Saggi Il mobbing nella prospettiva criminologica integrata Giovanni Neri* e Flavia Forgione** * Avvocato del Foro di Roma – Docente di Criminologia UNI I.P.U.S. Chiasso – Direttore scientifico della Collana Jus & Comparative Law ** Dottore di Ricerca in Diritto Penale, Università degli Studi Roma Tre 1. Il mobbing. Nozione e caratteristiche Il termine mobbing deriva dal verbo to mob (“assalire in massa”) e consiste in un complesso abituale di condotte vessatorie, discriminatorie e di tipo aggressivo, praticate sul luogo di lavoro allo scopo di perseguitare un collega o un subalterno e talora agevolate dai cd. sighted mobbers1, ossia i compagni del mobbizzato che, con atteggiamenti di accettazione neutrale, incrementano lo stato di emarginazione e disagio della vittima2. I comportamenti ostili possono anche essere leciti o giuridicamente irrilevanti: quel che rileva è la reiterazione costante degli stessi e il correlato stato di impotenza che si alimenta nel mobbizzato3. Si tratta infatti di una “situazione lavorativa di conflittualità sistematica, persistente in un costante progresso in cui una o più persone vengono fatte oggetto di azioni al alto contenuto persecutorio da parte di uno o più aggressori in una posizione superiore, inferiore o di parità, con lo scopo di provocare alla vittima danni di vario tipo e gravità. Il mobbizzato si trova nell’impossibilità di reagire adeguatamente a tali attacchi ed a lungo andare accusa disturbi psicosomatici, relazionali e dell’umore, che possono portare anche invalidità psicofisiche permanenti di vario genere e percentualizzazione”4. Similmente, lo studioso svedese Leymann definisce il fenomeno come “una comunicazione contraria ed ostile ai principi etici, perpetrata in modo sistematico da una o più persone, principalmente contro un singolo individuo che viene per questo spinto in una posizione di impotenza e impossibilità di difesa e qui costretto a restare con continue attività ostili. Queste azioni sono effettuate con un’alta frequenza …e per un lungo periodo di tempo …. A causa dell’alta frequenza e della lunga durata, il comportamento ostile da luogo a seri disagi psicologici, psicosomatici e sociali”5. Dalle esposte definizioni si ricavano, dunque, gli elementi costitutivi del mobbing che possono riassumersi nel contestuale ricorso di più condizioni ed in partico- lare: la natura vessatoria e persecutoria della condotta, la collocazione della stessa nell’ambiente di lavoro, la ripetizione e persistenza temporale delle azioni mobbizzanti6, l’intento persecutorio del mobber, la subordinazione psicologica e lavorativa della vittima e l’andamento fasico7 degli effetti delle praticate ostilità sul mobbizzato. E la rosa di condotte devianti è ampia. Può spaziare da atteggiamenti di ostacolo alla regolare conduzione del lavoro (demansionamenti, trasferimenti, controlli esagerati, arresti di carriera, sanzioni disciplinari reiterate, svilimento dell’immagine, atteggiamenti di critica), a vere e proprie molestie, anche di tipo sessuale. Deve comunque trattarsi di atteggiamenti che, per diverse vie, finiscono per minare la serenità del lavoratore. Ad esempio, anche la richiesta continua di visite fiscali per malattia, come la diffamazione o l’omessa concessione dolosa del riposo settimanale possono costituire condotte mobbizzanti, se tali da provocare nella vittima turbative psicologiche impeditive del regolare e tranquillo svolgimento delle mansioni affidate. A costituire il comune denominatore delle azioni descritte è quindi la relativa natura sistemica, l’andamento progressivo e lo scopo e/o l’effetto persecutorio che vi associa8. Solitamente, si distinguono più tipologie di mobbing: quello gerarchico, o verticale, è perpetrato dal datore di lavoro verso i subalterni, mentre quello orizzontale è attuato tra colleghi di pari grado. Ancora, si ha mobbing combinato, quando le condotte del superiore gerarchico sono avallate dagli altri lavoratori e mobbing ascendente se, inusualmente, sono i dipendenti a boicottare l’operato del proprio capo. Se poi alle vessazioni sui luoghi di lavoro segue una conseguente perdita di sostegno all’interno del nucleo familiare si integra il fenomeno del cd. doppio mobbing9. Infine, una particolare condizione mobbizzante è integrata dalla molestia di tipo sessuale. Si tratta di una forma di mobbing del tutto peculiare, sia per la genesi, che per le modalità operative del molestatore. In primo 12 Temi Romana Saggi luogo infatti l’intento del mobber non coincide con la volontà di allontanare la vittima dai luoghi di lavoro. Anzi, al contrario, se ne incita l’avvicinamento coattivo a fronte di reazioni opposte del molestato, che tende a chiedere trasferimenti o giorni di malattia per sfuggire alle attenzioni sgradite. E le tecniche di sopruso risentono dei sentimenti di vendetta del respinto, che, specie se in posizione gerarchicamente favorevole, utilizza il ricatto come arma contro la vittima, stretta nell’alternativa tra l’accondiscendenza alla molestia o l’accettazione di uno stato mobbizzante. Ciò non toglie che talvolta il mobbing sessuale possa consistere anche una buona strategia di allontanamento della vittima dal proprio posto di lavoro. E questo si verifica quando i lavoratori, per danneggiare un collega, iniziano a diffondere voci non veritiere sulle abitudini sessuali del mobbizzato. Ad ogni modo, indipendentemente dalle forme che assume, il mobbing costituisce una fattispecie dai contorni assai incerti, di creazione giurisprudenziale10, che desta non poche perplessità, anche per la recente ed esponenziale diffusione delle condotte mobbizzanti in Europa e nel mondo11. In Italia il fenomeno è in crescita, anche se con minore intensità rispetto alle medie europee, e colpisce in particolare donne e impiegati nella pubblica amministrazione. Le prime per la loro maggiore fragilità emotiva e per la più evidente esposizione a molestie di tipo sessuale12. I secondi per il minor rigore dei controlli pubblici sul dilagare degli atteggiamenti mobbizzanti tra lavoratori. L’imprenditore privato, infatti, temendo gli effetti negativi del mobbing sul successo delle politiche aziendali, è più incline rispetto alla p.a. alla predisposizione di adeguati strumenti di freno e contenimento delle pratiche vessatorie. Restano ora da analizzare, in una prospettiva criminologica integrata, le cause del mobbing e le relative conseguenze sull’equilibrio psico-fisico della vittima. Infatti, la diffusione del mobbing viene in genere riconnessa a una serie di cause criminologiche legate al contesto ambientale di lavoro. In quest’ottica vengono in rilievo: l’importanza della tipologia e remuneratività dell’occupazione espletata secondo i canoni della società d’appartenenza; il livello di competitività sui posti di lavoro; il grado di aggressività ritenuto tollerabile; l’eventuale presenza di adeguati ammortizzatori sociali; e da ultimo, la maggiore o minore elasticità culturale del paese di riferimento, dal momento che il ricorso a tecniche mobbizzanti è inversamente proporzionale all’accettazione delle diversità biologiche (sesso, età, etnia) tra i lavoratori13. Ma non solo. Molto dipende anche dalla struttura organizzativa aziendale e dalle richieste di sempre maggior efficienza e produttività, imposte dal nuovo mercato globalizzato. Gli standard attuali infatti esigono rendimenti eccellenti a basso costo, il che talvolta impone rivisitazioni di spesa e conseguenti riallocazioni o riduzioni del personale. E questo, unito a sempre più frequente ricorso a contratti di lavoro interinale o a termine, sottopone i dipendenti ad un forte stress psicologico, alimentato dal timore di perdere la propria occupazione e dalla necessità di adeguarsi agli elevati livelli di produttività raggiunti nel mondo imprenditoriale. Invero, il forte grado di tensione, l’insicurezza dell’impiego, le inadeguatezze nella gestione manageriale e la pressione competitiva generano tra i lavoratori un evidente stato di conflittualità, particolarmente accentuato nelle fasi di eventuale ridimensionamento dell’organico, quando la volontà di boicottare colleghi antagonisti spinge ad attuare a loro svantaggio tecniche subdole di isolamento e discredito. Talora poi è lo stesso datore di lavoro a ricorrere ad atteggiamenti ostili proprio per eliminare dal gruppo i dipendenti meno efficienti o più anziani, inducendoli all’interruzione volontaria e prematura del rapporto lavorativo14. A ciò ovviamente si aggiungono le caratteristiche soggettive degli attori della vicenda mobbizzante. Invero, pur non esistendo un profilo psicocomportamentale di tipo unitario della vittima di mobbing, in prima approssimazione si tratta di una persona efficiente, scrupolosa e come tale temuta dai colleghi, che talvolta approfittano di uno suo temporaneo stato di stress 2. Le cause del fenomeno Il ricorso a tecniche mobbizzanti sul luogo di lavoro può dipendere dall’intersecarsi di più fattori compositi, da analizzare caso per caso. Dal punto di vista squisitamente oggettivo, il proliferare del fenomeno dipende da ragioni culturali e dal contesto economico in cui le imprese si trovano a operare. Temi Romana 13 Saggi per favorirne l’espulsione dal gruppo di lavoro15. D’altra parte quanto più è evidente la debolezza psicologica del lavoratore, tanto maggiore è il livello di aggressività cui si spinge il mobber, per invidia o frustrazione16. Ad ogni modo, indipendentemente da ogni generalizzazione, gli episodi di mobbing sono difficilmente stereotipabili, sia per modalità operative che li caratterizzano, che per le peculiari condizioni ambientali e personologiche in cui si sviluppano. Spesso infatti l’area manageriale alla quale il mobbizzato si rivolge per denunciare il sopruso tende a minimizzare la patologia, attribuendola a stress lavorativi ordinari, oppure addirittura a sfruttarla in vista di eventuali ridimensionamenti d’organico. Non a caso infatti la quasi classica conseguenza dell’avvio di pratiche di mobbing è la perdita del lavoro, alla quale inevitabilmente segue un senso di fallimento e la privazione della propria identità sociale. Talvolta, si percepisce anche un’ostilità all’interno della propria famiglia che, stanca di assecondare un componente emotivamente instabile, ritira il proprio sostegno emotivo, peggiorando in modo allarmante la situazione già compromessa della vittima. Motivo per il quale in casi limite il mobbizzato può addirittura meditare o mettere in atto tentativi di suicidio. Questi gli effetti sulla vittima. Ma il mobbing è foriero di conseguenze negative anche per l’impresa all’interno della quale si sviluppa. Infatti, ne deriva un calo generale del rendimento e delle produttività del gruppo di lavoro, una compromissione dell’immagine aziendale, un incremento di atteggiamenti di assenteismo, e una generale perdita di fiducia e collaborazione tra i colleghi. A ciò deve inoltre aggiungersi il costo, pur in termini di Know-how, per la sostituzione, anche temporanea del mobbizzato, la perdita di personale specializzato, e l’obbligo economico di risarcimento dei danni. Si tratta quindi di un fenomeno, non ancora compiutamente regolamentato ma da non sottovalutare, alla luce anche dell’incremento negli ultimi anni di pratiche mobbizzanti, direttamente proporzionale alla crescita del mercato globalizzato, all’elevato tasso di disoccupazione e alla precarietà dei rapporti lavorativi. 3. Le conseguenze del mobbing La costante sottoposizione a pratiche mobbizzanti conduce la vittima ad uno stato di disagio psicologico, che può sfociare in malattie psicosomatiche a vari livelli, clinicamente riconducibili al “disturbo dell’adattamento”17, al “disturbo acuto da stress”18 e al più grave “disturbo post traumatico da stress”19. Più in generale comunque, la sintomatologia della “sindrome da mobbing” è stata inquadrata dalla letteratura criminologica in base agli effetti psico fisici che determina nel mobbizzato. Alla variabilità dello stato socio emotivo, con conseguente alternanza di reazioni aggressive e remissivodepressive, si associa una modificazione dell’equilibrio psico fisico, dovuta alla somatizzazione del disagio vissuto, e una variazione del comportamento manifesto20. Si passa da crisi di pianto, ad attacchi di panico, a stati di alterazione psicosomatica anche gravi, che possono sfociare in disturbi alimentari o del sonno, ovvero in atteggiamenti di autolesionismo, come l’abuso di alcool o di farmaci anti depressivi. Sintomi tutti amplificati dal senso di impotenza derivante dalla reazione sociale, imprenditoriale e familiare alla manifestazione di devianze comportamentali. _________________ 1 Si tratta di colleghi che partecipano all’azione mobbizzante (cd. spettatori non conformisti), o che per timore o opportunità non prendono posizione a favore del mobbizzato (cd. spettatori conformisti). Sul punto vd. H. EGE, Mobbing Conoscerlo per vincerlo, Milano, Franco Angeli, 2001, che distingue tra side – mobber e co – mobber. 2 Il termine, che mutua anche dalla locuzio- ne latina mobile vulgus utilizzata con accezione negativa nei confronti del popolo meritevole di disprezzo, è stato ripreso anche dall’etologo Lorenz nella descrizione del comportamento aggressivo tenuto dagli animali in branco per allontanare i propri simili e, se trasposto sul piano umano, evoca tutta una serie di comportamenti praticati in massa per isolare un membro della comunità ritenuto scomodo o pericoloso. 14 Non si sviluppa quindi soltanto nei luoghi di lavoro ma anche altrove, ad esempio nell’ambiente militare (ove prende il nome di “nonnismo”; cfr. F. BATTISTELLI, Anatomia del nonnismo: cause e misure di contrasto del Mobbing militare, Milano, Angeli, 2000), condominiale o scolastico (il bullismo infatti null’altro è che una particolare specie di condotta mobbizzante applicata tra minori). Temi Romana Saggi 3 L’elemento dell’abitualità distingue il mobbing dal cd. straining, consistente in condotte vessatorie di tipo isolato, ma comunque tali da procurare disagi e danni psicologici alla vittima. Cfr. E. DI SABATINO, Dal Mobbing allo stalking allo straining, in Resp. civ., II, 2007, p. 171 ss.; H. EGE, Oltre il mobbing. Straining, stalking e altre forme di conflittualità sul posto di lavoro, Milano, Giuffrè, 2005; N. SAPONE, I danni nel rapporto di lavoro, Milano, Giuffrè, 2009, p. 178 ss., che scrive: “L’utilità della figura del mobbing è quella di consentire uno sguardo sinottico, teleologico di condotte disparate, stringendole in unità, e facendone così emergere la complessiva illiceità, anche quando tale illiceità non sarebbe stata praticabile all’esito di una valutazione separata, atomistica dei singoli comportamenti”; e B. TRONATI, Mobbing e straining nel rapporto di lavoro. Cosa sono, come riconoscerli, come reagire, come tutelarsi, Bologna, Ediesse, 2008. In giurisprudenza vd. tra le altre Corte Cost. 19 dicembre 2003, n. 359: “I comportamenti in cui può esternarsi il mobbing hanno la duplice peculiarità di poter essere esaminati singolarmente, anche leciti, legittimi o irrilevanti dal punto di vista giuridico, e tuttavia di acquisire comunque rilievo quali elementi della complessiva condotta caratterizzata nel suo insieme dall’effetto e, talvolta secondo alcuni, dallo scopo di persecuzione e di emarginazione”; Cass. pen., Sez. V, 29 agosto 2007, n. 33624: “La condotta di mobbing suppone non tanto un singolo atto lesivo, ma una mirata reiterazione di una pluralità di atteggiamenti, anche se non singolarmente connotati da rilevanza penale, convergenti sia nell’esprimere l’ostilità del soggetto attivo verso la vittima sia nell’efficace capacità di mortificare ed isolare il dipendente nell’ambiente di lavoro”. 4 Così H. EGE, Il Mobbing in Italia. Introduzione al mobbing culturale, Bologna, Pitagora, 1996. Dello stesso autore vd. anche Mobbing Conoscerlo per vincerlo, cit.; I numeri del mobbing. La prima ricerca italiana, Bologna, Pitagora, 1999; Il mobbing in Italia, Bologna, Pitagora, 1997; Che cos’è il terrore psicologico sul luogo di lavoro, Bologna, Pitagora, 1996. La letteratura criminologica sull’argomento è vastissima. Tra gli altri C. BALDASSARRI – M. DEPOLO, La vittimizzazione psicosociale sul lavoro, in Psicologia Contemporanea, Temi Romana 1999, 152, p. 18 ss.; C. BALDUCCI, I processi psichici del mobbing, Bologna, Edizioni Prima, 2000; M. BUCCI, Affrontare il mobbing dal punto di vista dell’azienda, un’esperienza concreta in un’amministrazione pubblica, in Psicologia e lavoro, 2007, p. 21 ss.; G. BUSSOTTI – S. MORIONDO Valutazione del mobbing. Manuale per la gestione del rischio dei lavoratori e delle lavoratrici, Bologna, Ediesse, 2010; L. CANALI. – R. DE CAMELIS – F. LAMANNA – B. PRIMICERIO, Il mobbing, Roma, Armando, 2004; S. CARRETTIN – N. RECUPERO, Il mobbing in Italia. Terrorismo psicologico nei rapporti di lavoro, Bari, Dedalo, 2002; A. CASILLI, Stop mobbing. Resistere alla violenza psicologica sul luogo di lavoro, Roma, Derive Approdi, 2000; G. COCCO – C. ANGELONE – V. PIERFELICE, Il mobbing. Aspetti psicosociologici e giuridici, Pozzuoli, Sistemi Editoriali, 2007; S. DE RISIO, Psichiatria della salute aziendale e mobbing, Milano, Franco Angeli, 2001; M. DEPOLO, Mobbing: quando la prevenzione è intervento. Aspetti giuridici e psicosociali del fenomeno, Milano, 2003; H. EGE – M. LANCIONI, Stress e Mobbing, Bologna, Pitagora, 1998; G. FAVRETTO (a cura di), Le forme del mobbing. Cause e conseguenze di dinamiche organizzative disfunzionali, Milano, Cortina, 2005; G. GULOTTA, Il vero e il falso mobbing, Milano, Giuffrè, 2007; C. LAZZARI, Mobbing: conoscerlo, affrontarlo, prevenirlo, Pescara, ESI, 2001; ID., Vincere le ingiustizie sul lavoro, Bologna, Pitagora, 1997; ID., Adesso mi arrabbio. Conoscere ed affrontare il litigio sul lavoro, Bologna, Pitagora, 1996; E. MAIER, Il Mobbing e lo stress organizzativo, Cesena, Il Ponte Vecchio, 2002; G. POZZI (a cura di), Salute mentale e ambiente di lavoro. Conoscere e tutelare dal disadattamento al mobbing, Milano, Franco Angeli, 2008; B. RUPPRECHT-STROELL, Difendersi dal mobbing. Strategie contro aggressioni, boicottaggi, provocazioni, diffamazioni e umiliazioni sul posto di lavoro, Milano, Mondadori, 2007; ID., Mobbing: no grazie! Strategie di difesa contro aggressioni, boicottaggi, provocazioni, diffamazioni e umiliazioni sul posto di lavoro, Milano, TEA, 2001; G. SPRINI (a cura di), Mobbing: fenomenologia, conseguenze ed ipotesi di prevenzione, Milano, Franco Angeli, 2007; P. TOSI (a cura di), Il mobbing, Torino, Giappichelli, 2004; R. VACCANI, Stress, 15 mobbing e dintorni. Le insidie intangibili degli ambienti lavorativi, Milano, ETAS, 2007; C. VENTIMIGLIA, Disparità e disuguaglianza. Molestie sessuali, mobbing e dintorni, Milano, Franco Angeli, 2003. 5 In questi termini H. LEYMANN, The content and development of mobbing at work, in European journal and Organization psychology, 5, 2, 1996; ID., Mobbing and psychological terror at workplaces, in Violence and Victims, 5, 2, 1990. Le definizioni fornite dagli studiosi vengono riprese anche dal legislatore regionale e dalla giurisprudenza italiana, che tenta in particolare di ancorare la tutela del mobbizzato ad appigli normativi, civili e penali. A titolo esemplificativo, la Legge Regionale 16/2002, della Regione Lazio, poi dichiarata incostituzionale per violazione dell’art. 117 Cost., definiva il mobbing come un insieme di “atti o comportamenti discriminatori o vessatori protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di lavoratori dipendenti, pubblici o privati, da parte del datore di lavoro o da soggetti posti in posizione sovraordinata ovvero da altri colleghi, e che si caratterizzano come una vera e propria forma di persecuzione psicologica o di violenza morale”. Prevedeva inoltre un elenco non tassativo di atti e comportamenti mobbizzanti tra cui rientravano: pressioni e molestie psicologiche; calunnie sistematiche, maltrattamenti verbali ed offese personali; minacce e atteggiamenti intimidatori o avvilenti, palesi o indiretti; delegittimazione dell’immagine; esclusione o marginalizzazione immotivata dall’attività lavorativa; svuotamento delle mansioni; attribuzione di compiti esorbitanti, eccessivi o dequalificanti; inibizione all’accesso a informazioni sull’ordinaria attività lavorativa; marginalizzazione immotivata del lavoratore rispetto a iniziative formative, di riqualificazione o aggiornamento professionale; controllo eccessivo del dipendente; e discriminazioni sessuali, di razza, lingua o religione. Per la giurisprudenza cfr. ad es. Cass. civ., Sez. lav., 8 agosto 2011, n. 17089: “Come indicato dalla Corte costituzionale (a partire dalla sentenza n. 359 del 2003), la sociologia ha mutuato il termine mobbing da una branca dell’etologia per designare un complesso fenomeno consistente in una serie di atti o comportamenti vessatori, protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di un lavoratore da parte dei componenti del Saggi gruppo di lavoro in cui è inserito o dal suo capo, caratterizzati da un intento di persecuzione ed emarginazione finalizzato all’obiettivo primario di escludere la vittima dal gruppo”; Cass. civ., Sez. lav. 17 febbraio 2009, n. 3785: “Per ‘mobbing’ (nozione elaborata dalla dottrina e dalla giurisprudenza giuslavoristica) si intende comunemente una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili, che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità. Ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono pertanto rilevanti i seguenti elementi: a) la molteplicità dei comportamenti a carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) l’evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico e il pregiudizio all’integrità psicofisica del lavoratore; d) la prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio”; Cass. civ., 6 marzo 2006, n. 4774: “Si qualifica come mobbing una condotta sistematica e protratta nel tempo, che concreta, per le sue caratteristiche vessatorie, una lesione dell’integrità fisica della personalità morale del prestatore di lavoro, garantita dall’art. 2087 c.c.; tale illecito, che rappresenta una violazione dell’obbligo di sicurezza posto da questa norma generale a carico del datore di lavoro, si può realizzare con comportamenti materiali o provvedimenti del datore di lavoro, indipendentemente dall’inadempimento di specifici obblighi contrattuali previsti dalla disciplina del rapporto di lavoro subordinato… La sussistenza della lesione del bene protetto e delle sue conseguenze dannose deve essere verificata considerando l’idoneità offensiva della condotta del datore di lavoro, che può essere dimostrata, per la sistematicità e la durata dell’azione nel tempo, dalle sue caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione, risultanti specialmente da una connotazione emulativa e pretestuosa, anche in assenza di una violazione di specifiche norme di tutela del lavoratore subordinato”. 6 Secondo Cass. civ., Sez. lav., 9 settembre 2008, n. 22858, la durata della vessazione non può comunque essere inferiore a undici mesi. 7 Cfr. LEYMANN, The content and development of mobbing at work, cit., distingue quattro fasi: fase del conflitto latente, connotata da usuali contrasti a cadenza grosso modo quotidiana; fase del conflitto mirato, ove si inizia a bersagliare una vittima specifica; fase del conflitto pubblico, ossia della pubblicizzazione dell’intento mobbizzante; e fase di espulsione, che culmina in genere con le dimissioni forzate del mobbizzato. EGE, Mobbing in Italia, cit., al primo momento di conflittualizzazione generale, fa seguire sei step: individuazione della vittima; autocolpevolizzazione del mobbizzato, che inizia a sentirsi responsabile per le accuse di incompetenza e inefficienza che gli vengono rivolte; presenza dei primi sintomi di malattie psicosomatiche; applicazione di sanzioni disciplinari per le conseguenti assenze; aggravamento dello stato di salute della vittima; e da ultimo espulsione dal mondo del lavoro per licenziamento o dimissioni forzate. 8 All’idoneità lesiva della condotta deve quindi affiancarsi, almeno secondo la giurisprudenza maggioritaria, l’animus nocendi, ossia la volontà di arrecare un danno alla vittima. Sul punto, l’Osservatorio nazionale mobbing è chiaro: “Il Mobbing …si pone sempre come fine l’emarginazione del dipendente, in termini di frantumazione delle sue sicurezze lavorative, psicologiche ed esistenziali, con l’intento di escluderlo dal suo ruolo di lavoro e di destabilizzarlo nelle sue difese esistenziali e psicosociali, onde metterlo in conflitto con se stesso e con la microsocietà in cui si muove e dentro la quale espleta le sue scelte ed i suoi interessi sociali e culturali”. 9 L’esistenza del cd. doppio mobbing è teorizzata da EGE, Mobbing. Conoscerlo per vincerlo, cit. 10 A quest’ultimo proposito, pur se non è questa la sede per occuparsi del fenomeno sul piano legislativo e processuale, molto brevemente e senza pretese di completezza, si evidenzia l’assenza di specifiche previ- 16 sioni normative sul tema e il conseguente tentativo della giurisprudenza italiana di sussumere il fenomeno in fattispecie gia contemplate dall’ordinamento. In particolare, i giudici civili riportano la figura all’art. 2087 c.c., oltre che agli artt. 1175 e 1375 c.c., in tema di buona fede, mentre la giurisprudenza penale invoca l’applicazione degli artt. 572 e 610 c.p. Ad esempio, nella prima pronuncia di legittimità sul tema (Cass. pen., 12 marzo 2001, n. 10090) si legge: “Anche se l’ipotesi di reato di più frequente verificazione è quella che dà il nome alla rubrica dell’art. 572 c.p., la norma incriminatrice prevede altresì le ipotesi di chi commette maltrattamenti in danno di persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, per l’esercizio di una professione o di un’arte… Non vì è dubbio che il rapporto intersoggettivo che si instaura tra datore di lavoro e lavoratore subordinato, essendo caratterizzato dal potere direttivo e disciplinare che la legge attribuisce al datore nei confronti del lavoratore dipendente, pone quest’ultimo nella condizione, specificatamente prevista dalla norma penale richiamata, di persona sottoposta alla sua autorità, il che, sussistendo gli altri elementi previsti dalla legge, permette di configurare a carico del datore di lavoro il reato di maltrattamenti in danno del lavoratore dipendente. L’aspetto saliente della presente vicenda sta nel fatto che, diffusamente illustrato dai giudici di merito, l’imputato con ripetute e sistematiche vessazioni fisiche e morali, consistite in schiaffi, calci, pugni, morsi, insulti, molestie sessuali e la ricorrente minaccia di troncare il rapporto di lavoro senza pagare le retribuzioni pattuite, aveva ridotto i suoi dipendenti, tra i quali una minorenne, in uno stato di penosa sottomissione e umiliazione, al fine di costringerli a sopportare ritmi di lavoro forsennati, essendo il profitto dell’impresa direttamente proporzionale al volume delle vendite effettuate. Ne risulta, dunque, una serie di atti volontari, idonei a produrre quello stato di abituale sofferenza fisica e morale, lesivo della dignità della persona, che la legge penale designa col termine maltrattamenti”. Tra le altre, di recente Cass. pen., Sez. VI, 27 aprile 2012, n. 16094: “Le pratiche persecutorie realizzate ai danni del lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione (cosiddetto “mobbing”) possono integrare il delitto di Temi Romana Saggi maltrattamenti in famiglia qualora il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente assuma natura para-familiare, in quanto caratterizzato da relazioni intense ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell’altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia”; Cass. pen., Sez. VI, 3 aprile 2012, n. 12517: “Il delitto di maltrattamenti previsto dall’art. 572 cod. pen. può trovare applicazione nei rapporti di tipo lavorativo a condizione che sussista il presupposto della parafamiliarità, intesa come sottoposizione di una persona all’autorità di altra in un contesto di prossimità permanente, di abitudini di vita proprie e comuni alle comunità familiari, nonché di affidamento e fiducia del sottoposto rispetto all’azione di chi ha ed esercita l’autorità con modalità, tipiche del rapporto familiare, caratterizzate da ampia discrezionalità ed informalità”. Per approfondimenti sulla tutela giuridica, civile e penale, della vittima di mobbing cfr. tra gli altri F. Amato – M.V. Casciano – L. Lazzeroni – A. LOFFREDO, Il Mobbing. Aspetti lavoristici: nozioni, responsabilità, tutele, Milano, Giuffrè, 2002; M. BELLINA, Mobbing: profili penali, in Dir. & Pratica del Lavoro, XXX, 2007, p. 1913 ss.; M. BONA – G. MONATERI – U. OLIVA, La responsabilità civile del mobbing, Milano, IPSOA, 2002; F. COSTA, Il mobbing, Napoli, ESI, 2010; G. DE FALCO – A. MESSINEO – F. MESSINEO, Mobbing: diagnosi, prevenzione e tutela legale, Roma, EPC Libri, 2003; E. DE LUISE, Il Mobbing. La tutela esistente, le prospettive legislative e il ruolo degli organi di controllo, Napoli, Esselibri, 2003; F. DE STEFANI, Danno da mobbing, Milano, Giuffrè, 2012; G. DI PARDO – S. DI PARDO – V. IACOVINO – C. IZZI, Mobbing. Tutela civile, penale ed assicurativa. Casi giurisprudenziali e consigli pratici, Milano, Giuffrè, 2007; M. V. FERACO, Sulla rilevanza penale del mobbing (nota a Cass. pen., sez. VI, 21 settembre 2006, n. 31413), in Cass. pen., VI, 2007, p. 2493 ss.; S. FIGURATI, Osservazioni in materia di mobbing, in Guida al lavoro, XXXII-XXXIII, 2000, p. 35 ss.; M. GALLO, L’abuso del diritto come strumento provvisorio di contrasto al mobbing, in Il Lavoro nella giurisprudenza, III, 2008, p. 237 ss.; D. GAROFALO, Mobbing e Temi Romana tutela del lavoratore tra fondamento normativo e tecnica risarcitoria, in Il Lavoro nella giurisprudenza, VI, 2004, p. 521 ss.; N. GHIRARDI, Il mobbing nella giurisprudenza, in Dir. & Pratica del Lavoro, X, 2008, p. 3 ss.; A. GUGLIELMO, Responsabilità civile e mobbing, in Dir. & Pratica del Lavoro, XVII, 2008, p. 1033 ss.; G. MANNACCIO, Il mobbing ancora una volta in Cassazione, in Il lavoro nella giurisprudenza, XII, 2008, p. 1235 ss; S. MARETTI, Mobbing: fattispecie e strumenti di tutela, in Dir. & Pratica del Lavoro, 2007, n. 32; S. MAZZAMUTO, Il mobbing, Milano, Giuffrè, 2004; M. MEUCCI, Danni da mobbing e loro risarcibilità. Danno professionale, biologico e psichico, morale, esistenziale, Roma, Ediesse, 2003; L. NOCCO, Il mobbing, in Danno e resp., IV, 2008, p. 398 ss.; F. PETRONI, Il danno derivante dal mobbing: autonomia dell’onere della prova, in Il merito, IX, 2008, p. 18 ss.; A. QUAGLIARELLA, Elementi caratterizzanti del mobbing, in Il Lavoro nella giurisprudenza, IX, 2008, p. 927 ss.; A. RAFFI, Il ruolo della Cassazione nella tutela del “mobbing” (nota a Cass. pen., sez.VI, 7 novembre 2007, n. 40891), in Riv. giur. lav. e prev. soc., II, 2008, p. 349 ss.; M. SANSONE, Prospettive per una penalizzazione del «mobbing», in Riv. pen., IX, 2006, 9, p. 885 ss.; M. VERRUCCHI, Rilevanza penale del mobbing, in Dir. pen. proc., VII, 2008, p. 892 ss.; C. ZOLI, Il mobbing: brevi osservazioni in tema di fattispecie ed effetti, in Il lavoro nella giurisprudenza, IV, 2003, p. 337 ss. Quanto alla tutela in ambito europeo, si segnala la Risoluzione del 20 settembre 2001 A5-0283/2001 e, in chiave comparatistica, si evidenzia un interesse generale alla tematica. Invero, si sono dotate di normative anti mobbing la Svezia, la Norvegia e la Francia, ma il fenomeno interessa anche l’Inghilterra, la Spagna, la Germania e gli USA che, per diverse vie, comunque individuano meccanismi nazionali di tutela delle vittime di mobbing. In Francia si parla di harcelement au travail e in Spagna di acoso moral, distinguendo poi il bossing, ossia la condotta di molestia gerarchica, dal mobbing praticato invece dai colleghi. Nei paesi anglosassoni si preferisce invece parlare di bulling at work, work harrassment o work abuse, ripartendo poi le condotte d’abuso a seconda delle caratteristiche peculiari che 17 le connotano (è corporate bulling, la vessazione esercitata dal datore di lavoro, client bulling, quella attuata dai destinatari della prestazione lavorativa, serial bulling, quella diretta a tutti indistintamente i colleghi di lavoro, e gang bulling quella praticata in gruppo). 11 I casi di mobbing sono numerosi in Inghilterra e, a seguire, in Svezia, Francia, Irlanda, Germania, Spagna e Belgio. 12 Il mobbing sessuale colpisce infatti per lo più le donne, ma nulla vieta che siano queste ultime a sfruttare la propria posizione gerarchica verso il sesso maschile. Ovviamente, la scarsa tendenza degli uomini alla denuncia impedisce una giusta analisi della cd. “cifra nera” del fenomeno. 13 Cfr. EGE, Il Mobbing in Italia, cit. 14 Si parla a questo proposito di mobbing strategico, attuato cioè proprio per l’eliminazione del personale in esubero. 15 Secondo EGE, Mobbing Conoscerlo per vincerlo, cit. “nella letteratura in tema di mobbing vengono riscontrate nell’indole scrupolosa, sensibile ai riconoscimenti e alle critiche e con elevato senso del dovere le caratteristiche caratteriali che agevolano il ruolo di vittima o mobbizzato”. L’autore elenca poi 18 possibili categorie a rischio: il distratto, il prigioniero, il paranoico, il severo, il presuntuoso, il passivo e dipendente, il buontempone, l’ipocondriaco, il vero collega, l’ambizioso, il sicuro di sé, il camerata, il servile, il sofferente, il capro espiatorio, il pauroso, il permaloso e l’introverso. 16 Quanto alla personalità del mobber, lo studioso Ege ha elaborato 14 diverse figure di riferimento: l’“istigatore”, ossia colui che è sempre alla ricerca di nuove cattiverie e maldicenze per colpire gli altri; il “casuale”, che diventa mobber per conflitti occasionalmente nati in azienda; il “conformista”, che non prende direttamente parte al conflitto attaccando la vittima, ma si limita ad osservare come spettatore inerte; il “collerico”, che non riesce a contenere la propria rabbia e la sfoga con terzi; il “megalomane”, che ha una visione distorta di se stesso da cui deriva il complesso di superiorità sui colleghi; il “frustrato”, che insoddisfatto della propria vita, scarica il suo malessere sugli altri, analogamente al collerico; il “sadico”, che prova piacere nel di- Saggi struggere i colleghi; il “criticone”, che crea un clima di insoddisfazione e di tensione nel gruppo; il “leccapiedi”, ossia il carrierista, tirannico con i subalterni ed ossequioso con i superiori; il “pusillanime”, che, pur non esponendosi direttamente, agevola il mobber e ne condivide gli intenti; il “tiranno” che sfrutta la propria posizione contro gli altri; il “terrorizzato”, che, temendo la concorrenza, si oppone con atteggiamenti mobbizzanti di difesa; l’“invidioso”, che reagisce ai successi altrui con cattiveria; e il “carrierista”, che cerca di farsi una posizione con tutti i mezzi possibili, anche se illeciti e dannosi. T. Field, invece, elenca quattro tipologie di tratti di personalità psicopatologicamente disturbate del possibile mobber: disturbo di personalità antisociale (ca- ratterizzato da mancata accettazione delle norme sociali, disonestà, impulsività, mancanza di empatia per gli altri, irresponsabilità e assenza di rimorso); personalità paranoica (connotata da sospetti infondati sull’onestà delle intenzioni altrui, riluttanza a confidarsi, diffidenza verso le persone vicine, travisamento della realtà e mancanza di perdono per dubbie offese ricevute); disturbo narcisistico di personalità (che si estrinseca in sentimenti di superiorità rispetto agli altri, desiderio costante di ammirazione, scarsa empatia, fantasie sconfinate di successo e esagerazione delle proprie qualità) e disturbo borderline (che si manifesta con relazioni instabili, sensazione di vuoto, senso di abbandono, incapacità di controllare la collera, comportamenti autolesionisti e 18 mutamenti d’umore costanti). 17 Si caratterizza per la presenza di sintomi depressivi al primo stadio, come disturbi dell’ansia, difetti di rendimento o alterazione degli ordinari rapporti sociali. 18 Caratterizzato da disturbi dissociativi di varia natura, come distacco, senso soggettivo di torpore, assenza di reattività emozionale, depersonalizzazione, derealizzazione, riduzione della consapevolezza dell’ambiente e amnesia dissociativa. 19 Disturbo cronico particolarmente grave, in genere connesso a eventi traumatici abnormi, che necessità di una obbligatoria terapia psicologica, unita alla somministrazione di aiuti farmacologici. 20 Cfr. EGE, I numeri del mobbing, cit. Temi Romana