Lezione 21/10/2013 Prof. Teti RISPOSTA AL DANNO CELLULARE Ricordiamo che l'infiammazione è quel processo di difesa che nasce nei confronti di un'infezione che però in alcune circostanze può diventare causa di danno al tessuto circostante e di necrosi cellulare. Noi invece stiamo seguendo un'altra linea direttiva che è quella delle risposte cellulari al danno, infatti se ricordate vi ho detto che le cellule rispondono in maniera diversa a un danno causato da agenti patogeni e la risposta è caratterizzata in primo luogo da risposte di tipo adattativo tra cui c'è l'iperplasia, l'ipertrofia, la metaplasia e successivamente da un danno cellulare che prima può essere reversibile e poi irreversibile. Stavamo parlando, la volta scorsa, della patologia e delle alterazioni che riguardano l'equilibrio tra proliferazione e morte cellulare, che interviene nei meccanismi dell'omeostasi nei tessuti, cioè nell'equilibrio tra cellule che vengono prodotte e vengono perse dato dall'apoptosi e dal differenziamento. Parlavamo anche dei meccanismi che attivano e che regalano la proliferazione, perché indipendentemente dall'apoptosi ci sono meccanismi che attivano e inibiscono il processo proliferativo. In particolare abbiamo accennato ai moduli -SH2 che sono specifici per ogni proteina citoplasmatica e che sono specifici nel legame con una particolare proteina fosforilata per esempio nella coda citoplasmatica. Qui vedete messe in evidenza le varie fasi del ciclo proliferativo, le chinasi-ciclina-dipendenti impegnate e viene messa in evidenza nella prima parte della fase G1 la ciclina g1, la ciclina d è quella che da inizio alla progressione della fase g1 con le chinasi-ciclina-dipendenti 4 e 6 e poi c'è la ciclina E ecc... La fase G1 è una fase fondamentale del ciclo proliferativo, l'avevamo già sottolineato, perché è una fase in cui intervengono molti fattori che regolano la progressione del ciclo mitotico o il blocco della fase G1. E a questo riguardo la fase G1 è da considerare divisa in 2 metà: nella prima intervengono i fattori di competenza, nella seconda i fattori di progressione. Però diciamo che anche i geni attivati nella prima metà sono diversi da quelli che vengono attivati nella seconda metà. I primi sono quelli rappresentati soprattutto da quei fattori di trascrizione che si chiamano c-myc, cfos, c-jun che sono fattori che a seguito di fosforilazione si legano ai loro siti di consenso dei geni coinvolti nell'attivazione della proliferazione. Ora, questi geni sono molto precoci quindi sono attivati nella prima metà della fase G1 e non richiedono una nuova sintesi cioè essendo geni precoci sono immediatamente attivati mediante processo di fosforilazione senza che ci sia l'induzione della sintesi di altre proteine, non attivazione dovuta ad altri geni. Mentre nella seconda parte della fase G1 sono prodotti dei geni che sono attivati dai prodotti di questi geni precoci che si chiamano IEGs, proprio per sottolineare il fatto che sono attivati in maniera istantanea. I prodotti codificati da questi geni sono quelli che poi attivano gli altri geni che sono preponderanti nella seconda parte della fase G1. Proprio questi geni precoci codificano per proteine fondamentali per attivare altri geni coinvolti positivamente nella proliferazione. Quindi vedete è un processo complesso, articolato, tra geni IEGs, della prima metà della fase G1, e geni attivati tardivamente, proprio i prodotti di questi geni attivati direttamente dai fattori di crescita o dalle proteine chinasi. I geni indotti dalle MAPK e da secondi messaggeri (CA2+, calmodulina) si distinguono in: a) geni precoci, quali c-myc, c-fos, c-jun il cui RNA aumenta molto prima della metà della fase G1 e la cui induzione non necessità di sintesi proteica; b) geni tardivi, il cui RNA aumenta dopo la metà della fase G1 e che dipendono dalla sintesi proteica dei prodotti codificati dagli immediate early genes. Per questo motivo gli IEGs sono stati chiamati “ingresso della risposta genomica” a stimoli quali virus o fattori di crescita. Anche la differenziazione entra in gioco nell'equilibrio omeostatico che regola le dimensioni di un tessuto e interviene in maniera diversa a seconda del tipo di tessuto. Per esempio la differenziazione ha un certo ruolo per quanto riguarda le cellule del midollo osseo perché le cellule del midollo osseo una volta che si differenziano non si dividono più. Voi lo sapete bene per quanto riguarda il sangue che è l'unico tessuto umano in cui è nettamente distinguibile il compartimento di proliferazione rispetto al compartimento di differenziazione. Perché il primo si trova a livello del midollo osseo, il secondo nel sangue periferico degli altri tessuti di quei compartimenti che sono fisicamente distinguibili. Quando le cellule del midollo osseo vanno incontro al un processo di differenziazione ( il midollo osseo ha la peculiarità che le cellule che qui si dividono non solo si differenziano ma anche maturano - compartimento di espansione-, le cellule che proliferano man mano maturano e poi differenziano ) lasciano il midollo osseo, durante la cosiddetta fase di emersione e vanno nel torrente circolatorio. I compartimenti sono talmente distinti che le cellule una volta differenziate non è che maturano più e quindi la differenziazione gioca un ruolo importante nel mantenimento dell'omeostasi proprio perché impedisce che poi queste cellule proliferino ancora, interviene in senso negativo quindi nella proliferazione. Mentre invece le cellule epatiche, essendo cellule stabili, anche se si differenziano non perdono completamente la capacità di proliferare e se opportunamente stimolate comporta un ritorno dalla fase G0 alla fase G1. La differenziazione assume questo ruolo importante, nel tessuto ematico, nel regolare negativamente la proliferazione: su questa base è comprensibile il meccanismo per cui nelle patologie del midollo, le leucemie, l'aumento della massa dei blasti leucemici non è dovuto, come tutti potreste credere, ad un aumento della loro attività proliferativa rispetto ai blasti normali (ci sono vari parametri che valutano il grado di proliferazione: il tempo di permanenza nelle varie fasi del ciclo mitotico, il numero di cellule che una volta lasciato il ciclo mitotico va verso la differenziazione, presi in considerazione per valutare l'entità della proliferazione) ma è stato visto che aumenta il pool delle cellule differenziate per una maggiore permanenza nel compartimento di proliferazione. Nelle leucemie è alterato quindi il processo apoptotico, poiché come vedremo meglio una delle caratteristiche dell'apoptosi è un processo fisiologico ma le sue alterazioni sia in senso positivo che in senso negativo sono causa di patologia, nel caso dei tumori in genere ma soprattutto delle leucemie dove c'è questo aumento del tempo di differenziazione: queste cellule stanno a lungo nel compartimento di differenziazione perché c'è una ridotta apoptosi. Questo per spiegare meglio nelle patologie neoplastiche il ruolo della differenziazione. MECCANISMI CHE LIMITANO LA PROLIFERAZIONE Una delle proteine normali che limitano il processo proliferativo è la proteina p53. Essa è codificata da un gene onco-soppressore, è coinvolta nella regolazione del controllo del ciclo cellulare perché va a determinare o un blocco di esso se c'è un danno al DNA in fase G1 oppure se il danno non è riparabile manda in apoptosi la cellula (definizione correttamente esposta dalla collega A, nda). E' un fattore di trascrizione perché si lega a siti di consenso di vari geni che sono diverso genere. Dovete sapere che in più del 50% di tutti i tumori del mondo la p53 è mutata. Nel contempo è rarissimo, forse non succede mai, che in un tumore sia mutato un solo gene infatti un tumore è la risultante di una serie di mutazioni a livello di più geni che possono trovarsi anche su cromosomi diversi; noi parliamo tra l'altro di cancerogenesi cioè esiste un processo dinamico in cui si passa attraverso vari stadi in cui sono coinvolti vari geni; di solito la mutazione di p53 è un evento abbastanza precoce che precede le mutazioni di altri geni. Proprio a causa di questo importantissimo ruolo essa in condizioni normali è presente in piccolissime quantità. D'altronde il punto è sempre là: ci tengo che voi abbiate chiaro il concetto che tutte le risposte cellulari sono sotto il controllo di più fattori che tendono a tenere in equilibrio omeostatico le varie funzioni della cellula. Per cui la p53 se fosse presente in grandi quantità attiverebbe la morte cellulare, bloccherebbe la proliferazione in maniera molto significativa, per cui in condizioni fisiologiche le quantità di p53 hanno livelli così bassi proprio perché servono esclusivamente ad entrare in gioco con altri fattori che attivano la proliferazione. Però se c'è una situazione in cui si ha un grave danno al DNA la p53 aumenta la sua concentrazione perché non viene degradata. Essa infatti viene degradata quasi dopo la sua sintesi, ma in cellula sottoposta a stress si accumula. Tutto questo perché viene fosforilata: viene attivata una protein-chinasi DNAdipendente dal danno del DNA (le cellule devono rispondere adeguatamente agli stress, per cui lo stresso stress che altera il DNA è quello che attiva la p53) che fosforila p53 a livello di due serine chiave per cui una volta fosforilata essa si accumula e può esercitare la sua funzione, maggiore in una cellula non danneggiata. Parallelamente a questo meccanismo ne interviene un altro, in quanto il livello di p53 è fondamentale per la cellula ne va della sua vita o morte: la p53 è regolata da un'altra proteina che si chiama Mdm2 (Mouse double minute 2 homolog, conosciuta anche come E3 ubiquitin-protein ligase Mdm2), codificata dallo stesso gene, che inibisce la p53 con due meccanismi (vedete quant'è importante la regolazione dei livelli di p53): da un lato agisce sul gene di p53 bloccando la sua produzione (fattore di trascrizione negativo per p53), inoltre idrolizza la p53 non fosforilata, per cui quando viene fosforilata la p53 da questa protein-chinasi DNAdipendente, la stessa p53 si copre di gruppi fosfato, si protegge dall'azione idrolitica di Mdm2. Per cui mdm2 agisce a due livelli sul gene di p53 bloccandolo e sulla proteina degradandola sempre con il sistema dell'ubiquitinazione. La regolazione dei livelli delle proteine intracellulari sia nell'atrofia, sia in questo caso della p53 è mediato da un processo di distruzione non idrolitica, non dovuta all'azione di enzimi idrolitici lisosomiali senno la cellula va incontro ad autofagia come succede in alcune condizione patologiche. In questo caso vengono degradate singole proteine in maniera silente, in maniera che non ci siano mutazioni cellulare, in base a un processo di ubiquitinazione, cioè l'ubiquitina, una grossa molecola, che ricopre le proteine che devono essere degradate e le inserisce in un complesso più ampio che si chiama proteasoma nell'ambito del quale le proteine vengono degradate. In cellule normali non sottoposte a stress p53 è una proteina altamente instabile che in genere viene degradata subito per proteolisi dopo la sua stessa sintesi. Ha un'emivita di circa 20 minuti. Allo stato stazionario la concentrazione di p53 in queste cellule è molto bassa. Essa si lega ai siti di consenso presenti in vari geni; in seguito ad alcuni stress o danni al genoma, p53, può essere fosforilata nel suo dominio N-terminale da alcune chinasi. La fosforilazione (serina 19 e 37) blocca il legame di Mdm2 e salva p53 da ubiquitinazione e degradazione. -Stress determina attivazione DNA-pk -Mdm2 idrolizza la p53 non fosforilata Il gene Mdm2 viene attivato da p53, la quale si autoregola, cioè attiva il gene di una proteina che la distrugge; e questo è un altro esempio di meccanismo automatico di controllo delle risposte cellulari. La proteina Mdm2 agisce sia come ubiquitina-ligasi (porta l'ubiquitina sulla p53) che riconosce una lisina nel dominio trans-attivante (attiva i geni che sono sotto il suo controllo in posizione trans) sulla p53. Quindi determina il legame dell'ubiquitina proprio al livello di questo dominio trans-attivante e impedisce che la p53 svolga le sue funzioni perché ne attiva la degradazione però d'altra parte, come ho già detto, inibisce la trascrizione di p53. Vi avevo accennato l'altra volta che ci sono due tipi di geni coinvolti nella oncogenesi: i protooncogeni che attivano la proliferazione la cui mutazione comporta un guadagno di funzione e gli onco-soppressori che invece hanno un ruolo di inibire la proliferazione per cui c'è una riduzione di funzione. PROTO-ONCOGENE-> più proliferazione (guadagno di funzione) ONCO-SOPPRESSORI-> proliferazione inibita (riduzione di funzioni) Le mutazioni che coinvolgono i proto-oncogeni sono mutazioni cosiddette dominanti perché basta che cia sia una mutazione in uno dei due alleli per cui il prodotto codificato da quei geni sia mutato, se c'è un guadagno di funzioni basta un allele per determinare un aumento della proteina. Per cui si dice che è una mutazione dominante. Al contrario per i geni onco-soppressori si dice nella quasi totalità dei quasi, tranne che per p53, che le mutazioni sono recessive. Le mutazioni che possono riguardare gli onco-soppressori sono perlopiù delezioni o mutazioni puntiformi che determinano un'alterazione della sequenza della proteina perché questa non è più funzionale; se questo accade a livello di uno dei due alleli, l'altro allele funzionante può sopperire alle carenze dell'allele mutato, si produce una quantità di proteina normale, non patologica, la quale può essere in grado di svolgere le sue normali funzioni: perché ci sia una conseguenza a livello della proliferazione è necessario che la mutazione riguardi tutti e due gli alleli. Il comportamento del gene tp53 è anomalo rispetto agli altri onco-soppressori, perché si può comportare o come onco-soppressore recessivo o oncosoppressore dominante. Si comporta in maniera recessiva come tutti gli altri onco-soppressori: se manca, è deleto o mutato, uno solo dei due alleli, l'altro allele è in grado di codificare per una proteina normale, non mutata, fisiologica e quindi svolgere la sua funzione. Questo è il comportamento recessivo che la tp53 condivide con tutti gli altri geni onco-soppressori. La p53 si può comportare anche come gene dominante perchè appunto se si ha mutazione in un solo allele e si produce una copia sola indenne per una proteina non mutata però si forma anche una proteina mutata cioè questa non è il caso della delezione ma il caso di una mutazione. Il comportamento recessivo è nel caso della delezione: è deleto un allele, l'altro funziona; ma se la mutazione non è una mutazione per delezione ma una mutazione per sostituzione di basi avremmo due copie del p53 una wild-type e un'altra mutata. Voi potreste pensare che quella wild-type potrebbe funzionare e invece no perché la p53 per potere agire e funzionare deve essere sotto forma di un tetramero omo tetramero, formato 4subunità di p53. Se in questo tetramero ci sono delle copie mutate il tetramero non funziona, quindi in questo caso p53 si comporta da gene dominante. Quindi se la mutazione del gene p53 è una delezione allora p53 si comporta da recessivo come tutti gli onco soppressori di questo mondo, se invece la mutazione è a livello strutturale, la struttura del gene è alterata, si producono delle copie wild-type e delle copie mutate che vanno a formare un tetramero inefficiente, ecco quindi che la mutazione è mutante e il tetramero non essendo omotetramero non funziona. DELEZIONE p53-> si comporta da recessivo ALTERAZIONE p53-> copie wild type e mutate, formazione di tetramero inefficiente (mutazione dominante) La p53 è una fosfoproteina molto versatile perché innesca reazioni che determinano la comparsa di varie risposte cellulari. Essa è dotata di 4 domini: a) il dominio trans-attivante, responsabile dell'attivazione dell'attivazione o della repressione del gene, perchè questo dominio può essere sia in senso positivo che negativo, quindi agisce sull'espressione del gene target b) il dominio legante il DNA (Dna-binding) c) dominio oligomerizzante, perchè la p53 agisce come tetramero, questo dominio facilita la oligomerizzante dominio responsabile della auto inibizione della sua attività trans-attivante (lap53 inibisce se stessa grazie a questo dominio); questo ci fa vedere come le cellule mettano in atto molti meccanismi che regolano le risposte cellulari, che intervengono in ogni fase dell'azione della proteina. Come avviene per p53 che attiva il gene che codifica per una proteina che la inibisce e che si auto inibisce da sola, inibendo la sua attività trans-attivante. I segnali di sopravvivenza (soprattutto fattori di crescita che attivano Mdm2) e segnali mitogeni (attivando altri fattori di crescita come Map chinasi che fosforilano soprattutto in tyr) causano la rapida degradazione di p53 in quanto incrementano il livello della proteina Mdm2. Gli stimoli mitogeni agiscono attraverso fattori di trascrizione che come p53 attivano la loro trascrizione del gene Mdm2. La p53 agisce come fattore di trascrizione su un gene chiave della proliferazione, ovvero, p21. Questa proteina agisce a due livelli: da un lato blocca il PCNA (Antigene nucleare di cellule in proliferazione che consentendo alla Dna-pol delta il contatto con il filamento danneggiato svolge un ruolo importante sia per la sintesi di DNA che per la sua riparazione) e dall'altro agisce anche a livello del complesso ciclina-chinasi-ciclina-dipendente, legandosi al complesso già formato, bloccando la fosforilazione delle cicline causa un blocco del ciclo proliferativo. Quando non c'è p21 il complesso chinasi-ciclina-dipendente attiva la proliferazione. C'è un altro gene che codifica per p15, un onco soppressore perchè blocca la proliferazione sempre a livello delle chinasi-ciclinadipendente, però a un diverso livello, in quanto in questo caso la p15 si lega alla chinasi-ciclinadipendente impedendo che sia attivata dal legame con la ciclina, si lega alla chinasi e impedisce che la ciclina si leghi. Però la p53 agisce a più livelli, come fattore di trascrizione particolarmente attivo. Poi c'è un altro gene presente in 3 isoforme, ovvero il GADD45 (Growth Arrest and DNA Damage), il cui prodotto si lega anch'esso al Dna e attiva la riparazione di esso. Il suo legame col Dna è mediato dalla p45 che viene ad essere espressa in condizioni di stress. Inoltre p53 attiva l'apoptosi. Il gene BAX se prodotto attiva l'apoptosi non è l'unico ad essere attivato da p53 ma ce ne sono altri. Per sommi capi possiamo dire che p53 attiva alcuni geni chiave che facilitano il processo apoptotico ed ha un effetto negativo su un membro delle famiglia di BCL che attiva la proliferazione. BCL la possiamo definire una sorta di famiglia allargata perché contiene geni che attivano la proliferazione e geni che attivano l'apoptosi. In particolare BCL2 è un membro di questa famiglia che attiva in maniera significativa la proliferazione, tanto è vero che il suo gene è un proto-oncogene attivato in alcune leucemie. Altri membri di questa famiglia come BAX invece attivano l'apoptosi. La cellula risponde alle condizione di stress attivando le 3 isoforme del gene GADD45 che da un lato può determinare la sopravvivenza cellulare dall'altro attivare le vie della morte e della senescenza cellulare, perché nel caso in cui il GADD45 si lega a PCNA e questo Dna non è eccessivamente danneggiato allora la cellula preferisce ripararlo, e le 3 isoforme codificate da esso determineranno dunque la riparazione del Dna. Anche sotto questo aspetto la fase G1 è fondamentale perché l'allungamento di essa da un po' di tempo alla cellula per riparare i danni al Dna in modo che esso possa andare incontro alla sintesi e quindi di trasmettere alle cellule figlie il Dna ricevuto. Quindi l'interazione con le chinasi-ciclina-dipendenti e la p21 determina un arresto del ciclo cellulare alla fase G1 e permettere dunque la sopravvivenza della cellula e può influire anche sul blocco del ciclo cellulare anche dopo la fase G0. D'altra parte, con l'attivazione di determinate vie di trasduzione del segnale di MAP chinasi, questo gene GADD45 può attivare la p28 e la jun chinasi che sono le vie dello stress cellulare che danno luogo all'apoptosi e alla senescenza. Tra le altre proteine che inibiscono la proliferazione ce ne sono alcune fondamentali come la p21 che è indotta dalla p53 e determina il legame con la chinasi-ciclina-dipendente e il Dna. Ci sono poi p16, p15, p14 che sono proteine che bloccano il ciclo mitotico che vanno ad agire sul complesso Cdk D 4-6, lo stesso attivo nella fase G1, agiscono quindi tutte allo stesso livello. Essendo onco-soppressori spesso nelle neoplasie sono deleti. Tutti questi fattori se son regolati da geni sono coinvolti nella trasformazione neoplastica, per cui io faccio sempre il riferimento ai tumori per abituarvi a fare i collegamenti. CARATTERISTICHE PRINCIPALI INIBITORI DELLE CHINASI CICLINE DIPENDENTI: p21-> La sua sintesi è indotta dall'anti-oncoproteina p53; agisce sui vari complessi Cdk tramite il dominio N-terminale, sul PCNA tramite il dominio C-terminale. P16-> modificato dal gene onco soppressore MTS1 che è deleto, ipermetilato o mutato in numerose neoplasie umane p15-> Codificato dal gene onco soppressore MTS2 che è deleto o ipermetilato in alcune neoplasie umane; la sua sintesi è indotta da TGF-B. P19-> La sua sequenza amminoacidica è parzialmente omologa (48%) a quella dell'inibitore p16. P27-> E' degradato per proteolisi da ubiquitinazione quando la cellula deve entrare in fase S; il suo rapporto stechiometrico con i complessi Cdk è modificato dal TGF-B. P57-> Si presume che il gene codificatore sia un onco soppressore. p18-> Debolmente attivo sulla proteina bersaglio Cdk6-D. Finora abbiamo detto che gli onco-soppressori posso essere mutati o per delezione o per mutazione puntiforme, però negli ultimi tempi si è messo in luce un meccanismo di alterazione dei geni soprattutto geni onco-soppressori che non è dovuto ad alterazioni strutturali del gene, cioè delezioni o sostituzioni di basi ma è dovuto a modificazioni chimiche delle basi dei geni; modificazioni che hanno aperto un campo, per ora oggetto di molti studi ancora in progresso che però stanno dando ottimi risultati, che si chiama epigenetica, che quindi si occupa non delle alterazioni strutturali ma delle modificazioni chimiche delle basi azotate e delle proteine istoniche. Si è visto che molto geni onco-soppressori non vengono espressi a causa proprio di modificazioni epigenetiche. Il gene non è alterato quelle che spesso risultano alterate sono le citosine che sono metilate, non citosine qualunque, ma citosine che fanno parte di alcune regioni del promoter che si chiamano CPG Islands (P sta per fosforo) sono delle regioni con elevata frequenza seguite da guanina. Di solito queste citosine metilate sono relative a citosine presenti in queste isole però qualche volta a livello del gene dell'interleuchina 8, che come studierete nell'infiammazione è una chemochina (una citochina che attira i neutrofili nella sede dell'infezione), in realtà sono solo 6 CPG nel promoter, la metilazione determina un silenziamento di IL-8. Essa è prodotta in grande quantità non solo dai neutrofili ma anche in molti tumori perché in molte condizioni neoplastiche c'è una iper attività a livello infiammatorio, c'è una stretta relazione tra infiammazione cronica e neoplasie. Quindi la metilazione di queste citosine seguite da guanina può reprimere l'espressione del gene. Molti geni onco soppressori hanno questa alterazione epigenetica e questo è un evento molto importante perché è reversibile. Io vi ho detto l'altra volte che nei tumori ci sono delle alterazioni strutturali dei geni coinvolti nella proliferazione che ovviamente se viene allontanata la causa, l'agente cancerogeno, rimangono, la cellula rimane una cellula trasformata. Ma se l'alterazione dei geni onco-soppressori è dovuta ad un'alterazione epigenetica allora si può intervenire chimicamente e cercare di demetilare queste citosine e fare riesprimere i geni oncosoppressori. Un altra modificazione epigenetica molto importante nello sviluppo dei tumori è per esempio il grado di acetilazione degli istoni, voi sapete perché ci sia una espressione genica è necessario che i geni siano de acetilati. Vi son molti agenti utilizzati dal punto di vista terapeutico che sono inibitori delle de acetilasi, mutati in diversi primers dei tumori, che agiscono a vari livelli soprattutto a livello dell'istone H3H4. Questa nuova branca dello studio dei tumori, l'epigenetica, si sta sviluppando perché in numerose neoplasie umane questi geni onco soppressori possono essere mutati dal punti di vista epigenetico, per esempio ipermetilati. Poi ci sono altri geni coinvolti nella regolazione degli inibitori delle chinasi-ciclina-dipendenti, tra cui il p19 omologo al p16, p27 che al momento dell'ingresso della fase S viene degradato per ubiquitinazione ed è sotto il controllo del TGF-B che è un inibitore della proliferazione, e poi altri geni un po' meno determinanti. METAPLASIA Un caso di risposta adattativa della cellula alle condizioni patologiche è costituito dalla metaplasia, cioè da un cambiamento reversibile in cui un tipo cellulare adulto, già differenziato, è sostituito da un altro tipo cellulare adulto. In tal modo, cellule più sensibili allo stress sono sostituite con cellule più capaci di affrontare l'ambiente avverso. Esso è un evento reversibile, che può evolvere nelle condizioni precedenti se lo stimolo che l'ha attivato cessa. Perché le cellule di un tessuto si trasformano in cellule di un altro tessuto? Di solito il principio ritenuto comunemente valido è che le cellule in seguito all'azione di stimoli nocivi cercano di opporre a questi delle cellule più resistenti, meno sensibili al danno, che sicuramente sono ben differenziate ma che sono meno specializzate, un po' più rozze, che sappiano affrontare più adeguatamente questi agenti nocivi. Un esempio è dato dalla metaplasia squamosa del tratto respiratorio in seguito all'azione irritativa cronica esercitata dal fumo di sigaretta. Vi è un tessuto epiteliale colonnare cilindrico sostituito con l'epitelio piatto ben differenziato anche ma meno specializzato. Il primo svolge funzioni che il secondo non svolge: intanto ha le ciglia e secerne muco, capacità fondamentali nel tratto bronchiale. Però se la nostra mucosa bronchiale è sottoposta ad inquinamento ambientale o a fumo di sigaretta (contiene idrocarburi policiclici) non è difficile trovare in soggetti esposti ad azione continua a questi agenti si può determinare la metaplasia squamosa. Sostituzione di cellule funzionali e protettive (produzione di muco, importante nella difesa contro le infezioni e contro altri agenti) con cellule funzionalmente meno valide. Se lo stimolo persiste la metaplasia può evolvere in displasia, proliferazione cellulare eccessiva e a lungo andare possono sfociare in tumori bronchiogeni (spesso carcinomi in cellule squamose, segno che quella metaplasia è insorta sua una metaplasia squamosa). Possono iniziare delle risposte cellulari ad altri stimoli a cui le cellule possono essere sottoposte che possono determinare appunto la displasia. Le cellule epiteliali colonnari della trachea e dei bronchi sono sostituite da cellule epiteliali squamose stratificate. Condizioni in cui ci sono stimoli cronici come la presenza di calcoli, processi infiammatori irritativi che inducono la sostituzione di cellule cilindriche con quelle epiteliali piatte. Calcoli nei dotti escretori delle ghiandole salivari maggiori e del pancreas, nei dotti biliari possono indurre la sostituzione dell'epitelio colonnare squamoso. La deficienza di vitamina A ( la quale interviene nel processo di cheratinizzazione) induce metaplasia squamosa delle cellule epiteliali, con comparsa iniziale di ipercheratosi generalizzata non solo follicolare (corneificazione a livello dei follicoli piliferi) a cui segue frinoderma (pelli di rospo) con perdita di cute sotto forma di grosse scaglie. C'è la cheratinizzazione a livello delle mucose bronchiolari, quindi brochiolite, a livello delle bacinetto renale con pielonefriti e pieliti, a livello della congiuntiva e della cornea con xeroftalmia (ispessimento e quindi secchezza a livello dell'occhio, con conseguente perdita di lucentezza). L'eccesso di vitamina A sopprime la cheratinizzazione. Il problema della metaplasia squamosa è che si rimpiazzano le cellule più resistenti con cellule che non svolgono nessuna funzione utile. Si può comunque verificare una metaplasia da epitelio squamoso (piatto) a epitelio colonnare (cilindrico) come nell'esofagite di Barret (non vi è infiammazione) in cui l'epitelio squamoso esofageo è sostituito da cellule colonnari gastriche. È da tenere sotto controllo perché qualsiasi forma di metaplasia, che comunque è reversibile, se persiste nel tempo può dare luogo a trasformazioni tanto che per alcuni testi si tratta di lesione precancerosa che può regredire o evolvere verso una neoplasia. Con questo termine si indica una lesione a livello della quale più facilmente, da un punto di vista statistico, più frequentemente, c'è il passaggio a una condizione neoplastica, cioè rispetto a un tessuto che non la presenta. Tutto questo però non ci dice che cos'è una lesione precancerosa, per cui, secondo me una definizione più adeguata è quella di una lesione in cui riscontriamo sia una metaplasia che un aumento dell'attività proliferativa. Si può passare attraverso tanti passaggi da una condizione di difesa, di adattamento, a una condizione patologica, neoplastica. E' una lesione che non necessariamente va incontro a neoplasia però a nessun sfugge il fatto che cellule metaplastiche e cellule in attiva proliferazione possono essere più sensibili all'azione degli agenti oncogeni, più facilmente di cellule non proliferanti, andranno incontro a tumori. Cellule metaplastiche possono essere più sensibili ad agenti di natura oncogena. Per esempio la leucoplachia a livello della mucosa orale è anch'essa una lesione precancerosa perché abbiamo una prosoplasia, cioè metaplasia in cui il tessuto che sostituisce l'altro ha un più altro grado di differenziazione (perché c'è cheratinizzazione) e c'è anche aumento della proliferazione. Durante la prima lezione abbiamo parlato dello xeroderma pigmentosum che è anche una lesione precancerosa perché abbiamo una metaplasia in quanto anche qui abbiamo una cheratinizzazione eccessiva e aumenta anche la melanine perché aumenta il numero di melanociti (per questo pigmentosum). Per quanto riguarda il carcinoma cervicale in situ (il carcinoma non ha invaso le strutture circostanti, la membrana basale) ci sono due diverse tendenze se considerarla tumore o lesione precancerosa perché è una caratteristica dei tumori maligni è l'invasività ma deriva sempre dalla vera differenza tra tumori maligni e tumori benigni che è quella dell'alterazione dei geni che regolano la proliferazione e la differenziazione in quanto l'invasività è conseguenza dei geni che codificano la differenziazione perché sono alterate le strutture di membrana. Il tumore è la conseguenza di mutazioni strutturali o epigenetiche che coinvolgo geni per la differenziazione e la proliferazione; nel carcinoma cervicale in situ noi abbiamo un aumento della proliferazione non per alterazione genica per risposta a determinati stimoli è un processo di metaplasia. Esso può essere un momento dello sviluppo del tumore, può essere il tumore che è radicato senza compromettere la salute dell'individuo perché non ha invaso, non ha dato luogo a metastasi quindi l'eliminazione del tumore può essere di valido aiuto, ma non perché non si tratti di tumore, ma perchè il tumore è in uno stadio precedente; il tumore una volta instaurato passa per il processo di progressione neoplastica. Per cui, anche se molti libri di testo ne parlano come lesione precancerosa, per me si tratta di tumore; per me lesione precancerosa è laddove non c'è alterazione genetica o epigenetica ma c'è metaplasia con aumento della proliferazione. Anche le cellule del tessuto connettivo fibroso possono trasformarsi in osteoblasti (metaplasia ossea) e condroblasti (metaplasia cartilaginea) soprattutto a livello dei foci alterati in seguit a trauma. La metaplasia potrebbe essere il risultato di una riprogrammazione genetica di: a) cellule staminali, per esempio in un tessuto per cui esse sono programmate a evolversi verso un tipo di cellula anziché verso un altro; b) a livello di cellule mesenchimali già differenziate: Ci sono altre sostanze che possono indurre l'insorgere di una metaplasia oltre al fumo di sigaretta quali sostanze chimiche, vitamine, fattori di crescita; derivati dall'acido retinoico e citochine che regolano crescita e differenziazione. Fattori morfogenetici dell'osso appartenenti alla famiglia TGF-B determinano differenziazione ossea. Alcuni farmaci citostatici, molto utilizzati nella terapia dei tumori, possono alterare la differenziazione perché alterano i quadri di metilazione delle citosine. La differenziazione è dovuta all'espressione di alcuni geni e al silenziamento di altri che è diversa nelle varie cellule, se sono presenti fattori come questi farmaci citostatici che alterano i quadri di metilazione del DNA ovviamente modifica il quadro di espressione genica, cioè alcuni geni vengono repressi e altri no. Tutti fattori che modificano l'entità di espressione dei geni, modificano anche il grado di differenziazione, il tipo di differenziazione. Per cui anche questi farmaci possono intervenire per determinare la metaplasia, come altri agenti metilanti che sono in grado di modificare l'espressione degli onco-soppressori e quindi indurre i tumori Antonio Ferlito