“Hamlet Travestie” di Punta Corsara. Rovesciare Shakespeare per

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“Hamlet Travestie” di Punta Corsara. Rovesciare Shakespeare
per raccontare Napoli
Sabato 30 Gennaio 2016
Recensione dello spettacolo di Emanuele Valenti, regista e Gianni Vastarella di Punta
Corsara, prodotto da 369 gradi, riscrittura di Shakespeare a partire da John Poole e
Antonio Petito, in scena al Rasi per Scena Contemporanea
Una scena di "Hamlet Travestie"
Amleto Barilotto (Gianni Vastarella) è da poco rimasto orfano del padre, morto schiantato contro un muretto a bordo della
sua Duna bianca in circostanze misteriose. Da allora, il giovane napoletano si è chiuso in sé stesso. È melanconico,
introverso; non parla, non lavora più e sembra stare maturando un curioso sdoppiamento della personalità.
Avvolto in una pesante trapunta per difendersi dal mondo, un po' De Filippo e un po' Linus, si limita a leggere l'Amleto (“In
questo libro c'è tutto”), a citarne qualche passaggio e ad ascoltare vecchi dischi (principalmente, pare, Peter Sarstedt).
La famiglia è preoccupata. Un po' per Amleto, certo, ma soprattutto per i debiti che suo padre e sua madre Amalia
(Giuseppina Cervizzi) hanno contratto col camorrista Don Gennaro, a causa del fallimento dell'utopico progetto di aprire di
un bar specializzato in aperitivi a Casoria. Lo zio di Amleto (Christian Giroso), un surrogato cafone della figura paterna, sta
pensando addirittura di chiedere la pensione di invalidità per suo nipote: ottocento euro che potrebbero rilanciare la sua
attività al mercato cittadino, ed estinguere i debiti dei Barilotto.
C'è poi la fidanzata di Amleto, Ornella (Valeria Pollice), incinta di una “criatura” che spaventa lo schizofrenico e impreparato
padre a tal punto da fargli sbottare, in uno dei tanti détournement che costellano la drammaturgia, un violentissimo “Non sono
pronto! Vatti a chiudere in convento!”
L'uso delle citazioni, nella drammaturgia di Valenti e Vastarella, è intelligente ed equilibrato. Non si cade mai nella forzatura,
ed è tra le cose che funzionano meglio di questo Hamlet Travestie. Irresistibile, ad esempio, lo sketch nel quale il nostro
Barilotto si trova in territorio nemico, in mezzo ai camorristi, i quali gli intimano il chi va là: “Chi sei?” E la risposta dello
sconsolato protagonista sembra uscita da un film dei Monty Python: “Ma che domande fate? Je nu saccio nemmeno si song o
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non song!”
Ma è un componente esterno alla famiglia che fa esplodere la miccia delle contraddizioni di casa Barilotto, Don Liborio “o'
Professore” (Emanuele Valenti), padre di Ornella, convocato con la speranza di far rinsavire il povero Amleto.
Don Liborio è un colto imbonitore, dalla psicologia perfettamente tracciata, che pur usando la cultura come un'arma davanti a
questi poveri diavoli, non è affatto al sicuro da strattoni ed ingiurie. È insomma la perfetta sintesi comica di molti intellettuali
nostrani, che si barcamenano tra desiderio di rivalsa, ingiustificato senso di superiorità e incapacità di parlare alla massa.
Dopo una breve diagnosi, Don Liborio sembra aver capito tutto: Amleto (Barilotto) si crede Amleto (di Shakespeare). Uscito di
senno, occorre farlo rientrare in se stesso. Lo stratagemma pensato da Don Liborio, cuore di questo Hamlet Travestie,
rovescia la soluzione della pièce originale e la complica in un gioco di rimandi complessi ed esilaranti, in quanto sarà la
famiglia stessa ad allestire l'Amleto con la speranza che, assecondando la pazzia del povero Barilotto, si riesca in un qualche
modo a farlo ragionare.
Amalia sarà Gertrude, l'infida madre; Ornella sarà Ofelia; lo zio sarà Claudio, usurpatore del trono di Danimarca; Don Liborio il
consigliere Polonio, e suo figlio (Vincenzo Nemolato) Laerte. Le prove e la messa in scena di questa sgangherata finzione
nella finzione (idea tratta dal Don Fausto di Antonio Petito) sono tra i momenti meglio riusciti di questo spettacolo.
Ma l'epifania che farà rinsavire Amleto Barilotto non è dovuta all'impegno di questi attori improvvisati. Arriverà gratuita e
geniale nella sua semplicità su un autobus, fuori dalle scene, dove il nostro protagonista, una volta scacciato in malo modo di
casa, si accorgerà che “il 47 non arriva in Danimarca”.
Com'è naturale, uno spettacolo tratto dall'Amleto non potrà che finire male. Convinto che il vero mandante della morte di suo
padre sia il camorrista Don Gennaro, il nostro protagonista – altroché rinsavito! – si macchia “davvero” di omicidio, finirà in
galera e la famiglia sarà costretta a fuggire, forse proprio in Danimarca, e lasciare per sempre Napoli.
Napoli: la città non viene mai nominata ma vive nel dialetto stretto degli attori, pulsa nei loro movimenti. Lo spaesamento di
Amleto è quello che in effetti provoca questa città, nella quale davvero “the time is out of joint”. E infatti, i ragazzi di Punta
Corsara, splendidi sulla scena e convincenti, non fanno che ripetere, ancora una volta, quella finzione salutare che è il centro
più profondo del classico shakespeariano: la dimostrazione barocca che il teatro è quel luogo dove si mostra il vero nel falso
per far emergere il falso nel vero.
Perché d'accordo, siamo di fronte ad uno spettacolo comico ben riuscito, che grazie ai suoi tempi formidabili e al ritmo serrato
fa ridere e lo fa con intelligenza; ma il racconto, a prima vista spensierato o disimpegnato, cela tra le righe una condanna
caustica e amara: questo microcosmo fittizio, squallido e ignorante non si allontana troppo dalla realtà. E se per un attimo
asciughiamo l'opera del sugo elisabettiano, pare di essere davanti ad una storia vera, di quelle tragiche e frequenti, che
leggiamo en passant nelle pagine interne dei giornali.
Visto al Teatro Rasi il 29 gennaio 2016
Iacopo Gardelli
Moderato Cantabile
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