eventuali “effetti fondatore” che rendano una
malattia o una mutazione particolarmente frequente in una specifica area
geografica), i criteri di invio alla CGO per una data forma di predisposizione
ereditaria possono variare nel tempo.
Consulenza genetica Pre-Test
Nella prima parte della consulenza genetica oncologica (CGO pre-test) vengono
ridiscusse le motivazioni che hanno portato il soggetto alla CGO (cercando in
particolare di far emergere le aspettative e/o i preconcetti) e viene effettuata la
ricostruzione approfondita dell’anamnesi personale e famigliare.
In particolare, oltre alla ricostruzione dell’albero genealogico completo (almeno
fino al terzo grado), viene valutata l’attendibilità delle informazioni fornite e viene
in genere richiesta la documentazione clinica dei casi di tumore riferiti.
Inoltre, per porre una diagnosi clinica di tumore ereditario è talvolta necessario
procedere con esami strumentali specifici o alla rivalutazione di esami già
eseguiti (es., rivalutazione istologica mirata), soprattutto quando vi è il sospetto
di sindromi rare che presentano caratteristiche patognomoniche di malattia, ma
che sono talvolta poco significative dal punto di vista clinico e quindi spesso
misconosciute (es. lesioni pigmentate della cute, dell’iride o del fondo oculare).
Nel contesto di questa rivalutazione clinica complessiva, si colloca la decisione
di effettuare o meno il test genetico per uno o più geni potenzialmente
responsabili di malattia in quella famiglia.
L’appropriatezza di un test genetico per sospetto tumore ereditario è difficile da
stabilire soprattutto per le forme ereditarie dei tumori più frequenti nella
popolazione e qualora non vi siano caratteristiche patognomoniche della
malattia ereditaria, ma solo dati di prevalenza della mutazione in sottogruppi di
casi selezionati per diversi criteri. Pertanto, i criteri di accesso al test genetico
per le forme comuni di tumore ereditario rappresentano un compromesso tra la
necessità di contenere i costi e l’opportunità di offrire un test che può cambiare
in modo significativo le possibilità di prevenzione e sono spesso sovrapponibili
ai criteri di invio alla CGO.
Scelta del caso indice della famiglia da sottoporre al test genetico
(probando)
Un aspetto peculiare della CGO è la necessità di coinvolgere altri famigliari oltre
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all’individuo che per primo ha richiesto la consulenza.
Questo si verifica nella fase preliminare di approccio alla diagnosi quando si
rende necessario scegliere il membro della famiglia più idoneo per la ricerca di
un’eventuale “mutazione ignota”.
Quando il soggetto che richiede la CGO è una persona sana, viene solitamente
proposto di coinvolgere un parente prossimo che abbia già sviluppato la malattia
perché il risultato del test genetico consentirà di dirimere sulla presenza o meno
della predisposizione in famiglia. Infatti, analizzando in prima istanza il membro
della famiglia malato e con più alta probabilità di mutazione (es. età più bassa
alla diagnosi o presenza di tumori multipli), se il test genetico risulta normale, si
potrà concludere che la storia oncologica famigliare non è (con buona
probabilità) riconducibile alla presenza di mutazioni del gene analizzato. Se il
test genetico risulta invece positivo, tutti i membri della famiglia che lo
desiderano potranno giovarsi del test genetico per la ricerca della “mutazione
specifica”, riducendo così i costi e i tempi del percorso diagnostico. Al contrario,
se viene analizzato in prima istanza un membro sano della famiglia e il test
genetico per la ricerca di “mutazione ignota” risulta normale, non sarà possibile
concludere se il soggetto non ha ereditato la mutazione presente in famiglia o
se nella famiglia non vi è alcuna mutazione (nel/nei gene/i analizzato/i) e la
stima del rischio oncologico dovrà tener conto di questo limite del test.
Tuttavia, nella pratica corrente è talvolta molto difficile o addirittura impossibile
“scegliere” il candidato più idoneo al test genetico diagnostico per la famiglia
anche per motivi non dipendenti dalla volontà della persona che si sottopone
alla CGO (i.e., nessun malato vivente o disponibile a fare il test genetico). E’
importante in questi casi ricorDonne ad alto rischio e che la stima della
probabilità di mutazione o i criteri di accesso al test sono ugualmente validi sia
per soggetti malati sia per quelli sani e quindi, soprattutto nei nuclei famigliari ad
alto rischio, non è appropriato negare il test genetico ad una persona sana in
base ai limiti interpretativi di cui sopra, poiché anche un risultato normale del
test può essere utile per adottare le misure preventive più appropriate.
Interpretazione del Test Genetico nella consulenza genetica Post-Test
Un test genetico eseguito sul caso indice della famiglia (ovvero la ricerca di una
“mutazione ignota” di un gene non precedentemente analizzato in alcun
membro della famiglia, cosiddetto “test diagnostico”) può considerarsi positivo ai
fini della identificazione di un predisposizione ereditaria solo quanto identifica
una variante genetica che, per le sua caratteristiche, può essere associata con
certezza (o con probabilità molto elevata) ad un rischio oncologico significativo
ed ereditario (“variante patogenetica”).
Nei soggetti affetti, questa
informazione permette di confermare l’origine eziologica della patologia e, nei
collaterali sani, la verifica della presenza/assenza della mutazione consente di
dirimere sulla presenza/assenza di un alto rischio oncologico. Bisogna però
sottolineare che una variazione del DNA rispetto alla sequenza di riferimento del
gene non è necessariamente associata ad un effetto patogenetico perché il
cambiamento introdotto nel gene (ed eventualmente nel prodotto genico) può
non avere alcun effetto oppure un effetto biologico non correlato ad un alto
rischio di malattia.
In questi anni l’utilizzo dei test genetici su ampie popolazioni ha evidenziato che
la variabilità della sequenza dei singoli geni nella popolazione è ampia per cui
non è infrequente identificare varianti geniche mai descritte in precedenza. In
molti casi, quindi, l’interpretazione del significato clinico della variante genetica
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identificata è un momento difficile che richiede la presenza di esperienza
professionale elevata da parte del laboratorio che fornisce tale test.
Varianti di incerto significato clinico
Situazioni critiche in CGO post-test sono i casi in cui il laboratorio classifica la
variante identificata come di incerto significato clinico.
E’ importante che il medico che gestisce la consegna del risultato del test nel
percorso di CGO abbia adeguate conoscenze professionali per comprendere le
basi scientifiche che hanno portato a questa classificazione e per valutare le
evidenze presenti in letteratura sul possibile significato patogenetico della
variante identificata. Solo in questo modo potrà effettuare un utilizzo clinico
consapevole del test che ha richiesto, pur essendo le responsabilità principali
dell’interpretazione del test genetico di pertinenza del laboratorio che lo esegue
e ne stila il referto. E’ da notare che il numero di varianti identificate è in
considerevole aumento nei laboratori che utilizzano tecnologie di
sequenziamento del DNA di nuova generazione, con le quali vengono analizzati
contemporaneamente diversi geni potenzialmente responsabili di quadri clinici
analoghi. La dimensione del problema aumenterà ulteriormente negli anni con
Test non informativo
Quando il test genetico per la ricerca di una “mutazione ignota” risulta normale
(i.e. nessuna variante o, se è stata identificata una variante, questa è
classificabile come non patogenetica), il risultato del test genetico deve essere
accuratamente interpretato nel contesto individuale e famigliare.
In caso di mancata identificazione di una mutazione patogenetica, si parla di
test “non informativo” o “non conclusivo” in quanto non è generalmente possibile
escludere l’esistenza di mutazioni in altri geni di predisposizione (al momento
non indagabili o non indagati) o di mutazioni nel gene esaminato che non siano
riconoscibili dalle metodiche di laboratorio oggi correntemente in uso (che
esaminano solo le regioni codificanti del gene e le giunzioni esone-introne, ma
non il tratto genomico completo corrispondente all’intera unità genica
funzionale).
Un test genetico per ricerca di “mutazione ignota” (test sul probando) risulta
positivo solo in una percentuale di casi che si aggira complessivamente intorno
al 20-30% (variabile a seconda della patologia in analisi e dei criteri utilizzati per
l’accesso al test stesso).
Ciò significa che in una significativa percentuale di casi inviati al test genetico
non verrà confermata (ma, dati i limiti del test, neppure esclusa) la presenza di
una predisposizione genetica non essendo stata identificata alcuna variante
patogenetica.
La valutazione del rischio oncologico individuale nella consulenza genetica posttest richiede competenze specialistiche ed esperienza professionale al fine di
poter integrare correttamente nella pratica medica le conoscenze disponibili sui
test utilizzati (es. sensibilità analitica del test), sulla probabilità a priori e a
posteriori di mutazione (probabilità pre-test e post-test), sull’eterogeneità
genetica dello specifico tumore ereditario, nonché sulle possibili diagnosi
differenziali in base all’anamnesi oncologica personale e famigliare (comprese
eventuali caratteristiche istologiche delle neoplasie). In alcuni casi, questa
valutazione porta alla definizione di un alto rischio genetico pur in assenza di
mutazione, il cosiddetto “ rischio genetico equivalente” a quello dei casi in cui
viene identificata una variante patogenetica, con importanti conseguenze sulla
gestione clinica.
Test mutazione-specifico nei collaterali
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Diverso è il contesto dell’utilizzo del test genetico mutazione-specifico nei
collaterali. In questo caso, essendo nota la mutazione responsabile del rischio
oncologico ereditario in famiglia, vi è la possibilità di fornire un risultato
sicuramente negativo (i.e., di “non predisposizione”, con rischio simile alla
popolazione generale), qualora un membro della famiglia non abbia ereditato la
mutazione patogenetica.
Nella gran parte delle forme di predisposizione ereditaria, ciascun famigliare di
primo grado (figli, fratelli/sorelle, genitori) di un individuo portatore della
mutazione ha il 50% di probabilità di avere ereditato/trasmesso la mutazione
stessa (ereditarietà autosomica dominante). In alcune forme, invece, è
necessario che un individuo abbia una mutazione in entrambe le copie del gene
(allele materno e paterno),affinché vi sia una condizione di alto rischio
oncologico (ereditarietà autosomica recessiva): in questi casi, il test genetico è
innanzitutto indicato per i fratelli/sorelle del caso indice perché ciascuno di loro
ha il 25% di probabilità di aver ereditato entrambe le mutazioni (una dal padre e
una dalla madre).
Per quanto riguarda le forme autosomiche dominanti, è importante ricorDonne
ad alto rischio e che l’utilizzo del test genetico mutazione-specifico nei collaterali
presenta dei limiti interpretativi qualora venga offerto a soggetti con legame di
parentela oltre il secondo grado rispetto al caso indice e non vi siano dati
molecolari sui parenti più prossimi. In questi casi, se il test genetico del
collaterale risulta normale bisogna essere cauti nell’interpretazione del risultato
del test (assenza di rischio genetico) perché non è possibile escludere con
certezza che alcuni dei casi di tumore in famiglia siano dovuti alla presenza di
una predisposizione genetica non riconducile alla mutazione identificata nel
caso indice. Inoltre, nella valutazione del rischio di cancro individuale si dovrà
tenere in considerazione il fatto che parte della storia famigliare di malattia
potrebbe non essere associata ad alcuna mutazione ereditaria.
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