Ricontrollare ed ampliare 2 guerra indipendenza + inserire 2 carte geografiche-storiche Buon giorno, ragazze e ragazzi. Il modulo in questione ha come argomento IL CONCETTO DI PATRIA, e in modo particolare quello dell’Italia. L’Italia si è formata come Regno unitario nel 1861 ed ha avuto come capitale inizialmente Torino, poi Firenze ed, in ultimo, ROMA sede del governo italiano e dello Stato autonomo della Chiesa. RESTAURAZIONE E RIVOLUZIONI 1815-1848 Dopo la sconfitta di Napoleone (battaglia di Waterloo, 1815), il congresso di Vienna (1814-15) lavorò per restaurare l’antico sistema politico e sociale fondato sul potere assoluto dei sovrani. Naturalmente questo non fu tollerato e così pochi anni dopo si verificò la PRIMA ondata rivoluzionaria: 1820-21. Però i primi moti rivoluzionari scoppiati in Spagna, Italia e Russia furono facilmente repressi con l’intervento delle potenze della Santa Alleanza (creatasi con il congresso di Vienna e a cui hanno aderito la Russia, la Prussia e l’Austria). Diversamente andarono le cose in Grecia e in America Latina (1816 Argentina, 1821 Messico) dove le rivoluzioni portarono all’indipendenza nazionale. La SECONDA si ebbe nel 1830-31 con un esito positivo in Francia e Belgio con uno negativo in Italia e Polonia. La TERZA si ebbe nel 1848 e sconvolse quasi tutta l’Europa ma non portò ad esiti positivi. Tutte queste lotte dimostrano che ormai non era più tollerabile una restaurazione politica e sociale precedente alla diffusione degli ideali di Liberté, égalité, fraternité, osannati dall’Illuminismo, “messi in pratica” dalla Rivoluzione francese (1789) e che portarono all’avvento della grande figura di Napoleone Bonaparte. I Guerra d’indipendenza (cfr.:http://video.ilsole24ore.com/SoleOnLine5/Video/Notizie/Italia/2011/150-anni-italia-prima-guerraindipendenza/prima-guerra-indipendenza.php nb: dura soltanto 3,30!!!!!!!!!!!!)) L’Europa brucia: il Quarantotto “Fare un quarantotto!”. L’espressione, è noto, significa “creare confusione, scompiglio, disordine”. La sua origine è legata agli eventi dell’anno 1848, la cosiddetta “Primavera dei popoli”. Fu, di fatto, l’epilogo della politica congegnata al Congresso di Vienna da chi aveva sconfitto Napoleone. Per l’Italia fu uno dei momenti più importanti del processo risorgimentale. Mentre molte città d’Europa si ribellavano per ottenere riforme sociali o per chiedere la concessione di carte costituzionali, nella penisola le lotte si saldarono alla battaglia patriottica volta a ottenere l’indipendenza e l’unità del Paese. Dal punto di vista continentale, fu Parigi che diede fuoco alle polveri per prima. La monarchia di luglio (quella instaurata da Luigi Filippo d’Orleans nel 1830) era ormai alle corde, scandali e accuse di malgoverno erano all’ordine del giorno. La capitale francese scese in piazza, e per le strade si eressero di nuovo le barricate. Il re, senza lottare, abdicò: la Francia era nuovamente una repubblica. L’anno delle grandi rivoluzioni aveva preso avvio in Italia, precisamente a Palermo. La Sicilia viveva, da anni, in una condizione di profonda insoddisfazione: da un lato il malgoverno borbonico, dall’altro la perdita dello status di Regno (al Congresso di Vienna le due corone del Sud Italia erano state unite). Il 12 gennaio scoppiò la rivolta: l’isola si dichiarò indipendente e i borbonici vennero cacciati (tranne che da Messina). Ma nel breve volgere di un anno l’esercito borbonico avrebbe avuto la meglio sugli insorti. Ruggero Settimo, presidente del governo isolano, lasciò la Sicilia. Quanto accaduto in Sicilia, però, ebbe importanti ripercussioni. Nello stesso Regno delle Due Sicilie il re fu obbligato a concedere una Costituzione, imitato in seguito da Leopoldo II di Toscana e, soprattutto, da Carlo Alberto di Savoia che concesse, nel 1848, quello Statuto destinato a diventare la Costituzione del Regno d’Italia. Lo Statuto Albertino (Regno di Sardegna e Regno d'Italia) [4 marzo 1848] CARLO ALBERTO per la grazia di Dio RE DI SARDEGNA, DI CIPRO E DI GERUSALEMME … Considerando Noi le larghe e forti istituzioni rappresentative contenute nel presente Statuto Fondamentale come un mezzo il più sicuro di raddoppiare coi vincoli d'indissolubile affetto che stringono all'Italia Nostra Corona un Popolo, che tante prove Ci ha dato di fede, d'obbedienza e d'amore, abbiamo determinato di sancirlo e promulgarlo, nella fiducia che Iddio benedire le pure Nostre intenzioni, e che la Nazione libera, forte e felice si mostrerà sempre più degna dell'antica fama, e saprà meritarsi un glorioso avvenire. Perciò di Nostra certa scienza, Regia autorità, avuto il parere del Nostro Consiglio, abbiamo ordinato ed ordiniamo in forza di Statuto e Legge fondamentale, perpetua ed irrevocabile della Monarchia, quanto segue: Art. 1. - La Religione Cattolica, Apostolica e Romana è la sola Religione dello Stato. Gli altri culti ora esistenti sono tollerati conformemente alle leggi. Art. 3. - Il potere legislativo sarà collettivamente esercitato dal Re e da due Camere: il Senato, e quella dei Deputati. Art. 4. - La persona del Re è sacra ed inviolabile. Art. 5. - Al Re solo appartiene il potere esecutivo. Egli è il Capo Supremo dello Stato: comanda tutte le forze di terra e di mare; dichiara la guerra: fa i trattati di pace, d'alleanza, di commercio ed altri, dandone notizia alle Camere tosto che l'interesse e la sicurezza dello Stato il permettano, ed unendovi le comunicazioni opportune. I trattati che importassero un onere alle finanze, o variazione di territorio dello Stato, non avranno effetto se non dopo ottenuto l'assenso delle Camere. Art. 6. - Il Re nomina a tutte le cariche dello Stato; e fa i decreti e regolamenti necessarii per l'esecuzione delle leggi, senza sospenderne l'osservanza, o dispensarne. Art. 7. - Il Re solo sanziona le leggi e le promulga. DEI DIRITTI E DEI DOVERI DEI CITTADINI Art. 26. - La libertà individuale è guarentita. Niuno può essere arrestato, o tradotto in giudizio, se non nei casi previsti dalla legge, e nelle forme ch'essa prescrive. Art. 27. - Il domicilio è inviolabile. Niuna visita domiciliare può aver luogo se non in forza della legge, e nelle forme ch'essa prescrive. Art. 28. - La Stampa sarà libera, ma una legge ne reprime gli abusi. Tuttavia le bibbie, i catechismi, i libri liturgici e di preghiere non potranno essere stampati senza il preventivo permesso del Vescovo. Art. 29. - Tutte le proprietà, senza alcuna eccezione, sono inviolabili. Tuttavia quando l'interesse pubblico legalmente accertato, lo esiga, si può essere tenuti a cederle in tutto o in parte, mediante una giusta indennità conformemente alle leggi. Art. 32. - E' riconosciuto il diritto di adunarsi pacificamente e senz'armi, uniformandosi alle leggi che possono regolarne l'esercizio nell'interesse della cosa pubblica. Questa disposizione non è applicabile alle adunanze in luoghi pubblici, od aperti al pubblico, i quali rimangono intieramente soggetti alle leggi di polizia. DEL SENATO Art. 33. - Il Senato è composto di membri nominati a vita dal Re, in numero non limitato, aventi l'età, di quarant'anni compiuti… DELLA CAMERA DEI DEPUTATI Art. 39. - La Camera elettiva è composta di Deputati scelti dai Collegii Elettorali conformemente alla legge. DELL'ORDINE GIUDIZIARIO Art. 68, - La Giustizia emana dal Re, ed è amministrata in suo Nome dai Giudici ch'Egli istituisce. By http://www.quirinale.it/qrnw/statico/costituzione/statutoalbertino.htm CONFRONTIAMO LO STATUTO ALBERTINO E LA COSTITUZIONE (by http://www.pavonerisorse.it/scuole_circolo/cosa_studiamo/costituzione/confronto.htm) Articolo Articolo COSTITUZIONE STATUTO Costituzione Statuto ITALIANA ALBERTINO Italiana Albertino lunga, scritta, caratteristiche votata, rigida. forma di stato repubblica democratica popolo breve, elargita, flessibile monarchia 1 2 re potere esecutivo dichiara dichiara guerra, guerra, comanda comanda forze capo di stato forze armate, promulga leggi. armate fa trattati di E' eletto pace. 1 5 83 - 87 5 sovranità Il trono è ereditario potere legislativo parlamento 71- 74 (+re) a vita e di eletto ogni 5 senato nomina 57 anni regia camera dei eletto ogni 5 eletto ogni 56 deputati anni 6 anni presidente ministri di potere consiglio dei nomina 95 esecutivo ministri regia magistrati potere magistrati di nomina 101-110 giudiziario ordinari istituiti regia suffragio suffragio diritto di voto universale 51- 56 - 57 ristretto (>18) religione stato laico cattolica 7- 8 parlamento 3 5 1 Intanto la rivoluzione che avanzava in tutta Europa colpiva anche l’Impero d’Austria, addirittura la stessa Vienna. I territori italiani dell’Impero, il cosiddetto Regno Lombardo-Veneto, ben presto si infiammarono. A Milano la ribellione (passate alla storia come le Cinque giornate) portò alla proclamazione di un governo provvisorio nel quale figurava il patriota (e pensatore federalista) Carlo Cattaneo. Lo straniero era stato battuto, ora toccava all’Italia impegnarsi per la riscossa. O almeno così speravano i patrioti. L’iniziativa fu presa dal re di Sardegna Carlo Alberto che varcò in armi il Ticino. Sotto pressione dei rispettivi sudditi anche Leopoldo II di Toscana, Ferdinando II di Borbone e perfino il papa furono costretti a partecipare alla lotta. Era la Prima guerra d’indipendenza nazionale. Ma i sovrani italiani guardavano con sospetto alle ambizioni espansionistiche del Savoia. Inoltre lo Stato pontificio si trovava nella scomoda posizione di essere in guerra contro uno Stato cattolico. Pio IX si ritirò, seguito immediatamente dagli altri sovrani. Il Regno di Sardegna, da solo, non resse l’urto del ritorno degli austriaci guidati da Josef Radetzky. Milano cadde in agosto. L’anno successivo Carlo Alberto tornò a sfidare l’Impero, ma l’esercito sabaudo venne duramente sconfitto a Novara e il re abdicò. Quasi contemporaneamente rispetto a Milano era insorta anche Venezia, dove si proclamò la Repubblica di San Marco. Il governo rivoluzionario veneto, guidato da Daniele Manin e Niccolò Tommaseo, avrebbe tenacemente resistito al ritorno in forze degli austriaci, per cadere, infine, soltanto nel 1849. Stessa sorte toccò alla Repubblica Romana, nata alla fine dell’anno dopo la fuga del papa e guidata da un triumvirato composto da Aurelio Saffi, Carlo Armellini e, soprattutto, Giuseppe Mazzini. A difenderla le armi di Garibaldi, che furono però impotenti quando, nel 1849, il papa fu reinsediato dall’intervento armato della Francia dove l’esperienza rivoluzionaria si era esaurita e il potere era passato nelle mani di Luigi Napoleone Bonaparte, futuro Napoleone III. Cavour (by http://biografieonline.it/biografia.htm?BioID=989&biografia=Camillo+Benso+conte+di+Cavour) (by: Giardina, Sabbatucci, Vidotto, Manuale di Storia, Laterza) 1810 a Torino – 1861 Torino Cavour da giovane è ufficiale dell'esercito. Lascia nel 1831 la vita militare e per quattro anni viaggia in Europa, studiando particolarmente gli effetti della rivoluzione industriale in Gran Bretagna, Francia e Svizzera e assumendo i princìpi economici, sociali e politici del sistema liberale britannico. Rientrato in Piemonte nel 1835 si occupa soprattutto di agricoltura e si interessa di economie e della diffusione di scuole ed asili. Grazie alla sua attività commerciale e bancaria Cavour diviene uno degli uomini più ricchi del Piemonte. La fondazione nel dicembre 1847 del quotidiano "Il Risorgimento" segna l'avvio del suo impegno politico: solo una profonda ristrutturazione delle istituzioni politiche piemontesi e la creazione di uno Stato territorialmente ampio e unito in Italia avrebbero, secondo Cavour, reso possibile il processo di sviluppo e crescita economico-sociale da lui promosso con le iniziative degli anni precedenti. Cavour era convinto che la tendenza verso un sempre maggiore allargamento delle basi dello Stato era inarrestabile, ma conteneva in sé gravissimi pericoli ove non fosse stata attuata con gradualità ed incanalata in un sistema monarchicocostituzioanle, fondato sulla libertà individuale e sulla proprietà privata. Nel 1850, essendosi messo in evidenza nella difesa delle leggi Siccardi (promosse per diminuire i privilegi riconosciuti al clero, prevedevano l'abolizione del tribunale ecclesiastico, del diritto d'asilo nelle chiese e nei conventi, la riduzione del numero delle festività religiose e il divieto per le corporazioni ecclesiastiche di acquistare beni, ricevere eredità o donazioni senza ricevere il consenso del Governo) Cavour viene chiamato a far parte del gabinetto D'Azeglio come ministro dell'agricoltura, del commercio e della marina. Successivamente viene nominato ministro delle Finanze. Con tale carica assume ben presto una posizione di primo piano, fino a diventare presidente del Consiglio il 4 novembre 1852. Prima della nomina Cavour aveva già in mente un programma politico ben chiaro e definito ed era deciso a realizzarlo, pur non ignorando le difficoltà che avrebbe dovuto superare. L'ostacolo principale gli derivava dal fatto di non godere la simpatia dei settori estremi del Parlamento, in quanto la sinistra non credeva alle sue intenzioni riformatrici, mentre per le Destre egli era addirittura un pericoloso giacobino, un rivoluzionario demolitore di tradizioni ormai secolari. Ed è per questo che , prima ancora di diventare presidente del Consiglio, Cavour si era reso protagonista di una vera e piccola rivoluzione parlamentare, promuovendo un accordo tra l’ala più progressista della maggioranza moderata (il centro-destro, di cui lui stesso era leader) e la componente più moderata della sinistra-democratica (il centro-sinistro capeggiato da Umberto Rattazzi). Da questa unione, definita ironicamente dai conservatori piemontesi connubio nacque una nuova formazione politica di centro che poneva all’opposizione i clericali-conservatori e i democratici intransigenti e permetteva di interpretare lo Statuto in maniera parlamentare facendo dipendere la vita del governo non solo dalla fiducia del sovrano, ma anche e soprattutto dal sostegno di una maggioranza in Parlamento. In politica interna mira innanzitutto a fare del Piemonte uno Stato costituzionale, ispirato ad un liberismo misurato e progressivo, nel quale è la libertà a costituire la premessa di ogni iniziativa. Convinto che i progressi economici sono estremamente importanti per la vita politica di un paese, Cavour si dedica ad un radicale rinnovamento dell'economia piemontese. 1) Attuò una linea liberoscambista; a) Nel 1851 furono stipulati trattati commerciali con Francia, Belgio, Austria e Gran Bretagna b) Fu gradualmente abolito il dazio sul grano c) Eliminò le barriere doganali avvantaggiando la produzione di riso (Novara e Vercelli), vite ed ulivo (Piemonte sud e Liguria) 2) Commissionò grandi opere pubbliche: a) Costruì canali e strade b) Sviluppò le ferrovie (il Piemonte, alla fine degli anni ’50, disponeva di una rete di strade ferrate quasi uguale a quella di tutti gli altri Stati italiani. Ovviamente lo sviluppo delle ferrovie ebbe due conseguenze positive: Miglioramento dei commerci (il traforo del Frèjus collegava l’Italia all’Europa) Sviluppo industria siderurgica e meccanica (nacque l’Ansaldo) L'agricoltura viene valorizzata e modernizzata grazie ad un sempre più diffuso uso dei concimi chimici e ad una vasta opera di canalizzazione destinata ad eliminare le frequenti carestie, dovute a mancanza d'acqua per l'irrigazione, e a facilitare il trasporto dei prodotti agricoli; l'industria viene rinnovata ed irrobustita attraverso la creazione di nuove fabbriche e il potenziamento di quelle già esistenti specialmente nel settore tessile Inoltre Cavour provvede a rinnovare il sistema fiscale, basandolo non solo sulle imposte indirette ma anche su quelle dirette, che colpiscono soprattutto i grandi redditi; provvede inoltre al potenziamento delle banche con l'istituzione di una "Banca Nazionale" per la concessione di prestiti ad interesse non molto elevato. Il progressivo consolidamento politico, economico e militare, spinge Cavour verso un'audace politica estera, capace di far uscire il Piemonte dall'isolamento. In un primo momento egli non crede opportuno distaccarsi dal vecchio programma di Carlo Alberto tendente all'allontanamento dell'Austria dal Lombardo-Veneto e alla conseguente unificazione dell'Italia settentrionale sotto la monarchia sabauda, tuttavia in seguito avverte la possibilità di allargare in senso nazionale la sua politica, aderendo al programma unitario di Giuseppe Mazzini, sia pure su basi monarchiche e liberali. Il primo passo da fare era quello di imporre il problema italiano all'attenzione europea e a ciò Cavour mira con tutto il suo ingegno: nel 1855 rispose positivamente all’invito rivoltogli da Francia e Inghilterra di associarsi contro la Russia ed inviò in Crimea un corpo di 18.000 uomini al comando del generale La Marmora. In questo modo il Piemonte ottenne di poter partecipar come Stato vincitore alla Conferenza di Parigi (1856) e di poter sollevare la questione italiana di fronte ad un consesso internazionale. Denunciò il malgoverno dello Stato della Chiesa e del Regno delle Due Sicilie come causa perenne di instabilità e di tensioni rivoluzionarie e, dunque, come minaccia alla pace e all’equilibrio europeo. Cavour si presentava così come portavoce della borghesia italiana e il garante di uno sbocco non rivoluzionario delle tensioni che si manifestavano nella penisola. Cavour si convinse che solo un cambiamento dell’equilibrio europeo sancito dal Congresso di Vienna avrebbe permesso al Piemonte di eliminare la presenza austriaca dall’Italia centro-settentrionale. Era dunque necessario a) mantenere viva la tensione patriottica b) avvicinarsi all’unica nazione che aveva interesse a modificare lo status quo: la Francia di Napoleone III. Il 21 luglio 1858 incontra Napoleone III a Plombières dove vengono gettate le basi di un'alleanza contro l'Austria. Il trattato ufficiale stabiliva che: la Francia sarebbe intervenuta a fianco del Piemonte, solo se l'Austria lo avesse aggredito; in caso di vittoria si sarebbero formati in Italia quattro Stati riuniti in una sola confederazione posta sotto la presidenza onoraria del Papa (Papa: presidente futura Confederazione italiana) ma dominata sostanzialmente dal Piemonte: uno nell'Italia settentrionale con l'annessione al regno di Sardegna del Lombardo-Veneto, dei ducati di Parma e Modena e della restante parte dell'Emilia; uno nell'Italia centrale, comprendente la Toscana, le Marche e l'Umbria; un terzo nell'Italia meridionale corrispondente al Regno delle Due Sicilie; un quarto, infine, formato dallo Stato Pontificio con Roma e dintorni. In compenso dell'aiuto prestato dalla Francia il Piemonte avrebbe ceduto a Napoleone III il Ducato di Savoia e la Contea di Nizza. desideri occulti: Napoleone III aspirava a dominare l’Italia attraverso suoi regnanti nell’Italia centrale e nel regno meridionale; Cavour contava sulla forza di attrazione del Piemonte nei confronti delgi altri Stati italiani. Appare evidente che un simile trattato non teneva assolutamente conto delle aspirazioni unitarie della maggior parte della popolazione italiana, esso mirava unicamente ad eliminare il predominio austriaco dalla penisola. La II guerra d'indipendenza permette l'acquisizione della Lombardia, ma l'estendersi del movimento democratico-nazionale suscita nei francesi il timore della creazione di uno Stato Italiano unitario troppo forte: l'armistizio di Villafranca provoca il temporaneo congelamento dei moti e la decisione di Cavour di allontanarsi dalla guida del governo. Ritornato alla presidenza del Consiglio Cavour riesce comunque ad utilizzare a proprio vantaggio la momentanea freddezza nei rapporti con la Francia, quando di fronte alla Spedizione dei Mille e alla liberazione dell'Italia meridionale poté ordinare la contemporanea invasione dello Stato Pontificio. L'abilità diplomatica di Cavour nel mantenere il consenso delle potenze europee e la fedeltà di Giuseppe Garibaldi al motto "Italia e Vittorio Emanuele" portano così alla proclamazione del Regno d'Italia, il giorno 17 marzo 1861. Seconda Guerra d’Indipendenza Durante gli anni Cinquanta dell’Ottocento, il Regno di Sardegna, grazie alla regia di Camillo Benso di Cavour, era diventato per molti patrioti il punto di riferimento politico e militare del processo risorgimentale. Gli accordi di Plombières del 1858 tra lo stesso Cavour e Napoleone III avevano legato le sorti dell’ambizioso Regno sardo con quelle della Francia, dal momento che il capo del Secondo impero, desideroso di porre la penisola italiana sotto il proprio controllo, si era impegnato a intervenire a fianco dell’alleato sabaudo in caso di attacco da parte dell’Impero asburgico. A Cavour e ai piemontesi serviva dunque il casus belli. Il governo piemontese decise così di finanziare una consistente politica di riarmo e il corpo dei volontari (i Cacciatori delle Alpi comandati da Garibaldi) iniziò provocatorie operazioni d’addestramento lungo il confine del Ticino. Il dado era tratto: il governo imperiale di Vienna mandò a Torino un ultimatum. Era ciò che Cavour e tutto l’entuorage della corte sabauda attendevano. Nell’aprile del 1859 l’esercito austriaco passò il Ticino e attaccò il Regno di Sardegna. Napoleone III, sbarcato il 12 maggio a Genova, unì le sue truppe a quelle di Vittorio Emanuele II. I due sovrani avrebbero marciato fianco a fianco, mentre la guida dell’esercito asburgico, nella seconda fase delle operazioni, sarebbe stata assunta dal giovane imperatore Francesco Giuseppe. Le battaglie che si susseguirono nel corso di questa guerra furono molte e sanguinose (Montebello, Magenta,Solferino e San Martino); a combatterle ci furono anche reparti di volontari, come i Cacciatori delle Alpi comandati da Garibaldi. Il destino della campagna fu deciso, nel giugno del 1859, nelle battaglie di Solferino e San Martino. I caduti su entrambi i fronti furono decine di migliaia (in totale circa 40.000), ma la vittoria favorì i francopiemontesi. Milano era già stata liberata. Ora si poteva puntare direttamente su Venezia. Improvvisamente, però, Napoleone III decise di fermarsi. Motivazioni: L’opinione pubblica transalpina non vedeva di buon occhio, infatti, un impegno così oneroso in termini di costi e vite umane ed, inoltre, temeva un intervento della Confederazione germanica a fianco dell’Austria. Nuova situazione nell’Italia centro settentrionale: insurrezioni a Firenze, Modena, Parma e Stato della Chiesa L’imperatore, a luglio, firmò l’armistizio con gli Austriaci a Villafranca di Verona. Fu deciso: L’Impero asburgico rinunciava alla Lombardia e la cedeva alla Francia mantenendo il Veneto e le fortezze di Mantova e Peschiera. Da solo, il Regno di Sardegna non poteva affrontare il nemico. Cavour, visti messi in pericolo i propri piani, si dimise e venne sostituito da un governo guidato da La Marmora e Rattazzi. Mentre a Zurigo si svolgeva la conferenza di pace, le popolazioni dell’Italia centrale (Toscana, Ducati di Parma e Modena, territori pontifici di Emilia e Romagna) inviavano delegazioni a Torino per chiedere l’annessione al Regno di Sardegna. Le richieste avanzate dalle assemblee dei popoli dell’Italia centrale imbarazzavano, da un lato, il governo e la corte piemontese. Dall’altro, però, affossavano le intenzioni bonapartiste di costruzione di un’egemonia francese in Italia. Alla conferenza di Zurigo con l’Austria, intanto, fu deciso il passaggio della Lombardia alla Francia, e da questa al Piemonte. Inoltre, Impero asburgico e Francia espressero il proprio favore alla creazione di una confederazione di Stati italiani presieduta dal pontefice: una soluzione ormai tardiva. All’inizio del 1860, Cavour, richiamato al governo, caldeggiò lo svolgimento, nelle regioni dell’Italia centrale, di una serie di plebisciti di annessione al Regno di Sardegna. La Francia dovette così accettare l’unione di Toscana, Emilia e Romagna al Regno di Sardegna. In cambio del favore che, infine, Napoleone III accordò a questa soluzione, il Regno di Sardegna rinunciava alla Contea di Nizza e alla Savoia che – ancora previo un plebiscito – passavano alla Francia. All’inizio del 1860, tranne il Triveneto ancora in mani austriache, il Nord Italia era dunque riunito sotto le insegne di Casa Savoia. Il regno d’Italia nacque nel 1861, in maniera non indolore dalla Seconda guerra d’indipendenza. Il Nostro viaggio starts dalla rivolta scoppiata in Sicilia e dalla conseguente spedizione dei Mille volontari guidati da Garibaldi. La rivolta nella Trinacria fu solo un pretesto per liberare il meridione ed arrivare fino a Roma. L'elenco alfabetico completo fu pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del Regno d'Italia del 12 novembre 1878 sulla scorta dell'Elenco pubblicato nel 1864 dal Ministero della Guerra, del prospetto dei pensionati fra i Mille di Marsala e delle notizie fornite dalla varie autorità del Regno. Piccola curiosità: dei Mille garibaldini 400 erano lombardi, 180 bergamanschi (Giorgio Napolitano, Una e indivisibile, Riflessioni sui 150 anni della nostra Italia, 2011). Il nizzardo, tuttavia, mazziniano di vecchia data, tentennava: solo l’esplicito appoggio del Regno di Sardegna lo avrebbe convinto infatti a tentare un’impresa che, agli occhi di molti, era destinata a sicuro fallimento: rovesciare il Regno delle Due Sicilie. Cavour prendeva tempo, preoccupato di poter irritare l’alleato francese con un colpo di mano. I mazziniani, Rosolino Pilo e Francesco Crispi in testa, organizzarono la sollevazione popolare in Sicilia. Garibaldi, sottoposto a sempre più pressanti richieste, accettò d’intervenire. Cavour, sotto traccia, acconsentì. Due piroscafi, il Piemonte e il Lombardo, salparono da Quarto, presso Genova, il 5 maggio 1860. Garibaldi aveva raccolto un migliaio di volontari, metà dei quali lombardi. Alcune soste, e l’11 maggio i Mille sbarcarono, non senza sfruttare abilmente la “copertura” assicurata da vascelli inglesi, a Marsala. Pochi giorni dopo, i garibaldini, cui si aggiunsero subito alcune centinaia di “picciotti”, incontrarono l’esercito borbonico a Calatafimi. Nonostante la loro inferiorità numerica, la vittoria arrise alle “camicie rosse”. La strada per Palermo era spianata. Garibaldi, già autoproclamatosi “dittatore della Sicilia per conto di Vittorio Emanuele re d’Italia”, entrò nel capoluogo siciliano. L’isola intera, nel volgere di poche settimane, cadde nelle sue mani. Garibaldi si preparava nel frattempo a sbarcare sul continente. Quando mise piede in Calabria, alla testa di circa 20.000 uomini, si era lasciato alle spalle un governo in cui si distinguevano personalità del calibro di Agostino Depretis e Francesco Crispi ed enormi aspettative di riforma economica e sociale. La risalita del continente fu più facile del previsto e, dopo essere entrati trionfalmente in una Napoli festosa e ormai abbandonata da Francesco II di Borbone, ritiratosi a Gaeta, i volontari garibaldini, sempre più numerosi, attaccarono l’esercito delle Due Sicilie sul Volturno. Fu l’ultima battaglia dell’impresa dei Mille. E fu, nuovamente, un successo per Garibaldi. Cavour, intanto, aveva rotto gli indugi. Il Regno del Nord aveva invaso gli Stati pontifici e affrontato l’esercito papale a Castelfidardo. Dopo la vittoria, l’esercito sabaudo andò a sud, verso Garibaldi vittorioso. L’incontro tra il generale e re Vittorio Emanuele II avvenne nei pressi di Teano il 26 ottobre. Di fatto, a partire da quel momento, il Savoia avrebbe potuto fregiarsi del titolo di “re d’Italia”. Il rapporto tra i due grandi personaggi del Risorgimento aveva in serbo ancora una pagina, l’ennesima, di incomprensione. Il 6 novembre i garibaldini, schierati alla Reggia di Caserta, aspettavano il re, ma questi non si fece vedere. Il 7 novembre Vittorio Emanuele II faceva la sua entrata trionfale a Napoli. Garibaldi decideva, invece, di ritirarsi in esilio volontario a Caprera. I successi di questi soldati che suscitarono stupore nell’opinione pubblica di tutta Europa, furono dovuti a: a) doti militari di Garibaldi, b) entusiasmo dei volontari, c) sostegno del popolo siciliano. Nei territori conquistati Garibaldi adottò una serie di provvedimenti politico-amministrativi a favore dei ceti popolari: 1) abolì la tassa sul macinato 2) confiscò alcune proprietà ecclesiastiche per distribuirle ai combattenti. Ma quando i contadini insorsero contro i proprietari terrieri e cercarono di ottenere le terre sulle quali da sempre venivano sfruttati, Garibaldi intervenne usando la forza. PERCHE’? Per non intaccare il diritto di proprietà. Per non trasformare la spedizione per l’unificazione in una rivoluzione sociale. Da ricordare la repressione violenta realizzata da Nino Bixio a Bronte di cui parla in Libertà Verga e che non fu da lui criticata (diverso sarà l’atteggiamento di Zola nei confronti dei deboli; da ricordare il caso Dreyfus). Nel frattempo i successi militari dei mille avevano coinvolto anche Napoli. Questi esiti positivi impensierivano Cavour che temeva un intervento della Francia in difesa del Papa e dell’Austria in difesa del Veneto. Fu per questo che Cavour intervenne in prima persona e spinse Garibaldi a sciogliere il suo esercito ( i volontari furono quasi tutti licenziati!!!!). Novembre 1860: i plebisciti approvarono l’annessione del meridione, dell’Umbria e delle Marche al Piemonte. 17 marzo 1861: Vittorio Emanuele II fu proclamato re d’Italia dal primo Parlamento nazionale. Il Regno d’Italia nasceva così come un ingrandimento del Regno di Sardegna (Vittorio Emanuele). (Da ricordare che il diritto di voto per la creazione del primo Parlamento era limitato da rigidi requisiti di censo; infatti votarono solo 400000 cittadini su 21 milioni di Italiani). 1866 (Terza guerra d’indipendenza): anche il Veneto viene a far parte del Regno d’Italia. 20 settembre 1870: il generale Cadorna riuscì ad aprire una breccia a porta Pia e conquistò Roma che verrà poi annessa al Regno con un plebiscito. 1871: “Legge delle guarentigie”: 1) sacra ed inviolabile è la persona del papa 2) sua sovranità sui palazzi del Vaticano 3) denaro per il mantenimento della Santa sede 3) libertà di comunicazione con i cattolici di ogni Stato. Il Papa non riconobbe questa legge e continuò a considerarsi prigioniero politico e rinnovò la scomunica contro gli usurpatori. 1874: il Papa Pio IX promulgò il “non expedit”: tutti i cattolici non dovevano partecipare alla vita politica dello Stato italiano. Perché proprio Roma capitale? Cavour: “Perché noi abbiamo il diritto, anzi il dovere di chiedere, d’insistere perché Roma sia riunita all’Italia? Perché senza Roma capitale d’Italia, l’Italia non si può costruire…L’Italia ha ancora molto da fare per costituirsi in modo definitivo, per isciogliere tutti i gravi problemi che la sua unificazione suscita, per abbattere tutti gli ostacoli che antiche istituzioni, tradizioni secolari oppongono a questa grande impresa;…E affermo ancora una volta, che Roma, Roma sola deve essere la capitale d’Italia….In Roma occorrono tutte le circostanze storiche, intellettuali, morali, che devono determinare le condizioni della capitale di un grande Stato. Roma è la sola città d’Italia che nn abbia memorie esclusivamente municipali; tutta la storia di Roma dal tempo dei Cesari al giorno d’oggi è la storia di una città la cui importanza si estende infinitamente al di là del suo trerritorio, di una città, cioè, destinata ad essere la capitale di un grande Stato…Noi nn cesseremo dal dire che, qualunque sia il modo con cui l’Italia giungerà alla Città Eterna, sia che vi giunga per accordo o senza, giunta a Roma, appena avrà dichiarato decaduto il potere temporale, essa proclamerà il principio della separazione, ed attuerà immediatamente il principio della libertà della Chiesa sulle basi più larghe…” (Cavour, discorso pronunciato al Parlamento italiano il 25 Marzo 1861, nb: 8 gg dopo la proclamazione del Regno d’Italia.) “Difendiamo ad ogni costo l’unità, quali che siano i suoi torti, quali che siano i suoi errori, perché solo in essa è la salvezza della nostra indipendenza” Giustino Fortunato (1848 –1932, politico e storico italiano, uno dei più importanti rappresentanti del Meridionalismo, figurò in seguito tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali antifascisti). Pio IX (by http://www.150anni-lanostrastoria.it) Molti liberali italiani esultano alla notizia della sua elezione. Le correnti neoguelfe salutano l’evento come se si trattasse del preludio alla creazione della confederazione italiana sotto la presidenza del papa. Ma chi era il cardinal Ferretti? E perché la sua elezione aveva suscitato queste speranze? A 35 anni era già vescovo a Spoleto e nel 1831, mentre negli Stati pontifici si diffondeva la seconda ondata di moti liberali e patriottici, si prodigò per evitare spargimenti di sangue proteggendo gli insorti. Si diffuse così l’idea che il prelato fosse di tendenze liberali. Arcivescovo di Imola nel 1832, alla morte di papa Gregorio XVI, fu eletto dal conclave vescovo di Roma, diventando, quindi, papa della Chiesa cattolica. Gli esordi del suo pontificato parvero confermare la sua fama di liberale. Concesse immediatamente un’amnistia per reati politici; promosse la lega doganale con Regno di Sardegna e Granducato di Toscana; emanò, nel 1848, una Costituzione che introduceva notevoli ampliamenti della libertà e, soprattutto, un Parlamento. Quando, nello stesso 1848, il Regno sabaudo sfidò l’Austria per portare aiuto ai ribelli milanesi e per scalzarla dalla penisola, il papa, al pari degli altri sovrani italiani, inviò un piccolo contingente del suo esercito. Successivamente, la sua fama di liberale, ricevette durissimi colpi. Si ritirò dalla Prima guerra d’indipendenza e, costretto ad abbandonare Roma a causa di tumulti popolari, chiese l’intervento di una potenza straniera – la Francia repubblicana di Luigi Napoleone Bonaparte – per fare restaurare, per via militare, il suo potere. Il suo pontificato, il secondo più lungo della Chiesa dopo quello di san Pietro, avrebbe, da allora, conosciuto un progressivo irrigidimento politico e dottrinale, come dimostrarono il Concilio Vaticano I e l’enciclica Quanta cura che conteneva Il Sillabo, dura denuncia del pensiero laico e moderno. Nel Sillabo, oltre a difendere con forza la legittimità del potere temporale, si attaccano e criticano varie forme di libertà – tutte quelle che il pensiero liberale del tempo prevedeva fossero riconosciute dallo Stato – nonché i minacciosi nuovi nemici: socialismo e comunismo. (cfr.: http://it.wikisource.org/wiki/Con_quanta_cura_%28enciclica%29_-_Sillabo/Sillabo). Il 20 settembre 1870 fu proprio Pio IX a osservare l’ingresso dei reparti italiani in Roma. Denunciò il neonato Regno d’Italia come usurpatore dei suoi possedimenti e ordinò ai cattolici, con il Non èxpedit (1874), di non partecipare alla vita politica del nuovo Stato. Morì nel 1878 e, nel 1881, la sua salma venne traslata nella basilica di San Lorenzo al Verano. Il corteo funebre fu occasione per un violento scontro tra clericali e anticlericali. La questione romana restava uno dei grandi nodi irrisolti nella costruzione del nuovo Stato. AMBITO LETTERARIO: la patria (In letteratura latina: Catone Uticense, Cicerone) Petrarca, Italia mia, ben che il parlar sia indarno, 1344 In questa canzone P. a) denuncia i mali d’Italia, b) condanna le lotte fratricide 3) invoca la pace, 4) definisce inaffidabili le truppe mercenaria (poco vedete, e parvi veder molto,/chè ‘n cor venale amor cercate o fede vv24-25) Dante, Canto I del Purgatorio, canto VI dell’Inferno, Purgatorio, Paradiso; XVII del Paradiso Machiavelli, Il Principe, cap.XXVI Exhortatio ad capessendam Italiam in libertatemque a barbaris vindicandam Foscolo: Le ultime lettere di Jacopo Ortis (1798 incompleta, 1802) Lettera 11 ott 1797: Il sacrificio della nostra patria è consumato: tutto è perduto; e la vita, seppure ne verrà concessa, non ci resterà che per piangere le nostre sciagure e la nostra infamia…Noi stessi italiani ci laviamo le mani nel sangue degli italiani1…e le mie ossa poseranno su la terra de’miei padri2. Lettera del 17 marzo 1787:Da due mesi non ti do segno di vita, e tu ti sei sgomentato; e temi che io sia vinto oggimai dall’amore da dimenticarmi di te e della patria…La Natura crea di propria autorità tali ingegni da non poter essere se non generosi; venti anni addietro (l’etè di Napoleone non è passata invano per l’Italia) sì fatti ingegni si rimanevano inerti ed assiderati nel sopore universale d’Italia: ma i tempi d’oggi hanno ridestato in essi le virili e natie loro passioni; ed hanno acquistato tal tempra che spezzarli puoi, piegarli non mai…da che se Dio non ha pietà dell’Italia, dovranno chiudere nel loro secreto il desiderio di patria funestissimo! Perché o strugge o addolora tutta la vita; e nondimeno anziché abbandonarlo, avranno cari i pericoli, e quell’angoscia e la morte (riferimento all’eroica generazione risorgimentale).Un’altra specie di amatori d’Italia (falsi patrioti) si quereli ad altissima voce a sua posta. Esclamano d’essere stati venduti e traditi: ma se si fossero armati sarebbero stati vinti forse, non mai traditi; se si fossero difesi…3…fremito del leone, se ha la mente volpina 4…non accuso la ragione di stato che vende come branchi di pecore le nazioni…5 Lettera del 25 settembre, Firenze:…Così noi tutti italiani siamo fuorisciti e stranieri in Italia6…ho corsa tutta Toscana. Tutti i monti e tutti i campi sono insigni per fraterne battaglie…i cadaveri intanto d’infiniti Italiani ammazzatisi hanno fatte le fondamenta ai troni degli Imperadori e dei Papi… Lettera del 4 dic, Milano:…per essere padroni e ladri del popolo conviene prima lasciarsi opprimere, depredare e leccare la spada grondante del tuo sangue…Parini…ma l’unica fiamma vitale che anima ancora questo travagliato mio corpo è la speranza di tentare la libertà della patria…I gemiti di tutte le età non ti hanno ancor insegnato che non si dee aspettare libertà dallo straniero?7 …gli amori della moltitudine sono brevi ed infausti8. Lettera del 19-20 feb, Ventimiglia:..i tuoi confini son questi, o Italia, ma son tutto dì sormontati d’ogni parte dalla pertinace avarizia delle nazioni. Ove sono dunque i tuoi figli? 9 Nulla ti manca se non la forza della concordia…Perché dunque io fuggo?…Io tornerò a voi, o sacre terre, che prime udiste i miei vaggiti10 1 Cfr. Manzoni, Conte di Carmagnola, II coro, vv15-28 cfr. Foscolo, In morte del fratello Giovanni. 3 Cfr. Foscolo, Marzo 1821, vv81-84+Manzoni, Adelchi, II coro vv30, 50 a 66Machiavelli, Il Principe, XVIII 4 Machiavelli, Il Principe, XVIII 5 Machiavelli, ibid, XVIII 6 cfr. Giusti, Sant’Ambrogio 7 Cfr. Marzo 1821, vv81-84 + Adelchi, III, 30, 50 a 66 8 cfr. Machiavelli 9 cfr. Leopardi, All’Italia, v.41 10 cfr. Leopardi, Dialogo della Natura e di un Islandese 2 Cari ragazzi e ragazze (tutte quante senza distinzione di razza e religione e vena polemica) le parti prese in esame de Ultime lettere di Jacopo Ortis riguardano solo l’aspetto politico del romanzo. E’ ovvio che voi dobbiate prendere in considerazione anche l’altra tematica dello scritto, quella amorosa. Buon lavoro. Ricorda che per selezionare le lettere, ricercare i riferimenti (antico ricordo dei bei tempi liceali) e preparare queste schede ho impiegato molte ore, onde per cui non sei l’unico a lavorare e a sacrificare/investire prezioso tempo della tua felice/affascinante esistenza. La scuola è palestra di vita e la vita è luogo ameno in cui spendere le proprie capacità (e non solo conoscenze).