Esame di stato di liceo scientifico

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M. Macchioro - La prova di fisica per la maturità scientifica
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Esame di stato di liceo scientifico maxisperimentazione Brocca
Tema di fisica, anno 2004
Il candidato svolga una relazione su uno solo dei seguenti due temi, a sua scelta, motivando i passaggi
intermedi e prestando attenzione al corretto uso della terminologia scientifica.
Primo tema
Se si scalda l'estremità di una barra di ferro, si nota che essa emette inizialmente una radiazione termica
che è percepita dalla pelle ma non dagli occhi. Se si continua a far aumentare la temperatura, l'estremità
della barra diventa luminosa; il colore è prima rosso e poi, aumentando ancora la temperatura, tende al
bianco.
Il candidato risponda ai seguenti quesiti.
1. Analizzare il fenomeno descritto e fornire una spiegazione fisica delle varie fasi che portano dalla
iniziale emissione termica a quella luminosa, prima rossa e poi bianca.
2. Collegare il fenomeno descritto alle ricerche riguardanti la curva d'emissione della radiazione
elettromagnetica del corpo nero che portarono Planck, nel 1900, a formulare l'ipotesi del quanto di
energia. Descrivere il problema affrontato da Planck e la sua ipotesi finale.
3. Descrivere l'evoluzione del concetto di quanto di energia fino ad arrivare al concetto di fotone,
introdotto da Einstein, e utilizzato nel 1905 per spiegare l'effetto fotoelettrico e,successivamente,
l'effetto Compton. Fornire una spiegazione fisica dei due effetti.
4. Calcolare, in eV e in J, l'energia trasportata da un fotone proveniente da una lampada che emette
luce gialla di lunghezza d'onda λ = 600 nm.
5. Una piccola lastra di rame, di massa m = 20 g e calore specifico c = 0,092 kcal/(kg ∙ °C), aumenta la
sua temperatura di 2°C perché investita dalla radiazione infrarossa proveniente da una stufa.
Sapendo che la frequenza della radiazione è ν = 3 · 1013 Hz, calcolare il numero dei fotoni che hanno
interagito con il rame provocandone il riscaldamento.
(Si ricordano i seguenti valori approssimati della velocità della luce e della costante di Planck: c = 3 · 108
m/s; h = 6,6 ∙ 1034 J ∙ s)
Secondo tema
Le immagini che si formano sullo schermo di un apparecchio televisivo sono generate dall'interazione tra
un fascio di elettroni veloci e i fosfori depositati sulla superficie interna dello schermo stesso. Gli elettroni
provengono dalla sezione posteriore del tubo catodico dove un filamento metallico è portato
all'incandescenza.
Il candidato risponda alle seguenti domande.
1. Spieghi perché l'alta temperatura del filamento favorisce l'emissione di elettroni.
2. Spieghi perché i fosfori depositati sulla superficie dello schermo emettono luce quando
interagiscono con gli elettroni veloci del tubo catodico.
3. Nella figura 1a. è schematicamente rappresentato un tubo catodico nel quale sono visibili: due
generatori di tensione continua (G1 per l'alta tensione e G2 per la bassa tensione), il filamento
riscaldato (Fil), il collimatore del fascio elettronico (Coll) formato da due piastrine metalliche forate
e parallele, lo schermo S, la zona Z dove gli elettroni sono deviati da un campo magnetico. Il
candidato descriva e commenti:
(a) le funzioni e le polarità dei generatori G1 e G2;
(b) in quale zona del tubo catodico l'intensità del campo elettrico è elevata e dove, invece, è
trascurabile.
4. Nell'ipotesi che la differenza di potenziale tra il filamento e il collimatore sia ΔV = 30 kV, il
candidato calcoli:
(a) l'energia cinetica acquistata dagli elettroni nel loro percorso tra Fil e Coll, espressa in
elettronvolt e in joule;
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(b)
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la velocità degli elettroni al loro passaggio attraverso il collimatore (ipotesi classica),
commentando il risultato per quanto riguarda gli eventuali effetti relativistici.
5. Con riferimento alla figura 1b., che rappresenta la vista anteriore dello schermo, e nell'ipotesi che il
campo magnetico nella zona Z sia uniforme, il candidato disegni il vettore necessario, ogni volta,
per far raggiungere al fascio di elettroni i punti A, B, C, D sullo schermo.
6. Il candidato si riferisca ora alla figura 2 dove tt è la traiettoria del fascio elettronico, r è il raggio
dell'arco di traiettoria compiuto all'interno di Z, δ è l'angolo di deviazione del fascio elettronico. Si
supponga che l'angolo di deviazione sia δ = 30° e che il campo magnetico sia uniforme all'interno
della zona sferica Z, di raggio RZ = 4 cm, e nullo altrove. Il candidato calcoli l'intensità del vettore
che porta a tale angolo di deviazione e ne indichi la direzione e il verso, osservando che lo schermo
è perpendicolare al piano del foglio.
Nella figura 2 l'angolo δ è stato disegnato più grande di 30°con lo scopo di rendere l'immagine più
compatta per facilitarne lo studio.
Si ricordano i seguenti dati approssimati:
 carica dell'elettrone e = 1,6 ∙10-19 C;
 massa dell'elettrone me = 9,1 ∙ 10-31 kg;
 velocità della luce c = 3,0 ∙ 108 m/s
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Svolgimento tema 1
1. Analizzare il fenomeno descritto e fornire una spiegazione fisica delle varie fasi che portano dalla
iniziale emissione termica a quella luminosa, prima rossa e poi bianca.
Riscaldare una barra di ferro inizialmente a temperatura ambiente significa fornire energia agli atomi, i
quali aumentano il loro moto di agitazione termica con conseguente aumento della temperatura. Gli
atomi, a seguito dell’energia acquisita dall’esterno, possono passare a un livello energetico superiore, per
poi subire una transizione al livello fondamentale, con emissione di radiazione elettromagnetica. Questa
radiazione, finché la temperatura non supera i 400-500 °C, trasporta energia essenzialmente termica e
costituisce la cosiddetta radiazione infrarossa, percepita dalla nostra pelle come calore ma non visibile ai
nostri occhi. Per temperature superiori, anche gli elettroni iniziano a passare a livelli di energia superiore,
per poi emettere radiazione elettromagnetica di frequenza superiore e che cade nella banda del visibile. La
luce emessa dalla barra di ferro è dapprima rossiccia, poi nel momento in cui, aumentando la temperatura,
vengono emesse frequenze superiori, diventa sempre più vivida, finché per temperature superiori a circa
1000 °C tutta la luce visibile viene emessa e si arriva all’incandescenza, per cui la barra emette luce bianca.
Il fenomeno può essere meglio descritto rifacendoci al modello di corpo nero. Con questo termine si
intende un corpo che, a una certa temperatura T, è in grado di assorbire tutta la radiazione che riceve
dall’esterno e, nel contempo, di riemetterla. Il modello di corpo nero ideale è costituito da una cavità
dotata di un piccolo foro. Tutta la radiazione che entra nel foro ha probabilità praticamente nulla di uscire
prima di essere assorbita dalle pareti della cavità.
Il fenomeno è descritto dalla legge di Stefan-Boltzmann, che lega l’energia della radiazione emessa alla
temperatura assoluta della cavità:
A è l’area della superficie emittente, T è la temperatura assoluta, Δt l’intervallo di tempo, σ = 5,67 · 10-8
W/(m2K4) è la costante di Stefan-Boltzmann, e è un numero adimensionale compreso tra 0 e 1 detto
emissività, che è legato alla capacità del corpo di emettere energia. Nel caso del corpo nero, che è un
assorbitore ed emettitore perfetto, si ha e = 1. Definendo intensità della radiazione la grandezza:
la legge di Stefan-Boltzmann può essere riscritta nella forma:
La legge di Stefan-Boltzmann dà l’energia totale emessa dal corpo nero alla temperatura T: per sapere
come questa energia è distribuita in base alla lunghezza d’onda è possibile ricorrere al seguente grafico
sperimentale:
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Ogni curva corrisponde a una diversa temperatura, si nota la presenza di un valore caratteristico di λ al
quale corrisponde la massima energia emessa. Al variare della temperatura, questo valore varia secondo la
legge dello spostamento di Wien:
dove la costante ha il valore di 2,90 · 10-3 m·K. Questa legge, in pratica, afferma che la lunghezza d’onda di
picco è inversamente proporzionale alla temperatura assoluta. Nella figura è evidente lo spostamento
verso sinistra del picco dell’energia. Ciò giustifica le affermazioni precedenti: a basse temperature il picco
cade nella regione dell’infrarosso, per poi spostarsi con l’aumento della temperatura verso il visibile,
caratterizzato da lunghezze d’onda minori, ovvero frequenze maggiori.
2. Collegare il fenomeno descritto alle ricerche riguardanti la curva d'emissione della radiazione
elettromagnetica del corpo nero che portarono Planck, nel 1900, a formulare l'ipotesi del quanto di
energia. Descrivere il problema affrontato da Planck e la sua ipotesi finale.
Il grafico sperimentale raffigurato in precedenza rappresenta le curve di emissione della radiazione
elettromagnetica del corpo nero. La forma caratteristica di queste curve non era spiegabile in termini di
Fisica classica, infatti la previsione teorica non spiegava la presenza della λ di picco, anzi ipotizzava
addirittura valori infinitamente grandi dell’energia emessa in corrispondenza ai valori di λ della radiazione
ultravioletta. Per risolvere il problema, Planck avanzò un’ipotesi rivoluzionaria: considerando la cavità del
corpo nero come costituita da un numero enorme di cariche oscillanti, ciascuna dotata di una propria
frequenza di risonanza, e quindi in grado di scambiare energia solo per valori multipli interi di essa, ipotizzò
che la radiazione poteva scambiare energia con questi oscillatori solo per valori discreti, secondo la legge:
Pertanto, pur essendo continua l’energia trasportata dalla radiazione, risulta quantizzata l’energia
scambiata. In questa legge, f è la frequenza della radiazione, mentre h è una costante caratteristica, detta
costante di Planck:
La quantità
costituisce il quanto di energia, cioè quel valore minimo e non frazionabile di energia
scambiata dal singolo oscillatore.
3. Descrivere l'evoluzione del concetto di quanto di energia fino ad arrivare al concetto di fotone,
introdotto da Einstein, e utilizzato nel 1905 per spiegare l'effetto fotoelettrico e, successivamente,
l'effetto Compton. Fornire una spiegazione fisica dei due effetti.
Secondo Planck, la quantizzazione dell’energia era limitata ai soli scambi tra radiazione e le cariche
oscillanti del corpo nero. Egli infatti, in accordo con quanto teorizzato da Maxwell, pensava che la natura
della radiazione elettromagnetica fosse comunque ondulatoria. Pochi anni dopo, Einstein riprese il quanto
di energia di Planck per spiegare l’effetto fotoelettrico. Einstein ipotizzò che tutta la radiazione fosse
costituita da un insieme di corpuscoli, detti fotoni, privi di massa e viaggianti alla velocità della luce. I fotoni
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ipotizzati da Einstein trasportano un’energia proporzionale alla frequenza della radiazione secondo la
relazione E = hf, dove h è la costante introdotta pochi anni prima da Planck. In questo modo, Einstein
estese la quantizzazione dell’energia a tutta la radiazione. Successivamente, per spiegare la diffusione dei
raggi X da parte di un blocco di grafite, Compton riprese il concetto di fotone e, attraverso il modello
dell’urto elastico di un fotone con un elettrone, gli conferì caratteristiche di una vera e propria particella in
grado di interagire con altre particelle scambiando energia e quantità di moto.
L’effetto fotoelettrico consiste nell’emissione di elettroni da parte di un metallo, quando viene investito da
radiazione elettromagnetica di opportuna frequenza. Gli elettroni liberi del metallo prossimi alla sua
superficie, in condizioni normali, non hanno l’energia sufficiente per superare la piccola barriera di
potenziale che ne impedisce l’emissione. Tuttavia se essi assorbono una piccola quantità di energia, in
genere di pochi eV, pari al cosiddetto lavoro di estrazione, essi abbandonano la superficie del metallo.
Questa energia può essere fornita mediante riscaldamento (effetto termoelettronico) o mediante
radiazione elettromagnetica (effetto fotoelettrico).
Le evidenze sperimentali che la Fisica classica non riusciva a spiegare sono:
1. La presenza di una frequenza di soglia, cioè un valore minimo al di sotto del quale neanche fasci
molto intensi riescono a estrarre elettroni.
2. L’indipendenza dell’energia massima degli elettroni estratti dall’intensità del fascio.
3. Per fasci di debole intensità, l’assenza di un ritardo tra il momento dell’illuminamento e l’emissione
degli elettroni.
Il fallimento dei tentativi di spiegazione da parte della Fisica classica consisteva nell’attribuire l’energia
della radiazione all’intensità: secondo lo schema classico la radiazione fornisce agli elettroni l’energia
sufficiente per abbandonare il metallo, l’energia residua diventa energia cinetica degli elettroni che quindi
dovrebbe variare con l’intensità; tutto ciò avviene indipendentemente dalla frequenza. Anche fasci di
debole intensità dovrebbero consentire agli elettroni di abbandonare il metallo, purché si dia il tempo
sufficiente per accumularla.
Attribuendo alla radiazione una natura corpuscolare, Einstein riuscì a dare al fenomeno l’interpretazione
corretta. Immaginando la luce come un insieme di fotoni, ciascuno di energia hf, Einstein interpretò
l’estrazione di un elettrone nel seguente modo: un singolo fotone interagisce con l’elettrone, se la sua
energia è minore del lavoro di estrazione We viene riflesso, altrimenti viene assorbito e la sua energia viene
interamente acquisita dall’elettrone; la parte corrispondente al lavoro di estrazione consente all’elettrone
di abbandonare il metallo, la parte rimanente diventa energia cinetica dell’elettrone. Pertanto:
è la frequenza di soglia
Quindi, in accordo con le evidenze sperimentali, se la radiazione elettromagnetica non possiede una
frequenza almeno uguale a quella di soglia, neanche fasci di grande intensità possono generare l’emissione
di elettroni. I valori di f0 corrispondono alla radiazione visibile per alcuni metalli, ultravioletta per altri.
L’energia cinetica massima cresce linearmente al crescere della frequenza della radiazione (
è una
costante) ed è anch’essa indipendente dall’intensità. Un fascio più intenso, pertanto, è costituito da un
maggior numero di fotoni ed è in grado di estrarre un maggior numero di elettroni, ma non influisce
sull’energia cinetica degli stessi. Infine, anche fasci di debole intensità e opportuna frequenza possono
estrarre elettroni, e l’emissione è istantanea essendo legata all’interazione tra il singolo fotone e
l’elettrone.
Il fenomeno noto come effetto Compton consiste nella diffusione subita da radiazione di alta frequenza da
parte di un metallo. Questo fenomeno, scoperto nel 1923, presentava aspetti non spiegabili con la Fisica
classica: infatti dalle evidenze sperimentali era emerso che, inviando un fascio di raggi X contro un blocco
di grafite, il fascio diffuso presentava, oltre a una componente di lunghezza d’onda λ pari a quella della
radiazione incidente, una seconda componente di lunghezza d’onda λ’ ≥ λ , il cui valore dipende dall’angolo
di diffusione. La Fisica classica, invece, prevede che gli elettroni bersaglio dovrebbero oscillare alla
frequenza della radiazione incidente, per poi riemettere nuovamente alla stessa frequenza: quindi la
radiazione incidente e quella diffusa dovrebbero avere la stessa lunghezza d’onda, indipendentemente
dall’angolo di diffusione. Per spiegare questo fenomeno, Compton utilizzò il modello a fotoni di Einstein
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della radiazione e ipotizzò che i fotoni del fascio incidente, considerati come vere e proprie particelle di
energia E = hf e quantità di moto p = h/λ, urtassero elasticamente gli elettroni liberi del metallo,
considerati inizialmente in quiete, cedendo loro una parte della propria energia e subendo al contempo
una diminuzione della frequenza (infatti se E’ < E , allora f’ < f e λ’ > λ).
Applicando il principio di conservazione della quantità di moto e imponendo la conservazione dell’energia,
Compton ottenne una relazione tra la lunghezza d’onda del fotone diffuso e l’angolo di diffusione θ:
’
dove me è la massa a riposo dell’elettrone, e la grandezza
, il cui valore è 2,43 ∙ 10-12 m, prende il nome
di lunghezza d’onda Compton dell’elettrone. La formula ricavata da Compton, ipotizzando la natura
corpuscolare della radiazione e conferendo al fotone le proprietà di una vera e propria particella, è in pieno
accordo con i dati sperimentali. Esaminandola, si evince che la variazione della lunghezza d’onda è
compresa tra il valore 0 (corrispondente a = 0°) e il doppio della lunghezza d’onda Compton (per
=180°).
4. Calcolare, in eV e in J, l'energia trasportata da un fotone proveniente da una lampada che emette
luce gialla di lunghezza d'onda λ = 600 nm.
Ricordando che 600 nm = 6,00 ∙ 10-7 m e imponendo alle costanti i valori indicati, ricaviamo l’energia:
5. Una piccola lastra di rame, di massa m = 20 g e calore specifico c = 0,092 kcal/(kg ∙ °C), aumenta la
sua temperatura di 2°C perché investita dalla radiazione infrarossa proveniente da una stufa.
Sapendo che la frequenza della radiazione è ν = 3 ∙ 10 13 Hz, calcolare il numero dei fotoni che hanno
interagito con il rame provocandone il riscaldamento.
Per dare significato ai risultati, esprimiamo tutti i dati con 2 cifre significative. Notiamo inoltre che il calore
specifico può essere espresso come:
il che ci permette di calcolare subito l’energia assorbita dalla lastra in calorie
Trasformiamo il risultato in joule:
L’energia del singolo fotone è:
Assumendo che l’energia assorbita dalla lastra coincida con quella trasportata dalla radiazione, possiamo
calcolare il numero di fotoni:
Nell’esecuzione dei calcoli, secondo la prassi più consolidata, i risultati intermedi sono stati espressi con
una cifra significativa in più, per poi arrotondare il risultato finale a 2 cifre significative.
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Svolgimento secondo tema
Le immagini che si formano sullo schermo di un apparecchio televisivo sono generate dall'interazione tra
un fascio di elettroni veloci e i fosfori depositati sulla superficie interna dello schermo stesso. Gli elettroni
provengono dalla sezione posteriore del tubo catodico dove un filamento metallico è portato
all'incandescenza.
Il candidato risponda alle seguenti domande.
1. Spieghi perché l'alta temperatura del filamento favorisce l'emissione di elettroni.
2. Spieghi perché i fosfori depositati sulla superficie dello schermo emettono luce quando
interagiscono con gli elettroni veloci del tubo catodico.
3. Nella figura 1a. è schematicamente rappresentato un tubo catodico nel quale sono visibili: due
generatori di tensione continua (G1 per l'alta tensione e G2 per la bassa tensione), il filamento
riscaldato (Fil), il collimatore del fascio elettronico (Coll) formato da due piastrine metalliche forate
e parallele, lo schermo S, la zona Z dove gli elettroni sono deviati da un campo magnetico. Il
candidato descriva e commenti:
(a) le funzioni e le polarità dei generatori G1 e G2;
(b) in quale zona del tubo catodico l'intensità del campo elettrico è elevata e dove, invece, è
trascurabile.
4. Nell'ipotesi che la differenza di potenziale tra il filamento e il collimatore sia ΔV = 30 kV, il
candidato calcoli:
(a) l'energia cinetica acquistata dagli elettroni nel loro percorso tra Fil e Coll, espressa in
elettronvolt e in joule;
(b) la velocità degli elettroni al loro passaggio attraverso il collimatore (ipotesi classica),
commentando il risultato per quanto riguarda gli eventuali effetti relativistici.
5. Con riferimento alla figura 1b., che rappresenta la vista anteriore dello schermo, e nell'ipotesi che il
campo magnetico nella zona Z sia uniforme, il candidato disegni il vettore necessario, ogni volta,
per far raggiungere al fascio di elettroni i punti A, B, C, D sullo schermo.
6. Il candidato si riferisca ora alla figura 2 dove tt è la traiettoria del fascio elettronico, r è il raggio
dell'arco di traiettoria compiuto all'interno di Z, δ è l'angolo di deviazione del fascio elettronico. Si
supponga che l'angolo di deviazione sia δ = 30° e che il campo magnetico sia uniforme all'interno
della zona sferica Z, di raggio RZ = 4 cm, e nullo altrove. Il candidato calcoli l'intensità del vettore
che porta a tale angolo di deviazione e ne indichi la direzione e il verso, osservando che lo schermo
è perpendicolare al piano del foglio.
Nella figura 2 l'angolo δ è stato disegnato più grande di 30°con lo scopo di rendere l'immagine più
compatta per facilitarne lo studio.
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Si ricordano i seguenti dati approssimati:
 carica dell'elettrone e = 1,6 ∙10-19 C;
 massa dell'elettrone me = 9,1 ∙ 10-31 kg;
 velocità della luce c = 3,0 ∙ 108 m/s
1. Il candidato spieghi perché l'alta temperatura del filamento favorisce l'emissione di elettroni.
Un qualsiasi metallo è caratterizzato dalla presenza di un gran numero di elettroni liberi detti elettroni di
conduzione. Gli elettroni più vicini alla superficie, per poter abbandonare il metallo, hanno bisogno di una
piccola quantità di energia (di solito pochi eV) detta lavoro di estrazione. Questa energia può essere
conferita dall’esterno per esempio riscaldando un filamento metallico: l’alta temperatura raggiunta
aumenta il moto di agitazione termica degli elettroni che così possono svincolarsi dal reticolo cristallino e
abbandonare il metallo. Questo fenomeno è detto effetto termoionico (o termoelettronico) ed è
ampiamente sfruttato nei tubi catodici per generare un gran numero di elettroni che poi vengono
successivamente accelerati.
2. Il candidato spieghi perché i fosfori depositati sulla superficie dello schermo emettono luce quando
interagiscono con gli elettroni veloci del tubo catodico.
Gli elettroni del fascio generato nel tubo catodico sono dotati di alta energia cinetica. Nell’urto con i fosfori
depositati sullo schermo essi cedono loro gran parte della loro energia. Questa energia porta gli elettroni
dei fosfori dal livello fondamentale a un livello eccitato. Nella successiva transizione, che avviene
normalmente attraverso livelli energetici intermedi, gli elettroni emettono radiazione luminosa di
frequenza
dove
è la differenza di energia tra i livelli energetici e
è la costante di Planck
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Stato eccitato E2
Stato intermedio E3
ΔE = E3 – E1
Stato fondamentale E1
3. Nella figura 1a. è schematicamente rappresentato un tubo catodico nel quale sono visibili: due
generatori di tensione continua (G1 per l'alta tensione e G2 per la bassa tensione), il filamento
riscaldato (Fil), il collimatore del fascio elettronico (Coll) formato da due piastrine metalliche
forate e parallele, lo schermo S, la zona Z dove gli elettroni sono deviati da un campo magnetico.
Il candidato descriva e commenti:
(a) le funzioni e le polarità dei generatori G1 e G2;
(b) in quale zona del tubo catodico l'intensità del campo elettrico è elevata e dove, invece, è
trascurabile.
(a) Il generatore G2 ha la funzione di riscaldare, per effetto Joule, il filamento dal quale vengono
emessi gli elettroni. Data la piccola resistenza del filamento, G2 dev’essere a bassa tensione e può
essere inserito indifferentemente con entrambe le polarità, anche se la figura suggerisce, data la
presenza della messa a terra sul terminale sinistro, che il terminale destro sia a potenziale maggiore
del sinistro.
Il generatore G1 ha invece la funzione di creare tra il filamento e il collimatore un intenso campo
elettrico, in modo da accelerare verso il collimatore gli elettroni emessi dal filamento. Pertanto G1
dev’essere ad alta tensione e con la polarità superiore a potenziale maggiore di quella inferiore,
collegata a terra. In questo modo il campo elettrico è diretto dal collimatore al filamento e
accelererà gli elettroni nel verso desiderato.
(b) Il campo elettrico è elevato nella zona compresa tra il filamento e il collimatore, in modo che gli
elettroni subiscano una forte accelerazione che li porti dal filamento al collimatore dove, a causa
della presenza di un piccolo foro, emergeranno sotto forma di un sottile fascio. Superato il
collimatore, essi entreranno in una zona, che si estende fino allo schermo, nella quale il campo
elettrico è trascurabile e interagiranno solo col campo magnetico presente nella zona Z.
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4. Nell'ipotesi che la differenza di potenziale tra il filamento e il collimatore sia ΔV = 30 kV, il
candidato calcoli:
(a) l'energia cinetica acquistata dagli elettroni nel loro percorso tra Fil e Coll, espressa in
elettronvolt e in joule;
(b) la velocità degli elettroni al loro passaggio attraverso il collimatore (ipotesi classica),
commentando il risultato per quanto riguarda gli eventuali effetti relativistici.
Per calcolare l’energia cinetica degli elettroni è sufficiente calcolare il lavoro compiuto dal campo elettrico
sugli elettroni:
e uguagliarlo alla variazione dell’energia cinetica, che coinciderà con l’energia cinetica finale dato che
quella iniziale è trascurabile:
in elettronvolt questa energia sarà di 30 keV, dato che un elettronvolt è proprio l’energia acquisita da un
elettrone quando attraversa una d.d.p. di 1 V, pertanto attraversando una d.d.p. di un kV l’energia
acquisita sarà proprio 30 keV.
Per ciò che riguarda la velocità, applicando la definizione classica di energia cinetica:
si ricava per formula inversa:
l’arrotondamento è stato effettuato considerando le usuali regole sulle cifre significative.
Ricordando che la velocità della luce nel vuoto è c = 3,0 ∙ 10 8 m/s, notiamo che la velocità ricavata
mediante approccio classico è 1/3 di quella della luce, pertanto è probabile che questo approccio non dia
un risultato corretto. Pertanto conviene reimpostare il problema considerando l’espressione relativistica
dell’energia cinetica:
dove
è la massa a riposo della particella e
è il fattore lorentziano
Dall’espressione dell’energia cinetica relativistica ricaviamo :
Dalla definizione di
possiamo ricavare la relazione che ci dà la velocità degli elettroni:
Arrotondando secondo le cifre significative si ottiene la stessa velocità ottenuta classicamente,
confermando la validità dell’approccio precedente. In realtà la piccola differenza, che potrebbe essere
evidenziata utilizzando più cifre significative (ma il testo ne dà solo 2!) potrebbe essere importante per il
corretto funzionamento del tubo catodico e dovrebbe essere tenuta in conto dal costruttore.
5. Con riferimento alla figura 1b., che rappresenta la vista anteriore dello schermo, e nell'ipotesi che il
campo magnetico nella zona Z sia uniforme, il candidato disegni il vettore necessario, ogni volta,
per far raggiungere al fascio di elettroni i punti A, B, C, D sullo schermo.
Gli elettroni, superato il collimatore, entrano nella regione Z, sede di campo magnetico, in direzione
perpendicolare allo schermo S. Per ottenere le deviazioni desiderate si deve tenere in considerazione la
forza che una carica in moto subisce da parte di un campo magnetico, detta forza di Lorentz:
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questa forza è perpendicolare sia a che a , pertanto per avere le deviazioni il campo magnetico
dev’essere perpendicolare alla direzione del moto degli elettroni. Nell’utilizzare la regola della mano
destra, necessaria per stabilire il verso, si deve tenere conto della carica negativa degli elettroni. In
base a ciò, facendo riferimento alla figura 1.b e tenendo conto che il vettore velocità è perpendicolare
al piano del foglio e uscente, possiamo dedurre che per deviare il fascio in A il campo dev’essere
orizzontale verso sinistra, per deviarlo in B verticale verso l’alto, per deviarlo in C orizzontale verso
destra, per deviarlo in D verticale verso il basso. Riassumiamo i risultati con una figura:
6. Il candidato si riferisca ora alla figura 2 dove tt è la traiettoria del fascio elettronico, r è il raggio
dell'arco di traiettoria compiuto all'interno di Z, δ è l'angolo di deviazione del fascio elettronico.
Si supponga che l'angolo di deviazione sia δ = 30° e che il campo magnetico sia uniforme
all'interno della zona sferica Z, di raggio RZ = 4 cm, e nullo altrove. Il candidato calcoli l'intensità
del vettore che porta a tale angolo di deviazione e ne indichi la direzione e il verso, osservando
che lo schermo è perpendicolare al piano del foglio.
Nella figura 2 l'angolo δ è stato disegnato più grande di 30°con lo scopo di rendere l'immagine più
compatta per facilitarne lo studio.
Constatiamo che i triangoli AOB e ABC sono entrambi isosceli e hanno in comune la base AB. Inoltre
l’angolo
è di 150°, essendo il supplementare di . Con riferimento al triangolo AOB, pertanto,
otteniamo:
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Tenendo conto poi che
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30°, si osserva facilmente che:
Il lato comune AB può essere ricavato utilizzando il teorema dei seni sia considerando il triangolo AOB:
che considerando il triangolo ABC:
uguagliando le due espressioni possiamo ricavare il raggio della traiettoria r:
Per ottenere la traiettoria in figura, il campo dev’essere perpendicolare al piano del foglio e uscente, in
modo che la forza di Lorentz punti verso il centro C della traiettoria. Avendo questa forza il carattere di
forza centripeta, possiamo scrivere:
Notiamo nel testo del problema che il raggio RZ è espresso con una sola cifra significativa, ma di ciò non si è
tenuto conto per non falsare i risultati. Inoltre si è utilizzato nel calcolo il valore della velocità non
arrotondato ricavato classicamente, per poi arrotondare secondo regola a due cifre significative il risultato
ottenuto per il campo. Infine, osserviamo che utilizzando il valore non arrotondato della velocità ottenuta
con metodo relativistico (9,95 ∙ 107 m/s) si otterrebbe per il campo il valore di 3,8 mT, quasi uguale al
precedente.
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