Quaderni di Diritto Privato Europeo
a cura di A. Iannarelli – G. Piepoli – N. Scannicchio
Monografie
1. AMARILLIDE GENOVESE, Conformità al contratto e qualità delle tutele nella
vendita, 2005
2. LAURA COSTANTINO, Le garanzie mobiliari nel sistema agro-industriale, 2005
3. LELIO BARBIERA (a cura di), Urbanistica contrattata e tutela dell’ambiente. Atti
del Convegno di Bari del 4-5-2004, 2007
4. NICOLA SCANNICCHIO (a cura di), I metodi alternativi nella soluzione delle
controversie dei consumatori, 2007
5. GIOVANNI ENRIQUEZ, Contrattazione e trasformazione del territorio, 2008
6. LORENZO MINUNNO, Il trasferimento di clientela tra professionisti, 2008
7. PAOLO PARDOLESI, Promissory Estoppel: affidamento e vincolatività della
promessa, 2009
8. ANTONIO JANNARELLI, Profili giuridici del sistema agro-alimentare tra scesa e
crisi della globalizzazione, 2011
9. NICOLA SCANNICCHIO, Vita e tempi dell’età illiberale. Appalto e concorrenza
tra codice civile ed evidenza pubblica (Il Caso DURC), 2012
10. SARA T OMMASI , Pratiche commerciali scorrette e disciplina dell’attività
negoziale, 2012
Facoltà di Giurisprudenza - Università degli Studi di Bari Aldo Moro
Quaderni di Diritto Privato Europeo
a cura di A. Iannarelli – G. Piepoli – N. Scannicchio
Monografie
10
SARA TOMMASI
PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE
E DISCIPLINA DELL′ATTIVITÀ NEGOZIALE
CACUCCI EDITORE
Bari 2012
PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA
© 2012 Cacucci Editore - Bari
Via Nicolai, 39 - 70122 Bari - Tel. 080/5214220
http://www.cacucci.it e-mail:[email protected]
Ai sensi della legge sul diritto d’autore e del codice civile è vietata la
riproduzione di questo libro o di parte di esso con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilm, registrazioni o altro.
INDICE
5
INDICE
Presentazione
pag. 9
Note introduttive
» 15
CAPITOLO PRIMO
PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE
E RILIEVO GIURIDICO DELL’ATTIVITÀ
1. Pratiche commerciali scorrette e disciplina dell’attività: l’art.
19 cod. cons.
2. Regole dell’attività tra tutela dei singoli e tutela del mercato
3. Modalità dell’attività e ruolo dei codici di condotta
4. Strumenti preventivi di tutela e forme di organizzazione dell’attività
5. Educazione del consumatore e sua tutela nelle scelte negoziali
6. Rilievo giuridico e caratteri dell’attività
7. Attività e procedimento: i diversi modelli dell’agire
8. Pratiche commerciali quali attività destinate ad incidere sulle
scelte dei consumatori
» 17
» 24
» 34
»
»
»
»
40
43
48
49
» 56
CAPITOLO SECONDO
L’AGIRE SECONDO CORRETTEZZA E LA SUA
INCIDENZA SULLE DECISIONI NEGOZIALI
1. Pratiche commerciali scorrette tra diligenza e buona fede
2. «Agente modello» e rilievo delle norme di settore
3. Disciplina delle pratiche commerciali e concezione corporativa
della correttezza professionale
4. L’agire secondo correttezza ex art. 1337 c.c.
5. Rilievo dell’attività diretta ad approdare ad un contatto relazionale e affidamento sul quomodo della condotta: confronto tra
l’agire secondo correttezza ex art. 1337 c.c. e la disciplina delle
pratiche commerciali
6. La tutela del destinatario dell’attività tra obblighi di protezione
e obbligo di prestazione
7. Ruolo centrale dell’agire secondo correttezza tra trattative e
pratiche commerciali
» 59
» 65
» 67
» 73
» 76
» 82
» 87
6
INDICE
CAPITOLO TERZO
RILIEVO DELL’INTERESSE ALLE MODALITÀ
DELLA CONDOTTA EX ART. 1337 C.C.
1. Premessa
2. Il dibattito sull’opportunità di disciplinare il comportamento delle
parti durante le trattative
3. I confini delle trattative
4. Responsabilità precontrattuale ed esiti del procedimento di formazione del contratto
4.1 Responsabilità precontrattuale e conclusione di un contatto
valido
5. Ambito di applicazione soggettivo dell’art. 1337 c.c.
pag. 91
» 95
» 100
» 103
» 108
» 113
CAPITOLO QUARTO
PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE E RIMEDI
1. Protezione del consumatore e risarcimento dell’interesse negativo
2. Interesse legittimo e tutela del consumatore
3. Complessità del quadro rimediale: DCFR, Feasibility Study e
Proposta di Regolamento relativa ad un diritto comune europeo
della vendita
4. Limiti operativi dei rimedi invalidanti
5. Pratiche commerciali scorrette e vizi del consenso
5.1. Errore provocato e dolo
5.2. Ingannevolezza della pratica commerciale e omissione di
informazioni rilevanti
5.3. L’errore nella Proposta di Regolamento relativa a un diritto
comune europeo della vendita
5.4. Pratiche commerciali aggressive e violenza
6. Pratiche commerciali scorrette, rimedio della nullità e rilevanza
della condotta
» 119
» 121
»
»
»
»
126
134
137
139
» 142
» 147
» 150
» 152
CAPITOLO QUINTO
PUBBLICITÀ E VALUTAZIONI DI OPPORTUNITÀ
DEL CONSUMATORE
1. Pubblicità e pratiche commerciali
2. Pubblicità come attività rivolta sia al mercato sia ai singoli
» 161
» 165
INDICE
7
3. La valenza informativa della pubblicità e il carattere vincolante
delle informazioni pubblicitarie: d. lg. n. 79 del 2011 e Proposta di Regolamento relativa ad un diritto comune europeo della
vendita
pag. 172
3.1. Attività pubblicitaria scorretta e danni al consumatore
» 177
4. Scorrettezza nell’attività pubblicitaria e pratiche commerciali
» 181
5. Trattative e pubblicità: il «contatto che apre al contratto»
» 185
Osservazioni conclusive
» 197
PRESENTAZIONE
9
PRESENTAZIONE
9
PRESENTAZIONE
A distanza di molti decenni dalla codificazione civile italiana del
1942, non può negarsi, in una considerazione retrospettiva, che l’effettiva novità intervenuta in quell’occasione, rappresentata dall’introduzione dell’impresa e della sua attività, sia stata per troppo tempo trascurata dalla civilistica italiana nel forgiare le categorie ordinanti su cui da
un lato fondare l’interpretazione del quadro normativo racchiuso nel
nuovo codice civile, dall’altro orientare lo stesso legislatore nei successivi processi legislativi, sì da adeguarne la grammatica e la sintassi, prima ancora delle stesse opzioni circa i contenuti disciplinari da adottare.
Senza alcuna pretesa di rigorosa cronologia è sufficiente rammentare, a titolo significativo, che negli anni sessanta del Novecento, in
cui pur si è manifestata un’indubbia esigenza di rinnovamento della
cultura civilistica italiana, l’acceso dibattito, peraltro ideologicamente orientato, in materia di negozio giuridico ben ha finito col
coesistere, senza traumi, con un generale approccio alla tematica
relativa al controllo delle condizioni generali di contratto, primo piano di indagine e di scoperta del consumerismo e delle esigenze di
tutela dei contraenti deboli. Tale approccio si è rivelato incapace di
emanciparsi dalla prospettiva tradizionale dell’atto e, in definitiva,
non in grado di recuperare sul piano dell’individuazione delle strutture di base della società industriale, il senso e la portata delle “attività” economiche che pur erano alle spalle ed al tempo stesso inglobavano il fenomeno dei c.d. contratti di massa.
Per altro verso, l’unificazione del diritto delle obbligazioni, al centro, prima della svolta del 1942, di un dibattito che avrebbe potuto
condurre ad esiti differenti, è stata, a ben vedere, acquisita per molto
tempo acriticamente, nonostante alcuni isolati caveat della dottrina
commercialistica. Sicché, la tradizionale unitaria prospettiva del negozio
giuridico, per quanto in prevalenza sostituita da quella fondata sul contratto, ha, a sua volta, reso “invisibile” all’interprete la fenomenologia
10
PRESENTAZIONE
dell’attività economica, e, dunque, rafforzato la cornice concettuale costruita sul paradigma del contratto isolato. Cornice, quest’ultima, che
l’intervento dello Stato nell’economia, nella prospettiva del welfare
state, non ha, a sua volta, scalfito in quanto il controllo e la conformazione dell’autonomia privata sono stati per lungo tempo indifferenti al
funzionamento corretto del mercato e dei suoi procedimenti operativi,
per concentrarsi sostanzialmente nella correzione dei soli esiti terminali
delle singole operazioni economiche, sotto forma sempre e comunque
di misure destinate ad incidere sui singoli contratti, secondo le tecniche
dell’integrazione e della sostituzione di alcune clausole negoziali.
In realtà, la mancata percezione da parte della dottrina della pluralità
dei registri ermeneutici che la codificazione civile del 1942 assicurava
e, in definitiva, delle falle pur presenti nell’unificazione del diritto
delle obbligazioni, non è stata causata soltanto dall’egemonia di modelli culturali acquisiti dal mondo giuridico italiano nel corso del
primo Novecento sulla scia della pandettistica tedesca. A ben vedere,
la resistenza e persistenza del quadro tradizionale anche nei decenni
che pur hanno registrato il rinnovamento della cultura civilistica, sono legate, a nostro avviso, alle particolari congiunture storiche che
hanno contraddistinto la nostra esperienza per buona parte della seconda metà del Novecento. In termini oltremodo sintetici e schematici,
può dirsi che l’ideologia per molti decenni egemone nella legislazione e
nella riflessione giuridica, tanto quella di indirizzo marxista quanto quella
fondata sul solidarismo cattolico, ha condiviso una valutazione pregiudizialmente negativa dell’attività economica orientata al profitto, anche
sull’indimostrato presupposto circa l’impossibilità del diritto di incidere sul potere dell’impresa. Di conseguenza, sia la riflessione
della dottrina giuridica privatistica sia la legislazione speciale si
sono concentrate non tanto sull’attività economica e sulle sue modalità esplicative, quanto sugli interventi correttivi successivi al suo
libero svolgimento, per lo più incentrati sui contenuti dei contratti
di consumo al fine di porre rimedio agli effetti ritenuti socialmente
più inappaganti. Per altro verso, la cultura giuridica di ispirazione
liberale, per ragioni difensive dei propri paradigmi di base, ha concentrato la sua attenzione sulla tutela e valorizzazione dell’autonomia privata in una prospettiva quanto mai semplificata, incentrata esclusivamente sul solo contratto, rectius sulla libertà di contratto, come tale in grado di includere, senza necessarie differenziazioni strutturali e funzionali, anche l’attività economica, sì da rimane-
PRESENTAZIONE
11
re di conseguenza indifferente ai problemi relativi alla corretta funzionalità del mercato competitivo.
Ebbene, l’inadeguatezza di questo complessivo atteggiamento ermeneutico, che a sua volta ha inciso per molti decenni sulle scelte di politica del diritto adottate dal legislatore nazionale, è entrato inevitabilmente
in crisi allorquando il diritto privato di origine comunitaria si è andato
progressivamente sviluppando al fine di strutturare giuridicamente il
mercato unico interno al territorio europeo e, a tale riguardo, ha fatto
perno su una sempre più articolata disciplina relativa a taluni specifici
mercati od operazioni economiche: il tutto in vista della promozione di
un’effettiva concorrenza tra le imprese dei diversi paesi europei coinvolti
chiamate ad operare in un contesto regolativo tendenzialmente armonizzato se non uniforme. A questo nuovo scenario corrispondeva peraltro
una visione positiva se non ottimistica del mercato e della libera competizione, ormai ritenuti meritevoli di rilievo costituzionale. Nel suo ambito il
binomio atto-attività, formalmente presente nel lessico della nostra codificazione civile del 1942, si è presentato come una preziosa chiave di lettura
del processo legislativo prepotentemente accentuatosi in sede europea a
partire dall’ultimo decennio del secolo scorso. Ed invero è a tale processo
che si legano, in definitiva, anche gli sviluppi della nostra stessa legislazione nazionale, con particolare riferimento tanto all’emergere di numerosi
testi unici e “codici” destinati a favorire il funzionamento di specifici mercati, tra cui continua a spiccare – sia pure non più in termini esclusivi –
quello del consumo, quanto alla rinnovata discussione sulla portata ed il
senso della disciplina unitaria delle obbligazioni e dei contratti: discussione, esemplarmente rappresentata, nel contesto municipale, dalla problematica del c.d. “terzo contratto” e, nel contesto europeo, dal singolare rilancio
di progetti di codificazione generale in materia contrattuale.
La riflessione sui più recenti sviluppi della legislazione nazionale
ispirata dalla normativa di fonte europea presente nel lavoro monografico di Sara Tommasi costituisce un primo contributo volto appunto a
cogliere in maniera sistematica la valenza ordinante che il riferimento
all’attività e alla sua relativa disciplina ben può assumere nell’interpretazione sia della legislazione speciale sia dello stesso diritto codificato aventi ad oggetto le pratiche negoziali, al di là della tradizionale
impostazione basata sul contratto isolato. Nella prospettiva adottata
dall’autrice viene alla luce in maniera nitida la specifica configurazione strutturale e funzionale dell’attività economica esercitata professionalmente e in forma di impresa cui ben si legano e rinvengono pieno
12
PRESENTAZIONE
senso e significato disposizioni e regole adottate negli ultimi tempi dal
legislatore nazionale. Infatti, un fondamentale carattere funzionale
dell’attività economica esercitata in forma di impresa è di essere relazionale, ossia orientata a collocare sul mercato i risultati dei processi
produttivi. Come dire, dunque, che non esiste un unico registro con
cui configurare giuridicamente l’attività, posto che, a titolo esemplificativo, mentre nel possesso, ossia nella situazioni di godimento,
l’attività rileva per tutelare il solo soggetto che la pone in essere e di
cui i terzi sono spettatori e testimoni, nell’attività economica esercitata
in forma di impresa, la proiezione relazionale verso i terzi è ad essa
connaturata nella logica propria del mercato. In questo senso, la disciplina dell’attività da un lato assume rilievo specifico in funzione della tutela dei terzi destinatari dei processi di commercializzazione dei beni e
dei servizi offerti, in un quadro pur sempre di confronto corretto con gli
altri operatori economici che agiscono in competizione tra loro, dall’altro
assume, anche nella particolare funzione di collocazione sul mercato di
beni e servizi, un rilievo pur sempre autonomo e non riducibile, pena la
sua stessa negazione, a quella applicabile ai singoli isolati atti negoziali
alla cui conclusione essa è indubbiamente diretta. In altre parole, in presenza di una attività di impresa, il processo della negoziazione, cui si indirizza l’operatore economico, acquista, in ragione proprio del suo carattere di massa, un rilievo autonomo e temporalmente anticipato rispetto
alle singole effettive operazioni negoziali.
Sotto questo profilo, l’angolo di osservazione prescelto si rivela oltremodo prezioso per cogliere da un lato i legami profondi tra le strategie
alla base delle tecniche della commercializzazione di beni e di servizi e la
stessa pubblicità commerciale, dall’altro la complessità che lo strumentario
tecnico giuridico presenta, pur anche nella apparente univocità di alcuni
dati disciplinari – si pensi a titolo esemplificativo alla correttezza nelle trattative ex art.1337 cod. civ. – secondo che sia di fronte ad atti negoziali isolati posti in essere dai privati ovvero ad una attività economica indirizzata
ad una collettività di destinatari finali. Per quanto attiene a questa ultima,
peraltro, è proprio la sua incidenza di massa da un lato a favorire l’individuazione di specifici interessi collettivi da tutelare, dall’altro a giustificare
tecniche di tutela collettiva anche preventive, ossia in grado di intervenire
ancor prima che l’attività preparatoria della commercializzazione si sia
esaurita avendo trovato sbocco nella stipula dei singoli contratti.
Nella prospettiva ricostruttiva che il libro convincentemente delinea
le tecniche di tutela destinate al singolo atto negoziale e quelle dettate per
PRESENTAZIONE
13
la stessa attività economica con riferimento alla negoziazione coesistono
e si integrano e al tempo stesso ben si articolano secondo che si sia di
fronte ai rapporti presenti nei mercati finali, in cui è coinvolto il consumatore finale, ovvero a rapporti tra operatori economici collocati su piani
diversi delle filiere produttive: il tutto nel segno comune offerto dall’inesauribile ricchezza che il diritto privato continua a registrare e che
spetta agli interpreti saper cogliere ed ordinare.
ANTONIO JANNARELLI
14
PRESENTAZIONE
NOTE INTRODUTTIVE
15
NOTE INTRODUTTIVE
La disciplina relativa alle pratiche commerciali scorrette rappresenta una preziosa occasione per arricchire il dibattito sui rapporti tra
attività e atto e sulla valutazione delle condotte nella fase che precede
quella di eventuale stipulazione di un contratto. In questa sede ci si
propone di affrontare i problemi riguardanti la dinamica di tali condotte e l’interesse a che non siano falsate le decisioni economiche dei
soggetti che ne sono destinatari.
Segnatamente, si partirà dall’analisi delle norme sulle pratiche
commerciali, soffermandosi sulla espressa esclusione della materia
contrattuale dall’ambito di applicazione della disciplina in oggetto e
sul tentativo di responsabilizzare lo svolgimento dell’attività attraverso il divieto di comportamenti scorretti.
Utile si presenta, altresì, una rilettura delle disposizioni in tema di
pubblicità commerciale per verificare la possibilità di riscontrare, anche in tal caso, il rilievo giuridico di una dinamica diretta ad approdare ad un contatto relazionale e tale da poter alterare le valutazioni di
opportunità del consumatore.
Oltre che sugli elementi di novità delle recenti normative, si impone
l’indagine su alcuni aspetti di continuità con il passato, riguardanti, nello
specifico, l’art. 1337 c.c. quale modello di governo di talune situazioni di
contatto determinate dall’oggettivo svolgersi di condotte. Ciò presuppone
una valorizzazione delle potenzialità applicative dell’art. 1337 c.c. che
già parte della dottrina classica, sia pure avendo come unico punto di riferimento le previsioni codicistiche, aveva cercato di evidenziare.
Alla luce delle innovazioni apportate dal diritto comunitario,
l’attenzione alle modalità di svolgimento delle condotte sembra foriera
di sviluppi interessanti, sia con riferimento alla disciplina sulle pratiche commerciali sia in relazione ad alcuni interrogativi che hanno tradizionalmente riguardato l’art. 1337 c.c.
Quanto al primo aspetto, sarà utile analizzare in che misura la tutela prevista dal codice civile, per il destinatario delle informazioni
necessarie nel corso di una trattativa, possa coprire i vuoti normativi
lasciati dalle norme di derivazione comunitaria, proprio sul piano microeconomico della protezione dei singoli.
16
NOTE INTRODUTTIVE
Riguardo al secondo aspetto, si possono ridimensionare alcune
tralatizie criticità inevitabilmente legate ad un rigido dogmatismo e riguardanti: i confini delle trattative; il recesso dalle stesse; i rapporti tra
responsabilità precontrattuale e contratto valido; l’ambito di applicazione soggettivo dell’art. 1337 c.c.
L’abbandono della centralità della logica dell’atto suggerisce, altresì, un nuovo approfondimento del tema delle trattative non solo per
i profili che solitamente sono stati evidenziati, ma anche per l’idoneità
a svelare il rilievo, nel diritto privato, di dinamiche non riconducibili
ai rigidi schemi del procedimento.
PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE E DECISIONI NEGOZIALI DEL CONSUMATORE
17
CAPITOLO PRIMO
PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE
E DECISIONI NEGOZIALI DEL CONSUMATORE
SOMMARIO: 1. Pratiche commerciali scorrette e disciplina dell’attività: l’art. 19 cod.
cons. - 2. Regole dell’attività tra tutela dei singoli e tutela del mercato. - 3. Modalità
dell’attività e ruolo dei codici di condotta. - 4. Strumenti preventivi di tutela e forme di organizzazione dell’attività. - 5. Educazione del consumatore e sua tutela
nelle scelte negoziali. - 6. Rilievo giuridico e caratteri dell’attività. - 7. Attività e
procedimento: i diversi modelli dell’agire. - 8. Pratiche commerciali quali attività
destinate ad incidere sulle scelte dei consumatori.
1. Pratiche commerciali scorrette e disciplina dell’attività: l’art. 19
cod. cons.
Con il d.lg. 2007 n. 146, che ha dato attuazione alla direttiva
2005/29/Ce e modificato gli articoli dal 18 al 27 quater del codice del consumo, hanno fatto ingresso nell’ordinamento italiano le norme sulle pratiche commerciali. Segnatamente, ci si riferisce, ex art. 18, lett. d) cod. cons.,
a «qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione
commerciale ivi compresa la pubblicità e la commercializzazione del prodotto, posta in essere da un professionista, in relazione alla promozione,
vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori».
Viene in rilievo una dimensione più ampia rispetto a quella propria dei concetti giuridici ai quali siamo tradizionalmente abituati1. Si
1
La necessità di fare chiarezza sui concetti giuridici, nella misura utile a individuare il corretto funzionamento del mercato interno e a soddisfare il requisito della certezza
del diritto, emerge già dai considerando della direttiva 2005/29/Ce. Si veda, in particolare, il numero 5). Sulle categorie concettuali «normalmente assunte come “fatti” immodificabili, anziché come strumenti, sempre mutevoli, offerti all’operatore (anzi, da lui stesso creati) in funzione delle sue necessità applicative», si rimanda a R. NICOLÒ, Riflessioni sul tema dell’impresa e su talune esigenze di una moderna dottrina del diritto civile,
in Riv. dir. comm., 1956, p. 181. L. MENGONI, Ermeneutica e dogmatica giuridica. Saggi,
Milano, 1996, p. 47, avverte che non si può rinunciare ad un’applicazione del diritto controllata da concetti sistematici. Occorre, però, non fermarsi alla deduzione di conoscenze
già acquisite e contribuire ‹‹anche alla funzione (conoscitiva) di ricerca di nuovi modelli
di decisione››. Quanto al dibattito sul punto cfr. G. VETTORI, Anomalie e tutele nei rapporti di distribuzione fra imprese, Milano, 1983, p. 5; P. PERLINGIERI, Nuovi profili del
contratto, in Riv. crit. dir. priv., 2001, p. 227; N. LIPARI, Introduzione alla prima edizione, in N. LIPARI (a cura di), Tratt. dir. priv. eur., I, Padova, 2003, p. 9; ID., Prolegomeni
ad uno studio delle categorie del diritto civile, in Riv. dir. civ., 2009, p. 515; V. MANNI-
18
CAPITOLO PRIMO
tratta, infatti, di azioni, omissioni, condotte o dichiarazioni che si pongono al centro di una disciplina che non riguarda esclusivamente gli atti2.
Le pratiche commerciali, ex art. 20 cod. cons., sono scorrette e, in
quanto tali, vietate3, se contrarie alla diligenza professionale e false o
idonee a falsare, in misura apprezzabile, il comportamento economico
del consumatore4.
NO,
Considerazioni intorno a una presunta pandettistica di ritorno, in Eur. dir. priv.,
2005, p. 373; V. SCALISI, Assiologia e teoria del diritto (rileggendo Rodolfo De Stefano)
in Riv. dir. civ., 2010, p. 3; D. MESSINETTI, Per un’ecologia della modernità: il destino dei
concetti giuridici. L’apertura di R. Nicolò a situazioni complesse, in Riv. crit. dir. priv.,
2010, p. 23. Con particolare riferimento alle norme di derivazione comunitaria si vedano
E. BARGELLI, I codici di condotta, in G. DE CRISTOFARO (a cura di), Le ‹‹pratiche commerciali sleali›› tra imprese e consumatori, Torino, 2007, p. 76; G. ALPA e G. CONTE,
Riflessioni sul progetto di Common frame of reference e sulla revisione dell’Acquis
communautaire, in Riv. dir. civ., 2008, I, p. 141; A. GENTILI, I concetti nel diritto privato
europeo, in Riv. dir. priv., 2010, p. 76 1; N. LIPARI, Categorie civilistiche e diritto di fonte comunitaria, in A.M. GAMBINO (a cura di), Rimedi e tecniche di protezione del consumatore, Torino, 2011, p. 139. Sempre attuale, inoltre, è l’avvertimento di R. JHERING,
Geist des römischen Rechts, Leipzig, 1888, p. 321, ove si afferma che ‹‹Das Leben ist
nicht der Begriffe, sondern die Begriffe sind des lebens wegen da››.
2
Sono maturi i tempi per valorizzare alcuni aspetti spesso evidenziati da parte della
dottrina, ma rimasti sullo sfondo dell’impianto concettuale tradizionale. Si veda P. FERROLUZZI, I contratti associativi, Milano, 1971, p. 203. L’Autore afferma che la normativa
dei comportamenti ne può concernere i diversi aspetti ‹‹senza dover necessariamente potersi totalmente risolvere nelle classiche categorie dell’atto e del diritto soggettivo». Cfr.,
su tale prospettiva, P. SPADA, La rivoluzione copernicana (quasi una recensione tardiva
ai Contratti Associativi di Paolo Ferro Luzzi, in Riv. dir. civ., 2008, p. 144. Per l’attenzione al comportamento come figura generale, funzionale alla tutela di interessi rilevanti
per l’ordinamento e in grado di integrare i criteri della classificazione giuridica si veda
A. FALZEA, Fatto giuridico, in Enc. dir., Milano, 1967, XVI, p. 941. N. IRTI, Concetto
giuridico di “comportamento”, e invalidità dell’atto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2005, p.
1055, invita a non trascurare che l’agire, incapace di elevarsi ad atto giuridico, e perciò
rimasto a rango di semplice comportamento, può aver leso interessi rilevanti per il diritto.
3
Il divieto si presta ad essere considerato null’altro che il corrispondente “in negativo” del precetto “positivo” dell’agire leale. Divieto “unico”, “generale” e “comune”.
Sul punto, ampiamente, G. DE CRISTOFARO, Il divieto di pratiche commerciali sleali. La
nozione generale di pratica commerciale «sleale» e i parametri di valutazione della «slealtà» in G. DE CRISTOFARO (a cura di), Le ‹‹pratiche commerciali sleali››, cit., p. 110.
4
D. PARROTTA, Escluse le dichiarazioni esagerate dal novero delle pratiche scorrette, in Guida dir., 2007, n. 39, p. 30. Quanto al rapporto tra contrarietà della pratica alla
diligenza professionale e idoneità della stessa a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico del consumatore, cfr. la Relazione illustrativa della proposta di direttiva presentata dalla Commissione nel 2003, n. 53, p. 14. Sul punto si rimanda a G. DE
CRISTOFARO, Il divieto di pratiche commerciali sleali, cit., p. 113; ID., Le pratiche commerciali sleali nei rapporti fra professionisti e consumatori: il D.legisl. n. 146 del 2 agosto 2007, attuativo della direttiva 2005/29/CE, in Studium iuris, 2007 p. 1181; ID., La
nozione generale di pratica commerciale ‹‹sleale›› nella direttiva 2005/29/CE, in Studi
in onore di Nicolò Lipari, I, Milano, 2008, p. 739; P. AUTERI, Introduzione: un nuovo
diritto della concorrenza sleale?, in A. GENOVESE (a cura di), I decreti legislativi sulle prati-
PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE E DECISIONI NEGOZIALI DEL CONSUMATORE
19
Vi è poi la specifica definizione delle pratiche commerciali ingannevoli e aggressive5. Le prime si distinguono, a loro volta, in azioni, omissioni e pratiche considerate in ogni caso ingannevoli; le seconde, oltre a
potersi sostanziare in quelle considerate sempre aggressive, comportano il ricorso a molestie, coercizioni o indebiti condizionamenti6.
Il termine pratica è quasi sconosciuto al nostro ordinamento7 e
rappresenta un quid novi anche per altri sistemi nazionali8; fa eccezione, invero, quello inglese che conosce il Fair Trading Act 1973, relativo a qualunque prassi commerciale unfair adottata dalle imprese nei
confronti dei consumatori9. Nell’ordinamento comunitario, invece, tale termine si trova nell’art. 81 §§ 1 e 3 del Trattato Ce (ora 101 Trattato FUE), dettato in materia di norme comuni sulla concorrenza10.
che commerciali scorrette. Attuazione e impatto sistematico della direttiva 2005/29/CE, Padova, 2008, p. 15; M. LIBERTINI, Clausola generale e disposizioni particolari nella disciplina delle pratiche commerciali scorrette, in Contr. impr., 2009, p. 28; N. ZORZI, Le pratiche scorrette a danno dei consumatori negli orientamenti dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in Contr. impr., 2010, p. 433 ID., Il controllo dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato sulle pratiche commerciali ingannevoli ed aggressive a danno dei consumatori, ibidem, p. 671; N. ZORZI GALGANO, Il contratto di
consumo e la libertà del consumatore, Padova, 2012, p. 101.
5
Le pratiche ingannevoli e aggressive sono ritenute categorie speciali nelle quali
possono concretizzarsi le pratiche commerciali scorrette cfr. G. DE CRISTOFARO, Il divieto di pratiche commerciali sleali, cit., p. 116. L. DI NELLA, Le pratiche commerciali sleali ‹‹aggressive››, in G. DE CRISTOFARO (a cura di), Le ‹‹pratiche commerciali sleali››,
cit., p. 216. Sul rapporto tra le distinte sottocategorie di pratiche con la previsione generale dell’art. 20 cod. cons. si sofferma M. LIBERTINI, Clausola generale, cit., p. 28.
L’Autore considera la previsione in oggetto come disposizione di principio su cui deve
fondarsi l’interpretazione dell’intera disciplina. Sul punto cfr. F. MASSA, Pratiche commerciali scorrette, in Enc. giur. Treccani, Roma, XVI, p. 1; A. STAZI, Pratiche commerciali scorrette, ingannevoli e aggressive, in Dir. prat. soc., 2010, p. 5.
6
Sulle diverse tipologie di pratiche si vedano S. BASTIANON, La tutela del consumatore alla luce delle nuove norme legislative e regolamentari in materia di pratiche commerciali sleali, in Resp. civ. prev., 2008, p. 144; E. CAPOBIANCO e G. PERLINGIERI (a cura di),
Codice del consumo annotato con la dottrina e la giurisprudenza, Napoli, 2009, p. 72.
7
Sul carattere poco definito della nozione di pratica si rimanda a V. MELI, L’applicazione della disciplina delle pratiche commerciali scorrette nel ‹‹macrosettore credito e
assicurazioni››, in Banca borsa tit. cred., 2011, p. 334. L’Autore afferma che la nozione
di pratica commerciale è tale da comprendere ogni forma di contatto sia effettivo, sia meramente potenziale, tra professionista e consumatore.
8
Si trova, però, nell’art. 2 della legge 1990 n. 287, ove si prevede che ‹‹sono considerate intese gli accordi e/o le pratiche concordati tra imprese››. Tali pratiche comportano un’alterazione della concorrenza mediante comportamenti fattuali, posti in essere coscientemente da più imprese in mancanza di una preventiva convenzione. In questo senso
E. SCODITTI, Il consumatore e l’ antitrust, in Foro it., 2003, c. 1127.
9
L. DI NELLA, Le pratiche, cit., p. 216.
10
R. PARDOLESI, Il contratto e il diritto della concorrenza, in G. GITTI (a cura di),
L’autonomia privata e le autorità indipendenti, Bologna 2006, p. 163; A. PERA, La diret-
20
CAPITOLO PRIMO
Al di là dai problemi terminologici, preme soffermarsi sulla logica
dinamica che pervade la disciplina in oggetto. Al riguardo, le disposizioni da richiamare sono molteplici, oltre a quanto già detto circa l’art. 18
cod. cons. e al suo riferirsi ad azioni, omissioni, condotte e non ad atti.
Il dato evidenziato è avvalorato in particolare: dalla previsione
dell’art. 19 cod. cons.; dal ruolo assegnato ai codici di condotta; dalla
peculiare attenzione agli strumenti preventivi di tutela.
Quanto al primo aspetto, l’art. 192 lett. a) cod. cons. sancisce che
le nuove disposizioni non pregiudicano l’applicazione del diritto contrattuale11, in particolare delle norme sulla formazione, validità o efficacia di un contratto12.
Non è da escludere che la necessità di tale previsione sia legata
all’esigenza di specificare che si è di fronte alla disciplina di un’attività13. D’altronde è difficile spiegarne diversamente il significato.
tiva sulle pratiche commerciali sleali tra tutela del consumatore e disciplina della concorrenza, in Riv. dir. civ., 2008, p. 485.
11
Sugli aspetti problematici collegati a tale previsione cfr. M.C. CHERUBINI, Pratiche commerciali ingannevoli ed effetti sul contratto: alcune osservazioni ed un’ipotesi,
in AA.VV., Liber amicorum per Francesco D. Busnelli, Il diritto civile tra principi e regole, Milano, 2008, p. 449; G. DE CRISTOFARO, La direttiva n. 05/29/CE e l’armonizzazione completa delle legislazioni nazionali in materia di pratiche commerciali sleali,
in Nuova giur. civ. comm., 2009, p. 1061; C. TENELLA SILLANI, Pratiche commerciali
sleali e tutela del consumatore, in Obbl. contr., 2009, p. 775; C. CAMARDI, Pratiche
commerciali scorrette e invalidità, in Obbl. contr., 2010, p. 408.
12
E. MINERVINI, Codice del consumo e direttiva sulle pratiche commerciali sleali,
in E. MINERVINI e L. ROSSI CARLEO (a cura di), Le pratiche commerciali sleali. Direttiva
comunitaria ed ordinamento italiano, Milano, 2007, p. 82, afferma, con riferimento alla
corrispondente previsione della direttiva, che l’interprete ha la sensazione di trovarsi in
presenza di ‹‹una sorta di excusatio non petita››. Parte della dottrina giustifica la scelta
del legislatore comunitario con la volontà di non interferire con i lavori di elaborazione
del diritto europeo dei contratti. Si vedano, in particolare, S. AUGENHOFER , Ein
“Flickenteppich” oder doch der “große Wurf”, in Zeitschr. Rechtsvergl., 2005, p. 207;
S. WHITTAKER, The Relationschip of the Unfair Commercial Practices Directive to
European and National Contract Laws, in AA.VV., The Regulation of Unfair Commercial
practices under EC Directive 2005/59/CE. New Rules and New Techniques, Oxford,
2007, p. 145; G. DE CRISTOFARO, Le conseguenze privatistiche della violazione del divieto di pratiche commerciali sleali: analisi comparata delle soluzioni accolte nei dirittinazionali dei paesi UE, in Rass. dir. civ., 2010, p. 881, nota 4.
13
Cfr. G. VIGORITI, Verso l’attuazione della direttiva sulle pratiche commerciali
sleali, in Eur. dir. priv., 2007, p. 527; P. AUTERI, Introduzione, cit., p. 15; L. ROSSI CARLEO, Consumatore, consumatore medio, investitore e cliente: frazionamento e sintesi nella disciplina delle pratiche commerciali scorrette, in Eur. dir. priv., 2010, p. 703, ritiene
che la recente introduzione della disciplina sulle pratiche commerciali scorrette imponga,
ancora di più, di spostare l’attenzione dall’atto all’attività.
PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE E DECISIONI NEGOZIALI DEL CONSUMATORE
21
Si afferma, infatti, che l’art. 192 lett. a) cod. cons. non può impedire che la normativa generale del contratto continui a trovare applicazione ai rapporti fra consumatori e professionisti14.
Per altro verso, non è pensabile che l’applicazione della disciplina
generale dei contratti possa in futuro rimanere totalmente insensibile
ed impermeabile ai precetti del cod. cons.15.
14
Ciò è, infatti, ovvio e scontato. In questi termini G. DE CRISTOFARO, Le pratiche
commerciali sleali, cit., p. 1194. Quanto al dibattito sul ruolo della normativa generale
del contratto prevista dal codice civile si rimanda a F. ADDIS, Il ‹‹codice›› del consumo, il
codice civile e la parte generale del contratto, in F. RUSCELLO (a cura di), Studi in onore
di Davide Messinetti, I, Napoli, 2008, p. 15; V. BUONOCORE, Problemi di diritto commerciale europeo, in Giur. comm., 2008, p. 3; G. VETTORI, Il diritto dei contratti fra Costituzione, codice civile e codici di settore, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2008, p. 751; ID.,
Diritto privato e ordinamento comunitario, Milano, 2009, p. 152; G. ALPA e G. CONTE, Gli obblighi informativi precontrattuali nei contratti di investimento finanziario. Per
l’armonizzazione dei modelli regolatori e per l’unificazione delle regole di diritto comune, in Contr. impr., 2008, p. 902; ID., Riflessioni, cit., p. 164. Ivi si legge che ‹‹quello che
nella prospettiva di un diritto nazionale potrebbe essere giudicata una disciplina settoriale
sembra in grado di acquistare, nell’ambito della risistemazione imposta dalla prospettiva
comunitaria, un valore e un rilievo inopinati››. Il tema è approfondito da P. PERLINGIERI,
Nuovi profili del contratto, cit., p. 227; R. DI RAIMO, Contratto e gestione indiretta di
servizi pubblici. Profili dell’«autonomia negoziale» della pubblica amministrazione, Napoli, 2000, p. 189. Sul punto cfr. M. GORGONI, Regole generali e regole speciali nella
disciplina del contratto, Torino, 2005, p. 32. Con riferimento al diritto francese si veda J.
ROCHFELD, La “communautarisation” du droit contractuel interne: de l’influence des notions forge par le droit communautaire en général, et de delle de sanction en particulier,
in Rev. de contrats, 2007, p. 223. Per un confronto con l’esperienza degli altri paesi europei si rimanda S. PATTI, Parte generale del contratto e norme di settore nelle codificazioni, in Studi in onore di Nicolò Lipari, II, Milano, 2008, p. 2207.
15
Ciò sarebbe assurdo, ingiustificato e irrealistico. Così G. DE CRISTOFARO, op.
loc. ult. cit.; P. AUTERI, Introduzione, cit., p. 11; P. PERLINGIERI, Nuovi profili del contratto, cit., p. 226, nota che sembra arduo pensare che gli atti negoziali individuali possano restare non coinvolti dal nuovo clima culturale e soprattutto da una serie di regole e
principi che, nati a salvaguardia di esigenze scaturite dalla tutela del consumatore, introducono nel sistema, considerato appunto nella sua unitarietà, una più adeguata e ragionevole protezione degli interessi. N. SCANNICCHIO, Mercato comune, mercato unico e tecniche di integrazione del diritto privato in Europa, in Riv. crit. dir. priv., 2002, p. 421,
afferma che il diritto comunitario è già intervenuto sul diritto privato in termini tali da
scatenare conseguenze di sistema che, per quanti sforzi si facciano, non è possibile limitare ad ipotesi particolari. Sulla necessità di intendere il diritto dei consumatori non come
una rottura interna al sistema, ma quale modernizzazione del diritto generale dei contratti, si veda P. SIRENA, Il codice civile e il diritto dei consumatori, in Nuova giur. civ.
comm., 2005, II, p. 277; G. CIAN, Introduzione ai temi del convegno. “Il diritto delle obbligazioni e dei contratti”, in Riv. dir. civ., 2006, p. 10, sia pure in una prospettiva più
ampia, e non riguardante le pratiche commerciali, riflette sulla circostanza che
l’evoluzione della vita sociale ed economica, valutata sia sul piano nazionale che internazionale, le trasformazioni del processo di integrazione europea rendono dubitabile a
priori che le singole norme e le discipline dei diversi istituti conservino sostanzialmente
intatti funzionalità e valore.
CAPITOLO PRIMO
22
Neppure può ritenersi che l’espressione “non pregiudica” possa
essere intesa come equivalente di “non ha alcun tipo di ricadute”16.
Dall’art. 192 deve desumersi che le pratiche commerciali sono attività connesse alla promozione, conclusione ed esecuzione dei contratti e, anche quando si esplicano in dichiarazioni o manifestazioni di
volontà rilevanti per la conclusione di un contratto, vengono prese in
considerazione ‹‹non già ai fini della formazione, validità, o efficacia
di un contratto e quindi ai fini della disciplina dei contratti, bensì solo
come comportamenti illeciti da prevenire e reprimere››17.
L’attenzione per i profili attinenti allo svolgimento di un’attività è
desumibile anche dalla circostanza che le norme in oggetto attribuiscono un ruolo centrale alla fase non esattamente inquadrabile in quella negoziale propriamente detta, ma che attiene, piuttosto, alla sola
comunicazione commerciale, comunque questa avvenga18.
È pratica scorretta, infatti, qualsiasi comportamento commerciale19 tenuto dal professionista20 nello svolgimento della propria attività
16
In questo senso M.R. MAUGERI, Pratiche commerciali sleali e disciplina generale dei contratti, in A. GENOVESE (a cura di), I decreti, cit., p. 268. L’Autrice ritiene che,
con riferimento al contesto della direttiva, «il “non pregiudica il diritto dei contratti” non può
che essere inteso come equivalente a “incide sul diritto dei contratti se e nei modi che i diversi
ordinamenti sceglieranno espressamente o tacitamente attraverso il rinvio al sistema”››. A.
GENTILI, Pratiche sleali e tutele legali: dal modello economico alla disciplina giuridica, in
Riv. dir. priv., 2010, p. 42, afferma che le norme in tema di pratiche commerciali sono particolarmente importanti perché legittimano un ripensamento del diritto interno.
17
P. AUTERI, Introduzione: un nuovo diritto della concorrenza sleale?, cit., p. 11.
18
Cfr. G. SCOGNAMIGLIO, Le pratiche commerciali scorrette: disciplina dell’atto o
dell’attività, in Nuovo dir. soc., 2010, p. 8; P. BARTOLOMUCCI, La proposta di direttiva
sulle pratiche commerciali sleali: note a prima lettura, in Contratti, 2005, p. 958; L. DI
NELLA, Le pratiche, cit., p. 225; ID., Il controllo di lealtà delle pratiche commerciali, in
G. CAVAZZONI, L. DI NELLA, L. MEZZASOMA, V. RIZZO (a cura di), Il diritto dei consumi. Realtà e prospettive, Napoli, 2008, p. 241.
19
Ad imprenditori e liberi professionisti è richiesto lo sforzo di adeguare ogni condotta di mercato alle nuove regole introdotte in attuazione del provvedimento comunitario. La difficoltà di tale sforzo, che interessa le condotte prima ancora che singoli atti,
giustifica l’ampia vacatio legis che si è concessa agli Stati membri prima della entrata in
vigore delle norme in oggetto. Si vedano, sul punto, G. DE CRISTOFARO, La difficile attuazione della direttiva 2005/29/CE concernente le pratiche commerciali sleali nei rapporti fra imprese e consumatori: proposte e prospettive, in Contr. impr./Eur., 2007, p. 2;
S. BASTIANON, La tutela del consumatore, cit., p. 1467.
20
E. GUERINONI, La direttiva sulle pratiche commerciali sleali. Prime note, in Contratti, 2007, p. 174, in sede di analisi della direttiva 2005/29/Ce, evidenziava l’improprio
riferimento, dell’art. 3 della stessa, all’impresa come controparte del consumatore, essendo più appropriato il riferimento al professionista. In questo senso si è, infatti, orientato successivamente il d.lg. 2007 n. 146. L’Autore notava, opportunamente, che la scelta
terminologica della direttiva non trovava corrispondenza nella parte relativa alle definizioni − non essendo presente alcuna definizione di impresa ma quella più tradizionale di
PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE E DECISIONI NEGOZIALI DEL CONSUMATORE
23
di offerta di prodotti e servizi al pubblico, compreso il mero contatto
instaurato con la pubblicità e con la presentazione del prodotto. Lo si
evince chiaramente dal considerando n. 13 della direttiva 2005/29/Ce
ai sensi del quale, per sostenere la fiducia da parte dei consumatori, il
divieto generale delle pratiche commerciali sleali deve applicarsi anche quando le stesse si verifichino all’esterno di un eventuale rapporto
contrattuale tra un professionista ed un consumatore21.
In analoga direzione, si colloca l’art. 19 del codice del consumo,
allorché prevede che le norme del titolo III si applicano anche alle pratiche commerciali scorrette tra professionisti e consumatori22 poste in
essere prima di, oltre che durante e dopo, un’operazione commerciale
relativa ad un prodotto23.
Non ci si occupa, dunque, della tutela del singolo atto di consumo,
ma di proteggere il consumatore ancor prima dell’accordo24, spostando l’attenzione dallo specifico atto negoziale alle modalità di svolgimento dell’attività da parte degli operatori economici25 .
professionista − ed era più ristretta di quella usuale in ambito consumeristico, ove si fa in
genere riferimento alla controparte professionale.
21
G. DE CRISTOFARO, Il divieto di pratiche commerciali sleali, cit., p. 110, nota 5,
afferma che le parole del considerando 13) evidenziano che il divieto opera anche rispetto a pratiche commerciali poste in essere nei confronti di un consumatore che non sia già
legato al professionista da un rapporto contrattuale precedentemente instaurato, fermo
restando che in queste ipotesi deve pur sempre trattarsi di comportamenti ‹‹direttamente
connessi›› alla promozione, vendita o fornitura di beni o servizi a consumatori, giacchè
se così non fosse le condotte in questione non sarebbero nemmeno suscettibili di essere
qualificate come ‹‹pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori››.
22
L’ambito di applicazione dell’art. 19 è stato di recente modificato dal c.d. Decreto Liberalizzazioni. Segnatamente, l’art. 7 del decreto 2012 n. 1 aggiunge all’art. 19, comma 1,
dopo le parole «relativa a un prodotto», le parole «nonché alle pratiche commerciali scorrette
tra professionisti e microimprese». Queste ultime sono, dunque, equiparate ai consumatori per
quanto riguarda la tutela dalle pratiche commerciali. Per micro-impresa si intende, alla luce
dell’art. 18 cod. cons. (come modificato con l’introduzione della lettera d-bis inserita dal detto decreto), tutte le entità, società di persone o associazioni che, a prescindere dalla forma giuridica adottata, esercitano attività artigianali a titolo individuale o familiare.
23
Cfr. Consiglio di Stato, 26 settembre 2011, n. 5368, in Foro amm., 2011, p. 2886.
24
Il punto di osservazione dell’interprete deve, dunque, spostarsi al momento precedente a quello del contratto, essendo, ormai, quanto meno inopportuno soffermarsi solo sulle problematiche attinenti alla sua avvenuta conclusione che, troppo spesso, hanno catalizzato l’attenzione. In tal senso già G. BENEDETTI, Dal contratto al negozio unilaterale, Milano, 1969, p. 18, criticava l’eccessivo utilizzo della categoria del contratto, divenuto una specie di passe-partout per consentire l’ingresso nell’ambito di tutela dell’ordinamento a ogni
operazione che non avrebbe avuto, altrimenti, diritto di cittadinanza nell’ordine giuridico statuale. Sull’ipertrofia del contratto quale fonte di rapporti obbligatori, sia consentito rinviare a
S. TOMMASI, L’Attività e le fonti delle obbligazioni, Lecce, 2003, p. 45.
25
A. JANNARELLI, La disciplina dell’atto e dell’attività: i contratti tra imprese e tra
imprese e consumatori, in N. LIPARI (a cura di), Trattato di diritto privato europeo, III,
24
CAPITOLO PRIMO
2. Regole dell’attività tra tutela dei singoli e tutela del mercato
Le norme sulle pratiche commerciali scorrette sono il risultato di
un’importante e ambiziosa scelta di politica legislativa che non si affida tanto ad una tutela ex post del consenso del consumatore, ma si
preoccupa di salvaguardarlo ex ante26, al fine di proteggere sia la libertà delle imprese di adottare le più efficaci strategie di comunicazione, sia il diritto dei singoli a non essere vittime di un uso spregiudicato dei mezzi di persuasione27.
La scelta indicata presuppone che non ci si limiti ad osservare la posizione degli individui, isolatamente e soggettivamente considerati28, ma
si valuti il più ampio ambito della regolamentazione dell’attività di impresa e la stretta relazione tra tutela dei singoli e tutela del mercato29.
L’attività e il contratto, Padova, 2003, p. 6; A. GENTILI, Informazione contrattuale e regole dello scambio, in Riv. dir. priv., 2004, p. 578; G.B. FERRI, Divagazioni di un civilista intorno alla Costituzione europea, in Eur. dir. priv., 2005, p. 20; L. ROSSI CARLEO, Il
mercato tra scelte volontarie e comportamenti obbligatori, in Eur. dir. priv., 2008, p.
167; ID., Il diritto dei consumi: profili introduttivi, in L. ROSSI CARLEO (a cura di), Diritto dei consumi. Soggetti, contratti, rimedi, Torino, 2012, p. 9; P. IAMICELI, Dalle reti di
imprese al contratto di rete: un percorso (in)compiuto, in P. IAMICELI (a cura di), Le reti
di imprese e i contratti di rete, Torino, 2009, p. 5.
26
T. FEBBRAJO, L’informazione ingannevole nei contratti del consumatore, Napoli,
2006, p. 16. Quanto alla circostanza che il nuovo contesto economico, sociale, ambientale e politico richieda un cambiamento di orientamento da parte della politica comunitaria
dei consumatori cfr. Comunicazione della Commissione europea del 13.3.2007 relativa
alla “Strategia per la politica dei consumatori dell’UE 2007-2013. Maggiori poteri per i
consumatori, più benessere e tutela più efficiente”, COM (2007) 99, definitivo, pag. 1.
27
Occorre stabilire in che misura devono distribuirsi tra i soggetti coinvolti i costi
connessi al rischio della ingannevolezza. In questi termini R. CALVO, Le pratiche
commerciali sleali «ingannevoli», in Le «pratiche commerciali sleali», cit., p. 165; G.
CASABURI, La tutela civilistica del consumatore avverso la pubblicità ingannevole dal
d.lg. n. 74 del 1992 al codice di consumo, in Giur. merito, 2006, p. 623.
28
«È il superamento della concezione dell’individuo considerato come monade,
come un soggetto astratto che si pone “solo” in un contesto vuoto e anch’esso astratto››.
In questi termini L. ROSSI CARLEO, Il mercato, cit., p. 162. Quanto alla necessità di una
nuova impostazione istituzionale della soggettività nei rapporti privati si vedano N. LIPARI, Introduzione, cit., p. 11; G. BENEDETTI, Tutela del consumatore e autonomia contrattuale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1998, I, p. 17. Non può non condividersi quanto
affermato, in termini più generali, da P. GROSSI, Oltre il soggettivismo giuridico moderno, in Studi in onore di Nicolò Lipari, I, cit., p. 1230, ove si avverte che il soggetto che il
diritto ‹‹rispetta, tutela, incentiva non può essere l’individuo microcosmo della modernità
(…) Bisogna riscoprire la necessaria dimensione oggettiva del soggetto».
29
Sul necessario interagire tra protezione dei singoli e tutela del mercato cfr. R.
ALESSI, Contratto e mercato, in Scintillae iuris. Studi in memoria di Gino Gorla, Milano,
1994, III, p. 2339; N. LIPARI, Riflessioni di un giurista tra mercato e solidarietà, in Rass.
dir. civ., 1995, p. 24; ID., Il mercato: attività privata e regole giuridiche, in N. IRTI, A.
GAMBARO, N. LIPARI, V. ROPPO, Il diritto della transizione. Quaderni della civilistica di
PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE E DECISIONI NEGOZIALI DEL CONSUMATORE
25
Si è sottoposti, infatti, a continue influenze: vengono studiate reazioni, abitudini, preferenze al fine di individuare strumenti di persuasione30. Conseguentemente, l’illusione ‹‹di progettare liberamente e
autonomamente la propria vita, come esperienza singola e irripetibile,
che può, in astratto, avvalersi di una molteplicità di scelte, rende, paradossalmente, l’individuo sempre più dipendente dal contesto esterno, ed essenzialmente dal mercato, il quale appare indispensabile per
la realizzazione delle scelte e, quindi, del proprio essere››31.
diritto privato, 1998, p. 39; ID., Diritto e mercato della concorrenza, in Riv. dir. comm.,
2000, I, p. 324; N. IRTI, L’ordine giuridico del mercato, Bari-Roma, 1998, spec. p. 67;
G. GRISI, L’autonomia privata. Diritto dei contratti e disciplina costituzionale dell’economia, Milano, 1999, p. 94; G. AULETTA, Un saggio di economia del diritto, in Scritti
giuridici, I, Milano, 2001, p. 81; ID., Contratto e mercato: a proposito del III volume de
“Il diritto civile” di C. M. Bianca, in Scritti giuridici, VIII, Milano, 2001, p. 227; G. OPPO, Contratto e mercato, in Vario Diritto. Scritti giuridici, VII, Padova, 2005, p. 193; E.
NAVARRETTA, Buona fede oggettiva, contratti di impresa e diritto europeo, in Riv. dir.
civ., 2005, p. 509; V. BUONOCORE, Contratto e mercato, in Giur. comm., 2007, I, p. 383;
ID., Principio di uguaglianza e diritto commerciale, in Giur. comm., 2008, I, p. 58; G.
ALPA, La codificazione dei diritti del consumatore a fronte delle iniziative comunitarie, in G. VISINTINI (diretto da), Trattato della responsabilità contrattuale, II, I singoli contratti, Torino, 2009, p. 1301; S. POLIDORI, Regole dei rapporti e regole del
mercato: fra disomogeneità del quadro normativo e responsabilità dell’interprete,
in P. D’ADDINO SERRAVALLE (a cura di), Mercato ed etica, Napoli, 2009, p. 353; V.
ROPPO, From Consumer Contracts to Asymmetric Contracts: a Trend in European
Contract Law? in European Review of Contract Law, 2009, p. 304; ID., Regolazione
del mercato e interessi di riferimento. Dalla protezione del consumatore alla protezione
del cliente? in Riv. dir. priv., 2010, p. 30; A. GENTILI, Pratiche sleali, cit., 2010, p. 39; L.
MINERVINI, Tutela dei consumatori e libera concorrenza nel nuovo approccio
dell’unione europea: significato ed implicazioni dell’«armonizzazione massima» in materia di pratiche commerciali sleali, in Foro amm., 2010, p. 1169; M. SANDULLI e D.
SPAGNUOLO, Rapporto sul Consumerism 2009, in http//www.consumersforum.it. Quanto
alla imprescindibilità dei valori personalistici e solidaristici anche nella strutturazione di
un mercato efficiente si rimanda a P. PERLINGIERI, Mercato, solidarietà e diritti umani,
in Rass. dir. civ., 1995, p. 32; ID., La tutela del consumatore tra normative di settore
e codice del consumo, in G. CAVAZZONI, L. DI NELLA, L. MEZZASOMA, V. RIZZO (a cura
di), Il diritto dei consumi. Realtà e prospettive, cit., p. 15; ID., Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, Napoli, 2006, passim;
ID., Il “Diritto privato Europeo” tra riduzionismo economico e dignità della persona,
in Eur. dir. priv., 2010, p. 346; ID., Diritto dei contratti e dei mercati, in Rass. dir.
civ., 2011, p. 877. Quanto ai termini del dibattito sul punto cfr. C. SALVI, Libertà economiche, funzione sociale e diritti personali e sociali tra diritto europeo e diritti
nazionali, in Eur. dir. priv., 2011, p. 437.
30
Simili persuasioni sono ‹‹un segno del regresso, piuttosto che un progresso, nel
percorso che l’uomo conduce per diventare un essere razionale e indipendente››. In questi termini G. FABRIS, La pubblicità, teorie e prassi, Milano, 2006, p. 68.
31
L. ROSSI CARLEO, Il mercato, cit., p. 156; A. GENTILI, Pratiche sleali, cit., p. 38.
CAPITOLO PRIMO
26
Della stretta relazione tra tutela dei singoli e tutela del mercato vi
è, a livello europeo, una crescente consapevolezza32. Basti pensare
all’art. 3 lett. t) del Trattato istitutivo della Comunità Europea ove si
prevede che il perseguimento degli obiettivi comunitari − tra i quali
rientra la realizzazione di un mercato efficiente − comporta il rafforzamento della protezione dei consumatori33. Altresì significativo è che,
mentre il Trattato Ce si limitava a indicare come obiettivo dell’azione economica comunitaria un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza, il primo Trattato di Lisbona, all’art. 3 comma 3, utilizza la diversa e più suggestiva formula di economia sociale di mercato34.
Numerosi sono i dati normativi che confermano quanto sino ad
ora osservato. Preme evidenziare, per esempio, che l’art. 21 T.U.F. si
riferisce alla tutela dell’interesse del cliente e dell’integrità dei mercati, con una significativa innovazione rispetto all’art. 1 della L. 1991 n.
1 che menzionava il solo interesse dell’investitore35.
32
Allo stato attuale non si tratta di scegliere tra un approccio che trova il suo fondamento nell’equità ed un altro che si basa sull’efficienza, ma di scegliere tra l’uno −
quello orientato all’efficienza del mercato, certamente presente nell’ispirazione legislativa − e l’uno e l’altro insieme. In questi termini A. GENTILI, Informazione contrattuale,
cit., p. 578; M. BARCELLONA, I nuovi controlli sul contenuto del contratto e le forme della sua eterointegrazione. Stato e mercato nell’orizzonte europeo, in Eur. dir. priv., 2008,
p. 38, afferma che è da evitare sia l’impostazione che legge qualsiasi intervento normativo sul mercato come un’interferenza politica sul suo funzionamento, sia l’opposta prospettiva
che a tale intervento ingenuamente accredita una logica sempre sociale e alternativa a quella
mercantile. Per approfondimenti di rimanda a ID., L’interventismo europeo e la sovranità
del mercato: le discipline del contratto e i diritti fondamentali, in Eur. dir. priv., 2011, p.
329. Su efficienza ed equità come precondizioni di uno sviluppo virtuoso del mercato si sofferma F. SARTORI, Autodeterminazione e formazione eteronoma del regolamento negoziale. Il
problema dell’effettività delle regole di condotta, in Riv. dir. priv., 2009, p. 97. Quanto
alla necessità che il diritto civile italo-europeo sia fondato sul valore di vertice della persona cfr. F. GAMBINO, L’obbligazione nel conflitto tra principi generali, in Riv. dir. civ.,
2012, p. 26.
33
Cfr., da ultimo, F. PINTO, I codici deontologici e la direttiva 2005/29/CE, in E.
MINERVINI e L. ROSSI CARLEO (a cura di), Le pratiche commerciali sleali, cit., p. 226.
34
In questi termini A. GENTILI, La ‹‹nullità di protezione››, in Eur. dir. priv., 2011,
p. 80. L’Autore afferma che nell’azione comunitaria la protezione dei consumatori ha
anzitutto effetti di incentivazione economica, ma non è solo questo. È anche, infatti, uno
strumento di politica sociale inteso ad elevare il benessere della qualità di vita dei cittadini-consumatori. Sul punto cfr. S. MAZZAMUTO, Il contratto europeo nel tempo della
crisi. Ed ecco venire un grande vento di là dal deserto, in Eur. dir. priv., 2010, p. 601;
M. MELI, L’armonizzazione del diritto europeo dei contratti, in www.personaemercato.it ,
2011, p. 91; A. MUSTO, Economia sociale di mercato e Trattato di Lisbona: sintesi critica di un seminario fiorentino, in www.personaemercato.it, 2011, n. 2, p. 147; G. GRISI,
Diritti e coesione sociale, in www.personaemercato.it., 2012, n. 2, p. 133.
35
F. PROSPERI, Violazione degli obblighi di informazione nei servizi di investimento
e rimedi contrattuali (a proposito di Cass. sez. un., 19 dicembre 2007, nn. 26724 e
PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE E DECISIONI NEGOZIALI DEL CONSUMATORE
27
Si potrebbero fare numerosi esempi in altri specifici ambiti.
Nell’ambito dei servizi di pubblica utilità, per esempio, la legge
14 novembre 1995, n. 481 attribuisce, ex art. 2, all’Autorità di settore
il potere di emanare le direttive concernenti le modalità dell’attività di
erogazione dei servizi, stabilendo, al tempo stesso, livelli minimi di
qualità da garantire ai singoli utenti finali. Segnatamente, si prevede
che le condizioni e le modalità di accesso, per i soggetti esercenti i
servizi, siano attuate nel rispetto dei principi della concorrenza, anche
al fine di prevedere l’obbligo di prestare il servizio in modo che tutte
le ragionevoli esigenze degli utenti siano soddisfatte.
Obiettivi di trasparenza e correttezza del comportamento degli intermediari, insieme a disposizioni specifiche a tutela del cliente, sono
contenute nel Titolo XIII del d.lg. 7 settembre 2005, n. 209, c.d. Codice delle assicurazioni private. Si tratta sia della regolamentazione delle
informazioni che l’impresa e l’intermediario assicurativo sono tenuti a
trasmettere al cliente, sia della precisazione di specifici obblighi di
correttezza e dei limiti dell’attività pubblicitaria 36.
Esplicita è anche la previsione dell’art. 47 della legge 23 luglio
2009 n. 99 che disciplina l’adozione della legge annuale per il mercato
e la concorrenza ‹‹al fine di promuovere lo sviluppo della concorrenza
e di garantire la tutela dei consumatori››37.
Significativi sono anche recenti interventi normativi, quali la direttiva 2011/83/Ue sui diritti dei consumatori38, e la Proposta di direttiva sui contratti di credito relativi ad immobili residenziali39.
26725, in Contr. impr., 2008, p. 943; A. LUMINOSO, Il conflitto di interessi nel rapporto
di gestione, in Riv. dir. civ., 2007, p. 761, puntualizza le ragioni che sono alla base della
norma che è letta dall’Autore, in funzione, in primo luogo della tutela dell’interesse di
ordine pubblico all’integrità dei mercati e, in secondo luogo, della esigenza di assicurare
che l’interesse dell’investitore venga curato al meglio. In argomento, sulle diverse vicende legislative si rimanda a F. ALCARO, «Soggetto» e «contratto» nell’attività bancaria,
Milano, 1981, p. 18; E. CAPOBIANCO, Contrattazione bancaria e tutela dei consumatori,
Napoli, 2000, p. 34; G. ALPA, La direttiva sui mercati finanziari e la tutela del risparmiatore, in Contratti, 2004, p. 742; V. ROPPO, La tutela del risparmiatore fra nullità,
risoluzione e risarcimento (ovvero, l’ambaradan dei rimedi contrattuali), in Contr.
impr., 2005, p. 896; G. FERRARINI, Contract Standards and the Markets in Financial Instruments Directive (MIFID), in Eur. Rev. Contract Law, 2005, p. 19; G. GRISI, Informazione, (obblighi di), in Enc. giur. Treccani, Roma, Agg., XIV, 2007, p. 7; D. MAFFEIS,
La natura e la struttura dei contratti di investimento, in Riv. dir. priv., 2009, p. 68.
36
Per questi esempi, ed altri, si rimanda a M. CLARICH, Le competenze delle autorità
indipendenti in materia di pratiche commerciali scorrette, in Giur. comm., 2010, p. 688.
37
Cfr. V. MELI, L’applicazione, cit., p. 334.
38
Gazz. Uff. Unione Europea L. 304/64 del 22.11.2011.
39
COM (2011) 142 definitivo.
CAPITOLO PRIMO
28
La prima, come espressamente previsto dall’art. 1, intende conseguire un livello elevato di tutela dei consumatori e contribuire al corretto funzionamento del mercato interno, mediante l’armonizzazione
di taluni aspetti delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di contratti tra consumatori e
professionisti40.
Quanto alla Proposta di direttiva sui contratti di credito relativi ad
immobili residenziali, basti rinviare alla relazione di accompagnamento. Ivi, infatti, si palesa il duplice obiettivo delle nuove norme, tese sia
ad assicurare un elevato livello di protezione dei consumatori, sia a
promuovere la stabilità finanziaria, garantendo che i mercati del credito operino in maniera responsabile41.
40
In argomento, già con riferimento alla proposta di direttiva, COM(2008) 614 definitivo. Sul punto cfr. L. DELOGU, La proposta di direttiva sui diritti dei consumatori: la
situazione a un anno dalla sua presentazione, in Contr. impr./ Eur., 2009, p. 53; M. DONA, La proposta di direttiva sui diritti dei consumatori: luci ed ombre nel futuro della
tutela contrattuale, in Obbl. contr., 2009, p. 582; S. WHITTAKER, Unfair Contract Terms
and Consumer Guarantees: the Proposal for a Directive on Consumer Rights and the
significance of “full harmonisation”, in Eur. Rev. Contract Law, 2009, p. 223. Più di
recente si vedano L. ANTONIOLLI, Contratti del consumatore, cit., p. 220; E. BATTELLI, Il
nuovo diritto europeo dei contratti nell’ambito della strategia “Europa 2020”, in Contratti, 2011, p. 1065. Ivi, in particolare, nota 12, si afferma che «negli auspici del Parlamento Europeo, la Direttiva “Consumer Rights” non interessa solamente i consumatori,
ma anche gli imprenditori, poiché la direttiva potrà portare vantaggi anche alle piccole e
medie imprese, permettendo loro di estendere il proprio business anche nei territori oltre confine, nei quali ancora oggi è difficile operare a causa della diffidenza che i consumatori mantengono verso le nuove tecnologie, le transazioni on line, le garanzie di recupero del denaro e
di soddisfazione legale nel caso di ripensamento». I. RIVA, La direttiva di armonizzazione
massima sui diritti dei consumatori, o almeno ciò che ne resta, in Contr. impr./Eur., 2011, p.
754; M. SCHMIDT-KESSEL, Zur Kollision von Informationspflichtenaus EU-Richtlinien im
Blick auf die Entwürfe zur Verbraucherrechterichtlinie, in Zeitschr. für Gemeinschaftsprivatrecht, 2011, n. 2; S. MAZZAMUTO, La nuova direttiva sui diritti del consumatore, in Eur. dir.
priv., 2011, p. 863. L’Autore evidenzia i riferimenti normativi sintomatici della politica seguita dal legislatore europeo di rifiuto sia dell’assolutismo insito nel totale asservimento del mercato alle logiche concorrenziali sia delle letture di esclusiva vocazione consumeristica del diritto europeo. In argomento si vedano R. DE HIPPOLYTIS, La direttiva sui diritti dei consumatori (direttiva 25 ottobre 2011 n. 2011/8 3/Ue). La disciplina unitaria del recesso, in Foro it.,
2012, c. 186; A. PALMIERI, La direttiva sui diritti dei consumatori (direttiva 25 ottobre
2011 n. 2011/8 3/Ue). Quel che avanza dei diritti dei consumatori: una disciplina parziale e frammentaria (con qualche spunto interessante sul piano definitorio), ibidem,
2012, c. 181; R. PARDOLESI, Contratti dei Consumatori e Armonizzazione: Minimax
e Commiato?, ibidem, 2012, c. 177. Sulle difficoltà di coordinare il DCFR e la direttiva
sui diritti dei consumatori, si veda R. ZIMMERMANN, Diritto privato europeo: “Smarrimenti, disordini”, in AA.VV., Trenta giuristi europei sull’idea di codice europeo dei contratti, F. GALGANO e M. BIN (a cura di), in Contr. impr./Eur., 2012, p. 16.
41
S. TOMMASI, Unione Europea e contratti di credito relativi ad immobili residenziali, in Contratti, 2011, p. 956.
PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE E DECISIONI NEGOZIALI DEL CONSUMATORE
29
Un ulteriore esempio della necessità, avvertita a livello europeo,
di migliorare il funzionamento del mercato nell’interesse e dei professionisti e dei consumatori, è offerto anche dalla proposta di Regolamento relativa a un diritto comune europeo della vendita42.
L’obiettivo della proposta è, infatti, migliorare l’instaurazione e il
funzionamento del mercato interno facilitando l’espansione degli
scambi transfrontalieri per le imprese e gli acquisti transfrontalieri per
i consumatori43. Espliciti anche i considerando 1), 3) e 4) dai quali si
evince, chiaramente, che le barriere legate al diritto dei contratti impediscono ai professionisti di godere appieno del potenziale del mercato
interno e sono d’ostacolo anche per i consumatori44.
42
COM (2011) 635 definitivo. Sul punto cfr. M. MELI, Proposta di regolamentoDiritto comune europeo della vendita, in Nuove leggi civ. comm., 2012, p. 183; G. ALPA,
Toward a European Contract Law, in AA.VV., Trenta giuristi, cit., p. 115; L. CABELLA
PISU, La codificazione europea del diritto contrattuale tra progetti dottrinali, strategie
politiche e interessi di categoria, ibidem, p. 226; B. FAUVARQUE-Cosson e Z. JAQUEMINS, Regards sur le commun européen de la vente, ibidem, p. 330; E. FERRANTE, Diritto
privato europeo e Common European Sales Law (CESL). Aurora o crepuscolo del codice europeo dei contratti?, ibidem, p. 461; M. FRANZONI, Dal codice europeo dei contratti al regolamento sulla vendita, ibidem, p. 350; F. GALGANO, Dai Principi Unidroit al
Regolamento sulla vendita, ibidem, p. 1; L. GRYNBAUM, The opinion of a French Academic on the Proposal for a Regulation on Common European Sales Law, ibidem, p.
343; K. TONNER, CESL and consumer contract law: integration or separation?, ibidem,
p. 316; R. ROLLI, La proposta di regolamento europeo sulla vendita nel processo di codificazione europea, ibidem, p. 373; N. ZORZI GALGANO, Dal codice europeo dei contratti al Regolamento della vendita: la logica del sistema, anche con riferimento alla
protezione del consumatore, ibidem, p. 239; S. VOGENAUER, Elaborare il diritto europeo
dei contratti, ibidem, p. 125; S. MAZZAMUTO, Il diritto europeo e la sfida del codice civile unitario, ibidem, p. 98; ID., Il contratto di diritto europeo, Torino, 2012, p. 9. Per un
confronto tra la disciplina della direttiva 2011/83/Ue sui diritti dei consumatori e quella
della Proposta di Regolamento relativa a un diritto comune europeo della vendita si rimanda a C. CASTRONOVO, “La Proposta per un Diritto comune europeo della vendita:
alcuni quesiti fondamentali”, in www.europarl.europe.eu; ID., Sulla proposta di regolamento relativo ad un diritto comune europeo della vendita, in Eur. dir. priv., 2012, p.
289; G. D’AMICO, Direttiva sui diritti dei consumatori e Regolamento sul diritto comune
europeo della vendita: quale stagione dell’Unione europea in materia di armonizzazione, in Contratti, 2012, p. 611.
43
Si legge, infatti, nella relazione di accompagnamento alla Proposta, che i professionisti risparmiano i costi di transazione aggiuntivi legati al diritto dei contratti per operare in un ambiente giuridico meno complesso per gli scambi transfrontalieri, sulla base
di un corpus unico di norme applicabili in tutta l’Unione Europea. I consumatori godranno di un accesso migliore alle offerte provenienti da tutta l’Unione Europea a prezzi inferiori e subiranno meno rifiuti di vendere; avranno, inoltre, maggiori certezze quanto ai
loro diritti in caso di acquisti transfrontalieri grazie ad un corpus unico di norme imperative che offrono al consumatore una tutela elevata.
44
La protezione dei consumatori e la tutela del mercato sono costantemente e congiuntamente richiamate nella Revisione dell’Acquis communautaire, ove non si trascura
30
CAPITOLO PRIMO
Il fine è, dunque, trovare strumenti diretti sia ad aiutare e potenziare l’attività imprenditoriale sia a consolidare la fiducia dei consumatori nel mercato unico.
La disciplina sulle pratiche commerciali scorrette ben si colloca
nel trend indicato, palesando la stretta relazione tra la tutela dei singoli
e tutela del mercato45. Si pensi alla previsione del considerando n. 5 e
al riferimento, ivi previsto, sia ad un elevato livello di protezione dei
consumatori sia al corretto funzionamento del mercato interno. In questo senso anche gli altri considerando e, in particolare, il n. 6, il n. 8 ed
il n. 2346. Ugualmente dicasi per l’art. 1 della direttiva che indica lo
scopo della normativa in oggetto.
l’obiettivo di un giusto equilibrio tra garanzie per i singoli e competitività delle imprese,
nel segno di una modernizzazione del mercato interno. Le tappe del percorso di tale revisione sono numerose e, non è certo questa la sede per ripercorrerle. Esemplificativo può
essere il Parere, del 22 marzo 2011 − reso dalla Commissione per il mercato interno e la
protezione dei consumatori − relativo alle opzioni possibili in vista di un diritto europeo
dei contratti per i consumatori e le imprese. Ivi traspare la consapevolezza di alcuni ostacoli comuni con cui si confrontano consumatori e imprese nel contesto del mercato unico
europeo; ostacoli che, in particolare, riguardano: la complessità delle relazioni contrattuali, i termini e le condizioni squilibrate dei contratti, l’informazione carente e insufficiente e le procedure inefficienti e lunghe. Per un’accurata sintesi dei lunghi e tortuosi
passaggi che hanno interessato la revisione dell’Acquis communautaire, si vedano E.
BATTELLI, Il nuovo diritto, cit., p. 1065. L’Autore si sofferma sulla c.d. strategia “Europa
2020”; L. ANTONIOLLI, Contratti del consumatore nel diritto dell’Unione europea, in
Dig. civ., Torino, 2011, Agg. VI, p. 208; C. CASTRONOVO, La Proposta, cit., p. 1; R.
ZIMMERMANN, Diritto privato europeo, cit., p. 7. Sul punto si veda la Proposta di risoluzione del parlamento europeo sulle opzioni possibili in vista di un diritto europeo dei
contratti per i consumatori e le imprese, 2011/2013(INI).
45
M. NUZZO, Pratiche commerciali sleali ed effetti sul contratto: nullità di protezione o annullabilità per vizi del consenso?, in E. MINERVINI e L. ROSSI CARLEO (a cura
di), Le pratiche commerciali sleali, cit., p. 235, afferma che la direttiva sulle pratiche
commerciali sleali ha segnato un articolato percorso, fatto di vari momenti; alcuni dei
quali si sostanziano in meccanismi di tutela del consumatore, altri in meccanismi di
tutela del mercato. Sugli obiettivi della direttiva e, in particolare, su quello di una elevata tutela dei consumatori e di un corretto funzionamento del mercato, si vedano P.
AUTERI, Introduzione, cit., p. 11; A. GENOVESE, La normativa sulle pratiche commerciali scorrette, in Giur. comm., 2008, I, p. 762; E. GUERINONI, La direttiva, cit., p. 178;
G. GUIZZI, Il divieto delle pratiche commerciali scorrette tra tutela del consumatore, tutela
del concorrente e tutela del mercato: nuove prospettive (con qualche inquietudine) nella disciplina della concorrenza sleale, in A. M. GAMBINO, Rimedi, cit., p. 297. In giurisprudenza
cfr. Corte di Giustizia Ce, 23 aprile 2009, n. 261. Sul punto si rimanda a L. MINERVINI, Tutela
dei consumatori, cit., p. 1169.
46
I considerando richiamati evidenziano lo scopo di sanzionare le condotte dei professionisti che ledono direttamente gli interessi dei consumatori e indirettamente quelli
economici dei concorrenti, garantendo anche una concorrenza leale. Cfr. L. DI NELLA, Il
controllo, cit., p. 239.
PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE E DECISIONI NEGOZIALI DEL CONSUMATORE
31
Naturalmente, compiti di così vasta portata non possono esaurirsi
‹‹nel ricucire i vari brandelli della disciplina pertinente al contratto siglato da un consumatore››47.
La consapevolezza della necessità di un intervento diverso da
quello che basterebbe in un sistema già strutturato si traduce, ormai, in
azioni concrete e in precise disposizioni normative promananti dall’Unione Europea. Tali disposizioni si allontanano, sempre di più, dalla prospettiva statica del contratto, presupponendo come imprescindibile l’attenzione per la dinamica dell’attività48.
In un primo momento, poteva essere sufficiente disciplinare determinati contratti, le modalità di conclusione degli stessi, le clausole
vessatorie ivi contenute49. Con le nuove norme in tema di pratiche
commerciali si intende fare di più, preoccupandosi, in modo diretto,
anche delle modalità di svolgimento delle attività degli operatori del
47
A. PALMIERI, Arriva il codice del consumo: riorganizzazione (tendenzialmente
completa) tra addii e innovazioni, in Foro it., 2006, c. 77.
48
L. ROSSI CARLEO, Il mercato, cit., p. 162. Ivi si afferma che il consumatore,
l’utente, il cliente, il turista e l’assicurato non sono da considerare «il risultato di un assurdo frazionamento della persona umana, bensì come espressione di specifiche esigenze
di tutela che si manifestano in presenza di determinate attività››. Conseguentemente,
sembra quanto mai opportuno non rimanere prigionieri di rigide categorie, occorrendo,
piuttosto passare «dallo status, figura monolitica e statica, all’attività, figura complessa e
dinamica, nella quale entrano “micro e macro”, “generale e particolare”, “individuale e
sociale”». ID., Consumatore, consumatore medio, investitore e cliente, cit., p. 688. Sul
punto si veda N. IRTI, “Codici di settore”: compimento della “decodificazione”, in M.A.
SANDULLI (a cura di), Codificazione, semplificazione e qualità delle regole, Milano,
2005, p. 20.
49
G. DE CRISTOFARO, Il divieto di pratiche commerciali sleali, cit., p. 125, individua nella normativa sulle pratiche commerciali scorrette e in quella sulle clausole vessatorie le due uniche discipline comunitarie di tutela degli interessi economici dei consumatori dotate di valenza generale. In questa prospettiva, esiste fra questi due interventi
normativi uno stretto collegamento, costituendo i due grandi pilastri del sistema comunitario delle regole alle quali devono attenersi i professionisti nei rapporti contrattuali; sistema
imperniato ormai su due divieti. Il primo riguarda l’inserimento unilaterale e senza trattativa
individuale di clausole abusive nei regolamenti negoziali con i consumatori; il secondo è il
divieto di ricorrere a pratiche commerciali sleali per promuovere l’instaurazione di tali rapporti. Numerosi sono i problemi che la disciplina sulle clausole vessatorie ha posto
all’attenzione degli interpreti, anche a seguito delle variazioni succedutesi nel tempo. È
impossibile, in questa sede, soffermarsi sul punto, data l’ampiezza di tali problemi e degli interventi di dottrina e giurisprudenza in argomento. Sul punto si rimanda, anche per
indicazioni bibliografiche a S. PAGLIANTINI, La vaghezza del principio di “non vincolatività” delle clausole vessatorie secondo la Corte di Giustizia: ultimo atto?, in Rass. dir.
civ., 2010, p. 507; A. GENTILI, La «nullità di protezione», cit., p. 86, nota 26. Importanti
novità sono legate anche al citato decreto 2012 n. 1 e alla tutela amministrativa ivi prevista per le clausole vessatorie, cfr. V. PANDOLFINI, La tutela amministrativa del consumatori contro le clausole vessatorie, in Corr. giur., 2012, p. 47.
CAPITOLO PRIMO
32
mercato; modalità dalle quali dipendono la conformazione e l’organizzazione del mercato stesso, nonché le conseguenze per i consumatori50.
Non stupisce, dunque, che il pronto ed efficace contrasto delle
pratiche commerciali scorrette sia una priorità specifica dell’azione in
difesa dei consumatori51.
È insufficiente, un approccio che si occupi solo dei problemi legati allo scambio di proposta e accettazione in un contesto informato,
dovendosi, piuttosto, confrontare attività che hanno valenza informativa nel loro svolgersi52. Segnatamente, l’attenzione si sposta sulle
50
Cfr. L. ROSSI CARLEO, Consumatore, consumatore medio, investitore e cliente:
cit., p. 697.
51
A. GENOVESE, Il contrasto delle pratiche commerciali scorrette nel settore bancario, in Giur. comm., 2011, p. 200.
52
Si pensi agli obblighi di informazione che, a seguito delle norme di recepimento,
si collocano prevalentemente sul piano della regolamentazione dell’attività economica
degli operatori commerciali. Sul punto si vedano V. BUONOCORE, Problemi, cit., p. 3; E.
PELLECCHIA, Scelte contrattuale e informazioni personali, Torino, 2005, p. 3; V. ROPPO,
L’informazione precontrattuale, in P. SIRENA (a cura di), Il diritto europeo dei contratti
d’impresa. Autonomia negoziale dei privati e regolazione del mercato, Milano, 2006, p.
148; F. SARTORI, Autodeterminazione, cit., p. 99; G. GRISI, Informazione, (obblighi di),
in Enc. giur., cit., p. 1; ID., Informazione, (obblighi di), in Enc. dir., Annali, Milano,
2011, IV, p. 606; F. PROSPERI, Violazione, cit., p. 938; V. SCALISI, Il diritto europeo dei
rimedi: invalidità e inefficacia, in Riv. dir. civ., 2007, p. 851; L. DI DONNA, Obblighi
informativi precontrattuali, Milano, 2008, p. 49; K. KROLL-LUDWIGS, Die Zukunft des
verbraucherschützenden Widerrufrechts in Europa, in Zeitschr. Eur. Priv., 2010, p. 517;
C. CARNICELLI, Risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale: qualificazione e quantificazione, in Gust. civ., 2011, p. 293; Su tali aspetti, arricchiti anche dai riferimenti al DCFR, cfr. E. LUCCHINI GUASTALLA, Marketing and pre-contractual duties,
in G. ALPA, G. IUDICA, U. PERFETTI, P. ZATTI (a cura di), Il Draft Common Frame of
Reference del diritto privato europeo, 2009, p. 138; S. TOMMASI, Neue Entwicklungen
zum Thema culpa in contrahendo, in Zeitschr. für Gemeinschaftsprivatrecht, 2010, p.
297. Il tema degli obblighi di informazione e della responsabilità per dichiarazioni inesatte è da tempo al centro della attenzione della dottrina, si vedano A. MAZZONI, Le lettere di patronage, Milano, 1986, p. 197; P. PERLINGIERI, L’informazione come bene giuridico, in Rass. dir. civ., 1990, p. 26; M. COSTANZA, I doveri di avviso e obblighi specifici
di informazione: il commercio di opere d’arte, in Il contratto. Silloge in onore di Giorgio
Oppo, I, Padova, 1992, p. 219; V. ZENO-ZENCOVICH, Informazione (profili civilistici), in
Dig. civ., Torino, 1993, IX, p. 424; G. DE NOVA, Informazione e contratto: il regolamento contrattuale, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1993, p. 717; F. REALMONTE, Doveri di informazione e responsabilità precontrattuale nell’attività di intermediazione mobiliare, in
Banca, borsa, tit. cred., 1994, p. 617; V. RIZZO, La trasparenza nei contratti del consumatore, Napoli, 1997; D. VALENTINO, Obblighi di informazione e vendite a distanza, in
Rass. dir. civ., 1998, p. 375; ID., Obblighi di informazione, contenuto e forma negoziale,
Napoli, 1999, p. 133, ove si segnala la necessità di coordinare strumenti quali gli obblighi di informazione, il formalismo contrattuale ed un’attenta disciplina della pubblicità
ingannevole; A.C. NAZZARO, Obblighi d’informare e procedimenti contrattuali, Napoli,
2000, p. 67; S. GRUNDMANN, L’autonomia privata nel mercato interno: le regole di informazione come strumento, in Eur. dir. priv., 2001, p. 258. E. BARCELLONA, Responsa-
PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE E DECISIONI NEGOZIALI DEL CONSUMATORE
33
modalità dell’attività, anche nella fase dell’informazione53. Il dato è
avvalorato dal quanto si legge nel considerando 10) della direttiva
2005/29/Ce ove vi è un esplicito riferimento non solo agli obblighi di
informazione ma anche alle «modalità di presentazione delle informazioni al consumatore».
Sul piano applicativo, sono particolarmente significative le pronunce dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, ove si
specifica che l’obiettivo degli interventi comunitari è di salvaguardare
la libertà di autodeterminazione del consumatore, imponendo all’operatore commerciale un preciso onere di completezza e chiarezza già
nel momento della redazione della propria comunicazione d’impresa54.
Importanti conferme si hanno anche dal Consiglio di Stato, esplicito
nell’affermare che le pratiche commerciali non riguardano la singola e
concreta vicenda negoziale, ma un ambito ben più ampio e relativo ad una
«fase di contatto comunicazionale prodromica all’acquisto»55; fase volta a
prevenire scelte svantaggiose generate dall’asimmetria informativa rispetto all’offerente. È nel complesso della pratica che vanno ravvisate
le informazioni incomplete e le omissioni informative, con il loro effetto decettivo e fuorviante ed è nello svolgimento della stessa pratica
che «la contestualizzazione dei singoli atti può essere caratterizzante»56.
Non viene in rilievo l’attività informativa ‹‹per il singolo contratto,
bensì i complessivi, standardizzati comportamenti comunicazionali dell’offerente al pubblico, anche antecedenti il contratto››57. E, ancora, specifica il
Consiglio di Stato, ‹‹non è soltanto il contenuto intrinseco dell’informazione, perciò, a dare corpo alla “pratica”, ma la complessiva condotta del
professionista, formata da più atti, o prassi, o metodi commerciali volti ad
incertam personam e convergenti ad uno stesso scopo››58.
bilità da informazione al mercato: il caso dei revisori legali dei conti, Torino, 2003, p.
78. In argomento, per alcuni aspetti specifici, si veda anche Cap. V, pf. V.
53
L. ROSSI CARLEO, Consumatore, consumatore medio, investitore e cliente, cit., p.
686; G. GRISI, Informazione (obblighi di), in Enc. dir., cit., p. 606, segnala che le informazioni che i professionisti devono diffondere al mercato sono volte, fondamentalmente,
a conformare, nel segno della trasparenza, l’agire della parte professionale nelle relazioni
di mercato.
54
Si veda, per esempio, il provvedimento n. 19573 dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, n. 19573, PS 1451- Zed - sms non richiesti, in Bollettino n. 9 del
23 marzo 2009, p. 102.
55
Consiglio di Stato, 22 giugno 2011, n. 3763, in Foro amm. CDS, 2011, p. 2087
56
Consiglio di Stato, 22 giugno 2011, n. 3763, cit.
57
Consiglio di Stato, 22 giugno 2011, n. 3763, cit.
58
Consiglio Stato, 22 giugno 2011, n. 3763, cit. Segnatamente, è stata considerata
scorretta una pratica consistente nella concessione di un prestito personale mediante l’uso di
34
3.
CAPITOLO PRIMO
Modalità dell’attività e ruolo dei codici di condotta
Il ruolo attribuito dalla disciplina in tema di pratiche commerciali
alle modalità delle attività è legato anche ai numerosi richiami ai codici di condotta59, rispetto ai quali non ci si limita a lasciarne impregiudicata l’applicazione60.
L’attribuzione di una particolare rilevanza ai codici di autodisciplina è ormai una tendenza consolidata del legislatore comunitario61
un modulo di richiesta che conteneva una clausola rubricata “adesione al programma assicurativo”, senza che fosse indicata la natura facoltativa dell’assicurazione. L’accettazione della
clausola prevedeva che il consumatore, oltre ad aderire alla polizza assicurativa, prendesse
atto che poteva essergli concessa una linea di credito utilizzabile mediante carta. Il modulo,
inoltre, era accompagnato da una guida di compilazione dove la sottoscrizione della clausola
veniva prospettata come necessaria al perfezionamento del contratto. La pratica, in questione,
è idonea a pregiudicare il comportamento economico del consumatore, spingendolo ad assumere una decisione commerciale che altrimenti non avrebbe preso con altrettanta facilità, ed
esponendolo ‹‹a un rischio non bene percepito di sovraindebitamento in rapporto alle sue
risorse, vale a dire di entrata in un ciclo individuale di debiti››.
59
E. BARGELLI, I codici di condotta, cit., p. 266; F. PINTO, I codici deontologici,
cit., p. 219; P. FABBIO, I codici di condotta nella disciplina delle pratiche commerciali
sleali, in Giur. comm., 2008, p. 706; G. FLORIDIA, Il coordinamento fra controllo autodisciplinare e controllo amministrativo delle pratiche sleali, in Dir. ind., 2009, p. 175; G.
ALPA e T. GALLETTO, Codici di condotta, in Dig. civ., Torino, 2011, Agg. VI, p. 163; R.
ANGELINI, Le pratiche commerciali scorrette: alcune considerazioni di sistema, in Obbl.
contr. 2011, p. 327; F. GHEZZI, Codici di condotta, autodisciplina, pratiche commerciali
scorrette. Un rapporto difficile, in Riv. soc. 2011, p. 680; G. TASSONI, La pubblicità
commerciale tra autogoverno degli Ordini professionali e regole del mercato dei servizi,
in Riv. dir. ind., 2011, p. 209.
60
Il riferimento è all’art. 19 comma 2, lett. d) cod. cons. Sulla corrispondente disposizione delle direttiva 2005/29/Ce, cioè l’art. 3 comma 8, E. BARGELLI, I codici di condotta, cit., p. 267, nota che si tratta di norma dalla quale potrebbe trarsi l’indicazione della possibile maggiore severità delle prescrizioni contenute in certi codici di autodisciplina rispetto a quanto previsto dalla direttiva. Residuerebbero, dunque, degli spazi alla discrezionalità delle categorie dei professionisti, malgrado le maglie rigide della direttiva −
che è fra quelle di armonizzazione completa − e nonostante che, essendo lo scopo dei
codici di condotta quello di applicare in modo efficace i principi della direttiva in specifici settori economici, i dettami in essi contenuti dovrebbero rappresentare una sorta di
normativa di dettaglio dei principi comunitari.
61
Si pensi ai considerando n. 18, n. 19 e all’art. 16 della direttiva 97/7/Ce, ai considerando n. 32, n. 49 e agli artt. 8, 10 e 16 della direttiva 2001/31/Ce, all’art. 37 della direttiva 2006/123. Cfr. sul punto, F. TORIELLO, I codici deontologici nel diritto privato
comunitario, in G. ALPA - P. ZATTI (a cura di), Codici deontologici e autonomia privata,
Milano, 2006, p. 389, ove si riscontra un’accurata rassegna dei riferimenti del diritto comunitario ai codici di condotta. Significativo è il ruolo attribuito ai codici di condotta dal Libro
verde “Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese” del 18-72001 [Com(2001) 366 def.]. Sul crescente utilizzo e rilievo di tali codici si vedano M. TICOZZI, Attività professionale e limiti della concorrenza in Eur. dir. priv., 2001, p. 1005; H. COLLINS, EC Regulation of Unfair Commercial Practices, in H. COLLINS (a cura di), The Forthcoming EC Directive on Unfair Commercial Practices, London, 2004, p. 30; G. HOWELLS,
PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE E DECISIONI NEGOZIALI DEL CONSUMATORE
35
che, infatti, punta, sempre più, sulla regolamentazione dell’attività degli operatori economici e sulla conformità della stessa ad elevati criteri
di condotta62.
Invero, il ruolo attribuito alla regolamentazione privata nella disciplina delle pratiche commerciali scorrette è meno ampio di quello
che ci si aspettava inizialmente63. Ciò nonostante le nuove norme offrono interessanti spunti di riflessione.
In particolare, in questa sede, preme evidenziare che sussiste
una stretta relazione tra la violazione di un impegno contenuto in
un codice di condotta e la scorrettezza di una pratica64 e non semCo- Regulation’s Role in the Development of European Fair Trading Laws, ivi, p. 119; H.
MICKLITZ, A General Frame work on Fair Trading, ivi, p. 76; G. CONTE, Vincoli giuridici,
principi economici, valori etici nello svolgimento dell’attività d’impresa, in Studi in onore di
Nicolò Lipari, I, cit., p. 491; ID., Codici etici e attività d’impresa nel nuovo spazio globale di
mercato, in Contr. impr., 2006, p. 108, ora anche in G. ALPA - P. ZATTI (a cura di), Codici
deontologici, cit., p. 431; A. GAMBINO, Etica dell’impresa e codici di comportamento, in
Studi in onore di Nicolò Lipari, I, cit., p. 1107; J. STUYCK - E. TERRYN - T. VAN DICK,
Confidence through fairness? The new directive on unfair business-to-consumer commercial practices in the internal market, in Comm. Market Law Rev., 2006, p. 137; E.
SACCHETTINI, L’Antitrust può sospendere d’ufficio la diffusione dei messaggi «illeciti»,
in Guida dir., 2007, n. 37, p. 23; S. SICA, Privacy e avvocati: approvato il codice deontologico, in Corr. giur., 2009, p. 145; V. SANGIOVANNI, Le nuovissime norme di comportamento (e la responsabilità civile) dei consulenti finanziari, in Danno resp., 2010, p.
545; A. LEANDRO, Esperti contabili: non rispettano le regole UE e i divieti generali sulle
comunicazioni commerciali. Per la Francia le pratiche di “démarchage” ledono l’indipendenza e la deontologia, in Guida dir., 2011, p. 87.
62
Particolarmente significatico è il Voluntary Code of Conduct on Pre-contractual Information, avallato dalla Commissione europea nella raccomandazione 2001/193/CE62. Tale
codice ha l’obiettivo di definire le informazioni generali da rendere disponibili al consumatore
e di concordare un Prospetto informativo europeo standardizzato (ESIS), grazie al quale permettere ai consumatori di raffrontare i mutui relativi ad immobili residenziali sul piano sia
interno che transfrontaliero. Sulla concreta applicazione di tale codice cfr. il Documento di
accompagnamento della Proposta di direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio in
merito ai contratti di credito relativi ad immobili residenziali SEC(2011) 355 definitivo.
63
F. CAFAGGI, La regolazione privata nel diritto europeo dei contratti, in Contr.
impr./Eur., 2008, p. 118, rileva che il ruolo che può svolgere la regolamentazione privata
nella tutela dei consumatori è stato notevolmente ridotto nella versione definitiva della direttiva sulle pratiche commerciali scorrette, laddove invece la proposta iniziale prevedeva un
ruolo più ampio e meglio strutturato. L’Autore evidenzia, comunque, l’importanza della regolazione privata nella nozione di pratica sleale. Anche P. FABBIO, I codici di condotta, cit., p.
709, sottolinea che nel corso dei lavori preparatori, dal Libro Verde del 2001 fino alla Direttiva, passando attraverso il Progetto del 2003, il ruolo dell’autodisciplina è stato progressivamente ridimensionato. V. MELI, Pubblicità ingannevole, in Enc. Giur. Treccani, Roma, 2005,
XXV, p. 23, afferma che il legislatore con il d.lgs. n. 74/1992 − ma anche successivamente
con il codice del consumo − ha fatto una scelta minimalista.
64
Cfr. A. GENTILI, Pratiche sleali, cit., p. 42. Con riferimento al rapporto tra codici
deontologici e correttezza, si vedano F. CAFAGGI e P. IAMICELI, Le dimensioni costitu-
36
CAPITOLO PRIMO
bra si possa dubitare che tali codici disciplinino lo svolgimento di
un’attività65.
La relazione indicata è evidenziata, in particolare, dall’art. 23 cod.
cons., ove si considera in ogni caso pratica commerciale ingannevole
l’affermazione non rispondente al vero da parte di un professionista di
essere firmatario di un codice di condotta e l’asserire, contrariamente
al vero, che quest’ultimo ha l’approvazione di un organismo pubblico
o di altra natura66. In queste ipotesi, la violazione, commessa dal professionista, costituisce di per sé una pratica ingannevole67. Si prescinde perfino dalla verifica circa la concreta attitudine della pratica ad influenzare le decisioni del consumatore68.
Inoltre, anche quando tale verifica è necessaria, come nel caso
dell’art. 212 lettera b) cod. cons., non può escludersi il rilevo della violazione dell’impegno contenuto nel codice di condotta69. Piuttosto può
dirsi che detta violazione debba concorrere con altri presupposti e, sezionali della regolazione privata, in P. PERLINGIERI e M. SESTA (a cura di), I rapporti
civilistici nella interpretazione della Corte Costituzionale, Napoli, 2007, p. 88.
65
F. CAFAGGI, La regolazione privata, cit., p. 112, evidenzia che i codici di condotta riguardano lo svolgimento delle attività economiche dei soggetti regolati ed il controllo di qualità delle attività stesse. Sul punto cfr. F. AUTELITARIO, La natura imperativa
delle regole di condotta degli intermediari finanziari, in Contratti, 2008, p. 157; G.
CARRIERO, Codici deontologici e tutela del risparmiatore, ibidem, p. 109; G. MARASÀ,
Appunti su regole di deontologia professionale e codici etici in materia societaria,
ibidem, p. 131; F. CAPRIGLIONE, I codici deontologici del settore bancario e finanziario, ibidem, p. 98. Ivi ci si riferisce, in particolare, alle disposizioni del Codice di
autodisciplina adottato dal Comitato per la Corporate Governance delle società quotate, ritenute ‹‹disposizioni che affermano l’esigenza di condividere e rispettare criteri di massima trasparenza e correttezza dell’agere non solo a livello interno, ma
anche nello svolgimento dei rapporti con gli investitori istituzionali e con gli altri
soci››. F. SARTORI, Autodeterminazione, cit., p. 94, afferma che le regole di condotta
possano essere ricondotte ‹‹alla categoria delle “regole informative” che segnano
l’agire degli attori nel mercato. Si tratta in altri termini di un sottosistema normativo che
costituisce il common core delle regole di comportamento che gravano gli operatori finanziari nei loro rapporti con la clientela››.
66
E. BARGELLI, I codici di condotta, cit., p. 263.
67
Su questi aspetti cfr. G. ABBAMONTE, The Unfair Commercial Practices Directive and its General Prohibition, in S. WEATHERHILL e U. BERNITZ, The Regulation of
Unfair Commercial Practices under EC Directive 2005/29, Oxford, 2007, p. 29.
67
Cfr. A. GENTILI, Pratiche sleali, cit., p. 42.
68
P. FABBIO, I codici di condotta, cit., p. 731.
69
F. CAFAGGI, La regolazione privata, cit., p. 119, afferma che l’importanza della
regolamentazione privata nella nozione di pratica sleale è evidente e che ‹‹si introduce
così un nuovo principio generale: quando un’azienda si impegna ad applicare un codice
deontologico, l’inadempienza viene considerata una pratica sleale se si dimostra l’impegno certo e verificabile dell’impresa e se sussiste un’indicazione specifica da parte dell’impresa per la sottoscrizione del codice››.
PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE E DECISIONI NEGOZIALI DEL CONSUMATORE
37
gnatamente, con quanto disposto, in generale, dal secondo comma dell’art. 21, e, nello specifico, dalla lettera b) dello stesso articolo70.
Ai sensi della prima disposizione, la pratica è considerata ingannevole sempre che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le
caratteristiche e circostanze del caso, induca o sia idonea ad indurre il
consumatore medio ad assumere una decisione commerciale che non
avrebbe preso.
In base alla seconda previsione, per l’applicazione della norma
sono necessarie: l’emanazione di un codice deontologico; l’indicazione nella pratica commerciale, da parte del professionista, di essere
vincolato al rispetto delle prescrizioni del codice deontologico; il carattere fermo e verificabile dell’impegno assunto71.
La violazione dei codici di condotta se, e nella misura in cui, integra una pratica commerciale scorretta, assume un ruolo particolarmente importante; non rileva, infatti, esclusivamente ai fini di un giudizio
avente efficacia soltanto tra gli appartenenti alla categoria professiona70
Sulla circostanza che la violazione di norme di condotta costituisca di per sé una
pratica commerciale scorretta, ci sono diverse prospettive. Cfr. M. DONA, L’elenco delle
pratiche commerciali considerate in ogni caso sleali nell’allegato I della direttiva
2005/59/CE, in E. MINERVINI e L. ROSSI CARLEO (a cura di), Le pratiche commerciali
sleali, cit., p. 198. E. BARGELLI, I codici di condotta, cit., p. 268, ritiene che la violazione
di impegni auto-disciplinari fa presumere l’ingannevolezza della pratica, ma che devono
anche ricorrere contestualmente altre circostanze. Fortemente critici sull’automatismo tra
violazione del codice di condotta e configurarsi di una pratica commerciale scorretta sono A. GENOVESE, La normativa, cit., p. 772; P. FABBIO, I codici di condotta, cit., p. 725.
Ivi si afferma che le regole contenute nei codici di condotta non sono vincolanti come
tali, ma solo in quanto corretta specificazione del precetto legislativo. Questo perché i
contenuti di tale tipo di autodisciplina possono risultare contra legem, oppure essere leciti, ma eccedere gli standard legali; oppure perseguire in parte finalità lecite, ma differenti
da quelle perseguite dalla legislazione in materia. In questa prospettiva, alle regole autodisciplinari, che si propongono di concretizzare dei precetti legislativi, si dovrebbe attribuire un valore soltanto indiziario. ID., I codici di condotta, in A. GENOVESE (a cura di), I
decreti, cit., p. 189. Quanto al rapporto tra liceità e codici di condotta si rimanda a E.
NAVARRETTA, Modalità di trattamento e requisiti dei dati. Art. 11 del dlgs. 196/2003, in
F.D. BUSNELLI - C.M. BIANCA (a cura di), La protezione dei dati personali, Padova,
2007, p. 252.
71
F. PINTO, I codici deontologici, cit., p. 222, segnala le difficoltà di interpretazione
del terzo dei presupposti richiamati, affermando che, pur considerando la nozione di impegno fermo come sinonimo di impegno verificabile, restano i dubbi in relazione a cosa
il legislatore abbia voluto intendere con il concetto di impegno verificabile. A detta
dell’Autore, l’espressione sottintende la necessità che l’impegno al rispetto del codice deontologico venga assunto dal professionista in forma scritta. Non è chiaro, tuttavia, quale sia la
funzione che quest’ultima svolga ed, in particolare, se si tratti di forma ad substantiam o ad
probationem. Per un’analisi dettagliata del significato da attribuire ai termini «impegno fermo
e verificabile», si rimanda a P. FABBIO, I codici di condotta, cit., p. 729.
CAPITOLO PRIMO
38
le disciplinata dal codice, ma diventa parametro importante per giudicare la condotta scorretta nei confronti del consumatore72.
L’attribuzione di una particolare rilevanza ai codici di autodisciplina poteva, invero, dedursi già dal considerando 20) della direttiva
2005/29/Ce. Ivi, in particolare, si avverte che attribuire un adeguato
ruolo ai codici di condotta consente di ottenere almeno un duplice
vantaggio: permette ai professionisti di applicare in modo efficace i
principi della direttiva in specifici settori economici; garantisce un
controllo per l’eliminazione delle pratiche commerciali sleali in modo
da evitare la necessità di esperire azioni giudiziarie o amministrative73.
Lo scopo deflattivo, dunque, si inserisce in un disegno più ampio volto ad indurre le imprese a comportamenti virtuosi74.
72
P. BARTOLOMUCCI, La proposta di direttiva, cit., p. 958. Il dato è evidenziato anche da L.G. VIGORITI, Verso l’attuazione della direttiva, cit., p. 535. Secondo l’Autore,
infatti, il vincolo del professionista al codice di condotta non è più concepito come presupposto funzionale dell’eventuale sanzione al gruppo di appartenenza, ma assurge a criterio di valutazione per la tutela di un soggetto estraneo al gruppo, e quindi, a rigore, terzo, rispetto all’obbligazione comportamentale. In diversa prospettiva P. FABBIO, I codici
di condotta, cit., p. 722, ove si afferma che ritenere che una condotta in violazione di regole di autodisciplina si possa di per sé qualificare come sleale equivale ad ammettere
che il codice vincoli, con efficacia addirittura erga omnes, anche chi non vi abbia aderito.
Sul rapporto tra codici deontologici e autoregolazione si vedano F. GALGANO, La globalizzazione nello specchio del diritto, Bologna, 2005, p. 93; F. CAFAGGI, Crisi della statualità, pluralismo e modelli di autoregolazione, in Pol. dir., 2001, p. 543. Più in generale, riguardo al concorso delle fonti private nella produzione delle norme, si rimanda a G.
CONTE, Codici etici e attività d’impresa, cit., p. 108; N. LIPARI, La formazione negoziale
del diritto, in Riv. dir. civ., 1987, p. 307; E. NAVARRETTA, Modalità di trattamento, cit.,
p. 252. Cfr. anche la Comunicazione alla Commissione, Un mercato unico per l’Europa
del XXI secolo, Bruxelles 20 novembre 2007, COM (2007) 794 def.; allegato SEC
(2007), 1518, p. 11. Con riferimento ai fondamenti costituzionali dell’autoregolazione si
vedano F. CAFAGGI e P. IAMICELI, Le dimensioni costituzionali della regolazione privata, cit., p. 77; U. PERFETTI, Codice deontologico forense e natura delle norme deontologiche, in G. ALPA - P. ZATTI (a cura di), Codici deontologici, cit., p. 23.
73
E. BARGELLI, I codici di condotta, cit., p. 262; P. FABBIO, I codici di condotta,
cit., p. 707, afferma che è diffusa l’idea che lasciare in parte ai privati la possibilità di
definire le regole loro applicabili comporti molteplici vantaggi in termini di rapidità,
flessibilità e migliore conoscenza dei fenomeni reali. Nella prospettiva del legislatore
comunitario si aggiunge la speranza che si possa, in questo modo, contribuire a ridurre le
distanze tra istituzioni comunitarie e cittadini. Il principale rischio è, però, che il coinvolgimento dei privati comporti l’affermazione di interessi corporativi a scapito
dell’interesse generale. Sul punto cfr. F. GHEZZI, Codici di condotta, cit., p. 680; H.
MICKLITZ, A General Frame work on Fair Trading, cit., p. 82. Sull’importanza delle regole di condotta per il buon funzionamento del mercato si veda A. MAZZONI, Concorrenza,
coordinamento e conflitti tra le regole di mercato, in Riv. soc., 2005, p. 717.
74
Sul ruolo dei codici di condotta nella promozione delle best practices si veda R.
ANGELINI, Le pratiche, cit., p. 330.
PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE E DECISIONI NEGOZIALI DEL CONSUMATORE
39
L’importanza del considerando si segnala, altresì, per il richiamo
al coinvolgimento delle organizzazioni dei consumatori nel procedimento di formazione delle norme di condotta, evitando così che si perseguano interessi di categoria, in linea con l’obiettivo di proteggere i
consumatori ed assicurare il corretto funzionamento del mercato75.
Il legislatore italiano, invero, non ha reso obbligatorio il coinvolgimento delle associazioni dei consumatori, auspicato dalla posizione
del Parlamento europeo del 20 aprile 2004, e ribadito dal citato considerando n. 20. Ci si è preoccupati solo di prevedere alcuni oneri di informazione. Segnatamente, ex art. 27-bis, comma 5, cod. cons., il professionista deve preventivamente informare il consumatore dell’esistenza del codice di condotta, dei suoi contenuti e dell’adesione76.
Ai sensi dell’art. 27-quater cod. cons., le organizzazioni imprenditoriali e professionali, di cui all’art. 27-bis, devono comunicare periodicamente al Ministero le decisioni adottate in base alla disciplina sulle
pratiche sleali. Il Ministero, successivamente, deve provvedere a rendere
disponibili i codici di condotta comunicati e pubblicare la sintesi delle
decisioni più significative riguardo le controversie verificatesi77.
L’importanza di tali norme, tuttavia, non è da trascurare e, altrettanto deve dirsi riguardo alla fase divulgativa dell’esistenza e del rilievo dei codici di condotta. Il consumatore, infatti, ‹‹seleziona i prodotti
e i servizi anche sulla base della reputazione dell’impresa. A sua volta, la
reputazione dipende dalle tutele apprestate dall’impresa al consumatore
prima, durante e dopo l’acquisto del bene o del servizio. L’aderire (e
75
G. HOWELLS, Co- Regulation’s Role, cit., p. 214; J. STUYCK - E. TERRYN T. VAN
DICK, Confidence through fairness?, cit., p. 137. F. CAFAGGI e P. IAMICELI, Le dimensioni costituzionali della regolazione privata, cit., p. 91, segnalano come dottrina e giurisprudenza valorizzino la rilevanza dell’interesse di categoria come interesse principalmente promosso mediante l’adozione dei codici di condotta, senza però trascurare
l’esigenza della difesa di un interesse più generale, talora visto come automatico riflesso
della garanzia di correttezza delle professioni, talaltra concepito come interesse concorrente e distinto. Con specifico riferimento al codice di autodisciplina pubblicitaria, nel
segno della individuazione di tre essenziali direttrici di tutela: la protezione dell’interesse
del consumatore; quella della pubblicità in sé; quella avente ad oggetto l’interesse dei
concorrenti si rimanda a G. IUDICA, Il codice di autodisciplina pubblicitaria, in G. ALPA
- P. ZATTI (a cura di), Codici deontologici, cit., p. 160.
76
Cfr. F. GHEZZI, Codici di condotta, cit., p. 685 e, in particolare, nota 27.
77
Su tali previsioni di vedano S. BASTIANON, La tutela del consumatore, cit., p. 1471;
F. CAFAGGI, La regolazione privata, cit., p. 119; P. FABBIO, I codici di condotta, cit., p.
736; A. GENOVESE, La normativa, cit., p. 783; F. PINTO, I codici deontologici, cit., p. 222; F.
GHEZZI, Codici di condotta, cit., p. 682. Ivi, in particolare, si segnalano le difficoltà a reperire,
presso il Ministero dello Sviluppo Economico riferimenti, virtuali o meno, alle problematiche
relative ai codici di condotta in materia di pratiche commerciali scorrette.
CAPITOLO PRIMO
40
l’attenersi) a codici o standard di condotta rientra evidentemente tra i
fattori in grado di incidere sulla reputazione individuale e collettiva››78.
La possibilità di essere informati sull’adesione di un’impresa ad
un codice di condotta è idonea a condizionare le scelte dei consumatori. Questi ultimi, infatti, possono orientare le proprie decisioni anche
in ragione della conoscenza che hanno circa i comportamenti dei professionisti e le modalità di svolgimento della loro attività.
4. Strumenti preventivi di tutela e forme di organizzazione dell’attività
Un ulteriore aspetto da evidenziare − in quanto palesa il rilievo
giuridico dell’attività nella disciplina in oggetto − riguarda l’adozione
di strumenti preventivi di tutela. La necessità degli stessi è legata alla
circostanza che sono pratiche commerciali scorrette non solo quelle
che falsano in modo rilevante79 il comportamento economico del consumatore, ma anche quelle semplicemente idonee a falsarlo80 e che,
dunque, non è detto che siano seguite da una contrattazione81.
Occorre, a questo punto, distinguere due piani: l’uno quello della
sanzione amministrativa; l’altro relativo alla tutela del consumatore
che valuta se diventare fruitore dei beni e dei servizi offerti dal professionista82.
78
F. GHEZZI, Codici di condotta, cit., p. 684.
V. MELI, L’applicazione, cit., p. 348, si sofferma sul cosa debba intendersi per
«impatto rilevante» di una pratica commerciale sul consumatore. Secondo l’Autore il
punto di equilibrio tra rilevanza e irrilevanza è spostato vero la prima, dato che il considerando 6) della direttiva esclude dall’applicazione della disciplina solo le pratiche che
abbiano un impatto trascurabile.
80
Cfr. Consiglio di Stato, 20 luglio 2011, n. 4391 in Foro amm. CDS, 2011, p.
2534. Ivi, dalla circostanza che il divieto di pratiche commerciali ingannevoli, e le conseguenti sanzioni, si estendono anche alle pratiche soltanto idonee ad indurre in errore il
consumatore, si deduce che non si può escludere il carattere scorretto di una pratica in
relazione al fatto che le segnalazioni fatte degli utenti siano limitate.
81
Cfr. V. MELI, Pubblicità ingannevole, cit., p. 5. L’Autore evidenza un profilo di
criticità della normativa in oggetto. Quest’ultima individua il suo ambito di applicazione
rinviando al rapporto tra professionista e consumatore ma ‹‹come si farà, dunque, a formulare in via generale un giudizio sul contesto, professionale o non, nel quale si iscrive
un’operazione economica che potrebbe non essere ancora stata compiuta da alcuno?››.
82
Su tali problematiche cfr. V. BUONOCORE, Contrattazione di impresa e nuove categorie contrattuali, Milano, 2000, p. 157; ID., I contratti di trasporto e di viaggi, Torino,
2003, p. 307. Più di recente, con specifico riferimento anche alle norme in tema di pratiche commerciali, si rimanda a C. GRANELLI, Il codice del consumo a cinque anni
dall’entrata in vigore, in Obbl. contr., 2010, p. 731.
79
PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE E DECISIONI NEGOZIALI DEL CONSUMATORE
41
L’imposizione di obblighi per lo svolgimento di una determinata
attività, prima e a prescindere dai suoi esiti, comporta che l’operatore
commerciale possa essere destinatario di sanzioni amministrative indipendentemente dalle conseguenze sulla singola vicenda contrattuale
eventualmente intercorsa con il consumatore83.
Sul piano sanzionatorio, dunque, ha rilievo la pratica commerciale in quanto scorretta e non si riscontra alcun riferimento alle condizioni che derivano dalla stessa o al ricorrere di uno squilibrio giuridico
o economico84.
Le dette sanzioni evidenziano la funzione anche preventiva delle
norme in esame. Se ne traeva conferma già dall’art. 112 lettera b) della
direttiva, in base al quale gli Stati membri conferiscono all’organo giurisdizionale o amministrativo il potere di far cessare le pratiche commerciali sleali o di proporre azioni appropriate per vietarle anche qualora
non siano state ancora poste in essere85. In questa fase, si prescinde
dalla prova in merito alla perdita o al danno effettivamente subito86.
In analoga direzione si collocano gli apporti del d.lg. n. 146 del
2007 e le conseguenti modifiche al Codice del consumo, ove si afferma la competenza amministrativa della Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato a conoscere delle nuove fattispecie di pratiche
commerciali scorrette87, confermando il potere non solo di adottare
provvedimenti idonei ad eliminarne gli effetti, ma pure ad inibire tali
pratiche88.
83
A. JANNARELLI, La tutela dei consumatori nella negoziazione fuori dai locali
commerciali: introduzione generale, in A. JANNARELLI (a cura di), Le vendite aggressive.
Vendite stipulate fuori dei locali commerciali e vendite stipulate a distanza nel diritto italiano ed europeo, Napoli, 1995, p. 30. Ivi si nota che già l’art. 11 del d. lg. n. 50 del
1992, nel disporre misure appropriate per la tutela dei consumatori qualora non venga
fornita l’informazione sul diritto di recesso, ha tenuto distinte le conseguenze miranti a
sanzionare la violazione della disciplina dettata per l’attività di negoziazione, da quelle
direttamente volte a proteggere i consumatori vittime in concreto di quella medesima
violazione.
84
Si potrebbe dire che il legislatore comunitario si ponga l’obiettivo, con la normativa in oggetto, di tutelare il procedural fairness più che il substantive fairness. Così L.
DI NELLA, Le pratiche, cit., p. 231.
85
S. BASTIANON, La tutela del consumatore, cit., p. 1466.
86
Sul punto si vedano A. CIATTI, I mezzi di prevenzione e di repressione delle pratiche commerciali sleali nella direttiva comunitaria del 2005, in Contr. impr./Eur., 2007,
p. 79; E. GUERINONI, La direttiva, cit., p. 177.
87
A seguito del, già citato, Decreto Liberalizzazioni anche le microimprese potranno avvalersi delle tutele amministrative e giurisdizionali ex art. 27 cod. cons.
88
Una novità rispetto alla direttiva 2005/29/Ce è la previsione, ex art. 27 cod. cons.,
secondo la quale l’Autorità può procedere anche d’ufficio. Quanto all’importanza di tale
42
CAPITOLO PRIMO
Ad avere rilievo sono anche le modalità di organizzazione dell’attività. Occorre, per esempio, che le imprese adottino modelli gestionali idonei a prevenire il verificarsi di condotte scorrette nei confronti dei
consumatori. L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato è tenuta, infatti, a valutare non solo la condotta puntuale tenuta dal professionista in relazione ad una specifica vicenda, ma anche la preliminare predisposizione di adeguate misure di controllo, monitoraggio e vigilanza
al fine di garantire l’assolvimento degli obblighi imposti dal codice di
consumo89.
novità, intesa come precisa scelta politica, si vedano G. DE CRISTOFARO, Le pratiche
commerciali sleali, cit., p. 1193; D. PARROTTA, Nessun obbligo di difesa per i ricorsi, in
Guida dir., 2007, n. 39, p. 36. Sulla necessità di riconoscere un potere d’ufficio all’Autorità, si
sofferma P. AUTERI, I poteri dell’autorità garante in materia di pubblicità ingannevole e
comparativa, in Riv. dir. ind., 2002, p. 270. Riguardo al significativo rilievo della procedura
per manifesta scorrettezza e gravità della pratica si veda L. MINERVINI, Il “nuovo” potere dell’Autorità di ottenere impegni dal professionista in materia di pratiche commerciali scorrette e di pubblicità ingannevole e comparativa illecita: confini e orizzonti, in
Consumerism 2011- Quarto rapporto annuale, in Consumerism 2011. Quanto ai poteri
inquisitori e alla previsione di possibili decisioni transattive o negoziate o patteggiate,
cfr. A. GENOVESE, La normativa, cit., p. 778; ID., L’enforcement e le tutele, in A. GENOVESE (a cura di), I decreti, cit., p. 209; ID., Il ruolo dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in A.M. GAMBINO (a cura di), I rimedi, cit., p. 276; A. PALMIERI,
Vettore ferroviario, pratiche commerciali scorrette e sanzione pecuniaria, ammenda,
inflitta dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in Foro it., 2010, c. 652;
S. SIMONE, Le istruttorie dell’AGCM in materia di pratiche commerciali scorrette: profili procedurali, in Obbl. contr., 2011, p. 675. Con riferimento al regolamento dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato sulle procedure da seguire nei casi di
pratiche commerciali sleali, si rimanda a S. BASTIANON, La tutela del consumatore, cit.,
p. 1461; N. ZORZI, Il controllo dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato
sulle pratiche commerciali ingannevoli ed aggressive a danno dei consumatori, in Contr.
impr., 2010, p. 671; N. ZORZI GALGANO, Il contratto di consumo, cit., p. 201; V. MELI,
L’applicazione, cit., p. 334, nota che l’attribuzione delle competenze in tema di pratiche
commerciali all’Autorità garante della concorrenza e del mercato è avvenuta in modo
tale da consentire alla stessa di valutare a tutto campo il modo nel quale le imprese stanno sul mercato nelle loro relazioni con i consumatori attuali e potenziali. Sul punto si vedano M.A. CARUSO, In tema di attivazione non richiesta di servizi di utenza telefonica e
di cumulo di competenze tra autorità amministrative indipendenti in materia di pratiche
commerciali scorrette, in Dir. inf. , 2010, p. 956; M. CLARICH, Le competenze, cit., p.
688; G. CARRIERO, P. DE IOANNA, A. FRIGNANI, F. NANNI, M. PROSPERETTI, Pratiche
commerciali scorrette ed assicurazioni, in Dir. econ. ass., 2010, p. 727; N. ZORZI, Il controllo dell’Autorità Garante, cit., p. 671. Su alcuni aspetti critici del modo di operare
dell’Autorità garante si rimanda a V. DI CATALDO, Pratiche commerciali scorrette e sistema di enforcementt, in Giur. comm., 2011, p. 803; ID., L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato a vent’anni dalla sua istituzione, in A.M. GAMBINO (a cura di), I
rimedi, cit., p. 235.
89
R. ANGELINI, Le pratiche, cit., p. 331.
PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE E DECISIONI NEGOZIALI DEL CONSUMATORE
43
Il dato valorizza la prospettiva proposta, visto che il ricorso a tecniche
preventive di tutela è particolarmente utile nella disciplina dell’attività90.
5. Educazione del consumatore e sua tutela nelle scelte negoziali
Le norme sulle pratiche commerciali si propongono di tutelare il
consumatore anche prima del contratto e per il solo fatto che possa essere condizionato nelle sue valutazioni di opportunità91.
Quanto sino ad ora affermato non implica, però, che, riguardo alla
tutela del singolo consumatore, si possa prescindere dal danno effettivamente subito. Piuttosto, la normativa sulle pratiche commerciali palesa che tale danno può dipendere non solo dalla conclusione di un
contratto, ma anche dalle modalità scorrette di svolgimento dell’attività da parte degli operatori economici, almeno nella misura in cui le
stesse possano incidere sulle sue determinazioni di natura commerciale92.
Il riferimento è al rischio di uno sviamento da scelte consapevoli
in tutte le occasioni nelle quali il professionista solleciti l’interesse del
consumatore in direzione di una data scelta economica, e dell’an e del
quomodo della stessa93.
90
Sul punto, si veda T. ASCARELLI, Teoria della concorrenza e dei beni immateriali. Istituzioni di diritto industriale, Milano, 1960, p. 227. Quanto all’uso frequente del
rimedio inibitorio nel diritto di origine comunitaria si veda S. MAZZAMUTO, L’inattuazione dell’obbligazione e l’adempimento in natura, in Eur. dir. priv., 2001, p. 515.
L’Autore segnala che la novità è costituita non tanto dalla diffusione delle tutele specifiche nell’ambito dei rapporti tra imprese, dove il ricorso a misure di questo tipo da sempre rappresenta la regola, quanto piuttosto della sua estensione ai rapporti tra imprenditori e consumatori. In argomento cfr. C.M. BIANCA, L’inibitoria come rimedio di prevenzione dell’illecito, in Studi in onore di Nicolò Lipari, I, cit., p. 133.
91
Cfr. Consiglio di Stato, 20 luglio 2011, n. 4391, cit.; Consiglio di Stato, 22 giugno
2011, n. 3763, cit. Ivi si afferma che «la Parte II del Codice del consumo, in cui si iscrive il
divieto di pratiche commerciali scorrette (art. 20), è del resto essenzialmente orientata a riequilibrare l’originaria asimmetria di conoscenza circa la qualità del prodotto o del servizio, ed
è posta per tutelare l’effettività dell’autodeterminazione del consumatore, in modo che egli
possa esprimere un consenso quanto più consapevole e responsabile. Figurativamente, la
sede dell’interesse protetto è quella del processo intellettivo del consumatore medio».
92
D’altronde, “in un’esistenza più ricca e più vasta, la vita dipende da mille premesse che il singolo non è assolutamente in grado di seguire e verificare fino in fondo. La
nostra esistenza moderna si fonda molto più di quanto si creda sulla fiducia nella sincerità degli altri. Noi basiamo le più importanti decisioni su un complicato sistema di rappresentazioni,
la maggior parte delle quali presuppone che ci si fidi di non essere ingannati”. Il dato è evidenziato da G. SIMMEL, Il segreto e la società segreta, Milano, 1992, p. 1.
93
Cfr. A. COSTA, Pratiche commerciali e rimedi, cit., p. 246; L. DI DONNA, Obblighi
informativi, cit., p. 39; ID., La disciplina degli obblighi informativi precontrattuali nella diret-
44
CAPITOLO PRIMO
La disciplina sulle pratiche commerciali valorizza alcuni esiti legati all’influenza del diritto comunitario che non solo segue passo dopo passo il consumatore nelle varie fasi del processo di acquisto, ma si
preoccupa anche del momento della selezione degli affari nei quali
convenga impegnarsi.
Al riguardo, importante è l’art. 4 del Codice del consumo e, in
particolare, il riferimento al momento dell’educazione del consumatore che ha un ruolo strategico, ed è inteso come processo mediante il
quale si apprende il funzionamento del mercato e si evitano percezioni
distorte delle informazioni relative alle diverse categorie di beni e servizi da acquistare94.
Il diritto all’educazione al consumo era già inserito tra i diritti
fondamentali dell’art. 1 della legge 281 del 199895 (ripreso, ora, dall’art. 2 del Codice) e riconosciuto dalla risoluzione CEE del 197596,
tiva sul credito al consumo, in Giur. it., 2010, p. 241; T. FEBBRAJO, L’informazione ingannevole, cit., p. 43; D. PARROTTA, Escluse, cit., p. 28; R. CALVO, Le pratiche, cit., p. 168. Quanto
all’opportunità di introdurre meccanismi di controllo sostanziale dell’operato dei professionisti, si veda P. BARTOLOMUCCI, Le pratiche commerciali scorrette ed il principio di trasparenza nei rapporti tra professionisti e consumatori, in Contr. impr., 2007, p. 1423.
94
L. DI DONNA, Obblighi informativi, cit., p. 39. L’educazione si distingue dalla semplice
messa a disposizione di una serie di dati e trova la sua specificità nella interpretazione critica che
consente di trasformare l’informazione in conoscenza. In questi termini L. ROSSI CARLEO, Il
diritto all’informazione: dalla conoscibilità al documento informativo, in Riv. dir. priv., 2004, p.
349. In merito alle preoccupazioni dell’Autrice di evitare che il diritto ad essere informati si tramuti in una mera formalità, si vedano ID., Art. 5, in G. ALPA - L. ROSSI CARLEO, Codice del
consumo. Commentario, Napoli, 2005, p. 125; A. PALMIERI, Arriva il codice del consumo, cit.,
c. 77. Sull’educazione al consumo in un’accezione più ampia, e segnatamente, non come mera
difesa del consumatore, ma quale strumento di formazione dei consumatori, cfr. E. CAPOBIANCO
e G. PERLINGIERI (a cura di), Codice del consumo, cit., p. 32. Quanto all’attenzione alla fase anteriore alla formazione del contratto, si rimanda a P. BARTOLOMUCCI, op. ult. cit., p. 1416;
ID., La proposta di direttiva, cit., p. 960; M. DONA, Scarsa attenzione al «cuore degli
scambi», in Guida dir., 2005, p. 108.
95
R. COLAGRANDE, Disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti, in Nuove leggi
civ. comm., 1998, p. 700; G. ALPA, Finalità e oggetto della legge, in G. ALPA e V. LEVI (a
cura di), I diritti dei consumatori e degli utenti: un commento alle leggi 30.7.1998 n. 281 e
24.11.2000 n. 340 e al Decreto legislativo 23.4.2001 n. 224, Milano, 2001, p. 1; ID., Il diritto
dei consumatori, Roma-Bari, 2002, p. 7; ID., Il Codice del consumo, in Contratti, 2005, p. 60;
E. MINERVINI, Dei contratti dei consumatori in generale, Torino, 2006, p. 18.
96
Quanto ai problemi relativi all’educazione del consumatore nella legislazione che
precede il codice del consumo, si rimanda a S. SORRENTINO, Educazione del consumatore, in V. CUFFARO (a cura di), Codice del consumo, Milano, 2006, p. 30. Ivi si segnala
che, nella prospettiva comunitaria del 1975, confermata poi anche successivamente,
l’educazione costituisce lo strumento attraverso il quale rendere il consumatore soggetto
in grado di operare una scelta oculata e consapevole, anche dei propri diritti e responsabilità. Importante, inoltre, il riferimento al D.p.r. 17 febbraio 2003, n. 84, volto a recepire
la Direttiva 1999/94/Ce, ove l’educazione del consumatore è intesa come un’attività che
PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE E DECISIONI NEGOZIALI DEL CONSUMATORE
45
ma è anche espressamente menzionato dall’art. 153 del Trattato istitutivo della Comunità Europea (ora articolo 169 Trattato FUE). Ivi si
precisa che, al fine di promuovere gli interessi dei consumatori ed assicurarne un livello elevato di protezione, la Comunità contribuisce a
promuovere il loro diritto all’educazione97.
Il dato è particolarmente interessante se si considera che le valutazioni dei soggetti non sono condizionate più dalle sole caratteristiche fisiche o materiali dei beni o dei servizi ed il prezzo non rappresenta
l’elemento principale che condiziona la scelta98. Nel diritto di derivazione comunitaria, infatti, la comparabilità delle diverse operazioni economiche è affidata, soprattutto, al diverso trattamento giuridico che è previsto
per quel determinato bene o servizio99; trattamento percepibile dal consumatore solo se gli operatori economici si comportano correttamente100.
La consapevolezza dei diritti e doveri legati agli acquisti presuppone, infatti, la conoscenza di una serie di dati che sono a disposizione
soltanto di chi svolge professionalmente un’attività e, dunque, accessibili esclusivamente a lui.
Si pensi all’art. 3 del d.lg. n. 145 del 2007 che, nello stabilire gli
elementi di valutazione dell’ingannevolezza della pubblicità, impone
di considerare non solo il prezzo del bene, ma anche le condizioni alle
mira a rendere comprensibile e percepibile al consumatore il funzionamento del mercato,
non limitandosi alle informazioni sulle caratteristiche dei beni. Sull’importanza del momento dell’educazione del consumatore cfr. G. ALPA, Nuove prospettive della protezione
dei consumatori, in Nuova giur. civ. comm., 2005, II, p. 105.
97
S. PERCIACCANTE, Serve più educazione all’informazione, in Guida dir., 2005, p. 68;
S. SORRENTINO, op. cit., p. 31, nota che l’art. 153 del Trattato Istitutivo della Comunità europea riprende le linee guida della Risoluzione del 1975. I diritti ivi richiamati però, in quanto
disciplinati dal suddetto articolo, diventano oggetto di disposizioni non più programmatiche,
ma ormai precettive. Si veda, inoltre, p. 32, per i riferimenti alla dimensione che tale diritto
può assumere nella misura nella quale è fatto proprio dalla Costituzione Europea.
98
A. JANNARELLI, La disciplina dell’atto e dell’attività, cit., p. 16.
99
A. JANNARELLI, op. ult. cit., p. 39. L’Autore, indagando sulle diverse implicazioni degli sviluppi della società post industriale, sottolinea che emergono una pluralità di
mercati specializzati per i singoli beni e servizi nei quali il diverso trattamento giuridico
riservato all’acquirente finale costituisce una componente sempre più rilevante nella determinazione del valore di scambio. Oggetto dell’intervento comunitario non è il prezzo,
la determinazione del quale spetta al mercato, ma le condizioni che lo determinano. In
questi termini, M. BARCELLONA, I nuovi controlli, cit., p. 38; E. NAVARRETTA, La complessità del rapporto fra interessi e rimedi nel diritto europeo dei contratti, in Studi in
onore di Nicolò Lipari, II, cit., p. 1943, afferma che le ragioni della debolezza del consumatore derivano da un’asimmetria informativa che rende opachi l’aspetto normativo e
i suoi risvolti economici, impedendo al contraente di percepire l’effettiva iniquità del regolamento di interessi, magari falsata da un’apparente giustizia del prezzo.
100
Cfr. sul punto P. GALLO, Buona fede oggettiva e trasformazioni del contratto, in
Riv. dir. civ., 2002, p. 246.
CAPITOLO PRIMO
46
quali i beni o i servizi sono forniti. Le motivazioni d’acquisto dipendono anche da tali condizioni ed il consumatore deve potersi rendere
conto che lo stesso bene, pur avendo il prezzo più basso, non necessariamente rappresenta quello più conveniente101.
Significativo è, inoltre, l’art. 21 cod. cons. e, in particolare, la lett.
g), ove la pratica commerciale è ritenuta ingannevole se contiene informazioni non rispondenti al vero, o seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o è idonea ad indurre in errore il consumatore medio riguardo i suoi diritti, incluso quello di sostituzione o rimborso, ai sensi dell’art. 130 cod. cons.
Dal moltiplicarsi di prescrizioni che disciplinano i comportamenti
di chi svolge professionalmente un’attività può evincersi già una prima implicazione non trascurabile nell’attuale economia standardizzata.
Il consumatore non è più da considerare solo come contraente debole, ma quale soggetto che deve essere messo in grado di poter scegliere tra i tanti operatori presenti nel mercato unico102. Conseguentemente, il contratto potrebbe avere «uno sviluppo anche in senso ideologico»103, non dovendosi più necessariamente articolare secondo il
modello imposto da una parte forte ed organizzata ad una parte debole, che può solo accettare104. In questa direzione sembra muoversi la
101
A. JANNARELLI, La disciplina dell’atto e dell’attività, cit., p. 24.
In questi termini P. BARTOLOMUCCI, Le pratiche commerciali, cit., p. 1426. Il
consumatore non è tutelato in quanto contraente debole, ma in quanto soggetto protagonista del mercato e in funzione della disciplina del medesimo. In questi termini G. GRISI,
Informazione, (obblighi di), in Enc. dir., cit., p. 606.
103
L. ROSSI CARLEO, Il mercato, cit., p. 167; ID., Consumatore, consumatore medio, investitore e cliente, cit., p. 699.
104
L. ROSSI CARLEO, op. loc. ult. cit.; ID., Dalla comunicazione commerciale alle
pratiche commerciali sleali, in E. MINERVINI - L. ROSSI CARLEO (a cura di), Le pratiche
commerciali sleali, cit., p. 1, ove si auspica una nuova ‹‹forma di alfabetizzazione che
consenta al consumatore di divenire sempre più soggetto attivo del mercato, titolare di
scelte che, se consapevoli, possono incidere sul comportamento delle imprese, ricostituendo una corretta relazione tra titolari della domanda e titolari dell’offerta››. In direzione analoga, P. BARTOLOMUCCI, Le pratiche commerciali, cit., p. 1425. Sul punto cfr.
R. CATERINA, Psicologia della decisione e tutela del consumatore: il problema delle
«pratiche ingannevoli», in Sistemi intelligenti, 2010, p. 221; M. GORGONI, L’ammissibilità dell’azione di classe tra punti fermi ed ambiguità, in Resp. civ. prev., 2011, p.
1099, afferma che il legislatore ha fatto una scelta finalizzata ad incentivare un certo attivismo del consumatore, già al momento della decisione d’acquisto, piuttosto che limitarsi a considerarlo mero spettatore del «gioco della concorrenza», emancipandosi dal paternalismo consumeristico che ha contrassegnato gli anni novanta. Sulla necessità di segnare il passaggio dal modello paternalistico di tutela del consumatore a quello liberale,
principalmente finalizzato ad assicurare informazioni vere, corrette ed utili ai consumatori, si veda A. PERA, La direttiva sulle pratiche commerciali sleali, cit., p. 514. Interessante, in particolare, il richiamo al concetto di consumer sovereignty proposto in R. H. LAN102
PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE E DECISIONI NEGOZIALI DEL CONSUMATORE
47
Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento Europeo e al Comitato Economico e Sociale, (COM 2007) 99 def., ove si
legge che «consumatori fiduciosi, informati e in grado di agire attivamente sono il fulcro del cambiamento economico, perché le loro scelte
incentivano l’innovazione e l’efficienza»105. Si aggiunge, altresì, che i
consumatori devono avere capacità e strumenti che consentano loro di
svolgere un rinnovato ruolo nell’economia moderna e che «nel periodo
2007-2013» la Commissione si propone, tra l’altro, di dare loro maggiori
poteri al fine di poter effettuare ‹‹vere scelte›› e poter disporre di informazioni accurate106, «di un mercato trasparente, che sia fondato sulla tutela effettiva e su diritti sicuri»107. Il dato trova conferma anche nella
Relazione annuale sull’attività svolta, nel 2011, dall’Autorità Garante
della Concorrenza e del Mercato. Ivi si legge che «un’azione efficace
a sostegno della ripresa economica non può prescindere da una decisa
azione di tutela della correttezza delle pratiche commerciali e dell’interesse pubblico alla veridicità delle informazioni fornite ai consumatori; la cui capacità di esercitare una scelta di acquisto pienamente libera e consapevole è elemento imprescindibile per il funzionamento di un mercato effettivamente concorrenziale»108.
e W. AVERITT, Consumer Sovereignty: a Unified theory of Antitrust and Consumer
Protection Law, in Antitrust Law Journal, 1997, p. 713. Ivi si ritiene che il mercato efficiente presupponga un consumatore sovrano nelle sue scelte. Sulla mutata considerazione della figura del consumatore ‹‹che, nella prospettiva europea, trascorre dalla posizione
di soggetto debole, al più da risarcire, alla posizione di agente economico interprete della
razionalità del mercato e delle sue regole››, si veda S. MAZZAMUTO, L’inattuazione
dell’obbligazione, cit., p. 515; ID., Il contratto europeo nel tempo della crisi, cit., p. 601.
105
Comunicazione della Commissione europea, 13.3.2007, cit. p. 1.
106
G. GRISI, Informazione (obblighi di), in Enc. giur., cit., p. 7, sia pure con specifico riferimento all’obbligo di informazione nell’attività bancaria, nota che sembra da superare l’approccio formalistico, in favore di un modello che, mirando a garantire
l’espressione di un consenso meditato e consapevole, guardi all’informazione quale tramite per l’effettiva conoscenza e strumento di reale comprensione. Su questi aspetti cfr.
F. KESSLER e E. FINE, Culpa in Contrahendo, Bargaining in Good Faith and Freedom of
Contract: a Comparative Study, in Harvard Law Review (77), 1964, p. 401; D.W.
GREIG, Misrepresentation and Sale of Goods, in The Law Quarterly Review, (87), 1971,
p. 179; M. BESSONE, Principio di buona fede, disciplina del ‘Common law’ e massime di
‘Equity’ in Riv. trim. dir. proc. civ., 1973, p. 426.
107
Comunicazione della Commissione europea del 13.3.2007, cit. p. 6. Quanto evidenziato non deve condurre a sottovalutare altri aspetti problematici legati, per lo più,
alla circostanza che non ci si può fermare a credere che il consumatore, una volta informato, possa fare da sé un contratto giusto. Per questi aspetti, che non possono essere approfonditi in questa sede, si rimanda a A. SOMMA, Alle radici del diritto privato europeo.
Giustizia sociale, solidarietà e conflitto nell’ordine proprietario, in Riv. crit. dir. priv.,
2005, p. 75; A. GENTILI, La ‹‹nullità di protezione››, cit., 81.
108
In www.agcm.it
DE
CAPITOLO PRIMO
48
6. Rilievo giuridico e caratteri dell’attività
L’analisi delle norme in tema di pratiche commerciali ha consentito di evidenziare il rilievo di una dimensione dinamica.
Pare opportuno chiedersi, a questo punto, se ci si trovi di fronte ad
una situazione del tutto nuova per il nostro ordinamento. La risposta è
negativa.
La necessità di dare adeguato rilievo ad una dimensione dinamica,
che non è percepibile nella logica dell’atto, è stata avvertita, con particolare lungimiranza, già da tempo.
Il riferimento è al pensiero di Salvatore Romano ed ai suoi studi
sull’azione109. Ivi si avvertiva che occorre rendersi conto «della profonda differenza che corre tra l’agere o azione nel suo svolgersi e
l’actum cristallizzazione di quello svolgimento. Nessun atto (…) prescinde nella valutazione giuridica dall’azione che lo concreta»110.
Il concetto di “attività”, più volte richiamato per il suo rilievo nella disciplina delle pratiche commerciali, si affianca a quello di “azione” ed evoca uguale insoddisfazione per una prospettiva statica.
La variazione semantica e l’uso del diverso termine “attività” non
sono però casuali. Piuttosto segnalano − non soltanto una sorta di reverenza verso la teoria dell’“azione”, così finemente elaborata e applicata da Salvatore Romano − ma anche le diversità tra “azione” e “attività”. Quest’ultima esprime, infatti, un concetto più dilatato rispetto
all’azione in quanto va anche oltre l’aspetto negoziale e l’esplicazione
dei poteri dell’autonomia negoziale.
Nel concetto di attività, l’idea di azione resiste e, al tempo stesso,
si rinnova.
L’attività, non è un istituto unitario, ma è un qualcosa di più generale
che può trovare puntuale applicazione in situazioni profondamente eterogenee, una sorta di «principio generalissimo di interpretazione e costruzione di una vasta gamma di fenomeni, anche molto diversi tra loro»111.
L’attività si differenzia qualitativamente, e non soltanto quantitativamente dall’atto, e non è, pertanto, nemmeno da intendere come serie di atti112. Si tratta di una dimensione che ha rilievo giuridico a prescindere dai singoli atti nei quali può manifestarsi.
109
S. ROMANO, Ordinamento sistematico del diritto privato, II, L’azione, Napoli,
1970, passim.
110
S. ROMANO, Ordinamento, cit., p. 127.
111
P. FERRO-LUZZI, I contratti, cit., p. 202.
112
Quanto alla considerazione dell’attività come serie di atti, si vedano G. AULETTA, Attività, in Enc. dir., Milano, 1958, III, p. 982; V. COLUSSI, Capacità e impresa, I,
PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE E DECISIONI NEGOZIALI DEL CONSUMATORE
49
L’attività è vicenda in movimento e si sostanzia in una dinamica
che si oggettivizza in modo variabile «in aderenza agli interessi che
concretamente la orientano, al di fuori di un rigido canovaccio di riferimento o di uno schema tipico da assumere quale modello. L’attività,
infatti, per sua natura, benché sorretta da un proprio orientamento, non
percorre linee di svolgimento tipizzate e prefissate»113.
Il dinamismo che connota l’attività consente di evitare una «considerazione scissa o divaricata fra gli elementi e gli snodi di una stessa
vicenda»114. Il rilievo dello svolgimento, che prescinde dalla necessità
di una preventiva conformazione giuridica, consente, infatti, di superare rigidità strutturali.
7. Attività e procedimento: i diversi modelli dell’agire
Gli elementi che connotano l’attività si delineano anche nel confronto con la dinamica propria del procedimento rispetto alla quale si
riscontrano numerose diversità che valgono a «far luce sui moduli
dell’agire nella dimensione giuridica»115.
Il procedimento, infatti, è legato alla logica dell’atto; è funzionale
alla produzione di un atto − quello finale − ponendosi in posizione logicamente e cronologicamente anteriore116.
Molteplici sono le possibili definizioni del procedimento117, ma, al
di là dalle diverse prospettive adottabili, non sembra si possa dubitare
L’impresa individuale, Padova, 1974, p. 8; N. RONDINONE, L’«attività» nel codice civile, Milano, 2001, spec. p. 385. In diversa prospettiva si rimanda a A. JANNARELLI, Il contratto in generale ed i contratti agrari tra disciplina municipale e normativa comunitaria, in Riv. crit. dir. priv.,
1995, 231; ID., La disciplina dell’atto e dell’attività, cit., p. 73. Ivi, in particolare, l’Autore rileva
che ridurre l’attività ad una serie di atti sarebbe inadeguato soprattutto a seguito degli interventi
normativi comunitari che, infatti, hanno ad oggetto l’attività di contrattazione, più che i singoli
contratti. Nel senso della necessità di non esaurire il rilievo dell’attività nella serie degli atti che
la compongono è F. ALCARO, L’attività. Profili ricostruttivi e prospettive applicative, Napoli,
1999, cit., p. 16; ID., La categoria dell’attività: profili ricostruttivi (Atti e attività. L’attività
di impresa), in Riv. crit. dir. priv., 1995, p. 417; ID., Attività e soggettività: circolarità
funzionale, in Rass. dir. civ., 2007, p. 883, ove si valorizza il profilo relativo al carattere
autonomo della disciplina relativa all’attività.
113
F. ALCARO, La condizione tra “atto” e “attività”, in F. ALCARO (a cura di), La
condizione nel contratto, Padova, 2008, p. 217.
114
F. ALCARO, La condizione, cit., p. 198.
115
F. ALCARO, L’attività, cit., p. 11.
116
L’attività, invece, è svolgimento di per sé stesso significante, fisiologicamente
permanente, non destinato ad esaurirsi in un risultato statico finale di cui costituisca il
logico e naturale antecedente. Così F. ALCARO, L’attività, cit., p. 35. L’attività, in questa
prospettiva, spec. p. 34, non si apprezza nel percorso strumentale per raggiungere l’atto.
117
Sul punto si veda U. FORTI, «Atto» e «Procedimento» amministrativo, in Studi di
diritto pubblico in onore di Oreste Ranelletti, Padova, 1931, p. 457. Ivi si propone una
50
CAPITOLO PRIMO
del suo sostanziarsi in un percorso rigorosamente e preventivamente
formalizzato in vista di un risultato118.
Nella dinamica procedimentale ci si trova di fronte ad un ordinato
succedersi119, nel quale ciascun momento rappresenta una tappa della
sequenza120. Ogni tappa è destinata ad instaurare una situazione giuridica ben definita che costituisce presupposto indefettibile del successivo atto, «nel senso che quest’ultimo assume significato e valore giuridico in presenza della situazione nella quale si innesta e che, a sua
volta, è destinato ad evolvere»121.
distinzione tra procedimento in senso ampio e procedimento in senso stretto, inquadrando quest’ultimo nella categoria degli atti amministrativi. Si tratterebbe, in sostanza, di un
vero e proprio atto che si verrebbe formando gradatamente attraverso i vari elementi del
procedimento. A.M. SANDULLI, Il procedimento amministrativo, Milano, 1964, spec. p.
7, afferma che il procedimento è da concepirsi come entità formale e la logica del procedimento è da sganciare da quella dell’atto. In questa prospettiva, il procedimento non designa la serie dei singoli fatti che nel corso del suo svolgimento trovano la loro concretizzazione, quanto piuttosto il modo del loro susseguirsi. Diversamente F. BENVENUTI,
Eccesso di potere amministrativo per vizio della funzione, in Rass. dir. pub., 1950, p. 29;
ID., Funzione amministrativa, procedimento, processo, in Riv. trim. dir. pub., 1952, p.
118. L’Autore afferma che il procedimento è da definire come la forma della funzione,
ossia come ‹‹la storia segnata da tutta la serie degli atti necessari per il risolversi del potere in una realizzazione concreta››. In questo modo, si aggancia il procedimento ad un
dato sostanziale. La nozione di procedimento si lega, infatti, a quella di funzione che, a
sua volta, viene intesa in senso dinamico, cioè come il quid che si colloca tra il potere
astrattamente considerato e l’atto finale nel quale il potere si concretizza. Per una critica
a tale tesi − specie in quanto non riuscirebbe a superare i limiti della prospettiva formale
− dato che il procedimento sarebbe sempre forma di un contenuto sostanziale riferibile,
però, alla funzione, si veda S. GALEOTTI, Osservazioni sul concetto di procedimento giuridico, in Jus, 1955, p. 519. Ivi si afferma che il tratto distintivo del procedimento rispetto all’atto non sta nella contrapposizione tra forma e sostanza, ma in quella − segnata dal
fattore tempo − tra staticità e dinamicità. Si deve a M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, II, 1970, spec. p. 550, la valorizzazione del procedimento come luogo di rilevazione e
ponderazione degli interessi. Attento ad un aspetto non solo formale del procedimento è
anche F.P. PUGLIESE, Proprietà e impresa: riflessioni sui procedimenti costitutivi dei beni
immateriali e del regime amministrativo dell’impresa, Milano, 1972, spec. p. 88 e segg.
L’Autore, p. 111, ricostruisce il procedimento come rapporto giuridico. Più di recente, si vedano R. VILLATA e G. SALA, Procedimento amministrativo, in Dig. pubb., Torino, 1996, XI,
p. 579. Sulla opportunità di fare riferimento al concetto di procedimento nel diritto privato, anche se non c’è una disciplina puntuale paragonabile a quella del diritto pubblico, si
rimanda a A. CATAUDELLA, I contratti. Parte generale, Torino, 2000, p. 33.
118
N. DI PRISCO, Procedimento, in Enc. dir., Milano, 1996, XXXV, p. 836.
119
S. ROMANO, Buona fede, in Enc. dir., Milano, 1959, V, p. 680.
120
C.M. BIANCA, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 1993, p. 230, nota 214, afferma che per il rilievo di una nozione privatistica di procedimento, occorre riferirsi ad
una sequenza di atti strumentali che conservano la loro distinzione strutturale e funzionale rispetto all’atto finale.
121
Così G. BENEDETTI, Dal contratto al negozio unilaterale, cit., p. 56.
PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE E DECISIONI NEGOZIALI DEL CONSUMATORE
51
Può pensarsi al procedimento come ad un contenitore all’interno
del quale devono collocarsi, secondo un ordine preventivamente pianificato e non causale, atti che, a loro volta, devono avere requisiti predeterminati. Si tratta di un programma da rispettare necessariamente
se si vuole raggiungere il risultato progettato.
La riconoscibilità del percorso è un elemento essenziale della logica
procedimentale122. Si è di fronte, infatti, ad un iter predefinito che è identificabile e verificabile dai soggetti che ne sono coinvolti e dai terzi.
Non si può prescindere, dunque, dal rilievo della struttura formale del
procedimento123, suscettibile di analisi e di controllo, soprattutto al fine di
garantire la partecipazione dei soggetti destinatari dell’atto con il quale esso si conclude124. Se così non fosse, non si spiegherebbero quelle regole −
attinenti, per esempio, alla completezza della serie, al rispetto dell’ordine
seriale e all’invalidità derivata − che sono proprie della dinamica procedimentale125.
Il procedimento è la risultante di una serie di atti, così che può
rappresentarsi come un percorso «crescente» che dagli atti risale al
procedimento126.
Nei casi di rilievo giuridico dell’attività, invece, non è quest’ultima ad essere la risultante di una serie di atti: piuttosto è ogni singolo
atto, nel quale si puntualizza, ad assumere valenza e disciplina diversa
in quanto inserito in un’attività, secondo un percorso che è stato definito «discendente».
122
Si pensi alle osservazioni proposte a livello di teoria generale da N. LUHMANN, Procedimenti giuridici e legittimazione sociale, (trad. it. a cura di A. FEBBRAJO), Milano, 1995, spec.
37. L’Autore fa notare che ‹‹per poter creare una storia propria del procedimento, il comportamento dei partecipanti al procedimento deve poter essere scelto e anche previsto››.
123
In questo modo non si vuole sottovalutare l’aspetto funzionale del procedimento.
Si concorda, infatti, con R. VILLATA e G. SALA, Procedimento, cit., p. 579. Ivi si afferma
che il tema del procedimento è suscettibile di diversi approcci che influenzano inevitabilmente i risultati raggiungibili. È possibile, infatti, limitarsi ad un’analisi strutturale
considerando il procedimento come mero strumento di verifica dell’iter di formazione
dell’atto, oppure aderire ad una prospettiva funzionale che muove dall’idea del procedimento come regola di esercizio del potere. Più opportuno sembra, però, connotare il procedimento e dal punto di vista della struttura e da quello della funzione, considerando
l’indagine funzionale e quella strutturale non come alternative, ma come concorrenti ed
entrambe caratterizzanti. L’intento è, piuttosto, quello di sottolineare l’importanza nel
procedimento anche dell’aspetto strutturale.
124
Sulla democraticità come risultato che l’ordinamento si propone attraverso la regolamentazione del procedimento, con particolare riferimento al procedimento di formazione del contratto, si veda R. DI RAIMO, Autonomia privata e dinamiche del consenso,
Napoli, 2003, p. 112.
125
R. VILLATA e G. SALA, Procedimento, cit., p. 596.
126
P. FERRO-LUZZI, I contratti, cit., p. 205.
CAPITOLO PRIMO
52
In altri termini, non si va dall’atto all’attività, ma dall’attività agli atti127.
Si spiega, in questo modo, perché l’attività − anche se necessariamente si concretizza in atti e trova in essi tipica espressione − non si sostanzia nella serie degli stessi128. D’altronde, se pure può riscontrarsi una
sequenza di atti, si tratta di una serialità che è diversa dalla struttura seriale del procedimento129. Si pensi, a titolo esemplificativo, al confronto
tra agire procedimentale e svolgimento di un’attività professionale.
Il professionista pone in essere una serie di atti. Tale serie − se è
indicativa del rilievo di un’attività che potrebbe non riscontrarsi nel
compimento di un singolo atto − non connota l’attività che va, invece,
considerata come continuo svolgimento130. Basti osservare che le vicende degli elementi di un procedimento si riflettono su quelle dell’atto finale, mentre il contratto che un professionista fa con un suo cliente ben può essere del tutto autonomo da quello stipulato con un altro,
senza che per questo si possa dubitare che rientri nella sua attività131.
È in funzione dei caratteri dell’attività e delle esigenze da soddisfare che viene dettata la disciplina da applicare132.
127
P. FERRO-LUZZI, I contratti, cit, p. 205, nota 19.
Con specifico riferimento all’opportunità di considerare l’attività come categoria
giuridica si veda V. FARINA, L’affidamento a contraente generale. Operazione economica. Attività. Procedimento, Napoli, 2007, p. 58.
129
F. ALCARO, L’attività, cit., p. 28, afferma che con riferimento all’attività può richiamarsi “l’idea ricostruttiva del procedimento” se, in questo modo, si vuole rinviare ad
una dinamica di svolgimento contrapposta alle visioni statiche e atomistiche proprie degli atti. L’Autore precisa che l’attività non può risolversi solo in una tecnica procedimentale, in quanto l’attività trascende i singoli momenti nei quali logicamente si esprime e
non è suscettibile di frazionamenti o visioni disaggreganti.
130
Cfr. F. CAFAGGI, Pubblicità commerciale, in Dig. comm., Torino, 1995, XI, p.
474; A. JANNARELLI, La disciplina dell’atto e dell’attività, cit., p. 74; G. GRISI, Responsabilità del professionista, in Enc. giur., cit., p. 2.
131
Il dato è particolarmente evidente con riferimento all’attività di contrattazione di
impresa. Sul punto si rimanda a V. BUONOCORE, Contrattazione di impresa, cit., p. 60;
G. CAPO, Attività di impresa e formazione del contratto, Milano, 2001, p. 24.
132
La dottrina non ha esitato, al riguardo, a parlare di una sorta di rivoluzione copernicana a rovescio W. CESARINI SFORZA, Proprietà e produzione nell’impresa agraria, in Riv.
dir. agr., 1942, p. 146; Sul punto cfr. P. FERRO-LUZZI, L’impresa, in Quad. dir. comm., Milano, 1985, p. 19; P. SPADA, La rivoluzione copernicana, cit., p. 144. T. ASCARELLI, Corso di
diritto commerciale. Introduzione e teoria dell’impresa, Milano, 1962, p. 145, afferma che «è
dunque la natura (e la qualifica) dell’attività che qualifica l’imprenditore (e non invece la qualifica del soggetto che poi qualifica l’attività)». Le ragioni di tale prospettiva sono chiarite già
in ID., Teoria della concorrenza e dei beni immateriali, cit., p. 8-11, ove si specifica che lo
svilupparsi di una struttura economica caratterizzata dalla produzione industriale in massa
comporta il passaggio ad un sistema oggettivo del diritto commerciale, così che alla considerazione isolata di ogni atto si accompagna quella dell’attività. Si passa cioè «ad una disciplina
il cui criterio di applicazione non è costituito dalle qualifiche del soggetto, ma dalle caratteri128
PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE E DECISIONI NEGOZIALI DEL CONSUMATORE
53
L’attività si caratterizza in ragione della circostanza che − pur trovando un elemento propulsore nella realizzazione di un determinato
intento − ha ragion d’essere nel proprio svolgersi, mentre il raggiungimento del risultato, in concreto, può anche mancare.
L’attività si esplica nello svolgimento in atto di una funzione che,
nel suo procedere, realizza l’interesse che ne è alla base senza però esaurirlo133. È, dunque, una realtà diversa da quella che rileva per la
puntualità e staticità del riferimento finale.
Ci si riferisce, dunque, ad una dinamica che − oltre a differenziarsi dall’agire procedimentale per il diverso rilievo degli aspetti relativi
al risultato − si connota per la sua irriducibilità ad un percorso rigidamente e preventivamente formalizzato134, così che non avrebbero senso regole, come quelle procedimentali, sulla completezza della serie,
sul rispetto dell’ordine seriale o sulla invalidità derivata.
Quanto affermato non esclude che ci siano elementi in comune sia
alla dinamica procedimentale che all’agire che non si presti ad essere
inserito all’interno di un percorso rigidamente e preventivamente formalizzato.
In entrambi i casi, infatti, devono valorizzarsi gli aspetti relativi al
modo nel quale la dinamica si svolge.
Emerge, in particolare, il rilievo dell’interesse − dei soggetti che
sono destinatari degli effetti dell’agire − alle modalità della condotta
dell’agente. Il margine di scelta di quest’ultimo, relativamente al
quomodo della sua azione, è ridotto da uno specifico interesse altrui.
stiche degli atti costitutivi del rapporto giuridico, riportandosi la stessa qualifica del soggetto
alla natura dell’attività svolta». Viene così ad assumere rilievo il concetto di attività «e di attività economica pel mercato, vuoi nei confronti della pubblica amministrazione dell’economia,
che frequentemente concerne l’esercizio di un’attività (…), dovendosi perciò anche su questo
terreno distinguere tra quanto concerne la disciplina dell’attività e quanto concerne la disciplina
dell’atto, vuoi nei confronti della nostra disciplina privatistica che ha, a sua volta, trovato nel
concetto di impresa un comune denominatore dell’attività commerciale e di quella agricola in
connessione con l’unificazione del diritto privato». Più di recente, L. DI VIA, Ancora sul principio di solidarietà e la nozione di impresa rilevante per il diritto comunitario della concorrenza,
in Foro it., 1996, c. 68, attribuisce preminenza all’attività quale elemento essenziale al quale fare
riferimento per l’individuazione del soggetto impresa nella disciplina dettata dall’ordinamento
comunitario. Sul punto cfr. M. TICOZZI, Attività professionale, cit., p. 1010.
133
In questi termini F. ALCARO, La condizione, cit., p. 200.
134
F. ALCARO, L’attività, cit., p. 24, nota che non è proponibile per l’attività la ricerca di modelli astratti predeterminati nella loro consistenza, operando, invece, un ‹‹criterio individuativo diverso, risolventesi nell’implicito rinvio alla registrazione degli indici di oggettivazione di una determinata azione ordinante che, nel suo svolgersi, mira a
instaurare posizioni rilevanti››.
CAPITOLO PRIMO
54
Si riscontra, quindi, come elemento caratterizzante la dimensione
dinamica, il particolare rilievo delle modalità del suo svolgimento;
modalità che sono tutt’altro che indifferenti per i soggetti coinvolti.
Le caratteristiche comuni sia al procedimento che all’agire non
procedimentale − dovute al fatto che si tratta, in entrambi i casi, di
svolgimento di una dinamica − non escludono la necessità di precisare
le differenze tra i diversi modi dell’agire. È importante, infatti, valutare se ci si trova di fronte ad un procedimento, o meno, per la diversità
delle conseguenze.
Le modalità di una condotta che si inserisce in un procedimento
risentono dell’essere, quest’ultimo, un percorso rigidamente e preventivamente formalizzato; non altrettanto può dirsi, evidentemente, con
riferimento all’attività.
Il mancato rispetto di una tappa del percorso, rigidamente e preventivamente formalizzato, può essere un indice della scorrettezza del
soggetto agente e, d’altro canto, l’osservanza di tutte le formalità previste limita gli spazi entro i quali possono ammettersi ulteriori pretese
circa le modalità di svolgimento del procedimento.
Diversa è la situazione che si delinea con riferimento all’attività, data la difficoltà di immaginare uno schema all’interno del quale ricondurne
lo svolgimento, pur in presenza di una precisa e predeterminata scansione
di tutti gli obblighi ai quali la dinamica debba conformarsi.
L’attività, come il procedimento, ha risentito del ruolo centrale
della teoria della fattispecie135, tanto che non si è sottratta ad una riconduzione allo schema della fattispecie136.
135
Negli studi in tema di fattispecie si valorizzano prevalentemente gli aspetti relativi alla distinzione analitica tra i vari elementi dei quali la stessa si compone. Non è possibile, in questa sede, soffermarsi sulla teoria della fattispecie, in relazione alla quale si
rimanda, pur nelle diverse impostazioni, a D. RUBINO, La fattispecie e gli effetti giuridici
preliminari, Milano, 1939, p. 63; A. FALZEA, La condizione e gli elementi dell’atto giuridico, Milano, 1941, p. 177; A. CATAUDELLA, Note sul concetto di fattispecie giuridica,
in Riv. trim. dir. proc. civ., 1962, p. 955; P. PERLINGIERI, I negozi su beni futuri. I, La
compravendita di ‹‹cosa futura››, Napoli, 1962, p. 100; S. ROMANO, Ordinamento, cit.,
p. 40. A. ZOPPINI, Il contratto asimmetrico tra parte generale, contratti di impresa e disciplina della concorrenza, in Studi in onore di Nicolò Lipari, II, cit., p. 3048.
136
Cfr. G. AULETTA, Attività, cit., p. 981; G. OPPO, Problemi giuridici dell’ impresa, Roma, 1975, p. 73; ID., L’impresa come fattispecie, in Riv. dir. civ., 1982, p. 109; V.
COLUSSI, Capacità, cit., p. 9; P. SPADA, Impresa in Dig. comm., Torino, 1991, VII, p. 38.
Si veda, però, ID., La rivoluzione copernicana, cit., p. 146. Sui rapporti tra procedimento
e fattispecie cfr. A. FALZEA, La condizione, cit., p. 180; S. GALEOTTI, Osservazioni, cit., p. 94;
S. ROMANO, Introduzione allo studio del procedimento giuridico nel diritto privato, Milano,
1961, p. 4; P. PERLINGIERI, I negozi su beni futuri, cit., p. 100 afferma che la teoria del procedimento e della fattispecie non sono inconciliabili, ma è necessaria la loro integrazione per
PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE E DECISIONI NEGOZIALI DEL CONSUMATORE
55
Si è evidenziato, però, che la parte più rilevante e caratteristica
della disciplina dell’attività non riguarda la produzione degli effetti di
un fatto più o meno complesso − quale dovrebbe essere la fattispecie
attività − ma concerne le modalità di svolgimento dell’azione137.
La dimensione indicata con il termine attività è ulteriormente caratterizzata dal fatto che si sostanzia nell’oggettiva direzione verso
l’altro. È discusso che l’attività, così intesa, sia diversa, per esempio, da
quella che viene in rilievo nel possesso138. Ivi manca la dimensione dinamica, in quanto non c’è la fisiologica influenza dell’agire nella sfera
dei terzi che, possono, semmai, subirne una influenza indiretta139.
L’art. 1140 c.c., infatti, è disciplina che prende atto ex post della
demarcazione di una sfera giuridica individuabile, non già l’espressione di una norma di comportamento140. Sarebbe difficile, inoltre,
considerare l’attività di cui all’art. 1140 c.c. estrinsecazione di una logica dinamica, se è vero che possessore è anche chi – una volta delimitata la sua sfera giuridica per il tramite dell’esercizio dell’attività –
avere una valutazione attenta e all’iter di realizzazione dell’effetto e agli elementi dell’atto. In
questa prospettiva, si è affermato che anche lo studio del procedimento è studio degli elementi dell’atto e della sua formazione progressiva. Tali osservazioni sono ribadite in
ID., La concezione procedimentale del diritto di Salvatore Romano, in AA.VV., Salvatore
Romano. Giurista degli ordinamenti e delle azioni, cit., p. 63. Nello stesso senso R. DI
RAIMO, Contratto e gestione, cit., p. 197, nota 405; A.C. NAZZARO, Obblighi
d’informare, cit., p. 281. Quanto all’orientamento intermedio tra la riconducibilità della
teoria del procedimento a quella della fattispecie e la netta contrapposizione tra le due
teorie, si rimanda a G. BENEDETTI, Dal contratto al negozio unilaterale, cit., p. 51.
137
P. FERRO-LUZZI, I contratti, cit., p. 197, nota 19. P. SPADA, La rivoluzione copernicana, cit., p. 144, afferma che P. Ferro Luzzi ha ‹‹abbattuto molti inutili attrezzi
concettuali, rettificando molte prospettive infeconde e antiveduto la dinamica delle istituzioni
giuridiche››. Sull’esigenza di oltrepassare la teoria della fattispecie e l’importanza, a tal fine,
della nozione giuridica di attività, si veda R. CAPONI, Azione di nullità (Profili di teoria generale), in Riv. dir. civ., 2008, suppl., p. 87. Ivi si afferma che ‹‹la teoria della fattispecie dà spazio ad un giudizio di validità del regolamento cui è stata assoggettata un’attività umana valutata nel suo complesso, solo qualora quest’ultima possa essere ricostruita in termini di
collegamento di atti, ad esempio come collegamento negoziale o come procedimento.
Uno spazio indubbiamente insufficiente se si considerano le multiformi attività di realizzazione degli interessi (leciti o illeciti) nel mondo contemporaneo››.
138
Sul punto cfr. F. ALCARO, L’attività, cit., p. 33; ID., Il possesso, Milano, 2003, p.
56. Ivi si sollecita un ripensamento complessivo dell’impostazione sul possesso, in linea
con la valorizzazione di un’attività che meglio esprime e sintetizza i caratteri essenziali
della situazione possessoria, in chiave di oggettiva funzionalità.
139
G.M. RIVOLTA, Gli atti di impresa, cit., p. 115, afferma che l’accostamento tra
l’impresa e il possesso nel comune denominatore dell’attività è povero di significato. Tra
i due istituti non esiste altra analogia se non quella esile e generica, che esiste tra attività
umane giuridicamente rilevanti rispetto alle quali, la fattispecie è definita, e il regolamento dettato anche in funzione dell’effettività e dell’attualità del comportamento.
140
D. MESSINETTI, Impresa familiare, diritto d’impresa “possesso dei diritti”, in Diritto di famiglia, Raccolta di scritti in onore di R. Nicolò, Milano, 1982, p. 537 e p. 577.
56
CAPITOLO PRIMO
può restare inoperoso141. Nel possesso, l’attività, è, piuttosto, il modo
attraverso il quale la situazione di fatto è “vista” dai terzi.
8. Pratiche commerciali quali attività destinate ad incidere sulle
scelte dei consumatori
Gli elementi evidenziati palesano che l’attività è una dinamica che
deve essere valutata tenendo conto della sua idoneità ad incidere sui
soggetti che fisiologicamente sono destinatari dei suoi effetti.
Non stupisce che una tale dinamica si riscontri nella disciplina
sulle pratiche commerciali. Queste ultime, infatti, si connotano non
solo per il rilievo attribuito allo svolgimento di un’azione, omissione o
condotta, ma anche perché sono valutate tenendo conto della loro idoneità ad incidere sulle scelte del consumatore.
L’importanza del profilo della naturale destinazione della pratica
commerciale ad incidere sulle scelte dei singoli consumatori è evidenziata da precisi dati normativi.
L’art. 18 del cod. cons. specifica che sono pratiche commerciali
scorrette quelle poste in essere da un professionista in relazione alla
promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori.
Il testo è leggermente diverso da quanto previsto dall’art. 2 lett. d)
della direttiva 2005/29/Ce, ove si faceva riferimento a qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale
posta in essere da un professionista e direttamente connessa alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori142.
141
La normativa sul possesso è pensata dal punto di vista del possessore al fine di
assicurargli protezione giuridica. Il possessore, infatti, può anche abbandonare il possesso, al contrario per esempio del gestore di affari che non può interrompere l’attività intrapresa, perché gli effetti della sua attività ricadono prevalentemente sulla sfera giuridica altrui. Rilevano R. SACCO e R. CATERINA, Il possesso, in Tratt. dir. civ. comm. Cicu e
Messineo, Milano, 2000, p. 75, che è merito di Savigny l’aver evidenziato che il possesso debba inglobare anche il potere del soggetto inoperoso. Tale soggetto, infatti, si comporta in maniera corrispondente al titolare di un diritto reale. Si passa, in altri termini, dal
possesso attivistico alla concezione della signoria di fatto come mera possibilità. Quanto
alle tesi in base alle quali l’assenza di atti di esercizio non importi necessariamente la
perdita del possesso, si veda A. FEDELE, Possesso ed esercizio del diritto, Torino, 1959,
p. 52. In diversa prospettiva, U. NATOLI, Il possesso, Milano, 1992, p. 43; M. GORGONI,
La circolazione traslativa del possesso, Napoli, 2007, p. 49 e p. 58; F. ALCARO, Il possesso, cit., p. 52, avverte che il possesso è esercizio di poteri connessi alla funzione, pertanto non è mai inoperoso, anche quando sembra tale da un punto di vista meramente
materiale. In questa prospettiva, inoltre, il possesso non è mai meramente conservativo,
ma è attività costitutiva che mira alla conformazione, basti pensare all’usucapione.
142
Sostanzialmente analoga la soluzione inglese. Nell’art. 2 del Consumer Protection
from Unfair Trading Regulations 2008 si legge che “commercial practice” means any
PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE E DECISIONI NEGOZIALI DEL CONSUMATORE
57
La norma del codice del consumo ha una portata più vasta, dato
che assume rilievo non solo la diretta connessione della pratica alla
promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori, ma anche il fatto che la stessa sia posta in essere in relazione a tali finalità.
Quanto affermato poteva, comunque, evincersi dal riferimento
dell’art. 5 della direttiva non solo alle pratiche dirette al consumatore, ma
anche a quelle che, pur non essendo a lui dirette, lo raggiungano143.
La relazione dell’attività con la promozione, fornitura o vendita di
un prodotto ai consumatori è elemento costitutivo della pratica commerciale che, per definizione, non sarebbe tale se non fosse presente
l’elemento direzionale evidenziato.
L’incidenza sul comportamento economico del consumatore è a
tal punto caratterizzante da riguardare tutte le diverse tipologie di pratiche144. Queste sono scorrette, ex art. 20 cod. cons., quando falsano o
sono idonee a falsare in misura apprezzabile il suddetto comportamento145; sono ingannevoli, ex art. 21 cod. cons., se inducono o sono idonee ad indurre in errore il consumatore riguardo una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso, o avrebbe preso a
condizioni e con modalità differenti; sono aggressive, ex art. 24 cod.
cons., se limitano o sono idonee a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore146.
act, omission, corse of conduct, representation or commercial communication (including
advertising and marketing) by a trader, which is directly connected with the promotion,
sale or supply of a product to or from consumers whether occurring before, during or
after a commercial transaction (if any) in relation to a product.
143
E. BARGELLI, I codici di condotta, cit., p. 268.
144
M. LIBERTINI, Clausola generale, cit., p. 54.
145
Nelle versioni redatte nelle altre lingue si trovano espressioni parzialmente diverse rispetto a quella di ‹‹falsare in misura apprezzabile il comportamento economico››;
espressione che ha sostituito quella della direttiva dove si faceva riferimento ad una influenza rilevante sul comportamento economico del consumatore. In particolare, si parla di
wesentliche Beeinflussung nell’esperienza tedesca; di materially distort in terra anglosassone;
di alteration substantielle in Francia. Per un’analisi attenta ai profili della comparazione tra i
diversi ordinamenti, si rimanda a L. DI NELLA, Le pratiche, cit., p. 223 e p. 244.
146
L. DI NELLA, op. ult. cit., p. 268, afferma che nella disciplina delle pratiche aggressive è rinvenibile un espresso richiamo alla libertà di scelta del consumatore e aggiunge ‹‹poiché questo è il bene giuridico protetto dalla direttiva e quindi è da ritenersi
posto anche alla base del divieto delle pratiche ingannevoli, occorre capire innanzi tutto
il perché della esplicita menzione nella disposizione in esame. La tipologia di pratica
scorretta qui prevista si presenta particolarmente più incisiva sull’autodeterminazione del
consumatore (….) In sintesi, le pratiche ingannevoli hanno una portata decettiva rispetto
alla decisione commerciale giocando sull’informazione, quelle aggressive una valenza
estorsiva della scelta››. Sul punto cfr. M. LIBERTINI, Clausola generale, cit., p. 56.
CAPITOLO PRIMO
58
L’importanza della naturale destinazione della pratica ad incidere
sulle scelte del consumatore è confermata anche dallo stretto legame
tra la disciplina in oggetto e l’art. 39 del cod. cons.147. Tale norma, rubricata regole nelle attività commerciali, prescrive che ‹‹le attività
commerciali sono improntate al rispetto dei principi di buona fede, di
correttezza e di lealtà, valutati anche alla stregua delle esigenze di protezione delle categorie di consumatori››148 .
Il legame con la disciplina sulle pratiche commerciali si evince
dalla Relazione che accompagna il codice del consumo, ove emerge
l’esigenza di una disposizione generale riguardante le regole che devono ispirare tutta l’attività commerciale149. Ivi si legge che è stato ritenuto opportuno «inserire nel corpo del codice i principi che ispirano
la proposta di direttiva comunitaria sulla correttezza delle pratiche
commerciali». Segnatamente, si precisa che «l’articolo 39 introduce
regole generali nelle attività commerciali, conformi ai principi generali di diritto comunitario in tema di pratiche commerciali sleali»150.
147
Richiama l’attenzione su questa norma A. GENTILI, Codice del consumo ed
esprit de geometrie, in Contratti, 2006, p. 161, ove si dice che ivi si duplica il precetto di
correttezza, trasparenza ed equità nei rapporti contrattuali che l’art. 2 cod. cons. erige a specifico diritto dei consumatori. È lecito, allora, chiedersi, data la parziale sovrapposizione indicata, quale sia l’ambito di applicazione dell’art. 39 cod. cons. Si potrebbe pensare ai rapporti
commerciali che non sono ancora contrattuali, ma questi si riducono alla pubblicità e alle attività promozionali per le quali quei principi sono separatamente sanciti. «Vero è però», continua l’Autore ‹‹che parlando di attività commerciali si includono anche i rapporti tra imprese.
Sicché l’esito − un po’ paradossale − che la disposizione così inserita nel Codice del consumo
ha concretezza solo nelle relazioni tra imprese››. Nel senso che l’art. 39 cod. cons. faccia riferimento solo all’attività svolta dal professionista nei confronti dei consumatori si esprime E.
MINERVINI, Codice del consumo, cit., p. 78. In argomento si veda B. MEOLI e L. EGIZIANO,
Art. 39 – Regole nelle attività commerciali, in P. STANZIONE e G. SCIANCALEPORE, Commentario al codice del consumo: inquadramento sistematico e prassi applicativa, Milano, 2006,
p. 319. Ivi si afferma che l’art. 39 cod. cons. riguarda l’attività commerciale nel suo insieme,
piuttosto che i singoli atti o negozi di carattere commerciale in cui essa si manifesta, così
che viene ad essere generalizzato il riferimento ai principi di correttezza e lealtà che si
trovano in altre disposizioni del Codice del consumo, dedicate specificamente alla disciplina dei contratti conclusi dai consumatori.
148
Sul punto cfr. M. TICOZZI, Attività professionale e limiti della concorrenza, cit.,
p. 1010; L. DI VIA, Considerazioni sulle “mobili frontiere” del diritto della concorrenza, in
Contr. impr./Eur., 2000, p. 17; P. BARTOLOMUCCI, Le pratiche commerciali, cit., p. 1424.
149
E. MINERVINI, Codice del consumo e direttiva sulle pratiche commerciali sleali,
cit., p. 76; M. SANDULLI, Commento sub. art. 39, in E. MINERVINI e L. ROSSI CARLEO (a cura
di), Le pratiche commerciali sleali, cit., p. 288; G. VETTORI, Esercizio dell’attività
commerciale, in G. VETTORI (a cura di), Codice del consumo. Commentario, Padova,
2007, p. 415.
150
Relazione al D.lg. recante Codice del Consumo, a norma dell’art. 7 della legge
29 luglio 2003, n. 229.
L’AGIRE SECONDO CORRETTEZZA E LA SUA INCIDENZA SULLE DECISIONI NEGOZIALI
59
CAPITOLO SECONDO
L’AGIRE SECONDO CORRETTEZZA
E LA SUA INCIDENZA SULLE DECISIONI NEGOZIALI
SOMMARIO: 1. Pratiche commerciali scorrette tra diligenza e buona fede. - 2. «Agente
modello» e rilievo delle norme di settore. - 3. Disciplina delle pratiche commerciali
e concezione corporativa della correttezza professionale. - 4. L’agire secondo correttezza ex art. 1337 c.c. - 5. Rilievo dell’attività diretta ad approdare ad un contatto
relazionale e affidamento sul quomodo della condotta: confronto tra l’agire secondo correttezza ex art. 1337 c.c. e la disciplina delle pratiche commerciali. - 6. La
tutela del destinatario dell’attività tra obblighi di protezione e obbligo di prestazione. - 7. Ruolo centrale dell’agire secondo correttezza tra trattative e pratiche
commerciali.
1. Pratiche commerciali scorrette tra diligenza e buona fede
Il legame individuato, tra l’art. 39 cod. cons. e la normativa sulle
pratiche commerciali scorrette, è funzionale, altresì, ad evidenziare
l’idoneità della buona fede a riguardare, non unicamente una relazione
già instaurata, ma anche l’attività oggettivamente diretta all’instaurarsi
della relazione.
Il riferimento è alla buona fede in senso oggettivo1, intesa come
correttezza2.
1
G. DE CRISTOFARO, Il divieto di pratiche commerciali sleali, cit., p. 125 nota che
nella buona fede oggettiva gli organi comunitari hanno individuato la matrice comune
della disciplina sulle clausole abusive e di quella sulle pratiche commerciali. Quanto alla
distinzione tra buona fede in senso soggettivo e in senso oggettivo, si rimanda a R. SACCO, La buona fede nella teoria dei fatti giuridici di diritto privato, Torino, 1949, p. 14 e
p. 53; G. GIAMPICCOLO, La buona fede in senso soggettivo nel sistema del diritto privato,
in Riv. dir. comm., 1955, p. 335; M.L. LOI e F. TESSITORE, Buona fede e responsabilità
precontrattuale, Milano, 1975, p. 14; L. BIGLIAZZI-GERI, Buona fede nel diritto civile, in
Dig. civ., Torino, 1988, II, p. 178. Per una sintesi del dibattito circa la storica divisione
tra logica integrativa e funzione valutativa della buona fede, si vedano E. NAVARRETTA,
Modalità di trattamento, cit., p. 257; G. ALPA, La completezza del contratto: il ruolo della buona fede e dell’equità, in S. MAZZAMUTO (a cura di), Il contratto e le tutele. Prospettive di diritto europeo, Torino, 2002 p. 220.
2
Sui rapporti tra buona fede oggettiva e correttezza, si veda F. CARUSI, Correttezza
(obblighi di), in Enc. dir., Milano, XX, 1962, p. 712. Secondo S. RODOTÀ, Appunti sul
principio di buona fede, in Foro pad., 1964, I, p. 1285, i concetti di buona fede e correttezza coincidono. Anche per U. BRECCIA, Le obbligazioni, Milano, 1991, p. 232, correttezza e buona fede sono concetti analoghi che consentono, in ogni caso, all’interprete di
valutare il comportamento delle parti in relazione al contenuto del rapporto e alle circo-
60
CAPITOLO SECONDO
L’art. 39 cod. cons., infatti, conforta la tesi di una possibile proiezione di regole di condotta, secondo correttezza, in una dimensione
che, sia pure in seno atecnico, potremmo definire macroeconomica3.
Parte della dottrina ha evidenziato che si tratta di un’importante novità dell’ordinamento civilistico, in quanto tende a definire la qualità
dell’attività ancor prima di preoccuparsi del regolamento dei rapporti
giuridici che, nell’ambito di tale attività, vengono posti in essere4.
stanze di fatto. Diversamente E. BETTI, Teoria generale delle obbligazioni, I, Milano,
1953, p. 68, al quale si rimanda per i riferimenti alla distinzione tra contenuto negativo e
positivo dei comportamenti. Segnatamente, sarebbe possibile distinguere nell’ambito
della buona fede oggettiva un aspetto negativo ed uno positivo. Sotto il primo profilo,
essa assume il significato di correttezza, la quale si sostanzia in doveri di astensione da
condotte lesive dell’altrui interesse. La buona fede, invece, esige comportamenti positivi
di collaborazione. Per una critica a tale impostazione, si vedano F. BENATTI, La responsabilità precontrattuale, Milano, 1963, p. 47; C.M. BIANCA, La nozione di buona fede
quale regola di comportamento contrattuale, in Riv. dir. civ., 1983, p. 205, nota 1. A. DI
MAJO, L’esecuzione del contratto, Milano, 1967, p. 374, afferma che nell’attuazione del
contratto è operante il limite della solidarietà, specificantesi nel principio di correttezza,
ma a questo si aggiunge il principio di buona fede che è espressivo dello specifico tipo di
impegno che il contratto richiede alle parti. Cfr. in argomento G. VETTORI, Anomalie e
tutele, cit., p. 105; M. BESSONE e A. D’ANGELO, Buona fede, in Enc. giur. Treccani,
Roma, 1988, V, p. 1; A. D’ANGELO, La tipizzazione giurisprudenziale della buna fede
contrattuale, in Contr. impr., 1990, p. 702; ID., Il contratto in generale. La buona fede,
IV, in M. BESSONE (diretto da), Trattato di diritto privato, XIII, Torino, 2004, p. 315; R.
SENIGAGLIA, Accesso alle informazioni e trasparenza. Profili della conoscenza nel diritto dei contratti, Padova, 2007, p. 9. Sui recenti interventi normativi, nei quali il criterio
della correttezza viene richiamato anche in contesti di responsabilità aquiliana, si vedano
F.D. BUSNELLI e E. NAVARRETTA, Abuso del diritto e responsabilità civile, in Diritto
privato, 1997, n. 3, L’abuso del diritto, p. 201; E. NAVARRETTA, Modalità di trattamento, cit., p. 263. Diversa la prospettiva di C. SCOGNAMIGLIO, Illecito e responsabilità civile, in M. BESSONE (diretto da), Trattato di diritto privato, Torino, 2002, p. 49.
3
La necessità di un sindacato sulla conformità dell’iniziativa economica alle regole
di correttezza è evidenziata da F. PRANDI, Responsabilità per misrepresentation e tutela
dell’acquirente in Riv. trim. dir. proc. civ., 1976, p. 283. L’Autore, partendo dall’analisi
del contesto di common law, afferma, p. 298, che l’imposizione di un generale principio
di duty of care consente un penetrante controllo del comportamento delle parti che è sintomo di una strategia giuridica volta a sollecitare l’entrata di nuovi operatori nelle moderne economie di scala. Sulla buona fede oggettiva come strumento di efficienza del
governo del mercato si veda E. NAVARRETTA, Buona fede oggettiva, cit., p. 509. Ivi si
afferma che la buona fede oggettiva è strumento tale da evitare i costi transattivi necessari a governare gli aspetti spesso arbitrari delle regole rigide, prevenire le conseguenze
dannose delle asimmetrie informative, reagire agli abusi collegati ai c.d. fallimenti del
mercato. Quanto al ruolo della correttezza nel funzionamento complessivo del mercato
cfr. M. RADEIDEH, Fair Trading in EC Law. Information and Consumer Chiose in the
Internal Market, Groningen, 2005, p. 259; G. OPPO, Categorie contrattuali, cit., p. 44.
4
M. SANDULLI, Commento sub. art. 39, cit., p. 288. L’Autore nota che la nostra legislazione «non ha, sino ad ora, almeno a quanto consta, dettato norme che esigano particolari requisiti generali qualitativi, in relazione a specifiche attività, cui gli imprenditori
debbano attenersi. La stessa disciplina della concorrenza sleale fa riferimento a determi-
L’AGIRE SECONDO CORRETTEZZA E LA SUA INCIDENZA SULLE DECISIONI NEGOZIALI
61
La norma, inoltre, conferma che è possibile fornire una tutela efficiente del consumatore soltanto se si interviene anche sull’attività e,
segnatamente, attribuendo, nella disciplina del suo svolgersi, un ruolo
significativo alla correttezza5.
In altri termini, ad assumere rilievo è il quomodo dell’agire economico e, allo stesso tempo, il richiamo alla buona fede rivela la sua
capacità di adattarsi al rinnovamento e alle esigenze di tutela che sorgono quando è il mercato il luogo ove si misurano le reciproche convenienze6.
Le osservazioni proposte sono avvalorate dalla disciplina in tema
di pratiche commerciali. Indicativa può essere la terminologia del d.lg.
n. 146 del 2007 ove l’espressione pratiche sleali della direttiva
2005/29/Ce è sostituita da quella di pratiche scorrette7.
Si tratta di un’opzione che ha fatto discutere in dottrina.
Il cambiamento è stato accolto con favore da quanti hanno evidenziato che, in questo modo, si attribuisce un nuovo e significativo
nati atti e comportamenti, considerati come sleali, ma non all’esercizio dell’attività in
quanto tale, considerata complessivamente». Per una sintesi dei diversi problemi posti
dall’art. 39 cod. cons. si rimanda a E. CAPOBIANCO e G. PERLINGIERI (a cura di), Codice
del consumo, cit., p. 220.
5
Sulla rivalutazione della correttezza che presidia anche le scelte d’impresa, attuando una sorta di tutela preventiva del consumatore, si vedano V. BUONOCORE, Principio di uguaglianza, cit., p. 580; G. VETTORI, Le asimmetrie informative fra regole di validità e regole di responsabilità, in Riv. dir. priv., 2003, p. 252. In giurisprudenza cfr.
Trib. Firenze, 18 gennaio 2007, n. 229, in Rass. dir. civ., 2007, p. 1137. Ivi si legge, anche se con specifico riferimento alla disciplina dei servizi di investimento, che correttezza e diligenza esprimono concetti più ampi di quelli sottesi alle norme codicistiche, operando non soltanto nel quadro di un rapporto obbligatorio con l’investitore per la tutela
del suo interesse, ma anche, più in generale, in relazione allo svolgimento dell’attività
economica come canone di condotta volto a realizzare una leale competizione e a garantire l’integrità del mercato.
6
Cfr. A. MUSIO, La buona fede nei contratti dei consumatori, Napoli, 2001, p. 3; A.
DI MAJO, Il linguaggio dei rimedi, in Eur. dir. priv., 2005, p. 353; A. SPADAFORA, La
regola contrattuale tra autonomia privata e canone di buona fede. Prospettive di diritto
europeo dei contratti e di diritto interno, Torino, 2007, p. 271.
7
In Francia la legge di attuazione della direttiva, Loi du 3 janvier 2008, utilizza la
terminologia di pratiche deloyales, trompeuses, aggressives. Il riferimento sembra essere
alle pratiche commerciali illegali più che scorrette, ma nella definizione di pratica commerciale deloyale vi è il richiamo alla contrarietà alla diligenza professionale ‹‹contraire
aux exigences diligence professionnelle››. Sul punto cfr. D. FENOUILLET, Le Code de
consommation interdit desormais les pratiques deloyales, trompeuses ou aggressives,
in Reveu des contrats, 2008, p. 346. Per un’analisi comparata delle scelte dei diversi
paesi UE sull’attuazione della direttiva 2005/29/CE si rimanda a G. DE CRISTOFARO,
Le conseguenze privatistiche, cit., p. 881; N. ZORZI GALGANO, Il contratto di consumo,
cit., p. 133.
CAPITOLO SECONDO
62
ruolo alla correttezza, anche se si pongono, inevitabilmente, problemi
legati alla sovrapposizione tra la correttezza menzionata in altre normative di fonte comunitaria e quella della disciplina in oggetto8.
In diversa prospettiva, si è affermato che la scelta del legislatore
potrebbe spiegarsi anche al fine di marcare la differenza fra i due sistemi normativi della concorrenza sleale e delle pratiche commerciali.
La slealtà esprimerebbe, in quest’ottica, l’attitudine di una condotta
imprenditoriale a ledere, in via diretta, gli interessi economici degli
imprenditori concorrenti, laddove la scorrettezza si riferirebbe alla lesione diretta degli interessi dei consumatori9.
Invero, la correttezza ha una portata più ampia rispetto alla lealtà.
Quest’ultima riguarda il rapporto tra pari, per esempio tra imprenditori, mentre la correttezza può riferirsi sia agli imprenditori che ai loro
interlocutori e, tra questi, ai consumatori.
Anche a non voler imbattersi in problemi terminologici, sono,
comunque, ben altri i dati che confortano l’importante ruolo attribuito
dalla normativa in oggetto alla buona fede.
Si pensi, in particolare, al richiamo dell’art. 18 cod. cons. ai
‹‹principi generali di correttezza e buona fede nel settore di attività del
professionista›› che, assurgono a criteri determinanti per definire la diligenza professionale10, la quale, a sua volta, è elemento dalla cui violazione dipende il configurarsi di una pratica commerciale scorretta.
8
V. MELI, L’applicazione, p. 334. Sul carattere elusivo della definizione di slealtà
si sofferma A. GENTILI, Pratiche sleali, cit., p. 41.
9
Ciò però non sarebbe sufficiente a giustificare il cambiamento che sarebbe da criticare in quanto tutta la nuova disciplina è imperniata sulla lealtà. In questi termini L. DI
NELLA, Il controllo, cit., p. 241. L’Autore rileva che la buona fede era già prevista tra i
diritti fondamentali in sede contrattuale e che la vera novità è rappresentata dall’affermazione generalizzata del principio di lealtà riconosciuto dal legislatore con la lettera
c-bis del comma 2 dell’art. 2 cod. cons.
10
Il rapporto tra buona fede e diligenza è tema tradizionalmente dibattuto. Cfr. U.
BRECCIA, Usi e abusi dei significati della ‹‹diligenza nell’adempimento››. La regola della diligenza dal modello del buon padre di famiglia ai nuovi criteri della diligenza specifica e professionale, in G. VISINTINI (diretto da), Trattato della responsabilità contrattuale, I, Inadempimento e rimedi, Torino, 2009, p. 129; ID., Le obbligazioni, cit., spec. p.
230 e p. 460. Ivi L’Autore afferma che la correttezza è criterio di valutazione del comportamento di entrambe le parti, mentre soltanto al debitore è riferito il canone di valutazione generale costituito dalla diligenza. Quest’ultima, nella prospettiva dell’Autore, si
modella sul contenuto della prestazione dovuta. Il comportamento corretto «si lega soprattutto al fine di una ricostruzione completa della sfera dei contegni che possono farsi
rientrare nell’area dell’obbligazione; e impone di prendere in considerazione anche interessi e valori soltanto in via mediata riferibili al contenuto della prestazione in senso
stretto. La buona fede, invece amplia, e al tempo stesso delimita, la sfera degli interessi
rilevanti; e consente pertanto di contemperarli, senza ridursi alla valutazione del nesso tra
L’AGIRE SECONDO CORRETTEZZA E LA SUA INCIDENZA SULLE DECISIONI NEGOZIALI
63
Il contenuto dell’art. 18 cod. cons. è parzialmente diverso da
quello del corrispondente art. 2 lett. h) della direttiva11, ove la definizione di diligenza professionale era la seguente: «rispetto a pratiche di
mercato oneste e/o al principio generale della buona fede nel settore di
attività del professionista, il normale grado della speciale competenza
e attenzione che ragionevolmente si possono presumere essere esercitate da un professionista nei confronti dei consumatori»12.
È scomparso il riferimento alle pratiche di mercato oneste, che era
stato oggetto di critiche da parte della dottrina13, mentre resta il rii mezzi (il comportamento eseguito con diligenza e con perizia) e il fine (il comportamento della specifica utilità attesa dal creditore)». R. NICOLÒ, Adempimento, in Enc. dir.,
Milano, 1958, I, p. 558, afferma che la diligenza, ex art. 1176 c.c., viene in questione in
caso di impossibilità oggettiva dell’adempimento; solo allora è necessario accertare se e
quanto il debitore si sia adoperato per non deludere la legittima aspettativa del creditore.
Non c’è, dunque, in questa prospettiva, contrasto con l’art. 1218 c.c. L’Autore definisce
la diligenza come una vera e propria qualificazione dell’agire, ma aggiunge che l’attività
del debitore non è qualificata soltanto attraverso il ricorso al criterio della diligenza, ma
anche a quello della buona fede, come criterio oggettivo di valutazione del comportamento secondo quel denominatore comune di lealtà e probità, che costituisce una esigenza fondamentale del dovere civile. Secondo U. NATOLI, L’Attuazione del rapporto obbligatorio. Appunti dalle lezioni, I, Milano, 1984, p. 87, la diligenza indica, in astratto, la
misura dell’attenzione, della cura, dello sforzo psicologico che il debitore deve adoperare
per attuare la prestazione nel modo stabilito, cioè esattamente. Ivi, pag. 87, si rimanda
anche per la tesi della irrilevanza di una indagine sulla diligenza del debitore in fase di
assunzione dell’obbligo e del rilievo, in questo caso, dell’art. 1337 c.c. Sulla necessità di non
confondere l’obbligo di buona fede con quello di diligenza si rimanda a C.M. BIANCA, La
nozione di buona fede, cit., p. 210; S. RODOTÀ, Appunti, cit., p. 1285; ID., Diligenza, in Enc.
dir., Milano, 1964, XI, p. 542. In diversa prospettiva cfr. E. DELL’AQUILA, La correttezza
nel diritto privato, Milano, 1980, p. 15 ss.
11
Su questi aspetto cfr. G. DE CRISTOFARO, Le pratiche commerciali scorrette nei
rapporti tra professionisti e consumatori, cit., p. 1188; M. LIBERTINI, Clausola generale,
cit., p. 46; V. MELI, Le clausole generali relative alla pubblicità, in AIDA, 2008, p. 257; ID.,
“Diligenza professionale”, “consumatore medio” e regola di “de minimis” nella prassi
dell’AGCM e nella giurisprudenza amministrativa, in www.orizzontidelcommerciale.it, p. 6.
12
Non c’è più nel nuovo testo il riferimento alla presunzione di ragionevolezza presente invece nella direttiva 2005/29/CE. È da segnalare che, nel commento di detta direttiva, tale riferimento è stato criticato da L. DI NELLA, Le pratiche, cit., p. 224, il quale ne
ha anche evidenziato la mancanza nelle versioni della direttiva tradotta nelle altre lingue.
Sul significato da attribuire alla contrarietà alla diligenza professionale nel testo della
direttiva si rimanda a M. LIBERTINI, Clausola generale, cit., p. 46.
13
Si veda R. DI RAIMO, L’art. 14 della direttiva 2005/29/CE e la disciplina della
pubblicità ingannevole e comparativa, in G. DE CRISTOFARO (a cura di), Le ‹‹pratiche
commerciali sleali››, cit., p. 301. Ivi si afferma che ‹‹il richiamo dell’onestà, poi, non si
presta ad assumere alcun rilievo applicativo ed ha un suono moralistico ed autocelebrativo (…). A seconda di come lo si guardi l’utilizzo del termine appare come una sorta di
legittimazione morale della scelta normativa, ovvero una legittimazione morale degli usi
mercantili, o tutte e due le cose››. Diversamente L. DI NELLA, Il controllo, cit., p. 252,
rileva che la definizione comunitaria richiede, ai fini della valutazione della condotta del
64
CAPITOLO SECONDO
chiamo alla specifica competenza e attenzione ed è valorizzato il ruolo
della buona fede e della correttezza14.
Si può certamente discutere della singolare contaminazione tra
buona fede oggettiva e diligenza che si rinviene nella normativa in
oggetto15 e anche della possibilità che il riferimento alla diligenza sia
frutto di una infelice scelta terminologica16.
È inevitabile, infatti, che il pensiero vada all’art. 1176 c.c., rispetto al quale si può riscontrare una portata più ampia, in quanto la diligenza
professionale ex art. 18 cod. cons. non si limita a regolare l’adempiprofessionista, di tener conto anche delle pratiche di mercato oneste. Nella prospettiva
dell’Autore è inspiegabile che il legislatore italiano abbia omesso il riferimento a tali pratiche
e la questione non può che essere risolta con l’interpretazione conforme alla direttiva.
14
Sulla centralità della correttezza e della buona fede nella determinazione del contenuto della diligenza professionale cfr. P. AUTERI, Introduzione, cit., p. 15; M. LIBERTINI, Clausola generale, cit., p. 89; M. RABITTI, sub. art. 20. Divieto delle pratiche commerciali scorrette, in E. MINERVINI, L. ROSSI CARLEO (a cura di), Le modifiche al codice
del consumo, Torino, 2009, p. 149.
15
In questi termini E. MINERVINI, Codice del consumo, cit., p. 81. Appare problematico anche stabilire quale rapporto sia destinato ad intercorrere fra «i principi generali
di correttezza e buona fede» di cui alla lett. h) dell’art. 18 cod. cons., «i principi di buona fede correttezza e lealtà» ex art. 39 cod. cons., la correttezza di cui all’art. 1175
c.c. e la buona fede degli artt. 1337 c.c. e 1375 c.c. Sul punto cfr. G. DE CRISTOFARO, Le pratiche commerciali sleali, cit., p. 1188; G. VETTORI, Esercizio dell’attività
commerciale, cit., p. 414; F. CARUSI, Correttezza, cit., p. 712. Sulla buona fede si
sofferma il DCFR. Ivi si veda, in particolare, I. – 1:103: rubricato Good faith and
fair dealing, ove si legge che (1) The expression “good faith and fair dealing” refers to a standard of conduct characterised by honesty, openness and consideration
for the interests of the other party to the transaction or relationship in question. (2)
It is, in particular, contrary to good faith and fair dealing for a party to act inconsistently with that party’s prior statements or conduct when the other party has reasonably relied on them to that other party’s detriment. Cfr. sul punto C. VON BAR,
E. CLIVE, H. SCHULTE-NÖLKE e H. BEALE, J. HERRE, J. HUET, M. STORME, S.
SWANN, P. VARUL, A. VENEZIANO, F. ZOLL, Principles, Definitions and Model
Rules of European Private Law. Draft Common Frame of Reference (DCFR), Munich, 2009, p. 178.
16
Cfr. G. DE CRISTOFARO, op. loc. ult. cit. A. GENTILI, Pratiche sleali, cit., p.
59, afferma che se, anche non si tratta della stessa diligenza del codice civile, è comunque in questione il comportamento del professionista; F. PIRAINO, Diligenza,
buona fede e ragionevolezza nelle pratiche commerciali scorrette. Ipotesi sulla ragionevolezza nel diritto privato, in Eur. dir. priv., 2010, p. 1160, ritiene che non sia
casuale la soluzione legislativa, ma che evochi, consapevolmente, un fenomeno di
ampliamento degli obblighi professionali, nel senso o di una loro anticipazione rispetto all’usuale insorgenza o di una loro più incisiva definizione. In giurisprudenza,
nel senso che si tratta di ‹‹una nozione di “diligenza professionale” che assume rilievo specifico nell’ambito della disciplina delle pratiche commerciali scorrette e si
differenzia rispetto alla nozione civilistica di diligenza nell’adempimento delle obbligazioni e di colpa nell’ambito dell’illecito aquiliano››, si veda Consiglio di Stato, 31
gennaio 2011, n. 720, in Foro amm. CDS, 2011, p. 278.
L’AGIRE SECONDO CORRETTEZZA E LA SUA INCIDENZA SULLE DECISIONI NEGOZIALI
65
mento delle obbligazioni, ma riguarda la fase che va dal contatto sociale sino all’eventuale momento patologico del rapporto17.
Resta, però, un dato importante, e cioè il legame tra il divieto della
pratica e la circostanza che il professionista non rispetti, nello svolgimento della sua attività, la correttezza e buona fede che il consumatore
può ragionevolmente attendersi.
2.
«Agente modello» e rilievo delle norme di settore
Il rilievo di quanto evidenziato trova conferma nella Relazione
annuale sull’attività svolta nel 2009 dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ove si legge che «è consolidato, in definitiva, il
richiamo al tipo di attenzione e cura che può ragionevolmente attendersi dall’agente modello che svolga il determinato tipo di attività nella quale si risolve la pratica commerciale oggetto di valutazione. In altri termini, la pratica è contraria alla diligenza professionale quando il
professionista l’abbia posta in essere violando in concreto i canoni di
correttezza, perizia, attenzione, cura e salvaguardia pretendibili dall’“agente modello”»18.
Sulla figura dell’agente modello si è soffermata anche la dottrina
che ha condotto uno sforzo di classificazione degli argomenti utilizzati
dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nei primi anni
di applicazione delle norme sulle pratiche commerciali scorrette19. Si è
17
In questi termini F. PIRAINO, Diligenza, cit., p. 1124; Sul punto cfr. R. INCARDONA,
La direttiva n. 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali prime valutazioni, in Dir.
com e scambi inter., 2006, p. 372; C. LO SURDO, sub. art. 20, in V. CUFFARO (a cura di),
Codice del consumo e norme collegate, Milano, 2008, p. 103; R. PARTISANI, sub. art. 18,
in M. FRANZONI (diretto da), Codice ipertestuale del consumo, Torino, 2008, p. 71. Per
una sintesi delle diverse posizioni sul punto cfr. E. CAPOBIANCO e G. PERLINGIERI (a cura di), Codice del consumo , cit., p. 73.
18
In www.agcm.it.. Di particolare rilievo è anche quanto si legge nella Relazione
annuale sull’attività svolta nel 2011. Ivi si sottolinea che il Codice del consumo ha affermato in Italia ‹‹un concreto principio di origine comunitaria, già vigente in altri Paesi:
le tutele riservate alle parti contrattuali non devono pregiudicare il consumatore. Non solo una tutela formale, che era già prevista nel Codice civile, ma sostanziale: il professionista dimostra diligenza e correttezza se costruisce con il consumatore un rapporto negoziale improntato alla massima chiarezza possibile e rispettoso delle attese della parte più
debole e meno informata circa i possibili rischi, le onerosità, le indeterminatezze di
un’offerta contrattuale››.
19
V. MELI, L’applicazione, cit., p. 340. All’Autore si rimanda anche per l’analisi
dei casi nei quali le motivazioni dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato
paiono meramente tautologiche e basate su un ragionamento standardizzato che finisce
66
CAPITOLO SECONDO
evidenziato che la contrarietà della pratica alla diligenza professionale
è legata alle modalità di esercizio dell’attività nella quale la pratica
stessa si inserisce e ad avere rilievo sono le caratteristiche dell’attività
esercitata e la violazione delle norme di settore20.
Coloro che svolgono professionalmente un’attività «sono obbligati a operare nei confronti dei consumatori seguendo i principi di buona
fede, correttezza e lealtà (cfr. l’art. 2, comma 2, lettera c-bis) del Codice del consumo che, rapportati al settore di attività, si traducono in
diligenza (competenza e attenzione) che richiede in primis il massimo
sforzo di puntuale e piena osservanza delle previsioni settoriali che regolano l’attività»21.
Gli operatori del settore, quando interagiscono con i consumatori,
devono osservare una diligenza professionale pari alla c.d. diligenza
professionale interna, cioè a quella adottata internamente per perseguire gli scopi della propria attività22.
La violazione di norme di settore è considerata anche violazione
della diligenza professionale, ma l’osservanza delle norme settoriali
non esaurisce l’assolvimento degli obblighi compresi nella diligenza
professionale23.
La diligenza professionale, che il consumatore può aspettarsi, si
determina in base al parametro della legalità specifica dell’attività
per fare derivare dalla ingannevolezza della pratica la violazione della diligenza professionale e l’idoneità della pratica stessa a falsare il comportamento economico del consumatore. In argomento cfr. F. BILOTTA, S. CANNIZZO, A. GENOVESE, S. LANDINI, G.
MARTINA, G. ROMAGNOLI, M. TOLA, G. TURCHETTI, in P. MARANO e V. MELI (a cura
di), La tutela del consumatore contro le pratiche commerciali scorrette nei mercati del
credito e delle assicurazioni, Torino, 2011.
20
A. GENOVESE, Il contrasto, cit., p. 201.
21
In questi termini A. GENOVESE, Il contrasto, cit., p. 200, nota 7.
22
A. GENOVESE, Il contrasto, cit., p. 205.
23
V. MELI, L’applicazione, cit., p. 340. Si veda Consiglio di Stato, 31 gennaio
2011, n. 72, cit. Nel caso di specie, la diligenza risulta essere stato violata perché l’Enel,
pur a fronte di puntuali reclami da parte del consumatore sull’entità degli addebiti, non
ha ritenuto, nelle more della verifica tecnica, di sospendere le procedure esecutive per la
riscossione, che espone l’utente, in caso di mancato pagamento, al rischio del distacco
della fornitura. Il Consiglio di Stato motiva dicendo che non può essere accolta la posizione difensiva dell’Enel che assume di essere in linea con la regolamentazione di settore
quale risultante dalle delibera AEEG 229/01, «l’AGCM non ha infatti contestato la violazione della regolamentazione di settore (che non prevede alcun obbligo di sospendere
la procedura di riscossione in presenza di reclami da parte dei clienti), ma la violazione
di un precetto di carattere generale: la diligenza professionale richiesta dal codice del
consumo. Al riguardo, deve ritenersi che il rispetto delle normativa di settore non valga
ad esonerare il professionista dal porre in essere quei comportamenti ulteriori che, pur
non espressamente previsti, discendono comunque dall’applicazione del più generale
principio di buona fede a cui si ispira tutta la disciplina a tutela del consumatore».
L’AGIRE SECONDO CORRETTEZZA E LA SUA INCIDENZA SULLE DECISIONI NEGOZIALI
67
esercitata dal professionista, ma non si esaurisce nell’osservanza delle
prescrizioni di settore, se e quando queste non siano in grado di neutralizzare i rischi dell’asimmetria della relazione tra il professionista
stesso e consumatore24. Non si tratta, in altri termini, di soffermarsi
solo sul rispetto di specifiche disposizioni, quanto, piuttosto, sulla rilevanza esterna di un’attività scorretta25 .
Il Consiglio di Stato ha affermato che le norme in materia di pratiche commerciali sleali ‹‹richiedono ai professionisti l’adozione di modelli di comportamento in parte desumibili da siffatte norme, ove esistenti, in parte dall’esperienza propria del settore di attività, nonché dalla finalità di tutela perseguita dal Codice››26 ; finalità tra le quali ha un ruolo
centrale quella di colmare il deficit informativo esistente presso i consumatori, soprattutto in settori di attività caratterizzati da una particolare complessità dovuta alla continua evoluzione tecnologica27.
3. Disciplina delle pratiche commerciali e concezione corporativa della correttezza professionale
L’esplicito riferimento dell’art. 18 cod. cons. alla correttezza e
buona fede nel settore di attività del professionista impone di fare i
24
A. GENOVESE, Il contrasto, cit., p. 205. Di recente cfr. Consiglio di Stato, 26 settembre 2011, n. 5368, cit.; Provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del
Mercato, n. 22990 del 16 novembre 2011 ps7196 - bnl-conto revolution, ove si legge che
nel valutare la conformità di una condotta alla diligenza professionale occorre tenere
conto della particolare asimmetria informativa che nel settore finanziario caratterizza il
rapporto tra operatori economici e consumatori, delle caratteristiche del prodotto pubblicizzato e della complessità dei servizi offerti.
25
L. ROSSI CARLEO, Consumatore, consumatore medio, investitore e cliente, cit., p. 707.
26
Consiglio di Stato, 21 settembre 2011 n. 5306, in Foro amm. CDS 2011, p. 2880.
Il caso riguarda una pratica commerciale ingannevole di un soggetto che commercializza, in Italia, numerazioni speciali internazionali, senza aver posto in essere alcun accorgimento volto ad arginare il fenomeno dei “dialers autoinstallanti” nei sistemi operativi
di ignari utenti dei servizi. La palese contrarietà della condotta alla diligenza professionale è stata individuata nella consapevolezza, da parte del gestore delle numerazioni speciali internazionali, in ordine alla possibilità di utilizzazioni indebite della numerazione assegnata, nonché dalla violazione degli specifici obblighi previsti dalla normativa settoriale. Ad avere rilievo è stato l’omesso controllo sul corretto uso di tali numerazioni, anche
in relazione al divieto di subcessione a ulteriori soggetti terzi dell’uso di dette numerazioni speciali. La proliferazione dei soggetti utilizzatori rende infatti più difficile
l’osservanza dei precetti informativi e deontologici da parte dei titolari delle numerazioni
e dei loro cessionari, e rende quindi ancor più cogente l’impegno dei titolari delle numerazioni a favorirne un uso corretto anche da parte dei propri aventi causa. In direzione
analoga si veda Consiglio di Stato, 21 settembre 2011, n. 5303, cit.
27
A. GENOVESE, Il contrasto, cit., p. 207.
CAPITOLO SECONDO
68
conti con un altro problema legato, in particolare, alle preoccupazioni
di un abbassamento del livello di tutela dei consumatori e di un possibile passo indietro rispetto all’acquisizione, nel nostro ordinamento, di
una concezione non corporativa della correttezza professionale28.
Può notarsi, prima di tutto, che la valutazione della specifica competenza e attenzione, proprio in quanto effettuata tenendo conto dei parametri oggettivi della buona fede e correttezza nel settore di attività esercitate, non evoca stati soggettivi dell’autore della pratica. Quest’ultima,
in altri termini, è vietata indipendentemente da una valutazione del
comportamento del professionista affidata a criteri soggettivi, ma in
quanto ambigua ed equivoca29.
La preoccupazione che siano evocati parametri di valutazione
corporativi nasce dalla circostanza che le espressioni utilizzate, specie
nella direttiva, richiamano l’art. 10 bis della Convenzione di Unione di
Parigi per la protezione della proprietà industriale30.
Il dato non è indiscusso. L’articolo 10 bis non viene mai citato in
nessun passo dei lavori preparatori della direttiva ed il suo mancato
esplicito richiamo non può essere il frutto di una mera causalità o
semplice dimenticanza31.
L’espressione che, in particolare, sembra evocare l’articolo 10 bis
è quella di pratiche di mercato oneste; espressione poi scomparsa in
sede di recepimento32.
L’argomento concludente è, però, un altro.
Il richiamo all’articolo 10-bis della Convenzione non comporta il
rinvio ad un parametro di valutazione corporativo se si considerano i
mutamenti di prospettiva insiti nella revisione di Lisbona del 1958. Il
28
Con riferimento al testo della direttiva, segnala tali preoccupazioni R. DI RAIMO,
Note minime sulle implicazioni sostanziali dell’art. 14 della direttiva 2005/29/CE: a
margine di una proposta per il suo recepimento, in Contr. impr., 2007, p. 98. Sul punto cfr. V. MELI, Le pratiche sleali ingannevoli, in A. GENOVESE (a cura di), I decreti,
cit., p. 98.
29
Cfr. J. KESSLER - H.W. MICKLITZ, Die Richtlinie 2005/29/EG, über unlautere
Geschäftspraktiken im binnenmaktinternen Geschäftverkehr zwischen Unternehmen und
Verbrauchern, in Betriebs- Berater, 2005, n. 49, p. 2075.
30
Il riferimento è alla redazione della Convenzione approvata all’Aja il 6 novembre
1925. Sul punto cfr. V. MELI, Pubblicità ingannevole, cit., p. 7; R. DI RAIMO, Note minime, cit., p. 98. Per la ricostruzione della genesi della formula dell’art. 10-bis, del rapporto con l’art. 2598 c.c. e con le nuove norme di derivazione comunitaria si rimanda a
G. GHIDINI, La “correttezza professionale” (art. 2598, n. 3. cod. civ.) tra due ordinamenti costituzionali, in Riv. dir. ind., 2011, p. 239.
31
G. DE CRISTOFARO, Il divieto di pratiche commerciali sleali, cit., p. 123.
32
G. DE CRISTOFARO, op. loc. ult. cit., nota che nella convenzione si parla di usage
honnêtes, cioè di usi e non di pratiche e, i due termini, non sono da considerare sinonimi.
L’AGIRE SECONDO CORRETTEZZA E LA SUA INCIDENZA SULLE DECISIONI NEGOZIALI
69
riferimento è, in particolare, all’importante previsione del n. 3 dell’articolo 10-bis, ai sensi del quale sono vietate le indicazioni o asserzioni il cui uso, nell’esercizio del commercio, possa trarre in errore il
pubblico sulla natura, il modo di fabbricazione, le caratteristiche o la
qualità delle merci.
Alla luce di tale previsione, l’incidenza degli atti concorrenziali,
ivi disciplinati, trascende la sfera degli interessi dei soli imprenditori
concorrenti, coinvolgendo anche quelli riferibili ai destinatari dell’atto
e quindi ai consumatori33. La Convenzione, dunque, opta per un criterio opposto a quello corporativo che circoscrive la rilevanza della valutazione della correttezza agli imprenditori concorrenti34.
I ‹‹principi generali di correttezza e buona fede nel settore di attività del professionista››, ex art. 18 cod. cons., potrebbero, inoltre, evocare la correttezza professionale ex art. 2598 c.c. Sul punto preme, però, evidenziare che la distanza tra la logica sottesa alle due disposizioni può attenuarsi se si valorizzano due dati35.
33
In questi termini l’interpretazione di tale articolo proposta da C. SANTAGATA,
Concorrenza sleale e interessi protetti, Napoli, 1975, p. 91. Le pagine dell’Autore si rilevano di straordinaria attualità. Più di recente, sul punto, si veda a P. SPADA, Dalla concorrenza sleale alle pratiche commerciali scorrette nella prospettiva rimediale, in Dir.
ind., 2011, p. 45.
34
C. SANTAGATA, op. cit., p. 89. G. GHIDINI, La concorrenza sleale, Torino, 1982,
p. 289, evidenzia l’opportunità di richiamare l’art. 41 Cost., in quanto «il rinvio a tale
norma non dovrebbe consentire una applicazione integrale e illimitata dei criteri di qualificazione di cui all’art. 2598 cod. civ., ogniqualvolta una tale applicazione potesse direttamente condurre all’ammissibilità di atti di concorrenza che si riconoscessero lesivi degli interessi della collettività dei consumatori». Significativo anche l’esempio ivi richiamato di Trib. Milano, 10 ottobre 1973, ove già si affermava che la normalità dell’uso di
una pubblicità menzognera non elimina la scorrettezza insita in tale uso, giacché occorre
tenere presenti anche gli effetti che la pratica commerciale determina a livello dei consumatori. ID., Slealtà della concorrenza e costituzione economica, Padova, 1978, p. 87;
ID., La concorrenza sleale: i principi, in G. GHIDINI, M. LIBERTINI, G. VOLPE PUTZOLU,
La concorrenza e i consorzi, Padova, 1981, p. 97; M. LIBERTINI, I principi della correttezza professionale nella disciplina della concorrenza, in Eur. dir. priv., 1999, p. 530 e
p. 531, ritiene che, data la previsione costituzionale, non sono consentite, in quanto scorrette, quelle azioni concorrenziali che si traducono in modalità di offerta che possono
solo realizzarsi con il sacrificio della sicurezza, libertà o dignità di persone coinvolte nel
processo produttivo o distributivo. ID., La tutela della concorrenza nella Costituzione
italiana, in Giur. cost., 2005, p. 1429. Per la particolare attenzione alla circostanza che il
modo di svolgersi dell’attività di impresa − e segnatamente la insufficiente o non corretta
informazione nell’indurre all’acquisto di un bene o di un servizio − possa porsi in contrasto con l’art. 41 Cost., si veda G. CHIAPPETTA, Comunicazioni e diffusioni pubblicitarie,
in G. CAVAZZONI, L. DI NELLA, L. MEZZASOMA, V. RIZZO (a cura di), Il diritto dei consumi, cit., p. 487.
35
Si consideri che l’inizio del percorso che ha portato alla direttiva sulle pratiche
commerciali sleali può essere individuato nel 1962, allorché la Commissione Europea
70
CAPITOLO SECONDO
Da un lato, gli spunti della dottrina che ha considerato la disciplina della concorrenza sleale come normativa relativa all’attività e non a
singoli atti36. Dall’altro, i risultati della c.d. concezione normativa della correttezza professionale37.
Quanto al primo aspetto, si è evidenziato che collegare gli atti di
concorrenza sleale al divieto di particolari modalità dell’attività consente di apprezzare l’incidenza di tali atti, non soltanto a livello degli
imprenditori concorrenti, ma altresì in tutto il processo produttivo, così da valorizzare gli interessi dei destinatari finali dell’offerta38.
incaricò l’istituto Max-Plank di Monaco di presentare una ricerca sulla situazione delle
diverse leggi degli Stati membri sulla concorrenza sleale. Su questi aspetti cfr. A. PERA,
La direttiva sulle pratiche commerciali, cit., p. 485; L. DI MAURO, L’iter normativo: dal
libro verde sulla tutela dei consumatori alla direttiva sulle pratiche commerciali sleali,
in Le pratiche commerciali sleali. Direttiva comunitaria ed ordinamento italiano, Milano, 2007, p. 26.
36
T. ASCARELLI, Teoria della concorrenza, cit., p. 174; C. SANTAGATA, Concorrenza sleale, cit., p. 89. Nel senso che l’art. 2598 c.c. indichi la disciplina di un’attività e
di un complesso di atti che ad essa possono ricondursi è G. VETTORI, Anomalie e tutele,
cit., p. 79. In argomento cfr. A. GENOVESE, Il risarcimento del danno da illecito concorrenziale, Napoli, 2005, p. 178.
37
Il punto di forza di tale concezione è individuato in un argomento sistematico e in
uno letterale. Il primo si basa sulla considerazione che, in un ordinamento, che contiene
norme antitrust, non si può delegare a valutazioni delle stesse categorie interessate il
giudizio tra ciò che è lecito e ciò che è illecito in materia di concorrenza. Il secondo rinvia al richiamo che fa l’art. 2598 c.c. ai ‹‹principi della correttezza professionale››; rinvio
che è considerato come un evidente riferimento a una fonte normativa dei comportamenti
imprenditoriali che ‹‹possa assurgere al rango di principio fondamentale di una materia
giuridicamente disciplinata››. In questi termini, M. LIBERTINI, I principi, cit., p. 510; ID.,
Clausola generale, cit., p. 53. Su tale concezione si vedano anche C. SANTAGATA, Concorrenza sleale, cit., p. 65 ss.; ID., Le nuove prospettive della disciplina della concorrenza sleale, in Riv. dir. comm., 1971, p. 141; P. AUTERI, La concorrenza sleale, in P. RESCIGNO (diretto da), Tratt. dir. priv., IV, Torino, 1983, p. 393. Diversa la prospettiva di
quanti hanno evidenziato le difficoltà di stabilire in concreto cosa sia corretto, o meno. In
tal senso si vedano P. MARCHETTI, Il paradigma della correttezza professionale nella
giurisprudenza di un ventennio, in Riv. dir. ind., 1966, I, p. 208, specie con riferimento a
quei comportamenti concorrenziali che, per la loro novità, non sono ancora oggetto di
una prassi; L.C. UBERTAZZI, I principi della correttezza professionale: un tentativo di
rilevazione empirica, in Riv. dir. ind., 1975, I, p. 105; R. FRANCESCHIELLI, Studi riuniti di
diritto industriale, Milano, 1959, p. 355, ha inteso la correttezza professionale come
prassi professionale. La riconduzione della correttezza professionale a criterio di valutazione rimesso alla coscienza sociale si deve a G. AULETTA, Della concorrenza sleale,
Bologna, 1959, p. 355. Per una accurata sintesi dei diversi orientamenti di dottrina e giurisprudenza in tema di identificazione della fonte e del contenuto dei precetti di correttezza professionale, si veda G. GHIDINI, La concorrenza sleale, cit., p. 211.
38
C. SANTAGATA, Concorrenza sleale, cit., p. 89. L’Autore evidenzia che la repressione della concorrenza sleale «rifluisce nella disciplina dell’attività», non tanto in considerazione della circostanza che la qualificazione trascende l’analisi dei singoli atti per
estendersi in una valutazione d’insieme, ma soprattutto per una valutazione del profilo
L’AGIRE SECONDO CORRETTEZZA E LA SUA INCIDENZA SULLE DECISIONI NEGOZIALI
71
L’inerenza dei problemi in oggetto alla tematica della ‹‹attività›› è
legittimata anche da quanti affermano che «la disciplina giuridica della concorrenza è, per così dire, sempre proiettata sullo svolgimento di
una futura attività del soggetto; non attiene ad una ripartizione di utilità presenti, ma a una tutela in relazione a utilità future e più precisamente alla probabilità di conseguirle in funzione dello svolgimento di
una attività economica nei confronti dei terzi»39.
Quanto alla concezione normativa della correttezza professionale,
sono considerate scorrette, e dunque, non consentite, azioni concorrenziali che si traducano in modalità di offerta non valutabili criticamente da parte di un consumatore libero e consapevole40. Ci si riferisce, cioè, ad azioni concorrenziali i cui effetti sono, direttamente o indirettamente, sottratti al giudizio del consumatore41.
In altri termini, la tutela della scelta del consumatore e la possibilità che sia, in concreto, posto nella condizione di giudicare prodotti e
servizi, hanno un ruolo di primaria importanza nella valutazione della
correttezza dell’attività del professionista. La correttezza di tale attività, infatti, è parametrata anche sulla sua idoneità a non ledere i consumatori; non solo quindi nella logica della concorrenza con altri professionisti42.
funzionale. L’inserimento dell’analisi della concorrenza sleale nella problematica
dell’attività, infatti, non si propone una finalità riduttrice, ma amplia la prospettiva in direzione di tutte ‹‹le rifrazioni nelle diverse serie concorrenziali in cui si articola il processo produttivo››.
39
T. ASCARELLI, Teoria della concorrenza, cit., p. 38.
40
Quanto al ruolo centrale del consumatore anche nel meccanismo concorrenziale,
si rimanda a T. ASCARELLI, Tutela della concorrenza e interesse del consumatore, in Riv.
trim. dir. proc. civ., 1954, p. 873; C. SANTAGATA, Concorrenza sleale, cit., p. 91. Più di recente, si vedano M. LIBERTINI, Clausola generale, cit., p. 54; P. AUTERI, Introduzione,
cit., p. 15; V. DI CATALDO, Conclusioni, cit., p. 345; A. NICOLUSSI, I consumatori negli
anni settanta del diritto privato. Una retrospettiva problematica, in Eur. dir. priv., 2007,
p. 36; L. DI NELLA, Mercato e autonomia contrattuale nell’ordinamento comunitario,
Napoli, 2003, p. 159; R. CALVO, Le pratiche, cit., p. 166; E. BARGELLI, L’ambito di
applicazione della direttiva 2005/59/Ce: la nozione di ‹‹pratica commerciale››, in
G. DE CRISTOFARO (a cura di), Le «pratiche commerciali sleali», cit., p. 105, nota
11; L. MANSANI, Product placement: la pubblicità nascosta negli spettacoli cinematografici e televisivi, in Contr. impr., 1988, p. 914. Sulla necessità di considerare i profili di rilevanza intersoggettiva delle regole di concorrenza cfr. A. GENOVESE, Il risarcimento, cit., p. 170.
41
M. LIBERTINI, I principi, cit., p. 530 e 531.
42
G. VETTORI, Anomalie e tutele, cit., p. 3, individua una vicinanza dogmatica tra
l’art. 1337 c.c. e l’art. 2598 c.c. In questa prospettiva, si afferma che la prima delle norme richiamate, dispone ‹‹in termini generali e con ampiezza sconosciuti in altri ordinamenti un divieto di comportamenti contrari alla buona fede, che assume un ruolo centrale
72
CAPITOLO SECONDO
Parallelamente, un’adeguata tutela del consumatore presuppone
che sia configurabile, anche attraverso la disciplina dell’attività degli
operatori economici, un sistema di regole che gli garantisca non solo
di disporre di informazioni veritiere e corrette, ma anche di agire in un
mercato libero da pressioni e condizionamenti indebiti43.
D’altronde, l’azione di controllo sulla scorrettezza degli operatori
può restituire al consumatore la fiducia indispensabile per la ripresa
economica44. Sono confermate, dunque, le difficoltà legate al tentativo
di porre una distinzione tra norme che tutelano in modo diretto i consumatori e norme che li tutelano in modo indiretto.
Le discipline volte a correggere i fallimenti del mercato perseguono anche l’obiettivo di tutela del consumatore45.
Non solo è riscontrabile una proficua complementarietà tra attività
di tutela del contraente debole e applicazione delle norme di concorrenza, ma possono farsi delle ulteriori considerazioni suggerite dall’osservazione della prassi e della giurisprudenza che hanno interessato la disciplina sulle pratiche commerciali46.
L’attività di tutela del contraente debole ha finito per surrogarsi
nelle funzioni proprie delle norme di concorrenza. L’Autorità Garante
della Concorrenza e del Mercato, probabilmente per una scelta strategica, ha preferito colpire direttamente le pratiche scorrette, anziché affrontare la possibile genesi anticoncorrenziale della scorrettezza47. In
nella valutazioni di azioni antigiuridiche (in senso lato) nella fase di conclusione del contratto››. Si aggiunge, p. 113, che «niente osta a valutare in base a quel contenuto precettivo tutti quei comportamenti concorrenziali che, svolti, nell’area formativa dei contratti in
esame, siano contrari ai principi espressi nell’art. 2598 c.c. Si pensi così a comportamenti, mendaci, intimidatori, o abusivi comunemente ritenuti contrari a quella norma; per
essi, se svolti nell’area formativa dei contratti in esame, è possibili utilizzare il criterio
valutativo dell’art. 1337 c.c. e disporre così un’azione risarcitoria che può mutuare il suo
contenuto precettivo e sanzionatorio dal confronto tra l’art. 2598 n. 3 e 2600 c.c.».
43
L. DI NELLA, Il controllo, cit., p. 247; R. CALVO, Le pratiche, cit., p. 166, nota
che la tutela del consumatore assume il rinnovato ruolo di mezzo capace di proteggere la
libera competizione tra professionisti, la quale viene compromessa dalle pratiche commerciali disoneste. Quanto alle insufficienze delle normative che, inducendo il consumatore a scelte irrazionali o inconsapevoli, finiscono col tradursi in un fallimento del mercato cfr. M. MELI, Armonizzazione, cit., p. 67; L. DELLI PRISCOLI, La tutela del consumatore fra accertamento della non professionalità del suo agire, tutela della concorrenza e affidamento della controparte, in Contr. impr., 2007, p. 1559. Si veda, altresì, la direttiva 2006/123/CE e, in particolare i considerando 4 e 32.
44
Relazione annuale presentata dall’AGCM al Parlamento il 15 giugno 2010, per
l’attività svolta nel 2009.
45
M. CLARICH, Le competenze, cit. p. 688.
46
V. MELI, L’applicazione, cit., p. 334.
47
In questi termini V. MELI, L’applicazione, cit., p. 340.
L’AGIRE SECONDO CORRETTEZZA E LA SUA INCIDENZA SULLE DECISIONI NEGOZIALI
73
questo modo l’intervento è meno complicato e costoso e produce immediato consenso sociale48.
Si tratta, inoltre, di un lavoro che è risultato più efficiente anche
rispetto a quanto svolto dalle autorità di settore. Basti pensare alla grossolanità e alla frequenza delle violazioni riguardanti la tutela del consumatore nel settore del credito. Eppure è un ambito nel quale certo non
manca la previsione di obblighi puntuali a carico degli operatori49.
4. L’agire secondo correttezza ex art. 1337 c.c.
L’analisi delle norme in tema di pratiche commerciali ha consentito di evidenziare il rilievo di una dinamica che è idonea ad approdare
ad un contatto relazionale; è espressamente assoggettata all’obbligo di
uno svolgimento secondo correttezza, a prescindere dall’esistenza di
un contratto o di una prestazione; è tale da condizionare il comportamento economico del consumatore che faccia ragionevole affidamento
nel rispetto del suddetto obbligo.
Gli ulteriori profili evidenziati consentono di confermare che non
ci si trova di fronte ad una situazione del tutto nuova nel nostro ordinamento. Il riferimento è, in particolare, alle trattative ex art. 1337 c.c. che,
se apprezzate in termini dinamici50, evocano il rilievo di un agire secondo
correttezza che − così come l’attività nella quale si sostanziano le pratiche commerciali − ha caratteristiche diverse dall’agire procedimentale.
La condotta di chi tratta si sostanzia, infatti, in un agire che si legittima nel suo effettivo esplicarsi ed è suscettibile di essere apprezzato
indipendentemente e dalle situazioni ‹‹a monte›› e da quelle «a valle»51.
Non c’è un atto o un titolo dal quale dipende preventivamente la selezione delle alternative possibili, ma è lo svolgersi di fatto dell’agire
che crea le premesse per la situazione successiva.
48
V. MELI, op. loc. ult. cit.
In questi termini V. MELI, L’applicazione, cit., p. 337. L’Autore evidenzia, altresì, che all’attivismo dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nel campo delle
pratiche commerciali scorrette corrisponde una certa difficoltà ad ottenere uguali risultati attraverso l’azione antitrust, che pure non è del tutto mancata nel settore di riferimento.
50
Il carattere dinamico delle trattative trova conferma nella circostanza che il rilievo delle stesse è spesso posto in parallelo con la valorizzazione degli studi sull’azione
giuridica. In proposito cfr. S. ROMANO, Ordinamento, cit., p. 148.
51
Con riferimento al rilevo dei comportamenti che si legittimano nell’effettivo esplicarsi
e sui rapporti con l’attività, si veda F. ALCARO, L’attività, cit., p. 12 e p. 19; ID., La condizione, p. 212. Sull’azione ordinante quale componente autonoma del fenomeno giuridico cfr. D. MESSINETTI, Per un’ecologia della modernità, cit., p. 38.
49
CAPITOLO SECONDO
74
Le parti finché trattano si limitano a valutare la compatibilità tra
le proprie esigenze e quelle dell’interlocutore, potendo anche non arrivare alla dimensione statica dell’atto52. Chi tratta non si impegna a
vincolare la propria volontà per l’avvenire, ma preannuncia la sua disponibilità a negoziare e orienta le scelte di natura economica anche in
relazione all’altrui comportamento.
La trattativa, in questa prospettiva, si sostanzia in un agire che si
colloca su un piano diverso e distinto da quello degli atti del procedimento di formazione del contratto53 e, anche se è preordinata alla
52
F. BENATTI, La responsabilità precontrattuale, cit., p. 37, afferma che «è opinione assai diffusa che le trattative costituiscano una attività diretta a dar vita a un contratto;
ma l’affermazione si manifesta insufficiente in quanto non indica quali siano gli interessi
che vengono in gioco nella fase precontrattuale, interessi per la cui protezione è appunto
disposto il dovere di buona fede (…). Invero, durante le trattative i soggetti cercano di
formarsi un’idea sul contenuto del contratto che stanno per stipulare, in modo da controllare se vi sia corrispondenza tra il risultato pratico che intendono conseguire e quello che
si realizzerebbe se concludessero quel determinato negozio. Quando si convincono, sulla
base dell’opinione maturata durante le trattative, che il futuro contratto appare strumento
idoneo per il raggiungimento dello scopo perseguito, si dichiarano pronti a stipularlo».
Sul punto cfr. G. CARRARA, La formazione dei contratti, Milano, 1915, p. 7; V. CUFFARO, Responsabilità precontrattuale, in Enc. dir., Milano, 1988, XXXIX, p. 1268; G.
GRISI, L’obbligo precontrattuale di informazione, Napoli, 1990, p. 45; A. GENTILI, Informazione contrattuale, cit., p. 566. Più in generale, quanto all’aspetto della evidenziazione e regolamentazione degli interessi che sostituisce quello della maturazione della
volontà, non più attuale a seguito del tramonto dell’idea del contratto come incontro di
volontà, si rimanda a A. FALZEA, Atto reale e negozio giuridico, in ID., Ricerche di teoria generale del diritto e di dogmatica giuridica, Milano, 1997, p. 7. Sul punto cfr. R. DI
RAIMO, Autonomia privata, cit., p. 114.
53
La formazione del contratto studiata attraverso il filtro del procedimento si deve a
P. SCHLESINGER, Complessità del procedimento di formazione del consenso ed unità del
negozio contrattuale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1964, p. 1345, ss.; G. BENEDETTI, Dal
contratto al negozio unilaterale, cit., p. 50, sottolinea che l’analisi del procedimento di
formazione del contratto ha consentito di svelare l’equivoco consistente nel risolvere in
termini di fattispecie un problema − come quello del modo di formazione del contratto −
che sta prima della fattispecie. Ritiene che le trattative rappresentino una fase del procedimento di formazione del contratto, nel senso che il rilievo giuridico delle stesse non
possa essere oggetto di indagine se avulso da tale procedimento A. RAVAZZONI, La formazione del contratto. I, Le fasi del procedimento, Milano, 1973, p. 57. Sul punto cfr. D.
VALENTINO, Obblighi di informazione, cit., p. 28; V. RICCIUTO, La responsabilità precontrattuale nella prospettiva dei Principles of European Contract Law, in S. MAZZAMUTO (a cura di), Il contratto e le tutele, cit., p. 139; A.C. NAZZARO, Obblighi d’informare, cit., p. 268; R. DI RAIMO, Autonomia privata, cit., p. 114. All’Autore si rimanda
per una valutazione alla stregua dei parametri di legalità e di legittimità delle regole inerenti la formazione dei contratti. In diversa prospettiva si è dubitato che, quanto alla formazione del contratto, si abbia una sequenza di atti riconducibile alla logica propria del
procedimento. Si veda N. DI PRISCO, Procedimento, cit., p. 845. Ivi si afferma che la
proposta e l’accettazione − pur essendo disciplinati come atti autonomi − non possono
considerarsi atti di un procedimento in quanto, né sono collegati in modo che ciascuno di
L’AGIRE SECONDO CORRETTEZZA E LA SUA INCIDENZA SULLE DECISIONI NEGOZIALI
75
conclusione dello stesso, è disciplinata e caratterizzata in modo autonomo54.
Nel procedimento di formazione del contratto, infatti, sono posti
in essere atti che hanno una valenza esterna rispetto alla sfera giuridica dei loro autori e sono strumentali al perfezionamento dell’atto conclusivo del procedimento. Ci si trova di fronte, cioè, ad atti rigidamente e preventivamente formalizzati che possono portare ad un dato risultato solamente se è rispettata la sequenza all’uopo prestabilita.
Nello svolgimento delle trattative, invece − così come nelle pratiche commerciali − ad assumere rilievo sono le modalità delle condotte
potenzialmente idonee ad incidere su decisioni di natura economica.
Tali condotte devono svolgersi secondo buona fede, ma non hanno ragion d’essere nella preordinazione al raggiungimento di un risultato55.
Quest’ultimo rimane eventuale ed ipotetico non solo nel suo contenuto, ma anche quanto al suo concretizzarsi.
L’art. 1337 c.c. impone ai soggetti, sia nello svolgimento delle
trattative che nel procedimento di conclusione del contratto, di comportarsi secondo buona fede.
Si potrebbe ritenere che non abbia senso, da questo punto di vista,
la differenza tra trattative e procedimento di formazione del contratto
e, conseguentemente, quella tra dinamica non procedimentale e proceessi costituisca una tappa verso il fine del procedimento, né producono effetti parziali
rispetto all’effetto finale.
54
V. CUFFARO, op. loc. ult. cit. La relazione che si instaura con le trattative va oltre
il momento e le finalità della formazione del consenso contrattuale, così P. RESCIGNO,
Obbligazioni, (nozioni) in Enc. dir., Milano, 1979, XXIX, p. 148. Particolare attenzione
al riguardo dimostra, in verità, anche la dottrina che, pur in assenza di una disposizione
paragonabile all’attuale 1337 c.c., cercava di giustificare la responsabilità per rottura delle trattative. Si pensi a G. FAGGELLA, I periodi precontrattuali e la responsabilità precontrattuale, Roma, 1918, p. 272, e alla distinzione, da lui proposta, dell’attività precontrattuale in tre fasi distinte. La prima rappresenta un periodo di ideazione e di elaborazione durante il quale i trattanti cercano di arrivare ad una reciproca intesa sui punti principali; la seconda è la fase destinata a formulare l’offerta; la terza è quella nella quale avviene l’offerta giuridica vera e propria che, con l’accettazione, determinerà il sorgere del
contratto. In giurisprudenza, quanto alla distinzione tra la fase delle trattative e quella del
processo formativo del contratto si veda Cass., 14 febbraio 2000 n. 1632, in Giur. it.,
2000, p. 2250 con nota di A.M. MUSY, Comportamenti affidanti e valutazione del danno
risarcibile: il recesso dalle trattative in materia di locazione. Note comparatistiche, in
Danno resp., 2000, p. 985 con nota di P. MANINETTI, Responsabilità precontrattuale e
risarcimento dei danni: verso una concezione sempre più estensiva.
55
Cfr. G. GRISI, L’obbligo precontrattuale, cit., p. 45; V. CUFFARO, Responsabilità precontrattuale, cit., p. 1268; A. NATTINI, Cenni critici sulla così detta responsabilità precontrattuale, in Dir. comm., 1910, p. 238 e p. 243; G. CARRARA, La formazione dei contratti, cit., p.
7. Di recente riprende questa prospettiva L. DI DONNA, Obblighi informativi, cit., p. 18.
CAPITOLO SECONDO
76
dimento. Le cose stanno però diversamente e l’art. 1337 c.c. conferma la
necessità, prima evidenziata con riferimento alle pratiche commerciali, di
dare adeguato rilievo all’attività e ai diversi modelli dell’agire giuridico.
È vero che le parti devono comportarsi secondo buona fede e nello
svolgimento delle trattative e nel procedimento di formazione del contratto, ma la stessa condotta, considerata in buona fede nel corso delle prime,
potrebbe non essere tale durante la fase di conclusione del negozio.
Chi tratta, infatti, si comporta correttamente anche se ancora deve
valutare quali siano i suoi interessi, mentre può esigersi che tale valutazione sia stata già fatta da chi, in buona fede, formuli un atto del
procedimento di conclusione del contratto.
È diverso, dunque, il limite superato il quale il comportamento
non potrà considerarsi più in buona fede ed è differente il punto di equilibrio e contemperamento dei contrapposti interessi56.
L’art. 1337 c.c., inoltre, conferma che, qualora ci si trovi di fronte
ad un procedimento, l’interesse alle modalità di svolgimento della dinamica non è del tutto sganciato dalla tensione verso il risultato. Diversamente, nel caso del rilievo giuridico dell’agire non procedimentale, l’interesse alle modalità della condotta è suscettibile di essere valutato autonomamente rispetto all’eventuale approdo al momento finale, rilevando, piuttosto, nell’effettività del suo svolgimento.
5. Rilievo dell’attività diretta ad approdare ad un contatto relazionale e affidamento sul quomodo della condotta: confronto tra
l’agire secondo correttezza ex art. 1337 c.c. e la disciplina delle
pratiche commerciali
La disciplina sulle pratiche commerciali, come si è cercato di evidenziare, riguarda prevalentemente un’attività oggettivamente destinata ai consumatori. In ragione di questa destinazione, viene in rilievo
56
La fase precedente alla conclusione del contratto non è caratterizzata solo dall’interesse alla conclusione del contratto. Questo interesse può, al contrario, considerarsi
proprio solo di una fase intermedia tra due estremi opposti: quello della tutela della correttezza nello svolgersi delle trattative e quello della tutela addirittura della convinzione relativa alla già avvenuta perfezione del contratto. È il caso dell’art. 1328 c.c., il cui rapporto con
l’art. 1337 c.c. sarebbe, altrimenti, di difficile spiegazione. Affermando, invece, che l’art.
1328 c.c. tuteli la convinzione relativa alla già avvenuta perfezione del contratto, si spiega
come mai la necessità dell’indennizzo non sia esclusa da un giustificato motivo di revoca della proposta. Su tale interpretazione dell’art. 1328 c.c. si rimanda a L. BIGLIAZZI-GERI, Contributo ad una teoria dell’interesse legittimo nel diritto privato, Milano, 1967, p. 257.
L’AGIRE SECONDO CORRETTEZZA E LA SUA INCIDENZA SULLE DECISIONI NEGOZIALI
77
un momento relazionale che − pure se diverso da quello originariamente presupposto dall’art. 1337 c.c. − è condizionato dalle modalità
di svolgimento delle condotte e, segnatamente, dal rispetto degli obblighi di buona fede57.
Si può riscontrare, d’altronde, un momento nel quale si esce dalla
massa indistinta dei consumatori ed occorre valutare se, e quanto, la
scorrettezza di una pratica abbia potuto influenzare la scelta di un singolo e ben determinato soggetto58.
La disciplina sulle pratiche commerciali ha ad oggetto una dinamica destinata ad approdare ad un contatto relazionale. Non si riscontrano difficoltà ad individuare in questo un elemento in comune con
l’art. 1337 c.c.
Non è una novità, infatti, il riconoscimento che lo svolgersi delle
trattative sia idoneo a determinare una peculiare situazione di contatto
sociale59 dalla quale scaturiscono reciproci obblighi di comportamento
che trovano la loro matrice nella buona fede oggettiva60 e si specifica57
Cfr. G. VETTORI, Le asimmetrie informative, cit., p. 252.
C. CAMARDI, Pratiche, cit., p. 409. Ivi si afferma che la novità della disciplina
sulle pratiche commerciali sta nella scelta di mettere in relazione un linguaggio destinato ad
una massa indefinita di persone con la percezione individuale del singolo destinatario, il quale
con il corredo dei suoi interessi, bisogni e aspettative scende sul mercato per decidere se
quando e come acquistare quel prodotto. Il linguaggio dell’impresa astrattamente rivolto al
mercato è perciò assunto, ciononostante, come linguaggio “potenzialmente” negoziale e come tale valutato per i potenziali effetti sulla decisione dei consumatori.
59
In giurisprudenza si veda, da ultima, Cass., 20 dicembre 2011, n. 27648, in Banche dati DeJure/Giuffrè. Ivi si legge che in tema di responsabilità precontrattuale, la parte che agisca in giudizio per il risarcimento del danno subito ha l’onere di allegare, ed
occorrendo provare, oltre al danno, l’avvenuta lesione della sua buona fede, ma non anche l’elemento soggettivo dell’autore dell’illecito, versandosi come nel caso di responsabilità da contatto sociale, di cui costituisce una figura normativamente qualificata, in una
delle ipotesi previste dall’art. 1173 c.c. Sulla complessità delle riflessioni relative al tema
del contatto sociale cfr. M. FORZIATI, La responsabilità contrattuale del medico dipendente: il «contatto sociale» conquista la Cassazione, in Resp. civ. prev., 1999, p. 682; S.
FAILLACE, La responsabilità da contatto sociale, Padova, 2004, p. 21; I. SARICA, Il contatto sociale tra le fonti della responsabilità civile: recenti equivoci nella giurisprudenza di
merito, in Contr. impr., 2005, p. 98; F. ROLFI, Le obbligazioni da contatto sociale nel quadro delle fonti di obbligazione, in Giur. merito, 2007, p. 582; L. LAMBO, Responsabilità
civile e obblighi di protezione, in Danno resp., 2008, p. 130; S. ROSSI, Contatto sociale (fonte
di obbligazioni) in Dig. civ., Torino, 2010, Agg. V, p. 341; M. BARCELLONA, Trattato
della responsabilità civile, Torino, 2011, p. 65; M. FRANZONI, Il contatto sociale non
vale solo per il medico, in Resp. civ. prev., 2011, p. 1693.
60
Cfr. L. MENGONI, Sulla natura della responsabilità precontrattuale, in Riv. dir.
comm., 1956, p. 70; G. FERRARINI, La responsabilità da prospetto. Informazione societaria e tutela degli investitori, Milano, 1986, p. 65; P. RESCIGNO, Lo “Schuldrecht” del
codice civile tedesco: l’esperienza di un secolo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1998, p. 771;
C. CASTRONOVO, La nuova responsabilità civile, Milano, 2006, p. 4; A. CATAUDELLA, I
58
78
CAPITOLO SECONDO
no nel divenire del rapporto61. Il dato è, anche di recente, ribadito da
una parte della dottrina italiana, particolarmente attenta agli insegnamenti degli studiosi tedeschi sul tema62. Ci si riferisce, infatti, alla responsabilità precontrattuale in termini di responsabilità originata da un
contatto sociale o negoziale63. Si afferma, inoltre, che «il fattore che
appare veramente decisivo nel ruolo guadagnato, o riguadagnato, dall’istituto della responsabilità precontrattuale sembra essere quello delcontratti, cit., p. 35; A. GENTILI, Codice del consumo, cit., p. 161; A. DE MAURO, Violazione del dovere precontrattuale di buona fede, in A. DE MAURO, F. FORTINGUERRA, S.
TOMMASI, La Responsabilità precontrattuale, Padova, 2007, p. 99; R. SENIGAGLIA, Accesso alle informazioni, cit., p. 6; In diversa prospettiva cfr. F. ROLFI, Le obbligazioni,
cit., p. 581; L. LAMBO, Obblighi di protezione, Padova, 2007, p. 331; ID., Responsabilità
civile, cit., p. 130.
61
C. TURCO, L’interesse negativo nella culpa in contrahendo (verità e distorsioni della
teoria di Jhering nel sistema tedesco e italiano, in Riv. dir. civ., 2007, p. 180. L’Autore evidenzia la determinabilità «progressiva» degli obblighi comportamentali prenegoziali che risentono delle circostanze concrete del rapporto «in modo connaturale alla stessa funzione
della clausola generale di buona fede che ne costituisce il nucleo essenziale».
62
K. BELLERSTEDT, Zur Haftung für culpa in contrahendo bei Geschäftsbschluss
durch Stellvertreter, in Arch. civ. Pr., 1951 (151), p. 501, si sofferma, in particolare, sulla distinzione della culpa in contrahendo dalla teoria del negozio giuridico e sulla considerazione del rapporto precontrattuale in termini di rapporto quasi-contrattuale fondato
sull’affidamento. Con particolare riferimento al contatto sociale, si rimanda a K. LARENZ,
Lehrbuch des Schuldrecht, I, 11a ediz., München, 1976 p. 94; D. MEDICUS, Culpa in contrahendo, in Riv. crit. dir. priv., 1984, p. 574; A. COLOMBI CIACCHI, Il nuovo diritto tedesco delle obbligazioni: prime osservazioni, in Annuario di diritto tedesco 2001, Milano, 2002, p. 95; H. STOLL, Il risarcimento del danno nel diritto tedesco, in Annuario di
diritto tedesco 2001, ibidem, p. 176, ove si ribadisce che la dottrina e la giurisprudenza
tedesche – a causa dei limiti imposti dalla legge sia al risarcimento del danno contrattuale che extracontrattuale – si sono dimostrate più sensibili alla configurazione di altri tipi
di responsabilità c.d. legale, con ciò intendendosi una responsabilità che, pur non nascendo dalla volontà delle parti, presuppone tra le stesse un minimo di contatto. Indicativa in tal senso la Gesetz zur Modernisierung des Schuldrechts del 2002 che ha introdotto
nel § 311 del B.G.B.; ID., Schadensersatz im Vertragsrecht, in S. MAZZAMUTO (a cura
di), Il contratto e le tutele, cit., p. 449; Sul punto cft. M. LEHMANN, Culpa in contrahendo: Germania, in www.lex.unict.it, p. 6, C.W. CANARIS, La mancata attuazione del rapporto obbligatorio: profili. Il nuovo diritto delle Leistungsstörungen, in Riv. dir. civ.,
2003, p. 19; G. CIAN, Significato e lineamenti della riforma dello Schuldrecht tedesco, in
Riv. dir. civ., 2003, p. 1; E. RANIERI, La riforma del codice civile tedesco, in Giust. civ.,
2002, II, 305; A DI MAJO, La Modernisierung del diritto delle obbligazioni in Germania,
in Eur. dir. priv. 2004, p. 355; G. HOHLOCH, La codificazione degli obblighi di protezione e
della responsabilità per culpa in contrahendo, in G. CIAN (a cura di), La riforma dello
Schuldrecht tedesco: un modello per il futuro diritto europeo delle obbligazioni e dei contratti?, Padova, 2004, p. 243; S. PATTI, Presentazione al Codice civile tedesco- Bürgerliches Gesetzbuch (Traduzione e presentazione a cura di S. Patti), Milano 2005, p. XIV.
Sulla necessità di evitare un’estensione indiscriminata della culpa in contraendo verificatasi, a volte, nella esperienza tedesca cfr. A. MAZZONI, Le lettere di patronage, p. 204.
63
C. TURCO, L’interesse negativo nella culpa in contrahendo, cit., p. 179.
L’AGIRE SECONDO CORRETTEZZA E LA SUA INCIDENZA SULLE DECISIONI NEGOZIALI
79
la riconosciuta attitudine del medesimo a costituire la regola di governo di quelle situazioni di accentuato contatto sociale tra due sfere giuridiche, come tali, e proprio perché tali, suscettibili di esporre le sfere
in contatto a più frequenti, ed incisive occasioni di danno»64.
Parte della dottrina, d’altronde, ha da tempo evidenziato che il
contatto qualificato, idoneo ad assurgere a fonte del rapporto precontrattuale, non deve necessariamente risiedere in un contatto personale
con una delle parti del futuro contratto; può consistere, infatti, in una
situazione equivalente, idonea a suscitare il medesimo affidamento
che potrebbe originare una partecipazione personale e diretta alla formazione del contratto65.
Le osservazioni proposte hanno messo in evidenza, con riferimento alle trattative ex art. 1337 c.c., il rilievo di una dinamica che è idonea ad approdare ad un contatto relazionale ed è espressamente assoggettata all’obbligo di uno svolgimento secondo correttezza.
Si impone, a questo punto, un ulteriore passaggio argomentativo teso a dimostrare che, nel corso delle trattative, sorge un ragionevole affidamento che non riguarda la conclusione del contratto, bensì il rispetto
degli obblighi attinenti al quomodo delle condotte che possono falsare valutazioni di natura economica. Ne consegue la possibilità di individuare
un altro elemento in comune con la disciplina delle pratiche commerciali, ove è espressamente previsto che l’attività deve svolgersi
nel rispetto del normale grado di specifica competenza e attenzione
che ragionevolmente i consumatori si attendono da un professionista
corretto.
Numerosi problemi si presentano qualora si tenti di individuare il
momento nel quale, iniziata una trattativa, possa sorgere un ragionevole affidamento sulla conclusione di un valido contratto.
La dottrina si è preoccupata della ricerca di un criterio appagante66.
Non è parso tale il richiamo alla serietà delle trattative, risultando,
64
In questi termini C. SCOGNAMIGLIO, Regole di validità e di comportamento: i
principi ed i rimedi, in Eur. dir. priv., 2008, p. 630.
65
G. FERRARINI, La responsabilità da prospetto, cit., p. 65.
66
Quanto al carattere non dirimente delle soluzioni proposte sul punto cfr. F. ASTONE,
Sulla rilevanza dei precedenti extrastatuali nella nostra esperienza giurisprudenziale: un
caso in materia di estoppel, responsabilità precontrattuale e promesse unilaterali, in
Studi in onore di Nicolò Lipari, I, cit., p. 72. Ivi, si afferma che l’unica conclusione che
sembra emergere è che sussista responsabilità quando risulti il dolo nella conduzione o
nella interruzione della trattativa. L’Autore propone, inoltre, un confronto con l’esperienza straniera al fine di considerare un’ipotesi sicura di contrarietà alla buona fede precontrattuale quella nella quale una parte prometta all’altra la conclusione del contratto.
CAPITOLO SECONDO
80
infatti, difficile chiarire le circostanze in base alle quali una trattativa
possa definirsi seria67. Neppure si considera risolutivo il riferimento al
fatto che le parti abbiano preso in considerazione gli elementi essenziali del contratto che si propongono di stipulare68. La valutazione di
tali elementi non è sufficiente ad ingenerare l’affidamento sulla conclusione del contratto69. Potrebbe ancora mancare, infatti, una visione completa e approfondita dell’insieme del rapporto che si discute e aversi una
prospettiva parziale di uno o più punti isolati70.
Le parti, d’altronde, nel corso delle trattative, si propongono semplicemente di trattare, ma non vogliono ancora l’oggetto delle loro
trattative e, cioè, il contratto che, infatti, richiede ulteriori determinazioni di volontà71.
67
Si rimanda, sul punto, all’analisi casistica fatta da G. STELLA RICHTER, La responsabilità precontrattuale, Torino, 1996, p. 27.
68
In questi termini G. CARRARA, La formazione dei contratti, cit., p. 8. Secondo
l’Autore è necessario che «le volontà delle parti si determinino ulteriormente su tutta intiera la materia del rapporto discusso». In giurisprudenza si veda, sul punto, Cass., 11
gennaio 2005, n. 367, in Banche dati Foro it. Diversamente C.M. BIANCA, Diritto civile,
III, Il contratto, Milano, 2002, p. 169. L’Autore precisa che il limite oltre il quale il contraente può confidare ragionevolmente sulla conclusione del contratto dipende dalle circostanze concrete. In via esemplificativa questo limite può ravvisarsi quando i contraenti
hanno raggiunto un’intesa di massima sui punti essenziali dell’affare, dovendo ancora
definire dettagli di minore importanza. Su questi aspetti, per una accurata analisi dei casi
giurisprudenziali più noti, si rimanda a U. MORELLO, Culpa in contrahendo, accordi e
intese preliminari (un classico problema rivisitato), in La casa di abitazione tra normativa vigente e prospettive. II. Aspetti civilistici, Milano, 1986, p. 83. Con specifico riferimento alla vicenda Buitoni e I.R.I., si veda A. ORESTANO, I vincoli nella formazione
del contratto: l’esperienza italiana e le prospettive di diritto europeo, in MAZZAMUTO (a
cura di), Il contratto e le tutele, cit., p. 166. Sulla necessità di dare rilievo anche
all’affidamento sulla conclusione del contratto a partire dal momento nel quale si ha la
certezza pratica della futura conclusione del contratto cfr. G. AFFERNI, Il quantum del
danno nella responsabilità precontrattuale, Torino, 2008, p. 18 e p. 20.
69
Cfr. G. CARRARA, La formazione dei contratti, cit., p. 8; G.B. FERRI, In tema di
formazione progressiva del contratto e di negozio formale “per relationem” in Saggi di
diritto civile, Rimini, 1993, p. 221. N. SAPONE, La responsabilità precontrattuale, Milano, 2008, p. 234, afferma che il comportamento delle parti può azzerare il significato attribuibile, in una visione oggettiva, al progressivo emergere della comune intenzione
concretizzatasi nell’accordo sia pure di massima sugli elementi essenziali. In giurisprudenza, di recente, si rimanda a Cass., 25.1.2012, n. 1051, in Banche dati DeJure/Giuffrè.
70
Non si possono considerare quindi i diversi punti singolarmente, perché la conoscenza che se ne ha è imperfetta, in quanto per conoscerli completamente occorre esaminarli tutti nel loro insieme e vedere il rapporto nel suo complesso. In questi termini G.
CARRARA, La formazione dei contratti, cit., p. 8.
71
G. CARRARA, op. loc. ult. cit.; M. ROCCA, Conoscenza e riconoscibilità dell’errore. Il
danno emergente ed il problema del lucro cessante nella responsabilità precontrattuale,
in Nuova giur. civ. comm., 2005, I, p. 627, nota che il ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto costituisce il motivo della tutela, ma non il suo oggetto.
L’AGIRE SECONDO CORRETTEZZA E LA SUA INCIDENZA SULLE DECISIONI NEGOZIALI
81
Non sembrano convincenti nemmeno i ragionamenti incentrati su un
criterio meramente temporale, legato alla maggiore o minore durata delle
trattative o al c.d. ‹‹stadio avanzato›› delle stesse. Va segnalato, al riguardo, un equivoco spesso celato dal ripetersi di tralatizie massime giurisprudenziali72: quello che viene indicato come ‹‹stadio avanzato delle
trattative›› − tale, dunque, da legittimare l’affidamento nella conclusione
del contratto− è, il più delle volte, una fase nella quale si sono posti in essere atti che integrano già il procedimento di formazione del contratto73.
I profili problematici evidenziati tendono a sfumare se si adotta
una prospettiva attenta agli aspetti dinamici relativi alle modalità di
svolgimento delle condotte dei soggetti che trattano.
L’art. 1337 c.c., nello stabilire che le parti nel corso delle trattative
devono comportarsi secondo buona fede, mira a tutelare l’interesse
«alla piena possibilità di utilizzare tutte le chances contrattuali offerte
in quella determinata situazione economico sociale nella quale opera il
soggetto, senza falsi condizionamenti causati da prospettive contrattuali inconsistenti, ed in definitiva, non corrispondenti al vero; senza
inutili e superflui intralci nell’attività»74. Il suddetto interesse è da salvaguardare non solo nei casi nei quali si giunga a quello che viene identificato con lo «stadio avanzato delle trattative», ma già dal momento dell’instaurarsi della trattativa e, comunque, a prescindere
dall’avanzamento raggiunto75.
72
M. ALBERICI, Il dovere precontrattuale di buona fede (analisi della giurisprudenza),
in Rass. dir. civ., 1982, 1051, evidenzia una serie di massime consolidate che condizionano il
sorgere della responsabilità precontrattuale al ricorrere dei seguenti requisiti: a) un ragionevole affidamento della parte nella conclusione del contratto; b) un recesso senza giusta causa ad
opera dell’altra; c) la sussistenza di un danno conseguente alla trattativa interrotta. Sulle massime consolidate in materia di interruzione delle trattative si vedano, più di recente, M. CAPODANNO, Lettere di intenti, doveri in contrahendo e buona fede nelle trattative, in Riv. dir.
priv., 2008, p. 332; F. ASTONE, Sulla rilevanza dei precedenti, cit., p. 53 e p. 60. Ivi, si specifica che non si tratta di eseguire una comparazione sulle soluzioni accolte nei singoli casi che,
si è detto, tendono a convergere, quanto di comprendere il ragionamento seguito per raggiungere la soluzione del singolo caso e stabilire se il rischio debba effettivamente rimanere a
carico di chi lo ha assunto, ovvero vada trasferito all’altra parte.
73
N. SAPONE, La responsabilità precontrattuale, cit., p. 247, ritiene poco condivisibile l’opinione che sembra disconoscere autonomo rilievo all’affidamento ragionevole sulla
conclusione del contratto, derivante dallo stadio avanzato delle trattative. Ad avviso
dell’Autore, tale tipo di affidamento non è escluso da quello nella serietà e nella correttezza
delle trattative. Si aggiunge, inoltre, p. 235, che lo stadio avanzato delle trattative determina
l’apertura di una nuova fase nel processo formativo del contratto, con il sorgere per le parti dell’onore di avvertirsi in presenza di ostacoli alla conclusione del contratto.
74
In questi termini A. RAVAZZONI, La formazione del contratto, II, Le regole di
comportamento, Milano, 1973, p. 7, che, pure, adotta una prospettiva diversa.
75
A. PALMIERI, La responsabilità precontrattuale nella giurisprudenza, Milano,
1999, p. 350, richiama l’attenzione sul fatto che ciascuno deve poter fare affidamento
82
CAPITOLO SECONDO
Il comportamento di buona fede, imposto ai soggetti nel corso di
una trattativa, non mira a limitare la libertà di contrattazione, né a porre labili confini superati i quali si trasformerebbe in un vincolo al contratto76. Si cadrebbe, altrimenti, in contraddizione77, non riuscendo a
spiegare come mai nel corso delle trattative non si è obbligati a vincolarsi, ma si è responsabili se si esercita la libertà di non impegnarsi78.
L’art. 1337 c.c., dunque, prevedendo che le parti nello svolgimento delle trattative devono comportarsi secondo buona fede, non crea
obblighi relativi al futuro contratto, ma obblighi di condotta all’interno
della fase stessa79.
6. La tutela del destinatario dell’attività tra obblighi di protezione e
obbligo di prestazione
Oltre a quelli fino ad ora evidenziati, ci sono ulteriori aspetti che
palesano numerosi punti in comune tra la disciplina delle trattative e
quella delle pratiche commerciali.
In entrambi i casi, la tutela dell’interesse del destinatario dell’attività, idonea ad incidere sulle decisioni di natura commerciale, può essere affidata alla distinzione tra ciò che è violazione dell’obbligo di
protezione e l’infrazione dell’obbligo di prestazione80. Segnatamente,
sulla serietà delle trattative sin dalle prime battute, dato che l’obbligo di comportarsi ex
fide bona sorge dall’inizio delle stesse e indipendentemente dal loro esito. Ivi ci si chiede
per quale ragione, non appena iniziate le trattative, una parte non avrebbe il dovere di
comportarsi secondo buona fede. E. NAVARRETTA, Modalità di trattamento, cit., p. 262,
afferma che la regola di correttezza si impone alle parti sin dall’inizio delle trattativa.
76
Cfr. A. GENTILI, Informazione contrattuale, cit., p. 566, secondo il quale le trattative sono il luogo della libertà.
77
Cfr. Cass., 10 giugno 2005, n. 12313, cit., ove si afferma che è necessario un coordinamento tra il principio secondo il quale il vincolo negoziale sorge solo con la stipulazione
del contratto e l’altro secondo il quale le trattative debbono svolgersi correttamente.
78
G. FAGGELLA, Dei periodi precontrattuali e della loro vera ed esatta costruzione
scientifica, in Studi per Fadda, III, Napoli, 1906, p. 272.
79
G. ALPA, Appunti sulla responsabilità precontrattuale nella prospettiva della
comparazione giuridica, in Resp. civ. prev., 1981, p. 536. Cfr. sul punto C. CARRERI, In
tema di responsabilità precontrattuale, in Temi, 1965, p. 443; V. CUFFARO, Responsabilità precontrattuale, cit., p. 1269; G. PANZA, Buon costume e buona fede, Napoli, 1973,
p. 229; G. GUERRESCHI, Responsabilità precontrattuale: liberi di recedere dalle trattative....ma fino ad un certo punto, in Danno resp., 2006, p. 52.
80
Con specifico riferimento alle trattative cfr. L. MENGONI, Sulla natura della responsabilità precontrattuale, cit., p. 370; C. CASTRONOVO, Ritorno all’obbligazione senza prestazione, in Eur. dir. priv., 2009, p. 680; ID., La relazione come categoria essenziale dell’obbligazione e della responsabilità contrattuale, in Eur. dir. priv., 2011, p. 66;
C. SCOGNAMIGLIO, Regole di validità, cit., p. 630.
L’AGIRE SECONDO CORRETTEZZA E LA SUA INCIDENZA SULLE DECISIONI NEGOZIALI
83
nel corso delle trattative si delinea la pretesa ad un altrui specifico comportamento; pretesa che si distingue da quella in adimplendo per essere
differentemente orientata, e cioè per il fatto che non riguarda la prestazione oggetto del contratto81. L’assenza di quest’ultima non esclude il rilievo dell’interesse a precise modalità di condotta82. Piuttosto, è necessario distinguere l’obbligo avente ad oggetto la prestazione del contratto in itinere dal comportamento oggetto di obblighi prenegoziali83.
D’altronde l’obbligazione non si identifica con l’obbligo di prestazione e, anche di recente, la dottrina non rinuncia a soffermarsi sulle implicazioni che ne derivano. Soprattutto ne è conseguita la necessità di fare delle precisazioni in ordine alla responsabilità contrattuale.
Da una parte, si è ritenuto opportuno qualificare ‹‹debole›› la responsabilità contrattuale quando la stessa scaturisca dalla violazione di
obblighi privi della preordinazione a far conseguire al creditore una determinata utilità, quale che ne sia la natura84. Tale responsabilità, con riguardo al fondamento, è sinonimo della violazione di una pura regola di
condotta, volendo, con ciò segnalare ‹‹la vocazione procedimentale, che
consiste nella natura di azione dovuta nell’ambito di un’attività complessiva soltanto all’esito della quale potrebbe sorgere un’utilità, per
definizione non dovuta e quindi non pretendibile per lo meno nella
prospettiva ristretta di quella singola regola che si assume violata››85.
In questa prospettiva, viene dato rilievo e adeguata tutela ad una
situazione giuridica indirizzata al soddisfacimento del mero interesse
alla corretta esplicazione di un’attività discrezionale, che non è detto
debba sfociare nel soddisfacimento di un interesse finale del destinatario, come accade invece nell’obbligazione vera e propria86. Ne consegue, non solo la distinzione tra obbligo di prestazione e obblighi di
protezione, ma altresì una diversa concezione di questi ultimi che, infatti, sono proiettati anche in una dimensione orientativa della condot81
L’attenzione a tali profili si deve a R. JHERING, Culpa in contrahendo oder Schadensersatz bei nichtigen oder nicht zur Perfection gelangten Verträgen, in Jahrbücher
für die Dogmatik des heutigen römischen und deutschen Privatrechts, IV, 1861, p. 20. F.
PROCCHI (traduzione italiana a cura di), Della culpa in contrahendo. Ossia del risarcimento del danno nei contratti nulli o non giunti a perfezione, Napoli, 2005; C. TURCO,
L’interesse negativo nella culpa in contrahendo, cit., p. 176.
82
S. AGRIFOGLIO, La sezioni unite tra vecchio e nuovo diritto pubblico: dall’interesse legittimo alle obbligazioni senza prestazione, in Eur. dir. priv., 1999, p. 1251.
83
In questi termini C. TURCO, op. ult. cit., p. 180.
84
S. MAZZAMUTO, La responsabilità contrattuale in senso debole, in Eur. dir. priv.,
2011, p. 121.
85
S. MAZZAMUTO, La responsabilità, cit., p. 123.
86
S. MAZZAMUTO, La responsabilità, cit., p. 129.
CAPITOLO SECONDO
84
ta. Gli obblighi di protezione, in altri termini, non sono visti soltanto
come presupposto per l’imputazione di una responsabilità contrattuale,
ma diventano «veri e propri imperativi di condotta»87.
Insoddisfazione, nei confronti dell’espressione responsabilità contrattuale, è stata manifestata anche da altra parte della dottrina che ha ritenuto più corretto parlare di responsabilità relazionale88. La diversa terminologia è in grado di significare che la violazione del rapporto obbligatorio può riferirsi sia all’obbligo di prestazione che ad altri obblighi nei
quali lo stesso si articola89. La conseguente responsabilità può nascere
anche quando l’obbligo di prestazione non sia venuto ad esistenza, ma
ugualmente il rapporto sia sorto in seguito all’instaurarsi della relazione che la legge ha reso giuridicamente rilevante90.
La violazione della relazionalità può riguardare sia la prestazione
sia un altro interesse messo a repentaglio dalla relazione medesima91. In
questa prospettiva, il rapporto obbligatorio si costituisce ex lege in seguito al contatto sociale qualificato, come insieme di obblighi funzionali allo
scopo. Tale scopo è costituito dall’attuazione del rapporto medesimo come adempimento dell’obbligo di prestazione. Quest’ultimo, però, può
non venire mai ad esistenza come nel caso delle trattative precontrattuali non andate a buon fine o può venir meno per una causa di estinzione dell’obbligo di prestazione prevista dalla legge92.
L’attenzione va posta, dunque, sulla relazionalità instaurata da un
contatto sociale che è fonte di un affidamento reso rilevante dagli ob87
S. MAZZAMUTO, La responsabilità, cit., p. 137. Ivi si afferma che la prospettiva a
posteriori degli obblighi di protezione ne limita la rilevanza a quella parte di contenuto
dell’interesse negativo di protezione che affiora nel momento del sorgere del pregiudizio
e ‹‹proprio perché la si guarda dalla specola riduttiva della tutela risarcitoria o inibitoria
della pretesa››. L’analisi a priori consente, invece, l’esaltazione della percettività, in punto di fattispecie, nella dimensione relazionale del contratto, il che può sollecitare forme
di tutela preventiva.
88
C. CASTRONOVO, La relazione come categoria, cit., p. 55. L’imprecisione della
denominazione “responsabilità contrattuale” è segnalata già da L. MENGONI, Sulla natura della responsabilità precontrattuale, cit., p. 360.
89
Si tratta di obblighi che, precisa C. CASTRONOVO, La relazione come categoria, cit.,
p. 67, sono funzionali e non accessori, in quanto l’accessorietà rimanda alla necessaria presenza di un obbligo di prestazione che, invece, può anche non essere sorto o essere venuto
meno senza che questo comporti l’automatica estinzione degli obblighi in oggetto.
90
In questi termini C. CASTRONOVO, La relazione come categoria, cit., p. 71. L’Autore
aggiunge, p. 72, che, in questo modo l’intero diritto privato si riconfigura secondo una summa
divisio tra situazioni relazionali, caratterizzate da obblighi tra le parti la cui violazione è fonte
di responsabilità relazionale, e situazioni non relazionali, le quali sul terreno della responsabilità assumono le caratteristiche della responsabilità aquiliana.
91
C. CASTRONOVO, La relazione come categoria, cit., p. 71.
92
C. CASTRONOVO, La relazione come categoria, cit., p. 67.
L’AGIRE SECONDO CORRETTEZZA E LA SUA INCIDENZA SULLE DECISIONI NEGOZIALI
85
blighi di buona fede. L’esistenza dell’obbligo di prestazione è solo
una delle variabili possibili93.
Poste queste premesse, può ritenersi che «se l’ordinamento consente un rapporto obbligatorio che manca di obbligo di prestazione e
se nella situazione nella quale questo si è verificato ciò che rileva sul piano del fatto è un affidamento al quale la buona fede è in grado di connettere obblighi la cui osservanza ha funzione di conservare la sfera giuridica dell’altra parte, non di mutarla come nel caso dell’obbligo di prestazione, si prospetta legittima la domanda se non vi siano situazioni nelle quali similmente ingenerandosi un affidamento, analogamente possa ritenersi che la buona fede faccia nascere obblighi di pari natura»94.
Si aggiunga che «non si tratta solo del contatto (qualificato) e dell’affidamento che ne deriva, i quali si collocano sul piano del fatto, ma
pure dell’esigenza di buona fede che ne nasce e che consente all’interprete di estrarla in forma di principio dall’art. 1337 c.c. per applicarla
93
C. CASTRONOVO, La relazione come categoria, cit., p. 66
C. CASTRONOVO, Ritorno all’obbligazione senza prestazione, cit., p. 680. Il riferimento è agli interessanti risultati ai quali sono giunti quanti delineano il ‹‹rapporto obbligatorio senza obbligo primario di prestazione››, inteso come figura più ampia rispetto
alla relazione precontrattuale perché non riguarda esclusivamente i casi di comportamenti posti in essere al fine di valutare l’opportunità di concludere un contratto. C. CASTRONOVO, La nuova responsabilià civile, p. 471, avverte l’importanza di non ricondurre alla
culpa in contrahendo anche le ipotesi di affidamento con esito dannoso che non si radicano in un rapporto volto alla stipulazione del contratto. L’Autore, p. 475, non considera
la culpa in contrahendo come la categoria generale della protezione dell’affidamento
qualificato; ciò non perché di tale categoria non ci sia bisogno, ma in quanto la stessa è
costituita dall’obbligazione senza prestazione, di cui la culpa in contrahendo è solo una
specie. Sul punto si veda C. CASTRONOVO, Obblighi di protezione e tutela del terzo, in
Jus, 1976, p. 133; ID., L’obbligazione senza prestazione. Ai confini tra contratto e torto,
in Scritti in onore di Mengoni, I, Milano, 1995, p. 197; ID., La responsabilità civile in
Italia al passaggio del millennio, in Eur. dir. priv., 2003, p. 157; ID., La relazione come
categoria, cit., p. 55. Sul legame concettuale tra culpa in contrahendo e obbligazione
senza prestazione cfr. A. THIENE, Inadempimento alle obbligazioni senza prestazione, in
G. VISINTINI (diretto da), Trattato, I, cit., p. 330. Quanto alle prime applicazioni giurisprudenziali della teoria dell’obbligazione senza prestazione, anche se in modo non del
tutto corrispondente al pensiero di Castronovo, si veda, in particolare, Cass. civ., 22
Gennaio 1999, n. 589, con commento di A. DI MAJO, L’obbligazione senza prestazione
approda in Corte di cassazione, in Corr. giur., 1999, p. 441; V. CARBONE, La responsabilità del medico ospedaliero come responsabilità da contatto, in Danno resp., 1999, p.
299; F. DI CIOMMO, Note critiche sui recenti orientamenti giurisprudenziali in tema di responsabilità del medico ospedaliero, in Foro it., 1999, p. 3332; A. LANOTTE, L’obbligazione del medico dipendente è un’obbligazione senza prestazione o una prestazione senza obbligazione? in Foro it., 1999, c. 3338; M. FORZIATI, La responsabilità, cit., p. 682; P.
IAMICELI, Responsabilità del medico dipendente: interessi protetti e liquidazione del
danno, in Corr. giur., 2000, p. 383; S. FAILLACE, La responsabilità, cit., p. 21; I. SARICA, Il
contatto sociale, cit., p. 98.
94
CAPITOLO SECONDO
86
in analogia iuris nelle situazioni che, come quelle di pre-contratto,
presentano somiglianza di esigenza di tutela››95.
Ebbene, anche nel caso delle pratiche commerciali − al di là dall’esistenza di un qualsiasi obbligo di prestazione, e anche da un diretto
interloquire con l’autore della pratica − interessi meritevoli possono
essere lesi dallo svolgimento scorretto dell’attività e dal mancato rispetto di obblighi legati alla modalità delle condotte che si sarebbero
dovute porre in essere secondo buona fede.
Numerosi dati consentono, dunque, di ritenere che alcune ipotesi,
che si affacciano prepotentemente alla ribalta del nuovo scenario normativo di derivazione comunitaria, presentano rilevanti caratteristiche analoghe a quelle dei casi riconducibili alle trattative ex art. 1337 c.c96.
Prima di evidenziare le implicazioni pratiche dell’impostazione
proposta sono opportune ulteriori considerazioni.
Lo stretto legame tra la disciplina in tema di pratiche commerciali
e la logica delle trattative è confermato anche dal fatto che queste ultime non si svolgono correttamente se una delle parti pone in essere un
comportamento idoneo a falsare in misura apprezzabile le scelte dell’altro.
95
C. CASTRONOVO, Ritorno all’obbligazione senza prestazione, cit., p. 697. Critica
la tesi dell’obbligazione senza prestazione M. MAGGIOLO, Il risarcimento della pura
perdita patrimoniale, Milano, 2003, p. 133. Tale critica non risulta persuasiva per C.
CASTRONOVO, op. ult. cit., p. 467, nota 56. Perplessità sono manifestate da L. LAMBO,
Responsabilità civile, cit., p. 130 e da E. NAVARRETTA, Riflessioni in margine all’ingiustizia del danno, I, Milano, 2008, p. 627; ID., Modalità di trattamento, cit., p. 261. Ivi, si
afferma che attraverso la teoria dell’obbligazione senza prestazione si verrebbe a configurare una responsabilità per mera violazione della correttezza, anche se non è stato leso
alcun interesse. Nell’area della responsabilità precontrattuale si potrebbero chiedere i
danni per una condotta non corretta anche se non è stato offeso alcun affidamento di controparte. A queste osservazioni si replica in C. CASTRONOVO, Ritorno all’obbligazione
senza prestazione, cit., p. 702. Sull’idea che un rapporto obbligatorio senza prestazione
possa sorgere anche fuori dalle trattative precontrattuale cfr. B. SCHINKELS, “Dritthaftung” von Gutachtern in Deutschland und England im Lichte der Verordnung Rom II, in
Juristenz., 2008, p. 276. Il pensiero d Castronovo è, in parte, criticato da A. DI MAJO,
L’obbligazione senza prestazione, cit., p. 441. ID., Profili della responsabilità civile, Torino, 2010, p. 72.
96
A. DI MAJO, Profili, cit., p. 70, afferma che la responsabilità, prevista nel settore
contrattuale, con riguardo al rapporto creato dall’apertura delle trattative, potrebbe essere
esportota al di là dei rapporti contrattuali, per investire anche rapporti che non siano finalizzati alla conclusioni di contratti, ma si incentrino nello svolgimento di attività che
vanno anche al di là della violazione del neminem laedere. Si aggiunge che il paradigma
della culpa in contrahendo «là dove utilizza doveri e/o obblighi specifici di comportamento (di correttezza e/o informazione), ma senza coinvolgere prestazioni è il paradigma
diciamo, più “corteggiato” da quanti ritengono che esso è esportabile anche in altri contesti››.
L’AGIRE SECONDO CORRETTEZZA E LA SUA INCIDENZA SULLE DECISIONI NEGOZIALI
87
D’altro canto, l’aver posto in essere una pratica scorretta non può
non incidere su un eventuale giudizio circa la buona fede nello svolgersi delle trattative97.
Indicazioni contrarie non sembra possano trarsi dal fatto che la
normativa di derivazione comunitaria si sforzi di essere precisa e di
prevedere dettagliatamente obblighi e prescrizioni ai quali deve attenersi chi svolge un’attività professionale. La minuziosità di tale normativa, infatti, non esclude la necessità di un giudizio sulla correttezza
e sulla diligenza, tenuto conto della natura dell’attività esercitata.
Si pensi all’elenco, ex art. 21 Cod. cons., degli elementi sui quali
il consumatore può essere indotto in errore e all’immediato successivo
riferimento a tutte le informazioni che, in ogni caso, possano influire sulla sua decisione di natura commerciale. Nello stesso senso, può richiamarsi l’art. 2 Cod. cons., ove sono sanciti i diritti fondamentali del consumatore ad una adeguata informazione e corretta pubblicità e
all’esercizio delle pratiche commerciali secondo buona fede, correttezza e
lealtà98. Per quanto il legislatore comunitario possa essere, e in effetti è,
dettagliato nell’individuare gli obblighi di informazione e di condotta,
non può fare a meno di ricorrere a formule aperte ed elastiche99.
7. Ruolo centrale dell’agire secondo correttezza tra trattative e pratiche commerciali
Quanto affermato non vale certo a negare che ci sono delle diversità tra lo svolgimento delle trattative ex art. 1337 c.c. e le pratiche
commerciali.
Si tratta di distinzioni che conseguono alle differenze sostanziali
tra regole del codice e normativa di derivazione comunitaria. Le prime, infatti, presuppongono l’uguaglianza formale tra le parti ed un
mercato già strutturato, mentre le seconde devono farsi carico anche
della funzione dinamica di strutturazione del mercato unico, tenendo
conto delle distinzioni che in concreto intercorrono tra i soggetti coinvolti nelle relazioni economiche100.
97
In questo senso G. DE CRISTOFARO, Le pratiche commerciali sleali, cit., p. 1182.
L. DI NELLA, Il controllo, cit., p. 241; L. ROSSI CARLEO, Consumatore, consumatore medio, investitore e cliente, cit., p. 700.
99
R. CALVO, Le pratiche, cit., p. 205.
100
Sul punto ampiamente A. JANNARELLI, La disciplina dell’atto e dell’attività, cit.,
p. 60 e p. 66. Ivi si nota che sembra riproporsi un modello che, nelle nostra specifica tra98
88
CAPITOLO SECONDO
D’altronde, la peculiarità dell’agire del soggetto economico professionale è che, a differenza di quanto avviene per i normali soggetti privati, la commercializzazione dei prodotti risponde ad una
esigenza «costitutiva» della propria presenza: non possono fare a meno di vendere e, nel far questo, massimizzare i vantaggi a discapito dei
propri competitors.
In questo senso, chi ‹‹deve›› operare, nel e per il mercato, ha bisogno necessariamente di incanalare una possibile domanda verso la
propria struttura in modo da vincere anche la concorrenza dei propri
competitori.
L’imprenditore, deve, dunque, creare un processo informativo finalizzato a mettersi in evidenza ed a catturare i soggetti interessati all’acquisto e, al contempo, differenziare la propria offerta da quella degli altri concorrenti.
dizione, ha caratterizzato il diritto commerciale prima dell’unificazione tra codice civile
e codice di commercio, anche se possono riscontrarsi almeno due rilevanti divergenze,
oltre al fatto che la disciplina del codice del 1942 era espressione di un mercato già strutturato. Quanto alla prima, basti notare che il processo verificatosi ai tempi del vecchio
codice era discendente: regole dettate per i soli commercianti sono state estese anche alle
relazioni tra questi ultimi ed i consumatori, fino a diventare diritto comune. Attualmente,
invece, si assiste ad un processo opposto che parte dalle relazioni economiche finali tra
consumatori ed operatori economici per risalire alle relazioni tra imprese. Quanto alla
seconda, la commercializzazione del diritto privato, ai tempi del 1942, avvenne attraverso la progressiva perdita di rilevanza della qualità dei contraenti, là dove, viceversa, la disciplina comunitaria dei contratti si basa sulla rivalutazione della diversa
categoria alla quale appartengono i contraenti. Sul punto ancora A. JANNARELLI,
L’attività produttiva e la figura giuridica dell’imprenditore, in N. LIPARI (a cura di),
Diritto privato. Una ricerca per l’insegnamento, Bari, 1974, p. 664; ID., Intervento,
in S. MAZZAMUTO (a cura di), Impresa agricola e impresa commerciale: le ragioni
di una distinzione, Napoli, 1992, p. 123; P. SPADA, La rivoluzione copernicana, cit.,
p. 144, afferma che «i codici ottocenteschi sono l’immagine di un diritto privato che
si fa carico dell’individuo nelle sue relazioni di signoria con il mondo delle cose e di
interazione con l’altro che, formalmente, gli è pari: muovendo dall’individuo è il diritto soggettivo (…) che trascrive le scelte in tema di appropriazione e di pretesa/vincolo dell’uno verso l’altro». Sulle differenze tra i codici ottocenteschi ed il
progetto del CFR si sofferma G. ALPA, G. CONTE, Riflessioni, cit., p. 141. C. CASTRONOVO, Il contratto nei Principi di diritto europeo, in S. MAZZAMUTO (a cura
di), Il contratto e le tutele, cit., p. 32, nota che mentre le codificazioni ottocentesche
furono una delle articolazioni della nazionalità in antagonismo al diritto comune, la
codificazione europea si muoverebbe nella direzione – esattamente contraria – del
superamento dei codici nazionali. Sul punto cfr. A. GUARNIERI, Linguaggio legislativo nuovo
e categorie ordinanti tradizionali, in Riv. dir. priv., 2009, p. 65; F. GAMBINO,
L’obbligazione, cit., p. 52. Sugli aspetti positivi della rottura del monopolio e del rigido
controllo statuale sul diritto si veda P. GROSSI, Società, diritto, Stato. Un recupero per il
diritto, Milano, 2006, p. 305.
L’AGIRE SECONDO CORRETTEZZA E LA SUA INCIDENZA SULLE DECISIONI NEGOZIALI
89
Questo significa, in primo luogo, che il fenomeno richiamato nella
disciplina delle pratiche commerciali è un fenomeno di massa101, nel
senso che ciascuno operatore economico lo rivolge in incertas personas, e non già per la conclusione di un singolo contratto, come potrebbe avvenire, per esempio, ex art. 1336 c.c., nella proposta al pubblico.
In altri termini, le pratiche commerciali sono costitutivamente pratiche informative circa la presenza di una specifica offerta al fine di
attivare quel contatto che precede la conclusione dei contratti; servono, cioè, a strutturare, senza costi per i consumatori, quel luogo di incontro nell’ambito del quale normalmente si attua la contrattazione.
È interesse di chi deve costitutivamente vendere per commercializzare fornire l’informazione sul suo esserci e, al contempo, comunicare le peculiarità della propria merce e le modalità di conclusione
dell’affare.
La disciplina sulle pratiche commerciali si riferisce a quella «prassi»
che fisiologicamente caratterizza la presenza e l’azione sul mercato
dei professionisti. Si tratta di una ‹‹prassi›› che segue normalmente
paradigmi operativi, standardizzati, almeno nella prima fase di contrattazione con i potenziali clienti, e che possono poi eventualmente
conformarsi ad hominem secondo specifiche circostanze.
La ‹‹prassi››, oggetto della disciplina, è strutturalmente duale. Essa coinvolge anche le relazioni tra i competitors: ciascuno degli operatori, infatti, gareggia con una propria prassi operativa. Al tempo stesso, crea l’orizzonte informativo nell’ambito del quale possono collocarsi i potenziali acquirenti consumatori che sono il centro della contesa economica tra gli operatori concorrenti.
Le osservazioni che precedono confermano che, dal punto di vista
delle tecniche giuridiche di governo delle regole destinate a disciplinare tale ‹‹prassi››, è inevitabile distinguere il piano della tutela collettiva, soprattutto preventiva, dal piano della tutela del singolo consumatore per gli effetti negativi che quella scorretta attività possono aver
generato a suo danno. Piano, quest’ultimo, che ovviamente non può
non articolarsi nei remedies secondo che l’atto di consumo sia intervenuto oppure no.
Le diversità tra trattative e pratiche commerciali non mettono in
discussione le capacità ordinanti della buona fede in entrambi i casi,
101
Sul punto cfr. L. FIORENTINO, Le pratiche commerciali, cit., p. 165; M. GORGOL’ammissibilità, cit., p. 1099; ID., Ancora prove tecniche, cit., p. 1792; M. LIBERTINI,
L’azione di classe e le pratiche commerciali scorrette, in Riv. dir. ind., 2011, p. 147.
NI,
CAPITOLO SECONDO
90
ma solo implicano che, se un comportamento è considerato corretto
nel rapporto tra soggetti astrattamente e formalmente uguali, può non
esserlo quando uno tra questi svolga un’attività professionale oggettivamente destinata a condizionare le scelte degli utenti finali. In questa
circostanza, ci si può ragionevolmente aspettare, infatti, che vengano
rispettate le regole proprie dell’agire professionale.
Inoltre, nella logica della trattativa c’è la partecipazione attiva, reale o potenziale degli interessati, mentre i destinatari delle pratiche
commerciali possono trovarsi in una situazione passiva, così che, se
l’art. 1337 c.c. prevede la buona fede nel trattare, a maggior ragione si
giustifica l’imposizione di tale obbligo a chi pone in essere una pratica
commerciale.
Non si tratta di affermare genericamente che buona fede e correttezza siano parametri estendibili alle nuove norme a tutela del contraente
debole. Piuttosto si vuole rilevare che, in alcune discipline − riguardanti
lo svolgersi di un’attività oggettivamente destinata a condizionare le scelte negoziali dei consumatori − si riscontrano ripetutamente molti elementi di affinità con l’art. 1337 c.c.102 Su questa norma, che assurge ad
importante crocevia tra interrogativi tradizionali e nuovi scenari, appare opportuno, a questo punto, soffermarsi ulteriormente.
102
Sull’obbligo di buona fede ex art. 1337 c.c. come prototipo delle regole di comportamento ed efficiente rimedio contro la slealtà cfr. G. VETTORI, Regole di validità e di
responsabilità di fronte alle Sezioni Unite. La buona fede come rimedio risarcitorio, in
www.personaemercato.it, p. 1 e p. 4; ID., Le asimmetrie informative, cit., p. 252; ID., I
principi comuni del diritto europeo dalla Cedu al Trattato di Lisbona, in Riv. dir. civ.,
2010, p. 124; A.M. MUSY, Responsabilità precontrattuale (culpa in contrahendo), in
Dig. civ., Torino, 1998, XVII, p. 420. Negli studi relativi alla nuova normativa di derivazione comunitaria non si trascura l’importante ruolo dell’art. 1337 c.c. Cfr. M. FRANZONI, La responsabilità precontrattuale: una nuova stagione, in Resp. civ., 2006, p. 297;
R. CALVO, Le pratiche, cit., p. 197; M.L. LOI e F. TESSITORE, Buona fede, cit., p. 22.
RILIEVO DELL’INTERESSE ALLE MODALITÀ DELLA CONDOTTA EX ART. 1337 C.C.
91
CAPITOLO TERZO
RILIEVO DELL’INTERESSE ALLE
MODALITÀ DELLA CONDOTTA EX ART. 1337 C.C.
SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. Il dibattito sull’opportunità di disciplinare il comportamento delle parti durante le trattative. - 3. I confini delle trattative. - 4. Responsabilità
precontrattuale ed esiti del procedimento di formazione del contratto. - 4.1. Responsabilità precontrattuale e conclusione di un contatto valido. - 5. Ambito di applicazione soggettivo dell’art. 1337 c.c.
1.
Premessa
L’attenzione alle modalità di svolgimento delle condotte consente
di evidenziare le potenzialità, spesso rimaste inespresse, dell’art. 1337
c.c. e di palesare la sua idoneità a porsi come regola di comportamento
in linea con l’esigenza di disciplinare una realtà dal dinamismo sempre crescente1.
1
Sono state spesso sottovalutate le potenzialità applicative dell’art. 1337 c.c., perdendo l’occasione per trarre dalla norma tutte le implicazioni di cui essa è suscettibile. Il
dato è evidenziato da M. MANTOVANI, «Vizi incompleti del contratto e rimedio risarcitorio», Torino, 1995, p. 126; G. PERLINGIERI, Regole e comportamenti nella formazione
del contratto. Una rilettura dell’art. 1337 codice civile, Napoli, 2003, p. 11; R. SACCO, Il
contratto, in R. SACCO e G. DE NOVA, Tratt. dir. civ., Torino, 2004, I, p. 503; R. SENIGAGLIA, Accesso alle informazioni, cit., p. 8., spec. nt. 19; T. FEBBRAJO, La «nuova» responsabilità precontrattuale, in Riv. dir. priv., 2011, p. 195; F. ROMEO, Dovere di informazione e responsabilità precontrattuale: dalle clausole generali alla procedimentalizzazione dell′informazione, in Resp. civ., 2012, p. 222. Quanto alla idoneità della culpa in
contrahendo ad assumere un ruolo che va al di là da quello tradizionale si rimanda a A.
DI MAJO, Le tutele contrattuali, Torino, 2009, p. 11; ID., La responsabilità contrattuale,
Torino, 2007, p. 8. Le potenzialità dell’art. 1337 c.c. sono legate anche alla circostanza
che, secondo parte della dottrina, si tratta di una norma di chiusura volta ad operare
quando l’esistenza di spazi vuoti di diritto lascia impunita la disonestà e la slealtà del
trattare. In questo senso, si veda F. BENATTI, Responsabilità precontrattuale, in Enc.
giur. Treccani, Roma, XXVII, 1991, p. 6. M. BESSONE, Rapporto precontrattuale e doveri di correttezza, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1972, p. 983, ritiene che l’art. 1337 c.c. è
previsione «così significativa proprio perché il suo assunto è tanto indeterminato. La genericità della formula dell’art. 1337 c.c. è infatti il prezzo che la norma paga per poter
operare anche nella zona dei casi che la serie delle norme di specie lascia scoperta». In
argomento cfr. R. CALVO, Le pratiche, cit., p. 192; P. GALLO, Responsabilità precontrattuale: la fattispecie, in Riv. dir. civ., 2004, p. 311; A. LA TORRE, Diritto civile e codificazione. Il rapporto obbligatorio, Milano, 2006, p. 7. La valorizzazione delle potenzialità
applicative dell’art. 1337 c.c. può suffragarsi anche in considerazione del fatto che tale
norma è stata considerata come tramite attraverso il quale il criterio della solidarietà ol-
92
CAPITOLO TERZO
È sintomatica l’attualità e la riferibilità ai nuovi scenari di quanto
tradizionalmente affermato riguardo l’art. 1337 c.c.
Possono riproporsi, infatti, in relazione alle novità legislative richiamate nei capitoli precedenti, le considerazioni svolte agli esordi
della vigenza dell’articolo in oggetto. In questo contesto, già si segnala la necessità di evitare una politica del diritto che privilegi quanti sul
mercato operano in modo sleale o poco razionale, confidando di poter
far carico ad altri delle scorrettezze compiute. Ne deriverebbe, altrimenti, un notevole pregiudizio di coloro che agiscono responsabilmente, in ragione di un aggravio dei costi della loro gestione.
Un oculato regime di responsabilità assicura, invece, un migliore
andamento del mercato, contenendo i rischi per gli operatori avveduti
e scoraggiando i contegni sleali e poco corretti2.
L’analisi delle motivazioni che portarono alla introduzione della
disciplina dell’art. 1337 c.c., palesa che, spesso, in certi periodi storici
ritornano prepotentemente alla ribalta esigenze e problemi che già in
precedenza avevano dominato la scena, sia pure in modo parzialmente
e inevitabilmente diverso.
La necessità della responsabilità precontrattuale viene invocata in
un momento nel quale il commercio assume dimensioni più grandi e
comincia a sentirsi il peso della grande industria3. Non si ha a che fare
più solo con i vicini, con persone note e delle quali ci si può fidare, ma
si comincia a trattare con soggetti anonimi o sconosciuti. Conseguentemente, è sempre più avvertito il bisogno di garanzie normative
dell’altrui correttezza nell’attività contrattuale.
Sia pure in termini in parte diversi, esigenze analoghe sorgono nel
periodo di strutturazione del mercato unico europeo; periodo anche questo nel quale il commercio assume dimensioni e connotazioni diverse.
trepassa l’ambito circoscritto della obbligazione e del contratto, riferendosi al mondo più
articolato delle relazioni interindividuali. Tale considerazione è portata all’attenzione
degli interpreti già da S. RODOTÀ, Il problema della responsabilità civile, Milano, 1967,
p. 96. Sulla elaborazione del concetto di buona fede alla stregua dei valori costituzionali si
veda P. PERLINGIERI, Recenti prospettive nel diritto delle obbligazioni, in Vita not., 1976, p.
1028. Più di recente, sul punto, cfr. V. CUFFARO, Responsabilità precontrattuale, cit., p.
1265-1274; A. C. NAZZARO, Obblighi d’informare, cit., p. 125.
2
In questi termini, con specifico riferimento alle trattative, M. BESSONE, Rapporto
precontrattuale, cit., p. 974. Quanto all′ idoneità delle norme in tema di trattative a incentivare condotte economicamente efficienti cfr. F. ROLFI, Le obbligazioni da contatto
sociale, cit., p. 581. Sullo sforzo della disciplina in tema di pratiche commerciali a moralizzare il mercato cfr. A. GENTILI, Pratiche sleali, cit., p.66.
3
A. NATTINI, Cenni critici, cit., p. 243; C. CASTRONOVO, La nuova responsabilità
civile, cit., p. 661.
RILIEVO DELL’INTERESSE ALLE MODALITÀ DELLA CONDOTTA EX ART. 1337 C.C.
93
L’impostazione che valorizza gli aspetti dinamici presenti nel codice civile ha, sul tema delle trattative, implicazioni che si prestano ad
essere evidenziate su due livelli differenti, anche se inevitabilmente
collegati.
Il primo, riguarda la possibilità di arricchire il dibattito su alcuni
tradizionali interrogativi che sono, però, ancora attuali e suscettibili di
risposte spesso completamente agli antipodi. Si pensi ai confini delle
trattative; al recesso dalle stesse; al problema dell’inammissibilità della responsabilità precontrattuale in presenza di un contratto valido;
all’ambito di applicazione soggettivo dell’art. 1337 c.c.
Il secondo livello è di maggiore portata, potendosi delineare un
ambito applicativo della norma in oggetto particolarmente ampio. Si
profila, infatti, un modello al quale fare riferimento per i problemi inerenti al quomodo dello svolgimento di condotte e attività idonee a condizionare scelte di natura economica. Il tema delle trattative è, dunque,
di notevole interesse non solo per gli aspetti che solitamente sono stati
evidenziati, ma anche in quanto palesa il rilievo di una dimensione dinamica del diritto privato diversa da quella del procedimento.
L’art. 1337 c.c. merita attenzione, altresì, in considerazione della
circostanza che nella maggior parte degli altri ordinamenti4 non sono
previste disposizioni ad hoc, riferibili in via generale alle trattative e alla
responsabilità precontrattuale5. Eppure, l’esigenza di tali norme è certa4
Un’ importante novità è quella prevista dal § 311 comma 2 e 3 del B.G.B. a seguito della Gesetz zur Modernisierung des Schuldrechts del 2002. Ivi è stabilito che un rapporto obbligatorio con gli obblighi previsti dal comma 2 del § 241 sorge anche in virtù
dell’avvio di trattative precontrattuali. Sul punto si veda pf. V, Cap. II. Profili di particolare interesse sono offerti anche dal modello israeliano che si presenta come uno dei
più vicini a quello italiano. Il dato è segnalato da A. MORDECHAI RABELLO, Buona fede e
responsabilità precontrattuale nel diritto israeliano alla luce del diritto comparato, in
Riv. trim. dir. proc. civ., 2000, p. 471 e p. 847.
5
M. BESSONE, Rapporto precontrattuale, cit., p. 962; G. ALPA, Appunti, cit., p.
536; ID. Responsabilità precontrattuale (diritto comparato e straniero), in Enc. giur.
Treccani, Roma, XXVI, 1991, p. 1. Per un’analisi comparatistica della responsabilità
precontrattuale si rimanda a J. SCHMIDT SZALEWSKI, La sanction de la faute précontractuelle in Rev. trim. dr. civ., 1974, p. 46; ID., La période précontractuelle en droit francais, in Rev. int. droit. comparé, 1990, p. 545; E.H. HONDIUS, Precontractual Liability,
Deventer, 1991, p. 1, con recensione di R. DELFINO, La responsabilità precontrattuale.
Aspetti comparatistici, in Riv. dir. comm., 1992, p. 495; G. PIGNATARO, Buona fede oggettiva e rapporto giuridico precontrattuale: gli ordinamenti italiano e francese, Napoli,
1999, p. 1; H. COLLINS, The Law of contract, London, 2003, p. 179; D’AMICO, La responsabilità precontrattuale, in V. ROPPO (diretto da), Trattato del contratto, vol. V, Rimedi 2, Milano, 2006, p. 986. Più di recente si vedano F. FORTINGUERRA, Il rapporto
precontrattuale e il dovere di correttezza nell’esperienza europea, in A. DE MAURO, F.
FORTINGUERRA, S. TOMMASI, La responsabilità precontrattuale, cit., p. 2; L. DI DONNA,
94
CAPITOLO TERZO
mente avvertita, specie a livello europeo6, visto che se ne fanno interpreti sia i Principi di diritto europeo dei contratti, sia i Principi Unidroit7
e, più di recente, il Draft Common Frame of Reference8. Ivi, nel Libro
Obblighi informativi, cit., p. 14; N. SAPONE, La responsabilità precontrattuale, cit., p. 3;
L.M. FRANCIOSI, Trattative e due diligence tra culpa in contrahendo e contratto, Milano,
2009, p. 205.
6
Si veda uno dei volumi del Common core of European private law. Il riferimento
è a J. CARTWRIGHT, M. HESSELINK (a cura di), Precontractual Liability in European Private Law, Oxford, 2009, spec., p. 12.
7
C. CASTRONOVO, Principi di diritto europeo dei contratti, Parte I e II, Prefazione
all’edizione italiana, Milano, 2001, p. XIII; V. RICCIUTO, La responsabilità precontrattuale, cit., p. 134; M. BARCELLONA, La buona fede e il controllo giudiziale del contratto,
in S. MAZZAMUTO (a cura di), Il contratto e le tutele, cit., p. 306, ove si analizzano i numerosi casi nei quali si rinvia alla buona fede e alla correttezza, attraverso previsioni che
potrebbero considerarsi sottospecie delle previsioni generali del codice civile italiano; C.
SCOGNANIGLIO, Regole di validità e di comportamento, cit., p. 619. Quanto ai Principi
Unidroit si vedano F. MARRELLA, Nuovi sviluppi dei principi Unidroit sui contratti
commerciali internazionali nell’arbitrato camera commercio internazionale, in Contr.
impr./Eur., 2002, p. 40; M.J. BONELL, Il diritto europeo dei contratti e gli sviluppi del
diritto contrattuale a livello internazionale, in Eur. dir. priv., 2007, p. 599. L’Autore afferma che la funzione di modello dei Principi Unidroit non è limitata ai progetti di riforma di sistemi di civil law. Basti pensare alla rilevanza che, con esplicito riferimento a tali
principi, le Corti australiane hanno ripetutamente accordato alla buona fede nel corso
delle trattative; ID., I principi Unidroit 2004: una nuova edizione dei principi Unidroit
dei contratti commerciali internazionali, in Dir. comm. internaz., 2004, p. 535.
8
Sul Draft Common Frame of Reference si rimanda a C. VON BAR, E. CLIVE, H.
SCHULTE-NÖLKE, H. BEALE, J. HERRE, J. HUET, M. STORME, S. SWANN, P. VARUL, A.
VENEZIANO, F. ZOLL, Principles, Definitions and Model Rules, cit., 2009, passim; G.
ALPA, G. IUDICA, U. PERFETTI, P. ZATTI (a cura di), Il Draft, cit., passim; A. DI MAJO, Le
tutele, cit., p. 32; A. GUARNIERI, Linguaggio, cit., p. 61; G. HOWELLS e R. SCHULZE,
Modernising and Harmonising Consumer Contract Law, Munich, 2009, con recensione
di S. PATTI, in Riv. dir. civ., 2010, p. 758; M. LEHMANN, Die Zukunft der culpa in contrahendo im Europäischen Privatrecht, in Zeitschrift Eur. Priv., 2009, p. 704; V. ROPPO,
Prospettive del diritto contrattuale europeo. Dal contratto del consumatore al contratto
asimmetrico?, in Corr. giur., 2009, p. 277; B. PASA, The DCFR, the ACQP and the Reactions of Italian Legal Scholars, in European Review of Private Law, 2010, p. 227; L.J.
MANCE, The Common Frame of Reference, in Zeitschrift Eur. Priv., 2010, p. 457; M.
STÜRNER, Il diritto all’esatto adempimento ed i suoi limiti nel diritto privato europeo, in
Persona e mercato, 2010, p. 261; S. TOMMASI, Neue Entwicklungen zum Thema culpa in
contrahendo, cit., p. 291; S. VOGENAUER, Common Frame of Reference and UNIDROIT
Principles of International Commercial Contracts: Coexistence, Competition, or Overkill
of Soft Law?, in European Review of Contract Law, 2010, p. 143; V. MAZZAMUTO, La
nuova direttiva, cit., p. 861; ID., Il contratto di diritto europeo, cit., p. 9; L. ANTONIOLLI,
F. FIORENTINI, “Draft Common Frame of Reference, diritto privato europeo e metodologia del common core” in G. AJANI, A. GAMBARO, M. GRAZIADEI, R. SACCO, V. VIGORITI,
M. WAELBROECK (a cura di), Studi in onore di Aldo Frignani. Nuovi orizzonti del diritto
comparato, europeo e transnazionale, Napoli, 2011, p. 33; Per una lettura comparata di
Pecl e Dcfr, cfr. G. ALPA, Note sul danno contrattuale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2011,
p. 365; AA.VV., Trenta giuristi europei, cit., passim; C. CASTONOVO, L’utopia della codificazione europea e l’oscura Realpolitik di Bruxelles, in Eur. dir. priv., 2011, p. 837.
RILIEVO DELL’INTERESSE ALLE MODALITÀ DELLA CONDOTTA EX ART. 1337 C.C.
95
II, si ha un dettagliato capitolo, intitolato «Marketing and pre-contractual
duties», considerato un’importante novità che potrebbe rappresentare la
prima cellula di una responsabilità precontrattuale europea9.
2. Il dibattito sull’opportunità di disciplinare il comportamento delle
parti durante le trattative
Il codice italiano del 1865 non conteneva disposizioni specifiche
dirette a disciplinare il comportamento delle parti durante le trattative10 e
si evidenziava, per lo più, la non vincolatività delle stesse e l’impossibilità di considerarle fonte di responsabilità11.
Quando, invece, in ipotesi specifiche, si palesava l’opportunità di
configurare una responsabilità precontrattuale, si riteneva che la relativa disciplina potesse essere offerta dall’art. 115112, la cui ampia formulazione permetteva di comprendere anche i casi di illecito precontrattuale13.
Segnali di cambiamento si colgono nei contributi della dottrina
sensibile all’insegnamento di Jhering, il quale, per primo, ha manifeNon potendo ripercorrere il ricco dibattito precedente sul punto si rimanda a S. GRUNDMANN, The Structure of the DCFR – Which Approach for Today’s Contract Law?, in
European Review of Contract Law, 2008, p. 225.
9
M. LEHMANN, Die Zukunft, cit., p. 704; C. CASTRONOVO, Vaga culpa in contrahendo: invalidità e responsabilità e la ricerca della chance perduta in Eur. dir. priv.,
2010, p. 24; C. SCOGNANIGLIO, Regole di validità e di comportamento, cit., p. 619; S.
TOMMASI, Neue Entwicklungen zum Thema culpa in contrahendo, cit., p. 296.
10
A. NATTINI, Cenni critici, cit., p. 235; G. FAGGELLA, I periodi precontrattuali,
cit., p. 36; ID., Dei periodi precontrattuali cit., p. 269; A. TRABUCCHI, Il dolo nella teoria
dei vizi del volere, Padova, 1937, p. 107-108. Indicazioni interessanti si possono trarre
anche dalla Relazione del Guardasigilli al progetto preliminare del libro delle obbligazioni, n. 163 ove si legge che ‹‹nuovo è pure l’art. 189 che impone alle parti, nelle trattative e nella formazione del contratto, l’obbligo di un comportamento di buona fede. Questo obbligo difficilmente si ricava dal diritto vigente, nonostante che il principio di buona
fede dominasse l’esecuzione dei contratti. Affermarlo esplicitamente è coerente alla concezione di un sano ordinamento giuridico (…) il quale dalla ricordata socialità ed eticità
dei suoi principi trae il bisogno di un minimo di lealtà e di onestà anche nel libero giuoco
degli interessi dei privati››.
11
G. CARRARA, La formazione dei contratti, cit., p. 2.
12
È evidente l’influenza del modello francese ove si preferiva prendere in considerazione alcune ipotesi specifiche, piuttosto che tentare la definizione di una regola generale per la preoccupazione che, attraverso la responsabilità precontrattuale, si potessero
inserire, all’interno del sistema, delle aporie tendenti a ridimensionare il ruolo della libera volontà dei contraenti. In questi termini A.M. MUSY, Responsabilità precontrattuale,
cit., p. 393.
13
G. FAGGELLA, Dei periodi precontrattuali, cit., p. 269.
CAPITOLO TERZO
96
stato tutto il suo disagio di fronte a soluzioni che non riconoscevano
alcuna responsabilità per i danni causati in occasione di un progetto di
rapporto contrattuale, vale a dire per culpa in contrahendo14.
Si evidenziava, per esempio, che ‹‹nonostante si possa obiettare
che il periodo della formazione è altro da quello dell’adempimento
(…) è corretto presumere che le parti vogliano in quello la diligenza
che richieggono per questo secondo stadio››15. Si cominciava ad avvertire, dunque, la necessità di estendere i doveri di correttezza, previsti per l’esecuzione del contratto, alla fase della sua formazione16.
Un ruolo importante, nel dibattito sulla responsabilità precontrattuale, ebbe il confronto con l’art. 36 del Codice di commercio e, in
particolare, la previsione in base alla quale ‹‹sino a che il contratto
non è perfetto, la proposta e l’accettazione sono rivocabili; ma sebbene la rivocazione impedisca la perfezione del contratto, tuttavia, se essa giunga a notizia dell’altra parte dopo che questa ne ha impresa
l’esecuzione, il rivocante è tenuto al risarcimento del danno»17. Segnatamente, si discuteva della possibilità di fare ricorso ad una interpretazione estensiva dell’art. 36 del Codice di commercio per ammettere
una responsabilità nel caso di recesso dalle trattative18.
14
R. JHERING, Culpa in contrahendo, cit., p. 2. Ivi, si propongono numerosi esempi
e tra questi, quello di una persona che vuole ordinare cento libbre di una merce, ma confonde il simbolo delle libbre con quello dei quintali; i cento quintali arrivano e chi ha fatto l’ordine li rifiuta. Supponendo che lo sbaglio possa essere dimostrato, l’Autore afferma che per il diritto romano il contratto è certamente nullo, ma nessuno si pone il problema di chi debba sopportare le spese di imballaggio e spedizione fatte inutilmente. La
parte che ha commesso l’errore non risponde in alcun modo nei confronti dell’altra delle
spese cagionatele per propria colpa? La risposta negativa è secondo Jhering frutto della
tendenza a chinare supinamente il capo al diritto romano che però in due casi − caratterizzati da presupposti di fatto paragonabili a quelli da lui evidenziati − riconosce
l’obbligo del risarcimento del danno. Il riferimento è alla vendita di una res extra commercium oppure di una eredità inesistente.
15
G.P. CHIRONI, La colpa nel diritto civile odierno. Colpa contrattuale, II, Torino,
1897, p. 18. Critico rispetto a tale ultima impostazione è L. COVIELLO, Della cosiddetta
culpa in contrahendo, in Filangieri, 1900, p. 733. Perplessità sono manifestate anche da
V. POLACCO, Le obbligazioni nel diritto civile italiano, Roma, 1915, p. 512, ove si afferma che il rischio di vedere di punto in bianco troncate le trattative è reciproco e il volerlo sempre compensato può tradursi in una remora alle iniziative commerciali.
16
Il clima culturale nel quale si manifestano i diversi orientamenti sul tema è richiamato nel contributo di G. MERUZZI, La trattativa maliziosa, Padova, 2002, p. 4; ID., La
responsabilità per rottura di trattative, in G. VISINTINI (diretto da), Trattato, I, cit., p. 775.
17
Sulle condizioni per aversi risarcimento del danno nel caso di revoca della proposta ai sensi dell’art. 36 del Codice di commercio cfr. C. VIVANTE, Trattato di diritto
commerciale, IV, Milano, 1923, p. 530.
18
V. POLACCO, Le obbligazioni, cit., p. 510.
RILIEVO DELL’INTERESSE ALLE MODALITÀ DELLA CONDOTTA EX ART. 1337 C.C.
97
La soluzione positiva si basava o sull’applicabilità, generalmente
ammessa, di tale articolo alla materia civile19 oppure sulla negazione
di una differenza qualitativa tra proposta e trattative, così che riconosciuto il risarcimento per la revoca della proposta, non appariva a
priori strana l’ammissione di una responsabilità per il recesso dalle
semplici trattative20.
In senso opposto, invece, si insisteva sul carattere eccezionale della norma contenuta nel Codice di commercio21 e si puntualizzavano le
differenze tra proposta e trattative22.
Nella direzione della ammissibilità della responsabilità precontrattuale cominciava a fare i primi passi anche la giurisprudenza. Larga
eco ebbe, per esempio, Cass., 6 febbraio 1925 23, soprattutto per lo
sforzo di chiarire la compatibilità tra autonomia privata, libertà nel
trattare e responsabilità precontrattuale24.
Il legislatore del 1942 introduce gli articoli 1337 c.c. e 1338 c.c.
ma, pur affrontando in maniera diretta il tema della responsabilità precontrattuale, non risolve i numerosi problemi che la delicata materia
presenta25. Piuttosto, proprio le riflessioni intorno alla portata innova19
Con riferimento alla portata di carattere generale dei criteri sanciti dal Codice di
commercio si veda L. BOLAFFIO e C. VIVANTE (a cura di), Codice di commercio commentato, II, Torino, 1923, p. 171.
20
Sulla identità di natura tra trattative e proposta si vedano G. FAGGELLA, I periodi
precontrattuali, cit., p. 36; ID., Dei periodi precontrattuale, cit., p. 310; A. NATTINI,
Cenni critici, cit., p. 237, avverte che Faggella, che pure si era fatto assertore di una differenza solo quantitativa tra proposta e trattative, non utilizzò l’argomento dell’applicabilità dell’art. 36 del Codice di commercio.
21
Cfr. E. ALBERTARIO, Della responsabilità precontrattuale in Dir. comm., 1910,
II, p. 50.
22
A. NATTINI, Cenni critici, cit., p. 237; Secondo L. COVIELLO, Della cosiddetta
culpa in contrahendo, cit., p. 727, potrebbe ravvisarsi nell’art. 36 del Codice di commercio una speciale applicazione della negotiorum gestio, in quanto chi inizia l’esecuzione
di un contratto propostogli lo fa, è vero, nel proprio interesse, ma crede pure d’agire utilmente secondo le indicazioni del proponente. Aggiunge l’Autore che, se non si accetta
tale spiegazione, non rimane che considerare l’art. 36 come norma di diritto singolare e
non suscettibile di applicazione analogica.
23
In Riv. dir. comm., 1925, II, p. 428. Di recente sul punto cfr. N. SAPONE, La responsabilità precontrattuale, cit., p. 11.
24
Quanto ai rapporti tra autonomia privata e trattative cfr. S. ROMANO, Autonomia
privata (Appunti), Milano, 1957, p. 39; M. BESSONE, Rapporto precontrattuale, cit.,
p. 971; G. STELLA RICHTER, La responsabilità precontrattuale, cit., p. 22; A. CATAUDELLA, I contratti, cit., p. 37. Più di recente cfr. L. DI DONNA, Obblighi informativi, cit., p. 171.
25
G. PERLINGIERI, Regole e comportamenti, cit., p. 53, ricorda che il legislatore
del 1942 ha introdotto ‹‹timidamente›› l’art. 1337 e che, probabilmente per ragioni
storico-politiche, si aveva, per lo più, un atteggiamento ostile verso la norma ‹‹al
98
CAPITOLO TERZO
tiva, o meno, delle norme introdotte, evidenziano già i termini del dibattito che si svilupperà intorno alle trattative26.
Da una parte, le nuove norme codicistiche sono considerate un inutile doppione dell’art. 2043 c.c.27; da altra parte si esalta il rinnovamento legato soprattutto alla previsione dell’art. 1337 c.c. Segnatamente, la novità è che il codice del 1942 non si limita ad imporre un
obbligo di risarcimento a carico della parte che colpevolmente abbia
causato l’invalidità del negozio28, ma dispone una regola generale volta a disciplinare l’attività dei soggetti durante la fase precedente la stipulazione del contratto29.
L’utilità dell’art. 1337 c.c. è, inoltre, individuata nel rendere certa
la regola della responsabilità per scorrettezze nelle trattative, estendendo a queste l’ambito di operatività della buona fede30 e dando ripunto che l’applicazione dell’istituto era limitata alle ipotesi nelle quali si riscontrava la violazione di diritti riconosciuti in base ad altre norme, ovvero in presenza di una
disposizione logico-formale che prevedeva e sanzionava la violazione di uno specifico
obbligo››.
26
Cfr. F. BENATTI, La responsabilità precontrattuale, cit., p. 122; C. TURCO,
L’interesse negativo nella culpa in contrahendo, cit., p. 101; G. PATTI e S. PATTI, Responsabilità precontrattuale e contratti standard, Milano, 1993, p. 100. I termini estremi
del dibattito che si è protratto fino ai nostri giorni sono rinvenibili già nell’antichità classica nelle opinioni di Cicerone e San Tommaso. Sul punto P. GALLO, Buona fede oggettiva e trasformazioni del contratto, cit., p. 243.
27
Nel senso della natura aquiliana della responsabilità precontrattuale si vedano A.
LA TORRE, Diritto civile, cit., p. 78; F. PROSPERI, Violazione, cit., p. 972; R. SACCO, Il
contratto, II, cit., p. 260. Secondo l’Autore l’art. 1337 c.c. serve solo ad interpretare l’art.
2043 al fine di rendere incontestabile che il danno arrecato con la slealtà precontrattuale
è ‹‹ingiusto››, p. 78; C.M. BIANCA, Diritto civile, cit., p. 157; P. GALLO, Responsabilità
precontrattuale: la fattispecie, cit., p. 295; C. CARRERI, In tema di responsabilità precontrattuale, cit., p. 465. Sulla natura non contrattuale della responsabilità precontrattuale si veda C. giust. CEE 17.9.2002-proc. C-334/00 in Resp. civ. prev., 2004, p. 399. Le
premesse dalle quali parte la Corte di Giustizia sono criticate da G. D’AMICO, La responsabilità precontrattuale, cit., p. 1110.
28
Lettura fino ad allora avvalorata anche dalla circostanza che in vigenza del vecchio codice civile era più facile che si riconoscesse una responsabilità per culpa in contrahendo nel caso di conclusione di un contratto invalido, piuttosto che nella sua formazione. Il dato è evidenziato da L. COVIELLO, Della cosiddetta culpa in contrahendo, cit.,
spec. p. 726.
29
G. VETTORI, Anomalie e tutele, cit., p. 104.
30
F. BENATTI, Responsabilità precontrattuale, cit., p. 2 e p. 8; G. STOLFI, Il principio di buona fede, in Riv. dir. comm., 1964, I, p. 164, ove si segnalano le difficoltà degli
interpreti a comprendere immediatamente il significato del nuovo art. 1337 c.c., tanto
che continuavano ad accogliere tesi affermatesi in vigenza delle leggi precedenti ed a
ritenere che nulla fosse cambiato. Sul punto cfr. S. RODOTÀ, Ideologie e tecniche della
riforma del diritto civile, in Riv. dir. comm., 1967, I, p. 83; ID., Le fonti di integrazione
del contratto, Milano, 1969, p. 125 e p. 184.
RILIEVO DELL’INTERESSE ALLE MODALITÀ DELLA CONDOTTA EX ART. 1337 C.C.
99
sposta, secondo parte della dottrina, al problema della natura della responsabilità precontrattuale31. Si tratta di una questione ancora attuale
e molto discussa, basti pensare ai significativi risvolti che possono
aversi in relazione ai conflitti di legge e di competenza giurisdizionale
negli Stati membri dell’Unione Europea32.
31
Quando una norma giuridica assoggetta lo svolgimento di una relazione
all’imperativo della buona fede, ciò è un indice sicuro che questa relazione sociale si è
trasformata, sul piano giuridico, in un rapporto obbligatorio la cui violazione comporta il
sorgere della responsabilità contrattuale, così L. MENGONI, Sulla natura della responsabilità precontrattuale, cit., p. 360. In direzione analoga cfr. C. CASTRONOVO, La nuova
responsabilità civile, cit., p. 469; ID., La relazione come categoria, cit., p. 56; C. SCOGNAMIGLIO, Regole di validità, cit., p. 633; G. VETTORI, Diritto privato, cit., p. 163.
Quando un fatto o un atto è qualificabile come momento di una trattativa si è in presenza
di obblighi “non connessi ad obbligazioni già sorte” così che può dirsi che “l’art. 1337 è
in un certo senso una norma sulle fonti delle obbligazioni”. In questi termini C.A. CANNADA, Le obbligazioni in generale, in P. RESCIGNO (diretto da), Tratt. dir. priv., I, Obbligazioni e contratti, IX, Torino, 1984, 46. Nel senso della natura contrattuale della responsabilità precontrattuale sono G. STOLFI, In tema di responsabilità precontrattuale in
Foro it., 1954, c. 1108; F. BENATTI, La responsabilità precontrattuale, cit., p. 122; C.
MAIORCA, Colpa civile (teoria generale), in Enc. dir., Milano, 1960, VII, p. 545; F. MESSINEO, Contratto (diritto privato), in Enc. dir., Milano, 1961, IX, p. 892; F. CARUSI,
Correttezza, cit., 712; A. CATAUDELLA, I contratti, cit., p. 35; G. AFFERNI, Il quantum
del danno, cit., p. 8; A. MAZZONI, Lettere di patronage, mandato di credito e promessa
del fatto del terzo, in Banca, borsa tit. cred., 1984, II, p. 333; ID., Le lettere di patronage,
cit., p. 103; A. CETRA, L’emissione di una lettera di patronage da parte della regione, in
Banca, borsa tit. cred., 2002, IV, p. 473; C. TURCO, L’interesse negativo nella culpa in
contrahendo, cit., p. 179. Sulla natura autonoma e atipica della responsabilità precontrattuale si veda A. RAVAZZONI, La formazione del contratto, II, cit., p. 54. Nel senso della
sempre maggiore labilità del confine tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale,
si rimanda a F. GIARDINA, Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale. Significato
attuale di una distinzione tradizionale, Milano, 1993, passim; ID., Responsabilità aquiliana e da inadempimento: un tema che non ha solo il fascino della tradizione, in Danno
resp., 1997, p. 542; ID., La distinzione tra responsabilità contrattuale e responsabilità
extracontrattuale, in G. VISINTINI, Trattato, I, cit., p. 73.
32
Il punto non può essere oggetto di approfondimento in questa sede. Preme però
rinviare al famoso caso Tacconi − C. giust. CE, 17 settembre 2002, causa C-334/00 Fonderie Officine Meccaniche Tacconi SpA c. Heinrich Wagner Sinto Maschinenfabrik
GmbH (HWS) − e alle previsioni del Regolamento n. 593/2008 CE (Roma I) e del Regolamento n. 864/2007 CE (Roma II). Sul punto cfr. P. FRANZINA, La responsabilità precontrattuale nello spazio giudiziario europeo in R. d. int., 2003, p. 174; P. BERTOLI, Criteri di giurisdizione e legge applicabile in tema di responsabilità precontrattuale alla
luce della sentenza Fonderie Meccaniche Tacconi, in R. d. int. priv. proc., 2003, p. 117;
G. AFFERNI, On the Characterisation of Pre-Contractual Liability, in European Review
of Contract Law, 2005, p. 96; E. D’ALESSANDRO, La culpa in contrahendo nella prospettiva del Regolamento CE n. 44 del 2001 e del Regolamento CE n. 864 del 2007 (Roma
II). Rapporti con la tecnica processuale degli ‹‹elementi a doppia rilevanza›› in Riv. dir.
civ., 2009, p. 279; S. TOMMASI, Neue Entwicklungen zum Thema culpa in contrahendo,
cit., p. 296; G. PASSARELLI, La legge applicabile ai contratti internazionali conclusi dai
consumatori alla luce del Regolamento Roma I, in Rass. dir. civ., 2011, p. 1147.
CAPITOLO TERZO
100
3. I confini delle trattative
Si è detto dell’opportunità di un’impostazione che, attraverso
un’inversione metodologica, sia attenta alla dinamica delle condotte
ancor prima che si giunga alla dimensione statica dell’atto.
Con riferimento ai problemi tradizionalmente affrontati riguardo
l’art. 1337 c.c., l’adozione di un’impostazione siffatta incide sulla nozione di trattativa e sul novero delle situazioni ad essa riconducibili.
Si accede, infatti, ad una concezione ampia di trattativa che non si
riferisce soltanto ai contatti che sfociano in proposte, controproposte o
altri atti del procedimento di formazione del contratto33. Tali atti attengono, in senso tecnico, ad uno stadio ulteriore ed autonomo che già
presuppone una certa definizione dell’assetto di interessi delle parti.
La trattativa può, invece, sostanziarsi in attività o comportamenti idonei ad indurre un soggetto ad assumere una decisione di natura commerciale, influenzandone le valutazione in vista di un successivo accordo34.
In questo modo, si pongono, certamente, ulteriori problemi, come
quelli del rapporto e del raccordo tra la normativa generale dell’art.
1337 c.c. e discipline specifiche di particolari settori35, ma si evita di
svuotare la nozione di trattativa, privandola di autonoma rilevanza e
relegandola a momento, ormai per lo più inusuale, del procedimento
di formazione di uno specifico contratto.
33
Sulla critica all’impostazione che considera le trattative come una fase del procedimento di formazione del contratto, nel senso che il rilievo giuridico delle stesse non
possa essere oggetto di indagine se avulso da tale procedimento, si veda pf. IV, Cap. II.
Quanto ai problemi relativi alla riconducibilità della trattativa prodromica ed esplorativa
all’ambito di applicazione dell’art. 1337 c.c. cfr. Cass., 2 novembre 2010, n. 22269, in
Banche dati DeJure/Giuffrè.
34
Secondo R. SACCO, Il contratto, II, cit., p. 248, l’art. 1337 c.c. riguarda qualsiasi
condotta dell’agente volta ad incidere sul consenso contrattuale del proprio interlocutore,
o su una condotta rilevante ai fini della conclusione del contratto, o su una rappresentazione con la quale ci si prefigura la conclusione di un contratto. ‹‹Trattativa›› deve intendersi nel senso più lato, l’attività collegata con un futuro contratto o con un affidamento
precontrattuale. V. CUFFARO, Responsabilità precontrattuale, cit., p. 1268, afferma che
possono considerarsi idonei ad integrare una trattativa anche quei comportamenti che
sollecitano alla conclusione di un accordo mediante la pubblicità di un prodotto,
l’emanazione di un bando di concorso, la trasmissione di una lettera di patronage. In direzione analoga cfr. F. CAFAGGI, Pubblicità commerciale, cit., p. 433-500; V. FRANCESCHELLI, Pubblicità ingannevole e culpa in contrahendo, in Riv. dir. civ., 1983, p. 268.
Da ultimo, si veda A. CUCCURU, Sull’obbligo delle parti di comportarsi secondo buona
fede durante le trattative, in www.altalex.com
35
Sul punto e sulla possibilità di un cumulo tra il rimedio ex 1337 c.c. e quelli previsti da alcune discipline a tutela del consumatore cfr. G. PERLINGIERI, Regole e comportamenti, cit., p. 43.
RILIEVO DELL’INTERESSE ALLE MODALITÀ DELLA CONDOTTA EX ART. 1337 C.C.
101
D’altronde, parte della dottrina classica aveva sottolineato le differenza tra le trattative e gli atti pre-negoziali e sembrano ormai maturi i tempi per valorizzare tali esiti.
Le trattative sono un ‹‹lavorio preparatorio›› rispetto agli stessi
atti prenegoziali dai quali rimangono nettamente distinte36. Se la proposta, insieme all’accettazione, tende direttamente a formare il contratto, le trattative si collocano in uno stadio preliminare alla stessa
emersione delle dichiarazioni prenegoziali. Alla fine di una discussione o di un contatto funzionale a maturare le proprie scelte, perché si
arrivi ad un contratto è necessario che una delle parti ‹‹raccolga le fila
delle trattative svoltesi, ne presenti all’altra parte, in forma concreta, il
contenuto maturato nelle discussioni›› e formuli una proposta37. Affinché il contratto si concluda, infatti, sono necessarie determinazioni
volitive ulteriori rispetto a quelle manifestate nel corso delle trattative,
dovendoci essere una proposta e una accettazione.
Il contenuto della volontà del proponente è diverso da quello di
colui che tratta, solo il primo vuole assumere l’impegno di vincolarsi
nel caso che l’altra parte accetti38. Tale diversità spiega anche perché
la proposta, per essere tale, deve essere completa, al contrario delle
trattative, ove si espongono idee, punti di vista, si presentano clausole,
si indicano soluzioni e si cercano informazioni e dati necessari per le
proprie decisioni39.
Nella proposta è già cristallizzato il modo nel quale il proponente
ritiene che il proprio interesse possa essere soddisfatto40. L’accetta36
G. CARRARA, La formazione dei contratti, cit., p. 2.
In questi termini G. CARRARA, op. loc. ult. cit. L′Autore ribadisce che, evidentemente, non è vero il contrario, nel senso che si può avere una proposta non preceduta da
trattative. Può verificarsi, inoltre, che il lavorio preparatorio nel quale si sostanziano le
trattative, segua ad una proposta, nei casi nei quali il destinatario di quest’ultima, invece
di modificarla o sottoporla all’altro come controproposta, preferisca addivenire ad una
discussione, allo scopo di chiarire dubbi, avere spiegazioni e ottenere, a mezzo di scambi
e di concessioni reciproche, un miglioramento delle condizioni contenute nella proposta.
38
G. CARRARA, La formazione dei contratti, cit., p. 6.
39
Per un’attenta analisi delle differenze tra la proposta e le trattative si rimanda a A.
NATTINI, Cenni critici, cit., p. 238 e p. 243, che, nel criticare il pensiero di Faggella, specifica che le diversità tra proposta e trattative possono sintetizzarsi nelle seguenti: a) la
proposta è un elemento della formazione del rapporto contrattuale. Le trattative non lo
sono mai; b) la proposta ha un effetto giuridico specifico proprio: il rendere cioè possibile il sorgere di un contratto; c) la proposta è un negozio giuridico. Le trattative non lo
sono.
40
Sulla proposta come formulazione implicita di un giudizio di convenienza si veda
A. RAVAZZONI, La formazione del contratto, II, cit., p. 54. L’Autore afferma, p. 55, che
37
102
CAPITOLO TERZO
zione, d’altronde, deve essere conforme alla proposta, valendo altrimenti come controproposta, proprio perché le variazioni apportate rimettono in discussione le valutazioni di opportunità fatte dal proponente. Il destinatario della proposta può fare legittimamente affidamento sulla circostanza che quanto ivi previsto risponda all’interesse del proponente e che, pertanto, il contratto si concluderà alle
condizioni stabilite, salvo un giustificato motivo oggettivamente valutabile41.
Nel caso delle trattative, invece, non c’è ancora un interesse oggettivo sulla realizzabilità del quale è possibile fare affidamento, essendo le stesse il luogo nel quale tale interesse potrà maturare42; ciò
nondimeno, è necessario che le parti si comportino correttamente.
È in buona fede, per esempio, chi comincia una trattativa anche se
non sa se all’esito della stessa sarà interessato a concludere un contratto. Non può dirsi altrettanto per chi abbia formulato una proposta,
giacché costui si comporterà correttamente solo se propone ciò che già
valuta conforme al suo interesse.
L’ampliamento del novero di situazioni che possono integrare la
trattativa ha come conseguenza che è rafforzato ed esteso l’ambito di
operatività della buona fede43, deputata a governare anche comportamenti che si esplicano in attività meramente valutative dell’opportunità di vincolarsi44.
la proposta è strutturata come manifestazione di volontà, mentre le trattative importano
solo partecipazione di conoscenza o di giudizio e che ‹‹venendo meno la rilevanza della
proposta come manifestazione di volontà può residuare la sua rilevanza come implicito
atto di partecipazione di giudizio››.
41
F. SANTORO-PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1973, p.
209, ritiene che gli atti prenegoziali esprimano una volontà ancora in movimento, diretta
a produrre un effetto provvisorio che si esaurisce nella predisposizione del negozio. Si
spiega, in questo modo, la differente natura e il diverso trattamento dell’atto prenegoziale
rispetto agli elementi dell’atto già formato; Sul punto cfr. G. BENEDETTI, Dal contratto
al negozio unilaterale, cit., p. 51. Diversa la prospettiva di R. SCOGNAMIGLIO, Dei contratti in generale, (Art. 1321- 1352), in Comm. del cod. civ., Scialoja e Branca, BolognaRoma, 1970 p. 88.
42
Sul punto si veda pf. IV, Cap. II.
43
G. GRISI, L’obbligo precontrattuale, cit., p. 56.
44
G. VETTORI, Le asimmetrie informative, cit., p. 252, ritiene che la buona fede assuma un ruolo significativo per coordinare la disciplina dell’atto e del comportamento e
facilitare la ricezione di nuovi obbligli e modalità di condotta. Solo intervenendo, continua l’Autore, sull’atto e sull’attività è possibile fornire una disciplina efficiente. Propende per l’estensione del concetto di buona fede e correttezza precontrattuale A.M. MUSY,
Responsabilità precontrattuale, cit., p. 420. Ivi si afferma che sarebbe necessario uno
sguardo d’insieme che non si limiti solo alla culpa in contrahendo, ma abbracci tutta la
RILIEVO DELL’INTERESSE ALLE MODALITÀ DELLA CONDOTTA EX ART. 1337 C.C.
103
Il momento della scelta e della concreta possibilità di intendere45
a pieno se l’eventuale contrattazione soddisfi i propri interessi diventa
elemento centrale al quale la valorizzazione dell’art. 1337 c.c. è in
grado di dare il giusto peso.
Le possibili scorrettezze che vengono in rilievo non necessariamente devono sostanziarsi nel fatto di non volere, o non potere, giungere alla conclusione di un contratto. Si pone, infatti, anche un problema di correttezza nell’orientamento selettivo di chi entra in contatto con una condotta informativa a lui diretta. Emergono, dunque, esigenze di tutela analoghe a quelle evidenziate in tema di pratiche
commerciali, con le sole differenze relative alla diversa dimensione
regolata.
4. Responsabilità precontrattuale ed esiti del procedimento di formazione del contratto
Ulteriori implicazioni della prospettiva proposta riguardano i limiti entro i quali si è soliti ammettere il sorgere della responsabilità precontrattuale.
Le soluzioni intorno a questa annosa questione sono sovente legate ad un troppo stretto legame tra le trattative e gli esiti del procedimento
di formazione del contratto. Segnatamente, si è distinto a seconda che tale
procedimento non si sia concluso o sia terminato con la stipulazione di un
contratto, con soluzioni diverse qualora quest’ultimo risulti valido o invalido.
Si legge spesso, specie nelle pronunce della giurisprudenza, che la
mancata conclusione del contratto è elemento necessario perché si
possa configurare la responsabilità precontrattuale46.
dinamica contrattuale, per rendersi conto di come si potrebbe sviluppare in prospettiva la
regola dell’art. 1337 c.c.
45
Sulla distinzione tra capacità di intendere e capacità di volere si veda a A. GENTILI,
Codice del consumo, cit., p. 171. Secondo l’Autore il particolare rilievo della capacità
d’intendere è funzionale ad ampliare la prospettiva dei tradizionali vizi del volere a quelle anomalie che nascono da indebiti condizionamenti e specifiche debolezze. Sul punto
cfr. M.V. HESSELINK, Capacity and Capability in European Contract Law, in Europ.
rev. of. priv. law, 2005, p. 491.
46
Si vedano Cass., 16 aprile 1994, n. 3261, in Corr. giur., 1994, p. 986, con nota di
P. VITTORIA, Licitazione privata e responsabilità precontrattuale; Cass., 30 dicembre
1997, n. 13131, in Giur. it., 1998, p. 16444; Cass., 18 giugno 2004, n. 11438; Cass. 7 febbraio 2006, n. 2525, in Banche dati DeJure/Giuffrè. In argomento cfr. A. PALMIERI, La responsabilità precontrattuale nella giurisprudenza, cit., p. 2; D. CARUSI, Relazioni precontrattuale
104
CAPITOLO TERZO
Il dato si spiega in ragione di una eccessiva enfatizzazione del ruolo
del recesso ingiustificato dalle trattative, quasi fosse ipotesi esaustiva di
responsabilità47. È evidente, infatti, che se la responsabilità precontrattuale si configura soltanto in tale ipotesi non ha senso porsi il problema della
sua ammissibilità qualora sia concluso un valido contratto. Perfezione
del contratto e recesso si escludono, infatti, reciprocamente48.
Così, si trascura, però, l’attenzione al quomodo delle condotte.
Ci si preoccupa, infatti, solo del se si giunga, o meno, alla conclusione del contratto, e non del controllo sulle modalità del comportamento
che non ha portato a quella conclusione. Eppure, parte della dottrina, ha
segnalato, in modo significativo, che si può parlare di responsabilità per
recesso a patto di precisare che è una formula riassuntiva. L’attenzione non deve essere rivolta all’atto che esaurisce la trattativa − e
cioè al recesso − ma alla serie delle circostanze alle quali esso consegue, per valutare se rivelano un comportamento da sanzionare in
quanto contrario al dovere di buona fede49. Come è stato opportunamente sottolineato, «la questione sarebbe meglio espressa dicendo,
non che il recedente risponde quando il suo recesso sia senza giusta
causa, ma piuttosto che risponde la parte cui sia imputabile il fallimento della trattativa, indipendentemente da quale parte abbia poi preso
l’iniziativa del recesso»50.
La possibilità di giustificare il recesso non costituisce un valido
ed oggettivo indice di controllo del comportamento tenuto dalle parti
in sede precontrattuale. Può verificarsi che, pure in presenza di un giue teoria dei giochi, in Quadr. 1991, p. 810; ID., Note in tema di danni precontrattuale, in Foro it., 1991, I, c. 183; G. STOLFI, Il principio di buona fede, cit., p. 168.
47
L’attribuzione al recesso di un rilievo centrale non può stupire, in quanto ha rappresentato da sempre il privilegiato ambito di applicazione dell’art. 1337 c.c. Su questi
aspetti si rimanda a G. PERLINGIERI, Regole e comportamenti, cit., p. 56. Critici rispetto a
quanti confinano l′ambito di applicazione dell′art. 1337 c.c. alle ipotesi di recesso ingiustificato dalle trattative sono, di recente, C. CARNICELLI, Risarcimento, cit., p. 293; T.
FEBBRAJO, La «nuova» responsabilità, cit., p. 196; F. ROMEO, Dovere di informazione,
cit., p. 223.
48
Cfr. R. SACCO, Il contratto, II, cit., p. 248.
49
M. BESSONE, Rapporto precontrattuale, cit., p. 998. Sul punto cfr. F. ALCARO, Il
recesso dal contratto, in F. ALCARO, L. BANDINELLI, M. PALAZZO, Effetti del contratto,
Napoli, 2011, p. 133; G. AFFERNI, Il quantum del danno, cit., p. 27; G. RACCA, La responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione tra autonomia e correttezza, Napoli, 2000, p. 15. Quanto all’opportunità di un sindacato su modalità e circostanze
del recesso si veda Cass. 14 luglio 2000, n. 9321 in Corr. giur., 2000, p. 1479, con commento di A. DI MAJO, La buona fede correttiva di regole contrattuali, ivi, p. 1486.
50
G. AFFERNI, Il quantum del danno, cit., p. 32.
RILIEVO DELL’INTERESSE ALLE MODALITÀ DELLA CONDOTTA EX ART. 1337 C.C.
105
sto motivo, la parte si comporti scorrettamente, non comunicando la
sua intenzione di recedere dalle trattative51. In casi di tal genere, non si
può escludere la configurabilità di una condotta contraria ai canoni
della buona fede, con conseguente responsabilità52. Il criterio di selezione degli interessi riassunto nella formula della giusta causa del recesso, può essere scarsamente operativo, finendo per risolversi in un
tentativo di ispezionare i motivi della rottura delle trattative53.
Il carattere giustificato, o meno, del recesso è interessante, invece,
ad altri fini. Consente, infatti, di valorizzare l’idea della possibile riconducibilità delle trattative ad una situazione nella quale emerge
l’interesse legittimo di una parte nei confronti dell’altra. La dottrina ha
chiarito che è possibile caratterizzare il giustificato motivo rispetto alla giusta causa, nonostante a volte i due termini siano utilizzati come
sinonimi54. Segnatamente, la giusta causa denota l’assenza di un interesse altrui giuridicamente rilevante in grado da fungere da limite esterno rispetto al comportamento del soggetto agente; il giustificato
motivo invece: «presuppone la presenza di un simile interesse e dunque di un limite che, non consentendo al titolare del “potere” di non
tenere conto di tale interesse, dovrebbe assegnare all’esercizio del
“potere” l’inconfondibile connotato della discrezionalità; all’interesse,
la veste dell’interesse legittimo»55. Il rilievo del motivo legittimo,
dunque, è spia dell’esistenza di un interesse altrui che funge da limite
ad un potere, cioè di un interesse legittimo. Il fatto che nelle trattative
tale rilievo sia più volte riscontrabile, oltre che importante ai fini pra51
M. BESSONE, Rapporto precontrattuale, cit., p. 1021. L’Autore ritiene necessario,
ai fini del configurarsi di una responsabilità precontrattuale, un controllo delle vicende
relative alle trattative e un’analisi delle circostanze del caso singolo attenta alla dinamica
dei diversi settori di mercato e alle normali conseguenze del rischio assunto. Segnatamente, ‹‹una volta evitati gli inconvenienti indissociabili da una indagine sui motivi del
recesso, il ricorso al modello dell’operatore serio e leale cessa di costituire una operazione pericolosamente immaginosa e si concreta nell’impiego di un sistema di indici di apprezzamento tanto articolati quanto sono diversi i processi di contrattazione (e i tipi di
affare) prospettati dall’esperienza. E, in questo modo, le enunciazioni di principio intese
a privilegiare criteri di decisione rigorosamente oggettivi concorrono a predisporre gli
strumenti necessari per tradurre la clausola generale di buona fede in un razionale congegno di amministrazione del rapporto precontrattuale››.
52
F. BENATTI, La responsabilità precontrattuale, cit., p. 56.
53
M. BESSONE, op. loc. ult. cit. In senso critico alla ricerca di stati psicologici o aspetti soggettivi e in favore della necessità di tenere conto di comportamenti oggettivi, si
veda Cass., 17 novembre 1997, n. 11394, in Banche dati Foro it.
54
Il riferimento è, in particolare, a L. BIGLIAZZI-GERI, Interesse legittimo: diritto
privato, in Dig. civ., Torino, IX, 1933, p. 550.
55
L. BIGLIAZZI-GERI, op. loc. ult. cit.
CAPITOLO TERZO
106
tici ed applicativi, può essere una conferma del configurarsi nel corso
delle stesse di situazioni di interesse legittimo.
Fatte queste considerazioni in relazione al rapporto tra recesso e
responsabilità precontrattuale, preme soffermarsi sulla circostanza che
l’attenzione all’oggettivo svolgersi delle condotte ha un ruolo centrale
anche nell’analisi di ipotesi diverse dal recesso. Segnatamente, con riferimento all’esistenza di cause di invalidità del contratto, possono verificarsi diverse circostanza. Nulla quaestio se la parte che conosce, o
deve conoscere, tali cause le comunica all’altra.
I problemi sorgono in due diversi casi: qualora il procedimento di
formazione del contratto non si concluda perché il contraente scopre la
condotta scorretta del suo interlocutore; allorché il procedimento termini con la stipula di un contratto invalido56.
In siffatte ipotesi, il discorso è complicato dalla previsione dell’art. 1338 c.c. e dal rapporto con l’art. 1337 c.c. Parte della dottrina
evidenzia le profonde differenze tra le due norme e, prima di tutto, la
circostanza che l’art. 1337 c.c. richiama la buona fede in senso oggettivo, mentre non può dirsi ugualmente dell’art. 1338 c.c. che è disposizione sulla buona fede soggettiva57.
Altra parte della dottrina si interroga sulla specificità dell’art. 1338
c.c., individuata ora nel presupposto che un contratto sia stato concluso58,
56
Cfr. D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. Cicu e Messineo, Milano, 1962, p.
34. Ivi si veda anche per l’analisi della Relazione del Guardasigilli (n. 612), in base alla
quale il dovere di correttezza «riferito alla fase precontrattuale sbocca in una responsabilità in contrahendo quando una parte conosce e non rileva l’esistenza di una causa di invalidità del contratto». Il configurarsi di una responsabilità precontrattuale solo nel caso di mancata comunicazione di cause di invalidità del contratto è apparso troppo restrittivo anche perché non comprenderebbe i casi di inefficacia ed inesistenza del contratto. Il problema si intreccia, a questo punto, con quello più complesso dei rapporti tra invalidità, inefficacia ed inesistenza. In questa sede, preme, però, solo osservare che pure l’esistenza di una causa di inefficacia del contratto è idonea ad influenzare la valutazione circa la convenienza del contratto.
Per una sintesi del dibattito relativo all’incidenza della distinzione tra invalidità, inefficacia e
inesistenza sul tema in oggetto si rimanda a A.M. MUSY, Responsabilità. precontrattuale, cit.,
p. 405; F. BENATTI, Culpa in contrahendo, in Contr. impr., 1987, p. 293. G. GRISI, L’obbligo
precontrattuale, cit., p. 196; R. SCOGNAMIGLIO, Dei contratti in generale, cit., p. 222, propende per l’estensione dell’applicazione dell’1338 c.c. alle ipotesi in questione anche
sulla base della considerazione che un obbligo di comunicare l’esistenza di una causa di
inefficacia è espressamente previsto nell’art. 1398 c.c. − che della norma in esame costituisce un’applicazione specifica. Quanto all’applicabilità dell’art. 1338 c.c. ai casi di inefficacia si veda A. CATAUDELLA, I contratti, cit., p. 39.
57
Così L. BIGLIAZZI-GERI, Buona fede nel diritto civile, cit., p. 178.
58
G. GRISI, L’obbligo precontrattuale, cit., p. 60 e p. 168. Di recente, sul punto, si
vedano G. FALCO, La buona fede e l’abuso del diritto. Principi, fattispecie e casistica,
RILIEVO DELL’INTERESSE ALLE MODALITÀ DELLA CONDOTTA EX ART. 1337 C.C.
107
ora nell’aver chiarito che l’unico dovere di informazione di carattere
generale − alla cui violazione può darsi rilevanza ai fini della responsabilità precontrattuale − è quello avente ad oggetto l’esistenza di
eventuali cause di invalidità del contratto59.
Gli articoli in questione vengono in rilievo, in questa sede, in
quanto valorizzano l’idea che l’attenzione deve incentrarsi sulle modalità della condotta. Se quest’ultima è da considerare scorretta, le violazioni, nelle quali si sostanzia, possono farsi valere sia che il contratto
si concluda, sia che non si addivenga alla sua stipulazione. Il rapporto
tra l’art. 1337 c.c. e 1338 c.c. riguarda, dunque, al più, la possibilità di
far valere la detta violazione ai sensi dell’una o dell’altra disposizione.
Milano, 2010, p. 135; N. SAPONE, La responsabilità precontrattuale, cit., p. 138. Ivi si
afferma che nell’art. 1337 c.c. il comportamento scorretto è sempre collocato in un momento nel quale non è stipulato alcun contratto. Nell’art. 1338 c.c. invece la scorrettezza
può essere situata in un momento successivo alla conclusione del contratto. In giurisprudenza si veda la nota sentenza della Cassazione n. 19024 del 29 settembre 2005, in Foro.
it., 2006, c. 1105. Ivi si legge espressamente che l’art. 1338 c.c. riguarda il risarcimento
del danno precontrattuale nel caso di successiva conclusione di un contratto invalido.
Nello stesso senso le note sentenze Cass., Sez. Un., 19 dicembre 2007, n. 26724 e n.
26725, sulle quali si veda pf. 4.1, Cap. III.
59
G. D’AMICO, La responsabilità precontrattuale, cit., p. 1033. L’Autore critica il
pensiero di Grisi affermando che l’affidamento nella validità del contratto non presuppone che il contratto sia stato già concluso, potendo sorgere un affidamento siffatto già nel
corso delle trattative. G. GRISI, L’obbligo precontrattuale, cit., p. 60, non esclude che
l’affidamento sulla validità del contratto possa sorgere nel corso delle trattative, ma ritiene che in tal caso trovi applicazione l’art. 1337 c.c. G. D’AMICO, op. loc. ult. cit., nel richiamare il pensiero di Grisi, afferma che «la tesi riferita muove dalla premessa (in sé
esatta) che la violazione del dovere di informazione (sull’esistenza di una causa di invalidità) sussista e possa farsi valere non soltanto quando, a seguito di essa, il contratto sia
stato (invalidamente) concluso, ma anche quando alla stipula non si sia addivenuti per
l’interruzione delle trattative, verificatasi proprio a seguito della scoperta da parte del (o
della tardiva comunicazione al) contraente ignaro dell’esistenza della causa di invalidità.
In quest’ultimo caso − si afferma − non potrebbe trovare applicazione l’art. 1338, appunto
perché questa norma presupporrebbe (secondo l’assunto or ora ricordato) che un contratto (se
pur invalido) sia stato concluso, onde la responsabilità non potrebbe affermarsi se non sulla
base dell’art. 1337». A. CATAUDELLA, I contratti, cit., p. 38, nota 9, critica il pensiero di
D’Amico sul punto, anche se con riferimento a quanto espresso in ‹‹Regole di validità›› e
principio di correttezza nella formazione del contratto, Napoli, 1996, p. 147. C. TURCO,
L’interesse negativo nella culpa in contrahendo, cit., p. 101, sottolinea l’importanza di due
regole poste dall’art. 1338 c.c. e, segnatamente, la sanzionabilità dell’omessa comunicazione
di circostanza anche solo conoscibili e il ruolo svolto dall’assenza di colpa della parte danneggiata. Nel senso che nell’art. 1338 c.c. sia decisivo il contenuto contrattuale e non precontrattuale del rapporto è F. MESSINEO, Il contratto in generale, Milano, 1973, p. 365, contra
A. LA TORRE, Diritto civile, cit., p. 78. Sull’art. 1338 come ‹‹omaggio alla tradizione››
ed alla genesi della responsabilità precontrattuale, si veda M. DE POLI, Servono ancora i
«raggiri» per annullare il contratto per dolo? Note critiche sul concetto di reticenza invalidante, in Riv. dir. civ., 2004, p. 916.
CAPITOLO TERZO
108
Il dato segnalato conferma che la condotta tenuta nel corso delle
trattative risponde ad una logica propria, così che le vicende che le riguardano sono autonome dagli esiti del procedimento di formazione
del contratto60.
4.1. Responsabilità precontrattuale e conclusione di un contatto valido
Quanto affermato risulta ancora più evidente se si supera il dogma
della incompatibilità tra responsabilità precontrattuale e contratto valido, valorizzando, anche sul punto, le soluzioni prospettate da parte
della dottrina che ha preso posizione su questa annosa questione61.
60
In tal senso è la scelta anche del DCFR, che sul punto, riprendendo quasi letteralmente i Priciples of European Contract Law, prevede, all’articolo 3:301 del Libro
II, che a person is free to negotiate and is not liable for failure to reach an agreement. In argomento si rimanda a M. LEHMANN, Die Zukunft, cit., p. 710; C. VON
BAR, E. CLIVE, H. SCHULTE-NÖLKE e H. BEALE, J. HERRE, J. HUET, M. STORME, S.
SWANN, P. VARUL, A. VENEZIANO, F. ZOLL, Principles, Definitions and Model Rules of European Private Law. Draft Common Frame of Reference (DCFR), cit., p.
193; E. LUCCHINI GUASTALLA, Marketing and pre-contractual duties, cit., p. 135. La
circostanza che la condotta tenuta nel corso delle trattative risponde ad una logica
propria e autonoma dagli esiti del procedimento di formazione del contratto è confermata dagli obblighi inerenti le informazioni confidenziali; obblighi che incombono sulle parti indipendentemente dal fatto che poi si arrivi, oppure no, alla conclusione di un contratto. Particolarmente significativo è l’art. 3:302 del Libro II del
DCFR ove si prevede che if confidential information is given by one party in the
course of negotiations, the other party is under a duty not to disclose that information or use it for its own purposes whether or not a contract is subsequently concluded. È da segnalare che tale articolo si differenzia in parte dalla corrispondete
previsione dei Priciples of European Contract Law in quanto vi è la precisazione di
cosa si intende per “confidential information”. Si legge infatti che “confidential information” means information which, either from its nature or the circumstances in which
it was obtained, the party receiving the information knows or could reasonably be expected to know is confidential to the other party. (3) A party who reasonably anticipates
a breach of the duty may obtain a court order prohibiting it. Sull’individuazione del corretto significato da attribuire all’espressione “informazione confidenziale” nei Priciples
of European Contract Law, si era soffermata la dottrina. Si vedano G. GRISI, Gli obblighi
di informazione, ibidem, p. 162; C. SCOGNAMIGLIO, Regole di validità, cit., p. 619. Sia
consentito inoltre il richiamo a S. TOMMASI, L’informazione precontrattuale e il consumatore, in A. DE MAURO - F. FORTINGUERRA - S. TOMMASI, La Responsabilità precontrattuale, cit., p. 299. Con riferimento alla circostanza che i soggetti, oltre ad esigere di
essere informati su tutte le circostanze riguardanti il contratto che vogliono stipulare, avvertono anche la necessità che non siano diffuse notizie affiorate nel corso delle trattative, la conoscenza delle quali potrebbe recare loro pregiudizio, si veda F. BENATTI, La
responsabilità precontrattuale, cit., p. 39.
61
L’esclusione dell’applicabilità dell’art. 1337 c.c. ai casi di conclusione di un contratto valido non convince parte della dottrina, si vedano L. MENGONI, Sulla natura della
RILIEVO DELL’INTERESSE ALLE MODALITÀ DELLA CONDOTTA EX ART. 1337 C.C.
109
Si segnala, in particolare, la presenza nel sistema dell’art. 1440
c.c. idoneo a dimostrare che la risarcibilità dei danni derivanti da un
contratto valido ed efficace, ma sconveniente, non è ricavabile dall’art. 1337 c.c. L’argomento per lo più richiamato è che l’art. 1440
c.c., ai fini della risarcibilità dei suddetti danni, richiede il dolo negoziale, con ciò escludendo che situazioni meno gravi, o diverse, meritino di essere trattate in modo uguale62.
Invero, lo stesso art. 1440 c.c. può essere richiamato per sostenere
il contrario63. Tale norma, infatti, prevedendo una fattispecie nella
quale il consenso può ritenersi viziato ma non idoneo ad attivare il rimedio dell’annullamento, non ha nulla a che fare con la categoria
dell’invalidità64. Si tratterebbe, piuttosto, di un’applicazione paradigmatica dell’art. 1337 c.c.65, visto che indubbiamente il comportamento
responsabilità precontrattuale, cit., p. 360; V. PIETROBON, L’errore nella dottrina del
negozio giuridico, Padova, 1963, p. 106; F. BENATTI, Responsabilità precontrattuale,
cit., p. 6; G. PATTI e S. PATTI, Responsabilità precontrattuale e contratti standard, cit.,
p. 100; A. DEL FANTE, Buona fede precontrattuale e principio costituzionale di solidarietà, in Rass. dir. civ., 1983, p. 144; G. VISINTINI, La reticenza nella formazione dei
contratti, Padova, 1972, p. 106.
62
G. D’AMICO, La responsabilità precontrattuale, cit., p. 1033; ID., Regole di validità e regole di comportamento nella formazione del contratto, in Riv. dir. civ., 2002, p. 44.
63
Cfr. L. MENGONI, Sulla natura della responsabilità precontrattuale, cit., p. 360;
F. BENATTI, Responsabilità precontrattuale, cit., p. 6; A. VERGA, Errore e responsabilità
nei contratti, Padova, 1941, p. 86; G. PATTI e S. PATTI, Responsabilità precontrattuale e
contratti standard, cit., p. 111; P. GALLO, Asimmetrie informative e doveri di informazione, in Riv. dir. civ., 2007, p. 667.
64
L. MENGONI, “Metus causam dans” e “Metus incidens”, in Riv. dir. comm.,
1952, p. 28, ritiene che la norma sia eccezionale rispetto alla regola generale del dolo
determinante e sia una manifestazione della tendenza legislativa a limitare l’efficacia invalidatrice del vizio del volere per favorire il mantenimento del negozio.
65
M. MANTOVANI, «Vizi incompleti», cit., in particolare p. 25 e p. 136, afferma che
la possibilità di configurare una responsabilità precontrattuale nel caso di conclusione di
un contratto valido potrebbe aprire una via alla ‹‹correzione − ottenuta attraverso lo
strumento risarcitorio − dei risultati economici pregiudizievoli di un regolamento di interessi, pur validamente stipulato, ma che, in ragione di un contegno sleale e scorretto di
una delle parti, si rivela in qualche misura “squilibrato” e, comunque, lesivo dell’interesse dell’altra parte››. L’Autrice, in particolare, afferma, p. 127, che l’art. 1440 c.c. dà
rilevanza ad un comportamento illecito tenuto nella fase delle trattative o della formazione del contratto, esprimendo una regola di contenuto risarcitorio, o meglio, l’unica norma
che, nel settore dell’annullamento, espressamente prevede la possibilità di un risarcimento del danno. Secondo l’Autrice ‹‹nella codificazione del 1942 la norma dell’art. 1440
c.c. sembra acquistare un nuovo significato se coordinata con l’altra innovazione, rappresentata dall’art. 1337 c.c., ove è racchiusa la clausola generale, relativa al dovere di condotta secondo buona fede, nella fase che precede la conclusione del contratto (…). Neppure in questa prospettiva, l’art. 1440 appare in luce di disposizione normativa di singolare o eccezionale valore, costituendo, anzi, per questo aspetto, ancora applicazione di un
110
CAPITOLO TERZO
teso all’inganno riveste i caratteri di un contegno contrastante con la
regola della buona fede66.
Inoltre, non è sufficiente ritenere che la slealtà, nota al momento
del consenso al contratto, debba considerarsi superata perché chi contrae transige tacitamente su falsità ormai scoperte e neutralizzate67.
Una delle parti può rendersi conto, anche successivamente alla stipulazione del contratto, della scorrettezza del suo interlocutore nel corso
delle trattative. Nonostante ciò si può avere interesse a mantenere in
vita il contratto, senza per questo dover rinunciare al risarcimento del
danno consistente, per esempio, nello scarto di convenienza dovuto
all’altrui comportamento o nelle spese eccessive sopportate68.
Non si comprende, inoltre, per quale motivo, una volta stabilito
che i contraenti devono osservare nelle trattative una condotta improntata a correttezza, il comportamento sleale e disonesto dovrebbe consistere soltanto nella formazione di un negozio nullo o annullabile69. In
particolare, si è più volte richiamata l’attenzione sul fatto che alcune
disposizioni del codice civile, per esempio gli articoli 14942, 15782,
principio generale, rinvenibile, questa volta, nell’art. 1337 c.c.››. Sul punto di recente T.
FEBBRAJO, L’informazione ingannevole, cit., p. 201. Nel senso della non eccezionalità
dell’art. 1440 c.c. è G. PERLINGIERI, Regole e comportamenti, cit., p. 61, ove si segnala
che la norma non è da qualificare come deviazione da un principio. Sul punto cfr. P.
PERLINGIERI - P. FEMIA, Nozioni introduttive e principi fondamentali del diritto civile,
Napoli, 2004, p. 18; O. CLARIZIA, Tertium comparationis, norma eccezionale e incostituzionalità con effetto estensivo, in P. FEMIA (a cura di) Interpretazione a fini applicativi e
legittimità costituzionale, Napoli, 2006, p. 171.
66
Cfr. Cass., 29 settembre 2005, n. 19024, cit. Ivi si afferma che la violazione
dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella
formazione del contratto, stabilito dall’art. 1337 c.c., assume rilievo non soltanto nel caso
di rottura ingiustificata delle trattative, ovvero qualora sia stipulato un contratto invalido
o inefficace, ma anche, quale dolo incidente (art. 1440 c.c.), se il contratto concluso sia
valido e tuttavia risulti pregiudizievole per la parte rimasta vittima del comportamento
scorretto. Sul punto cfr. Cass., 29.3.1999 n. 2956 in Giur. it., 2000, p. 1192.
67
R. SACCO, Il contratto, II, cit., p. 249, riassume in questi termini le conclusioni
della dottrina che assorbe nel rapporto contrattuale le conseguenze giuridiche della slealtà
precontrattuale. Tali conclusioni, però, secondo Sacco, non sono condivisibili. Quanto alla
giurisprudenza sul punto, si vedano Cass., 16 aprile 1994, n. 3621, in Resp. civ. prev., 1994, p.
1085; Cass., 14 febbraio 2001, n. 2080, in Nuova giur. civ. comm., 2002, p. 311.
68
Diverso è il problema relativo al fatto che, se si agisce con l’azione di invalidità, il danno contrattuale può coprire anche quello precontrattuale, così da non giustificarsi il risarcimento di un danno se già risarcito. Tale assunto non autorizza ad
escludere e limitare il possibile rilievo autonomo di una responsabilità per condotta
scorretta nelle trattative indipendentemente dagli esiti del procedimento di formazione del contratto.
69
P. RESCIGNO, Obbligazioni, cit., p. 198.
RILIEVO DELL’INTERESSE ALLE MODALITÀ DELLA CONDOTTA EX ART. 1337 C.C.
111
1812 e 1821, prevedono una responsabilità precontrattuale anche in
presenza di un contratto valido70.
Tra l’altro, ove si negasse l’applicabilità dell’art. 1337 c.c. alle ipotesi
di conclusione di un contratto valido, la parte resterebbe sprovvista di tutela di fronte a comportamenti che − pur non concretizzandosi nelle figure
dell’errore, della violenza o del dolo − si sostanziano in scorrettezze o
in quelli che, parte della dottrina qualifica «vizi incompleti»71.
Il risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale,
d’altro canto, potrebbe anche essere chiesto nel caso di contratto annullabile quando non ci si voglia avvalere dell’annullamento o tale rimedio non sia più possibile a causa della prescrizione della relativa azione o di quella di convalida del contratto72. Al riguardo, è interessante richiamare quanto previsto dall’art. 55 della Proposta di Regolamento relativa a un diritto comune europeo della vendita. Ivi, si prevede che la parte che ha diritto di annullare il contratto o che aveva tale diritto prima di perderlo per decorso dei termini o per convalida del contratto, può esigere, indipendentemente dall’effettivo annullamento del contratto, il risarcimento del danno subito a causa dell’errore, del dolo, delle
70
Cfr. L. MENGONI, Sulla natura della responsabilità precontrattuale, cit., p. 365;
F. BENATTI, Responsabilità precontrattuale, cit., p. 8; contra G. STELLA RICHTER, La
responsabilità precontrattuale, cit., p. 40; G. D’AMICO, Regole di validità, cit., p. 101.
71
M. MANTOVANI, «Vizi incompleti», cit., p. 2 e p. 26. Cfr. sul punto M. BARCELLONA, Trattato, cit., p. 467. Nel senso che casi difficilmente risolvibili sulla base della
normativa di invalidità potrebbero trovare soluzione tramite quella di buona fede, è L.
BIGLIAZZI GERI, Buona fede nel diritto civile, cit. p. 170; ID., Note in margine alla rilevanza dell’art. 1337 c.c., in Scritti Barillaro, Milano, 1982, p. 31. L’apertura ai vizi incompleti non conduce al caos o all’incertezza. In questi termini P. GALLO, Asimmetrie, cit.,
p. 667. L’Autore individua almeno due limiti che devono essere rispettati. La presenza di
un dato oggettivo, vale a dire lo squilibrio tra le prestazioni, di entità tale da ritenersi determinante del consenso e dovuto alla violazione del principio generale di buona fede e correttezza di cui all’art. 1337 c.c.; in secondo luogo, sempre in applicazione dei principi generali, il risarcimento del danno può aver luogo solo in assenza di un concorso di colpa del
dichiarante. In diversa prospettiva G. D’AMICO, Buona fede in contrahendo, in Riv. dir.
priv., 2003, p. 342 e p. 352. Ivi, p. 339, si critica anche il pensiero di R. SACCO, Il consenso, in GABRIELLI (a cura di), Il contratti in generale, I, in P. RESCIGNO (diretto da),
Trattato dei contratti, Torino, 1999, p. 404. Sacco ritiene che l’art. 1337 c.c. potrebbe
colmare tutti gli spazi entro i quali il consenso è viziato, ma per D’Amico, in questo
modo, non si realizza l’effetto di ampliare le ipotesi di invalidità del contratto, piuttosto ‹‹si introdurrebbe, sotto mentite spoglie, un principio “antagonista” in grado di
scardinare l’intero sistema dei vizi del consenso, togliendo qualsiasi significato alla disciplina positiva di tali vizi››. Per una critica alla tesi di D’Amico, di recente, si veda C.
CARNICELLI, Risarcimento, cit., p. 293.
72
Cfr. V. ROPPO e G. AFFERNI, Dai contratti finanziari al contratto in generale:
punti fermi della Cassazione su nullità virtuale e responsabilità precontrattuale, in Danno resp., 1996, p. 33.
CAPITOLO TERZO
112
minacce o dell’iniquo sfruttamento, a condizione che l’altra parte conoscesse o dovesse ragionevolmente conoscere le circostanze rilevanti.
Le argomentazioni a sostegno della configurabilità di una responsabilità precontrattuale anche nel caso di contratto valido non si esauriscono a quelle evidenziate73. Diversamente opinando, si finirebbe
per ritenere che gli obblighi precontrattuali di buona fede, con la conclusione di un valido contratto, subiscano una sorta di metamorfosi
della loro natura, trasformandosi in obblighi accessori o strumentali
rispetto al contratto74.
Il dato è ormai condiviso dalla giurisprudenza. Basti pensare a
come si è espressa la Cassazione nelle note sentenze del 2005 e del 2007,
ove si legge che la violazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona
fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto
assume rilievo non soltanto nel caso di contratto invalido, ma anche se il
contratto concluso sia valido e, tuttavia, risulti pregiudizievole per la
parte rimasta vittima del comportamento scorretto75.
73
La possibilità di enucleare un interesse tutelabile attraverso l’azione di responsabilità precontrattuale, pure in presenza di un contratto già concluso, può essere affidata
alla distinzione tra ciò che è violazione dell’obbligo di protezione e ciò che è infrazione
dell’obbligo di prestazione. In argomento si rimanda a C. CASTRONOVO, La nuova responsabilità civile, cit., p. 502; C. SCOGNAMIGLIO, Regole di validità, cit., p. 633.
74
G. GRISI, L’obbligo precontrattuale, cit., p. 295.
75
Cass., 29 settembre 2005, n. 19024, cit.; Cass., Sez. Un., 19 dicembre 2007, n.
26724, in Nuova giur. civ. comm., 2008, p. 438; Cass., Sez. Un., 19 dicembre 2007,
n. 26725, in Resp. civ. prev., 2008, p. 547. Le sentenze in oggetto hanno suscitato
numerosi commenti. Si vedano A. ALBANESE, Regole di condotta e regole di validità
nell’attività di intermediazione finanziaria: quale tutela per gli investitori delusi? in
Corr. giur., 2008, p. 107; F. GALGANO, Il contratto di intermediazione finanziaria
davanti alle Sezioni Unite della Cassazione, in Contr. impr., 2008, p. 1; A. GENTILI,
Disinformazione e invalidità: i contratti di intermediazione dopo le Sezioni Unite, in
Contratti, 2008, p. 399; F. GRECO, Intermediazione finanziaria: violazione degli obblighi di informazione e rimedi, in Resp. civ. prev., 2008, p. 557; V. MARICONDA,
L’insegnamento delle Sezioni Unite sulla rilevanza della distinzione tra norme di
comportamento e norme di validità, in Corr. giur., 2008, p. 230; S. SANGIOVANNI,
Commento a Cass. 19-12-2007 n. 26724 e 26725, in Contratti, 2008, p. 231; U. SALANITRO, Violazione della disciplina dell’intermediazione finanziaria e conseguenze
civilistiche: ratio decidendi e obiter dicta delle sezioni unite, in Nuova giur. civ.
comm., 2008, p. 445; E. SCODITTI, La violazione delle regole di comportamento
dell’intermediario finanziario e le sezioni unite, in Foro it., 2008, I, p. 784; R. VOLANTE, La presunzione di danno nella violazione di obblighi comportamentali da
parte dell’intermediario finanziario tra vincoli di sistema e difetti della disciplina
speciale, in Riv. crit. dir. priv., 2010, p. 95. Non mancano sentenze che si muovono
in direzione diversa, si veda Cass. 25 luglio 2006, n. 16937, in Corr. giur., 2007, p.
550, con nota di L. ROLFI, La Cassazione e la responsabilità precontrattuale: idee
del tutto chiare. Un primo passo per il riconoscimento della responsabilità precontrattuale, anche in caso di conclusione del contratto, si deve a Cass. 16 ottobre 1998, n. 10249,
RILIEVO DELL’INTERESSE ALLE MODALITÀ DELLA CONDOTTA EX ART. 1337 C.C.
113
Si tratta di una soluzione in linea con la prospettiva proposta in
questa sede. La valorizzazione dell’interesse al quomodo dell’agire di
coloro che possono condizionare scelte di natura negoziale, consente,
infatti, di sganciare la valutazione delle condotte dagli esiti del procedimento di formazione del contratto.
5. Ambito di applicazione soggettivo dell’art. 1337 c.c.
L’attenzione all’oggettivo svolgersi delle condotte ha conseguenze applicative anche nell’individuazione dei soggetti destinatari della
previsione dell’art. 1337 c.c.
L’appiattimento della logica delle trattative a quella del procedimento di formazione del contratto può comportare, come in effetti è avvenuto, una limitazione dell’ambito di applicazione soggettivo dell’art.
1337 c.c. alle sole parti del successivo contratto76. Tale appiattimento appare oggi ancora più riduttivo se si considera quanto segue.
La validità del contratto, quale esito del procedimento di formazione
dello stesso, è invocata per escludere il configurarsi della responsabilità
precontrattuale e per individuare in concreto i destinatari dell’obbligo di
buona fede ex art. 1337 c.c. Lo stesso criterio è utilizzato, cioè, con riferimento a due situazioni che tra di loro si escludono a vicenda.
Diversamente, partendo dalla funzione delle trattative − individuata nella comparazione tra i propri bisogni e i termini di un possibile
successivo accordo − non ci sono ostacoli ad affermare che pure quanti non assumono formalmente la veste di controparti del concludendo
contratto possano influire su tale comparazione77.
in Giust. civ., 1999, p. 89. Nella specie l′Enel provvede in ritardo alla richiesta, da parte
di un cliente, di somministrazione di energia. La Cassazione ammette la responsabilità
precontrattuale dell′Enel perché il comportamento scorretto, tenuto prima della conclusione del contratto, aveva provocato dei danni legati al sensibile ritardo nella conclusione
del contatto stesso. Su questi aspetti, cfr. T. FEBBRAJO, La ‹‹nuova responsabilità››, cit.,
p. 205.
76
F. BENATTI, La Responsabilità precontrattuale, cit., p. 86; cfr., ID., Culpa in contrahendo, cit., p. 300. Manifestano perplessità sull’ampliamento dell’ambito soggettivo
di applicazione della norma anche a soggetti che non siano parti del futuro contratto, C.
CASTRONOVO, La nuova responsabilità civile, cit., p. 469; G. STELLA RICHTER, La responsabilità precontrattuale, cit., p. 11. Quanto al superamento dei limiti soggettivi di
applicabilità dell’art. 1337 c.c. cfr. G. GHIDINI, La responsabilità del produttore di beni
di consumo, I, Profili precontrattuale, Milano, 1970, p. 82.
77
Al riguardo si veda V. CUFFARO, Responsabilità precontrattuale, cit., p. 1268.
CAPITOLO TERZO
114
Basti pensare che le parti del contratto non sono necessariamente i
soggetti coinvolti nelle trattative, eppure proprio nel corso di queste
emergono i dati rilevanti per le rispettive valutazioni di opportunità,
così da alterare, o comunque, influenzare la concretizzazione del successivo rapporto contrattuale78.
L’idea che i protagonisti della vicenda precontrattuale siano solo
le parti del futuro contratto79 preclude la possibilità di cogliere la rilevanza autonoma attribuibile alla posizione di alcuni terzi specialmente
qualificati, per esempio perché portatori di uno particolare interesse
proprio alla conclusione del contratto o perché investiti di un ruolo
concretamente indispensabile al prodursi di tale risultato80.
Non è, dunque, l’eventuale conclusione del contratto che individua ex post il riferimento soggettivo della disposizione, ma è il coinvolgimento e la partecipazione alle vicende che lo precedono o possono precederlo a giustificare l’assoggettamento alla regola di comportamento, imponendone il rispetto81.
Il dato è confortato da alcune norme del codice civile che si riferiscono a soggetti che, per definizione, non possono considerarsi parti
del contratto. Si pensi al mediatore ex art. 1759 c.c.82, all’attività del
78
A. GENTILI, Informazione contrattuale, cit., p. 569. Interessante, al riguardo, è il
confronto con il § 311, comma 3 del B.G.B., ove si prevede che un rapporto obbligatorio
con obblighi di cui al § 241, comma 2 può sorgere anche tra soggetti che non devono diventare essi stessi parti contrattuali. Un tale rapporto obbligatorio sorge, in particolare, se
il terzo desta affidamento su di sè in misura notevole e con ciò influenza in modo rilevante le trattative contrattuali o la conclusione del contratto. Cfr. M. LEHMANN, Culpa in
contrahendo: Germania, cit., p. 6.
79
Cfr. G. VISINTINI, La reticenza, cit., p. 278.
80
In questi termini A. MAZZONI, Le lettere di patronage, cit., p. 202. L′Autore aggiunge, p. 203, che il rifiuto di applicare al terzo il precetto dell′art. 1337 c.c. è fondato
più su un assunto di derivazione logico-formale che su una valutazione funzionale degli
obiettivi per i quali la norma è dettata. Ciò non vuol dire che venga meno la necessità di
contrapporsi a tendenze favorevoli all′espansione del regime di responsabilità precontrattuale sul mero presupposto di un «contatto sociale».
81
V. CUFFARO, Responsabilità precontrattuale, cit., p. 1269; F. VIGOTTI, La responsabilità precontrattuale, in Nuova giur. civ. comm., 1986, p. 186.
82
Con riferimento ai rapporti tra art. 1759 c.c. e 1337 c.c. e alla possibilità di considerare il mediatore quale parte delle trattative cfr. B. TROISI, La mediazione, Milano,
1995, p. 199; ID., La mediazione come atto del procedimento di formazione del contratto, in Riv. dir. civ., 1997, p. 41. Ivi si afferma che il contratto di mediazione è fonte degli
obblighi procedimentali propri della fase formativa del contratto. In diversa prospettiva,
si rimanda a A.C. NAZZARO, Obblighi d’informare, cit., p. 116. L’Autrice, pur ritenendo
che il metodo procedimentale si mostra assai stimolante, esclude che il mediatore possa
essere parte delle trattative, data la sua estraneità all’interesse finale espresso dall’affare
oggetto di trattativa.
RILIEVO DELL’INTERESSE ALLE MODALITÀ DELLA CONDOTTA EX ART. 1337 C.C.
115
mandatario che non ha accettato l’incarico − disciplinata dall’art. 1718
ult. comma83 − e al rappresentante di cui all’art. 1398 c.c84. In particolare, i casi di trattative svolte da quest’ultimo sono stati i primi nei quali
si è avvertita la necessità di allargare il campo di indagine a tutti i terzi
che con vari ruoli intervengono nelle trattative85 e di considerare responsabile, ex art. 1337 c.c., chi si atteggi come Vertrauensmänner86.
Può verificarsi che un soggetto terzo rispetto al contratto collabori
con un contraente al fine di falsare il comportamento economico di chi
è coinvolto nella trattativa87. Secondo parte della dottrina, in questi casi, si configurerebbe un comune fatto illecito tra il terzo e il contraente, a prescindere poi che si riconduca l’obbligo del risarcimento del
danno nell’alveo dell’art. 1337 c.c., − quale applicazione specifica
dell’art. 2043 c.c. − o direttamente all’art. 2043 c.c.88.
La configurabilità di una responsabilità precontrattuale del terzo
può prescindere da tale opzione.
È possibile richiamare, infatti, l’art. 1223 c.c.89, applicabile sia in
materia contrattuale che extracontrattuale. Tale norma impone di verificare che il danno eventualmente arrecato alla vittima sia conseguenza immediata e diretta della condotta del terzo90. Occorre, cioè, valutare, caso per caso, se quanti hanno subito un danno possano avanzare, o
meno, pretese di carattere risarcitorio nei confronti del responsabile.
L’ipotesi del terzo che si comporti scorrettamente − e condizioni
in questo modo le valutazioni di opportunità di un soggetto in vista
della soddisfazione di un bisogno − può indurre ad ulteriori osservazioni anche a sostegno del diverso ambito di operatività dell’art. 1337
c.c. rispetto alle regole di validità.
83
G. PANZA, Buon costume e buona fede, cit., p. 241.
Cfr. R. SACCO, Responsabilità del committente per culpa in contrahendo del
commesso, in Riv. dir. comm., 1948, II, p. 1; F. BENATTI, La responsabilità precontrattuale, cit., p. 70. Con particolare riferimento all’institore, Trib. Roma, 22 settembre 2001,
in Dir. fall., 2002, p. 1021, con nota di G. DE LUCA, Sulla responsabilità dell’institore e
sull’efficacia del contratto preliminare di compravendita, da lui concluso per conto del
preponente.
85
Per una dettagliata analisi dei diversi ruoli che i terzi possono assumere nel corso
delle trattative si rimanda a A. RAVAZZONI, La formazione del contratto. II, cit., p. 26.
Più di recente si veda L. BERTINO, Le trattative prenegoziali e i terzi, Milano, 2009, p. 157.
86
F. BENATTI, Responsabilità precontrattuale, cit., p. 6.
87
L. BERTINO, Le trattative, cit., p. 125.
88
P. GALLO, Responsabilità precontrattuale: la fattispecie, cit., p. 323.
89
P. GALLO, op. loc. ult. cit.
90
Per un’analisi della giurisprudenza in tema di violazione del dovere di buona fede
precontrattuale da parte del terzo estraneo al futuro rapporto si veda L. NANNI, La buona
fede contrattuale, Padova, 1988, p. 82.
84
116
CAPITOLO TERZO
Si pensi all’art. 1439 c.c. ai sensi del quale, qualora i raggiri siano
usati da un terzo, il contratto è annullabile se erano noti91 al contraente
che ne ha tratto vantaggio. La limitazione dell’invalidità del contratto
a questo caso specifico non esclude che per effetto di tali raggiri il
contraente – anche qualora non ci siano i presupposti per chiedere
l’annullamento del contratto – abbia subito un danno dovuto alla condotta scorretta del terzo92. Tale danno deve essere allocato nella sfera
giuridica di quest’ultimo, piuttosto che in quella del contraente corretto, senza per questo pregiudicare la posizione dell’altro contraente, dato che il contratto rimane valido93.
Problemi analoghi si pongono nella situazione inversa nella quale
si può verificare che sia il terzo ad essere vittima della condotta scorrettezza delle parti del futuro contratto94.
Per dare contezza di alcune conseguenze pratiche dell’impostazione proposta si propone un esempio preso in prestito dalla giurisprudenza che, con riferimento a colui che conferisce l’incarico di
mediazione, ha affermato la non configurabilità di una responsabilità
ex 1337 c.c.95. Si sostiene, infatti, che caratteristica della mediazione,
91
Quanto ai problemi relativi all’attività conoscitiva in ambito giuridico si rimanda
a S. PUGLIATTI, Conoscenza, in Enc. dir., Milano, 1961, IX, p. 115; A. FALZEA, I fatti di
conoscenza, in Scritti in onore di S. Pugliatti, V, I, 1, Milano, 1978, p. 543. Si veda, inoltre, il ruolo della comprensione nella teoria della comunicazione di N. Luhmann, in N.
LUHMANN, Sistemi sociali. Fondamenti di una teoria generale, (trad. it. a cura di A.
FEBBRAJO e R. SCHMID), Bologna, 1990, p. 251. Di recente, sulla rilevanza della conoscenza nell’art. 1439 c.c., si veda R. SENIGAGLIA, Accesso alle informazioni, cit., p. 6.
Sul significato normativo del termine conoscenza cfr. A.C. NAZZARO, Obblighi
d’informare, cit., p. 50.
92
Cfr. R. SACCO, Il contratto, II, cit., p. 244; M. BIANCA, Diritto civile, cit., p. 174.
93
Con riferimento al rinvio all’art. 1439 c.c., a sostegno della compatibilità tra responsabilità precontrattuale e contratto valido, si veda N. SAPONE, La responsabilità precontrattuale, cit., p. 165. Sull’applicabilità dell’art. 1439 c.c. al caso dell’autore di un
messaggio pubblicitario, inteso come terzo il cui comportamento assume rilievo ai fini
della valutazione di scelte di natura economica cfr. C. BERTI, Messaggio pubblicitario e
diritti dei terzi, Napoli, 1992, p. 40.
94
L. BERTINO, Le trattative, cit., p. 55. P. GALLO, op. loc. ult. cit. sottolinea che, in
tali ipotesi, il responsabile dovrà risarcire, sempre che il danno sia riconducibile alla sua
condotta in base ai criteri dell’art. 1223 c.c., tutti i titolari delle situazioni giuridiche soggettive lese.
95
Cass., 24 maggio 2002, n. 7630 in Notariato, 2003, p. 35, con nota di P. BINELLI,
Fondamento e limiti del diritto del mediatore alla provvigione; in Giust. civ., 2003, p.
409, con nota di E. GIACOBBE, Il contratto di mediazione e la giurisprudenza, tra spunti
ricostruttivi e dubbi applicativi. Cass., 29 settembre - 3 novembre 210 n. 22357 in Guida dir., 2010, p. 77 con commento di E. SACCHETTINI, La clausola che prevede il pagamento in ogni caso si considera inefficace perché ritenuta vessatoria. La sentenza in oggetto si sofferma sugli obblighi di correttezza e buona fede a carico di chi abbia conferito
l’incarico di mediazione ma rifiuti poi di concludere il contratto.
RILIEVO DELL’INTERESSE ALLE MODALITÀ DELLA CONDOTTA EX ART. 1337 C.C.
117
almeno nella sua forma tipica, è la facoltà, da parte di chi ha dato
l’incarico, di recedere ad nutum senza incorrere, conseguentemente, in
alcuna responsabilità96.
L’incompatibilità tra tale caratteristica della mediazione e l’applicabilità dell’art. 1337 c.c. si giustificherebbe se quest’ultimo operasse
soltanto in caso di recesso ingiustificato o comunque quando, dopo
avere posto in essere un atto già impegnativo in vista della conclusione del contratto, si venga contra factum proprium.
Diversi sono gli esiti se si abbandonano queste conclusioni e si
condivide che l’art. 1337 c.c. è funzionale a mettere un soggetto in
condizione di valutare se è compatibile con le sue aspettative quanto
gli venga proposto in vista della conclusione di un futuro contratto.
Con specifico riferimento al caso del mediatore, che deve verificare se accettare un incarico, può affermarsi ragionevolmente che: a)
non è corretto il comportamento di chi si dichiari pronto a conferire
tale incarico, ma sappia già che questo non può portare ad alcun esito;
tanto più che ai fini della configurabilità del diritto alla provvigione,
previsto dall’art. 1755 c.c., in mancanza di una deroga negoziale, è
necessario che l’affare mediato sia stato concluso97; b) il mediatore,
stante la previsione del già richiamato art. 1755 c.c., non avrebbe accettato l’incarico – cioè non avrebbe ritenuto compatibili i propri bisogni con il concludendo contratto di mediazione – se avesse saputo
96
E. GIACOBBE, op. cit., p. 419, osserva che, invero, di tale facoltà di recesso nella
normativa non c’è alcuna traccia. Sul punto cfr. C. DE FABIANI, Mediazione su incarico
di una parte: in particolare il problema del recesso, in G. DE NOVA (a cura di), Recesso
e risoluzione dei contratti, Milano, 1994, p. 747. In diversa prospettiva si veda M. MINASI, Mediazione, in Enc. dir., Milano, XXVI, 1976, p. 39.
97
Quanto alle diverse interpretazione dell’art. 1755, cfr. C.M. BIANCA, Brevi notazioni
sulla mediazione tra codice civile e legge speciale, in Riv. dir. civ., 1993, p. 400; E.
GUERINONI, Mediazione e obbligo di corretta informazione, in Contratti, 2000, p.
247; S. VERNIZZI, Alcune riflessioni sulla responsabilità del mediatore ex art. 1759
comma 1 c.c., in Resp. civ. prev., 2000, p. 1405; A. DONZELLA CAMPANA, La responsabilità del mediatore in ipotesi di intermediazione immobiliare, in Vita not.,
2000, p. 136; V. CARBONE, La responsabilità professionale del mediatore tra codice
civile e leggi speciali, in Danno resp., 2001, p. 794. Di recente, sulla possibilità di
svincolare il diritto alla provvigione dal disposto dell’art. 1755 c.c., si vedano S.
CICCARELLI, La riconoscibilità dell’opera del mediatore come presupposto del diritto alla provvigione, in Contratti, 2008, p. 411; A. MACCARRONE, L’attività del mediatore e il diritto alla provvigione, in Contratti, 2007, p. 1086; ID., L’attività di
mediazione e la mancata iscrizione all’albo, in Contratti, 2008, p. 358; C. BRUNI,
La buona fede a tutela del diritto del mediatore alla provvigione, in Obbl. contr.,
2010, p. 571; F. ROLFI, Il mediatore ed il diritto alla provvigione, in Giur. merito, 2011,
p. 85.
CAPITOLO TERZO
118
che la sua attività era destinata a non avere buon esito per l’esistenza
di cause di invalidità del contratto oggetto dell’attività mediata98.
Non è da escludere, dunque, la configurabilità di una responsabilità precontrattuale a vantaggio del mediatore, a nulla rilevando che si
tratti di un soggetto terzo rispetto al contratto oggetto dell’attività di
mediazione.
Una soluzione contraria sarebbe, d’altronde, fortemente squilibrata a meno che non si voglia ammettere che neppure il mediatore abbia
degli obblighi precontrattuali nei confronti del potenziale committente. Tale esito sarebbe però fortemente in contrasto con quanto affermato, per esempio, da Cass. 16 Luglio 2010 n. 16623, ove si ribadisce
chiaramente che il mediatore, in difetto di un incarico specifico, non è
certamente tenuto alla prestazione, ma in base al dovere di correttezza
è pur sempre gravato in positivo dall’obbligo di comunicare le circostanze a lui note o conoscibili e, in negativo, dal divieto di fornire informazioni sui fatti dei quali non abbia consapevolezza o che non abbia controllato99.
98
Con riferimento al mediatore, quale titolare di un legittimo interesse alla conclusione dell’affare, si veda, R. CALVO, Contratti e mercato, Torino, 2006, p. 286. Sulla natura della mediazione cfr. A. CATAUDELLA, Mediazione, in Enc. dir., Roma, XIX, 1990,
p. 2; ID., Note sulla natura giuridica della mediazione, in Riv. dir. comm., 1978, p. 36, al
quale si rimanda per una critica alla natura contrattuale della mediazione e la valorizzazione dell’autonoma rilevanza per l’ordinamento di attività svolte senza autorizzazione a
vantaggio di altri. L. CARRARO, La mediazione, Padova, 1960, p. 15, individua nella legge la fonte del rapporto di mediazione, data la rilevanza sociale dell’attività svolta dal
mediatore. In direzione analoga cfr. G. FERRI, Manuale di diritto commerciale, Torino,
1980, p. 967. A. CATRICALÀ, La mediazione, in P. RESCIGNO (diretto da), Trattato di
diritto privato, Torino, XII, 1985, p. 413. Diversamente G. DI CHIO, Mediazione e mediatori, in Dig. civ., Torino, 1993, IX, p. 381. Più di recente, quanto a dibattito sul punto, si rimanda a E. GIACOBBE, op. cit., p. 419; A. LUMINOSO, La Mediazione, Milano,
2006, p. 162.
99
Cfr. Cass., 14 luglio 2009, n. 16382 in Guida dir., 2009, p. 20. In argomento cfr.
A. SESTI, Responsabilità aquiliana del mediatore-mandatario nei confronti del soggetto
promissario acquirente del bene, in Resp. civ. prev., 2009 p. 2281.
PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE E RIMEDI
119
CAPITOLO QUARTO
PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE E RIMEDI
SOMMARIO: 1. Protezione del consumatore e risarcimento dell’interesse negativo. - 2.
Interesse legittimo e tutela del consumatore. - 3. Complessità del quadro rimediale:
DCFR, Feasibility Study e Proposta di Regolamento relativa a un diritto comune
europeo della vendita. - 4. Limiti operativi dei rimedi invalidanti. - 5. Pratiche
commerciali scorrette e vizi del consenso. - 5.1. Errore provocato e dolo. - 5.2. Ingannevolezza della pratica commerciale e omissione di informazioni rilevanti. - 5.3.
L’errore nella Proposta di Regolamento relativa a un diritto comune europeo della
vendita. - 5.4. Pratiche commerciali aggressive e violenza. - 6. Pratiche commerciali
scorrette, rimedio della nullità e rilevanza della condotta.
1. Protezione del consumatore e risarcimento dell’interesse negativo
L’analisi di alcuni profili problematici relativi all’art. 1337 c.c. ha
evidenziato l’opportunità di apprezzare le trattative in termini dinamici.
Si tratta, infatti, di un agire che deve svolgersi secondo buona fede ed è idoneo ad incidere sulle decisioni di natura economica dei
soggetti che ne sono destinatari e che ragionevolmente fanno affidamento sulla correttezza di tale agire.
Nella prospettiva proposta l’art. 1337 c.c. è espressione di una dinamica connotata da caratteristiche che si riscontrano anche in quelle
attività nella quale si sostanziano le pratiche commerciali. Ne derivano
delle conseguenze sul piano dei rimedi ai quali sono dedicate le osservazioni che seguono.
L’attenzione alle modalità dell’agire consente di dare adeguato rilievo alla circostanza che il consumatore possa subire un danno per il
fatto che un’attività a lui destinata sia scorretta e, in quanto tale, idonea a falsare in misura apprezzabile il suo comportamento economico.
Può accadere, per esempio, che si sopportino ingenti spese per
cercare di procurarsi un bene che, poi, risulti diverso da quello che ci
si sarebbe potuti aspettare in mancanza di una pratica commerciale
scorretta. Si può verificare, inoltre, la perdita dell’occasione di acquistare beni o servizi offerti a condizioni che sarebbero risultate le migliori sul mercato se altri professionisti non si fossero comportati in
modo ingannevole.
CAPITOLO QUARTO
120
Una conseguenza pratica da evidenziare è la possibilità di ottenere, nei casi considerati, il risarcimento del danno nella forma dell’interesse negativo, mutuando una tutela notoriamente prevista per lo
scorretto svolgimento delle trattative1.
Le osservazioni che seguono possono essere utili a chiarire il ragionamento.
Si pensi all’art. 26 lett. h) cod. cons., ai sensi del quale integra una
pratica commerciale in ogni caso aggressiva il «lasciare intendere,
contrariamente al vero, che il consumatore abbia già vinto, vincerà o
potrà vincere, compiendo una determinata azione, un premio o una
vincita equivalente, mentre in effetti non esiste alcun premio né vincita equivalente oppure che qualsiasi azione volta a reclamare il premio
o la vincita equivalente è subordinata al versamento di denaro o al sostenimento di costi da parte del consumatore»2.
1
Sui problemi relativi all’interesse negativo, si vedano, sia pure in prospettive in
parte differenti, A. LUMINOSO, La lesione dell’interesse contrattuale negativo (e
dell’interesse positivo) nella responsabilità civile, in Contr. impr., 1988, p. 792; F.
BENATTI, La responsabilità precontrattuale, cit., p. 146; C. TURCO, Interesse negativo e responsabilità precontrattuale, Milano, 1990, p. 101; ID., L’interesse negativo
nella culpa in contrahendo, cit., p. 180; L. ROVELLI, La responsabilità precontrattuale, in G. ALPA, G. CHINÈ, F. GAZZONI, F. REALMONTE, L. ROVELLI (a cura di), Il
contratto in generale, in M. BESSONE (diretto da), Tratt. dir. priv., II, Torino, 2000,
p. 432; V. ROPPO, Il contratto, Milano, 2001, p. 186; G. GRISI, L’obbligo precontrattuale, cit., p. 390; P. PARDOLESI, Interesse negativo e responsabilità precontrattuale: di paradossi e diacronie in Foro it., 2004, c. 3009; G. GUERRESCHI, Responsabilità precontrattuale, cit., p. 52; G. MERUZZI, La quantificazione dell’interesse
contrattuale negativo nella responsabilità in contrahendo ex art. 1338 c.c., in Corr.
giur., 2005, p. 1099; M. ROCCA, Conoscenza, cit., p. 619; P. GALLO, Responsabilità
precontrattuale: il quantum, in Riv. dir. civ., 2004, p. 487; A. SAGNA, Il risarcimento del danno nella responsabilità precontrattuale, Milano, 2004, p. 12; P. PARDOLESI, Interesse negativo e responsabilità precontrattuale, in Foro it., 2004, c. 3009; A.
DI MAJO, Inadempimento e risarcimento nella prospettiva dei rimedi in Eur. dir.
priv., 2007, p. 1; G. AFFERNI, La responsabilità precontrattuale della p.a. tra interesse positivo ed interesse negativo, in Danno resp., 2006, p. 353; ID., Responsabilità
precontrattuale e rottura delle trattative: danno risarcibile e nesso di causalità, in Danno resp., 2009, p. 469; ID., Il quantum del danno nella responsabilità precontrattuale per
violazione di un obbligo di informazione, in Danno resp., 2010, p. 27; F. GALGANO, Le
antiche e le nuove frontiere del danno risarcibile, in Contr. impr., 2008, p. 92; F. PARISI e M.
CENINI, Interesse positivo, interesse negativo e incentivi nella responsabilità contrattuale:
un’analisi economica e comparata, in Riv. dir. civ., suppl., 2008, p. 221; C. CARNICELLI, Risarcimento, cit., p. 293.
2
Un caso relativo a concorsi a premi ha già interessato la Corte di Giustizia. Si vedano, al riguardo, R. CONTI e R. FOGLIA, Pratiche commerciali sleali, in Corr. giur.,
2010, p. 255; K. VARTUI, Pratiche scorrette e liceità della partecipazione a concorsi a
premi, in Comm. Intern. 2010, p. 45.
PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE E RIMEDI
121
La protezione del consumatore sarebbe evidentemente ridotta se
venisse negato il diritto al risarcimento del danno legato, sia alle spese
fatte per mettersi nelle condizioni di vincere, sia alle occasioni perse a
causa di tale pratica; danno riconducibile alla lesione di un interesse
negativo3.
Il danno, in questione, inoltre, è causato dal mancato rispetto, da
parte del professionista, di specifici obblighi relativi alle modalità di
svolgimento della sua attività. Ebbene, non si può trascurare che parte
della dottrina ritiene che l′interesse negativo altro non sia che un interesse positivo all′adempimento di specifici obblighi di condotta4.
2. Interesse legittimo e tutela del consumatore
L’impostazione proposta consente, inoltre, di valorizzare una situazione giuridica soggettiva che, specie in ambito privatistico, non ha
sempre goduto di adeguata considerazione. Il riferimento è all’interesse legittimo5.
3
Quanto al risarcimento dell’interesse negativo come risarcimento commisurato alle spese effettivamente sostenute in vista della conclusione dell’affare e alle occasioni contrattuali perse per avere confidato nell’impegno assunto, si vedano, di recente, T.A.R. Bari, 14
settembre 2010 n. 3459, in Foro amm. TAR, 2010, p. 2945; T.A.R. Bari, 19 ottobre 2011 n.
1552, in Foro amm. TAR, 2011, p. 3230.
4
C. TURCO, L’interesse negativo nella culpa in contrahendo, cit., p. 180. Parte della
dottrina ha da tempo invocato la necessità di rompere la corrispondenza biunivoca tra
culpa in contrahendo ed interesse negativo. In questa direzione, F. BENATTI, La responsabilità precontrattuale, cit., p. 155; A. LUMINOSO, La lesione dell’interesse contrattuale
negativo, cit., p. 803. Ivi si afferma che l’interesse negativo rileva agli effetti risarcitori
anche in relazione ad altre specie di vicende e anche fuori dalla fase precontrattuale, tanto nell’ambito della responsabilità per inadempimento quanto in quello della responsabilità extracontrattuale. Nel senso che la relazione tra culpa in contrahendo e interesse negativo è costante ma non esclusiva sono G. GRISI, L’obbligo precontrattuale, cit., p. 390;
S. MAZZAMUTO, La responsabilità, cit., p. 130.
5
L’interesse legittimo è considerato da parte della dottrina privatistica come situazione sostanziale di vantaggio e inattiva che delimita dall’esterno un potere. L’ambito
applicativo della figura si pone in una relazione di complementarietà rispetto o ad un interesse individuale altrui ovvero ad un interesse generale. Sul punto si rimanda a L. BIGLIAZZI-GERI, Contributo, cit., passim; ID., Interesse legittimo, cit., p. 249. Quanto ai
diversi casi nei quali possono riscontrarsi situazioni di interesse legittimo nel diritto privato si vedano AA.VV., in U. BRECCIA, L. BRUSCUGLIA, F.D. BUSNELLI (a cura di), Il
diritto privato nel prisma dell’interesse legittimo, Torino, 2001, passim. Sul rilievo degli
interessi legittimi in diritto privato cfr. G. ZANOBINI, Interessi legittimi nel diritto privato, in Scritti vari di diritto pubblico, Milano, 1955, p. 345. Sia la tesi di Biglizzi-Geri che
quella di Zanobini sono criticate da E. CANNADA BARTOLI, Interesse (dir. amm.) in Enc.
dir., Milano, 1972, XII, p. 24. Mostra perplessità sull’attualità dell’interesse legittimo
122
CAPITOLO QUARTO
La disciplina sulle pratiche commerciali per il suo svolgersi su
due piani paralleli, quello dell’attività e quello dell’oggettiva idoneità
dell’attività ad incidere sulle decisioni negoziali dei consumatori, consente di fare ricorso alla categoria dell’interesse legittimo.
Osservando il solo piano dell’attività, si può pensare al rilievo
dell’interesse legittimo così come tradizionalmente connotato in ambito pubblicistico. D’altronde, il rapporto tra diritto privato e diritto
pubblico è stato, spesso, pensato nella prospettiva di una trasposizione
di concetti dal primo al secondo, ma oggi sono maturi i tempi per avere un movimento in senso opposto6.
Non ci si può, in questa sede, trattenere sulle varie definizioni e
sui complicati problemi collegati agli studi sull’interesse legittimo7,
come situazione giuridica soggettiva vantata dal cittadino nei confronti della P.A., S.
MAZZAMUTO, La responsabilità, cit., p. 128. Su questi aspetti cfr. M. FRANZONI, I danni
da lesione di diritti e di interessi, in Resp. civ., 2011, p. 725. È da evidenziare che nella
traduzione italiana della direttiva 2005/29/Ce, in particolare nel considerando 21), si trova un espresso riferimento all’interesse legittimo e lo stesso dicasi quanto all’art. 275 del
cod. cons. ed al considerando 56) della direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori.
6
R. CAPONI, Azione di nullità, cit., p. 82. Si è parlato anche, sia pure in una prospettiva più ampia, di una sorta di ‹‹gestione amministrativa›› dei rapporti giuridici. Così M.
SANDULLI, Commento sub. art. 39, cit., p. 288. Più in generale sui rapporti tra diritto privato e diritto pubblico, si vedano M. GIORGIANNI, Il diritto privato e i suoi attuali confini, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1961, p. 391; S. PUGLIATTI, Diritto pubblico e diritto privato, in Enc. dir., Milano, 1964, XII, p. 1; S. RODOTÀ, Ipotesi sul diritto privato, in S.
RODOTÀ (a cura di), Il diritto privato nella società moderna, Bologna, 1971, p. 9; P. FEMIA, Interessi e conflitti culturali nell’autonomia privata e nella responsabilità civile,
Napoli, 1996, p. 134; N. IRTI, Economia di mercato e interesse pubblico, in Riv. trim.
dir. proc. civ., 2000, p. 438; P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale,
cit., p. 144; S. CASSESE, Tendenze e problemi del diritto amministrativo, in Riv. trim. dir.
proc. civ., 2004, p. 901; G. NAPOLITANO, L’attività amministrativa ed il diritto privato,
in Giornale di dir. amm., 2005, p. 881; F. MERUSI, Il Diritto privato della pubblica amministrazione alla luce degli studi di Salvatore Romano, Milano, 2007, p. 49. Quanto
alla necessità di una ridefinizione critica dei confini tra pubblico e privato, si vedano N.
LIPARI, Le fonti del diritto, Milano, 2006, p. 55; F. GALGANO, La forza del numero e la
legge della ragione. Storia del principio di maggioranza, Bologna, 2007, p. 157; F. LUCARELLI e L. PAURA, Diritto privato e diritto pubblico. Il vento non sa leggere, Napoli,
2008, p. 48; G. MARINI, Distribuzione e identità nel diritto dei contratti, in Riv. crit. dir.
priv., 2010, p. 92; F. CAFAGGI, La responsabilità dei regolatori privati. Un itinerario di
ricerca tra mercati finanziari e servizi professionali, in Studi in onore di Nicolò Lipari, I,
cit., p. 261; A. ALPA e G. CONTE, Riflessioni, cit., p. 149 ricordano che la distinzione diritto pubblico/diritto privato non è apprezzata dal giurista di common law e che è ormai
in crisi in quasi tutti i paesi che pure tradizionalmente la riconoscevano.
7
Sul punto si rimanda a M.S. GIANNINI, Discorso generale sulla giustizia amministrativa, in Riv. dir. proc., 1963, p. 522; M. NIGRO, Giustizia amministrativa, Bologna,
1976, p. 115; E. CANNADA BARTOLI, Interesse, cit., p. 21; F.G. SCOCA, Contributo sulla
figura dell’interesse legittimo, Milano, 1990, p. 2. Più di recente cfr. L. MAZZAROLLI,
Ancora qualche riflessione in tema di interesse legittimo, dopo l’emanazione del codice
PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE E RIMEDI
123
ma solo preme soffermarsi sulla circostanza che l’interesse legittimo
prescinde dalla dimensione meramente individuale perché la sua tutela
realizza, contemporaneamente, il buon andamento e il corretto funzionamento dell’attività con la quale l’interesse privato entra in contatto.
Ebbene, nel tutelare l’interesse del consumatore alla correttezza delle
pratiche commerciali, si tutela, contemporaneamente, l’interesse generale al corretto funzionamento del mercato.
Non sarebbe la prima volta, d’altronde, che si riconosce, ai consumatori, la titolarità di interessi legittimi.
Si pensi ai significativi risultati di quella parte della dottrina che
ha indicato gli interessi lesi da illeciti antitrust come interessi legittimi
di diritto privato8 alla concorrenzialità del mercato9.
del processo amministrativo (a margine di un pluridecennale, ma non esaurito, profittevole dialogo con Alberto Romano), in Dir. proc. amm., 2011, p. 1207; F. MERUSI, Il codice del giusto processo amministrativo, ibidem, p. 9; V.S., GIACCHETTI, La rivoluzione
silenziosa del Codice di procedura amministrativa recita un requiem per l’interesse legittimo processo amministrativo, ibidem, p. 355; F.G. SCOCA, Attualità dell’interesse legittimo?, ibidem, p. 380; G. DI GIANDOMENICO, L’interesse legittimoe la sua lesione nel
pensiero di L. V. Moscarini, in Rass. dir. civ., 2011, p. 1346; M. MAZZAMUTO, A cosa
serve l’interesse legittimo, in Dir. proc. amm., 2012, p. 46. Sul rapporto tra interesse legittimo pubblicistico e interesse legittimo nel diritto privato si vedano L. BIGLIAZZIGERI, Interesse legittimo, cit., p. 249; E. NAVARRETTA, Forma e sostanza dell’interesse
legittimo nella prospettiva della responsabilità, in U. BRECCIA, L. BRUSCUGLIA, F.D.
BUSNELLI (a cura di), Il diritto privato, cit., p. 322; D. POLETTI, La risarcibilità
dell’interesse legittimo: senso e limiti di una regola, ibidem, p. 368.
8
Cfr. P. IANNUCCELLI, Il private enforcement del diritto della concorrenza in Italia,
ovvero può il diritto antitrust servirisi del codice civile, in Società, 2006, p. 784; E. SCODITTI, Il consumatore e l’antitrust, cit., c. 1127, ove si afferma che i consumatori, privi di
diritti in senso tecnico dal punto di vista dell’antitrust, sarebbero quanto meno portatori
di un interesse legittimo al rispetto da parte dell’impresa delle norme d’azione stabilite
dalla legge sulla concorrenza. In argomento si rimanda a M. LIBERTINI, Ancora sui rimedi civilistici conseguenti a violazione di norme antitrust (II), in Danno resp., 2005, p.
243; G. MAGRI, Gli effetti della pubblicità ingannevole sul contratto concluso dal consumatore - Alcune riflessioni alla luce dell’attuazione della dir. 05/29 Ce nel nostro ordinamento, in Riv. dir. civ., 2011, p. 269; N. DELLA BIANCA, Illecito antitrust e la tutela
collettiva dei consumatori, in Resp. civ. prev., 2009, p. 277. F. FERRO-LUZZI, Regole del
mercato e regole nel mercato: due vasi non comunicanti, in Riv. dir. comm., 2007, p.
207, afferma che ‹‹i singoli partecipanti al gioco “mercato concorrenziale” rispetto alle
regole strutturali del sistema hanno un interesse che assume le vesti (beninteso, non il
contenuto) di un “interesse legittimo”.
9
Sui risvolti privatistici del diritto antitrust che confermano la stretta relazione tra
prospettiva microeconomica e macroeconomica, si rimanda a W. WURMNEST, A New
Era for Private Antitrust Litigation in Germany? A Critical Appraisal of the Modernized
Law against Restraints of Competition, in German Law Journal, 2005, p. 1181-1182; A.
M. KLEES, Breaking the Habits The German Competition law after the 7th Amendment
to the Act against Retraints of Competitions (GWB), in German Law Journal, 2006, p.
416; R. PARDOLESI, Il contratto e il diritto della concorrenza, cit., p. 16; N. DELLA BI-
124
CAPITOLO QUARTO
La valorizzazione dell’interesse legittimo, inoltre, ben si concilia
con il rilievo attribuito allo svolgimento dell’attività prima, e a prescindere, dalla dimensione dell’atto. Non è un caso, infatti, che proprio gli studiosi che hanno creduto nella necessità di essere attenti alla
dimensione dinamica dei fenomeni giuridici abbiano affermato che
«sarebbe tempo che, anche nel diritto privato si riconoscesse, non solo
in astratto, ma in concreto e in misura più larga di quella di solito
ammessa, l′esistenza di interessi legittimi, protetti giuridicamente come tali»10.
Il rilievo dell’interesse legittimo può apprezzarsi anche sul diverso
piano dell’oggettiva idoneità dell’attività – nella quale le pratiche
commerciali si sostanziano – ad incidere sulle decisioni negoziali dei
consumatori.
L’assenza del contratto non esclude, infatti, il rilievo anche di una
dimensione bilaterale e concreta dell’agire di quanti pongono in essere
una pratica commerciale. Il rilievo di questa dimensione rende necessario che, colui che pone in essere la sua attività, tenga conto − nel deANCA, Illecito antitrust, cit., p. 275. Ivi anche per i riferimenti alla Gesetz gegen Wettbewerbbeschränkungen ed ai Markbeteiliger (controparti di mercato) diversi dal Mitbewerben (concorrenti); A. PERA, La direttiva sulle pratiche commerciali sleali, cit., p. 511.
Quanto al rapporto tra politica antitrust e tutela della libertà di scelta del consumatore, si
vedano K J. CSERES, Competition law and Consumer Protection, Londra, 2005, p. 409;
R.H. LANDE e W. AVERITT, Consumer Sovereignty, cit., p. 713. Ivi il diritto antitrust e la
protezione del consumatore sono considerate due facce della stessa medaglia. In argomento cfr. C. OSTI, Abuso di posizione dominante e danno risarcibile, in Danno resp.,
1996, p. 105; V. BUONOCORE, Contratto e mercato, cit., p. 398; C. CASTRONOVO, Antitrust e abuso di responsabilità civile, ivi, p. 469; ID., Responsabilità civile antitrust: balocchi e profumi, ivi, 2004, p. 1165; M. LIBERTINI, Ancora sui rimedi civilistici conseguenti a violazione di norme antitrust, in Danno resp., 2004, p. 933; ID., Le azioni civili
del consumatore contro gli illeciti antitrust, in Corr. giur., 2005, p. 1093; ID., Ancora sui
rimedi civilistici (II), cit., p. 237; ID., Le misure cautelari amministrative nella disciplina
antitrust, in Riv. dir. ind., 2008, p. 5; E. SCODITTI, L’antitrust dalla parte del consumatore, in Foro it., 2005, c. 1014; G. OPPO, Categorie contrattuali, cit., p. 49; G. VETTORI, Le
asimmetrie informative, cit., p. 251. Sull’interesse giuridicamente rilevante dei singoli
consumatori alla competitività ed al corretto funzionamento del mercato si vedano Cass.
4 febbraio 2005, n. 2207, in Foro it., 2005, c. 1015, con nota di A. PALMIERI e R. PARDOLESI, L’antitrust per il benessere (e il risarcimento del danno) dei consumatori; Corte
giust. Ce, 13 luglio 2006, cause riunite C-295/04 e 298/04, in Guida dir., 2006, n. 30, p.
100; Cass. 2 febbraio 2007, n. 2305 in Foro it., 2007, c. 1097. Foriero di sviluppi interessanti è Libro Bianco in materia di azioni di risarcimento del danno per violazione delle
norme antitrust comunitarie, Bruxelles, 2 aprile 2008, COM (2008) 165, par. 2.1. Al riguardo cfr. A. MASTRORILLI, Autonomia privata, mercato e contratti d’impresa, in Riv.
crit. dir. priv., 2010, 124, M. GUERNELLI, Class action e competenza antitrust, in Dir.
ind., 2010, p. 249.
10
S. ROMANO, Scritti minori, Milano, 1980, p. 329.
PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE E RIMEDI
125
cidere circa il come del suo esercizio − dell’interesse correlato del
soggetto destinatario della stessa attività11. Tanto più che quando sono
poste in essere le pratiche commerciali, la tutela di specifici interessi
del consumatore dipende dai modi di svolgimento dell’attività da parte
del professionista12.
Anche da questo punto di vista, non stupisce il riconoscimento di
un interesse legittimo in capo al consumatore. Si pensi ai tentativi di
leggere ‹‹nel prisma dell’interesse legittimo›› la disciplina sulle clausole abusive13. Pure in siffatta ipotesi, la regola di buona fede impone
al professionista − in ragione dell’obiettivo affidamento che il consumatore ripone sulle modalità di svolgimento di attività idonee ad influenzare le sue decisione negoziali − di tenere conto della posizione
rivestita dal consumatore. Quest’ultimo ha interesse, infatti, ad essere
vincolato da un regolamento contrattuale il più conforme possibile a
quello che si sarebbe avuto in assenza della scorrettezza nell’attività
del professionista.
Il riconoscimento di un interesse legittimo del consumatore ad un
corretto svolgimento delle pratiche commerciali è coerente con la
stretta correlazione, individuata in questa sede, tra la logica delle trattative e quella presupposta dalle nuove norme in oggetto14.
La tradizione, infatti, ha più volte ammesso la configurabilità di
un interesse legittimo anche nel corso delle trattative, precorrendo i
11
Nel ricordare l’insegnamento di Lina Bigliazzi-Geri, A. ORESTANO, Formazione
del contratto e interesse legittimo del consumatore, in U. BRECCIA - L. BRUSCUGLIA F.D. BUSNELLI (a cura di), Il diritto privato, cit., p. 276 sottolinea che, nel delineare le
coordinate dell’interesse legittimo, occorre distinguere tra limiti interni e limiti esterni ad
una posizione di vantaggio. Nel primo caso si incide ab origine sul contenuto del potere,
segnando il confine oltre il quale il potere cessa. L’interesse legittimo si pone, invece,
come limite esterno imponendo di dare attuazione, nell’esercizio di un potere, anche
all’interesse altrui.
12
L. ROSSI CARLEO, Il mercato, cit., p. 167.
13
Cfr. A. ORESTANO, Formazione, cit., p. 272; P. SIRENA, La nuova disciplina delle
clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, ibidem, p. 283; S. PAGLIANTINI,
Poteri di modificazione unilaterale del rapporto contrattuale ed interesse legittimo nel
diritto privato, ibidem, p. 297.
14
Sulla opportunità di richiamare, anche nella tutela del consumatore, il dovere precontrattuale, già previsto nel codice civile, di comportarsi secondo buona fede si veda
A.M.P. VALLEJO, Deber general de información y proceso formativo del contrato de
consumo, in G. CAVAZZONI, L. DI NELLA, L. MEZZASOMA, V. RIZZO (a cura di ), Il diritto dei consumi. Realtà e prospettive, cit., p. 643. Ivi, in particolare, si propone di interpretare il disposto dell’art. 1258 del codice civile spagnolo in senso protettivo anche per
il consumatore.
CAPITOLO QUARTO
126
tempi ed anticipando una sensibilità che solo di recente sembra essere
condivisa15.
Inoltre, il danno da lesione di interesse legittimo può configurarsi
come danno sorto in occasione di un contatto sociale qualificato e,
come evidenziato in precedenza, altrettanto può dirsi per il danno da
responsabilità precontrattuale16 e per quello subito a causa di una pratica commerciale scorretta.
3. Complessità del quadro rimediale: DCFR, Feasibility Study e
Proposta di Regolamento relativa a un diritto comune europeo
della vendita
Dando adeguato rilevo alle modalità di svolgimento delle condotte
e all’interesse del singolo alla correttezza delle stesse, ci si accorge
che l’obiettivo dei rimedi posti a tutela del consumatore − nel caso di
pratiche commerciali scorrette − deve essere quello di tutelare l′inte15
Quanto al rapporto tra trattative e interesse legittimo si veda L. BIGLIAZZI-GERI,
Interesse legittimo, cit., p. 249. Diversa l’impostazione di L. MENGONI, Autonomia privata e Costituzione, in Banca, borsa, tit. cred., 1997, p. 9, per il quale le trattative sono
da considerare idonee a costituire un rapporto obbligatorio senza obbligazione primaria
di prestazione. L’esigenza di dare rilievo a questo particolare e possibile modo di essere del rapporto obbligatorio ha, da tempo, impegnato la dottrina, insoddisfatta, sia
dalla scelta di risolvere i problemi negando l’esistenza di un rapporto giuridico − e
invocando, conseguentemente, la responsabilità extracontrattuale − sia dall’opzione
che attribuisce particolare rilievo al profilo della prestazione e del suo inadempimento. Tale insoddisfazione è evidenziata da C. CASTRONOVO, La nuova responsabilità
civile, cit., spec. p. 443. Sul rapporto tra interesse legittimo e obbligazione senza
prestazione si veda S. AGRIFOGLIO, La sezioni unite tra vecchio e nuovo diritto pubblico, cit., p. 1251. L’Autore ritiene che ‹‹attraverso la (guadagnata) categoria delle
obbligazioni senza prestazioni, viene meno quella che era stata tradizionalmente vista come peculiarità dell’interesse legittimo, che lo contraddistingueva dal diritto
soggettivo: la sua strumentalità, il suo non concretarsi (o il suo non necessario concretarsi) nell’apprensione di un bene della vita››. Le diverse prospettive richiamate
suggeriscono che l’interesse alle modalità della condotta, se adeguatamente valorizzato, potrebbe essere di aiuto per connotare quella zona grigia tra inadempimento
della prestazione e illecito extracontrattuale, proprio partendo dall’analisi dell’art.
1337 c.c. che tradizionalmente ha oscillato tra tali due macroambiti. Quanto alle ipotesi difficilmente riconducibili e alla responsabilità contrattuale e a quella extracontrattuale cfr. F. GALGANO, Le mobili frontiere del danno ingiusto, in Contr. impr., 1985, p.
1; C. CASTRONOVO, Le frontiere nobili della responsabilità civile, in Riv. crit. dir. priv.,
1989, p. 616; F.D. BUSNELLI, Itinerari europei nella ‹‹terra di nessuno tra contratto e
fatto illecito››: la responsabilità da informazioni inesatte, in Contr. impr., 1991, p. 539;
A. DI MAJO, La tutela civile dei diritti, Milano, 2001, p. 197; ID., Profili, cit., p. 72.
16
Cfr. M. FRANZONI, Il contatto sociale, cit., p. 1693.
PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE E RIMEDI
127
resse del consumatore alla conformità della situazione nella quale costui si sarebbe trovato se non ci fosse stata la scorrettezza17.
La preoccupazione di porre il consumatore nella stessa situazione
nella quale si sarebbe trovato in assenza della scorrettezza muove il
primo provvedimento dell′Autorità giudiziaria ordinaria in materia di
pratiche commerciali scorrette. Il riferimento è a Trib. Roma, (ord.)
30.4.200818, ove si afferma che deve ritenersi pratica commerciale ingannevole, ai sensi dell’art. 21 c. cons., la condotta di Sky allorché ha
comunicato, in termini poco trasparenti, ai propri clienti che, se non le
avessero dato tempestiva disdetta dal servizio, sarebbe stato loro addebitato un corrispettivo per l’invio di una rivista fino a quel momento
spedita gratuitamente. Conseguentemente, il tribunale ha ordinato
all’impresa di riaccreditare, a tutti gli abbonati, l’intera somma percepita per la spedizione della suddetta rivista, oltre agli interessi. La dottrina ha avuto modo di segnalare che «un provvedimento come quello
in discussione, pur concepito «a tutela degli interessi collettivi dei
consumatori e degli utenti» (art. 140, 1° co., c. cons.), si risolve, in
concreto, in una sorta di ripristino della situazione in cui i singoli consumatori si sarebbero trovati, ove la pratica commerciale scorretta non
fosse stata posta in essere»19.
Il ripristino di conformità della situazione nella quale il consumatore si sarebbe trovato in assenza di scorrettezza presenta delle diversità a seconda che la pratica commerciale sia stata causa della mancata
conclusione di un contratto o delle condizioni contrattuali.
Nella prima ipotesi è assente un obbligo di prestazione. Quest’ultima,
infatti, manca per definizione. Diversamente accade in presenza di un
contratto valido20; ipotesi nella quale l’esistenza dell’obbligo di prestazione21 non è dato trascurabile22.
17
Si pensi, per esempio, ad una pratica ingannevole che si sostanzi nella pubblicità
ingannevole. La soluzione del ripristino di conformità sarebbe coerente con la previsione
degli art. 129 e 130 cod. cons. Cfr. M.R. MAUGERI, Pratiche, cit., p. 270; V. MELI, Le
pratiche sleali ingannevoli, cit., p. 54; J. STUYCK, E. TERRYN, T. VAN DYCH, Confidence
through fairness? The new directive on unfair business-to- consumer commercial practices in the internal market, in Comm. Market L. Rev., 2006, p. 135.
18
Foro it., 2008, I, 2688 ss.
19
C. GRANELLI, Il codice del consumo, cit., p. 731.
20
F. GALGANO, Trattato di diritto civile, II, Padova, 2010, p. 567.
21
Cfr. Cass., 10 giugno 2005, n. 12313, in Giur. it., 2006, p. 1389. Ivi si specifica
che quando non è stato stipulato il contratto, non può essere dovuto un risarcimento equivalente a quello conseguente all’inadempimento contrattuale, mentre, essendosi verificata la lesione dell’interesse giuridico al corretto svolgimento delle trattative, il danno
risarcibile è unicamente quello consistente nelle perdite che sono derivate dall’aver fatto
128
CAPITOLO QUARTO
In ogni caso, però, il ripristino della conformità presuppone che si
dia adeguato rilievo all’interesse a non subire la condotta scorretta e al
relativo soddisfacimento o risarcimento23.
Occorre a questo punto fare ulteriori precisazioni.
Il risarcimento dell’interesse negativo ha assunto rilievo, in questa
sede, come uno dei possibili modi per ripristinare, a vantaggio del
consumatore, quella situazione nella quale si sarebbe trovato in assenza di una pratica commerciale scorretta. D’altronde − ragionando sulla
circostanza che il risarcimento del danno altro non è se non il riflesso
dell’oggetto dell’interesse leso − deve ritenersi che alla lesione
dell’interesse contrattuale negativo faccia riscontro una prestazione
risarcitoria intesa a porre il danneggiato nella stessa situazione nella
quale si sarebbe trovato ove non avesse iniziato la trattativa24, perso
altre occasioni favorevoli25 e affrontato inutilmente spese e sacrifici
per la conclusione del contratto.
L’ammissibilità del diritto del consumatore al risarcimento del
danno da interesse negativo non esclude che costui possa aver subito
ulteriori danni o che ci possano essere altre forme di tutela. Quanto a
queste ultime, può pretendersi che al professionista siano imposte le
stesse obbligazioni che il consumatore si sarebbe ragionevolmente aspettato in assenza della pratica scorretta. In questa direzione, offe
spunti di particolare interesse l’art. II-3:109 del Draft Common Frame
of Reference. Ivi si legge, infatti, che if a business has failed to comply
with any duty imposed by the preceding Articles of this Section and
affidamento nella conclusione del contratto e nei mancati guadagni verificatisi in conseguenza delle altre occasioni contrattuali perdute, cosiddetto interesse negativo. In direzione analoga Cass., 23 febbraio 2005, n. 3746, in Vita not., 2005, p. 977, ove si afferma
che «in tema di responsabilità precontrattuale la liquidazione del danno va operata applicando l’art. 1223 c.c., essendo pertanto riconoscibili sia il danno emergente, sia quello da
lucro cessante. La liquidazione deve, peraltro, avvenire tenendo conto delle caratteristiche di detta responsabilità, onde non possono essere risarciti i danni che sarebbero derivati dall’inadempimento del contratto, atteso che quest’ultimo non si è concluso e che
l’interesse leso – cioè l’affidamento – consiste nel cosiddetto “ interesse negativo”».
22
Cfr. F. BENATTI, La responsabilità precontrattuale, cit., p. 149.
23
Sulla circostanza che il risarcimento del danno si determina in relazione
all’interesse a non subire la condotta scorretta si rinvia a C. CASTRONOVO, Vaga culpa in
contrahendo, cit., p. 36.
24
Cass., 23 febbrajo 2005, n. 3746, cit., evidenzia che l’art. 1337 c.c. tutela non tanto l’interesse a perfezionare la trattativa quanto quello a non averla iniziata.
25
La perdita dei guadagni che sarebbero conseguiti da altre occasioni contrattuali,
sia la relativa valutazione comparativa, devono essere sorrette da adeguate deduzioni
probatorie della parte che si assume danneggiata. Sul punto cfr. Cass., 3 ottobre 2005 n.
19883, in Banche dati DeJure/Giuffrè.
PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE E RIMEDI
129
a contract has been concluded, the business has such obligations
under the contract as the other party has reasonably expected as a
consequence of the absence or incorrectness of the information26.
Quanto al piano risarcitorio, invece, quando si configura una pratica commerciale scorretta, per definizione, ci si trova di fronte ad una
azione, omissione o condotta contraria alla specifica competenza ed
attenzione che ragionevolmente i consumatori attendono da un professionista nei loro confronti, rispetto ai principi generali di correttezza e
buona fede in uno specifico settore di attività.
La prima valutazione da fare è se tali azioni, omissioni o condotte,
per le modalità del loro svolgimento, abbiano provocato dei danni;
danni che ben possono prescindere, come nel caso dell’art. 1337 c.c.,
dalla mancanza di un obbligo di prestazione e dalla relativa infrazione.27 È, dunque, da superare qualsiasi impostazione che faccia dipendere la tutela del consumatore esclusivamente dalla violazione del
suddetto obbligo. Altrettanto limitativo sarebbe occuparsi dei rimedi
avendo come unico riferimento le vicende della prestazione.
Occorre, piuttosto, partire dalla individuazione dei danni che
sono conseguenza immediata e diretta della scorrettezza dell’altrui
attività28.
I suddetti danni, ove adeguatamente provati, devono essere integralmente risarciti al fine di garantire una adeguata tutela del consumatore.29 Indicativo in tal senso è il già citato art. II-3:109 del Draft
26
Sui problemi interpretativi posti da tale norma si rimanda a M. LEHMANN, Die
Zukunft , cit., p. 712. Ivi ci si sofferma sullo sforzo sistematico compiuto dagli autori
del DCFR e sulla pluralità dei rimedi proposti dall’articolo in oggetto. Sia consentito
inoltre rinviare a S. TOMMASI, Neue Entwicklungen zum Thema culpa in contrahendo,
cit., p 299.
27
Cfr. H. COLLINS, The Unfair Commercial Practices Directive, in Eur. Rev. Contr.
L., 2005, p. 426; Per l’analisi delle alternative in tema di rimedi esperibili dai singoli
danneggiati da una pratica commerciale scorretta cfr. G. DE CRISTOFARO, Le conseguenze privatistiche, cit., p. 887. Ivi si rimanda anche per i riferimenti ai diritti nazionali dei
paesi UE che hanno optato per una soluzione in termini di risarcimento; G. VETTORI, Diritto privato, cit., p. 160, sottolinea che il risarcimento è il mezzo per correggere il risultato lesivo dovuto al contegno scorretto. Anche se con specifico riferimento ai danni
provocati al consumatore da una pubblicità ingannevole, sul rimedio della responsabilità
precontrattuale, si veda G. MAGRI, Gli effetti della pubblicità ingannevole, cit., p. 281.
28
Per un’attenta analisi del rilievo del nesso di causalità nella determinazione del
danno risarcibile in tema di responsabilità precontrattuale si rinvia a G. AFFERNI, Il
quantum del danno, cit., p. 93.
29
C. TURCO, L’interesse negativo nella culpa in contrahendo, cit., p. 176 ricorda
che, pur nel risarcimento del danno precontrattuale, le componenti da valutare sono sempre quelle del danno emergente e del lucro cessante. Da ultime sul punto cfr. le note sen-
130
CAPITOLO QUARTO
Common Frame of Reference, e segnatamente, il terzo comma, ove si
prevede che l’ambito del risarcimento del danno per violazione degli
obblighi precontrattuali di informazione comprende ‹‹any loss caused
to the other party to the negotiations››30.
Sui Remedies for breach of information duties si sofferma anche il
Feasibility Study, pubblicato nel Maggio 2011 dalla Commisione Europea31 e del quale si è avuta un’ulteriore versione il 19 agosto 201132.
Il riferimento è, in particolare, all’art. 30, ove si legge che where a
party has failed to comply with any duty imposed by Articles 14 to 29
and as a result a contract has been concluded which the other party
would not have concluded, or would not have concluded on the same
contract terms, the first party is liable for loss caused to the other
party by the failure. Articles 162, 163 and 164 apply with appropriate
adaptations.
tenze Cass., Sez. Un., 19 dicembre 2007, n. 26724, cit., p. 438; Cass., Sez. Un., 19 dicembre 2007, n. 26725, cit., p. 547. Ivi, in particolare, si afferma che nel caso di conclusione di un contratto valido, alla violazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona
fede segue un risarcimento del danno commisurato al minor vantaggio, ovvero al maggior aggravio economico prodotto dal comportamento contrario a buona fede, salvo che
sia dimostrata l’esistenza di ulteriori danni che risultino collegati a detto comportamento
da un rapporto rigorosamente consequenziale e diretto.
30
Sul punto cfr. M. LEHMANN, Die Zukunft, cit., p. 713; C. VON BAR, E. CLIVE, H.
SCHULTE-NÖLKE, H. BEALE, J. HERRE, J. HUET, M. STORME, S. SWANN, P. VARUL, A.
VENEZIANO, F. ZOLL, Principles, Definitions and Model Rules, cit., p. 192; S. TOMMASI,
Neue Entwicklungen, cit., p. 299.
31
In www.scotlawcom.gov.uk. Nella versione del maggio 2011, la disciplina dei
Remedies for breach of information duties era affidata all’art. 25. Ivi si prevede che
where a business has failed to comply with any duty to provide information under the
preceding Articles of this Chapter and a contract has been concluded, and as a result of
the incorrect information or the absence of information the other party reasonably
understood that the business was undertaking an obligation, the business will have that
obligation. In cases not falling within paraghraf (1), where a party has failed to comply
with any duty imposed by the preceding Articles of this Chapter and as a result a
contract has been concluded which the other party would not have concluded, or would
not have concluded on the same terms, the first party is liable for loss caused to the other
party by the failure.
32
Su questa versione cfr. AA.VV., Towards a European Contract Law, edited by
Reiner Schulze, Jules Stuyck, Munich, 2011; F. ADDIS, «Neoformalismo» e tutela
dell’imprenditore debole, in Obbl. contr., 2012, p. 6; G. ALPA, Il diritto contrattuale europeo: un cantiere aperto, in www.consiglionazionaleforense.it; M. FRANZONI, Dal codice europeo, cit., p. 353; V. PESCATORE, Forme di controllo, rapporti tra imprenditori e
ordine pubblico economico, in Obbl. contr., 2012, p. 166; H-W. MICKLITZ, Un futuro
“certo” per lo strumento opzionale in AA.VV., Trenta giuristi, cit., p. 48; A. ZACCARIA,
La Commissione sale in cattedra. Basta con i diritti nazionali, solo anticaglie: tutti a
scuola di “diritto comune europeo della vendita”, ibidem, p. 173.
PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE E RIMEDI
131
Nella norma non c’è, invero, il riferimento ad any loss ma solo a
loss caused to the other party by the failure. Il richiamo, inoltre, agli
articoli 162, 163, e 164, sebbene fatto with appropriate adaptations,
appare come limitativo della sfera dei danni risarcibili. Ciò nonostante, ai sensi dell’articolo in oggetto, la violazione dell’obbligo informativo implica il risarcimento non solo dell’interesse negativo ma anche
di quel danno subito per aver concluso il contratto a condizioni diverse
da quelle che si sarebbero accettate in assenza della violazione stessa.
Il Feasibility study rappresenta il precedente storico della citata
Proposta di Regolamento relativa a un diritto comune europeo della
vendita, COM (2011) 63533. Segnatamente, l’art. 28, della Proposta,
dispone che la parte, che fornisce informazioni, prima o al momento
della conclusione del contratto, deve adeguatamente assicurarsi che le
informazioni fornite siano corrette e non ingannevoli. Il successivo
art. 29 prevede, quale rimedio per la violazione degli obblighi di informazione, il risarcimento di qualsiasi danno causato all’altra parte
da tale violazione34. Ivi, si aggiunge, altresì, che il rimedio del risar33
Sul rapporto tra DCFR, Feasibility study e Proposta di Regolamento relativa a un
diritto comune europeo della vendita si sofferma M. MELI, Proposta di regolamento, cit.,
p. 193. Ivi si afferma che è come se la Commissione avesse dato mandato al gruppo di
esperti di estrapolare dal DCFR un sistema di diritto contrattuale comune da adoperare
quale sfondo per la regolamentazione del contratto di compravendita. C. CASTRONOVO,
La proposta, cit., p. 3, afferma che ‹‹si parla dei contratti e delle obbligazioni in generale,
della necessità che un diritto comune europeo dei contratti si instauri per superare le barriere che ancora si ergono contro l’affermazione di un mercato unico europeo, si fa riferimento conseguentemente al DCFR, che come abbiamo visto era un vero e proprio progetto di codice europeo dei contratti, ma poi il discorso scivola sulla vendita, come se
nella disciplina concernente quest’ultima si potesse concentrare tutto quanto affermato in
generale sulla necessità di un diritto comune dei contratti e delle obbligazioni. Questa
tendenza viene emergendo in maniera progressiva man mano che ci si avvicina all’attuale Proposta di direttiva: così, mentre nella Relazione allo studio di fattibilità si fa ancora menzione del DCFR, non ve ne è più traccia nel preambolo alla proposta di direttiva. D’altra parte, da quello che si legge in quest’ultimo non risulta per niente chiaro perché la Commissione alla fine si sia risolta a virare verso il profilo ridotto della vendita e
dei servizi accessori nonché della fornitura di materiale digitale. Ricordiamo quanto prima dicevamo: che cioè ancora il Gruppo di esperti che ha elaborato il contenuto essenziale della Proposta di direttiva fu istituito dalla Commissione con il compito di elaborare
un progetto di disciplina europea dei contratti››. Sul punto cfr. C. CASTRONOVO, L’utopia,
cit., p. 837.
34
N. ZORZI GALGANO, Dal codice europeo dei contratti, cit., p. 267, afferma che
l’esplicito riferimento a “qualsiasi danno” significa che ogni danno, sia se inteso come
danno emergente, sia se inteso come perdita di chances e mancato guadano, è reso oggetto di interesse contrattuale positivo, meritevole, per il diritto comune europeo sui contratti, di completa tutela e ristoro. L’Autrice sottolinea, altresì, che uno degli aspetti più importanti della Proposta di Regolamento – nuovo anche rispetto ai precedenti interventi
132
CAPITOLO QUARTO
cimento del danno non pregiudica l’applicazione di quanto previsto
dagli articoli 42, 48 e 49, riguardanti, rispettivamente, il diritto di recesso e l’annullamento del contratto per errore o dolo.
I dati normativi richiamati confermano che se c’è un danno direttamente connesso ad un comportamento precontrattuale contrario a
buona fede può esserci responsabilità ex art. 1337 c.c., anche se è stato
concluso un valido contratto35, e ciò vale anche per il consumatore.
Sui problemi relativi al rapporto tra responsabilità contrattuale e
conclusione di un contratto valido ci si è già soffermati. Preme, però, a
questo punto, sottolineare che le osservazioni proposte trovano conforto nel Draft Common Frame of Reference e, in particolare nell’art.
II-7:204, ove si riconosce espressamente il diritto al risarcimento del
danno da informazioni inesatte anche quando non vi sia alcun diritto
di annullare il contratto che, dunque, rimane valido36.
Nella prospettiva proposta l’an del risarcimento dipende dalla circostanza che i danni siano conseguenza immediata e diretta dello
svolgimento scorretto di un’attività connotata dall’essere: oggettivamente diretta ai consumatori; tale da determinare un contatto con la
loro sfera giuridica; idonea a falsare in misura rilevante il comportamento economico di quanti sulla correttezza dell’attività abbiano fatto
ragionevole affidamento.
È poi solo nella determinazione del quantum del risarcimento che
vengono in rilievo profili attinenti alla eventuale conclusione del contratto, alla sua validità o invalidità e agli obblighi di prestazione.
Non è da escludere, pertanto, che, nei casi di esecuzione di un
contatto valido, si possa subire un danno legato alla lesione di un interesse positivo37. La nozione di interesse negativo può, infatti, rivelarsi
incapace di abbracciare tutte quelle fattispecie in cui ad un comportacomunitari – è la previsione di norme dedicate ai rimedi per la violazione degli obblighi
di informazione.
35
G. GRISI, Informazione (obblighi di), in Enc. dir., cit., p. 601, avverte la necessità
di non sottovalutare che le regole di responsabilità sono idonee ad operare autonomamente rispetto alle regole di validità, anche se sovente sono richiamate per colmare i
vuoti lasciati dalle regole di validità. Quanto alle differenze tra il giudizio di annullamento dell’atto e il giudizio sul risarcimento cfr., di recente, M. FRANZONI, I danni da lesione
di diritti e di interessi, cit., p. 725. In particolare l’Autore si sofferma sull’atto amministrativo e sulle novità e le precisazioni implicate dall’art. 30, d.lg. 2.7.2010, n. 104, meglio noto come il «Codice del processo amministrativo».
36
Cfr. C. CASTRONOVO, Vaga culpa in contrahendo, cit., p. 36.
37
A. LUMINOSO, La lesione dell’interesse contrattuale negativo, cit., p. 799; F.
PROSPERI, Violazione, cit., p. 973, T. FEBBRAJO, La ‹‹nuova›› responsabilità, cit., p. 214.
PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE E RIMEDI
133
mento scorretto tenuto nella fase delle trattative abbia comunque fatto
seguito la conclusione di un contratto. E, non è un caso che tale consapevolezza vada di pari passo con il riconoscimento di un più ampio
ambito di applicazione dell’art. 1337 c.c.38.
Quanto alle norme che disciplinano la invalidità del contratto, le
stesse non assicurano che il consumatore sia posto nelle condizioni di
procurarsi sul mercato una prestazione uguale a quella che si sarebbe
avuta qualora non ci fosse stata la pratica scorretta.
Per esempio, si ipotizzi che si sia stipulato un contratto di viaggio
molto prima della partenza e che lo stesso, nell’imminenza di quest’ultima, venga dichiarato invalido in quanto si riconosca che la contrattazione sia conseguenza di una attività del professionista contraria
alla diligenza professionale e tale da falsare in misura apprezzabile il
comportamento del consumatore. Il turista potrebbe non trovarsi nella
condizione di riacquistare lo stesso pacchetto turistico, essendosi magari verificato, nel lasso di tempo intercorso, un notevole aumento delle tariffe aeree. Costui sarà adeguatamente tutelato se avrà diritto di
usufruire di un altro pacchetto turistico di qualità equivalente o se gli
verrà riconosciuto un risarcimento del danno pari alla somma che consente di procurarsi, anche in prossimità della partenza, un pacchetto
simile a quello precedentemente acquistato.
In questo modo, la tutela può essere più vantaggiosa di quella affidata ai tradizionali rimedi invalidanti. Conseguentemente, anche chi
pone in essere una pratica commerciale sarebbe disincentivato a comportarsi in modo contrario a buona fede, sopportando il rischio, non
solo di vedere invalidati i contratti conclusi, ma di dover mettere il
consumatore nella stessa situazione nella quale si sarebbe trovato in
assenza di scorrettezza.
La soluzione prospettata sembra adeguata anche dal punto di vista
dell’efficienza del sistema39, valorizzando la funzione deterrente delle
norme considerate e rivelandosi in linea con l’obiettivo dell’auspicata
convergenza tra protezione dei consumatori e strutturazione di un
mercato efficiente.
38
Era, infatti, coerente con il rigido legame tra responsabilità precontrattuale e
mancata conclusione del contratto, il risarcimento del solo interesse negativo. Per
una sintesi del ricco dibattito sul punto cfr., di recente, C. CARNICELLI, Risarcimento,
cit., p. 293.
39
Cfr. C. SCOGNAMIGLIO, Regole di validità, cit., p. 624.
CAPITOLO QUARTO
134
4. Limiti operativi dei rimedi invalidanti
I profili evidenziati non possono trascurarsi come se le regole
del contratto fossero idonee ad eliminare tutti gli effetti negativi di
un’eventuale condotta scorretta che lo preceda40.
La possibilità di ricorrere ai rimedi invalidanti non esclude la necessità di individuare e risarcire i danni conseguenti alle modalità di
svolgimento di condotte e attività. Si dovrebbe rinunciare, altrimenti, a
tutelare l’interesse del consumatore alla correttezza delle pratiche
commerciali idonee ad influenzare in misura rilevante le sue decisioni
negoziali.
Nella disciplina sulle pratiche commerciali si manifesta la riprovazione per il modo nel quale l’operatore commerciale svolge la sua
attività, ancor prima e indipendentemente dalla regola contrattuale.
L’invalidità, invece, riguarda ‹‹nient’altro che la ricostruzione razionale di tutte le ragioni per cui, e i conseguenti modi in cui, in un sistema giuridico è consentito contestare in tutto o in parte, nei confronti
di chiunque o solo di alcuni, dall’origine o da ora, per caratteristiche
del testo o del contesto negoziale, la regola contrattuale; e delle conseguenze che ne discendono circa chi può o deve o no fare cosa in base alla, o nonostante la, regola negoziale››41.
Si aggiunga che un eccessivo utilizzo delle categorie dell’invalidità ed un ampliamento delle stesse al fine di ricondurre nel loro alveo
la maggior parte dei comportamenti possibili potrebbe essere inadeguato. Verrebbe limitato, di fatto, l’ambito di applicazione e l’utilità
della nuova disciplina, che si caratterizza per la sua funzione di tutelare il consumatore non solo da ciò che lo induce ad assumere una decisione di natura commerciale che altrimenti non avrebbe preso, ma anche da ciò che sia semplicemente idoneo ad indurlo a prendere tale
decisione42.
La normativa necessita, quindi, di rimedi ex ante, preventivi e con
funzione deterrente e moralizzatrice; di ciò non possono farsi carico i
40
G. VETTORI, Regole di validità, cit., p. 2, afferma che ogni assetto di interessi va
esaminato come atto, in base ad una valutazione strutturale di validità e come insieme di
contegni formativi ed esecutivi in base ad una valutazione dinamica che può condurre ad
una pronuncia di responsabilità; ID., Anomalie e tutele, cit., p. 114.
41
Per questa ricostruzione della invalidità si veda A. GENTILI, Le invalidità, in P.
RESCIGNO e E. GABRIELLI (diretto da), Trattato dei contratti, II, Torino, 2006, Le invalidità, p. 1428.
42
Consiglio di Stato, 20 luglio 2011, n. 4391, cit.
PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE E RIMEDI
135
rimedi invalidanti che restano attivabili, e svolgono il loro importante
ruolo, solo quando ormai il contratto è concluso.
Occorre, dunque, non trascurare lo svolgimento della condotta e le
conseguenze della sua eventuale scorrettezza.
Alcune osservazioni sulle origini della disciplina relativa ai vizi
del consenso possono confermare quanto affermato e consentire di individuare, pur nelle novità, elementi di continuità con il passato.
Le vicende che hanno portato alla configurazione dei vizi del consenso, come oggi sono intesi e conosciuti, autorizzano a valorizzare
l’idea che gli stessi solo in origine rispondessero all’esigenza di sanzionare la condotta scorretta, per poi limitarsi a riguardare il profilo
dell’incidenza sugli elementi del contratto43.
I primi strumenti processuali contro comportamenti che oggi integrerebbero un vizio della volontà furono l’exceptio doli e l’actio de
dolo44. Nel diritto romano classico era estranea all’interprete l’idea del
dolo come ‹‹vizio intrinseco›› del negozio o come rimedio a tutela
della libera formazione della volontà della vittima. L’actio de dolo era
piuttosto diretta a sanzionare la condotta illecita dell’autore del raggiro; si trattava, infatti, di un’azione penale45.
Nel periodo giustinianeo, l’ambito di applicazione dell’actio non
riguardava più il solo raggiro malizioso, ma si estendeva fino a comprendere ogni ipotesi di condotta disonesta e sleale e − anche se in
questo periodo l’actio non perse la sua connotazione di azione penale
− si fecero i primi passi verso un sostanziale cambiamento dell’essenza del rimedio in esame. Quest’ultimo finì per essere diretto non
più, o non tanto, a sanzionare la condotta scorretta, ma gli effetti della
stessa sul contratto successivamente concluso46.
43
Cfr. M. MANTOVANI, «Vizi incompleti», cit., p. 125; G. PATTI e S. PATTI, Responsabilità precontrattuale e contratti standard, cit., p. 113; F. BENATTI, La responsabilità precontrattuale, cit., p. 62; G. VISINTINI, La reticenza, cit., p. 96; Cfr. R. ZIMMERMANN, The law of Obliagations. Roman Foundations of the Civilian Tradition, Oxford,
1996, p. 600.
44
P. LAMBRINI, Dolo generale e regole di correttezza, Padova, 2010, p. 69.
45
Sul punto, si veda M. MANTOVANI, «Vizi incompleti», cit., p. 40. In argomento si
rimanda a E. BETTI, Diritto romano, I, Parte generale, Padova, 1935, p. 225; A. VITA,
Dolo, in Nuovo Dig. it., Torino, 1938, V, p. 143; F. CASAVOLA, Dolo (dir. rom.), in
Noviss. Dig. it., Torino, 1960, VI, p. 149; G.I. LUZZARO, Dolo (dir. rom.), in Enc.
dir., Milano, 1964, XII, p. 715; M. BRUTTI, Invalidità (storia), in Enc. dir., Roma,
1972, XXI, p. 560.
46
M. MANTOVANI, «Vizi incompleti», cit., p. 40, richiama l’attenzione sul fatto che
il carattere penale dell’actio doli viene alterato non poco dai compilatori, nel senso che
136
CAPITOLO QUARTO
L’esito di tale processo, accompagnato dall’esaltazione del dogma
della volontà, fu, dapprima, la distinzione tra dolo determinante e dolo
incidente e, poi, la concezione del dolo come vizio del volere47.
Alle soglie della codificazione del 1865, il carattere riprovevole
della condotta finì per caratterizzare soltanto il dolo incidente che non
raggiungeva la soglia che consentiva l’annullamento dell’atto48.
Le suindicate vicende consentono di evidenziare che la disciplina
dei vizi del consenso è funzionale ad una logica diversa da quella delle
pratiche commerciali, per ragioni analoghe a quelle richiamate con riferimento alle trattative ex art. 1337 c.c. Queste ultime, infatti, si collocano in una dimensione che ha un rilievo anche autonomo da quello
dell’atto in vista del quale sono poste in essere. I problemi in tema di
vizi della volontà, invece, presuppongono necessariamente l’atto e si
pongono, dunque, su un piano statico e differente49.
L’art. 1337 c.c. valorizza la necessità di non appiattire le vicende
delle condotte che precedono il contratto a quelle che riguardano lo
stesso, palesando che, oltre alle norme rigide sui vizi del consenso,
coesiste ed opera una regola duttile alla quale potrebbe ricondursi anche l’imposizione di non usare pratiche sleali, ingannevoli o aggressirispetto all’esigenza di punire chi ha ordito l’inganno prevale il profilo della tutela patrimoniale della vittima, l’esigenza cioè di ristabilire l’equilibrio nel patrimonio del danneggiato.
47
M. MANTOVANI, op. loc. ult. cit.; L. MENGONI, “Metus causam dans”, cit., p. 25,
dopo un’attenta analisi dei problemi relativi al dolo e alla violenza nel diritto romano e
intermedio, nota che nel diritto moderno i termini della questione sono necessariamente
cambiati ‹‹è scomparso il sistema romano delle restitutiones in cui finirono per essere
assorbite le azioni de dolo e metus causa›› che erano rimedi ad subveniendum laeso, e
come tali colpivano solo indirettamente il negozio viziato, attraverso la rimozione totale
o parziale dei suoi effetti. Oggi la rilevanza del dolo o del timore, in ordine alla sorte del
negozio, non si ricollega al concetto obiettivo di lesione, bensì al vizio della volontà per
sé considerato, di guisa che dolo o violenza esercitano un’efficacia direttamente invalidatrice dell’atto››. A. GENTILI, Le invalidità, cit., p. 1412, afferma che la teoria moderna
dell’invalidità è stata elaborata nel momento in cui si è diffusa ed ha trionfato, con l’idea
del negozio, la teoria dell’atto di volontà, sul presupposto teorico della produzione di effetti giuridici a mezzo del volere. Sul punto cfr. R. TOMMASINI, Invalidità (diritto privato), in Enc. dir., Milano, 1972, XXII, p. 575.
48
Quanto alle scelte del legislatore italiano, anche a confronto con quelle tedesche e
francesi, cfr. G.B. FERRI, Appunti sull’invalidità del contratto (dal codice civile del 1865
al codice civile del 1942) in Riv. dir. comm., 1996, p. 367.
49
Il dato è in linea con il pensiero di S. ROMANO, Buona fede, cit., p. 680. L’Autore
considera regole di validità quelle attinenti alla struttura della fattispecie e le ritiene, pertanto, statiche, mentre le regole di condotta riguardano una fase dinamica. Ivi si rimanda
anche per l’attenzione alla necessità di conferire alla buona fede un aspetto attivo e dinamico. Tale insegnamento è ribadito, di recente, da N. SAPONE, La responsabilità precontrattuale, cit., p. 82.
PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE E RIMEDI
137
ve50. In ciò può ravvisarsi un ulteriore elemento di collegamento con
la nuova normativa degli articoli dal 18 al 27 quater cod. cons. Ivi, la
fase che precede la formazione del contratto non ha un ruolo meramente ancillare al contratto, ma è considerata momento strategico.
L’attività posta in essere dal professionista in tale fase, condiziona, infatti, le sue responsabilità per l’intero ciclo del rapporto, anche se non
si arriva alla conclusione del contratto.
5.
Pratiche commerciali scorrette e vizi del consenso
Oltre alle conseguenze segnalate, in termini di possibili e adeguati strumenti di tutela, ci sono ulteriori implicazioni con riferimento ai
tradizionali rimedi invalidanti.
Le norme sulle pratiche commerciali si limitano a sancire che non
è pregiudicata l’applicazione del diritto contrattuale, in particolare delle norme sulla formazione, validità o efficacia di un contratto. Nulla si
prevede con riferimento ai rimedi, così che, pure rispetto a questi, il
diritto nazionale non dovrebbe essere pregiudicato51.
Tale scelta non è esente da critiche52.
Si è notato, infatti, che, in questo modo, sono a rischio gli obiettivi
dell’armonizzazione massima perseguiti dalla direttiva. L’armonizzazione totale è prevista solo per quanto attiene alla disciplina dei diritti
sostanziali, mentre viene poi abbandonata laddove si passi a disciplinare i
rimedi conseguenti alla violazione di tali diritti. Alla totale armoniz50
Cfr. G. VETTORI, Regole di validità, cit., p. 2. Il richiamo alla buona fede avrebbe
potuto essere il canale attraverso il quale dare rilievo ad una vasta gamma di condotte
scorrette e sleali, la cui sanzione avrebbe potuto ricercarsi su un terreno diverso da quello
dell’invalidità e sulla base del solo dato costituito dalla violazione della buona fede nella
fase che precede la conclusione di un contratto. Sul punto, soprattutto con riferimento
alla codificazione francese, cfr. M. MANTOVANI, «Vizi incompleti», cit., p. 67. S. SANGIOVANNI, Commento a Cass. 19-12-2007 n. 26724 e 26725, cit., p. 237, afferma che il
contenuto dell’art. 1337 c.c. non può essere predeterminato in maniera precisa, ma certamente implica il dovere di trattare in modo leale.
51
Con riferimento alle implicazioni legate a tale previsione cfr. E. GUERINONI, Pratiche commerciali scorrette. Fattispecie e rimedi, Milano, 2010, p. 145; N. ZORZI GALGANO, Il contratto di consumo, cit., p. 163.
52
Scelta, tra l’altro, confermata anche in recenti provvedimenti; basti pensare alla
Direttiva 2011/81/UE sui diritti dei consumatori e, in particolare, a quanto previsto dal
considerando 2) e 14). Sul punto cfr. V. MAZZAMUTO, La nuova direttiva, cit., p. 861; L.
ANTONIOLLI, Contratti del consumatore, cit., p. 220; V. MAZZAMUTO e A. PLAIA, I rimedi nel diritto privato europeo, Torino, 2012.
CAPITOLO QUARTO
138
zazione si contrappone, infatti, l’estrema libertà concessa ai singoli
Stati nel definire i rimedi per contrastare le pratiche scorrette53.
Si aggiunga, inoltre, che, pure se i tradizionali rimedi invalidanti
fossero adeguati per la tutela in concreto degli interessi del consumatore danneggiato da una pratica commerciale scorretta, la loro applicazione non potrebbe non risentire dell’incidenza e del rilievo giuridico
delle regole dell’attività54. Quest’ultima deve essere osservata in due
momenti differenti e, segnatamente, nel suo svolgersi, e cioè in una
dimensione ex ante, ma anche ex post potendo avere ricadute sulla disciplina degli atti che rappresentano l’esito del suo svolgimento.
Nell’analisi di tale ultima dimensione occorre considerare che la configurabilità dei vizi del consenso può risentire della circostanza che la
volontà di una delle parti sia condizionata dalla rappresentazione della
prestazione fatta da un soggetto professionista55.
Non si può escludere, dunque, che un contratto stipulato a seguito
di una pratica commerciale possa essere annullato per il configurarsi
di un vizio del consenso56; nell’individuazione dello stesso, però, e nel
53
In questo senso A. COSTA, Pratiche commerciali sleali e rimedi: i vizi della volontà, in E. MINERVINI e L. ROSSI CARLEO (a cura di), Le pratiche commerciali sleali.
cit., p. 249; F. PIRAINO, Diligenza, cit., p. 1120. Si sofferma sulla incompletezza della
armonizzazione massima della direttiva sulle pratiche commerciali V. DI CATALDO,
Conclusioni, cit., p. 335. Sulle problematiche inerenti la scelta dell’armonizzazione massima nelle iniziative comunitarie più recenti cfr. M. GORGONI, Sui contratti di finanziamento dei consumatori, di cui al capo II titolo VI Tub, novellato dal titolo I del d.lg. n.
141 del 2010, in Giur. merito, 2011, p. 323; L. MINERVINI, Tutela dei consumatori, cit.,
p. 1169. Quanto ai problemi relativi alla difficoltà di conciliare armonizzazione massima
e mancanza di previsioni sui rimedi cfr. N. ZORZI GALGANO, Dal codice europeo dei
contratti, cit., p. 266; ID., Il contratto di consumo, cit., p. 111.
54
Con riferimento ai limiti della tradizionale categoria dei vizi del consenso a tutelare i contraenti deboli, cfr. L. DI DONNA, Obblighi informativi, cit., p. 160; G. MAGRI,
Gli effetti della pubblicità ingannevole, cit., p. 269; G. ALPA, Gli obblighi, cit., p. 902.
Sulla scorta di un’analisi comparata l’Autore afferma che occorre accogliere il principio
di relatività e cioè considerare non solo settore per settore il tipo di operazione contrattuale potenziale o effettivamente compiuta dalle parti, non solo il loro status, ma anche la
specificità delle regole da applicare rispetto ai rimedi di diritto comune, ‹‹i quali si debbono adattare alla fattispecie, piuttosto che non pretendere di esprimere direttive univoche e generali per tutte le situazioni››.
55
In senso contrario sembra la soluzione adottata, anche se prima delle recenti normative, dal Trib. Terni, 6 luglio 2004, in Giur. it., 2005, p. 1836, ove si utilizza la normativa sui vizi del consenso per disciplinare un caso di pubblicità ingannevole. Sul punto
cfr. S. PERUGINI, Pubblicità ingannevole e annullamento del contratto in Giur. it., 2005,
p. 1837.
56
M.R. MAUGERI, Pratiche, cit., p. 283. Ivi si afferma che il rimedio della annullabilità è meno ‹‹distonico›› rispetto a quello della nullità anche relativa. Sul punto
cfr. V. DI CATALDO, Conclusioni, cit., p. 342; M. NUZZO, Pratiche, cit., p. 240; C.
PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE E RIMEDI
139
delineare la concreta disciplina da applicare, occorre considerare alcuni aspetti che nella logica del codice sono invece dati per presupposti.
Nella nuova normativa, infatti, l’obiettivo di strutturare il mercato impone di regolamentare le modalità nelle quali deve esplicarsi l’attività
informativa posta in essere dal professionista57.
5.1. Errore provocato e dolo
Da quanto precedete può dedursi che, se il comportamento economico del consumatore è falsato in misura rilevante da una pratica
commerciale scorretta, ciò non è dovuto alla circostanza che costui sia
caduto in errore, quanto piuttosto al fatto che sia stato indotto in errore
da un professionista che ha guidato, in modo scorretto, il processo informativo. Si configura, in altri termini, una ipotesi non di errore
spontaneo ma provocato, e, in quanto tale, riconducibile più alla disciplina civilistica del dolo che a quella dell’errore58.
D’altronde il consumatore può valutare i propri interessi solo attraverso le informazioni che sono in possesso del professionista, il
GRANELLI, Le “pratiche commerciali scorrette” tra imprese e consumatori: l’attuazione della Direttiva “2005/29/CE modifica il codice di consumo, in Obbl. contr.,
2007, p. 779.
57
Cfr. S. MAZZAMUTO, Il contratto europeo nel tempo della crisi, cit., p. 601
58
Quanto al dolo come disciplina dell’errore provocato, necessariamente distinta da
quella dell’errore spontaneo, si rimanda a R. SACCO, Il contratto, I, cit., p. 547. In particolare, p. 548, l’Autore, con riferimento al dolo, afferma che è un termine ambiguo perché indica talora il carattere intenzionale della condotta illecita e talora il raggiro. In questa prospettiva si sostiene che ‹‹i termini con più significati dovrebbero essere evitati;
perciò preferiremo indicare il dolo che vizia il consenso con il termine raggiro. Il raggiro
è un fatto che determina il vizio del consenso del contraente; il vizio vero e proprio è dato dall’errore indotto dal raggiro››. Più di recente ID., Dolo omissivo e obbligo di informazione, in Dig. civ., Agg. VI, Torino, 2011, p. 356. Sui diversi significati del termine
dolo si rimanda a A. GENTILI, Le invalidità, cit., p. 1614. Ivi, si segnala che la formula
adottata e la sedes materiae indicano come il legislatore abbia composto i due modi storicamente noti e tecnicamente possibili di intendere il dolo ‹‹come macchinazione (che
induce in una falsa rappresentazione) o inversamente come falsa rappresentazione (indotta). È evidente la prevalenza nel primo del profilo afferente all’illecito e nel secondo del
vizio del consenso. Coerentemente, là dove il primo profilo per definizione predomina
come nel dolo c.d. incidente è comminato un effetto risarcitorio, mentre dove predomina
il secondo è comminato un effetto invalidante››; ID., Dolo, cit., p. 4; Quanto alla necessità di valorizzare l’elemento intenzionale nella nozione di dolo si veda A. TRABUCCHI, Il
dolo, cit., p. 530. Di recente cfr. I. FEDERICI, Dolo incidente e regole di correttezza, Napoli, 2010, p. 49; M. DE POLI, Servono ancora i ‹‹raggiri, p. 927; ID., Il mezzi
dell’attività ingannatoria e la reticenza da: Alberto Trabucchi alla stagione della ‹‹trasparenza contrattuale››, in Riv. dir. civ., 2011, p. 647.
CAPITOLO QUARTO
140
quale ha più facilmente accesso alle fonti di conoscenza delle caratteristiche del bene59. Non si tratta, dunque, di una distorta percezione
della realtà da parte del consumatore, ma della distorsione della realtà
stessa ad opera del professionista; distorsione che, configurandosi già
nell’attività informativa, non rende nemmeno necessario l’artificio ad
personam60.
Si spiega, in questa prospettiva, anche il disposto dell’art. 275 cod.
cons. ove si prevede che incombe, in ogni caso, al professionista
l’onere di provare di non aver potuto ragionevolmente prevedere
l’impatto della pratica commerciale sui consumatori61. Nella stessa di59
G. GRISI, L’obbligo precontrattuale di informazione, cit., p. 88, segnala l’importanza di valutare il rapporto con un soggetto che svolge attività tecnico-professionale,
vieppiù se connotato da una forte componente fiduciaria. R. PARDOLESI, Dalla Pangea al
terzo contratto?, in Studi in onore di Nicolò Lipari, II, cit., p. 2156, afferma che ‹‹il consumatore si misura con un mondo estremamente complesso, che non conosce se non nelle sue parvenze epidermiche. Si trova ad interagire con un repeat player, il professionista
– alias imprenditore- che di quel mondo, delle sue pieghe, dei rischi connessi e delle corrispondenti opportunità, è di mestiere esperto conoscitore››. Il dato rilevato non esclude
la necessità di un comportamento collaborativo del soggetto che riceve le informazioni,
ma il rapporto tra diritto all’informazione e dovere di verifica delle informazioni muta a
seconda delle differenti possibilità di accesso alle fonti cognitive. Sul punto si vedano C.
ROSSELLO, L’errore nel contratto, Artt. 1427-1433, in Comm. cod. civ., Schlesinger, Milano, 2004, p. 187; A. GENOVESE, Il contrasto, cit., p. 200; V. MELI, L’applicazione, cit.,
p. 334; F. GRECO, Risparmio tradito e tutela: il “subbuglio” giurisprudenziale, in Danno
resp., 2007, p. 574; ID., Verso la contrattualizzazione dell’informazione precontrattuale,
in Rass. dir. civ., 2007, p. 1142; ID., Illecito del promotore e responsabilità della sim:
una storia senza fine, in Resp. civ. prev., 2012, p. 219; F. CEPPI, Il dolo nei contratti, Padova, 2001, p. 146; A. GENTILI, Informazione contrattuale, cit., p. 568; L. DELLI PRISCOLI, La diversa protezione di consumatore e imprenditore “debole” e il principio di
uguaglianza, Paper presentato in occasione del convegno su “La protezione dei soggetti
deboli tra Equità ed Efficienza” (Roma, Università di Roma Tre, 10-11 febbraio 2012),
in www.orizzontideldirittocommerciale.net; R. SACCO, Dolo omissivo, cit., p. 362.
60
Consiglio Stato, 22 giugno 2011, n. 3763, cit. afferma che la tutela dalle pratiche
commerciali ‹‹si raccorda al principio generale esplicitato all’art. 2, comma 2, lett. c bis)
(inserita dall’art. 2 d.lg. 23 ottobre 2007 n. 221), del “diritto” del consumatore
“all’esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e
lealtà”: principio che impone il rispetto del canone fondamentale della salvaguardia
dell’affidamento e dunque dell’ordinaria consapevolezza del destinatario della proposta
anche quando è ancora persona incerta››.
61
A. GENOVESE, L’enforcement e le tutele, cit., p. 235, giustifica l’inversione
dell’onere della prova con il criterio della prossimità in base al quale, come è noto, la
prova è addossata al soggetto che, data la situazione nella quale si trova, può meglio fornirla. Si aggiunge, però, che occorre considerare anche due fattori. Il primo è rappresentato dalle esigenze di riservatezza che pervadono le attività commerciali. Il secondo è
rappresentato dalla fluidità degli accadimenti economici e dalla connessa difficoltà di
acquisire la piena prova dei fatti. In giurisprudenza cfr. Consiglio di Stato, 20 luglio
PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE E RIMEDI
141
rezione si colloca il novellato art. 203 cod. cons. che fa carico al professionista di valutare la particolare vulnerabilità della pratica rispetto
a gruppi di consumatori a causa della loro infermità mentale o fisica,
età, o ingenuità, sia pure considerata nell’ottica del membro medio del
gruppo. È il professionista che può e deve rilevare se la sua attività sia
idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento del consumatore medio, non potendosi pretendere che gravi su quest’ultimo il
rischio dello svolgimento scorretto della pratica62.
Non può, però, farsi un rinvio sic et simpliciter alla discipina codicistica del dolo63, dovendosi altrimenti ammettere che sul piano della tutela individuale le nuove norme siano totalmente inutili.
Le previsioni legislative relative alle pratiche commerciali scorrette prescindono dal carattere determinante del consenso, dando rilievo
a quanto in qualsiasi modo sia idoneo ad influenzare il comportamento
economico del consumatore. Sono infatti trattati allo stesso modo i casi nei quali il consumatore non avrebbe preso la decisione e quelli nei
quali l’avrebbe assunta a condizioni diverse.
Il professionista, che si comporti scorrettamente, pone in essere
una pratica commerciale vietata in quanto idonea ad influenzare in misura apprezzabile il comportamento economico del consumatore, indifferentemente rispetto all’an o al quomodo della sua decisione.
Perde rilievo, dunque, la distinzione tra dolo determinante e dolo
incidente, non essendoci, nella disciplina sulle pratiche commerciali
scorrette, indicazioni che autorizzino tale distinzione ed un conseguente trattamento giuridico diverso64. Se ne trae conferma dalla definizione di decisione di natura commerciale della lettera m) dell’art. 18
cod. cons. che, infatti, non è relativa solo a se acquistare un prodotto,
2011, n. 4392, in Foro amm. CDS, 2011, p. 2535. Ivi si legge che ‹‹nemmeno si può
ammettere che l’onere di media diligenza comunque gravante sul consumatore che si accosta a un’offerta commerciale, possa essere esteso sino a far gravare sul destinatario
finale gli effetti di una pratica commerciale comunque ingannevole ed imporre in
capo a lui obblighi eccedentari rispetto a quelli propri di un comportamento mediamente avveduto››.
62
L’onere della prova a carico del professionista è previsto, di recente, anche dalla
direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori. Il riferimento è, in particolare, all’art. 6,
comma 9, ove si legge che l’onere della prova relativo all’adempimento degli obblighi di
informazione incombe sul professionista.
63
C. CAMARDI, Pratiche, cit., p. 408; C. GRANELLI, Le “pratiche commerciali scorrette”, cit., p. 782.
64
M.R. MAUGERI, Pratiche, cit., p. 276; E. BARGELLI, L’ambito, cit., p. 95; C.
CAMARDI, Pratiche, cit., p. 408; C. GRANELLI, Le “pratiche commerciali scorrette”, cit.,
p. 782.
CAPITOLO QUARTO
142
ma anche in che modo farlo e a quali condizioni. La necessità di verificare l’efficacia determinante rispetto alla scelta economica del consumatore è, inoltre, da escludere in tutte quelle situazioni riconducibili
all’elenco dell’art. 23 cod. cons.65.
5.2. Ingannevolezza della pratica commerciale e omissione di informazioni rilevanti
L’ingannevolezza di una pratica commerciale può risiedere anche
in omissioni, consistenti sia nel non fornire informazioni rilevanti per
il consumatore, sia nell’averle occultate, presentate in modo oscuro,
incomprensibile, ambiguo o intempestivo. Si tratta delle c.d. omissioni
ingannevoli ex art. 22 cod. cons.66.
I problemi relativi all’omissione di informazioni, all’occultamento
e alle modalità di presentazione delle stesse trovano in tale norma un
esplicito punto di riferimento, per lo meno nei casi nei quali ci sia a
monte lo svolgimento di un’attività da parte di un soggetto professionista67.
L’ art. 22 cod. cons. non si pone come una monade nel contesto
europeo ove si riscontra, infatti, particolare attenzione a chiarire
quando una parte sia tenuta a rivelare determinate informazioni. Si
pensi al DCFR ove si tenta di individuare un criterio limitativo delle
informazioni che si è tenuti a fornire, senza, per questo, ampliare il
catalogo degli obblighi di informazione o eliminare ogni sforzo di
autoinformazione della controparte. In questa direzione si segnala
l’art. II. – 3:101, rubricato Duty to disclose information about goods,
other assets and services, ove si prevede, al comma 1, che before the
conclusion of a contract for the supply of goods, other assets or
services by a business to another person, the business has a duty to
disclose to the other person such information concerning the goods,
other assets or services to be supplied as the other person can
reasonably expect, taking into account the standards of quality and
65
Sul punto di veda M. NUZZO, Pratiche, cit., p. 240. In senso critico M.R.
MAUGERI, Pratiche, cit., p. 283.
66
R. CALVO, Le pratiche, cit., p. 166; M. NUZZO, Pratiche, cit., p. 236; M.R.
MAUGERI, op. loc. ult. cit.; C. GRANELLI, Le “pratiche commerciali scorrette”, cit., p.
779; V. DI CATALDO, Conclusioni, cit., p. 342; C. CAMARDI, Pratiche, cit., p. 408.
67
Cfr. Consiglio di Stato, 21 settembre 2011, n. 5303, in Foro amm. CDS, 2011, p.
2874.
PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE E RIMEDI
143
performance which would be normal under the circumstances68.
Altrettanto significativo è l’articolo 3:102 del libro II, rubricato
Specific duties for businesses marketing to consumers. Ivi si legge che
where a business is marketing goods, other assets or services to a
consumer, the business has a duty not to give misleading information.
Information is misleading if it misrepresents or omits material facts
which the average consumer could expect to be given for an informed
decision on whether to take steps towards the conclusion of a
contract. In assessing what an average consumer could expect to be
given, account is to be taken of all the circumstances and of the
limitations of the communication medium employed. (2) Where a
business uses a commercial communication which gives the impression
to consumers that it contains all the relevant information necessary to
make a decision about concluding a contract, the business has a duty
to ensure that the communication in fact contains all the relevant
information69.
Nel DCRF c’è anche un esplicito riferimento alla reticenza dolosa
che è considerata causa di annullamento del contratto se riguarda
informazioni che secondo buona fede e correttezza o in base ad
obblighi di informazione precontrattuale si sarebbero dovuti comunicare. Si veda l’art. II.-7:205, ove si specifica che in determining
whether good faith and fair dealing required a party to disclose
particular information, regard should be had to all the circumstances,
including: (a) whether the party had special expertise; (b) the cost
to the party of acquiring the relevant information;(c) whether the
other party could reasonably acquire the information by other
means; and d) the apparent importance of the information to the
other party70.
68
Sul punto si veda M. LEHMANN, Die Zukunft, cit., p. 706. In senso critico alla generica affermazione in base alla quale l’informazione è un costo che non può essere imposto a una parte cfr. C. CASTRONOVO, Vaga culpa in contrahendo, cit., p. 25.
69
Sul coordinamento tra questa previsione e le norme in tema di pratiche commerciali scorrette si sofferma M. LEHMANN, Die Zukunft, cit., p. 707. Quanto all’attenuarsi,
già nei Principi del diritto contrattuale europeo, dell’idea di dare valore prevalente
all’autonoma ricerca delle informazioni relative all’affare, valorizzando piuttosto
l’obbligo di rilevazione di circostanze capaci di determinare in un senso o nell’altro
l’altrui volontà negoziale, si veda M. SERIO, La reazione dell’ordinamento ai vizi della
volontà, in S. MAZZAMUTO (a cura di), Il contratto e le tutele, cit., p. 294.
70
H. BEALE, Pre-contractual Obligations: The General Contract Law Background,
in Juridica international, 2008, p. 42. Ivi, riguardo l’art. II.-7:205 del DCFR, si afferma
che these articles serve as not just an example of a political compromise between two
opposing positions, however. We think they provide a more workable approach than do
144
CAPITOLO QUARTO
Il contenuto della norma in oggetto si presenta, in forma sostanzialmente analoga, nella già citata proposta di Regolamento relativa a
un diritto comune europeo della vendita71 e, segnatamente nell’art. 49,
ove si prevede che − ai fini di determinare se la buona fede e la correttezza prescrivano alla parte di rilevare una determinata informazione −
deve aversi riguardo a tutte le circostanze e in particolare: all’eventuale competenza specifica della parte; al costo al quale la parte può
ottenere l’informazione; alla facilità con cui l’altra parte può procurarsi le informazioni con altri mezzi; alla manifesta importanza dell’informazione per l’altra parte, ma anche alla natura delle informazioni e,
nel contratti tra professionisti, alle buone pratiche commerciali nella
situazione di cui trattasi.
Quanto evidenziato è di notevole interesse visto che la progressiva
espansione dei doveri di informazione, sia pure auspicata da parte della dottrina72, ha incontrato spesso delle difficoltà. Si afferma, infatti,
che non può configurarsi un obbligo generale di informazione73 e che
either of the extreme positions represented by English law, on one hand, and French law,
on the other. One sees here that the DCFR takes a compromise rule. We researchers
think that, were the European legislator ever to contemplate a directive to harmonise the
laws on the general duty of disclosure, this would be a good model, at least one from
which to start the negotiations that inevitably would take place on exactly what the rule
should say. Likewise, we think this would be an appropriate rule to include in an
‘optional instrument’, whether that were to be aimed at B-to-C contracts or at B-to-B
contracts.
71
COM (2011) 635 definitivo.
72
Cfr. G. VISINTINI, La reticenza, cit., p. 102 ss.; R. SACCO, Il contratto, I, cit., p.
555; P. GALLO, Asimmetrie, cit., p. 644.
73
Cfr. A. TRABUCCHI, Il dolo, cit., p. 526. Dimostrano dubbi circa l’esistenza di un
obbligo generale di informazione C. CARRERI, In tema di responsabilità precontrattuale,
cit., p. 467; V. DE LORENZI, Correttezza e diligenza precontrattuale: il problema economico, in Riv. dir. comm., 1999, p. 579; E. PELLECCHIA, Scelte contrattuali, cit., p. 6; G.
D’AMICO, La responsabilità precontrattuale, cit., p. 1042. L’Autore, p. 1044, critica anche la tesi di R. SACCO, Il contratto, I, cit., p. 428, pur affermando che si tratta del più
acuto e avvertito tentativo di dare fondamento all’obbligo generale di informazione. In
particolare, l’Autore rimprovera a Sacco la circolarità del ragionamento, affermando che
è evidente che si ha il diritto di conoscere in quanto nell’altra parte ci sia un obbligo di
comunicare, ma quest’ultimo obbligo sussiste solo in presenza di quel diritto. Ed è significativo, continua D’Amico, che Sacco, non riuscendo a trovare il criterio delimitativo
cercato, si sia reso conto che occorre ridimensionare l’affermazione di un obbligo di informazione avente carattere generale. G. D’AMICO, op. ult. cit., p. 1047, ritiene che il
richiamo ad un generale dovere precontrattuale di informazione ha senso se usato come
formula che allude ai casi nei quali la buona fede implica obblighi vari di informazione
previsti per lo più esplicitamente dal legislatore. In caso contrario «l’ammissibilità di un
siffatto obbligo − per la incertezza dei suoi confini, per la conseguente precarietà che esso determinerebbe sulla sorte dei contratti − va ancora oggi certamente negata». S. RODOTÀ, Appunti, cit., c. 1283, segnala la contraddizione con la quale inevitabilmente ci si
PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE E RIMEDI
145
ciascuna parte è pienamente legittimata a perseguire il suo personale
interesse nelle contrattazioni, sfruttando a pieno i vantaggi che le
derivino dall’eventuale maggiore conoscenza e competenza professionale74.
Pur nella complessità della problematica e nelle difficoltà legate
alle continue novità a livello europeo75, l’art. 22 cod. cons. pone un
punto fermo: non può negarsi che il grado di correttezza che l’ordinamento pretende da un professionista, il quale pone in essere una pratica commerciale, è esteso sino a comprendere le informazioni rilevanti delle quali il consumatore ha bisogno per prendere una decisione di
natura commerciale che altrimenti non avrebbe preso. Tali sono considerate, ai sensi dell’art. 225 cod. cons., quelle informazioni previste dal diritto comunitario e connesse alle comunicazioni commerciali, compresa
la pubblicità o la commercializzazione del prodotto.
L’omissione ingannevole non ha, dunque, lo stesso rilievo del
dolo omissivo che, come è noto, è oggetto tradizionalmente di vivaci
discussioni da parte di dottrina76 e giurisprudenza77, non sempre discontra se si afferma che i doveri di correttezza sono entrati a far parte del nostro ordinamento e, al tempo stesso, si ritiene che la loro violazione può fondare una domanda di
risarcimento solo quando si risolva pure nella violazione di un diritto altrui riconosciuto
da norme diverse da quelle che contemplano la buona fede. Un tale atteggiamento è ‹‹il
segno di un pensiero giuridico che, non avendo ancora compiuto una sufficiente elaborazione tecnica di un concetto, è propenso a liberarsene attraverso formule che lo privano
di ogni significato normativo››. Nello stesso senso M.L. LOI e F. TESSITORE, Buona fede,
cit., p. 22. Critico rispetto alla ricostruzione di G. D’Amico è M. DE POLI, Servono ancora i ‹‹raggiri››, cit., p. 915. In occasione del commento a Cass., 29 settembre 2005, cit.,
l’esistenza, nel nostro ordinamento, di un obbligo generale di informazione è criticata da
V. ROPPO e G. AFFERNI, Dai contratti finanziari, cit., p. 34.
74
Cfr. A. KRONMAN, Errore e informazione nell’analisi economica del diritto contrattuale, in Pol. dir., 1980, p. 289; Sulle diverse tesi al riguardo si vedano A. DE MAURO,
Violazione, cit., p. 98; F. GRECO, Informazione pre-contrattuale e rimedi nella disciplina
dell’intermediazione finanziaria,, Milano, 2010, p. 120; Sui problemi legati all’appropriazione e allo sfruttamento esclusivo dell’informazione e sui diversi parametri che
condizionano l’esigibilità dell’informazione nella dimensione del rapporto individuale e
nella dimensione standardizzata dei rapporti di massa, si rimanda a G. GRISI, Informazione (obblighi di), in Enc. dir., cit., p. 598.
75
Interessanti sono, sul punto, anche le problematiche inerenti il c.d. progetto
Drobnig, sul quale si vedano F. MACARIO, Garanzie personali, Torino, 2009, p. 71; M.
CUCCOVILLO, Garanzie personali e obblighi di informazione nei Principles of European
Law on personal Securities, in Contratti, 2009, p. 1060.
76
Nel senso della irrilevanza del dolo omissivo sono A. FEDELE, L’inefficacia del
contratto, Torino, 1983, p. 111 e A. TRABUCCHI, Dolo (dir. civ.), in Noviss. Dig. it.,
1960, VI, p. 150. V. PIETROBON, Errore, volontà e affidamento nel negozio giuridico,
Padova, 1990, p. 101. L’Autore afferma che è fondamentale, per l’intera dommatica dei
vizi del volere, che il dolo vizio consista in un positivo raggiro ai danni del contraente e
146
CAPITOLO QUARTO
sposte a ritenere che il dolo, come vizio della volontà, possa prescindere da un comportamento commissivo.
La normativa sulle pratiche commerciali scorrette, invece, ha una
funzione di semplificazione del giudizio di rilevanza del comportamento omissivo e dell’onere della prova che grava sul consumatore.
Nel contesto dei rapporti tra imprese e consumatori, infatti, l’omissione dei contenuti informativi o l’attuazione di uno dei comportamenti espressamente previsti devono considerarsi circostanze idonee
ad alterare la scelta del consumatore78.
non in un semplice dolo negativo; E. DELL’AQUILA, La correttezza, cit., 65. In senso
contrario si vedano G. VISINTINI, La reticenza, cit., p. 102 ss.; cfr. anche ID., Trattato
breve della responsabilità civile, Padova, 2005, p. 387. Tale posizione è criticata da V.
PIETROBON, op. cit., p. 101, nota 56; R. SACCO, Il contratto, I, cit., p. 555; ID., Raggiro,
in Dig. civ., Torino, 1997, XVI, p. 252; ID., Dolo omissivo, cit., p. 359. Per una sintesi
dei diversi orientamenti della dottrina sul punto cfr. R. SENIGAGLIA, Accesso alle informazioni, cit., p. 41. Circa i problemi relativi alla reticenza ingannevole nel diritto privato
europeo, si vedano R. CALVO, Le pratiche, cit., p. 181; A. M. MANCINI, La tutela del risparmiatore nel mercato finanziario, in Rass. dir. civ., 2007, p. 70. Ivi si precisa che la
problematica del dolo omissivo va esaminata non in generale ma con riferimento alle ipotesi nelle quali la legge o la particolare natura del negozio impongono un preciso obbligo di informare. Sul punto si rimanda all’insegnamento di N. COVIELLO, Manuale di
diritto civile italiano, Milano, 1929, p. 392.
77
Si veda Trib. Bologna, 18 dicembre 2006, n. 2821, in Diritto banca merc. fin.,
2007, p. 326. In senso contrario all’ammissibilità del dolo omissivo è gran parte della
giurisprudenza. Sul punto cfr. Cass., 20 aprile 2006, n. 9253, in Mass. Giust. civ., 2006,
p. 4; Cass., 12 febbraio 2003, n. 2104, in Orient. giur. lav., 2003, p. 260, ove si afferma
che pur potendo il dolo omissivo viziare la volontà e determinare l’annullamento del
contratto, tuttavia esso rileva a tal fine solo quando l’inerzia della parte contraente si inserisca in un complesso comportamento adeguatamente preordinato, con malizia od astuzia, a realizzare l’inganno perseguito. Più di recente, cfr. i diversi orientamenti di Cass.,
2 febbraio 2012, n. 1480, in Banche dati DeJure/Giuffrè; Cass., 31 maggio, 2010, n.
13231, in Giust. civ., 2010, p. 1863. Per una sintesi delle diverse prospettive sul punto, si
vedano T. FEBBRAJO, L’informazione ingannevole, cit., p. 263; N. SAPONE, La responsabilità precontrattuale, cit., p. 139.
78
In questi termini, M. NUZZO, Pratiche, cit., p. 241. Ivi si evidenzia la differenza
rispetto al sistema codicistico nel quale, secondo l’Autore, il semplice silenzio o la
reticenza non sono di per sé sufficienti ad integrare il dolo come vizio del consenso,
ogni volta che si limitino a non contrastare la percezione della realtà dell’altro contraente, essendo, invece, necessario che si inseriscano all’interno di una serie di circostanze e comportamenti volti nel loro insieme a determinare l’errore dell’altro
contraente. R. SACCO, Raggiro, cit., p. 225, avverte che occorre considerare a parte i
contratti nei quali un soggetto conosce la misura della propria prestazione solo attraverso le descrizioni fatte dalla controparte. A. CASAMASSIMA, Dolo, in P. CENDON (a
cura di), La responsabilità civile, Torino, 2006, p. 284, afferma che il dolo può essere integrato da una condotta omissiva qualora la contrattazione non avvenga inter
pares. In senso parzialmente critico su questa impostazione è N. SAPONE, La responsabilità precontrattuale, cit., p. 145.
PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE E RIMEDI
147
Non può individuarsi, dunque, una precisa corrispondenza tra i vari tipi di pratiche scorrette e i vizi della volontà, data la maggiore ampiezza delle prime che prevedono casi diversi da quelli che tradizionalmente legittimano una soluzione in termini di annullabilità79.
5.3. L’errore nella Proposta di Regolamento relativa a un diritto comune europeo della vendita
La logica presupposta dalle disposizioni del codice civile si differenzia sensibilmente da quella propria della normativa sulle pratiche
commerciali anche con specifico riferimento all’errore.
L’errore codicistico, come è noto, deve, essere essenziale e riconoscibile.
Quanto al requisito dell’essenzialità, il legislatore del 1942 perviene ad una definizione attraverso un’analisi casistica80. Nella nuova
79
Quanto al diverso ambito di operatività tra i rimedi previsti dalla disciplina sulle
pratiche commerciali scorrette e il rimedio individuale dell’annullamento si vedano L. DI
NELLA, Il controllo, cit., p. 281; M.R. MAUGERI, Pratiche, cit., p. 276. E. BARGELLI,
L’ambito, cit., p. 95, afferma che rispetto al dolo di cui al codice civile, la pratica commerciale sleale basata sulla falsità delle informazioni ha un’ampiezza maggiore; comprende, infatti, esplicitamente il dolo omissivo e comportamenti scorretti che non incidono sul consenso contrattuale o sulle sue modalità, ma sulle decisioni relative all’esercizio
dei diritti e delle tutele che derivano dal contratto. Quanto alla maggiore ampiezza dei
comportamenti sleali e aggressivi rispetto ai concetti codicistici di dolo e violenza si veda N. SCANNICCHIO, Ménage à Trois. Il codice del consumo italiano, cit., p. 2717. Con
particolare riferimento all’ampliamento dell’ambito di operatività della figura del dolo e
all’atipicità della condotta dolosa cfr. G. CRISCUOLI, La rèclame “non obiettiva” come
mezzo di inganno nella formazione dei contratti, in Studi in onore di Gioacchino Scaduto, I, Padova, 1970, p. 300 e in Riv. dir. ind., 1968, p. 22. In senso critico all’utilizzabilità
della disciplina dell’errore e del dolo per tutelare il contraente vittima di una pratica
commerciale scorretta cfr., sia pure con riferimento all’ordinamento spagnolo, A.M.P.
VALLEJO, Deber, cit., p. 657.
80
Sul punto cfr. M. BARCELLONA, Profili della teoria dell’errore nel negozio giuridico, Milano, 1962, p. 205; M. BESSONE, “Essenzialità” dell’errore, previsioni economiche e disciplina del contratto, in Riv. trim. dir. civ., 1972, p. 872; ID., Errore di valutazione economica, causa del contratto, giudizio di buona fede, in Riv. dir. comm., 1978,
I, p. 303; A. TRABUCCHI, Errore (dir. priv.) in Noviss. dig. it., Torino, 1975, VI, p. 150;
V. PIETROBON, Errore, volontà e affidamento nel negozio giuridico, cit., p. 430; A. GENTILI, Le invalidità, cit., p. 1614; V. ROPPO, Errore di valutazione economica, in Riv. dir.
comm., 1980, p. 303; F. MESSINEO, Dottrina generale del contratto, Milano, 1984, p. 85
E. MINERVINI, Errore sulla convenienza economica del contratto e buona fede precontrattuale, in Rass. dir. civ., 1987, p. 428; C. ROSSELLO, Errore nel diritto civile, in Dig.
civ., Torino, 1991, VII, p. 516; ID., L’errore nel contratto, cit., p. 92; P. GALLO, Buona
fede oggettiva e trasformazioni del contratto, cit., p. 247; G. AFFERNI, La responsabilità
148
CAPITOLO QUARTO
disciplina l’opzione per un elenco dettagliato è fatta dall’art. 21 cod.
cons. che, però, riguarda le azioni ingannevoli e sembra evocare non
l’errore, ma il dolo.
Si consideri, altresì, il ruolo centrale della clausola generale dell’art. 22 cod. cons. che, dunque, presuppone una scelta diversa da
quella dell’art. 1429 c.c. e dell’elenco ivi previsto81.
È soprattutto il requisito della riconoscibilità82 a non poter avere rilievo ove a monte ci sia lo svolgimento di una pratica commerciale scorretta. Non c’è bisogno, infatti, di interrogarsi sulla riconoscibilità quando
si tratta di errore indotto dalle modalità di svolgimento delle attività da
parte degli operatori economici e dalle informazioni trasmesse83.
D’altronde, l’art. 1431 c.c. è pensato per dare adeguata soluzione
al conflitto tra le ragioni dell’errante, che chieda di annullare il conprecontrattuale per violazione di obblighi di informazione, in G. VISINTINI, Trattato, I, cit.,
p. 740; R. DI RAIMO, Errore essenziale, in E. NAVARETTA e A. ORESTANO, Commentario del
Codice Civile. Dei contratti in generale. Artt. 1425-1469 bis e leggi collegate, Torino,
2011, p. 145. Per una ricostruzione della giurisprudenza sul punto cfr. M. GRONDONA, Gli
errori, in P.G. MONATERI, E. DEL PRATO, M. MARELLA, A. SOMMA, C. COSTANTINI (diretto
da), Manuale del nuovo contratto, Bologna, 2007, p. 330.
81
L. DI NELLA, Le pratiche, cit., p. 216; G. DE CRISTOFARO, Il divieto di pratiche
commerciali sleali, cit., p. 116.
82
Quanto alla riconoscibilità dell’errore R. SACCO, Il contratto, I, cit., p. 528 afferma che essa va misurata in astratto, mentre sono misurabili in concreto l’effettivo riconoscimento o il mancato riconoscimento dell’errore. Nel senso che la riconoscibilità
dell’errore debba dipendere da una sua adeguata manifestazione e cioè dalla creazione
di indici di apparenza relativi all’errore cfr. P. BARCELLONA, op. loc. ult. cit. In diversa prospettiva V. PIETROBON, L’errore nella dottrina del negozio giuridico, cit.,
p. 223. Ivi si distingue tra circostanze del contratto e qualità dei contraenti avvertendo che queste ultime riguardano un aspetto esclusivamente soggettivo, mentre nel
valutare le circostanze del contratto non bisogna avvalersi di un criterio solo soggettivo o solo oggettivo. Occorre, piuttosto giudicare i fatti secondo il criterio della intersoggettività. Ivi si afferma che ‹‹a differenza di quanto avveniva rispetto alla scusabilità, il legislatore ha indubbiamente tracciato una relazione tra le due parti contrapposte. Devono quindi essere presi in esame tutti i fatti che hanno avuto rilievo
nella relazione contrattuale; tutte le circostanze che, in maniera riconoscibile, abbiano interferito nell’attività scambievole delle parti, orientata alla formazione e alla
conclusione del contratto. La riconoscibilità di un errore dovrà essere giudicata in relazione a tutto il rapporto di trattativa e a tutte le comunicazioni che le parti si sono fatte
fin dal momento in cui si sono poste in contatto››. Sul punto cfr. C. SCOGNAMIGLIO, Regole di validità, cit., p. 627-628, anche se con specifico riferimento alla materia della
prestazione dei servizi di investimento e nel segno della valorizzazione del riferimento
alle circostanze del caso previsto all’art. 1429 n. 2 c.c. Quanto alla riconoscibilità
dell’errore intesa come strumento di cui si avvale il diritto per realizzare una forma
intermedia di tutela dei contrapposti interessi e come fenomeno opposto all’apparenza si
rimanda a A. FALZEA, Apparenza, in Enc. dir., Milano, 1958, II, p. 695.
83
Si veda A. GENTILI, Disinformazione, cit., p. 393.
PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE E RIMEDI
149
tratto, e l’interesse della controparte che vi si opponga, avendo legittimamente confidato nella sua validità84. Nella disciplina sulle pratiche commerciali non si avverte la necessità di tutelare il professionista
consentendogli di invocare la non riconoscibilità da parte sua dell’errore del consumatore. Ad avere rilievo è la scorrettezza dell’attività e la circostanza che la stessa falsi o sia idonea a falsare in misura
apprezzabile scelte di natura negoziale.
Spunti di particolare interesse possono trarsi da un confronto con
quanto previsto dalla citata Proposta di Regolamento relativa a un diritto
comune europeo della vendita, e segnatamente, dall’art. 48. Ivi, non ci
sono riferimenti alla riconoscibilità dell’errore ed è considerato rilevante
sia l’errore che abbia determinato la conclusione del contratto sia l’errore
che abbia comportato solo una diversità di condizioni contrattuali.
L’annullamento per errore, inoltre, può essere chiesto anche
quando l’altra parte abbia dato causa all’errore stesso o abbia determinato la conclusione del contratto viziato da errore omettendo di adempiere all’obbligo precontrattuale di informazione ai sensi del capo 2,
sezioni da 1 a 4. Il contratto è annullabile per errore, altresì, quando
una parte conosceva, o era ragionevolmente tenuta a conoscere, l’errore ed ha fatto sì che il contratto venisse concluso in base all’errore
stesso, omettendo le informazioni pertinenti, purché la comunicazione
di tali informazioni fosse richiesta dal principio di buona fede e correttezza, oppure è incorsa nello stesso errore85.
84
M. ROCCA, Conoscenza, cit., p. 624, ricorda che attraverso il requisito della riconoscibilità si intende tutelare la volontà dei contraenti a rimuovere gli effetti di un contratto che una parte sia indotta a stipulare per errore, ma si vuole anche, allo stesso tempo, controbilanciare questo interesse con quello opposto di assicurare tutela all’affidamento del destinatario della dichiarazione viziata e, dunque, alla stabilità degli effetti
contrattuali che egli è convinto di aver raggiunto. La riconoscibilità, in sostanza, è riferita non alla parte in errore, ma all’altra parte. Quest’ultima non necessita di tutela quando
l’errore non solo è da lei riconoscibile ma addirittura indotto. In giurisprudenza cfr., di
recente, Cass., 25 luglio 2011, n. 16240, in Banche dati DeJure/Giuffrè.
85
Analoghe le previsioni del DCFR in tema di errore. Si veda l’art. 7:201 del Book
II: a party may avoid a contract for mistake of fact or law existing when the contract was
concluded if: (a) the party, but for the mistake, would not have concluded the contract or
would have done so only on fundamentally different terms and the other party knew or
could reasonably be expected to have known this; and (b) the other party; (i) caused the
mistake; (ii) caused the contract to be concluded in mistake by leaving the mistaken
party in error, contrary to good faith and fair dealing, when the other party knew or
could reasonably be expected to have known of the mistake; (iii) caused the contract to
be concluded in mistake by failing to comply with a pre-contractual information duty or
a duty to make available a means of correcting input errors; or (iv) made the same
mistake. (2) However a party may not avoid the contract for mistake if: (a) the mistake
150
CAPITOLO QUARTO
Il quadro che ne deriva è tale da indurre a ritenere che, mentre
l’errore al quale fa riferimento il nostro codice civile non si presenta
come rimedio invalidante adeguato per un contratto concluso a seguito
di una pratica commerciale scorretta86, a diversa soluzione può giungersi se si pensa all’errore così come configurato dalla Proposta di
Regolamento relativa a un diritto comune europeo della vendita87.
D’altronde, stando alla disciplina che emerge dalla Proposta di Regolamento in oggetto, non può dirsi altrettanto quanto al dolo che, infatti,
ex art. 49, richiede l’intenzione di indurre il destinatario in errore; intenzione che non è necessaria in caso di pratiche commerciali scorrette
ove ciò che rileva è che la pratica sia, in qualsiasi modo − dunque anche non intenzionalmente − idonea a indurre in errore il destinatario
della stessa.
5.4. Pratiche commerciali aggressive e violenza
Restano delle osservazioni riguardo le pratiche commerciali aggressive, previste dagli articoli 24, 25 e 26 cod. cons. Tali pratiche si
sostanziano in pressioni prese in considerazione in una prospettiva diversa da quella propria della violenza intesa come vizio della volontà
in senso tradizionale88.
was inexcusable in the circumstances; or (b) the risk of the mistake was assumed, or in
the circumstances should be borne, by that party.
86
Si noti, per esempio, che nella disciplina sulle pratiche commerciali scorrette, ove
si optasse per l’errore quale vizio del consenso adeguato a dare tutela a seguito della
conclusione di un contratto, dovrebbe rilevare anche l’errore incidente, che nella sistematica del codice civile è discusso possa causare l’invalidità del contratto. Nel senso del
rilievo dell’errore incidentale come causa di invalidità del contratto si vedano, con riferimento alle norme del codice civile, A. FEDELE, Dell’annullabilità del contratto, Firenze, 1948, p. 708; M. MANTOVANI, «Vizi incompleti», cit., 1995, p. 198. In diversa prospettiva cfr. E. BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, rist., Napoli, 1994, p. 434;
E. QUADRI, La rettifica del contratto, Milano, 1973, p. 77.
87
Cfr. N. ZORZI GALGANO, Dal codice europeo dei contratti, cit., p. 271, nota che i
rimedi sono disciplinati in maniera più favorevole al consumatore dal diritto comune europeo sulla vendita rispetto a quanto predisposto dal codice civile sull’annullamento del
contratto per i corrispondenti vizi del consenso.
88
A. TRABUCCHI, Violenza (diritto vigente), in Noviss. dig. it., Torino, 1975, XX, p.
942. Di recente A. GENTILI, Le invalidità, cit., p. 1611. Per una sintesi aggiornata delle
problematiche relativa alla violenza nel codice civile si veda M. LOBUONO, Violenza, in
E. NAVARETTA e A. ORESTANO, Commentario, cit., p. 145. Evidenzia le differenze tra le
pratiche commerciali aggressive e la violenza codicistica M.R. MAUGERI, Pratiche, cit.,
p. 282. Diversa la prospettiva di M. NUZZO, Pratiche, cit., p. 238; Sul concetto di turbativa che integra l’aggressività necessaria perché una pratica commerciale sia scorretta cfr.
PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE E RIMEDI
151
Il legislatore comunitario fa riferimento alla possibilità che il professionista possa esercitare dette pressioni in ogni fase della dinamica che
approda al contratto. Affinché si configuri una pratica commerciale aggressiva, inoltre, non è necessario che si arrivi alla minaccia di un male
ingiusto e notevole, ma è sufficiente creare false impressioni idonee a
condizionare il comportamento economico del consumatore, oppure fare
esortazioni particolarmente insistenti89. Segnatamente, l’elenco delle pratiche in ogni caso aggressive, rispetto alle quali non occorre neppure accertare l’efficacia determinante della scelta economica del consumatore,
si articola in un ventaglio di ipotesi di gravità evidentemente minore rispetto a quelle che integrano la violenza ai sensi del codice civile90.
Oggetto di particolare attenzione è stato anche il rapporto tra la minaccia di far valere un diritto ex art. 1438 c.c. e la minaccia di promuovere un’azione legale prevista dalla normativa sulle pratiche commerciali.
Il problema sembrava più rilevante nel testo della direttiva, il cui
art. 9, lett. e), prevedeva che è pratica commerciale aggressiva qualsiasi minaccia di promuovere un’azione legale, qualora tale azione non
sia giuridicamente ammessa. L’ipotesi sembrava più restrittiva rispetto
a quella della disposizione codicistica. Quest’ultima, infatti, ai fini
dell’annullabilità del contratto, prende in considerazione anche la minaccia di promuovere un’azione giuridica astrattamente ammissibile,
ma che, in concreto sia diretta ad ottenere un vantaggio ingiusto.
Ulteriormente diversa è la dizione dell’art. 25, lett. e), cod. cons.,
che fa riferimento a qualsiasi minaccia di promuovere un’azione legale manifestatamene temeraria o infondata. Anche in questo caso la
prospettiva sembra diversa da quella del codice civile. Un’azione può,
infatti, in astratto non essere temeraria o infondata, ma, ciò nonostante
diretta ad ottenere dei vantaggi ingiusti. Si pensi a chi, per costringere
un altro a farsi vendere un terreno ad un certo prezzo, lo minacci di
avviare l’azione esecutiva su altri suoi beni, essendo disponibile altrimenti a tergiversare91.
C. HANFIG, The Unfair Commercial Practices Directive – A Milestone in the European
Unfair Competition Law? in Economic Business Law Review, 2005, p. 1128. In giurisprudenza cfr. 22 giugno 2011, n. 3763, cit.
89
E. GUERINONI, La direttiva, cit., p. 177; M.A. CARUSO, Le pratiche commerciali
aggressive, Milano, 2010, p. 8. La minaccia di un danno ingiusto imminente e grave o di
un atto illecito è invece richiesta dall’art. 50 del Regolamento relativo a un diritto comune europeo della vendita.
90
Cfr. M. NUZZO, Pratiche, cit., p. 242; E. GUERINONI, op. loc. ult. cit.
91
Un esempio analogo è proposto da E. GUERINONI, op. loc. ult. cit., con riferimento al testo della direttiva.
CAPITOLO QUARTO
152
6. Pratiche commerciali scorrette, rimedio della nullità e rilevanza
della condotta
Quanto fino ad ora osservato evidenzia che le regole di validità
non esauriscono ogni valutazione sui comportamenti precontrattuali.
La partizione tradizionale fra regole di comportamento e di validità
è, dunque, innovata e potenziata92, senza essere inficiata dalle possibili interferenze dovute al fatto che alcuni comportamenti scorretti in sede precontrattuale siano idonei a causare i tradizionali vizi del
consenso93.
Le problematiche inerenti la distinzione tra regole di validità e
di responsabilità vengono in rilievo anche con riferimento alla nul92
G. VETTORI, Regole di validità, cit., p. 2.
Quanto al dibattito sul punto cfr. V. PIETROBON, Errore, volontà e affidamento
nel negozio giuridico, cit., p. 116. Ivi si afferma, riprendendo posizioni già evidenziate
nel 1963, che «le regole di validità e di risarcimento si distinguono per la diversa funzione. Le regole di validità hanno per fine di garantire la certezza sull’esistenza di fatti giuridici, e solo mediamente, poiché anche la certezza serve a tutelare la buona fede, la giustizia; le regole di risarcimento tendono invece direttamente alla giustizia sostanziale,
cioè a distribuire i vantaggi e gli svantaggi prodottisi in occasione del contratto, secondo
l’onestà di ogni parte». L’importanza della distinzione è sottolineata da L. MENGONI, Autonomia, cit., p. 9. Ivi, si legge che ‹‹in nessun caso, secondo la dogmatica del nostro codice civile, la violazione del dovere di buona fede è causa di invalidità del contratto, ma
solo fonte di responsabilità per danni››. Difendono la distinzione D’ANGELO, Il contratto
in generale, cit., p. 315; 272; C. SCOGNAMIGLIO, Regole di validità, cit., p. 633; C. CASTRONOVO, La responsabilità precontrattuale, in C. CASTRONOVO - S. MAZZAMUTO,
Manuale di diritto privato europeo, Milano, 2007, p. 339; A. DI MAJO, Le tutele, cit., p.
13, ove si afferma che, tuttavia, la distinzione si basa cu criteri mobili. In diversa prospettiva cfr. G. VISINTINI, La reticenza, cit., p. 112; ID., L’informazione precontrattuale:
spunti di diritto italiano e prospettive di diritto europeo, in Riv. dir. priv., 2004, p. 753;
V. ROPPO, Contratto di diritto comune, contratto del consumatore, contratto con asimmetria di potere contrattuale: genesi e sviluppi di un nuovo paradigma, in Il contratto
del duemila, Torino, 2005, p. 46 e in S. MAZZAMUTO (a cura di), Il contratto e le tutele,
cit., p. 653. Allo scritto si rimanda, in particolare, per l’analisi della legislazione più recente che legittimerebbe il ripensamento della distinzione tra regole di validità e di responsabilità. Tra le norme richiamate si inserisce l’art. 1469 bis (ora cod. cons.) quale
esempio di rilevanza della buona fede come criterio di validità delle clausole contrattuali.
Sul punto cfr. F. GALGANO, Squilibrio contrattuale e mala fede del contraente forte, in
Contr. impr., 1997, p. 418; F. PROSPERI, Violazione, cit., p. 955. Ripercorrono le diverse
tesi circa il rapporto tra regole di validità e regole di responsabilità, A. GUARNIERI, Linguaggio, cit., p. 56; G. PERLINGIERI, Regole e comportamenti, cit., p. 62. Nel senso che il
problema non è tanto quello di salvaguardare la distinzione tra regole di comportamento
e regole di validità quanto di offrire rimedi uniformi e convenienti, si veda G. ALPA, Gli
obblighi, cit., p. 913. F. RENDE, Le regole d’informazione nel diritto europeo dei contratti, in Riv. dir. civ., 2012, p. 206, afferma che, nella sua originaria formulazione, la distinzione tra regole di validità e regole di comportamento contrapponeva le prime alle sole
regole di risarcimento fondate sulla buona fede in contrahendo.
93
PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE E RIMEDI
153
lità che, oltre all’annullabilità, è stata considerata quale possibile
rimedio idoneo a tutelare il consumatore da una pratica commerciale
scorretta94.
Il comportamento può essere l’occasione di un’alterazione della
regola. Non perciò alla violazione della norma di condotta, ma al concomitante pregiudizio alla regola negoziale, fa seguito la possibilità di
invalidarla. In questa prospettiva si deve ‹‹tenere fermissimo che non
c’è mai invalidità per mera violazione di norme di comportamento.
Ma dobbiamo anche ogni volta domandarci se nella specie la violazione di una regola di comportamento sia lesiva di interessi ma senza
riflessi sulla conformazione della regola, o se incida anche sul processo di formazione della regola, determinando, oltre il pregiudizio agli
interessi altrui, pure una concomitante negativa incidenza sulla regola
negoziale, che possa giustificarne l’invalidità››95.
Il senso della distinzione tra regole di validità e responsabilità non
è quello di sancire a priori una incomunicabilità assoluta tra questi
due tipi di regole, bensì di riservare in via esclusiva al legislatore la
possibilità di tipizzare comportamenti i quali, se tenuti nella fase antecedente alla conclusione del contratto, possono incidere sulla validità
del medesimo96.
94
Sul punto è particolarmente interessante la legge francese che prevede il rimedio
della nullità nel caso di contratto stipulato a seguito di pratiche commerciali aggressive.
In argomento si rimanda a D. FENOUILLET, Le Code de consommation, cit., p. 346. Invero, la soluzione francese si presenta articolata, dato che nulla si dice in merito alle possibili ripercussioni, sulla validità dei contratti, della violazione del divieto generale di pratiche sleali o di pratiche ingannevoli. Il dato è evidenziato da G. DE CRISTOFARO, Le
conseguenze privatistiche, cit., p. 899.
95
In questi termini A. GENTILI, Disinformazione, cit., p. 399, sia pure con specifico
riferimento al settore della intermediazione finanziaria. Nello stesso senso A.M. MANCINI, La tutela, cit., p. 82. Diverso il pensiero di R. SACCO, Il contratto, II, cit., p. 244. Su
questi aspetti, in senso critico a Cass. Sez. Un., 19 dicembre 2007, cit., cfr. U. SALANITRO, Violazione della disciplina dell’intermediazione, cit., p. 446.
96
In questi termini C. SCOGNAMIGLIO, Regole di validità, cit., p. 601. G. D’AMICO,
‹‹Regole di validità››, cit., p. 44, afferma che la natura delle norme sulla validità e la funzione che assolvono escludono la possibile interferenza di valutazioni secondo buona
fede, se non nella misura in cui tali valutazioni risultino essere state recepite dal legislatore nella disciplina della singola causa di invalidità. ID., Buona fede in contrahendo, cit.,
p. 348. Può dunque ritenersi che la distinzione non sia mai stata assunta in modo acritico.
Si vedano sul punto le preoccupazioni di F. PROSPERI, Violazione, cit., p. 945. Ivi si ritiene che la distinzione sia destinata ad incrinarsi perché ‹‹il principio di buona fede non
può considerarsi in quanto tale e di per sé inidoneo a tradursi in giudizio di validità››.
Piuttosto la scelta del codice di sanzionare le ipotesi più rilevanti di scorrettezza non con
la nullità rappresentano una deroga esplicita alla regola più generale affermata dal primo
154
CAPITOLO QUARTO
Non è sufficiente, dunque, semplicemente richiamare norme di
derivazione comunitaria che sembrerebbero trascinare la violazione di
norme di comportamento sul terreno del giudizio di validità dell’atto.
Non si è mai dubitato, infatti, che il legislatore possa fare questo. E, se
anche una tendenza evolutiva in tal senso sia effettivamente presente
in diversi settori normativi, si tratta di una tendenza e non di
un’acquisizione. Non potrebbe essere diversamente, dato ‹‹il carattere sempre più frammentario e sempre meno sistematico della moderna legislazione che impone molta cautela nel dedurre da singole
norme settoriali l’esistenza di nuovi principi per predicarne il valore
generale e per postularne l’applicabilità anche a settori ed in casi diversi da quelli espressamente contemplati da singole e ben determinate disposizioni››97.
L’attenzione al rimedio della nullità consente di evidenziare che è
tautologico sostenere il superamento della distinzione tra regole di validità e di responsabilità richiamando fattispecie di nullità testuali98. In
questi casi, infatti, il legislatore sanziona la violazione di regole di comportamento da lui stesso individuate in ossequio alla buona fede99. Piuttosto tale distinzione sarebbe effettivamente vulnerata solo ove l’invalidità
del contratto fosse rimessa esclusivamente ad una valutazione ex fide bona del comportamento effettuata direttamente dal giudice100.
Spesso si ritiene congruo il rimedio della nullità in quanto le norme poste a tutela del consumatore determinano una lesione che trascende quella del singolo individuo e riguarda l’interesse generale,
tradizionalmente affidato ai meccanismi di tutela della nullità. Sul
punto occorre evitare di incorrere in una doppia contraddizione.
comma dell’art. 1418 c.c., secondo cui la contrarietà al contratto di norme imperative ne
determina la nullità.
97
Cass., Sez. Un., 19 dicembre 2007, n. 26724, cit., p. 438. Sul carattere non sistematico dell’incessante produzione normativa attuale si veda L. ROSSI CARLEO, Consumatore, consumatore medio, investitore e cliente, cit., p. 686.
98
Cfr. E. SCODITTI, Regole di comportamento e regole di validità: i nuovi sviluppi
della responsabilità precontrattuale, in Foro it., 2006, c. 1107; ID., La responsabilità per
danni da clausola abusiva, in Riv. dir. priv., 2007, p. 261. Ivi si afferma che la nullità è
riconducibile al comportamento scorretto in sede precontrattuale, in uno con l’iniquità
del regolamento e solo ove espressamente previsto dalla legge.
99
Cass., Sez. Un., 19 dicembre 2007, n. 26724, cit.; Cass., Sez. Un., 19 dicembre
2007, n. 26725, cit.
100
G. D’AMICO, La responsabilità precontrattuale, cit., p. 1005. In senso critico alla possibilità che l’invalidità sia affidata alla concretizzazione da parte del giudice della
clausola di buona fede si rimanda a C. CASTRONOVO, Principi di diritto europeo, cit., p.
XXXIV.
PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE E RIMEDI
155
La prima riguarda l’affermazione del rilievo di un interesse non
solo privato nella tutela del consumatore e la contemporanea proposizione di un rimedio, quale la nullità di protezione, azionabile solo da
una parte e non da chiunque ne abbia interesse101.
La seconda contraddittorietà è legata alla circostanza che «l’enfatizzazione della natura imperativa delle norme che impongono obblighi di informazione non può arrivare al punto di non vedere che tale
imperatività ha assistito da sempre l’obbligo generale di comportarsi
secondo buona fede, senza però che da questo sia stato ricavato altro
che la responsabilità per il danno che la violazione della regola abbia
cagionato»102.
La nullità, inoltre, è considerata rimedio idoneo a tutelare il consumatore in quanto espressamente prevista dall’ art. 67-septies-decies cod.
cons. dettato in materia di commercializzazione a distanza dei prodotti
101
C. SCOGNAMIGLIO, Regole di validità, cit., p. 612, segnala che ‹‹la nullità del codice civile è conformata non solo come insanabile e suscettibile di rilievo d’ufficio, ma
anche tale da travolgere i diritti dei terzi subacquirenti. Questo carattere della nullità
codicistica è certo destinato ad assumere rilievo marginale nella dinamica della contrattazione dei consumatori, non solo perché qui vengono in considerazione semmai
nullità di protezione, ma anche poiché la contrattazione dei consumatori ha, per lo
più, anche se non esclusivamente, ad oggetto la prestazione dei servizi, con conseguente inconfigurabilità di terzi subacquirenti, la cui posizione meriti di essere tutelata al fine di preservare il valore della sicurezza della circolazione giuridica››. Si
rileva, inoltre, p. 625, che spesso il rimedio della nullità appare impraticabile ed incongruo anche dal punto di vista dell’ambito soggettivo di applicabilità che finisce
per riguardare solo le parti del contratto nullo. Cfr. A. ALBANESE, Regole di condotta, cit., p. 108. Sul punto si veda la diversa prospettiva di F. PROSPERI, Violazione,
cit., p. 949. Considera mal posto il consueto discorso sulla naturale legittimazione
relativa all’azione di nullità A. GENTILI, La ‹‹nullità di protezione››, cit., p. 115; A.
CATAUDELLA, Il concetto di nullità del contratto ed il suo permanente vigore, in
Studi in onore di Nicolò Lipari, I, cit., p. 407, nota che l’interesse pubblico, sia pure inteso come interesse superindividuale, ispira frequentemente le norme che sanciscono la
nullità ma non costituisce una costante delle stesse. Sul rapporto tra legittimazione
all’azione di nullità ed interesse ad agire ex art. 1421 c.c. cfr. S. POLIDORI, Nullità di
protezione e interesse pubblico, in Rass. dir. civ., 2009, p. 1019; ID., Invalidità negoziale
e diritto comunitario: riconcettualizzazione o superamento degli steccati concettuali?, in
M. FRANCESCA e I. TARDIA (a cura di), Diritto comunitario e sistemi nazionali: pluralità
delle fonti e unitarietà degli ordinamenti, Napoli, 2010, p. 351- 357; ID., Le invalidità
contrattuali fra diritto comunitario e sistema nazionale, in R. DI RAIMO, M. FRANCESCA,
A.C. NAZZARO (a cura di), Percorsi di diritto civile. Studi 2009/2011, Napoli, 2011, p.
251; ID., «Lesione d’interesse e annullamento del contratto»: attualità e prospettive, in
Rass. dir. civ., 2012, p. 253; S. NARDI, Nullità del contratto e potere-dovere del giudice, in Riv. dir. civ., 2012, p. 55.
102
In questi termini, anche se con riferimento ai problemi relativi ai servizi finanziari, si veda C. CASTRONOVO, La responsabilità precontrattuale, cit., p. 343. In direzione differente, cfr. F. PROSPERI, Violazione, cit., p. 951.
CAPITOLO QUARTO
156
finanziari103. La norma è richiamata dall’art. 67-quinquies-decies ove
si prevede che, salve le sanzioni previste dall’ art. 67 septies decies
«ogni servizio non richiesto di cui al presente articolo costituisce pratica commerciale scorretta ai sensi degli articoli 21, 22, 23, 24, 25 e 26
cod. cons.»104.
È dubitabile, però, che l’effetto sistematico dell’art. 67-septies-decies
sia frutto di una scelta consapevole105 e che la normativa in oggetto sia
portatrice di una razionalità tale da consentire una portata espansiva e
funzionale all’applicazione in via analogica ad altra fattispecie106.
Non è da trascurare, inoltre, che, con riferimento alle pratiche
commerciali scorrette, la potenziale induzione ad una decisione di natura commerciale non riguarda solo l’an della scelta, ma anche tutte le
condizioni alle quali essa può essere effettuata. In tutte queste ipotesi
«la nullità assoluta, in quanto non idonea a graduare la risposta, risul103
Sul rapporto tra le norme in tema di pratiche commerciali scorrette e le altre discipline di settore a tutela del consumatore, con particolare riferimento all’attività creditizia e finanziaria, cfr. V. MELI, L’applicazione, cit., p. 334; M. CLARICH, Le competenze, p. 688; G. MEO, Consumatori, mercato finanziario e impresa: pratiche scorrette e
ordine giuridico del mercato, in Giur. comm., 2010, p. 720. In giurisprudenza si rimanda
a Consiglio di Stato, 24 agosto 2011, n. 4800 in Foro amm. CDS 2011, p. 2577, ove si
afferma che non è riscontrabile una oggettiva incompatibilità della normativa sostanziale
di cui al d.lg. 6 settembre 2005 n. 206 rispetto a quella in materia di servizi bancari e
neppure la sovrapponibilità degli interessi sostanziali sottesi alle disposizioni in materia
di pratiche commerciali scorrette rispetto a quelli protetti dalla normativa speciale ed affidati alla tutela della Banca d’Italia.
104
L. DI NELLA, Prime considerazioni sulla disciplina delle pratiche commerciali
aggressive, in Contr. impr./Eur., 2007, p. 62.
105
Cfr. F. BRAVO, Commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori, in Contratti, 2008, p. 390. E. SCODITTI, La violazione, cit., c. 784, ove ci si sofferma
sulla specialità dell’art. 67 septies decies cod. cons; M. NUZZO, Pratiche, cit., p. 240; M.
R. MAUGERI, Pratiche, cit., p. 270; C. GRANELLI, Le “pratiche commerciali scorrette”,
cit., p. 779; F. GRECO, Informazione pre-contrattuale, cit., p. 128. Sulla possibilità di riconoscere una valenza generale all’art. 67 septies decies si vedano T. FEBBRAJO, Violazione delle regole di comportamento nell’intermediazione finanziaria e nullità del contratto: la decisione delle Sezioni Unite, in Giust. civ., 2008, p. 2785; F. LEONARDI, La
clausola generale di buona fede e correttezza nel diritto commerciale, in Studium iuris,
2011, p. 1162.
106
U. SALANITRO, Violazione delle norme di condotta nei contratti di intermediazione finanziaria e tecniche di tutela degli investitori: la prima sezione della cassazione
non decide e rinvia alle sezioni unite, in Nuova giur. civ. comm., 2007, p. 1008. Tale opinione è condivisa da C. SCOGNAMIGLIO, Regole di validità, cit., p. 616. Sul punto esplicitamente Cass., Sez. Un., 19 dicembre 2007, n. 26724, anche se con riferimento alla
corrispondente previsione dell’art. 16 del d.lgs. n. 190 del 2005. Nella sentenza richiamata si osserva che detta previsione resta sistematicamente isolata nel nostro ordinamento e
presenta evidenti caratteri di specialità, che non consentono di fondare su di essa alcuna
affermazione di principio.
PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE E RIMEDI
157
terebbe del tutto incongrua»107. Neppure potrebbe essere risolutivo il
ricorso alla nullità relativa in quanto, data la imprescrittibilità della relativa azione, consentirebbe al consumatore, senza limiti di tempo, di
rimeditare complessivamente la convenienza dell’affare108.
D’altronde anche nel dibattito relativo alla sorte dei contratti aventi ad oggetto prodotti finanziari, l’idoneità del rimedio della nullità
non è indiscussa109. Basti pensare ai recenti interventi della Cassazione e alle numerose argomentazioni ivi adottate in senso contrario al
rimedio della nullità110. Si afferma, infatti, che «la contrarietà a norme
107
M.R. MAUGERI, Pratiche, cit., p. 276. Cfr. C. SCOGNAMIGLIO, Regole di validità,
cit., p. 624. L’Autore, sia pure con riferimento al problema della tutela dei risparmiatori,
ritiene più efficiente il rimedio risarcitorio rispetto a quelli invalidanti. Le argomentazioni proposte possono essere utilizzate anche con riferimento al tema delle pratiche commerciali scorrette. Ivi si legge che il risarcimento ‹‹lungi dal determinare l’effetto restitutorio automatico e secco, che dalla declaratoria di nullità del contratto discende, consente
di commisurare la tutela del risparmiatore, in ipotesi di violazione di obblighi di comportamento dell’intermediario finanziario, alla concreta dimensione del pregiudizio subito,
attribuendo eventualmente rilevanza anche al concorso del comportamento colposo del
danneggiato (ex art. 1227, co. 1 c.c.) oppure alla ipotetica evitabilità, in tutto o in parte
del danno (ex art. 1227, co. 2 c.c.)››. Sui problemi del rapporto tra art. 1337 c.c. e art.
1227 c.c. si veda, di recente, N. SAPONE, La responsabilità precontrattuale, cit., p. 85.
Quanto all’opportuntà di un’adeguata mediazione tra restituzioni e risarcimento si rimanda a A. DI MAJO, Il regime delle restituzioni contrattuali nel diritto comparato ed
europeo, in S. MAZZAMUTO (a cura di), Il contratto e le tutele, cit., p. 442.
108
M.R. MAUGERI, op. loc. ult. cit. L’Autrice, p. 280, richiama l’attenzione sulla
opportunità di soluzioni diverse, sotto il profilo rimediale, a seconda del tipo di violazione, delle modalità di conclusione del contratto e del settore di mercato.
109
In senso critico rispetto alla nullità, cfr. A. DI MAJO, Prodotti finanziari e tutela
del risparmiatore, in Corr. giur., 2005, p. 1282; C. MIRIELLO, La strenua difesa dell’investitore: scandali finanziari e pretese nullità virtuali dei contratti di vendita di titoli obbligazionari, in Contr. impr., 2005, p. 495; E. LUCCHINI GUASTALLA, Danno agli investitori e
responsabilità delle autorità di vigilanza e degli intermediari finanziari, in Resp. civ. prev.,
2005, p. 35; ID., Obblighi informativi dell’intermediario finanziario e responsabilità nei
confronti dell’investitore, in Resp. civ. prev., 2007, p. 1682; V. ROPPO, Il contratto, cit., p.
748; M. LEMBO e N. RAFFAEL, Il rifiuto della tesi della nullità virtuale nella prestazione
dei servizi di investimento e l’accoglimento della tesi dell’inadempimento con conseguente applicabilità del concorso di colpa del danneggiato, in Diritto banca merc. fin.,
2007, p. 328; R. COSTI, Il mercato mobiliare, Torino, 2008, p. 138.
110
Per una puntuale sintesi di tali argomentazioni si rimanda a C. SCOGNAMIGLIO,
Regole di validità, cit., p. 607-61. In prospettiva diversa, in favore del rimedio della nullità si vedano F. PROSPERI, Violazione, cit., p. 949; D. MAFFEIS, Conflitto di interessi nella prestazione di servizi di investimento: la prima sentenza sulla vendita a risparmiatori
di obbligazioni argentine, in Banca borsa tit. cred., 2004, p. 458; ID., La natura, cit., p.
74; ID., Forme informative, cura dell’interesse ed organizzazione dell’attività nella prestazione dei servizi di investimento, in Riv. dir. civ., 2005, p. 655; ID., Contro
l’interpretazione abrogante della disciplina preventiva del conflitto di interessi (e di altri
pericoli) nella prestazione dei servizi di investimento, in Riv. dir. civ., 2007, p. 71; G.
PIAZZA, La responsabilità della banca per acquisizione e collocamento di prodotti finan-
158
CAPITOLO QUARTO
imperative ex art. 14181, quale causa di nullità del contratto, postula
che essa attenga ad elementi intrinseci della fattispecie negoziale, che
riguardano cioè la struttura o il contenuto del contratto e non i comportamenti tenuti dalle parti prima del contratto o durante la sua esecuzione. La eventuale illegittimità di questi ultimi, quale che sia la natura delle norme violate, non può dar luogo alla nullità del contratto»111. In questa prospettiva, la mancanza di informazioni che non riguardano direttamente la natura e l’oggetto del contratto, ma solo elementi utili per valutarne la convenienza, non può comportare il ricorso al rimedio della nullità112.
ziari ‹‹inadeguati›› al profilo del risparmiatore, in Corr. giur., 2005, 1029; G. ALPA, La
legge sul risparmio e la tutela contrattuale degli investitori, in Contratti, 2006, p. 930;
ID., Gli obblighi, cit., p. 893; A sostegno del rimedio della nullità si afferma che ha valore costitutivo del regolamento contrattuale anche il c.d. punto di vista esterno al contratto, ossia la situazione complessiva della quale il singolo contratto è diretta esplicazione o nel cui contesto lo stesso è destinato ad interagire. In questi termini V. SCALISI, Il diritto, cit., p. 84. Ivi si specifica che «siffatta situazione complessiva ha valore
costitutivo, non solo ermeneutico, dell’assetto regolamentare del contratto, assolvendo
alla ben precisa funzione di rendere direttamente rilevanti sul piano della regolare formazione del regolamento (e quindi delle conseguenti invalidità) norme e principi che altrimenti vi resterebbero estranei, tra cui appunto anche quelli che impongono alle parti di
un rapporto particolari obblighi di informazione c.d. “estrinseci” al contratto, in quanto
ricadenti nella fase precontrattuale o in quella propriamente esecutiva». Ritiene che non
sussistano ostacoli teorici alla configurabilità di nullità virtuali dipendenti dalla violazione di regole di informazione F. RENDE, Le regole d’informazione, cit., p. 217. In giurisprudenza si vedano Trib. Mantova, 18 marzo 2004, in Banca borsa tit. cred., 2004, p.
440; Trib. Firenze, 30 maggio 2004, in Resp. civ. prev., 2004, p. 136; Trib. Venezia, 22
novembre 2004, n. 2654, in Contratti, 2005, p. 5; Trib. Firenze, 18 gennaio 2007, n. 229,
cit. Meritano, inoltre, di essere segnalate Trib. Venezia, 5 settembre 2009, in Resp. civ.
prev., 2010, p. 272, con nota di F. ROMANA FANTETTI, Titoli Lehman Brothers e responsabilità della banca; Trib. Savona, 18 maggio 2010, in www.ilcaso.it e, in diversa prospettiva, Trib. Udine 5 marzo 2010, in Corr. merito, 2010, p. 721. Si tratta delle prime
pronunce italiane relative al crack finanziario del colosso americano Lehman Brothers.
111
Sul punto si veda già Cass., 29 settembre 2005, n. 19024 cit. La sentenza, per i
profili che interessano in questa sede, è stata oggetto di numerosi commenti in Contr.
impr., 2006, p. 944, con nota di G. MERUZZI, La responsabilità precontrattuale tra regola di validità e regola di condotta; in Corr. giur., 2006, p. 669, con nota di G. GENOVESI,
Limiti della “nullità virtuale” e contratti su strumenti finanzia; in Giur. comm., 2006, II,
p. 626, con nota di C.E. SALODINI, Obblighi informativi degli intermediari finanziari e
risarcimento del danno. La Cassazione e l’interpretazione evolutiva della responsabilità
precontrattuale; in Giur. it., 2006, p. 1602, con nota di G. SICCHIERO, Un buon ripensamento della S.C. sulla asserita nullità del contratto per inadempimento; in Nuova giur.
civ. comm., 2006, I, p. 897, con nota di E. PASSARO, Intermediazione finanziaria e violazione degli obblighi informativi: validità dei contratti e natura della responsabilità risarcitoria. Nello stesso senso Cass., Sez. Un., 19 dicembre 2007, n. 26725, cit.
112
Quanto all’esigenza di valutare profili attinenti alla convenienza, può notarsi che
la stessa è avvertita espressamente dal Codice europeo dei contratti di Gandolfi. Ivi, si
prevede, ai sensi dell’art. 7, che, nel corso delle trattative, la parte ha il dovere di infor-
PRATICHE COMMERCIALI SCORRETTE E RIMEDI
159
Si evidenzia, altresì, che se è ammissibile che dal dovere di comportarsi secondo correttezza e buona fede il codice civile faccia discendere, a determinate condizioni, anche conseguenze che si riflettono sulla sopravvivenza dell’atto − si pensi all’annullamento per dolo o
violenza, alla rescissione per lesione enorme o alla risoluzione per
inadempimento − mai si determina, per ciò stesso, la nullità radicale
del contratto113.
Gli interventi della Cassazione, ai quali si è fatto riferimento114,
non sono stati certo esenti da critiche115.
Alla Cassazione può, però, riconoscersi il merito di aver cercato di
valorizzare il momento del controllo delle modalità di condotta, senza
appiattire le relative problematiche alle regole degli atti e della validità116. Una tale prospettiva è particolarmente interessante nei casi come
quelli relativi alle pratiche commerciali, ove non è né adeguata né sufficiente una tutela azionabile solo quando si è concluso il contratto.
mare l’altra di ogni circostanza di fatto o di diritto, di cui sia o debba essere a conoscenza
e che consenta a quest’ultima di rendersi conto della validità e convenienza del contratto.
Parlare di convenienza del contratto significa compiere un passo ulteriore rispetto a quello della mera validità. In questi termini P. GALLO, Asimmetrie, cit., p. 660.
113
Cfr. sul punto C. SCOGNAMIGLIO, Regole di validità, cit., p. 608.
114
Cass., 29 settembre 2005, n. 19024, cit.; Cass., Sez. Un., 19 dicembre 2007, n.
26724, cit.; Cass., Sez. Un., 19 dicembre 2007, n. 26725, cit.
115
Pur condividendo alcune preoccupazioni della Suprema Corte e, in particolare, quella
di ridimensionare il campo della nullità virtuale, si afferma che, seguendo il ragionamento della Cassazione, si finirebbe per trasferire al dominio della nullità fattispecie che, secondo il sistema, riguardano pacificamente l’annullabilità. In questo senso V. ROPPO - G.
AFFERNI, Dai contratti finanziari, cit., p. 31. Si fa notare, inoltre, p. 32, il forte carattere
innovativo della prospettiva adottata dalla Cassazione in quanto comporterebbe che ‹‹elemento essenziale del contratto sarebbe non già il mero accordo delle parti, bensì il loro
accordo “informato”; un accordo non “informato” sarebbe insufficiente a integrare il
“requisito” dell’art. 1325 c.c.››. Il pensiero degli Autori non è condiviso da A. GENTILI,
Disinformazione, cit., p. 399. Ivi si afferma che sfuggono al Supremo Collegio almeno
due cose. La prima è che nei contratti dell’intermediazione finanziaria oggetto del patto è
proprio la convenienza, ‹‹nessuno acquista valori mobiliari per le loro caratteristiche
formali, cioè in quanto bond, azioni, obbligazioni, titoli del debito pubblico, derivati o
altro. Ciascuno li sceglie in funzione del tipo di investimento che consentono e della misura in cui convengono al profilo di rischio dell’investitore››. La seconda è individuata
nel fatto che la disinformazione induce in errore su una caratteristica come la convenienza che nella specie è una qualità da ritenersi determinante del consenso, così che l’errore
provocato può considerarsi essenziale. Sul punto cfr. ID., Inadempimento dell’intermediario e vizi genetici dei contratti di investimento in Riv. dir. priv., 2009, p. 23.
116
G. VETTORI, I principi, cit., p. 124, afferma che l’utilizzo della responsabilità
precontrattuale da parte della giurisprudenza della Corte di Cassazione italiana valorizza
in modo del tutto convincente l’idea che la buona fede sia una regola di valutazione dei
contegni e solo indirettamente di correzione dell’atto.
160
CAPITOLO QUARTO
Necessità di tutela sorgono anche prima e durante le operazioni
commerciali relative ad un prodotto. Già in questa fase la mancanza di
correttezza può essere fonte di danno. Le regole di validità, dunque,
non escludono la necessità di dare adeguato rilievo alle modalità di
svolgimento delle condotte.
Occorre anticipare il punto di osservazione e proteggere gli interessi anche nella fase dinamica dell’attività. Tale obiettivo è perseguibile attraverso l’imposizione di regole di correttezza a vantaggio dei
consumatori e a carico di chi svolge una attività professionale a loro
oggettivamente destinata.
Quanto osservato trova conferma anche nella disciplina della pubblicità commerciale, alla quale sono dedicate le osservazioni che seguono, al fine di evidenziare, anche in tale ambito, l’importanza della
valorizzazione dell’interesse alle modalità dei comportamenti.
PUBBLICITÀ E VALUTAZIONI DI OPPORTUNITÀ DEL CONSUMATORE
161
CAPITOLO QUINTO
PUBBLICITÀ E VALUTAZIONI DI OPPORTUNITÀ
DEL CONSUMATORE
SOMMARIO: 1. Pubblicità e pratiche commerciali. - 2. Pubblicità come attività rivolta
sia al mercato sia ai singoli. - 3. La valenza informativa della pubblicità e il carattere vincolante delle informazioni pubblicitarie: d. lg. n. 79 del 2011 e Proposta di Regolamento relativa ad un diritto comune europeo della vendita. - 3.1.
Attività pubblicitaria scorretta e danni al consumatore. - 4. Scorrettezza
nell’attività pubblicitaria e pratiche commerciali. - 5. Trattative e pubblicità: il
«contatto che apre al contratto».
1. Pubblicità e pratiche commerciali
Una dinamica diretta ad approdare ad un contatto relazionale, e tale da poter alterare sensibilmente le valutazioni di opportunità dei consumatori, si riscontra anche con riferimento alla pubblicità commerciale. Le novità, apportate in materia dalle norme di derivazione comunitaria, evidenziano il riproporsi di problemi analoghi a quelli affrontati in tema di pratiche commerciali.
Il dato non stupisce se si considera che la pubblicità, ex art. 18
lett. d) cod. cons., è da inserire tra quelle azioni, omissioni, condotte
o dichiarazioni nelle quali le suddette pratiche si sostanziano. La
pubblicità, inoltre, se ingenera confusione con i prodotti, i marchi, la
denominazione sociale e altri segni distintivi di un concorrente, è
considerata, dall’ art. 212, lett. a) cod. cons., una pratica commerciale
ingannevole1.
Si aggiunga, altresì, che gli obblighi di informazione previsti dal
diritto comunitario e connessi alla pubblicità incidono sulla configurazione delle omissioni disciplinate dall’art. 225 cod. cons.
D’altronde la direttiva comunitaria n. 29 del 2005 è stata attuata
nel nostro ordinamento, non solo con il d.lg. n. 146 del 2007, ma pure
con il d.lg. n. 145 dello stesso anno, dettato in materia di pubblicità e
1
In tal senso è indicativo anche il considerando 14) della direttiva 2005/29/Ce, ove
si auspica che nella definizione di pratiche commerciali ingannevoli rientri la pubblicità,
che inducendo in errore il consumatore, gli impedisca di scegliere in modo consapevole
e, di conseguenza, efficiente.
CAPITOLO QUINTO
162
relativo ai rapporti tra professionisti e non tra professionisti e consumatori2.
Si tratta di normative non così distanti come potrebbe sembrare
dalla scelta di prevedere due provvedimenti differenti: l’uno il d.lg. n.
145; l’altro il d.lg. n. 146. Confortano questa osservazione l’art. 2 lett.
b) del primo tra i decreti indicati, e la definizione, ivi prevista, di pubblicità ingannevole, identificata in ‹‹qualsiasi pubblicità che in qualunque modo, compresa la sua presentazione è idonea ad indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali essa è rivolta o che essa
raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento economico ovvero che, per questo motivo, sia idonea a ledere un concorrente››.
Già da tale definizione emerge il rilievo non solo della capacità
del messaggio pubblicitario di danneggiare i concorrenti, ma anche
della possibilità che lo stesso condizioni le scelte negoziali dei singoli3, palesando, così, in modo esplicito, il necessario legame tra prospettiva microeconomica e macroeconomica.
Alle ragioni del concorrente si aggiungono quelle del consumatore, dato che entrambi hanno interesse a che non sia diffuso un messaggio ingannevole. D’altronde non potrebbe essere altrimenti, visto
che la scorrettezza della pubblicità è idonea ad orientare la decisione
dei singoli verso l’acquisto del prodotto di un imprenditore piuttosto
che di un altro. Sicché, non solo il consumatore si comporta diversamente da come avrebbe fatto in assenza del messaggio ingannevole,
ma si verifica altresì che vengono alterati gli equilibri concorrenziali4.
2
Sul rapporto tra i due decreti si rimanda a A. GENOVESE, L’enforcement e le tutele, cit., p. 218; N. ZORZI, Le pratiche, cit., p. 433.
3
Già la direttiva n. 450 del 1984 attribuiva rilevanza centrale all’interesse dei consumatori, individuati dall’art. 4 come i primi destinatari della tutela, anteponendoli anche
agli stessi concorrenti. Sul punto, cfr. R. BIANCHI, Danno da pubblicità ingannevole e
consumatori: in Cassazione un’apertura condizionata, in Resp. civ. prev., 2008, p. 608.
Nel senso della prevalenza o, comunque, dell’equiparabilità dell’interesse dei consumatori a quello dei concorrenti anche nella disciplina del d.lgs. n. 74 del 1992 si sono espressi L. DI VIA, D.lgs. 25 gennaio 1992 n.74, in Nuove leggi civ. comm., 1992, p. 676;
V. MELI, La respressione della pubblicità ingannevole. Commento al d.lgs. 25 gennaio
1992, n. 74, Torino, 1994, p. 12.
4
A. GENOVESE, Il contrasto, cit., p. 200, afferma che ‹‹condotte di agganciamento
del cliente, di sfruttamento e insieme soddisfacimento dei suoi bisogni (materiali o emozionali) di consumo sono affatto fisiologiche nella società dei consumi e nell’offerta professionale di beni e servizi. Tali condotte tuttavia, se opportunistiche oltre misura, possono frustrare
l’agire di consumo di coloro ai quali si rivolgono o danneggiarli in senso patrimoniale; e possono indirettamente ledere anche i concorrenti meno spregiudicati e la stessa economia di
mercato. Esse, infatti, permettono agli operatori che vi ricorrono di eludere il confronto
PUBBLICITÀ E VALUTAZIONI DI OPPORTUNITÀ DEL CONSUMATORE
163
Il mancato rispetto delle norme a tutela dei clienti, infatti, si accompagna a costi più bassi che finiscono con avvantaggiare i concorrenti
sleali5.
Deve ammettersi, dunque, che il consumatore − pur non essendo
in grado di trattare con l’impresa in modo efficiente − nella misura in
cui può scegliere tra diverse offerte, funge da selettore e da fattore di
efficienza del mercato6. Da qui la centralità, anche per gli imprenditori, dei problemi relativi alla scelta del consumatore finale e ai possibili
condizionamenti delle sue valutazioni economiche7.
Particolarmente interessante è anche quanto previsto dall’art. 27
cod. cons. che, pur essendo relativo alla disciplina delle pratiche
commerciali scorrette tra professionisti e consumatori, prevede che
l’Autorità possa procedere anche d’ufficio su istanza di ogni soggetto
o organizzazione che ne abbia interesse8. Sembra profilarsi, cioè, la
concorrenziale basato sui meriti e, erodendo il tasso di fiducia che alimenta le transazioni, a lungo andare, deprimono i traffici e anche i mercati››.
5
L. DELLI PRISCOLI, La tutela del consumatore, cit., p. 1559, ove si nota che le
condotte scorrette incidono in modo determinante sui costi d’impresa ed impediscono
che la lotta per la conquista dei clienti venga esercitata ad armi pari.
6
A. NICOLUSSI, I consumatori, cit., p. 937. Il ruolo centrale del consumatore non
comporta ‹‹la resa dei soggetti di offerta››, ma la consapevolezza che non giova a nulla e
a nessuno ostacolare il potere di autodeterminazione dell’utente nel momento nel quale
effettua le sue scelte e valutazioni. In questi termini, L. ROSSI CARLEO, Il mercato tra
scelte volontarie e comportamenti obbligatori, cit., p. 163. Sulla possibilità di elevare
l’acquirente ad agente della razionalità del mercato, si veda, anche se con specifico riferimento alle norme sulla vendita dei beni di consumo, S. MAZZAMUTO, Equivoci e concettualismi, cit., p. 1037. N. IRTI, Autonomia privata e forma di Stato (intorno al pensiero di Hans Kelsen), in Riv. dir. civ., 1994, I, p. 21, afferma che le forme di tutela del singolo contro il potere planetario delle imprese consistono nella possibilità di controllare la
qualità dei beni, nella disciplina dell’offerta, nella garanzia di competitività tra le aziende
produttrici. Cfr. sul punto G. RESTA, Circolazione delle informazioni e responsabilità
civile: il caso del Warentest, in Riv. inf. e informatica, 1998, p. 285; A. JANNARELLI, La
disciplina dell’atto e dell’attività, cit., p. 26; V. BUONOCORE, Contratto e mercato, cit.,
p. 391; T. ASCARELLI, Teoria della concorrenza, cit., p. 873; C. SANTAGATA, Concorrenza sleale e interessi protetti, cit., p. 91; L. DI NELLA, Mercato, cit., p. 159; A. GENOVESE, Il risarcimento, cit., p. 170; E. BARGELLI, L’ambito, cit., p. 105.
7
N. REICH, From Contract to Trade Practices Law: Protection of Consumers’
Economic Interest by the EC, in T. WIHELMSSON, Perspectives of Critical Contract Law,
Alderrshot, 1993, p. 55, mette in evidenza come la politica correttiva del mercato sia
passata dalla centralità dei consumer rights alla centralità del consumer choice.
8
L.G. VIGORITI, Verso l’attuazione della direttiva, cit., p. 526, afferma che specie il
considerando n. 8 della direttiva 2005/59/Ce suggerisce alla Commissione di introdurre
in futuro tutele utilizzabili sia nei rapporti tra professionisti, sia in quelli tra professionisti
e consumatori, così che l’accesso allo strumento di tutela venga a dipendere da un elemento oggettivo come la scorrettezza del comportamento, e non dalla qualifica soggettiva di chi aziona la tutela.
CAPITOLO QUINTO
164
possibilità che detta domanda sia proposta anche da professionisti,
concorrenti o meno. Non è da escludere, infatti, che tali soggetti possano avere un interesse rilevante all’eliminazione di una pratica commerciale scorretta, a prescindere dall’applicazione del nuovo d.lg.
145/20079.
Il legame indicato tra pratiche commerciali e pubblicità è evidente
anche sul piano sanzionatorio. In entrambi i casi, infatti, c’è una regolamentazione formalmente e sostanzialmente identica. Basti pensare
alla coincidenza tra quanto previsto dagli articoli 8 e 9 del d.lg.
145/2007 e gli articoli 27 e 27 ter del codice del consumo10.
In particolare, preme evidenziare che pure nella disciplina
dell’attività pubblicitaria si fa ricorso a misure preventive di tutela ed
ha un ruolo centrale la correttezza. Si pensi ai poteri inibitori attribuiti
in generale all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato che
può agire anche d’ufficio e, in casi di indubbia scorrettezza, irrogare le
infrazioni previste senza dare la possibilità al professionista di assumere l’impegno a porre fine alle stesse.
L’importanza di uno svolgimento corretto dell’attività pubblicitaria è resa palese, altresì, sia dall’art. 2 del cod. cons., che sancisce il
diritto fondamentale di consumatori ed utenti ad una adeguata informazione e corretta pubblicità11, sia dall’art. 1 del d.lg. 145/2007, ove
si prevede espressamente che la pubblicità deve essere corretta.
9
D. PARROTTA, Nessun obbligo, cit., p. 36.
Tale scelta è in parte criticata da G. DE CRISTOFARO, Le pratiche commerciali
sleali, cit., p. 1193. Ivi si afferma che si rischia in questo modo una paralisi dell’attività
dell’Autorità e che, inoltre, i procedimenti dell’art. 27 presentano connotati di semplicità
e speditezza adatti ai messaggi pubblicitari e, più in generale, a condotte standardizzate e
strutturalmente semplici, ma sono assai meno adeguati alle peculiarità e complessità che
possono riscontrarsi in pratiche commerciali diverse dai messaggi pubblicitari. Il contenuto degli articoli 8 e 9 del d.lg. 145/2007 è inoltre identico a quello degli articoli 26 e
27 del codice del consumo prima delle modifiche apportate dal d.lg. 146/2007. Per un
commento sul punto si rimanda a S. STELLA, Pubblicità e altre comunicazioni commerciali, in V. CUFFARO, Codice del Consumo, cit., p. 125.
11
Sul significato delle espressioni adeguata informazione e corretta pubblicità cfr.
G. GRISI, Informazione, (obblighi di), in Enc. giur., cit., p. 3. Il riconoscimento di un diritto fondamentale dei consumatori ad una adeguata informazione e corretta pubblicità si
accompagna alla consapevolezza che la pubblicità ingannevole può direttamente ledere
l’interesse del consumatore ad operare una libera scelta sul mercato. G. ALPA, Il diritto
dei consumatori, cit., p. 115, si sofferma sulla necessità di un controllo della pubblicità al
fine di evitare che i messaggi siano strumenti di distorsione delle scelte dei consumatori
e risultino lesivi dei valori fondamentali dai quali dipende la qualità della vita. Sul punto,
anche con riferimento alle possibili implicazioni sulla tutela della salute, si rimanda, di
recente, a R. BIANCHI, Danno, cit., p. 609. Sulle implicazioni con riferimento al danno
10
PUBBLICITÀ E VALUTAZIONI DI OPPORTUNITÀ DEL CONSUMATORE
165
2. Pubblicità come attività rivolta sia al mercato sia ai singoli
L’analisi dei problemi inerenti la pubblicità in una dimensione
macroeconomica ha, spesso, portato a trascurare l’incidenza che la
stessa può avere sui singoli, prima di una scelta economica e in prospettiva di tale scelta. Eppure, quando ancora era raro che si parlasse
di consumatori, parte della dottrina sottolineava che, nel moderno traffico di massa, il messaggio pubblicitario, oltre a svolgere una funzione
concorrenziale, è strumento idoneo a sollecitare, promuovere ed influenzare il comportamento contrattuale dei destinatari12.
Nel nostro ordinamento, solo con il d.lg. n. 74 del 1992 si ha una
definizione di pubblicità che è intesa come: «qualsiasi forma di messaggio che sia diffuso, in qualsiasi modo, nell’esercizio di un’attività
commerciale, industriale, artigianale o professionale allo scopo di
promuovere la vendita di beni mobili o immobili, la costituzione o il
trasferimento di diritti ed obblighi su di essi oppure la prestazione di
opere o di servizi»13. Tale definizione è poi ripresa dall’art. 20, lett. a)
non patrimoniale cfr. S. PAGLIANTINI, Il danno non patrimoniale contrattuale, in Contratti, 2010, p. 836.
12
In questi termini, V. FRANCESCHELLI, Pubblicità ingannevole, cit., p. 270.
13
Sulla nozione di pubblicità si rimanda a C. ROSSELLO, Pubblicità ingannevole, in
Contr. impr., 1995, p. 155; M. FUSI, Pubblicità commerciale. Tecnica, modelli, tipi contrattuali, in M. BESSONE (diretto da), Trattato di diritto privato, Torino, 2001, p. 3.
L’Autore richiama l’attenzione sul fatto che prima di tale intervento legislativo,
l’espressione «pubblicità» formava oggetto, sul versante del diritto, di non poche incertezze, soprattutto a causa dei diversi significati attribuiti dal pubblico nel linguaggio corrente o, per converso, dalle imprese e dagli operatori di settore. Genericamente, infatti,
per pubblicità si intende, in senso indefinito, la comunicazione aziendale diretta ad incrementare la domanda dei beni o servizi che l’impresa offre al mercato. A tale estesa
accezione si contrappone quella più tecnica e ristretta, preferita dagli operatori del settore, che intendono per pubblicità quello che con termine inglese si definirebbe
advertising, cioè i soli annunci c.d. “tabellari”, caratterizzati dall’essere veicolati contro
corrispettivo dai mass-media classici, ossia stampa, radio, televisione, cinema, affissioni.
Diversa terminologia si usa, invece, per indicare promozioni, sponsorizzazioni o pubbliche relazioni, dette, infatti, “p.o.p” ossia pubblicità sul punto di vendita, sovente indicate
anche con l’espressione “below the line advertising”. Sulla definizione di pubblicità, già
prima dell’intervento legislativo, è utile il richiamo al codice di autodisciplina pubblicitaria, sul quale si rimanda a G. FLORIDIA, Legge e autodisciplina pubblicitaria in Italia, in
Riv. dir. ind., 1987, I, p. 122; G. SENA, Il sistema dell’autodisciplina pubblicitaria, in
Riv. dir. ind., 1988, I, p. 188; P. TESTA, Commento al D.L.g. 25 gennaio 1992 n. 74 - Attuazione della direttiva (CEE) n. 85/450 in materia di pubblicità ingannevole in P.
MARCHETTI e L. UBERTAZZI (a cura di), Commentario breve al diritto della concorrenza,
Padova, 2004, p. 1937; ID., Diritto e Pubblicità, Milano, 2006; G. IUDICA, Il codice di
autodisciplina pubblicitaria, cit., p. 159; V. RICCIUTO, I codici deontologici nelle comunicazioni, in G. ALPA e P. ZATTI (a cura di), Codici deontologici, cit., p. 169; F. BRAVO,
I codici deontologici nel settore informatico, ibidem, p. 183.
CAPITOLO QUINTO
166
del nuovo Codice del Consumo, nella formulazione precedente ai d.lg.
n. 145 e n. 146 del 2007 ed è oggi riproposta, in modo sostanzialmente
identico dall’art. 2 del primo dei due decreti richiamati14.
Una nozione di pubblicità è rinvenibile anche nell’art. 2, lett., u)
del d.lg. n. 177/2005, meglio conosciuto come Testo unico della radiotelevisione. Ivi si prevede che deve considerarsi pubblicità ‹‹ogni forma di messaggio televisivo o radiofonico trasmesso a pagamento o
dietro altro compenso da un’impresa pubblica o privata nell’ambito di
un’attività commerciale, industriale, artigianale o di una libera professione, allo scopo di promuovere la fornitura, dietro compenso, di beni
o servizi, compresi i beni immobili, i diritti e le obbligazioni››15. Dello
stesso tenore è quanto previsto dalla direttiva 2010/13/Ue, nota come
direttiva sui servizi di media audiovisivi. Ivi, si intende per pubblicità
televisiva «ogni forma di messaggio televisivo trasmesso dietro pagamento o altro compenso, ovvero a fini di autopromozione, da un’impresa pubblica o privata o da una persona fisica nell’ambito di un’attività commerciale, industriale, artigiana o di una libera professione,
allo scopo di promuovere la fornitura, dietro pagamento, di beni o di
servizi, compresi i beni immobili, i diritti e le obbligazioni»16.
Emergono già da tali definizioni alcuni dati rilevanti. Il primo che
merita di essere evidenziato è che la pubblicità si inserisce nell’ambito
14
Cfr. G. MAGRI, Gli effetti della pubblicità ingannevole, cit., p. 270; E. SACCHETL’Antitrust, cit., p. 23.
15
Sul punto si veda V. MELI, Pubblicità ingannevole, cit., p. 3, il quale si sofferma anche su altre definizioni di pubblicità rinvenibili in normative di fonte convenzionale.
16
Interessanti sono anche le definizioni di «comunicazione commerciale audiovisiva» e di «comunicazione commerciale audiovisiva occulta» previste dalla direttiva 2010/13/Ue Segnatamente l’art 1, lettera h) definisce «comunicazione commerciale audiovisiva», immagini, sonore o non sonore, che sono destinate a promuovere,
direttamente o indirettamente, le merci, i servizi o l’immagine di una persona fisica
o giuridica che esercita un’attività economica. Tali immagini accompagnano o sono
inserite in un programma dietro pagamento o altro compenso o a fini di autopromozione. Tra le forme di comunicazione commerciale audiovisiva figurano, tra l’altro,
la pubblicità televisiva, la sponsorizzazione, la televendita e l’inserimento di prodotti. L’art. 1 lettera J) definisce «comunicazione commerciale audiovisiva occulta»,
la presentazione orale o visiva di beni, di servizi, del nome, del marchio o delle attività di un produttore di beni o di un fornitore di servizi in un programma, qualora
tale presentazione sia fatta dal fornitore di servizi di media per perseguire scopi
pubblicitari e possa ingannare il pubblico circa la sua natura. Tale presentazione si
considera intenzionale, in particolare, quando è fatta dietro pagamento o altro compenso. Sul punto cfr. G. DE CRISTOFARO, La nuova disciplina della pubblicità televisiva e
delle televendite (direttiva 2010/83/UE e T.U. dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, in
Studium iuris, 2010, p. 1237.
TINI,
PUBBLICITÀ E VALUTAZIONI DI OPPORTUNITÀ DEL CONSUMATORE
167
dello svolgimento di un’attività da parte di un operatore economico
professionale17, tenuto, in quanto tale, alla specifica competenza e attenzione che, in base a buona fede e correttezza, ci si può legittimamente attendere nel settore di attività da lui esercitata.
La pubblicità, inoltre, è idonea a raggiungere una molteplicità di
destinatari. Rispetto a questi ultimi, il fenomeno pubblicitario si presenta complesso e fonte di problematiche differenziate a seconda del
punto di osservazione dell’interprete. Occorre distinguere, infatti, tra
la dimensione della pubblicità rivolta al mercato e quella successiva
nella quale la massa dei fruitori del messaggio si specifica in singoli
soggetti18.
Guardare alla pubblicità in relazione al mercato vuol dire affrontare i problemi legati a messaggi rivolti al pubblico19, inteso come destinatario naturale, ma anche generico e indistinto20 e al quale ci si rivolge in modo per lo più uniforme. Tali messaggi hanno una valenza comunicativa che − sebbene diversa da quella assunta nella dimensione
dialogica del rapporto − può influire sulla tutela degli interessi dei
soggetti che, a vario titolo, agiscono nel mercato.
La detta valenza comunicativa, però, ha implicazioni ancora più
incisive se si considera che la pubblicità, pur rivolgendosi essenzialmente al mercato, va valutata anche per l’idoneità del messaggio a
raggiungere un singolo e ben individuato soggetto, creando in lui un
ragionevole affidamento su quanto pubblicizzato.
Occorre, a questo punto fare una precisazione. Quando ci si riferisce esclusivamente alla dimensione dell’attività, può aver senso calibrare la disciplina sulla figura del consumatore medio. Il riferimento a
quest’ultimo è, infatti, indice non tanto di un modello di tutela individualistica dei consumatori, quanto piuttosto di un modello di organizzazione dell’attività comunicativa dell’impresa21. Il ruolo del consumatore, d’altronde, si presta ad essere oggetto di analisi anche in una
17
Cfr. M. FUSI, Pubblicità commerciale, cit. p. 5.
G. GRISI, Informazione (obblighi di), in Enc. giur., cit., p. 3; ID., Informazione
(obblighi di), in Enc. dir., cit., p. 606.
19
Su cosa debba intendersi per diffusione del messaggio pubblicitario si veda V.
MELI, Pubblicità ingannevole, cit., p. 4, ove si afferma che il messaggio deve essere destinato alla diffusione, ma non è necessario che questa sia già avvenuta. A sostegno di
tale argomentazione si richiamano gli articoli 42 della direttiva n. 84/450 e l’art. 112 della
direttiva sulle pratiche commerciali sleali.
20
Cfr. G. GRISI, op. loc. ult. cit.
21
C. CAMARDI, Pratiche, cit., p. 408. In giurisprudenza cfr. Consiglio di Stato 22
giugno 2011, n. 3763, cit.
18
CAPITOLO QUINTO
168
prospettiva macroeconomica, nella quale si fa riferimento non tanto
all’agire del singolo isolatamene considerato, ma al suo porsi quale
forma di espressione della domanda in generale22. Il consumatore medio diventa «metro di valutazione della diligenza professionale, atto a
specificare i limiti entro i quali può esplicarsi liberamente la modalità
delle offerte»23.
Quando, però, si analizza il contatto tra l’attività ed il singolo − al
fine di valutare se quest’ultimo abbia risentito un danno a causa delle
modalità di svolgimento di tale attività24 − il danno va debitamente provato con riferimento allo specifico consumatore nel caso considerato25.
Restano poi tutti i problemi relativi a cosa debba intendersi per
consumatore medio, oltre agli interrogativi posti dalla possibilità di
valutare la liceità non solo con riferimento al consumatore medio, ma
anche ad un gruppo di consumatori chiaramente individuabile e particolarmente vulnerabile26.
22
L. ROSSI CARLEO, Consumatore, consumatore medio, investitore e cliente: cit., p.
688. Sulle problematiche inerenti alla possibilità che al consumatore sia attribuito un
compito di sistema, in quanto con le sue scelte incide sulla domanda e contribuisce a selezionare le offerte nel complesso meccanismo concorrenziale cfr. A. SOMMA, Alle radici del diritto, cit., p. 40.
23
In questi termini L. ROSSI CARLEO, op. loc. ult. cit.; ID., I soggetti, in L. ROSSI
CARLEO (a cura di), Diritto dei consumi, cit., p. 33. Sul punto cfr. L. FIORENTINO, Le pratiche commerciali scorrette, in Obbl. contr., 2011, p. 165; M. GORGONI, L’ammissibilità,
cit., p. 1099; ID., Ancora prove tecniche di applicazione dell’azione di classe: un inventario di questione irrisolte, in Giur. merito, 2011, p. 1792.
24
Cfr. G. DE CRISTOFARO, La nozione generale di pratica commerciale, cit., p.
767; A. GIUSSANI, Tutela individuale e tutela collettiva del consumatore dalle pratiche
commerciali scorrette fra diritto sostanziale e processo, in Giur. it., 2010, p. 1677.
25
Critico sulla scelta di fare riferimento al consumatore medio appare R. DI RAIMO,
L’art. 14 della direttiva, cit., p. 303; ID., Note minime, cit., p. 96. L’Autore ritiene che il
ricorso alla figura del consumatore medio lasci presagire un abbassamento del livello di
tutela, a fronte della tendenza della normativa precedente ad imputare sempre, salvo casi
estremi, al professionista le conseguenze della mancanza di consapevolezza del consumatore. Si nota, inoltre, p. 96, che, con riferimento all’attività pubblicitaria, la distinzione
tra varie categorie di destinatari, e anche quella tra imprenditori e consumatori, è insoddisfacente. Si afferma che ‹‹la qualità di consumatore è infatti determinata da un dato
inerente al concreto rapporto istaurato in funzione dell’acquisto di un bene o di un servizio: la natura personale del bisogno da soddisfare con l’acquisto medesimo. Il messaggio
pubblicitario opera a monte del rapporto e, quasi sempre, a prescindere da tale dato. Esso
opera quando il soggetto destinatario è ancora potenzialmente sia professionista che consumatore, promuovendo il bene o il servizio in sé. (…) Interessi coinvolti sono per ciò
stesso tutti quelli in astratto rivolti al corretto funzionamento del mercato: tanto quelli dei
concorrenti, quanto quelli dei destinatari medesimi››.
26
Sul punto si vedano E. BARGELLI, L’ambito, cit., p. 85; V. MELI, Pubblicità ingannevole, cit., p. 9; N. ZORZI, F. GALGANO, Il consumatore medio ed il consumatore
vulnerabile nel diritto comunitario, in Contr. impr./Eur., 2010, p. 549; ID., Il contratto di
PUBBLICITÀ E VALUTAZIONI DI OPPORTUNITÀ DEL CONSUMATORE
169
Quanto al primo aspetto − premesso che è necessaria un’interpretazione della nozione di consumatore, non in senso statico, ma attenta
agli esiti della giurisprudenza della Corte di giustizia27 − per consumatore medio si intende un soggetto normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, tenuto conto di fattori sociali, culturali e
linguistici28.
Informazione, attenzione e avvedutezza non solo concetti omogenei29.
Il giudizio sul grado di informazione riguarda il modo di essere
del consumatore, il suo bagaglio culturale ed esperienziale30; quello
sull’attenzione riguarda il modo nel quale il consumatore si rapporta al
consumo, cit., p. 111. L’opportunità di considerare anche la posizione di consumatori
particolarmente vulnerabili è ribadita, di recente, dalla direttiva 2011/83/UE sui diritti dei
consumatori. Si veda, in particolare il considerando 34).
27
Quanto alle implicazioni della scelta di un approccio non statico alla nozione di
consumatore si rimanda a V. MELI, Pubblicità ingannevole, cit., p. 8; ID.,
L’applicazione, cit., p. 345. Sulla nozione di consumatore nella giurisprudenza della Corte di Giustizia si vedano R. INCARDONA - C. PONCIBÒ, The average consumer, the unfair
commercial practices directive and the cognitive revolution, in Journal of Consumer Policy, 2007, p. 21; ID., Il consumatore medio, cit., 734; L.G. VIGORITI, Verso l’attuazione
della direttiva, cit., p. 530; A. PERA, La direttiva sulle pratiche commerciali, cit., p. 490;
N. ZORZI, Le pratiche, cit., p. 433. Preferisce riferirsi alle qualità o condizioni soggettive
dei contraenti, piuttosto che al concetto di status, E. MINERVINI, Status delle parti e disciplina del contratto, in G. CAVAZZONI, L. DI NELLA, L. MEZZASOMA, V. RIZZO (a cura
di ), Il diritto dei consumi. Realtà e prospettive, cit., p. 72. G. BENEDETTI, Tutela del
consumatore, cit., 26, evidenzia che incentrando le normative di derivazione comunitaria
sullo status si compie un errore di prospettiva, ponendo questo a fondamento di una
normativa che invece ha indole oggettiva.
28
In senso critico rispetto allo stereotipo del consumatore di massa, si veda G. FABRIS, La pubblicità teorie e prassi, cit., p. 31, il quale rileva anche, p. 568, la necessità di
tenere conto di diversi modelli di consumatore: il consumatore “frammentato”, il consumatore “individualista”, il consumatore “colto”, il consumatore “realista”, il consumatore
“pragmatico”, il consumatore “olistico”, il consumatore “frastornato”, il consumatore
“esigente”, il consumatore “transnazionale”. Sul problema relativo alla identificazione di
uno specifico modello di utente del messaggio pubblicitario già prima del d.lgs. n. 74 del
1993, si vedano U. RUFFOLO, Interessi collettivi o diffusi e tutela del consumatore, Milano, 1985, p. 33, nota 11; G. PIZZOLANTE, La nozione di ‹‹consumatore›› nel diritto comunitario e nel diritto italiano, in Dir. comm. internaz., 2003, p. 319. In relazione all’art.
20 cod. cons. prima delle modifiche apportate dal d.lg. 146/2007, cfr. R. ANGELINI, Pubblicità e altre comunicazioni commerciali, in V. CUFFARO (a cura di), Codice del Consumo, cit., p. 83. Con riferimento alle problematiche inerenti il consumatore medio nella
disciplina delle pratiche commerciali cfr. C. CAMARDI, Pratiche, cit., p. 408; L. FIORENTINO, Le pratiche, cit., p. 166; M. GORGONI, L’ammissibilità, cit., p. 1099; C. PONCIBÒ,
Il consumatore medio, in Contr. impr./Eur., 2007, p. 734; A. SACCOMANI, Le nozioni di
consumatore e di consumatore medio nella direttiva 2009/29/CE, in E. MINERVINI e L.
ROSSI CARLEO (a cura di), Le pratiche commerciali sleali, cit., p. 141.
29
V. MELI, L’applicazione, cit., p. 346.
30
In questi termini V. MELI, op. loc. ult. cit.
CAPITOLO QUINTO
170
mercato31; il giudizio sull’avvedutezza, da intendere come il contrario
della distrazione o superficialità, riguarda il modo di compiere determinate operazioni economiche32.
Con riferimento al secondo profilo, basti rilevare che il criterio
del consumatore medio va coordinato con quello di specialità, qualora
talune caratteristiche rendano un gruppo di consumatori particolarmente vulnerabile33. Tale criterio mira ad assicurare maggiore tutela
contro le esortazioni rivolte a gruppi di consumatori deboli, come
bambini o anziani, dato che l’impatto dell’attività va valutato non più
in base all’effetto che essa causa sul consumatore medio, ma sul modello ideale di «bambino medio» o «anziano medio».
Altro aspetto da segnalare è il carattere promozionale della pubblicità34, quale elemento a tal punto qualificante da rappresentare la
linea di confine tra ciò che è e ciò che non è pubblicità, basti pensare
alle differenze rispetto all’offerta in vendita o all’invito all’acquisto35.
31
V. MELI, op. loc. ult. cit. Segnatamente, secondo l’Autore, il giudizio
sull’attenzione riguarda la vigile consapevolezza del proprio interesse quale consumatore, lo spirito critico e la capacità di selezionare informazioni.
32
V. MELI, op. loc. ult. cit.
33
Sulla categoria dei consumatori particolarmente vulnerabili cfr. V. MELI, “Diligenza professionale”, cit., p. 26; N. ZORZI, F. GALGANO, Il consumatore medio, cit., p.
602. Nel DCFR, e segnatamente all’art. II. -3:103, si fa riferimento a cause di particolare
svantaggio per il consumatore; cause individuate nel mezzo tecnico utilizzato, nella distanza tra professionista e consumatore e nella natura del contratto. Su questi aspetti si
rimanda a M. LEHMANN, Die Zukunft, cit., p. 704.
34
Si veda M. FUSI, Pubblicità commerciale, cit., p. 10, per il quale il carattere promozionale della pubblicità si riferisce specificamente, a «tutte le iniziative che in modo diretto o indiretto possono contribuire a creare condizioni favorevoli all’accettazione delle
offerte commerciali dell’impresa, attraverso l’illustrazione e l’esaltazione tanto delle qualità positive dei suoi prodotti o servizi quanto dell’immagine aziendale in termini di tecnologia, affidabilità sensibilità alle esigenze del consumo o, più semplicemente, di simpatia».
Per un’accurata analisi delle decisioni dell’Autorità garante sul punto, si rimanda a R. ANGELINI, Pubblicità, cit., p. 79. Sul carattere promozionale del messaggio pubblicitario, si veda
Provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, n. 19194, PB191- Bluline-Pubblicità servizi vendita on-line del messaggio pubblicitario, in Bollettino n. 45 del 8 gennaio 2009, p. 148, ove si legge ‹‹che ai fini della qualificazione in termini di pubblicità, lo
scopo iniziale per il quale il documento è stato redatto diventa irrilevante, una volta che esso
sia stato diffuso con un effettivo ed oggettivo utilizzo promozionale, del quale l’impresa deve
rispondere, a meno che non si possa provare che il suo incaricato abbia diffuso tale documento con dolo per perseguire uno scopo in contrasto con il rapporto che lo lega all’impresa stessa››. Segnatamente, si dà rilievo alla circostanza che un pieghevole, sia pure destinato a contenere la modulistica contrattuale, in quanto può essere conosciuto dal potenziale acquirente
già in un momento antecedente alla manifestazione di volontà, può rivestire una funzione oggettivamente pubblicitaria.
35
La netta distinzione tra pubblicità ed invito all’acquisto sembra confermata dal
considerando 14) della direttiva 2005/29/Ce in materia di pratiche commerciali sleali,
PUBBLICITÀ E VALUTAZIONI DI OPPORTUNITÀ DEL CONSUMATORE
171
Il professionista commissiona una pubblicità per promuovere la
sua attività e per realizzare un suo interesse economico. Chi ha intenzione di avviare una campagna pubblicitaria si preoccupa di fare accurate analisi sull’efficienza della stessa a coprire almeno i costi della
promozione.
Non è più possibile, però, limitarsi a tali aspetti, poiché la normativa di derivazione comunitaria attribuisce alla pubblicità una crescente valenza informativa, tale da renderla non più soltanto strumento
principe di promozione e persuasione ma anche di informazione e
pubblicizzazione (nel senso di rendere pubblici) di dati rilevanti36.
D’altronde, la stessa nozione ampia di pubblicità, pur non relegando ai margini il profilo promozionale, non disdegna di ricomprendere anche messaggi diffusi al fine di veicolare informazioni precontrattuali37.
La crescente valenza informativa della pubblicità rafforza l’idoneità della stessa a condizionare in misura rilevante il comportamento
economico del consumatore38, palesando e valorizzando la dimensione
ove si afferma che, per quanto riguarda le omissioni, è elencato un limitato novero di informazioni chiave necessarie affinché il consumatore possa prendere una decisione consapevole di natura commerciale. Tali informazioni non devono essere comunicate in ogni
pubblicità, ma solo qualora il professionista inviti all’acquisto; nozione, quest’ultima,
espressamente definita dalla lett. i) dell’art. 2 della direttiva stessa.
36
F. CAFAGGI, Pubblicità commerciale, cit., p. 474; G. CASABURI, La tutela, cit., p.
634; G. GRISI, Informazione, (obblighi di), in Enc. giur., cit., p. 3, ove si segnala, in particolare il richiamo all’art. 114 del Testo Unico in materia di intermediazione finanziaria
e agli articoli 116 e 123 del Testo Unico in materia bancaria e creditizia. Cfr. sul punto
G. ROSSI, Informazione e suggestione del consumatore nella pubblicità comparativa, in
Foro it., 2003, c. 459. A sostegno della crescente valenza informativa della pubblicità,
basti richiamare la caduta del divieto della pubblicità comparativa. L’impossibilità di dare informazioni tali da consentire di comparare caratteristiche, anche tecniche, di beni e
servizi era sintomatico della funzione meramente promozionale che si attribuiva alla
pubblicità. Perplessità circa la vocazione informativa della pubblicità sono evidenziate da
T. FEBBRAJO, L’informazione ingannevole, cit., p. 23. L’Autore, comunque, afferma, p.
24, che il consumatore alla fine è costretto a mutare il proprio convincimento sulla base
di quanto gli comunica la controparte attraverso la pubblicità. Sul rapporto tra funzione
informativa e funzione persuasiva della pubblicità, si vedano A. VANZETTI, La repressione
della pubblicità menzognera, in Riv. dir. civ., 1964, I, p. 584; A. BORRUSO, La pubblicità
comparativa: l’attuazione della direttiva 97/55/CE in Italia e la sua «ratio» economica, in
Nuova giur. civ. comm., 2005, II, p. 199. Ivi si rimanda per la specificazione del ruolo della
pubblicità comparativa come importante risorsa al fine di acquisti razionali del consumatore.
37
In questi termini G. GRISI, op. loc. ult. cit.
38
Quanto rilevato sarebbe evidente anche se si riconoscesse alla pubblicità una vocazione meramente promozionale; anche l’attività promozionale, infatti, se svolta in maniera non corretta, può essere idonea a pregiudicare, in alcune circostanze, gli interessi
172
CAPITOLO QUINTO
dello svolgersi di una attività oggettivamente destinata a produrre effetti nella sfera giuridica dei singoli che ne sono raggiunti. Su questi
aspetti è, dunque, necessario soffermarsi.
3. La valenza informativa della pubblicità e il carattere vincolante
delle informazioni pubblicitarie: d.lg. n. 79 del 2011 e Proposta
di Regolamento relativa ad un diritto comune europeo della
vendita
Al fine di evidenziare la crescente valenza informativa della pubblicità, preme soffermarsi, in particolare, su alcuni aspetti della disciplina relativa ai contratti di multiproprietà e all’opuscolo informativo
nei contratti di viaggio. Sul punto, numerose novità sono legate al d. lg.
n. 79 del 201139, che all’allegato 1 contiene il c.d. Codice del turismo40 e
che, all’art. 2, modifica il Codice del consumo, anche al fine di adeguare
il nostro ordinamento alla direttiva 2008/122/Ce41. Quest’ultima, infateconomici dei destinatari. Se ci limitassimo, però, all’aspetto promozionale, i casi di effettiva lesione e danno sarebbero sicuramente marginali rispetto a quanto si può verificare oggi per effetto della valenza informativa, e spesso vincolante, assunta sempre più dai
messaggi pubblicitari.
39
M. LA TORRE e M. COCUCCIO, I contratti del turismo organizzato, in Corr. Mer.,
2011, p. 1152. Ivi si afferma che da una prima lettura le nuove regole sembrano riportare
sostanzialmente quanto già previsto dalla precedente disciplina contenuta nel Codice del
consumo. Ad una semplicistica equiparazione ostano tuttavia alcuni rilievi: a) l’inquadramento in un Codice di settore, finalizzato non solo a un riordino ma anche ad
un’autonoma regolamentazione dei rapporti, unificati dal riferimento al turismo; b)
l’attenzione riservata al turista, quale specifica e particolare figura di consumatore, qualificato in relazione all’attività.
40
L’ampia portata del provvedimento è, invero, ridotta di recente dalla Corte Costituzionale che, con la sentenza 5 aprile 2012 n. 80, ha bocciato 19 articoli del codice del turismo per eccesso di delega e, segnatamente, ha dichiarato «l’illegittimità costituzionale
dell’articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 23 maggio 2011, n. 79 nella parte in cui dispone l’approvazione dell’art. 1, limitatamente alle parole “necessarie all’esercizio unitario
delle funzioni amministrative” e “ed altre norme in materia”, nonché degli artt. 2, 3, 8, 9, 10,
11, comma 1, 12, 13, 14, 15, 16, 18, 20, comma 2, 21, 23, commi 1 e 2, 30, comma 1, 68 e 69
dell’allegato 1 del d.lgs. n. 79 del 2011». La motivazione è individuata nel fatto che lo Stato
ha accentrato funzioni legislative di competenza della regioni, travalicando la delega legislativa che consentiva solo di riordinare le leggi esistenti in materia di turismo. In argomento cfr.
P. CARLUCCIO e R. FINOCCHI GHERSI, Codice del turismo. Legge di delegazione, esclusione
della disciplina dei rapporti tra stato e regioni, in Gior. dir. amm., 2012, p. 751.
41
Cfr. S. CATERBI, La nuova normativa in tema di turismo, in Resp. civ. prev., 2011, p.
2393; V. CUFFARO, Un codice “consumato” (codice del consumo, credito ai consumatori
e codice del turismo, in Corr. giur., 2011, p. 1189; G. DE CRISTOFARO, La disciplina dei
contratti aventi ad oggetto ‹‹pacchetti turistici›› nel ‹‹codice del turismo›› (D. Legisl. 23
PUBBLICITÀ E VALUTAZIONI DI OPPORTUNITÀ DEL CONSUMATORE
173
ti, non fa più riferimento esclusivamente al contratto di multiproprietà
ma contempla anche altre tipologie contrattuali strettamente connesse,
e segnatamente: il contratto relativo a un prodotto per le vacanze di
lungo termine; il contratto di rivendita e il contratto di scambio.
Per tutti questi tipi di contratto, il novellato Codice del consumo prevede la disciplina della pubblicità e delle informazioni precontrattuali. Segnatamente, l’art. 702 dispone che è fatto obbligo all’operatore di specificare in ogni pubblicità la possibilità di ottenere le informazioni precontrattuali di cui all’art. 711 e di indicare le modalità sul come ottenerle.
Sebbene si tratti di due momenti distinti, quello promozionale e
quello informativo42, non si può discorrere di una netta separazione,
ma, al contrario, di evidente connessione43.
Il fine della norma in oggetto è una maggiore tutela del consumatore che, avendo facile accesso a date informazioni, può avvedersi più
facilmente di eventuali scorrettezze dell’attività pubblicitaria. Segnatamente, è quest’ultima ad essere disciplinata, prima ancora del contratto eventualmente concluso.
Si persegue una funzione prevalentemente deterrente e di tutela
preventiva dei singoli che, pure in questo caso, non possano ritenersi
adeguatamente tutelati solo dai tradizionali mezzi invalidanti che opemaggio 2011 n. 79): profili di novità e questioni problematiche, in Studium iuris, 2011,
p. 1143; F. ROMEO, Il “nuovo” danno da vacanza rovinata: primi rilievi sull’art. 47 del
codice del turismo, in Resp. civ., 2011, p. 565; E. MALAGOLI, Il nuovo codice del turismo: contenuti e garanzie, in Contr. impr./Eur., 2011, p. 813; S. MAZZAMUTO, Il contratto nel diritto europeo, cit., p. 407; A. ROSSI, Tutela del turista: conferme e novità, in
Danno e resp., 2011, p. 989; ID., Il danno non patrimoniale contrattuale, in Eur. dir.
priv., 2012, p. 437; L. NIVARRA, La contrattualizzazione del danno non patrimoniale:
un’incompiuta, ibidem, p. 475; C. RUFO SPINA, Tutela del consumatore-viaggiatore e
termini per il reclamo, in Giur. it., 2011, p. 2538; N. SOLDATI, Brevi note a margine del
codice del turismo, in Contratti, 2011, p. 815; P. QUARTICELLI, Il contratto di vendita di
pacchetto turistico nel nuovo codice del turismo, in Contratti, 2012, 205; N. ZORZI, Il
recesso di protezione del consumatore nella nuova disciplina del turismo e della multiproprietà, in Contr. impr., 2012, p. 1193. Ivi, in particolare, si segnala che il legislatore
nazionale, anziché limitarsi ad introdurre obblighi informativi a carico dell’operatore,
avrebbe dovuto provvedere a garantirne l’adempimento con una sanzione adeguata.
42
Anche il codice del consumo fa attenzione a non confondere le attività non promozionali destinate all’educazione e all’informazione del consumatore (artt. 4-17) con
quelle di natura commerciale che trovano espressione nella pubblicità (artt. 18-30).
43
Per l’analisi di alcuni casi nei quali la contestazione di scorrettezza riferita alla
pubblicità si è accompagnata a una contestazione di scorrettezza riferita ai termini di redazione del Foglio informativo dei relativi contratti si rimanda a A. GENOVESE, Il contrasto, cit., p. 210. Cfr. PS243 - Findomestic - Aura Indennitaria PLUS, del 7 agosto
2008; e PS3562 - Mutuonet - Costo Apertura Pratica, del 25 novembre 2009; PS1904 Che banca! Spot televisivo, del 16 settembre 2009.
CAPITOLO QUINTO
174
rano esclusivamente in via successiva44. In direzione analoga muoveva il Codice del consumo nella precedente formulazione, ove ai profili
evidenziati era dedicato l’art. 722, ai sensi del quale la pubblicità
commerciale relativa al bene immobile doveva fare riferimento al diritto di ottenere il documento informativo, indicando il luogo nel quale
lo stesso è consegnato45.
La contemporanea valenza informativa e promozionale della pubblicità è facilmente riscontrabile nella disciplina dei contratti di viaggio e, in particolare, dell’opuscolo disciplinato dall’art. 38 del Codice
del turismo. I messaggi ivi contenuti hanno le caratteristiche proprie di
quelli pubblicitari ed è espressamente previsto il carattere vincolante
delle informazioni46, qualora l’opuscolo sia messo a disposizione del
turista da parte dell’organizzatore o dell’intermediario47.
44
T. FEBBRAJO, L’informazione ingannevole, cit., p. 175, afferma che l’assenza di
rimedi di matrice civilistica e la sola presenza di sanzioni amministrative mal si conciliano con la ratio degli interventi comunitari, la quale consiste nel tutelare la posizione contrattuale del consumatore.
45
G. GRISI, Informazione, (obblighi di), in Enc. giur., cit., p. 3, afferma che
l’articolo 72, co. 2, cod. cons., imponendo il riferimento al diritto di attenere il documento informativo di cui all’art. 70 cod. cons., fa della pubblicità un tramite informativo sull’informazione precontrattuale ivi rappresentata. Sul punto cfr. V. ROPPO, L’informazione precontrattuale, cit., p. 145. Quanto all’obbligo del venditore di fornire il documento informativo sin dal primo contatto con il consumatore si veda L. DI DONNA, Obblighi informativi, cit., p. 95.
46
G. GRISI, Informazione, (obblighi di), in Enc. giur., cit., p. 13; M. DE POLI, Asimmetrie informative e rapporti contrattuali, Padova, 2002, p. 217; R. CALVO, Contratti
e mercato, cit., p. 203; V. ROPPO, L’informazione precontrattuale, cit., p. 143. Dal carattere vincolante dell’opuscolo informativo parte della dottrina deduce la possibilità di equipararlo ad un’offerta al pubblico. In questo senso, in particolare, si vedano M.E. LA
TORRE, Il contratto di viaggio “tutto compreso”, in Giust. civ., 1996, p. 31; F. INDOVINO
FABRIS, Legislazione turistica, Padova, 2004, p. 415. In diversa prospettiva G. TASSONI,
Il contratto di viaggio, Milano, 1998, p. 177, per il quale si tratterebbe di un semplice
invito ad offrire.
47
Tra le novità del codice del turismo c’è la sostituzione del termine consumatore
con quella di turista e quella di venditore con quella di organizzatore di viaggio e intermediario. Per le implicazioni connesse a tale dato si rimanda a G. DE CRISTOFARO, La
disciplina dei contratti, cit., p. 1143; P. QUARTICELLI, Il contratto, cit., 205. Ivi, in particolare si segnala che elementi di novità si rinvengono nel terzo comma dell’ art. 38, per
effetto del quale sono ora equiparate le informazioni ed i materiali illustrativi divulgati su
supporto elettronico o per via telematica. «Dacché l’ovvia conseguenza che le informazioni pubblicitarie, da indicare in modo chiaro e preciso, che, in caso di conclusione del
contratto, vincolano l’organizzatore e l’intermediario in relazione alle rispettive responsabilità, sono, oltre a quelle risultanti dai più tradizionali opuscoli informativi cartacei,
anche quelle divulgate su supporto elettronico o per via telematica». Altro elemento di
novità è il necessario maggiore dettaglio delle informazioni pubblicitarie fornite in relazione all’albergo o all’alloggio. A dispetto della disciplina previgente che prescriveva
soltanto l’obbligo per l’intermediario o l’organizzatore di specificare nel materiale pub-
PUBBLICITÀ E VALUTAZIONI DI OPPORTUNITÀ DEL CONSUMATORE
175
La vincolatività delle informazioni evidenzia che le connotazioni
della pubblicità sono sensibilmente mutate e se, in passato, era quasi
inconcepibile che quanto detto nella pubblicità potesse obbligare oggi
il legislatore impone di fare i conti con questa possibilità48.
Il dato è avvalorato proprio dal codice del turismo. Il riferimento
è, in particolare, all’art. 43 che riproduce, in gran parte, il contenuto
dell’art. 93 cod. cons. con, però, due novità. La prima è legata alla
mancanza, nella nuova disposizione, del riferimento alla prova liberatoria dell’organizzatore e dell’intermediario; prova individuata in precedenza nella circostanza che il mancato o inesatto adempimento fosse stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da
causa a loro non imputabile.
La seconda novità consiste nella previsione giusta la quale si considerano inesatto adempimento le difformità degli standard qualitativi
del servizio promessi o pubblicizzati.
La valenza vincolante della pubblicità poteva, invero, già desumersi dalla disciplina sulla vendita dei beni di consumo. Si pensi
all’obbligo del venditore di consegnare beni conformi al contratto di
vendita49; beni cioè dalle qualità e prestazioni che il consumatore può
blicitario l’ubicazione dell’albergo, l’attuale previsione normativa statuisce ora che deve
essere indicata l’esatta ubicazione dell’albergo o dell’alloggio con particolare riguardo
alla distanza dalle principali attrazioni turistiche del luogo.
48
Cfr. G. GRISI, Informazione, (obblighi di), in Enc. giur., cit., p. 3.
49
Quanto ai problemi che la normativa comunitaria sui beni di consumo ha provocato nell’impatto sul nostro ordinamento, si vedano G. DE CRISTOFARO, Difetto di conformità al contratto e diritti del consumatore, Padova, 2000, p. 251; ID., La vendita dei
beni di consumo, in E. GABRIELLI - E. MINERVINI (diretto da), I contratti dei consumatori, II, Torino, 2005, p. 968; G. AMADIO, La ‹‹conformità al contratto›› tra garanzia e
responsabilità, in Contr. impr./Eur., p. 2; ID., Difetto di conformità e tutele sinallagmatiche, in Riv. dir. civ., 2001, p. 882; R. DE MATTEIS, Il difetto di conformità e l’equilibrio
contrattuale dello scambio, in Contr. impr./Eur., 2001, p. 46; A. LUMINOSO, Riparazione
o sostituzione della cosa e garanzia per vizi nella vendita dal codice civile alla direttiva
1999/44/CE, in Riv. dir. civ., 2001, p. 837; ID., La compravendita. Corso di diritto civile,
Torino, 2003; L. GAROFALO, Garanzia per i vizi e azione redibitoria nell’ordinamento
italiano, in Riv. dir. civ., 2001, p. 242; ID., Le azioni edilizie e la direttiva 1999/44/CE, in
S. MAZZAMUTO (a cura di), Il contratto e le tutele, cit., p. 479; P. PARDOLESI, L’incidenza della direttiva 99/44/Ce sulla disciplina italiana della garanzia per i vizi, in Foro
it., 2001, c. 489; A. DI MAJO, Garanzia e inadempimento nella vendita di beni di consumo,
in Eur. e dir. priv., 2002, p. 1; S. MAZZAMUTO, Equivoci e concettualismi, cit., p. 1052; ID.,
Il contratto, cit., p. 286; F. ADDIS, Tradizione e innovazione nella vendita dei beni di consumo, in F. ADDIS (a cura di), Aspetti della vendita dei beni di consumo, Milano, 2003, p.1;
A. NICOLUSSI, Diritto europeo della vendita dei beni di consumo e categorie dogmatiche,
in Eur. dir. priv., 2003, p. 547; AA.VV., in R. ALESSI (a cura di), La vendita dei beni di
consumo, Milano 2005, passim. Ivi si rimanda anche per il confronto con le esperienze
europee e per la prospettiva del diritto europeo dei contratti; S. TROIANO, Vendita di beni di
176
CAPITOLO QUINTO
ragionevolmente aspettarsi, tenuto conto delle dichiarazioni pubbliche
sulle caratteristiche specifiche dei beni o dei servizi rinvenibili nella
pubblicità o sull’etichetta50.
Indicazioni simili possono trarsi anche dalla già citata Proposta di
Regolamento relativa a un diritto comune europeo della vendita. Basti
pensare all’art. 100 ove, nell’individuare i criteri di conformità dei beni e del contenuto digitale, si avverte che gli stessi devono avere le
qualità e le prestazioni indicate in qualunque dichiarazione precontrattuale che rientri nelle clausole del contratto in forza dell’art. 69. Tale
norma prevede che anche la dichiarazione che un professionista renda
al pubblico prima della conclusione del contratto, relativamente alle
caratteristiche di quanto egli deve fornire in base al contratto, è considerata clausola del contratto.
Il citato art. 69 si spinge anche oltre perché equipara, tra le clausole contrattuali desunte da dichiarazioni precontrattuali, sia la dichiarazione resa da un professionista all’altra parte, sia la dichiarazione resa
al pubblico. Quest’ultima, dunque, stando al disposto normativo in
commento, ha una potenzialità lesiva dell’affidamento dell’acquirente
paragonabile a quella della dichiarazione precontrattuale individuale
resa da una parte all’altra.
Significativi sono, altresì alcuni passaggi del provvedimento del 9
febbraio 2011 della Banca d’Italia. Ivi la Sezione II è dedicata a Pubblicità e informazione precontrattuale e, tra l’elenco degli strumenti di
pubblicità delle operazioni e dei servizi offerti, si trova il “foglio informativo”. Ebbene, tra le informazioni riportate in detto foglio informativo e il contenuto del contratto deve essere assicurata piena coerenza51.
consumo: la responsabilità da “dichiarazioni pubbliche”, in La responsabilità civile,
2005, p. 871; C.M. BIANCA, La vendita dei beni di consumo, Padova, 2006, p. 182; ID.,
L’obbligazione nelle prospettive di codificazione europea e di riforma del codice civile,
in Riv. dir. civ., 2006, p. 62; L. CABELLA PISU, La vendita di beni di consumo, in G. VISINTINI (diretto da), Trattato, II, p. 1322; L. DELOGU, Garanzie nelle vendite di beni di
consumo e pratiche scorrette; l’attività dell’Antitrust a tutela della concorrenza e dei
diritti dei consumatori, in Contr. impr./Eur., 2010, p. 907; S. COPPO, Uno sguardo alla
giurisprudenza italiana in materia di vendita di beni di consumo, ibidem, p. 925; S. POLIDORI, Garanzia di conformità e diritti del consumatore nell’appalto di beni di consumo, in Riv. dir. impr., 2010, p. 267.
50
C. FRINO, La garanzia nella vendita dei beni di consumo: proposte di diritto europeo, in Danno resp., 2011, p. 461.
51
Banca d’Italia, provv. 9.2.2011 «Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari. Correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti. Recepimento della
direttiva sul credito ai consumatori» in Gazz. Uff. 16.2.2011, n. 38, suppl. ord. n. 40.”
PUBBLICITÀ E VALUTAZIONI DI OPPORTUNITÀ DEL CONSUMATORE
177
3.1. Attività pubblicitaria scorretta e danni al consumatore
Il quadro delineato evidenzia che si ha una svolta nella valutazione del messaggio pubblicitario che, quanto più è chiaro, tanto più avrà
capacità d’impegnare il professionista.
I messaggi in oggetto, pur non essendo creati o diffusi per determinare l’insorgenza di un vincolo, finiscono per produrre un effetto
obbligatorio in relazione ad un singolo e ben individuabile soggetto.
Si spiegano, dunque, le stringenti limitazioni alla possibilità di modificare le informazioni preventivamente diffuse dal professionista e tali
da poter condizionare il comportamento economico del consumatore.
Nello specifico dell’opuscolo informativo e delle informazioni
precontrattuali relative ai contratti di multiproprietà52 diverse sono le
possibilità di modifica53.
Quanto al primo, sono possibili variazioni qualora le relative condizioni siano comunicate per iscritto al turista prima della stipulazione
del contratto o vengano concordate successivamente dai contraenti
mediante uno specifico accordo scritto54.
Con riferimento alle informazioni precontrattuali relative ai contratti di multiproprietà, il novellato art. 72 cod. cons. prevede alcune
differenze rispetto alla precedente disciplina del documento informativo ex art. 70 del cod. cons. Ai sensi di quest’ultima disposizione, il
Sul punto cfr. S. PELLEGRINO, Le nuove regole sui contratti di credito ai consumatori
(d.lg. 13.8.2010, n. 141), in Obbl. contr., 2011, p. 125.
52
Come evidenziato quanto riferito ai contratti di multiproprietà riguarda anche i
contratti relativi ai prodotti per le vacanze di lungo termine e ai contratti di rivendita e di
scambio.
53
Su tali differenze, si veda, da ultimo, T. FEBBRAJO, L’informazione ingannevole,
cit., p. 152. L’Autore, in particolare, evidenzia che le diversità tra le due normative non
intaccano l’univocità del messaggio veicolato dalle due disposizioni, volto a stabilire un
rapporto di piena corrispondenza tra quanto prospettato nell’opuscolo e nel documento
informativo e il contenuto del contratto. Con riferimento all’opuscolo informativo e alla
distinzione tra fase precontrattuale generica e fase precontrattuale specifica, si rimanda a
V. BUONOCORE, I contratti di trasporto e di viaggi, cit., 307. Su questi aspetti, di recente,
cfr. L. DI DONNA, Obblighi informativi, cit., p. 80.
54
Quanto al rapporto tra informazioni precontrattuali dell’opuscolo e contenuto del
contratto successivamente stipulato, si vedano V. FRANCESCHELLI e F. MORANDI, Manuale del diritto del turismo, Milano, 2003, p. 315; A. LEZZA, I contratti di viaggio, in N.
LIPARI (a cura di), Tratt. dir. priv. eur., IV, Padova, 2003, p. 275. Ivi, in particolare, si
rimanda per l’analisi della responsabilità e degli obblighi degli operatori turistici; E. CAPOBIANCO, Diritto comunitario e trasformazioni del contratto, Napoli, 2003, p. 60; S.
MONTICELLI e M. GAZZARA, Il contratto di viaggio, in E. GABRIELLI e E. MINERVINI (diretto da), I contratti dei consumatori, cit., p. 776.
CAPITOLO QUINTO
178
venditore non poteva apportare modifiche agli elementi del documento a meno che le stesse non fossero dovute a circostanze indipendenti dalla sua volontà55. In tale caso, le dette modifiche dovevano essere comunicate alla parte interessata prima della conclusione del contratto ed inserite nello stesso; tuttavia, dopo la consegna del documento informativo, le parti potevano accordarsi per
modificarne il contenuto.
Nel nuovo art. 72 cod. cons. si legge che «le informazioni di cui
all’art. 71, comma 1, costituiscono parte integrante e sostanziale del
contratto e non possono essere modificate salvo qualora vi sia
l’accordo esplicito delle parti oppure qualora le modifiche siano
causate da circostanze eccezionali e imprevedibili, indipendenti
dalla volontà dell’operatore, le cui conseguenze non avrebbero potuto essere evitate neanche con la dovuta diligenza. Tali modifiche,
indicate espressamente nel contratto, sono comunicate al consumatore
su carta o altro supporto durevole a lui facilmente accessibile, prima della
conclusione del contratto».
Una prima notazione appare subito inevitabile: la nuova disciplina connota e caratterizza le circostanze indipendenti dalla volontà
dell’operatore e tali da poter giustificare una modifica rispetto a quanto previsto in sede precontrattuale. Tali circostanze, infatti, devono essere non solo eccezioni e imprevedibili, ma pure causa di conseguenze
inevitabili anche con la dovuta diligenza.
Per altri profili, invece, non ci sono sostanziali differenze rispetto
alla precedente disciplina del documento informativo. In entrambi i
55
Cfr. R. FLORIT, La multiproprietà. Torino, 2002, p. 80; U. MORELLO, Diritti di
godimento a tempo parziale su immobili: le linee di una nuova disciplina, in Contratti,
1999, p. 63; F. GRECO, Profili del contratto del consumatore, Napoli, 2005, p. 30. In particolare si segnala che la mancata trasposizione, nell’opera di recepimento, dell’art. 32
della direttiva 94/47/CE − in base al quale le informazioni contenute nel documento devono fare parte integrante del contratto − è indice di una lacuna del legislatore italiano
che avrebbe dovuto anche prevedere una sanzione da applicare in modo da garantire che
esso venga effettivamente adempiuto dal venditore. Su tali profili della disciplina del documento informativo, si vedano A. CIATTI, Il recepimento della direttiva comunitaria in
tema di godimento turnario di beni immobili (‹‹multiproprietà››), in Contr. impr./Eur.,
1999, p. 523; A. MUNARI, Problemi giuridici della nuova disciplina della multiproprietà,
Padova, 1999, p. 46; U. VINCENTI, Attuazione della direttiva comunitaria sui contratti
relativi alla c.d. multiproprietà, in Nuove leggi civ. comm., 1999, p. 21. In particolare,
della possibilità che le modifiche comportino in concreto un indebolimento della posizione del consumatore, si occupano G. DE MARZO, Trasparenza contrattuale e multiproprietà, in Corr. giur., 1999, p. 20; M. DE POLI, Asimmetrie informative e rapporti contrattuali, cit., p. 240.
PUBBLICITÀ E VALUTAZIONI DI OPPORTUNITÀ DEL CONSUMATORE
179
casi diverse sono le circostanze che, in concreto, si possono verificare.
Segnatamente, quanto alle modifiche non dipendenti dalla volontà
dell’operatore professionista: se debitamente comunicate, non comportano alcuna responsabilità; se non comunicate prima della conclusione del contratto, possono essere fonte di responsabilità precontrattuale qualora la scorrettezza dell’operatore professionista provochi
una diminuzione patrimoniale per il consumatore che ha fatto affidamento su condizioni non rispondenti alla realtà.
In altri termini, l’operatore professionista non è esonerato dagli
obblighi di correttezza e di comunicazione. Del mancato adempimento
di tali obblighi dovrà rispondere, pur non essendo tenuto alla prestazione prevista in sede precontrattuale e modificata per cause da lui indipendenti.
Non sono ammessi cambiamenti legati alla sola volontà dell’operatore professionista, così che queste ultimi, benché eventualmente
comunicati, sono fonte di responsabilità contrattuale per inadempimento della prestazione dovuta, che continuerà ad essere quella conformata secondo le caratteristiche del documento. In questo caso, è,
dunque, garantito al consumatore di soddisfare il suo interesse a concludere un contratto conforme a quello desumibile dalle informazioni
precontrattuali. Anche da questo punto di vista non ci sono differenze
rispetto alla precedente disposizione dell’art. 70 cod. cons., mentre è
una novità la previsione esplicita del nuovo art. 72 cod. cons., giusta la
quale le informazioni precontrattuali costituiscono parte integrante e
sostanziale del contratto56.
La disciplina dell’opuscolo informativo, rispetto alle norme sulle
informazioni precontrattuali nei contratti di multiproprietà, sembra lasciare maggiori margini all’operatività della responsabilità per scorrettezza nel corso delle trattative.
I rischi, per il turista, di un’attività svolta in modo scorretto da
chi pone in essere l’opuscolo informativo sono più elevati rispetto
a quanto può verificarsi per le informazioni precontrattuali nei
contratti di multiproprietà, proprio per la possibilità anche di modifiche volontarie.
56
Cfr. S. PAGLIANTINI, La modificazione unilaterale del contratto asimmetrico secondo la cassazione (aspettando la corte di giustizia), in Contratti, 2012, p. 165.
L’Autore si sofferma anche sull’immodificabilità delle informazioni, prima che il consumatore sia vincolato da un contratto a distanza o negoziato fuori dei locali commerciali, salvo il caso di un accordo “esplicito”. Il riferimento è, in particolare, all’art. 6 comma
5 della direttiva 25 ottobre 2011, n. 2011/83 UE sui diritti dei consumatori.
CAPITOLO QUINTO
180
Nel caso dei contratti di viaggio molteplici sono le alternative
possibili. L’organizzatore e l’intermediario, se non rispettano quanto
previsto dall’opuscolo né comunicano o concordano debitamente le
variazioni, sono tenuti alla prestazione conformata nel modo stabilito
in sede precontrattuale; se, invece, effettuano modifiche volontarie,
rendendole note nei modi previsti dalla legge, sono esonerati dall’obbligo di prestazione di cui all’opuscolo. In tale ultima ipotesi, non
può escludersi che si siano procurati danni di natura precontrattuale al
consumatore che, a causa delle dette modifiche, decida di non concludere più il contratto, pur avendo posto in essere dei comportamenti in
vista di quella conclusione. Può, altresì, accadere che si accettino condizioni diverse, dovendo sopportare l’intero scarto di convenienza dovuto all’impossibilità ormai di cercare nel mercato soluzioni convenienti almeno quanto quelle pubblicizzate nell’opuscolo.
Nei casi considerati si configura un danno paragonabile a quello
che si può subire nelle ipotesi di violazione dell’art. 1337 c.c.57.
D’altronde, l’opuscolo informativo o la pubblicizzazione delle informazioni precontrattuali, tramite la messa a disposizione di formulari informativi, non escludono il contatto e il rapporto con un consumatore determinato che si specifica dalla massa indistinta dei destinatari delle
informazioni.
La negazione del possibile configurarsi, nei casi considerati, di un
danno meritevole di tutela comporterebbe che l’opuscolo potrebbe
prestarsi ad essere utilizzato come strumento di inganno per i consumatori in violazione dell’art. 374 Codice del turismo, corrispondente al
vecchio art. 874 del Codice del consumo. Ivi si prevede che è fatto divieto di fornire informazioni ingannevoli sulle modalità del servizio
offerto, sul prezzo o sugli altri elementi del contratto, qualunque sia il
mezzo mediante il quale dette informazioni vengano comunicate.
Gli operatori del settore potrebbero confezionare opuscoli ad hoc
solo per attrarre il consumatore e dissuaderlo dal cercare altre opportunità, in modo da riuscire, poi, più facilmente a condizionarlo e a fargli accettare le modifiche da loro volontariamente proposte.
57
Si aggiunga che − come la dottrina ha avuto modo di evidenziare − ove la disciplina di derivazione comunitaria preveda informazioni precontrattuali, la cui violazione
non sia assistita da una sanzione specifica, non può trascurarsi l’applicabilità dell’art.
1337 c.c. Sul punto cfr. C. AMATO, Per un diritto europeo dei contratti con i consumatori. Problemi e tecniche di attuazione della legislazione comunitaria nell’ordinamento
italiano e nel Regno Unito, Milano, 2003, p. 286.
PUBBLICITÀ E VALUTAZIONI DI OPPORTUNITÀ DEL CONSUMATORE
181
Si tratta di una scorrettezza che si presta ad essere individuata più
facilmente se si osserva nel complesso l’attività dell’operatore commerciale. Analizzando un singolo atto, infatti, può essere arduo dimostrare che la modifica di quanto previsto nell’opuscolo sia contraria a
buona fede. Diversa è, invece, la situazione quando si ha di fronte una
condotta ripetutamente tesa ad attrarre i consumatori con informazioni
sistematicamente disattese.
4. Scorrettezza nell’attività pubblicitaria e pratiche commerciali
Quanto affermato può essere riferito in generale ai messaggi pubblicitari, non riguardando, nello specifico, le sole ipotesi fino ad ora
considerate. Si pensi al caso nel quale, in un sito internet, siano riportate informazioni non veritiere, e comunque obiettivamente lacunose,
in ordine alle modalità di consegna dei prodotti offerti, alle conseguenze correlate all’indisponibilità dei beni ordinati, al trattamento dei
reclami proposti dai clienti ed all’effettiva tempistica di evasione degli
ordini relativi agli acquisti effettuati58. Il potenziale cliente è, evidentemente, privato, di un rilevante strumento conoscitivo finalizzato ad
orientare in modo consapevole le proprie decisioni di carattere commerciale. La scelta di acquisto è influenzata dalle informazioni diffuse
in relazione alla possibile indisponibilità dei beni stessi.
Lo scorretto svolgimento dell’attività, già nella fase di mera informazione e promozione, è considerato pratica scorretta autonoma e
distinta da quella eventualmente verificatasi al momento della vendita
dei beni. I momenti della promozione e della vendita, infatti, se pure
collegati fra loro dall’unica finalità dell’acquisizione del consenso del
consumatore, restano comunque funzionalmente autonomi e rispondono ad interessi eterogenei tanto in relazione al soggetto che diffonde
le pratiche commerciali, quanto in relazione al soggetto che delle stesse è destinatario59.
Può essere significativo ed emblematico un altro caso effettivamente verificatosi e sul quale si è pronunciata l’Autorità Garante della
Concorrenza e del Mercato60. Segnatamente, una società di mediazio58
Consiglio di Stato, 20 luglio 2011, n. 4391, cit.
Consiglio di Stato, 20 luglio 2011, n. 4391, cit.
Si tratta del Provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato n. 19568, PS393- Capital Money rendimento mimino del 7%, in Bollettino, n. 8 del 16
Marzo 2009.
59
60
182
CAPITOLO QUINTO
ne nell’erogazione di finanziamenti e nella sottoscrizione di investimenti pubblicizza prodotti a condizioni che non trovano riscontro nelle offerte praticate dagli altri professionisti nel mercato di riferimento.
I consumatori, allettati dalla particolare convenienza prospettata
nel volantino, sono portati a contattare la società per aderire alle relative offerte in via preferenziale rispetto a quelle di altri operatori dello
stesso settore. La società in questione, però, non ha materialmente la
possibilità di offrire quei prodotti.
L’Autorità rileva che tra i finanziamenti e gli investimenti, effettivamente sottoscrivibili attraverso la mediazione della società, non sono contemplati prodotti aventi le caratteristiche e le condizioni economiche reclamizzate nel volantino pubblicitario. Il professionista, infatti, non ha stipulato alcun contratto al riguardo.
L’attività pubblicitaria era, dunque, diretta ad attrarre il consumatore, allontanandolo da altre possibili offerte del mercato. Una condotta siffatta, lungi dall’essere considerata irrilevante per i consumatori o per gli altri imprenditori, è qualificata dall’Autorità come
contraria alla diligenza professionale e falsa o idonea a falsare in
misura apprezzabile il comportamento economico di quanti ne sono
destinatari.
Siamo, dunque, in una fase nella quale c’è solo lo svolgimento
scorretto dell’attività pubblicitaria, nessun contratto è stato stipulato o
è stipulabile, eppure già si riconosce che il consumatore può essere
danneggiato nelle sue valutazioni di opportunità in merito all’an e al
quomodo di eventuali scelte negoziali.
Si aggiunga che la scorrettezza nella pubblicità configura, nel caso
di specie, una pratica commerciale ex art. 21 e 23 lett. e) cod. cons., in
quanto sono fornite informazioni non rispondenti al vero, inesatte, o
incomplete, consistenti anche ‹‹nell’invitare all’acquisto di prodotti ad
un determinato prezzo senza rivelare l’esistenza di ragionevoli motivi
che il professionista può avere per ritenere che non sarà in grado di
fornire o di far fornire da un altro professionista quei prodotti o prodotti equivalenti a quel prezzo entro un periodo e in quantità ragionevoli in rapporto al prodotto, all’entità della pubblicità fatta del prodotto e al prezzo offerto››.
In particolare, la repressione della pubblicità scorretta di prodotti
o servizi bancari è stata al centro dell’attività dell’AGCM. Il fine è di
perseguire le comunicazioni commerciali sia tese ad «ingaggiare» il
consumatore in attività che non avrebbe altrimenti intrapreso, sia a
PUBBLICITÀ E VALUTAZIONI DI OPPORTUNITÀ DEL CONSUMATORE
183
sfruttare la debolezza psicologica di chi è nella necessità di fare ricorso al credito61.
La casistica conferma che la pubblicità è sempre più connotata dal
dover dare informazioni complete e rigorosamente veritiere sulle caratteristiche economiche del prodotto o del servizio62. Sin dal primo
contatto pubblicitario devono essere messi a disposizione del consumatore gli elementi essenziali per un’immediata percezione dell’offerta economica pubblicizzata, non potendosi escludere il rischio che
sia falsata la decisione commerciale del consumatore per il solo fatto
che egli possa conoscere le condizioni dell’offerta in un momento
successivo63.
Esemplificative sono le ipotesi di messaggi che sembrano contenere un’offerta di lavoro nell’ambito di un’attività di impresa, con la
previsione di un corrispettivo per la mano d’opera prestata, ma in realtà si risolvono in una richiesta di fornitura a pagamento di materiale vario64.
I casi interessanti sono ormai numerosi. Il Consiglio di Stato, di
recente, ha affermato che configura una pratica commerciale scorretta
il comportamento di una società che effettui una comunicazione
commerciale, relativa ad una promozione, creando la convinzione che
la partecipazione al concorso sia legata all’effettuazione, presso i punti
vendita del professionista, di un qualsiasi acquisto e non soltanto
dell’acquisto di alcuni e ben determinati prodotti appartenenti a specifiche categorie65.
61
In questi termini A. GENOVESE, Il contrasto, cit., p. 210.
Cfr. A. GENOVESE, Il contrasto, cit., p. 211. Ivi si afferma che in relazione
all’offerta di finanziamenti, la pubblicità dell’operatore è stata sanzionata, in talune ipotesi, per il fatto di promettere finanziamenti facili o acconti immediati che erano in realtà
solo eventuali e concessi a insindacabile giudizio della società finanziaria. In relazione
all’offerta di servizio di deposito, la pubblicità è stata sanzionata laddove riferita a rendimenti sulle somme depositate, se e quando il rendimento elevato, promesso senza condizioni era accordato, invece, subordinatamente ad alcune condizioni stringenti. Cfr. Cfr.
PS1185 - Cosmofin - Ambiguità Taeg, del 29 luglio 2009; PS2518 Prestitel Financial
Services, del 10 settembre 2009; PS2298 - Italcredit - Omessa indicazione Tan Taeg, del
26 marzo 2009; PS668 - Findomestic - Sollecitazione alla richiesta di finanziamento, del
18 dicembre 2008.
63
In questi termini AGCM, Ip94 - Lo Scrigno-Offerta Lavoro a Domicilio Provvedimento n. 22888, in Bollettino n. 42 del 7 Novembre 2011 63; Consiglio di Stato, 20
luglio 2011, n. 4392, cit.
64
Provvedimento AGCM, Ip94 - Lo Scrigno, cit.
65
Si tratta della promozione “Gli Europei che vorrei - Vinci fino a 5 volte il valore
del tuo acquisto”, effettuata dalla società Mediamarket s.p.a. Sul caso si rimanda a Consiglio di Stato, 20 luglio 2011, n. 4392, cit. Significativo anche Ps1100 - Aurum Hotels62
184
CAPITOLO QUINTO
È interessante notare che la scorrettezza della pratica si concretizza già nel momento nel quale si invita il consumatore, sulla base
di falsi presupposti, a recarsi presso il punto vendita del professionista66. Già solo questo comportamento può aver creato un danno al
consumatore.
Indici significativi della necessità che la tutela del consumatore sia
anticipata al momento strategico nel quale si forma il suo convincimento possono trarsi anche dalla recente Proposta di direttiva sui contratti di credito relativi ad immobili residenziali67. Si pensi all’art. 7, ai
sensi del quale i messaggi pubblicitari o di marketing devono essere
formulati in maniera leale, chiara e non ingannevole, in conformità a
quanto previsto dalla direttiva 2005/29/Ce. Lo stesso articolo prevede,
altresì, che ‹‹in particolare sono vietate formulazioni che possono indurre nel consumatore false aspettative circa la disponibilità o il costo
di un credito››.
Significativa è anche la previsione dell’art. 8 e la disciplina delle
informazioni di base da includere nella pubblicità; informazioni che
devono essere fornite in maniera chiara, concisa e ben visibile e con
l’impiego di un esempio rappresentativo.
Di non minore rilievo è quanto si legge nel considerando 19) ove,
per garantire la parità di condizioni e fare in modo che la decisione del
consumatore si basi sui dettagli dei prodotti offerti, si fa riferimento
Disagi Soggiorno, Provvedimento n. 22877, in Bollettino 42 n. 41 del 31 Ottobre 2011.
Ivi, in particolare, si accerta la scorrettezza di una pratica consiste nella divulgazione di
informazioni ingannevoli e omissive tramite internet circa l’identità e la natura del soggetto offerente i servizi pubblicizzati sul sito, nonché il sistema di prenotazione dei medesimi servizi on line e di altre carenti informazioni rilevanti sotto il profilo di una corretta gestione dei reclami per eventuali rimborsi. Nel caso di specie, afferma la AGCM
‹‹assumono rilievo i principi dettati in materia di commercio elettronico dal Decreto Legislativo 9 aprile 2003, n. 706 circa l’obbligo di completezza informativa fin dal primo
contatto con il consumatore e, segnatamente, quelli previsti dagli articoli 7 e 8 del Decreto, riguardanti, rispettivamente, le “informazioni generali obbligatorie”, e gli “obblighi di
informazione relativi alle comunicazioni commerciali”. Si tratta di obblighi informativi
che vanno ad aggiungersi a quelli già eventualmente previsti a carico del prestatore in
relazione a specifici beni e servizi. Essi costituiscono dunque una sorta di “nucleo minimo essenziale” di informazioni obbligatorie, attorno al quale, in base a normative specifiche, potrà addensarsi una più ampia area di doveri a contenuto informativo››.
66
Consiglio di Stato, 20 luglio 2011, n. 4392, cit. Ivi si afferma che ‹‹che a nulla
valeva, in favore della società, la circostanza che all’acquirente fosse comunque consentito di prendere conoscenza delle regole integrali del concorso (attraverso il relativo regolamento, disponibile presso tutti i punti vendita). Infatti ai fini valutativi ciò che rileva
è l’obbligo per il professionista di improntare la propria comunicazione di impresa, sin
dal primo contatto, ai principi di chiarezza, completezza e correttezza››.
67
COM (2011) 142 definitivo, cit.
PUBBLICITÀ E VALUTAZIONI DI OPPORTUNITÀ DEL CONSUMATORE
185
alla circostanza che i consumatori dovrebbero ricevere informazioni
sul credito a prescindere dal fatto che stiano o meno trattando direttamente con il creditore o con l’intermediario del credito68. In numerosi punti della proposta di direttiva sui contratti di credito relativi ad immobili residenziali, l’attenzione ai profili evidenziati si
accompagna al particolare interesse per le modalità del comportamento degli operatori economici che, ai sensi dell’art. 5, devono agire in maniera onesta, equa e professionale, anche per la migliore tutela
dei consumatori.
La predisposizione di messaggi pubblicitari che promuovono un
prodotto o servizio a condizioni che poi non sono o non possono essere rispettate integra lo svolgimento scorretto di un’attività idonea a
provocare danni nella sfera giuridica del consumatore69.
Il dato non stupisce se si considera che l’attività pubblicitaria deve
svolgersi comunque − e indipendentemente dall’eventuale e successivo contratto − nel rispetto del normale grado della specifica competenza e attenzione che i consumatori attendono da un professionista
nei loro confronti rispetto ai principi generali di correttezza e buona
fede nel settore dell’attività esercitata.
5. Trattative e pubblicità: il «contatto che apre al contratto»
Si è detto che le connotazioni della pubblicità sono sensibilmente
mutate e se, in passato, era quasi inconcepibile che quanto ivi comunicato potesse obbligare, oggi il legislatore impone di fare i conti con
questa possibilità. Ne consegue che, a seguito della diffusione di un
messaggio pubblicitario, il professionista deve porre in essere una prestazione conforme a quanto pubblicizzato. Se ciò è possibile, a maggior ragione non può stupire il riconoscimento di una responsabilità
68
In questa direzione muove anche il considerando 26) della direttiva 2008/48/Ce,
ove si legge che gli Stati membri dovrebbero adottare le misure appropriate per promuovere pratiche responsabili in tutte le fasi del rapporto di credito.
69
È possibile riconoscere natura pubblicitaria anche a quei messaggi che non sollecitano direttamente all’acquisto di un prodotto, ma inducono il consumatore a contattare
l’impresa o lo spingono ad acquisire ulteriori informazioni sui prodotti. Il caso tipico è
stato individuato nelle operazioni con le quali si attirano i potenziali acquirenti al fine di
proporre loro l’acquisto di quote di multiproprietà immobiliare. In tal senso V. MELI,
Pubblicità ingannevole, cit., p. 6; ID., La repressione della pubblicità ingannevole, cit.,
p. 30. Sul punto cfr. A. MUNARI, Problemi giuridici della nuova disciplina della multiproprietà, cit., p. 61.
CAPITOLO QUINTO
186
che, pur non derivando dalla inadempienza di una prestazione, si sostanzi nella violazione di obblighi di comportamento.
I vincoli legati alle dichiarazioni pubblicitarie, in sostanza, non
hanno conseguenze soltanto sul contratto concluso con il consumatore, ben potendo quest’ultimo dimostrare di aver subìto un danno già in
una fase precedente, nella quale semplicemente vaglia le diverse alternative tra le quali il mercato gli consente di scegliere.
Come per le trattative e le pratiche commerciali, la tutela
dell’interesse del destinatario di un’attività − idonea ad incidere sulle
sue decisioni di natura commerciale − può essere affidata alla distinzione tra ciò che è infrazione dell’obbligo di prestazione e violazione
dell’obbligo di protezione. Si tratta di pretese differentemente orientate: l’una riguarda, appunto, la prestazione oggetto del contratto, l’altra
si riferisce alle modalità di un altrui specifico comportamento.
L’assenza della prima non esclude il rilievo della seconda e le sue potenzialità lesive per il singolo consumatore.
L’attenzione ai profili evidenziati consente di evidenziare, pure
con riferimento alla pubblicità, il rilievo di una dimensione dinamica
che presenta numerose affinità con quella presupposta dall’art. 1337
c.c. Ne consegue la possibilità di ottenere il risarcimento dell’interesse
negativo per i danni causati dallo scorretto svolgimento dell’attività
pubblicitaria. In un diverso contesto normativo stupirebbe la possibilità di configurare il risarcimento di tale interesse nelle ipotesi suddette.
Oggi, però, non è più così, dato che la pubblicità deve essere palese,
veritiera e corretta ex art. 1 del d.lg. 145 del 2007 e dalla stessa possono derivare anche obblighi di prestazione.
È significativo, inoltre, che parte della dottrina abbia ritenuto possibile qualificare la posizione dei destinatari di una pubblicità in termini di interesse legittimo alla fruizione palese, veritiera e corretta dei
messaggi pubblicitari70. È confermata nuovamente la necessità di valorizzare tale situazione giuridica soggettiva e il rilievo dell’interesse
alle modalità di comportamenti e attività oggettivamente diretti ad incidere su scelte di natura negoziale; rilievo spesso trascurato a causa
dell’adozione di un punto di osservazione prevalentemente influenzato
dalla centralità della logica dell’atto e dalle vicende del contratto, qua70
Cfr. A. GAMBINO, La tutela del consumatore nel diritto della concorrenza:
evoluzioni ed involuzioni legislative, anche alla luce del d.lgs. 25 gennaio 1992 in
materia di pubblicità ingannevole, in Contr. impr., 1992, p. 435. R. BIANCHI, Danno, cit., p. 615.
PUBBLICITÀ E VALUTAZIONI DI OPPORTUNITÀ DEL CONSUMATORE
187
si queste fossero idonee a far perdere importanza a tutto ciò che le
precede.
Quanto fin ora affermato può essere avvalorato anche dalle osservazioni che seguono.
La valenza vincolante delle informazioni pubblicitarie comporta il
sorgere di una obbligazione che, in quanto tale, presuppone l’individualizzazione del messaggio pubblicitario e palesa la dimensione anche relazionale della pubblicità” 71. Quest’ultima, dunque, non è più da
considerare solo in una prospettiva unilaterale72.
Ci si trova di fronte, in altri termini, ad un’attività che non è funzionale alla mera diffusione del messaggio pubblicitario, ma si specifica in una relazione che, sebbene connotata, per alcuni aspetti, in modo diverso da quella dell’art. 1337 c.c., presenta analoghe esigenze di
tutela.
I tempi sono maturi per evidenziare che non si può continuare ad
osservare le trattative solo in una dimensione relazionale e la pubblicità solo in una dimensione che prescinde dalla relazione73.
Si tratta, in entrambi i casi, di «un contatto che apre al contratto»74.
La dottrina non ha esitato a rilevare che la pubblicità ha da tempo
‹‹innescato la revisione del rapporto precontrattuale››, nel senso che,
pure laddove c’è un contatto, ma non è detto che ci sarà un contratto,
la legge dà rilievo alla relazione che si instaura tra soggetti, facendone
un rapporto giuridicamente rilevante75.
71
G. GRISI, Informazione (obblighi di), in Enc. giur., cit., p. 3.
Sul punto si vedano G. FABRIS, La pubblicità teorie e prassi, cit., p. 22; U. RUFFOLO, Interessi collettivi, cit., p. 126, nota 59. L’Autore afferma che non può essere negato il carattere di “relazione” al tipo di rapporto connesso alla comunicazione pubblicitaria e che ‹‹la “passività tecnologica” del potenziale contraente (o, comunque, utente)
non nasconde il carattere di relazione − per quanto sbilanciata e sui generis − fra informante e informati.
73
La possibilità che le trattative prescindano dalla dimensione relazionale è confermata anche dal fatto che ci sono dei momenti della fase delle trattative che riguardano
singolarmente e individualmente i soggetti che le pongono in essere; momenti che necessitano di essere apprezzati ancor prima che ciascuno si metta in relazione con “l’altro”.
Le parti hanno degli obblighi di informazione che sono reciproci e, dunque, fanno pensare ad una dimensione “relazionale”, ma è pur vero che il rilievo delle trattative non si esaurisce in quello degli obblighi di informazione. C’è, infatti, un momento che attiene
“all’autoinformazione”, intesa come “informazione acquisita” che ha un proprio rilievo
rispetto “all’informazione rivelata”. Su tali profili si rimanda a G. GRISI, Informazione,
(obblighi di), in Enc. giur., cit., p. 4.
74
L’espressione è di A. GENTILI, Codice del consumo, cit., p. 161.
75
A. GENTILI, op. loc. ult. cit.
72
CAPITOLO QUINTO
188
Le trattative hanno valenza ordinante già mentre si svolgono e sono caratterizzate dal creare una situazione giuridica nuova e diversa
sia rispetto alla precedente assenza di rapporto, sia in relazione a
quanto si verifica allorché il contratto si conclude76. Anche la pubblicità, per il profilo che qui interessa, viene in rilievo come attività ordinante nel suo porsi e capace di condizionare le scelte del consumatore
per il solo fatto di essere posta in essere in certe circostanze e con date
caratteristiche.
Prima della normativa di derivazione comunitaria si poteva riscontrare una distinzione sufficientemente netta tra attività pubblicitaria, trattative e contratto; fasi rappresentabili, per lo più, come una serie di fenomeni, in sequenza temporale, caratterizzati da regole e logiche diverse77. Oggi assistiamo, invece, a significative interferenze: gli
strumenti pubblicitari assolvono frequentemente ad una funzione di
informazione precontrattuale78, le informazioni precontrattuali sono
suscettibili di divenire parti integranti del contratto e quest’ultimo diventa veicolo di informazione.
In precedenza, la distanza tra pubblicità e trattative si spiegava in
considerazione del fatto che queste ultime rappresentavano la sede
dove, in effetti, maturavano le scelte dei consumatori. Le trattative erano, cioè, momento privilegiato di ponderazione e mediazione anche
rispetto al messaggio pubblicitario che, seppure idoneo a persuadere
ed influenzare, veniva, comunque, decodificato. Il destinatario della
pubblicità era consapevole che fosse connaturato al relativo messaggio
un ampliamento delle caratteristiche del bene o del servizio offerto.
Oggi la situazione è diversa e, per questo, la pubblicità si avvicina
sempre di più alle trattative. Il destinatario della prima, infatti, è legittimato ad attendersi che essa non svolga soltanto una funzione promozionale e persuasiva, ma anche informativa e che le informazioni ivi
contenute siano veritiere e vincolanti. La pubblicità svolge una funzione selettiva tra le scelte in funzione di ciò che comunica.
La pubblicità assume un ruolo paragonabile a quello delle trattative, divenendo momento determinante per la scelta del consumatore e
76
Cfr. S. ROMANO, Introduzione, cit., p. 68.
F. CAFAGGI, Pubblicità commerciale, cit. p. 474; M. BARCELLONA, I nuovi controlli, cit., p. 38.
78
A. GENTILI, Informazione contrattuale, cit., p. 576, riflette sull’opportunità di sostituire il richiamo all’informazione contrattuale o precontrattuale e di parlare di informazione preventiva, onde evidenziare come essa risulti anticipata rispetto non solo alla
stipula ma anche alla sollecitazione alla contrattazione.
77
PUBBLICITÀ E VALUTAZIONI DI OPPORTUNITÀ DEL CONSUMATORE
189
per le sue valutazioni di opportunità79. D’altronde le informazioni contenute nel messaggio pubblicitario si presentano, sempre più, come assunzioni di garanzia sulle qualità del prodotto.
Non ci si può stupire, dunque, se quanto più la pubblicità si presenta idonea ad occupare spazi che in precedenza erano di esclusiva
pertinenza della fase precontrattuale, tanto più deve farsi carico di
quel dovere di correttezza tradizionalmente imposto nello svolgimento
delle trattative80.
Può dirsi addirittura − confermando un dato già sottolineato anche
con riferimento alle pratiche commerciali − che la necessità di tutela
del singolo di fronte alla pubblicità è ancora più evidente rispetto a
quanto avviene nel caso del contatto presupposto dall’art. 1337 c.c.
Preme ribadire che nella logica del contatto la dimensione relazione è
propria sia della trattativa che della pubblicità, solo che nella prima
c’è la partecipazione attiva, reale o potenziale degli interessati, mentre
nella seconda il destinatario è passivo. Dunque, se l’art. 1337 c.c. impone la buona fede nella trattativa, a maggior ragione l’obbligo deve
essere imposto a chi diffonde il messaggio pubblicitario81. Valgono
all’uopo ulteriori considerazioni.
79
Secondo G. CASABURI, La tutela, cit., p. 634, il messaggio pubblicitario attraverso il quale si informa il potenziale acquirente delle condizioni delle prestazioni sostituisce, in un certo senso, la fase precontrattuale. Proprio la mancanza di trattative e di contatti diretti tra le parti comporta un elevato affidamento del consumatore nella comunicazione pubblicitaria, meritevole di tutela. L’emittente ha, allora, un obbligo particolarmente cogente, fondato sul principio di buona fede, di non predisporre clausole difformi
dal contenuto del messaggio pubblicitario. Il rapporto connesso alla comunicazione pubblicitaria sostituisce, nelle attuali condizioni della produzione e del consumo, le antiche
trattative tra soggetti criticamente uguali. Cfr. M BESSONE, Essenzialità dell’errore, previsioni economiche e disciplina del contratto, cit., p. 991; C. BERTI, Messaggio pubblicitario e diritti dei terzi, cit., p. 47; V. FRANCESCHELLI, Pubblicità ingannevole, cit., p.
270; U. RUFFOLO, Interessi collettivi, cit., p. 126, nota 59. F. PROSPERI, Violazione, cit.,
p. 946, con riferimento al regolamento Consob 2007, n. 1619, afferma che le comunicazioni di marketing, che costituiscono un comportamento distorsivo del mercato, vengono
considerate alla stregua dell’informazione scorretta fonte di responsabilità precontrattuale. Sul punto cfr. anche p. 967.
80
Significativo, sul punto, quanto affermato da Trib. Firenze, 18 gennaio 2007, n.
229, cit., p. 1136, ove, anche con riferimento alle dichiarazioni inserite in una pubblicità,
si legge che, nell’ottica dei contratti bancari e in genere dei contratti di massa, occorre
assumere il concetto di “informativa” al rilievo giuridico che, una volta, era assegnato a
quello di “trattativa”. Come la libertà di trattativa è stata ritenuta un concetto fondamentale
nella formazione del consenso, così ora bisogna garantire la completa e specifica informazione del contraente, attraverso l’estensione dei doveri generali previsti nel codice e
l’elaborazione e l’estensione degli obblighi specifici previsti nella legislazione speciale››.
81
In giurisprudenza si è segnalato che ‹‹lo squilibrio informativo originario in cui si
trova il consumatore medio nel commercio standardizzato, aggravato dall’affievolimento
190
CAPITOLO QUINTO
La prospettiva proposta non cerca di attrarre la pubblicità alla logica del contratto − come è avvenuto tradizionalmente quando si discorreva di essa in termini di dolus bonus 82 − ma, al contrario, tende
ad emancipare da tale logica anche la fase delle trattative83. Non è, in
della sua capacità di percezione e di salvaguardia generati dall’ambiente della grande
distribuzione al dettaglio, impone infatti una condotta positiva di specifica cautela consumeristica per riequilibrare la nuova azione di induzione al consumo››. In questi termini
Consiglio di Stato, 22 giugno 2011, n. 3763, cit. E ancora si afferma che in un contesto
di fatto caratterizzato dall’assenza di un’effettiva negoziazione occorre ‹‹una messa in
guardia sull’oggetto dell’imminente prestazione. Una congrua messa in guardia compensa non solo lo squilibrio nell’informazione e nell’autonomia contrattuale, ma anche il
processo di particolare induzione al consumo››.
82
Cfr. A. TRABUCCHI, Il dolo, cit., p. 172; ID., Dolo, cit., p. 151, ove si afferma che,
a seguito della previsione dell’obbligo generale di correttezza, il campo lasciato al dolus
bonus è più limitato. G. CRISCUOLI, La rèclame “non obiettiva”, cit., p. 22; ID., Il criterio discretivo tra «dolus malus» e «dolus bonus», in Annali del Seminario giuridico
dell’Università di Palermo, 1957, p. 62; G. DONATIVI, Il dolo tra i vizi del consenso ed
elemento soggettivo della responsabilità da inadempimento, in Giur. it., 1997, p. 501.
Per la possibile rilevanza del dolus bonus sotto il profilo della responsabilità precontrattuale si veda M. MANTOVANI, «Vizi incompleti», cit., p. 223. Sui diversi possibili usi della tesi della liceità del dolus bonus si rimanda a R. SACCO, Il contratto, I, cit., p. 44; ID.,
Dolus bonus, in Dig. civ., Torino, 2011, Agg. VI, p. 362. Ivi, l’Autore analizza le differenze tra la concezione tradizionale del dolus bonus e la dimensione dell’onestà come
concepita dal diritto dell’Unione Europea. Sul rapporto tra dolo e pubblicità ingannevole,
si veda I. FEDERICI, Dolo incidente, cit., p. 73. In giurisprudenza, si segnala, sul punto, la
decisone del TAR Lazio, 27 luglio 1998, n. 2281, in Foro amm., 1999, p. 1314. Ivi si
legge che ‹‹non entra in gioco, in materia di pubblicità ingannevole la nozione di dolo,
vizio della volontà del negozio giuridico, posto che si è fuori dal rapporto interindividuale e dalla relativa tutela apprestata in materia negoziale dal codice civile e non assume,
pertanto, rilevanza alcuna distinzione tradizionale e nota tra “dolus malus” e “dolus bonus”. È, infatti, del tutto diverso l’ambito di riferimento perché il dovere specifico per
l’operatore pubblicitario e per il committente del messaggio di far corrispondere il contenuto dell’informazione e le modalità di presentazione di quest’ultimo ai caratteri positivi espressamente fissati dal legislatore (palese, veritiera e corretta) sussiste, diversamente dall’ipotesi di dolo negoziale, anche se la carenza di uno di tali requisiti sia solo
potenzialmente idonea a provocare un pregiudizio alla libertà di autodeterminazione del
consumatore››. Spunti critici su tale posizioni sono proposti da V. MELI, Pubblicità ingannevole, cit., p. 10. R. ALESSI, Consensus ad idem e responsabilità di diritto europeo,
in S. MAZZAMUTO (a cura di), Il contratto e le tutele, cit., p. 133, afferma che al professionista, specie quando incontra il consumatore ‹‹non è più perdonato neppure il dolus
bonus che la distanza e la velocità tendono ad amplificare e dunque a corrompere in dolus malus››.
83
A. GENTILI, Dolo, cit., p. 4, afferma che, riconosciuto, in base all’art. 1337 c.c.,
l’obbligo di fornire sul prodotto offerto al consumo informazioni ‹‹rigorosamente veridiche, rientrano nel c.d. dolus bonus, escluse senza eccezioni tutte le affermazioni su caratteristiche di fatto, solo le dichiarazioni di opinione su aspetti per natura soggettivi del
prodotto, salvo che, in rapporto alle circostanze (soprattutto di conoscibilità da parte del
deceptus della realtà obiettiva, e di affidamento suscitato nel pubblico) non possono costituire anch’esse uno specifico mezzo di inganno››. Critici rispetto ad una prospettiva
PUBBLICITÀ E VALUTAZIONI DI OPPORTUNITÀ DEL CONSUMATORE
191
altri termini, la pubblicità che si appiattisce nella dimensione del singolo atto, ma sono le trattative a doversi affrancare da tale dimensione. Le stesse, infatti, sono idonee ad assumere valenza e connotazioni
autonome rispetto al contratto nella cui conclusione possono sfociare;
e, inoltre, presentano problemi che non sono esclusivi delle relazioni
individuali tra singoli, troppo spesso considerati come monadi isolate
dal contesto nel quale necessariamente operano84.
L’art. 1337 c.c. è regola di comportamenti che, non essendo ancora disciplinati dal contratto − che è solo eventuale − vanno osservati
nel loro svolgersi e nella loro dinamica, piuttosto che come fatti ormai
compiuti. Il legame con la logica dell’attività è in questa dinamica. Alla trattativa manca, per una ragione strutturale, l’appiattimento alla
dimensione statica che può essere propria di altri rapporti. Da qui la
inevitabile elasticità della sua disciplina e la ricchezza delle possibili
applicazioni.
Nelle trattative, come nell’attività pubblicitaria, occorre tutelare
la possibilità di valutare correttamente la compatibilità tra i propri bisogni e i termini di un successivo ed eventuale contratto.
Non si vogliono con ciò negare le differenze tra trattative e pubblicità85.
contrattuale che lascerebbe il consumatore in balia di abusi sono V. BUONOCORE, Contrattazione di impresa, cit., p. 107; A. JANNARELLI, La disciplina dell’atto e dell’attività,
cit., p. 78. Sul punto cfr. P. FOGLIATI, Dolus bonus e dolus malus: brevi cenni sui caratteri distintivi, in Giur. it., 2002, p. 728; S. TROIANO, Vendita di beni di consumo, cit., p.
871. C. BERTI, Pubblicità scorretta e diritti dei terzi, Milano, 2000, p. 58; ID., Messaggio
pubblicitario, cit., p. 44, ove si propone il riferimento all’istituto della presupposizione.
In questa prospettiva, l’informazione pubblicitaria ed il generale affidamento riposto dai
consumatori sulla veridicità del suo contenuto rappresentano una circostanza del tutto
estranea al singolo rapporto contrattuale, ma presupposto oggettivo di qualunque contrattazione avente ad oggetti beni reclamizzati.
84
È la capacità degli istituti giuridici a proiettarsi in una dimensione diversa da
quella individualistica che consente agli stessi di adattarsi alla europeizzazione e mondializzazione. In questo senso, anche con riferimento in generale al rapporto obbligatorio e
alla sua vocazione interindividuale, si veda A. FALZEA, Prefazione in A. LA TORRE, Diritto civile, cit., p. XI.
85
Cfr. F. CAFAGGI, Pubblicità commerciale, cit., p. 474. Ivi si afferma che la pubblicità si configura come un’attività libera nell’an, ma vincolata nel quomodo, a differenza dell’obbligo di informazione degli art. 1337 e 1338 c.c. che, oltre ad essere vincolato
nelle modalità di esecuzione, è imposto ai soggetti della relazione precontrattuale.
L’Autore fa delle precisazioni importanti, affermando che ‹‹tradizionalmente si è ritenuto
possibile distinguere sia dal punto di vista strutturale che da quello funzionale gli obblighi di informazione precontrattuale dal fenomeno pubblicitario. La logica che presiedeva
a tale distinzione configurava la pubblicità come un’attività libera nell’an, ma vincolata
nel quomodo, differenziandola dall’obbligo di informazione che, per definizione, impone
192
CAPITOLO QUINTO
Le trattative non sono connotate dalla necessaria professionalità di
uno dei soggetti che tratta.
L’art. 1337 c.c. prescinde dallo status soggettivo degli operatori
giuridici, essendo figlio − alla stregua di tutti i codici borghesi − delle
idee di parità ed uguaglianza. Nella pubblicità, invece, c’è a monte
l’operato di un soggetto professionista tenuto al rispetto delle regole
della sua attività e in grado di effettuare, al contrario del consumatore,
un accurato controllo delle informazioni86.
La pubblicità, inoltre, è caratterizzata dall’uniformità del relativo
messaggio che è corollario della sua naturale destinazione al mercato e
ad un pubblico indifferenziato.
L’assenza nelle trattative di questa dimensione pubblica o generale implica che l’uniformità del messaggio non sia un elemento che le
connota. Chi tratta tende a modellare le informazioni ed il proprio
comportamento a seconda del suo interlocutore e, spesso, differenzia
il suo modo di trattare per avere maggiori alternative87. Prima di porre
al destinatario lo svolgimento dell’attività informativa e poi ne determina anche le modalità di esecuzione. Questo scenario appare oggi eccessivamente semplicistico in ragione
dell’interazione, sempre più marcata, che il fenomeno pubblicitario è venuto ad avere
con la funzione informativa specialmente in alcuni settori come quello funzionario, bancario, creditizio rispetto ai quali si è assistito ad una progressiva assimilazione della pubblicità nel quadro della funzione informativa››. Cfr., sul punto, G. CASABURI, La tutela,
cit., p. 631. Quanto alla distinzione tra trattative e pubblicità, A. C. NAZZARO, Obblighi d’informare, cit., p. 67, ritiene che è evidente la diversità sia strutturale che funzionale tra i due fenomeni, non tanto per l’indeterminatezza del destinatario dell’informazione pubblicitaria, quanto per l’assenza nel relativo messaggio dell’attitudine in concreto a generale, modificare o estinguere un rapporto giuridico.
Idoneità che può considerarsi elemento essenziale e identificativo della dichiarazione
negoziale.
86
Con particolare riferimento alla diversa incidenza degli obblighi di informazione
nelle ipotesi di sostanziale squilibrio tra le posizioni delle parti si vedano M. DE POLI,
Asimmetrie informative e rapporti contrattuali, cit., passim; G. GRISI, Informazione
(obblighi di), in Enc. dir., cit., p. 603; E. NAVARRETTA, La complessità, cit., p. 1943; E.
PELLECCHIA, Scelte contrattuali, cit., p. 6; G. VETTORI, Asimmetrie e rimedi fra disciplina generale e norme di settore, in Studi in onore di Nicolò Lipari, II, cit., p. 3020; I.
TARDIA, Buona fede e obblighi di informazione tra responsabilità precontrattuale e responsabilità contrattuale, in Rass. dir. civ., 2004, p. 74; G. D’AMICO, Il c.d. “terzo
contratto”: la formazione, in Studi in onore di Nicolò Lipari, I, cit., p. 696. Non basta dare rilievo a patologie c.d. strutturali dell’informazione che, cioè, non rispettano
il modello legale di riferimento, ma occorre, in concreto, verificare l’incidenza
dell’informazione sulla decisione di natura commerciale del consumatore. Per tali
aspetti, si vedano T. FEBBRAJO, L’informazione ingannevole, cit., p. 43; D. PARROTTA, Escluse, cit., p. 28.
87
Sulla possibilità che una parte della trattativa sia libera di adottare con le diverse
controparti comportamenti differenti si veda D. MAFFEIS, Libertà contrattuale e divieto
di discriminazione, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2008, p. 418.
PUBBLICITÀ E VALUTAZIONI DI OPPORTUNITÀ DEL CONSUMATORE
193
in essere atti del procedimento di formazione del contratto − quando
siamo, dunque, ancora nella dimensione della libertà di valutare la
compatibilità tra i propri bisogni ed i termini di un successivo affare −
non è escluso che si possa entrare in trattativa con soggetti diversi, e a
condizioni diverse, senza violare i canoni della correttezza, per esempio avvertendo la propria controparte dell’intenzione di valutare altre
possibilità.
Se, dunque, l’uniformità del messaggio caratterizza la pubblicità,
le trattative possono prescinderne e realizzare la loro funzione anche
attraverso articolazioni diverse a seconda delle circostanze e delle individualità dei soggetti coinvolti; individualità che si contrappongono
alla generalità che connota, almeno in un primo momento, i destinatari
del messaggio pubblicitario.
Non sembra, invece, determinante, al fine di segnare una netta linea divisoria tra trattative e pubblicità, il fatto che il messaggio pubblicitario possa provenire, e normalmente provenga, da un soggetto
estraneo alla successiva possibile contrattazione, potendosi verificare
che pure le trattative siano condotte da un soggetto diverso da quello
che poi stipulerà il contratto.
Si pensi alla responsabilità derivante da falso, incompleto o omesso prospetto informativo88 e al problema del se, e in che termini, riguardi solo coloro da cui promana il documento informativo o anche
gli intermediari e gli altri soggetti che − pur non essendo destinati ad
essere parti del futuro contratto − abbiano partecipato alle operazioni
di sollecitazione del pubblico risparmio89.
88
Sul punto si rimanda, oltre agli sviluppi dei quali si è dato conto nel Cap. I, nota
52, a P. ABBADESSA, Banca e responsabilità precontrattuale: i doveri di informazione, in
Jus, 1981, p. 152; G.B. PORTALE, Informazione societaria e responsabilità degli intermediari, in Banca, borsa, tit. cred., 1982, p. 3; G. CATTANEO, Recensione a G. Ferrarini.
La responsabilità da prospetto. Informazione societaria e tutela degli investitori, in
Quadrimestre 1986, p. 429; G. ALPA, Prospetto informativo. Orientamenti della dottrina, in Riv. crit. dir. priv., 1988, p. 360; G. FERRARINI, La responsabilità da prospetto,
cit., p. 65; F. GIARDINA, La responsabilità nell’attività di intermediazione finanziaria in
Danno resp., 2002, p. 219.
89
In argomento si confronti A.C. NAZZARO, Obblighi d’informare, cit., p. 173.
L’Autrice afferma che con riferimento alle tecniche di contrattazione degli strumenti finanziari o ai contratti conclusi fuori dai locali commerciali o, ancora, ai contratti di viaggio, possono valere le medesime considerazioni ‹‹poiché essi presentano una caratteristica comune: quando pure si realizzi una trattativa, questa non si svolge tra i soggetti che diventeranno parti del contratto ma tra un soggetto (il consumatore) che è
parte della trattativa e parte del contratto ed un soggetto (l’intermediario) che si occupa soltanto di proporre la conclusione del contratto medesimo e di presentare ed
194
CAPITOLO QUINTO
Il dibattito, sul punto, è molto vivace e si riscontrano diversi orientamenti anche tra quanti ammettono la responsabilità dell’intermediario, discutendosi se possa considerarsi, o meno, di natura precontrattuale90.
Non ha miglior sorte il tentativo di individuare la differenza tra
trattative e pubblicità nel fatto che quest’ultima consente di ridurre al
minimo la fase della contrattazione con il venditore finale del prodotto, visto che il consumatore può fare − proprio grazie ai dati appresi
dalla pubblicità − una prima analisi dell’idoneità del prodotto a soddisfare i propri bisogni.
Con riferimento alle trattative, può verificarsi oggi una situazione
analoga, in quanto la oggettivazione dell’informazione precontrattuale
consente di avere precisa cognizione dei dati in base ai quali fare le proprie valutazioni di opportunità91.
La scarsità dei tentativi diretti a fare un confronto costruttivo tra
trattative e pubblicità dipende oltre che dalle connotazioni tradizionalmente assunte dalla pubblicità − che, però, come si è cercato di dimostrare, sono soggette oggi a numerosi cambiamenti − da una certa
interpretazione dell’art. 1337 c.c. Segnatamente, ha pesato l’applicazione spesso marginale della regola dell’art. 1337 c.c. in ragione sia
della sua pretesa inidoneità a regolare ipotesi di successiva conclusione di un contratto, sia della impossibilità di coinvolgere nella responsabilità anche terzi estranei al contratto. Si riteneva inutile, infatti, riillustrare i termini del regolamento contrattuale del quale spesso non ha neanche il potere di modificare il contenuto».
90
Secondo C. CASTRONOVO, La nuova responsabilità civile, cit., p. 519-529, il modello della culpa in contrahendo è improprio quando l’affidamento, che pur si mette in
evidenza nella specie, non nasce da trattative tra soggetti che diventeranno parti di un
contratto, l’intermediario, per definizione non essendo parte. In diversa prospettiva si
veda G. FERRARINI, La responsabilità da prospetto, cit., p. 101-102. Ivi, con riferimento
agli intermediari, si afferma che, pure se sono terzi rispetto ai contratti e di vendita e di
sottoscrizione successivamente conclusi, stabiliscono con gli investitori un contatto sufficiente a fondare un rapporto precontrattuale. Sul punto cfr. G. AFFERNI, Responsabilità
da prospetto: natura, danno risarcibile e nesso di causalità, in Danno resp., 2011, p. 621.
Quanto all’ambito di applicazione soggettivo dell’art. 1337 c.c. si veda, nello specifico, capitolo III, paragrafo 5.
91
Non pare neanche rilevante la circostanza che la pubblicità eliminerebbe, al contrario delle trattative, la fisicità del controllo da parte del consumatore sulla qualità della
merce. Può notarsi, infatti, che la pubblicità non esclude che successivamente − e, comunque, prima dell’acquisto − si effettui tale controllo che dipende anche dalla natura
dell’oggetto della contrattazione. Non è da escludere, inoltre, pure con riferimento alle
trattative, la possibilità che manchi tale tipo di controllo che, dunque, non si presta ad
assurgere ad elemento caratterizzante delle stesse.
PUBBLICITÀ E VALUTAZIONI DI OPPORTUNITÀ DEL CONSUMATORE
195
chiamare l’art. 1337 c.c. con riferimento alla pubblicità se, al tempo
stesso, se ne doveva escludere l’applicazione nei casi di contratti stipulati dal consumatore sulla base di false o inesatte informazioni contenute nel messaggio pubblicitario92.
L’attenzione ai profili relativi alle modalità delle condotte ha consentito di evidenziare i limiti di tali impostazioni, valorizzando le potenzialità, spesso rimaste inespresse, dell’art. 1337 c.c. e la sua capacità a porsi come importante punto di riferimento per la tutela del ragionevole affidamento sulla correttezza dell’agire diretto ad influenzare
le decisioni negoziali.
92
V. FRANCESCHELLI, Pubblicità ingannevole, cit., p. 270.
196
CAPITOLO QUINTO
OSSERVAZIONI CONCLUSIVE
197
OSSERVAZIONI CONCLUSIVE
1. I dati normativi analizzati evidenziano i limiti di una tutela del
consumatore incentrata sulla disciplina degli atti da lui conclusi.
Il rischio di sviamento nelle valutazioni di opportunità, nelle analisi delle alternative possibili e nella selezione degli affari risente, infatti, del quomodo dell’agire degli operatori economici. Segnatamente,
le modalità di esercizio delle attività commerciali sono elemento fondamentale e imprescindibile della tutela dei singoli. La protezione di
questi ultimi, a sua volta, assurge a criterio alla stregua del quale valutare tali attività, disciplinate sempre di più nel loro svolgersi prima di
arrivare alla dimensione statica dell’atto.
Si assiste, d’altronde, al continuo interferire delle regole dei rapporti con quelle del mercato e al conseguente instaurarsi di un nesso
non più riconducibile agli estremi opposti della tradizione liberale o
della regolamentazione imperativa.
La scelta del consumatore non è solo un fatto privato e il mercato
non può prescindere dalla tutela del consumatore come persona e come destinatario di beni e servizi. Nella complessa rete delle relazioni
economiche, la decisione del consumatore assume un rilievo strategico
che precedentemente era proprio della produzione. Non è, infatti,
quest’ultima a condizionare i consumi, ma, all’inverso si creano bisogni,
si sollecita al consumo e poi si producono beni idonei a soddisfare quei
bisogni ai quali − magari mediante la pubblicità − si è dato origine.
L’importanza del momento della scelta del consumatore è palesata
dal Codice del Consumo. Ivi il modello adottato è basato sulla distinzione delle fasi del processo d’acquisto, con una particolare attenzione a quella volta a favorire l’educazione, l’informazione del consumatore e la sua tutela nel delicato momento di valutazione delle
diverse alternative.
È disciplinato già il primo contatto commerciale. Esplicita in tal
senso è la Relazione Illustrativa del Codice del Consumo, ove si evidenzia che lo stesso racchiude le norme riguardanti ogni fase in cui il
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OSSERVAZIONI CONCLUSIVE
consumatore è coinvolto in relazioni giuridiche con i soggetti della catena di produzione e distribuzione di prodotti e servizi.
Ci troviamo di fronte, dunque, ad una realtà dalla crescente
complessità nella quale non è sufficiente guardare all’esito delle
condotte, ma occorre, piuttosto, disciplinarle già nel loro svolgimento, tutelando l’interesse a che le stesse siano poste in essere secondo certe modalità.
Le peculiarità del momento attuale − legate in particolare agli
sforzi di strutturazione del mercato unico europeo − non consentono di
trascurare che, pure in altri periodi storici, ci sono state esigenze paragonabili a quelle odierne. In particolare, nel corso del travaglio culturale che ha portato alla elaborazione del codice civile del 1942, si discuteva dell’opportunità di una norma − che sarà poi l’art. 1337 c.c. −
volta a tutelare quanti operano sul mercato in modo corretto. Il fine
era di anticipare forme di tutela che in precedenza erano invocabili solo in virtù dell’impugnazione dei contratti viziati.
La necessità della responsabilità precontrattuale viene avvertita
quando il commercio assume dimensioni più grandi e comincia a sentirsi il peso della grande industria. Non si ha a che fare più solo con
persone conosciute, ma si comincia a trattare con ignoti. È inevitabile,
dunque, che si prospettino istanze volte ad avere garanzie normative, e
non solo ambientali, dell’altrui correttezza nell’attività contrattuale.
Sia pure in termini in parte diversi, esigenze analoghe si ripropongono
nel periodo attuale.
Non stupisce, dunque, l’obiettivo di attribuire un nuovo e strategico ruolo all’art. 1337 c.c., valorizzando il rilevo delle regole di correttezza nello svolgimento di attività idonee a falsare in misura rilevante
scelte di natura negoziale.
2. Gran parte delle potenzialità dell’art. 1337 c.c. sono legate al rilievo attribuito alla dinamica dei comportamenti e all’obbligo di svolgimento degli stessi secondo buona fede.
Il riferimento è, in particolare, alla fase delle trattative, nel corso delle quali non c’è un atto o un titolo dal quale dipende preventivamente la
selezione delle alternative possibili, ma è lo svolgersi di fatto dell’agire
che crea le premesse per la situazione successiva. La condotta che integra
una trattativa non è solo quella che si presenta in una relazione già instaurata, ma anche quella che si sostanzia nella mera sollecitazione di un con-
OSSERVAZIONI CONCLUSIVE
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tatto o di una relazione con un altro soggetto. Il carattere dinamico della
trattativa sta anche in questo «movimento verso l’altro».
Chi tratta non si impegna a vincolare la propria volontà per
l’avvenire, ma preannuncia la sua disponibilità a negoziare e riflette
sui propri intendimenti cercando di contemperarli con quelli dell’interlocutore.
I problemi che emergono, in altri termini, non sono legati al fatto che non si giunga alla conclusione del contratto, ma al controllo
delle modalità del comportamento che non ha portato a quella conclusione; se tale comportamento è corretto, nulla può rimproverarsi
a chi lo ha posto in essere. La trattativa non crea, dunque, obblighi
relativi al futuro contratto, ma obblighi di condotta all’interno della
fase stessa.
Segnatamente, siamo in presenza: 1) di una dinamica idonea ad
approdare ad un contatto relazionale; 2) di obblighi di correttezza e
buona fede, a prescindere dall’esistenza di un contratto o di una prestazione; 3) di un ragionevole affidamento nel rispetto di tali obblighi
già nel quomodo dell’attività, potendo, altrimenti, essere falsato in misura rilevante il comportamento economico del destinatario
dell’attività considerata.
L’esigenza di tutelare l’interesse allo svolgimento corretto di attività, che possono condizionare scelte di natura negoziale, è quanto
mai attuale e a tal punto rilevante da potersi considerare, oggi, obiettivo centrale della politica di tutela del consumatore. Il riferimento è, in
particolare, alla disciplina delle pratiche commerciali e della pubblicità, ove, possono riscontrarsi alcune caratteristiche analoghe a quelle
individuate in tema di trattative.
3. Quanto alle pratiche commerciali, si è cercato di evidenziare
che emerge una logica dinamica e una particolare attenzione per azioni e condotte e non esclusivamente per gli atti.
La normativa in oggetto è risultata particolarmente interessante, ai
fini della presente indagine, non soltanto per il rilievo attribuito alle
modalità di svolgimento dell′agire economico, ma anche per due altre
ragioni.
La prima è legata alla circostanza che le pratiche sono valutate tenendo conto della loro idoneità ad incidere sulle scelte del consumatore. È valorizzata, dunque, la dimensione dell’attività e nel suo svolger-
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OSSERVAZIONI CONCLUSIVE
si e nel suo avere una precisa destinazione. Basti pensare che la relazione dell’attività con la promozione, fornitura o vendita di un prodotto ai consumatori è elemento strutturale della pratica commerciale che,
per definizione, non sarebbe tale se non fosse presente l’aspetto direzionale evidenziato. Si tratta, infatti, di un elemento che caratterizza
tutte le diverse tipologie di pratiche che: sono scorrette quando falsano
o sono idonee a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico del consumatore; sono ingannevoli e aggressive se inducono,
o sono idonee ad indurre, il consumatore ad assumere una decisione di
natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso, o avrebbe preso
a condizioni e con modalità differenti.
La seconda delle ragioni per le quali le nuove normative sono risultate di particolare interesse è relativa al ruolo attribuito alla buona
fede oggettiva. L’ambito di operatività della stessa, infatti, risulta notevolmente ampliato, essendo deputata a governare non solo atti con i
quali ci si obbliga a porre in essere una certa prestazione, ma anche relazioni che si esplicano in attività meramente valutative dell’opportunità di vincolarsi.
La correttezza richiamata, in quanto apprezzata anche in ragione
della sua idoneità a non ledere gli interessi dei consumatori, non evoca
parametri di valutazione corporativi, consentendo di superare le preoccupazioni al riguardo.
Una dinamica diretta ad approdare ad un contatto relazionale, e
tale da poter alterare sensibilmente le valutazioni di opportunità dei
consumatori, si riscontra anche con riferimento alla pubblicità commerciale. Basti pensare alle novità apportate, in materia, dalle normative di derivazione comunitaria; a seguito di queste, quanto affermato
nella pubblicità è vincolante e può essere fonte di responsabilità.
Il messaggio pubblicitario, dunque, non va apprezzato esclusivamente per la sua idoneità a danneggiare i concorrenti, ma anche per la
possibilità che lo stesso condizioni le decisioni negoziali dei singoli.
D’altronde, la crescente valenza informativa della pubblicità è
tale da renderla non più soltanto strumento principe di promozione
e persuasione, ma anche mezzo di comunicazione di dati idonei a
falsare la valutazione delle diverse alternative tra le quali il mercato consente di scegliere. Tanto più che, oggi, non c’è una distinzione sufficientemente netta tra attività pubblicitaria, trattative e
contratto.
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Si assiste, infatti, a significative interferenze. Gli strumenti pubblicitari assolvono frequentemente ad una funzione di informazione
precontrattuale, le informazioni precontrattuali sono suscettibili di divenire parti integranti del contratto e quest’ultimo diventa veicolo di
informazione. Addirittura la fase delle trattative, intese tradizionalmente come contatto tra soggetti che fanno reciproche valutazioni di
opportunità, è sempre meno frequente. Ne consegue che è anticipata la
sede dove, in effetti, maturano le scelte dei consumatori.
Le trattative erano, cioè, momento privilegiato di ponderazione e
mediazione anche rispetto al messaggio pubblicitario che, seppure
idoneo a persuadere ed influenzare, veniva, comunque, decodificato.
Si era consapevoli che fosse connaturato a tale messaggio un ampliamento delle caratteristiche del bene o del servizio offerto.
Adesso la situazione è diversa. Il destinatario della pubblicità è legittimato ad attendersi che le informazioni ivi contenute siano veritiere e vincolanti. Si palesa, dunque, l’esigenza che la pubblicità si faccia
carico di quella valenza di correttezza che, tradizionalmente, era propria delle trattative.
Si configura, dunque, anche in relazione alla pubblicità e alle pratiche commerciali: 1) una dinamica idonea ad approdare ad un contatto relazionale; 2) l’espressa previsione di obblighi di correttezza e
buona fede, a prescindere dall’esistenza di un contratto o di una prestazione; 3) un ragionevole affidamento nel rispetto di tali obblighi già
nel quomodo dell’attività.
È tutelato, come nelle trattative, il momento della scelta di natura
negoziale, nella consapevolezza che chi la effettua può subire un danno per il solo fatto che un’attività a lui destinata sia scorretta e, in
quanto tale, idonea a falsare in misura apprezzabile il suo comportamento economico.
Nell’impostazione proposta è possibile ottenere, anche nei casi di
scorrettezza nelle pratiche commerciali e nella pubblicità, il risarcimento del danno nella forma dell’interesse negativo. In questo modo è
ulteriormente evidenziato il legame con la logica delle trattative; legame confermato, altresì, dalla circostanza che, nello svolgimento delle stesse, assume rilievo l’interesse al quomodo della condotta altrui,
tanto che parte della dottrina ha ritenuto possibile il configurarsi di un
interesse legittimo. Tale situazione giuridica soggettiva ben si presta
ad essere valorizzata anche con riferimento alle pratiche commerciali
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e alla pubblicità ove, si è visto, il ruolo centrale attributo all’interesse
alle modalità delle attività idonee a condizionare scelte di natura economica.
4. Il punto di osservazione adottato ha implicazioni anche sul piano dei rimedi, sia per quanto riguarda il rapporto tra quelli risarcitori e
quelli invalidanti, sia in relazione agli elementi che caratterizzano
questi ultimi quando a monte vi sia lo svolgimento di un’attività professionale.
Non bisogna partire sempre dalle regole di validità e dai problemi
relativi all’esistenza di un contratto, per poi verificare se residuano
spazi per il risarcimento. In presenza di danni, riconducibili in maniera
diretta alle modalità della condotta, occorre piuttosto applicare le regole di responsabilità. Il contratto e la sua validità o invalidità non incidono sulla configurabilità del rimedio risarcitorio, ma attengono alla
quantificazione del danno.
Dando adeguato rilevo alle modalità di svolgimento delle condotte
e attività e all’interesse del singolo alla correttezza delle stesse si garantisce una più appropriata tutela del consumatore. Un eccessivo utilizzo delle categorie dell’invalidità e la tendenza a ricondurre nel loro
alveo la maggior parte dei comportamenti possibili potrebbe essere
dannoso. Verrebbe limitato, di fatto, l’ambito di applicazione e
l’utilità delle normative in tema di pubblicità e pratiche commerciali,
che si caratterizzano per la loro funzione di tutelare il consumatore
non solo da ciò che lo induce ad assumere una decisione di natura
commerciale che altrimenti non avrebbe preso, ma anche da ciò che
sia semplicemente idoneo ad indurlo a prendere tale decisione.
Oltre alle conseguenze indicate, in termini di possibili e adeguati
strumenti di tutela, ci sono ulteriori aspetti da evidenziare con riferimento ai tradizionali rimedi invalidanti. Anche quando tali rimedi
sembrano essere i più adeguati per la tutela in concreto degli interessi,
la loro applicazione pratica risente dell’incidenza e del rilievo giuridico delle regole dell’attività che vi è a monte. Segnatamente, quanto ai
vizi del consenso, la configurabilità degli stessi non può prescindere
dalla circostanza che le valutazioni di opportunità del consumatore
siano influenzate dalla rappresentazione della prestazione fatta da un
soggetto professionista.
OSSERVAZIONI CONCLUSIVE
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Non si può escludere, per esempio, che un contratto stipulato a seguito di una pratica commerciale possa essere annullato per il configurarsi di un vizio del consenso. Nell’individuazione di questo, però, e
nel delineare la concreta disciplina da applicare, occorre considerare
che la nuova normativa persegue anche l’obiettivo di strutturare il
mercato, regolamentando l’attività informativa posta in essere dal professionista.
Può notarsi, in particolare, che se il comportamento economico
del consumatore è falsato in misura rilevante da una pratica commerciale scorretta, ciò non è dovuto alla circostanza che costui sia caduto
in errore, quanto piuttosto al fatto che sia stato indotto in errore da un
soggetto che non solo svolge professionalmente un’attività, ma, spesso, ha anche l’esclusiva conoscenza delle informazioni atte a condizionare i suoi interlocutori.
Il professionista, che si comporti scorrettamente, inoltre, pone in
essere una pratica commerciale vietata in quanto idonea ad influenzare
in misura apprezzabile il comportamento economico del consumatore
indifferentemente rispetto all’an o al quomodo della sua decisione. È
irrilevante, dunque, la distinzione tra dolo determinate e incidente.
In termini parzialmente diversi rispetto alla prospettiva tradizionale, si pongono, inoltre, alcuni problemi relativi all’omissione di informazioni, all’occultamento e alle modalità di presentazione delle stesse. Un esplicito punto di riferimento può rinvenirsi nell’art. 22 cod.
cons., per lo meno nei casi nei quali ci sia a monte lo svolgimento di
un’attività da parte di un soggetto professionista.
Nella disciplina sulle pratiche commerciali il grado di correttezza
che l’ordinamento pretende è esteso sino a comprendere le informazioni rilevanti delle quali il consumatore ha bisogno per prendere una
decisione di natura commerciale che altrimenti non avrebbe preso. È,
dunque, semplificato il giudizio di rilevanza del comportamento omissivo. Nel contesto dei rapporti tra imprese e consumatori, infatti,
l’omissione dei contenuti informativi, o l’attuazione di uno dei comportamenti espressamente previsti, devono considerarsi circostanze
idonee ad alterare la scelta del consumatore.
5. L’attenzione all’oggettivo svolgersi delle condotte − non più
trascurabile alla luce delle innovazioni apportate dal diritto comunitario − ha conseguenze importanti anche nella soluzione di alcuni pro-
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OSSERVAZIONI CONCLUSIVE
blemi che tradizionalmente si sono affrontati in relazione all’art. 1337
c.c. Segnatamente, è possibile evidenziare che l’interesse tutelato nello svolgimento di una trattativa è quello alla correttezza dei comportamenti idonei a condizionare scelte di natura economica. Tale interesse è da salvaguardare non solo nei casi nei quali si giunga a quello che
viene identificato con lo ‹‹stadio avanzato della trattativa››, ma sin
dall’instaurarsi della stessa e, comunque, a prescindere dall’avanzamento raggiunto.
Non occorre, dunque, affannarsi nell’individuare il momento a
partire dal quale sorge l’affidamento sulla conclusione del contratto,
invocando il criterio della serietà delle trattative oppure facendo riferimento alla durata delle stesse o, ancora, alla circostanza che le parti
abbiano preso in considerazione gli elementi essenziali del contratto
che si propongono di stipulare.
Ne consegue una diversa impostazione dei problemi relativi al recesso. L’attenzione non deve essere rivolta all’atto che esaurisce la
trattativa − e cioè al recesso − ma alla serie delle circostanze alle quali
esso consegue, per valutare se rivelano un comportamento da sanzionare perché contrario al dovere di buona fede.
Nella prospettiva proposta si accede, inoltre, ad una concezione
ampia di trattative. Queste ultime non presuppongono necessariamente
proposte, controproposte o altri atti del procedimento di formazione
del contratto, ma si sostanziano in ciò che può indurre un soggetto ad
assumere una decisione di natura commerciale, influenzandone le valutazione in vista di un successivo accordo.
La valorizzazione degli aspetti relativi alla modalità di svolgimento del comportamento, tenuto nel corso delle trattative, implica che le
vicende che le riguardano possono essere valutate autonomamente rispetto a quelle del contratto nel quale eventualmente sfociano. È possibile, dunque, ammettere una responsabilità precontrattuale pure in
presenza di un contratto valido, superando i tradizionali scetticismi sul
punto.
Ulteriori conseguenze applicative riguardano l’individuazione dei
soggetti destinatari della previsione dell’art. 1337 c.c.
La scarsa attenzione per il carattere dinamico delle trattative ha
comportato una limitazione dell’ambito di applicazione soggettivo
dell’art. 1337 c.c. alle sole parti del successivo contratto. Emerge, in
questo modo, una contraddizione legata ai rigidi schemi entro i quali
OSSERVAZIONI CONCLUSIVE
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forzosamente si è cercato di appiattire tutti i problemi legati all’art.
1337 c.c.
La validità del contratto, infatti, quale esito del procedimento di
formazione dello stesso, è invocata per escludere il configurarsi della
responsabilità precontrattuale e per individuare in concreto i destinatari dell’obbligo di buona fede ex art. 1337 c.c. La medesima circostanza − cioè la validità del contratto − è utilizzata al fine di identificare i
soggetti tra i quali può sorgere una responsabilità che, però, è a priori
esclusa qualora quella circostanza si verifichi.
Si tratta di una contraddizione che può essere evitata considerando che nello svolgimento di una trattativa si effettua la comparazione
tra i propri bisogni e i termini di un possibile successivo accordo. Anche coloro i quali non assumono formalmente la veste di controparti
del concludendo contratto possono influire su tale comparazione. Basti pensare che le parti del contratto non sono necessariamente i soggetti coinvolti nelle trattative; eppure proprio nel corso di queste emergono i dati rilevanti per le rispettive valutazioni di opportunità, così da alterare, o comunque, influenzare la concretizzazione del successivo rapporto contrattuale.
6. Oltre alle implicazioni sugli interrogativi che tradizionalmente
hanno impegnato gli interpreti in tema di trattative, l’attenzione
all’oggettivo svolgersi delle condotte ha consentito di evidenziare il
rilievo, nel diritto privato, di dinamiche non riconducibili ai rigidi
schemi del procedimento.
Tali dinamiche si caratterizzano in quanto − pur trovando un elemento propulsore nella realizzazione di un determinato intento − hanno ragion d’essere nel proprio svolgersi, mentre il raggiungimento del
risultato, in concreto, può anche mancare. I soggetti destinatari di attività così connotate possono esigere dai loro interlocutori il rispetto di
certe modalità di condotta, indipendentemente dal raggiungimento di
un predeterminato esito o da una data prestazione.
È quanto avviene anche con riferimento alle normative sulle pratiche commerciali e sulla pubblicità che, proprio per essere dirette ad
incidere su decisioni di natura negoziale, presentando elementi in comune con la logica delle trattative.
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Ci possono essere aspetti diversi ed esigenze, in parte, diversificate,
ma ciò non esclude che l’interesse da salvaguardare sia il medesimo.
Nelle trattative, come nelle discipline di derivazione comunitaria
esaminate, occorre tutelare la possibilità di valutare la compatibilità
tra i propri bisogni e i termini di un successivo ed eventuale contratto.
Tale valutazione risente, in entrambi i casi − sia se messa a repentaglio dalla condotta di un singolo soggetto con il quale si è in relazione,
sia che dipenda dal modo di svolgersi di un’attività − del rispetto
dell’obbligo di comportarsi correttamente e dell’esistenza di tecniche
preventive di tutela.
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Puglia Grafica Sud - Bari
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