A
Questo volume è stato pubblicato con il contributo del Dipartimento di
Scienze Umanistiche e Sociali dell’Università degli Studi di Sassari.
Translating Yeats
Prospettive letterarie, linguistiche e didattiche
a cura di
Stefania Gandin e Loredana Salis
Contributi di
Pier Paolo Conconi, Stefania Gandin
Colbert Kearney, Denise Orrù, Francesca Panu
Ilaria Rizzato, Maria Elisabetta Salis, Loredana Salis
Giuseppe Serpillo, Valeria Strusi
Copyright © MMXV
Aracne editrice int.le S.r.l.
www.aracneeditrice.it
[email protected]
via Quarto Negroni, 
 Ariccia (RM)
() 
 ----
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: dicembre 
Indice
Introduzione7
Cronologia di riferimento21
Parte I. reborn in translation27
The Autumn of the Body, W.B. Yeats
Traduzione e commento di Stefania Gandin
29
The Theatre, W.B. Yeats
Traduzione e commento di Ilaria Rizzato
51
At Stratford-on-Avon, W.B. Yeats
Traduzione e commento di Loredana Salis
75
Parte II. reborn in performance117
The Dreaming of the Bones, W.B. Yeats
Traduzione e commento di Giuseppe Serpillo
119
I Drammi per danzatori di W.B. Yeats
Pier Paolo Conconi 167
In death they’re stronger still
Colbert Kearney, traduzione di Stefania Gandin
181
Parte III. poetry reborn205
He Wishes for the Cloths of Heaven, W.B. Yeats
Traduzione e commento di Maria Elisabetta Salis
207
The Song of Wandering Aengus, W.B. Yeats
Traduzione e commento di Francesca Panu
213
A Coat, W.B. Yeats
Traduzione e commento di Valeria Strusi 223
5
6 Indice
A Dialogue of Self and Soul, W.B. Yeats
Traduzione e commento di Maria Elisabetta Salis
Long-legged Fly, W.B. Yeats
Traduzione e commento di Denise Orrù
231
243
Bibliografia251
Gli autori259
Ringraziamenti263
***
Indice delle figure
figura 1. Momenti di prova del laboratorio teatrale
universitario Reborn in Performance
figura 2. Momenti di prova del laboratorio teatrale
universitario Reborn in Performance
figura 3. Locandina della rappresentazione
di The Dreaming of the Bones,
laboratorio teatrale universitario (1987–1988)
figura 4. Locandina della rappresentazione
de Al pozzo del falco e Il sogno delle ossa,
laboratorio teatrale universitario
Reborn in Performance (2014–2015)
178
178
179
180
Introduzione
Quando nel 1923 ricevette il Premio Nobel per la Letteratura,
W.B. Yeats ringraziò l’Accademia Svedese di Stoccolma per
quel prestigioso riconoscimento che onorava il suo impegno
di drammaturgo, critico teatrale e autore di versi la cui qualità
è quella della «dizione praticata sulla scena»1. La motivazione
dei giurati attribuiva alla poesia «sempre ispirata» dell’allora
quasi sessantenne scrittore il merito di esprimere «lo spirito di
una nazione intera» con la forma artistica più alta2. Per poesia
Yeats intendeva la poiesis, ovvero un’idea unitaria di creazione
artistica in cui confluiscono, arricchendosi vicendevolmente,
la poesia propriamente detta, il teatro e la critica letteraria, e il
Poeta è colui che attinge da quei codici che, seppur diversi, gli
consentono di dare espressione alle medesime preoccupazioni. Per Yeats l’officina della poesia, laboratorio dei suoi pensieri, era il teatro, punto di incontro di tanti linguaggi, luogo della sperimentazione in cui, per citare Raimon Panikkar,
1
«Perhaps the English committees would never have sent you my name
if I had written no plays, no dramatic criticism, if my lyric poetry had not a
quality of speech practised upon the stage, perhaps even – though this could
be no portion of their deliberate thought – if it were not in some degree the
symbol of a movement.» (Yeats 1923).
2
«For his always inspired poetry, which in a highly artistic form gives
expression to the spirit of a whole nation», dal sito ufficiale della Fondazione
Nobel (http://www.nobelprize.org/nobel_prizes/literature/laureates/1923/).
7
8 Introduzione
«una parola è una parola quando parla […] ed è nuova ogni
volta che è pronunciata» (2007: 110). In quest’ottica è facile
comprendere le ragioni del discorso pronunciato da Yeats
a Stoccolma ed è altrettanto chiaro il valore culturale del
progetto che culminò con l’inaugurazione dell’Abbey Theatre
nel dicembre del 1904, frutto di un percorso avviato anni prima
e volto alla realizzazione del Teatro Nazionale d’Irlanda.
Come la poesia di Yeats, quel teatro ambiva a esprimere lo
spirito del Paese attraverso il recupero di una grande bellezza,
eroica e celtica, perseguendo anche l’apertura verso culture
altre, del passato e della modernità (in particolare i classici
greci, la cultura francese, italiana, svedese e quella orientale),
modelli che avrebbero condotto all’unità dell’essere e della
cultura (Fantaccini 2009: 16-17).
La poiesis yeatsiana è incentrata su questi ideali, sebbene
in misura diversa a seconda del periodo e del contesto, in
un dialogo continuo con il tempo e con lo spazio, con la
dimensione universale e quella privata dell’Io e della sua
esistenza. Ne consegue che la lettura congiunta delle poesie,
dei drammi e dei saggi, e la visione di quei testi come tessere
di un medesimo grande mosaico, facilitano lo studio e la
comprensione del pensiero e dell’estetica dello scrittore
nel suo lungo percorso artistico. Il lavoro di traduzione,
commento e curatela dei contributi raccolti in questo volume
è, almeno in parte, frutto di questa considerazione. Translating
Yeats: prospettive letterarie, linguistiche e didattiche si propone di
approfondire la conoscenza di opere fino a oggi disponibili
solo in lingua originale e con scarso supporto critico
dedicato, dando visibilità a testi sulla cui fortuna ha inciso
probabilmente la complessità della scrittura e del pensiero
dell’autore, non sempre facili da tradurre, interpretare o
di non semplice fruizione. Nel caso dei saggi e di un’opera
Introduzione
9
sperimentale come The Dreaming of the Bones permane forse
l’opinione che si tratti di materiali di interesse quasi esclusivo
per esperti del settore, il che li rende testi meno commerciali
o commerciabili secondo logiche di mercato che talvolta
tengono poco conto dell’importanza di valorizzare opere
meno note per mezzo della traduzione. Per contro, le poesie
sono oggetto di un’attenzione che con il tempo sembra non
venir meno: tradotte e ritradotte in italiano, in un dialogo
continuo tra passato e presente, tra i pionieri degli studi
irlandesi e chi ne ha ereditato la tradizione e l’onere di tenerla
in vita, la traduzione delle poesie di Yeats in Italia vanta una
storia che inizia nel 1905, anno in cui Ulisse Ortensi traduce
When You are Old (Fantaccini 2009: 215) e arriva ai giorni
nostri con la pubblicazione di Verso Bisanzio, a cura di Dario
Calimani (2015).
Il 150° anniversario della nascita di Yeats, nel 2015, è stato
occasione di riflessione su questi e altri temi, soprattutto a
livello accademico e sulla scorta di numerose iniziative e attività culturali dedicate allo scrittore da esperti e cultori degli
studi irlandesi. Di particolare rilievo per la genesi di questo
volume è stato il coinvolgimento delle curatrici nel progetto
europeo Yeats Reborn, promosso dalla Federazione dei Centri
Europei di Studi Irlandesi (EFACIS) e conclusosi recentemente con la pubblicazione di una raccolta delle novanta migliori traduzioni di poesie di Yeats (su oltre trecento pervenute
da più paesi della Comunità Europea) in ben ventuno lingue
diverse (Schwall 2015: 1). Alla base dell’intero progetto vi è
l’idea di rinascita attraverso la traduzione, concetto che non
si discosta dallo “spirito della parola” di Panikkar e che riecheggia la visione shakespeariana di rinascimento a partire
dalla parola creativa, come anche la parola profetica in Blake,
di cui Yeats aveva curato, nel 1893, un’edizione dei Prophetic
10 Introduzione
Books. Questi stessi ideali ritornano in Coleridge e nella sua
concezione romantica di un secondo rinascimento, ancorato al potenziale creativo della poesia visionaria, e ancora in
Yeats, promotore di un “Celtic Renaissance” e convinto che
la forza della spoken word e il recupero dell’oralità primaria
avrebbero scosso gli intelletti sopiti e purificato quelli corrotti
del pubblico contemporaneo3.
La lingua esplicita un’idea o una visione che prende forma
nella mente di chi legge e in quella di chi traduce, come nei
versi che aprono Kubla Khan di Coleridge del 1798 (che il poeta definisce «un frammento o una visione onirica», Coleridge
1988: 89) in cui è sufficiente che Kubla Khan parli perché la
“maestosa casa di piacere si materializzi”, come per incanto,
nella fantasia del lettore, partecipe della visione del poeta:
In Xanadu did Kubla Khan
A stately pleasure dome decree
In Xanadu ha voluto Kubla Khan
Elevata una maestosa casa di piacere
(Ivi: 92-93)
Alla fine del “frammento” il lettore-osservatore diventa
complice del poeta-incantatore in un rituale volto a perpetuare l’estasi che colma l’anima di se stessa, come la fontana
che tracima nel Riccardo II di Shakespeare (V.iii). In Coleridge
e Shakespeare, Yeats trovò due modelli influenti per la sua
visione, al punto da affermare, in una poesia del 1931, di es-
3
In una prima fase, il progetto culturale di Yeats si ispirò a quello del
Celtic Revival promosso da Douglas Hyde, che nel saggio The Necessity for
De-Anglicising Ireland (1892), sosteneva il bisogno di preservare tutto ciò
che fosse essenzialmente gaelico e irlandese perché «this island is and will
ever remain Celtic at the core» (Hyde 1994: 32).
Introduzione
11
sere uno degli ultimi romantici4, consegnando a quei versi la
memoria di un’eredità che il tempo e la «putrida ondata della modernità» avrebbero eroso5. Anni prima, nel 1901, aveva
identificato in Shakespeare, e in particolare Riccardo II, il modello ideale di teatro per il popolo irlandese, svilito, violato e
isolato come il re deposto, e come lui dotato di una sensibilità
aliena alla natura materialista degli inglesi.
È tipico in Yeats che un forte impulso verso il passato si accosti
alla visione lungimirante del poeta clairvoyant e sciamano, e
non mancano le considerazioni a posteriori dell’ageing man, un
uomo più saggio che, come i Musici in At the Hawk’s Well, vede
con “l’occhio della mente” una bellezza mistica, alchemica. In
Easter 1916 quella bellezza è terribile, scrive Yeats in un ossimoro
di sconcertante semplicità – “a terrible beauty is born” – che
condensa un mondo infinito di emozioni, le più disparate, tutte
forti, pulsanti, vive. E la scrittura di Yeats è così, come il fiume
sacro nella poesia di Coleridge che quando giunge alla mèta
scatena un’esplosione di vitalità; però è anche come il bosco
al crepuscolo in The Dreaming of the Bones, un luogo sublime,
anch’esso terribilmente bello perché inquietante e sconosciuto:
è il luogo del confronto e della resa dei conti che anche il
lettore sente, partecipe di small epiphanies, piccole visioni, che
si rinnovano con la lettura o con la messa in scena del dramma.
Per il traduttore è senz’altro questa la prima sfida, ed è la sfida
di chi, nelle parole di Robert Welch, deve prendere atto che la
traduzione «nasce dall’unione intima e misteriosa tra parole,
ritmo, emozioni, pensieri e immagini» (1972: 328). Questa
4
In Coole Park and Ballylee, 1931 Yeats scrive: «We were the last of the
romantics» (Yeats 1989: 251).
5
È la “filthy modern tide” di cui Yeats parla in The Statues (Yeats 1989:
350). Trad. italiana di M. Cataldi (1990: 25).
12 Introduzione
“unione intima” diventa un atto liberatorio grazie al quale, per
citare Walter Benjamin «la traduzione […] redime nella propria
quella pura lingua che è racchiusa in un’altra; o, prigioniera
nell’opera, la libera nella traduzione» (1982: 168).
Notoriamente Benjamin non credeva nell’esistenza di una
Musa della traduzione, eppure la “traducibilità” delle opere
di Yeats – ovvero l’oggettiva «corrispondenza tra la traduzione e l’essenza dell’originale» (Ivi: 169) – parrebbe suggerire il
contrario. In tale ottica, le traduzioni raccolte in questo volume mirano a una prospettiva che vuole essere al contempo
linguistica e letteraria, suggerendo la possibilità di eventuali
applicazioni in sede didattica. Vengono proposte con il testo
inglese a fronte, in modo da agevolare il lettore che voglia
soffermarsi sulle peculiarità dell’originale col supporto della
versione in lingua italiana, corredata di note esplicative e di
approfondimenti a cura dei diversi traduttori. Il percorso è
ulteriormente arricchito da commenti critici incentrati sull’analisi dei temi principali dei testi tradotti, in corrispondenza
anche con le altre traduzioni inserite nel volume. La prospettiva letteraria si unisce a quella linguistica in uno studio che
tende a rimarcare la coerenza e le tensioni del testo di partenza, e di conseguenza dà rilievo alle sfide affrontate dai singoli
traduttori. Lingua e contenuto non sono entità separate, al
contrario, la loro assonanza è funzionale all’articolazione del
messaggio del poeta e concorre alla traducibilità teorizzata
da Benjamin.
Il volume si articola in tre sezioni dedicate rispettivamente ai
saggi, al teatro e alle poesie, i cui testi sono presentati in ordine
cronologico, secondo una visione organica che riflette quella
indicata dallo stesso Yeats nel discorso di Stoccolma del 1923.
La prima sezione, Reborn in translation, raccoglie le traduzioni
annotate e commentate di The Autumn of the Body, The Theatre
Introduzione
13
e At Stratford-on-Avon, saggi che risalgono al periodo tra il 1898
e il 1901, quando l’impegno dello scrittore era indirizzato verso
la creazione di un teatro nazionale che restituisse nuova vita
allo spirito celtico dell’Irlanda di inizio secolo. Rinascono in
traduzione gli scritti incentrati su questi temi e con essi anche
l’energia creativa dello scrittore engagé sul fronte culturale
e politico. Il presente, sottolinea Stefania Gandin, versa in
uno stato che è quello dell’“autunno del corpo”, secondo
una metafora che Yeats usa per denunciare l’appassimento
dell’intelletto, sintomo del dominio delle “esteriorità” tipico
del periodo vittoriano e del positivismo delle scienze e della
politica di allora. Il commento alla traduzione di The Autumn of
the Body fa notare che questo percorso di decadimento, iniziato
già con Dante e Shakespeare e proseguito sino a Goethe,
Wordsworth e Browning, ha fatto sì che la poesia «rinunci[asse]
al diritto di considerare tutte le cose del mondo come un
dizionario di caratterizzazioni e simboli, […] proclaman[dosi]
critico della vita e interprete delle cose per quello che sono».
Yeats, tuttavia, credeva che l’autunno delle arti, della cultura
e della poesia sarebbe stato superato quando l’uomo avrebbe
finalmente ritrovato la spiritualità perduta, risvegliando
nell’Io più profondo e inconscio l’idea di bellezza smarrita e
sgravandosi del peso, insostenibile, delle externalities.
Di esternalità si parla anche nel saggio The Theatre in cui
Yeats delinea una sorta di manifesto del teatro mettendo a
confronto l’Irish Literary Theatre con una concezione più visionaria dell’arte drammatica, legata al mistero e all’evoluzione
di più tradizioni intellettuali. Nel commentare la traduzione
di quest’importante opera, Ilaria Rizzato descrive le peculiarità di un tipo di scrittura caratterizzata da sequenze dialogiche
fra coppie di opposti: il piccolo teatro di periferia e il grande
teatro metropolitano, la profondità del dramma in versi e la
14 Introduzione
superficialità del teatro di prosa, il semplice potere evocativo
del suono e la sontuosa fissità della visione.
Di fatto il teatro cui ambisce Yeats è il luogo della rinascita
della parola e del suo potenziale creativo, messo a tacere dal
torpore intellettuale della modernità: sono queste le tematiche
centrali anche in At-Stratford-on-Avon. In quel saggio Yeats
assume il ruolo del traduttore, ovvero di colui che con la sua
poiesis crea occasioni di mediazione e incontro tra culture ed
epoche diverse, inserendo la propria opera in un continuum che
inizia con Edipo, passa per Riccardo II e arriva a Cuchulain.
Erede di una tradizione millenaria, in occasione di un viaggio
a Stratford-on-Avon durante la settimana del festival teatrale
dedicato a Shakespeare, Yeats immagina «la struttura» di
quello che sarebbe diventato il teatro nazionale d’Irlanda. Le
scenografie di Gordon Craig, la parola enunciata e il ritorno
a un’arte poetica nobile, non più corrotta dal naturalismo e
dalle priorità dell’età moderna, sono gli elementi fondamentali
di un grand-design che, come afferma Loredana Salis nel suo
commento, abbraccerà molteplici linguaggi, non da ultimo
quello della tradizione giapponese del teatro Nō.
Anni più tardi, stanco e in parte deluso da quell’Abbey
Theatre che aveva voluto così fortemente (l’episodio dei Playboy
riots del 1907 è sicuramente il più emblematico), Yeats realizzò
una serie di drammi per danzatori e nel 1919, lo stesso anno
in cui creò la visione apocalittica di The Second Coming, scrisse
l’opera in atto unico intitolata The Dreaming of the Bones. Si apre
con questo dance drama la seconda sezione del volume, intitolata
Reborn in performance. Pubblicato in traduzione per la prima
volta, il testo in lingua italiana Il sogno delle ossa viene proposto
con la versione originale a fronte: Giuseppe Serpillo ricrea la
finezza del verso yeatsiano, adattandolo alla musicalità di una
lingua altra e conferendo al dramma una veste nuova in una
Introduzione
15
dimensione che, come scrive lo studioso nel suo commento,
è di «incontro-scontro fra il senza tempo e ciò che invece è
radicato nel tempo». L’incontro, sospeso tra realtà e visione, fra
un giovane fuggiasco dell’Insurrezione di Pasqua del 1916 e gli
spiriti senza pace di Diarmuid e Dervorgilla, il cui amore infelice
ancorato nel mito fu la causa dell’arrivo dei Normanni e della
successiva occupazione inglese dell’Irlanda, consente a Yeats
di fondere in una giustapposizione dialogica attualità e mito, il
materiale e l’immateriale.
Con Il sogno delle ossa si assiste a una rinascita doppia non
solo perché la traduzione dà visibilità a un’opera poco nota
per un pubblico italiano non esperto e non anglofono, ma
anche perché il testo è materiale di studio per il Laboratorio
Teatrale Universitario 2014-2015 dell’atenèo di Sassari. Il progetto si rifà all’idea di ritualità teatrale e, nella sua dimensione
didattica più pura, combina teoria e pratica, interpretazione
testuale e scenica al fine di stimolare la creatività dei partecipanti, avviandoli allo studio della letteratura come momento di crescita individuale e condivisa. Il contributo del regista
Pierpaolo Conconi, direttore del Laboratorio, prende spunto
dal significato culturale dei Quattro drammi per danzatori, ripercorrendo le tappe principali dell’incontro di Yeats con la
pratica del teatro Nō giapponese. In quella forma aristocratica, illustre, indiretta e simbolica, Yeats aveva individuato un
veicolo di sacralità della parola e ritualità dei gesti. Il Nō, fa
notare Conconi, è un insieme di parola, musica canto e danza,
in cui gli attori portano maschere e si muovono come fossero
marionette, lentamente, su una scena spoglia e accompagnati
da musici che stanno fissi a un lato. È facile comprendere le
ragioni del fascino da parte di Yeats per un teatro i cui canoni
di rappresentazione scenica avrebbero consentito la rinascita in performance dell’eroica tradizione celtica, e nel contesto
16 Introduzione
odierno è ugualmente possibile proporre uno spettacolo che,
per quanto lontano dalle consuete modalità rappresentative
occidentali, risulta essere tanto innovativo quanto attuale nella sua essenzialità e universalità.
Nel contributo che chiude questa sezione del volume, coerentemente con la visione yeatsiana di poiesis, Colbert Kearney
rilegge The Dreaming of the Bones accanto alla poesia Easter 1916
e a un altro componimento ugualmente ispirato a quel momento storico ma pressoché sconosciuto, Our Dead di Peadar
Kearney, che in questa sede viene (ri)scoperto e reso accessibile a un pubblico più vasto. La riflessione ha esiti molteplici
perché evidenzia il contrasto ideologico e caratteriale dei due
autori: l’uno, Yeats, aloof, estraneo all’entità degli eventi o comunque scettico fino a dopo la fucilazione dei capi della Rivolta; l’altro, Peadar Kearney, che partecipò all’Insurrezione
e poi scrisse quei versi, lui che poeta non era, per perpetuare
il ricordo dei tanti morti e preservare la memoria del loro sacrificio. La lettura di Colbert Kearney si interroga sul ruolo
politico di Yeats, che condannava ogni forma di violenza, si
era opposto al coinvolgimento irlandese nella Prima Guerra
Mondiale6 e disapprovava l’odio dei suoi connazionali per gli
inglesi. La complessità della posizione politica del poeta risulta evidente nel raffronto tra il messaggio del dramma – in
cui si afferma che, fino a quando non perdonerà il proprio
6
In una lettera all’amico Gilbert Murray, che lo invitava a sottoscrivere
la Authors’ Declaration a favore del coinvolgimento inglese nel primo conflitto mondiale, Yeats scrisse: «Dear Murray, No. I am sorry, but No. I long
for the defeat of the Germans but your manifesto reads like an extract
from the newspapers, and newspapers are liars. What have we novelists,
poets, whatever we are, to do with them?» (14 settembre 1914, in Nick
Milne, Pen and Sword Pt. IV: Yeats Refuses to Declare, http://ww1centenary.
oucs.ox.ac.uk/author/nmilne/).
Introduzione
17
passato, l’Irlanda non avrà pace – e quello della poesia – un
messaggio che riflette ammirazione per gli eroi dell’Insurrezione e stupore per l’esito di quelle giornate, ovvero la nascita
di una “terribile bellezza”.
La poesia è il tema della terza sezione del volume intitolata Poetry reborn, quella più propriamente incentrata sulla didattica e sulla traduzione come percorso condiviso di studio.
La sezione raccoglie i risultati di un laboratorio di traduzione
letteraria coordinato dalle curatrici in occasione del concorso
internazionale Yeats Reborn, promosso da EFACIS, durante il
quale un gruppo di studentesse di inglese dell’Università di
Sassari ha lavorato alla traduzione e al commento di cinque
poesie di Yeats, scelte tra quelle indicate nel bando. La prima
fase del Laboratorio ha consentito alle studentesse di approfondire la loro conoscenza del contesto storico-culturale dello
scrittore, e successivamente della sua opera, per poi arrivare
alla lettura attenta e alla selezione dei testi destinati al concorso. Gli incontri formativi della seconda fase hanno agevolato
lo scambio di opinioni e la condivisione delle difficoltà riscontrate in traduzione, aspetti fondamentali per il percorso individuale e collettivo di apprendimento linguistico e letterario,
nonché per la riuscita dei diversi elaborati. L’obiettivo è sempre stato quello di raggiungere un compromesso fra significato, stile, metro e ritmo, facendo riferimento, in alcuni casi, a
traduzioni già esistenti con le quali ci si è confrontati e a partire dalle quali sono state realizzate nuove versioni. Le poesie
tradotte sono He Wishes for the Cloths of Heaven (Egli spera nel
manto del cielo di Maria Elisabetta Salis), The Song of Wandering
Aengus (La canzone di Aengus l’errante di Francesca Panu), A Coat
(Un mantello di Valeria Strusi), A Dialogue of Self and Soul (Dialogo tra l’anima e me stesso di Maria Elisabetta Salis) e Long-legged
Fly (Come una mosca in equilibrio sulla corrente di Denise Orrù).
18 Introduzione
Nel coordinare il Laboratorio, è stato dato grande rilievo al
lavoro di gruppo, stimolando l’interesse e la curiosità delle
studentesse, avviandole alla ricerca bibliografica, alla scoperta
delle infinite possibilità e del fascino della traduzione poetica,
prestando attenzione alla sensibilità e all’entusiasmo di ognuna di loro. L’attualità delle poesie, la musicalità del verso e
della parola yeatsiana sono stati il filo conduttore delle diverse
proposte di traduzione, ognuna delle quali ha dovuto fare i
conti con l’apparente semplicità lessicale dell’originale, denso
di significati, simbologie, riferimenti intertestuali la cui resa
in lingua italiana, come si evince dai commenti e dalle note
alle traduzioni, ha richiesto un costante lavoro di mediazione
tra diversi approcci traduttivi nel rispetto dell’energia, dello
spirito e del senso del testo di partenza.
Metodologicamente l’obiettivo della fedeltà, prioritario e
comune a tutti gli interventi del volume, ha comportato in
alcuni casi il ricorso a strategie di rimodulazione o parafrasi
della sintassi, a volte troppo distante da quella della lingua
italiana, e del lessico originale, in particolar modo per quanto riguarda le espressioni idiomatiche e i proverbi. Le peculiarità indicate dai traduttori nella prima e nella seconda sezione del volume sono risultate in sintonia con le difficoltà
rilevate dalle studentesse e con le osservazioni ricorrenti nei
loro commenti, soprattutto per quel che attiene la lingua in
Yeats che, come viene rimarcato più volte, è tutt’altro che
semplice. Laddove il testo ha reso il compito del traduttore
particolarmente impegnativo non sono mancati interventi di
modifica sulla punteggiatura, sull’uso dei deittici e delle congiunzioni. Superando il disagio per il sacrificio o tradimento
che inevitabilmente condizionava alcune scelte di traduzione,
si è cercato di mantenere l’equilibrio fra equivalenza formale,
riguardante la struttura e il contenuto del messaggio, ed equi-
Introduzione
19
valenza dinamica, relativa alla ricerca di una medesima funzione comunicativa (Nida 1964). In tale prospettiva l’effetto
ricercato dai contributi del volume è quello della naturalezza
d’espressione e dell’accessibilità dei testi rispettando l’essenza
e lo stile originale di Yeats.
La rinascita in un’altra lingua non può prescindere dal modello che l’ha ispirata, il che ci porta a un’ultima e doverosa
riflessione, a epilogo di questa introduzione. È pratica comune, oggi, quella di servirsi di anniversari e ricorrenze per avviare progetti, organizzare eventi e realizzare pubblicazioni
di carattere più o meno scientifico e divulgativo. Si tratta di
un trend per molti versi proficuo, se si pensa a come la commemorazione di un anniversario consenta la riscoperta, la
valorizzazione di opere e personaggi del passato e la relativa
disseminazione di nuove conoscenze. In quest’ottica, l’ossessione della memoria tipica dei nostri tempi consente talvolta
il recupero di materiali inediti, stimola l’interesse per opere
minori ed è anche motivo di importanti processi formativi individuali e di gruppo. Il progetto Yeats Reborn promosso da
EFACIS nel 2015, per esempio, si inserisce in un percorso di
riscoperta che ha effettivamente reso possibile l’avviamento
alla ricerca per molti giovani studiosi di uno scrittore tanto
influente quanto complesso come W.B. Yeats. Analogamente,
i contributi qui raccolti potrebbero offrire spunti didattici per
la formazione o l’aggiornamento degli insegnanti di lingua e
letteratura inglese delle scuole secondarie i quali, a loro volta,
potrebbero avvicinare giovani lettori all’opera di un autore
sempre attuale. Innegabile, dunque, il merito delle ricorrenze
e del dovere del ricordo, e tuttavia non si può ignorare che
l’eccesso di memoria è pur sempre una condizione fortemente problematica dal momento che ogni atto di memoria
implica al contempo una condizione di tradimento, oblio e
20 Introduzione
assenza (Huyssen 2003, Ricoeur 2004). Yeats questo lo aveva
visto chiaramente nell’Irlanda del 1916, e molti anni più tardi
un altro grande drammaturgo, Brian Friel, avrebbe ribadito la
medesima convinzione nelle parole di Hughes, l’anziano insegnante in Translations, il quale afferma che «ricordare tutto
è una forma di pazzia» (1980: 88). È probabilmente per questo
motivo che la memoria, per sua natura, è selettiva, e nel caso
degli anniversari è facile che, passato il momento, si ritorni a
uno stato di ordinaria dimenticanza. Ciò potrebbe non verificarsi per i grandi eventi e i grandi nomi del passato, di sicuro
non per Yeats, Shakespeare o Dante, per citare alcuni esempi,
ma non è del tutto improbabile che nel caso dello scrittore
irlandese venga meno, dopo il 2015, quell’energia di chi ora,
nel 150° anniversario della sua nascita, cerca, scopre e, con
grande impeto, dà nuova vita alle sue opere. A metà strada
tra le due posizioni, questo volume intende andare oltre la
semplice necessità di commemorare, contribuendo sì alla memoria di uno dei massimi esponenti della cultura occidentale
del secolo scorso, ma in uno spirito di continuo rinnovamento e di rinnovato incontro con la parola di Yeats attraverso la
letteratura, la lingua e l’applicazione didattica.
Loredana Salis e Stefania Gandin