L'effetto fotoelettrico Gli esperimenti di diffrazione, di interferenza e di polarizzazione studiati sembrano dimostrare definitivamente che la luce si comporta come un'onda. Ma altri fenomeni, di cui ora parleremo, mostrano che a volte, nell'interagire con la materia, la luce si comporta piuttosto come un insieme di corpuscoli! Si tratta tuttavia di corpuscoli dalle proprietà ben diverse da quelle dei corpuscoli materiali a cui pensava Newton. Vedremo che la luce si presenta sotto due aspetti: quello ondulatorio e quello corpuscolare, che si manifestano separatamente in fenomeni diversi. L'aspetto corpuscolare della luce viene osservato solo quando essa interagisce con porzioni di materia molto piccole, come singoli atomi oppure singoli elettroni. Uno dei fenomeni che possono essere spiegati solamente ammettendo che la luce si comporti come un insieme di corpuscoli è l’effetto fotoelettrico. Si tratta di questo: quando una superficie metallica viene illuminata si può osservare la fuoruscita di alcuni dei suoi elettroni di conduzione (se la frequenza della radiazione incidente è maggiore di un certo valore). Per mettere in evidenza questo fenomeno si ricorre ad un dispositivo simile a quello illustrato nella figura. L'elettrodo C e l'elettrodo A sono collegati, rispettivamente, ai poli negativo e positivo di un generatore di tensione (batteria). Quando la superficie di C viene illuminata con luce adatta, l’amperometro indica il passaggio di una corrente elettrica. Nei primi esperimenti su questo fenomeno, i due elettrodi erano racchiusi in un'ampolla nella quale era stato fatto il vuoto, e l'elettrodo C veniva irradiato con radiazioni ultraviolette. Per permettere a queste radiazioni di raggiungere C, l'ampolla aveva una «finestra» di quarzo (infatti il vetro comune è opaco alle radiazioni ultraviolette). Si scoprì che: 1. il numero dei fotoelettroni (cioè degli elettroni emessi dalla superficie illuminata) dipende dall'intensità della radiazione incidente; 2. l'energia cinetica massima dei fotoelettroni dipende dalla frequenza della radiazione incidente; 3. al di sotto di una certa frequenza chiamata frequenza di soglia, caratteristica di ogni metallo, non vengono emessi fotoelettroni, anche se la radiazione incidente è molto intensa. Spieghiamo meglio ciascun punto: 1. l’anodo A avendo un potenziale positivo rispetto a C raccoglie gli elettroni emessi da C, all’aumentare del potenziale il valore della corrente aumenta fino a quando tutti gli elettroni emessi sono raccolti da C. Il grafico illustra la situazione: al crescere della tensione cresce la corrente fino ad un valore massimo (corrente di saturazione). 2. Inoltre quando aumenta l’intensità della radiazione luminosa aumenta anche la corrente a causa di una maggiore emissione di fotoelettroni. Questi fatti mal si accordavano con il comportamento ondulatorio della luce. Infatti l'energia trasportata dalle onde cresce con la loro ampiezza, che nel caso della luce è rappresentata dall'intensità; ma l'energia dei fotoelettroni non dipendeva dall'intensità della radiazione. Non si spiegava, inoltre, per quale ragione un'onda anche di debole intensità, pur di avere la frequenza adatta, riuscisse a compiere il lavoro necessario per estrarre gli elettroni dal metallo mentre un'onda di frequenza inferiore, anche se portava molta energia, non riusciva ad estrarne neppure uno. La via d'uscita da questa apparente contraddizione fu indicata da Albert Einstein nel 1905, applicando un'ipotesi proposta nel 1900 da Max Planck: l'energia della radiazione si comporta come se fosse suddivisa in tanti pacchetti