1 2017 Armando Ruinelli e l`architettura della Val Bregaglia

1 2017
Rivista svizzera di architettura, ingegneria e urbanistica
Schweizerische Zeitschrift für Architektur, Ingenieurwesen und Stadtplanung
1 2017
Armando Ruinelli e
l’architettura della Val Bregaglia
Armando Ruinelli
und die Architektur im Bergell
T E S T I T E X T E | Marcello Abbiati | Matthias Alder, Silvana Clavuot
e Alessandro Nunzi | Alberto Caruso | Nott Caviezel | Diego Giovanoli
P R O G E T T I P R O J E K T E | Armando Ruinelli
«SIA-Service» festeggia 10 anni
n. 1 febbraio 2017
Con TEC21, TRACÉS, Archi
e la piattaforma comune
www.espazium.ch
creiamo uno spazio di
riflessione sulla cultura
della costruzione.
2 ACC ADEMIA DI ARCHITE T TUR A A AM
a cura di Mercedes Daguerre
5 SCUOL A UNIVERSITARIA PROFES SIONALE SUPSI
a cura di Manuel Lüscher
8 INTERNI E DESIGN a cura di Gabriele Neri
9 DIARIO DELL’ARCHITE T TO a cura di Paolo Fumagalli
Armando Ruinelli e
l’architettura della Val Bregaglia
Armando Ruinelli und die Architektur im Bergell
a cura di Debora Bonanomi e Laura Ceriolo
Dai progettisti per i progettisti!
Spazio interdisciplinare,
interculturale, specialistico,
indipendente e critico.
Nel prossimo numero:
Progettare in sezione
Dello stesso editore:
Tracés n.03
Nant de Drance #2
espazium.ch/traces
Tec21 n.5-6
WerkBundStadt II –
Schweizer Beiträge
espazium.ch/tec21
11 EDITORIALE ARCHITE T TUR A IN VAL BREG AGLIA
Alberto Caruso
13 «YOU MUST ABSOLUTELY BUILD A HOUSE
IN THE BREGAGLIA»
Marcello Abbiati
17 L’ARCHITE T TUR A STORICA IN BREGAGLIA
Diego Giovanoli
22 L A FUNIVIA DELL’ALBIGNA
Matthias Alder, Silvana Clavuot e Alessandro Nunzi
30 ARMANDO RUINELLI, ARCHITE T TO DELL A VALLE
Alberto Caruso
34 COSTANZ A E COERENZ A
Nott Caviezel
36 CASA UNIFAMILIARE, CASTASEGNA
Armando Ruinelli
40 CIMITERO SAN LORENZO, SOGLIO
Armando Ruinelli
42 ATELIER DI MIRIAM CAHN, STAMPA
Armando Ruinelli
46 RISTRUT TUR A ZIONE CASA 63, SOGLIO
Armando Ruinelli
50 TR ASFORMA ZIONE E RICOSTRUZIONE DI DUE RUSTICI, ISOL A
Armando Ruinelli
54 RISTRUT TUR A ZIONE DI UN’ABITA ZIONE, SIL S MARIA
Armando Ruinelli
56 APPAR ATI
Laura Ceriolo
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64
National Holocaust Memorial and Learning Centre
Resi noti i nomi dei finalisti selezionati per il concorso.
espazium.ch/archi
COMUNIC ATI SIA a cura di Frank Peter Jäger
COMUNIC ATI OTIA a cura di Daniele Graber
LIBRI a cura di Mercedes Daguerre
CONCORSI TI a cura di Teresa Volponi
In copertina:
Armando Ruinelli, Atelier di Miriam Cahn, Stampa. Foto Ralph Feiner
2
ACC ADEMIA DI ARCHITE T T UR A A AM
Design
in Italia:
1945-2016
Gabriele Neri
Docente del corso «Design in Italia:
1945-2016»
L’importanza dello studio della storia
del design all’Accademia di architettura
di Mendrisio è data innanzitutto da due
vicinanze. La prima è disciplinare: il design, per come siamo abituati a intendere questa parola nella lingua italiana –
in realtà il concetto è molto ampio e
complesso – ha da sempre specifiche
connessioni con l’architettura e gli architetti. Se ciò appare evidente soprattutto nel campo del furniture design,
cioè dell’arredo, il discorso si estende in
realtà a molte altre categorie di prodotti
o ambiti di ricerca.
Non è un caso che siano stati proprio
gli architetti, storicamente, a dare grandi impulsi a settori come il design grafico, il design del prodotto, dell’illuminazione ecc. Si pensi al lavoro di Peter
Behrens per la AEG, esempio fondamentale per lo sviluppo del design del
prodotto e della corporate image; ai televisori e alle radio progettate da Marco
Zanuso per la Brionvega; alle lampade
dei fratelli Castiglioni ecc. La lista sarebbe infinita. E poi ci sono ambiti proget-
1
tuali in cui spesso non è possibile fare distinzioni nette: penso all’architettura
degli interni, alla scenografia, all’allestimento di mostre ecc. Nella cultura progettuale italiana queste contaminazioni
sono particolarmente forti. Il design rappresenta infatti una parte fondamentale
nell’opera di maestri come Gio Ponti,
Franco Albini, Vico Magistretti, Carlo
Mollino e tanti altri: una dimensione
che non può essere ridotta ad accessorio della loro produzione architettonica,
ma che ha funzionato da punto di incon-
tro tra scale diverse, verso un’organicità
del progetto che non divide per compartimenti stagni il lavoro dell’architetto.
Gli aspiranti architetti dovrebbero
quindi imparare a guardare anche un
po’ al di fuori dei loro più ridotti confini
disciplinari – come del resto già imparano a fare da molti altri docenti in Accademia – in modo da essere coscienti e
consapevoli delle connessioni progettuali, culturali e materiali di questi mondi. Credo inoltre che questa permeabilità tra i vari ambiti del design (letto come
2 3
SEMPLICEMENTE PIU
VICINO
1 Pubblicità della poltrona Sgarsul
progettata da Gae Aulenti,
Poltronova, 1962 circa.
2–3 Manifesti di Giovanni Pintori per la
Olivetti.
«progettazione») abbia un significato ancora maggiore all’interno di una scuola che si propone di coltivare la figura
dell’architetto «generalista», cioè di «operatore totale» capace di porre domande
ancor prima di dare risposte.
La seconda «vicinanza», per l’Accademia, è di carattere geografico: Mendrisio si trova infatti a pochi chilometri da
una delle aree più famose internazionalmente per il design: quella rete eccezionale di competenze, istituzioni, musei,
laboratori, industrie, ecc. che tra Milano
e la Brianza dai primi decenni del secolo
scorso – ma con un’accelerazione cruciale nel secondo dopoguerra – si è evoluta fino a diventare un punto di riferimento globale. Si tratta di qualcosa che
non può essere ignorato dai futuri architetti, e credo che ciò rappresenti un’opportunità anche per i nostri studenti che
vengono da molto lontano e che non
hanno un’esatta idea del contesto allargato nel quale si trovano. Giusto per
citare qualche luogo: a Milano c’è il Palazzo dell’Arte, palcoscenico e backstage di tante manifestazioni culturali legate alla promozione e all’esposizione
del disegno industriale (e non solo); c’è
la Fondazione-Studio-Museo Vico Magistretti, la Fondazione Franco Albini e la
Fondazione Achille Castiglioni, per limitarsi a qualche nome. Spostandosi di poco c’è il Museo della Kartell a Noviglio,
tempio della plastica; il Museo Molteni
di Giussano; il Museo Storico dell’Alfa
Romeo di Arese… e la lista continua.
A partire da queste premesse, attraverso un ciclo di lezioni – a cui si aggiungono delle visite guidate – il mio corso
cerca di fornire delle basi storiche e teoriche per inquadrare le vicende del design
italiano dal 1945 ai nostri giorni come risultato di una peculiare sommatoria di
Davide Capobianco
Tecnico di servizio
La manutenzione degli
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4
ACC ADEMIA DI ARCHITE T T UR A A AM
4 Mobilificio Angelo
Molteni, Giussano, 1947
5 Marco Zanuso e Richard
Sapper, televisore Algol 11,
Brionvega 1964. Foto di
Serge Libiszewski, Milano
4
condizioni. Per capire la traiettoria che
ha portato dai primi esperimenti artigianali al «sistema design» che si può vedere oggi, ad esempio, al Salone del Mobile
di Milano, con le sue folle oceaniche di
visitatori e i grandi investimenti finanziari, bisogna infatti analizzare precise
questioni economiche, politiche, didattiche, industriali, tecniche, culturali e ovviamente estetiche, che si riflettono nella
storia di progettisti, imprenditori, riviste,
musei, aziende, prodotti. Il mio obiettivo
è dare agli studenti una maggiore consapevolezza storico-culturale rispetto a
fenomeni progettuali molto variegati ma
anche assimilati da dinamiche comuni,
in modo che in futuro – ma già nell’immediato – possano ricavare importanti
stimoli da un mondo che talvolta viene
percepito soltanto per le sue sfumature
più superficiali e abbaglianti.
5
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Giacinta Jean
Responsabile del corso di laurea
in conservazione e restauro
Paola Iazurlo
Docente master in conservazione
e restauro
Da ottobre 2016 la SUPSI ha intrapreso il restauro del dipinto murale cinquecentesco raffigurante La pesca miracolosa collocato all’interno della chiesa di
Santa Maria del Sasso a Morcote, con gli
allievi del Master in Conservazione e Restauro. L’intervento, eseguito in forma di
cantiere didattico, costituisce un significativo esempio di collaborazione interdisciplinare tra professionisti di diversi settori (esperti scientifici, storici dell’arte,
architetti, conservatori-restauratori), nonché di quella necessaria gradualità di approccio resa possibile attraverso una programmazione lungimirante del lavoro.
La chiesa di Santa Maria del Sasso, in
splendida posizione panoramica su un
promontorio a picco sul lago Ceresio, costituisce una delle più preziose testimonianze di epoca rinascimentale in Ticino. Di origine medioevale, l’edificio è
stato più volte modificato nel corso dei
secoli e reca tracce di fasi costruttive diverse: una storia articolata e complessa
testimoniata anche dalla pluralità di stili delle pitture murali presenti al suo interno. La cappella della Pesca miracolosa si
colloca nel pieno della fase rinascimentale, intorno al 1520: recenti studi attribuiscono i dipinti all’artista Bartolomeo da
Ponte Tresa, attivo in vari cicli pittorici
del territorio luganese tra cui la celebre
Cappella Camuzio in Santa Maria degli
Angeli a Lugano. A Santa Maria del Sasso il dipinto principale della cappella ricopre una notevole importanza non solo
dal punto di vista artistico ma anche
storico, in virtù del tema raffigurato, allusivo al godimento di quell’honor piscium
concesso dai duchi di Milano agli abitanti di Morcote dal XV secolo, che consentiva loro piena autonomia di pesca
nel lago e l’esenzione dei dazi all’interno
del ducato.
L’interesse della SUPSI per la chiesa
di Santa Maria del Sasso data al 2013, su
sollecitazione del Comune di Morcote, a
cui spetta la pertinenza dell’edificio, e
dell’Ufficio dei beni culturali di Bellinzona con il quale la Scuola mantiene da
sempre un rapporto di stretta collabora-
5
zione. A partire da questo momento sono state eseguite alcune tesi e una serie
di cantieri di studio, che hanno visto la
partecipazione degli allievi del corso Bachelor in Conservazione sotto la guida
del docente Marco Somaini. I cantieri e
le tesi sono stati focalizzati di volta in
volta sui vari cicli pittorici presenti all’interno della chiesa e hanno permesso di
raccogliere una serie di informazioni
sulla tecnica di esecuzione delle pitture
e sullo stato di conservazione da queste
presentato. Gli studi diretti sulle superfici, qui come altrove, sono stati preceduti
e accompagnati dalla raccolta sistematica delle fonti bibliografiche e dalla lettura dei documenti d’archivio, che ha
consentito di chiarire l’importanza artistica e soprattutto la storia conservativa
dell’edificio e dei dipinti in esso presenti. Nel lavoro di ricerca storico-artistica è
risultato fondamentale il supporto offerto dall’Ufficio dei beni culturali, nella
persona di Lara Calderari, e dagli storici
dell’arte che hanno approfondito lo studio di questi beni, come Silvia Valle Parri. Molte notizie o fotografie storiche meno note sono state inoltre reperite
nell’archivio della Commissione federale dei monumenti storici presso la Biblioteca nazionale di Berna, dove sono
raccolti molti documenti sui beni di
importanza nazionale. Queste informazioni sono state quindi comparate ai dati ottenuti dall’osservazione ravvicinata
sul posto nonché alle indagini scientifiche (di tipo non invasivo o su microprelievo di campione), effettuate allo scopo
di chiarire alcuni aspetti particolari della tecnica pittorica, dei materiali costitutivi e soprattutto dei problemi di degrado riscontrati. Infine, una campagna di
monitoraggio ambientale, eseguita da
Andreas Küng dell’Istituto Materiali e
Costruzioni della SUPSI ed estesa per ol-
tre un anno, ha rilevato le condizioni termo-igrometriche dell’edificio dimostrandone la relativa stabilità, in termini di
inerzia termica, al variare dei parametri
ambientali esterni.
Questo complesso lavoro di ricerca
preliminare ha prodotto un quadro complessivo di conoscenze quanto mai esteso e articolato, grazie al quale è stato possibile mettere a punto, in modo mirato,
l’attuale progetto di restauro del dipinto
raffigurante La pesca miracolosa, uno dei
più rappresentativi all’interno della chiesa ma tra i più compromessi a causa di un
passato prolungato danneggiamento
delle coperture nella parte soprastante.
L’intervento di restauro ha permesso
di evidenziare in primo luogo la straordinaria qualità della tecnica artistica del
dipinto, maturata nell’ambito del rinascimento lombardo, e basata sulla piena conoscenza da parte dell’autore della
tecnica dell’affresco, un procedimento
difficile che imponeva all’artista una
grande abilità nel dipingere velocemente, ovvero prima della completa carbonatazione della calce, su porzioni di intonaco predefinite. I dettagli delle figure
resi in punta di pennello, accanto a stesure veloci estremamente sintetiche nel
paesaggio, ci presentano un artista molto consapevole della tecnica dell’affresco e padrone dei propri mezzi espressivi. Ciò ha indubbiamente favorito la
conservazione delle pitture fino ad oggi,
nonostante i gravi problemi subiti nel
corso del tempo. Tra questi, come accennato, va ricordato in primo luogo il
dissesto delle coperture nella parte immediatamente soprastante la lunetta,
ben documentato da antiche foto d’archivio, che ha comportato il percolamento di acque meteoriche sulle pitture, l’affioramento di sali solubili e la
parziale perdita della pellicola pittorica
SCUOL A UNIVERSITARIA PROF E S SIONALE SUPSI
Il restauro
come approccio
interdisciplinare
1
6
SCUOL A UNIVERSITARIA PROF E S SIONALE SUPSI
2
3
4
nella zona centrale più esposta al danno. A questa situazione di degrado si era
cercato di porre rimedio già in passato
con interventi finalizzati al recupero della cromia mediante l’estesa applicazione di ravvivanti di natura organica, che
al momento del nostro intervento apparivano ormai profondamente imbruniti.
La pulitura è stata quindi una fase
estremamente delicata e articolata, in
quanto finalizzata alla rimozione non
solo dello sporco, accumulato sulla su1 Gli studenti in cantiere durante la pulitura.
Fonte SUPSI
2 Il dipinto con alcuni tasselli di sporco. Fonte SUPSI
3 Particolare dei segni di percolamento delle
acque meteoriche sul dipinto. Fonte SUPSI
4 Particolare del ravvivante applicato
in precedenti interventi. Fonte SUPSI
5 Un momento della fase di pulitura. Fonte SUPSI
5
Piastrelle
Mosaici
Pietre naturali
Arredo bagno
dal 1908 ... il valore del dettaglio
bazzi.ch
7
Legge sulla protezione dei beni culturali
del 13 maggio 1997, cap. 2 art. 19).
All’interno di un simile piano di lavoro pluriennale, il restauro si pone quindi
come momento conclusivo di un complesso iter progettuale interdisciplinare,
in cui si confrontano specialisti di diversa formazione. Dallo storico dell’arte,
che permette di impostare una corretta
ricerca storico artistica anche attraverso il reperimento e il corretto uso delle
fonti o il confronto tra opere analoghe,
all’esperto scientifico (chimico, petrografo, diagnosta), che aiuta a chiarire, attraverso indagini mirate, i materiali costitutivi dell’opera1 ed eventuali fenomeni di
degrado ipotizzati.2
All’interno del team, il restauratore
raccoglie le informazioni preliminari,
avanza le ipotesi sui problemi di degrado presenti sull’opera, verificandone la
validità sulla base delle analisi scientifiche opportunamente indirizzate in un
continuo proficuo confronto con il chimico o l’esperto scientifico, imposta quindi
il progetto conservativo dell’opera sulla
base dei dati raccolti, verificandone costantemente l’adeguatezza in corso d’opera. Il restauratore pertanto non è solo
colui che puramente esegue l’intervento ma è soprattutto colui che lo progetta
alla luce delle necessità individuate,
stabilendo priorità, impostando le fasi
di lavoro, scegliendo mezzi e modi operativi, in stretta collaborazione con i responsabili dell’Ufficio dei beni culturali.
Qualora l’intervento di restauro sia concepito come parte di un più ampio progetto
architettonico e strutturale, diviene fondamentale il raccordo con l’architetto,
che è chiamato a coordinare su ampia
scala l’insieme dei diversi interventi, valutando assieme obiettivi e tempi, l’organizzazione e la successione di lavorazioni distinte, in funzione della qualità del
risultato. Il cantiere rispecchia in questo modo il principio di interdisciplinarità già da tempo universalmente riconosciuto come fondamentale requisito della
disciplina del restauro, e ben ribadito
dall’art. 3.6 dei Principi per la tutela dei
monumenti storici in Svizzera redatti
dalla Commissione Federale dei Monumenti Storici del 2007.
Note
1. Come l’indagine XRF, eseguita a più riprese da
Giovanni Cavallo e Francesca Piqué, SUPSI-IMC,
che ha permesso di caratterizzare la tavolozza
dell’artista, orientando la successiva operazione
di pulitura.
2. Fondamentale in tal senso è stata l’indagine dei
sali solubili presenti sul dipinto, eseguita
da Andreas Küng, SUPSI- IMC, che ha permesso
di accertare l’antica origine del fenomeno.
La nuova forma.
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SCUOL A UNIVERSITARIA PROF E S SIONALE SUPSI
perficie del dipinto nel corso dei secoli,
ma anche dei più recenti prodotti di restauro ormai alterati (e costituiti da ravvivanti organici, estese ridipinture e
stuccature grossolane).
Al momento attuale il restauro è ancora in corso: una sua conclusione è prevista per la fine di maggio. L’obiettivo finale sarà non solo quello di stabilizzare
le condizioni dell’opera neutralizzando i
fattori di rischio (come i microsollevamenti del colore imputabili alla presenza dei sali) , ma anche il recupero della
sua leggibilità, che risultava gravemente compromessa dalle passate vicende
conservative: in quest’ottica la fase di
pulitura e quella successiva di reintegrazione delle microcadute del colore
(da compiersi con prodotti reversibili
nel tempo e il più possibile stabili, secondo i criteri di riconoscibilità delle lacune enunciati dalla teoria di restauro
di Cesare Brandi) consentirà di equilibrare quelle gravi disomogeneità che
caratterizzavano il dipinto determinandone forti squilibri cromatici. Il restauro
diviene in questo modo un mezzo per
garantire non solo la corretta conservazione dell’opera ma anche la sua piena
valorizzazione, secondo un termine ormai diffuso nelle attuali politiche europee dei beni culturali (e già espresso nella
8
INTERNI E DE SIGN
Hello Robot!
Design e robotica
al Vitra Museum
Gabriele Neri
Il tema del rapporto tra uomo e macchina è ormai vecchio di secoli ma di
continua attualità. Nelle sue infinite declinazioni, tale liaison stimola con particolare forza il mondo del design, chiamato a dare una forma – nel senso più
allargato del termine – a questo incontro, mediando tra ingegneria ed estetica, tra invisibili algoritmi e realtà quotidiana, tra prestazioni ed emozioni.
Una mostra al Vitra Design Museum
di Weil am Rhein (fino al 14 maggio) affronta questo complesso argomento e
più in particolare il rapporto tra design e
robotica, disciplina che ci avvolge con le
sue svariate e ormai onnipresenti ramificazioni. La robotica trascende infatti
l’idea stereotipata del concetto di robot,
come ci spiega Amelie Klein, curatrice
della mostra: «Di solito, quando si parla
di robot la gente pensa a singole unità
con le sembianze di un uomo, con due
gambe, una faccia, occhi e orecchie. Invece quando parliamo di robot siamo
oggi di fronte a qualcosa di molto più
ampio». E quindi come possiamo riconoscere un robot? «Non c’è una sola definizione, ma – in maniera molto generale –
possiamo dire che un robot è qualsiasi
cosa o qualsiasi luogo dotato di sensori
(intesi come strumenti per misurare dei
dati), intelligenza (quindi un software
per interpretare i dati) e “attuatori”, cioè
strumenti che possano dare una risposta ai dati ricevuti con un outcome, un risultato: luci, suoni, movimento, o altro.
Se lo pensi in questi termini, l’immagine
classica del robot sparisce, perché ogni
cosa può essere un robot, se ha i requisiti appena descritti. Anche una città, o
l’intero ambiente in cui viviamo».
La mostra ci accompagna in maniera
graduale alla scoperta di questa varietà,
attraverso un percorso che va dai più comuni stereotipi fino agli orizzonti futuri.
Nella prima sezione si incontra infatti il
mondo novecentesco della fantascienza
e della pop culture, molto affascinante
ma spesso lontano dalla realtà: oltre ai
tanti robot giocattoli degli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta, in mostra c’è anche R2-D2, il celebre droide di Star Wars.
La seconda sezione guarda invece al
mondo dell’industria, in cui l’effetto della robotica è stato dirompente non solo
dal punto di vista pratico: l’impiego dei
robot nel mondo del lavoro reca infatti
con sé lo spettro della sostituzione e dunque della minaccia, evocando scena-
1
2
ri molto complessi. Emblematica, dal
punto di vista simbolico, è l’installazione Robotlab, in cui si vede un robot che
compone manifesti mischiando insieme vari termini e concetti presenti nella
propria memoria. Ogni manifesto è diverso dall’altro, contraddicendo la natura industriale del processo e lasciando a
ogni visitatore l’interpretazione di un lavoro che da meccanico diventa qualcos’altro: creativo?
Con la terza sezione si entra finalmente nel vivo della questione, con una
carrellata di casi studio che dimostrano
le applicazioni della robotica nella vita
di tutti i giorni. Uno dei più interessanti
è il documentario Alice Cares, di Sander
Burger, che fa vedere un esperimento
scientifico fatto con tre signore anziane
bisognose di attenzione e cure, alle prese con una bambina-robot capace di
memorizzare, parlare, muoversi ecc.
Guardando l’interazione tra le signore e
questa specie di bambola vengono evocate molte questioni etiche e sociali in
cui anche il design fa la sua parte. Ed infine, nella quarta sezione, si affronta un
grado ulteriore di dialogo tra uomo e robot: quello che avviene nell’ambiente costruito – con edifici o città capaci di «imparare» dall’esperienza acquisita o dalle
informazioni immagazzinate in tempo
reale – e ancor più con l’integrazione della
robotica nei nostri corpi biologici tramite
protesi e sensori sempre più sviluppati.
Che ruolo ha il design in tutto questo? Un ruolo più importante di quello
che sembra a prima vista: quello di fondamentale interprete e mediatore tra due
mondi che non sono mai stati così intrecciati.
1 Sander Burger, Alice Cares, 2015,
Fotogramma. Fonte KeyDocs/Alice Cares.
2 Yves Gellie, Human Version 2.07 Nexi,
2009. Fonte Yves Gellie, Galerie du jour agnès b,
Galerie Baudoin Lebon
Paolo Fumagalli
Aggregare un Cantone: il Ticino
Il Cantone Ticino si è lanciato nell’aggregare città, borghi e villaggi. A oggi si
è passati – tra il 1980 e il 2016 – da un Ticino composto di 247 comuni a un Ticino
di 130 comuni. E nuove aggregazioni sono auspicate – se non imposte – per ridurre ulteriormente il numero dei comuni.
Benissimo, si direbbe. Con queste fusioni si semplificano le strutture politiche e funzionali, dai Municipi ai Consigli
comunali, dalla contabilità alle pratiche
amministrative, e poi l’organizzazione
dei servizi essenziali, la raccolta dei rifiuti, la manutenzione di strade e parchi, le
scuole, l’assistenza agli anziani, e così
via. Un’unica gestione centrale per provvedere a questi compiti, fondamentalmente di carattere politico–gestionale,
amministrativo e finanziario.
È con questi concetti che in diverse
fasi Lugano ha aggregato molti comuni
che la circondano: dal 1972 al 2013 la città ha fagocitato 21 comuni, e si estende
dall’alto della Valcolla fin su al monte
San Salvatore, fino a Carona. Quella che
è chiamata «nuova Lugano» conta ora
circa 65’000 abitanti. Analogo il processo di aggregazione dell’Alto Mendrisiotto: tra il 2004 e il 2013 il comune di Mendrisio ha aggregato 9 comuni, e la «nuova
Mendrisio» conta ora oltre 15’000 abitanti. E poi le aggregazioni di alcune valli
del Sopraceneri, come la valle di Blenio
rimasta con due soli comuni, Acquarossa e Blenio. E la formazione del comune
di Serravalle, mentre un analogo processo avviene nelle Centovalli e in Vallemaggia. Da ultimo la «nuova città di
Bellinzona», nata dall’aggregazione di
Bellinzona, Camorino, Claro, Giubiasco,
Gnosca, Gorduno, Gudo, Moleno, Monte
Carasso, Pianezzo, Preonzo, Sant’Antonio, Sementina.
Io aggrego una valle: come?
Ovvio, se io aggrego tra loro i comuni
di una valle, ognuno con pochi abitanti,
per prima cosa semplifico la gestione
politico-amministrativa, quella delle finanze e quella funzionale. Affinché non
sia ogni singolo comune ad avere le sue
strutture – con le difficoltà nel trovare le
persone disponibili per Municipio e
Consiglio comunale – e a provvedere ai
propri servizi essenziali, ma che ci sia
un’unica coordinazione centrale per ge-
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stire queste incombenze, fondamentalmente di carattere amministrativo e di
utilità pubblica.
Benone. Ma. Ma con la fusione dei villaggi di una valle, creata con questi soli
concetti, ho la pretesa di dire che ho formato un «nuovo comune»? Ma che cavolo di comune ne salta fuori? Forse un unico grande villaggio esteso dalla cima
dei monti al fondo della valle, un insieme sfilacciato senza logica che mai troverà coerenza urbana? O forse questo
«nuovo comune» è in realtà uno solo dei
villaggi – quello più grande – con una
serie di «villaggi satelliti», dispersi un
po’ verso i monti, un po’ verso valle? E in
questo caso, quale il ruolo del «villaggio
più grande» e rispettivamente quali le relazioni e la considerazione che il «villaggio satellite» avrà nel «nuovo comune»?
Mah, vai a capirlo.
I criteri che fanno da guida nella promozione dell’aggregazione sono perfetti
dal punto di vista amministrativo, ma
nulla dicono di altre questioni – altrettanto importanti, o meglio detto fondamentali – di carattere identitario, di carattere sociale, di carattere urbano e
territoriale e paesaggistico. Si tratta insomma di criteri legati alla qualità, di
un ordine superiore rispetto a quelli
puramente tecnici, amministrativi. Fondamentali. Ma ignorati.
Tu aggreghi una città: come?
Se si unisce una città con le cittadine
e i borghi e i villaggi che la attorniano, il
tema è ben diverso da quello precedente.
Non si tratta infatti di aggregare tra loro
dei piccoli isolati comuni di una valle alpina, ma di unire un insieme di entità urbane già contigue, dove ognuna di queste
è cresciuta e si è configurata per conto
suo, indifferente a quella vicina, finché la
sua sfilacciata periferia è andata a sbattere contro la periferia del comune contiguo.
La faccenda è quindi ben più complessa. In realtà sono stati fusi tra loro
non dei comuni, ma degli agglomerati.
vale a dire dei comuni già impastati tra
loro, con l’obiettivo dichiarato di voler
formare una «nuova città», con il comune più popoloso a costituirne il polo centrale, circondato dagli ex borghi e cittadine e villaggi divenuti dei «quartieri».
Un bel grattacapo.
Certo, si è semplificata l’amministrazione, c’è un solo sindaco, un solo municipio, un solo consiglio comunale, un solo
ufficio abitanti e un solo ufficio tecnico.
Ma si è voluto innescare un processo limitato ai soli criteri di carattere amministrativo, ignorando invece – come nelle
valli – gli altri criteri, quelli indispensabili per creare una «vera» città, inerenti la
qualità, vale a dire relativi al modello di
città che si vuole creare, alle sue caratteristiche e sue proprietà e specificità.
Si tratta di questioni essenziali, è la
qualità che avrebbe dovuto essere di
guida, primaria, rispetto alle questioni
politico-amministrative. Si è proceduto
invece solo con quest’ultime.
La scorciatoia più semplice, insomma.
DIARIO DELL’ARCHITE T TO
Io aggrego,
tu aggreghi, noi
aggreghiamo.
E il progetto?
Blenio
Acquarossa
Serravalle
1
DIARIO DELL’ARCHITE T TO 10
che sia, luminare tuttofare. Ma occorre
creare un gruppo di lavoro composto da
persone con competenze specifiche e
differenti, certamente guidato da un architetto – per il suo ruolo generalista e le
sue pertinenze specifiche – affiancato
da un politico a rappresentare gli interessi e le attese dei comuni e della popolazione, e poi da un architetto del paesaggio, da un pianificatore, da un ingegnere,
un economista, uno storico. Solo così si
potrà affrontare e saldare tra loro le competenze di ognuno per raggiungere un risultato ottimale. Con un ulteriore tassello, indispensabile, anche se difficile da
affrontare: coinvolgere la popolazione.
Ma prima di toccare la matita occorre – come detto – essere in chiaro su una
cosa: che città si vuol creare. Si vuole
creare una città omogenea in ogni sua
parte urbana, con una coerenza estesa
su tutta la sua superficie, oppure creare
una città composta di quartieri, ognuno
con una propria identità? E come conciliare, nel primo caso, le individualità esistenti, sociali o urbane che siano? E come dare senso e logica alla «nuova città»,
se è fatta di tanti quartieri, ognuno con
una propria individualità?
Lugano
Bellinzona
1
2
3
4
La valle di Belnio e i comuni aggregati
L’area di Bellinzona
L’area di Lugano
L’area di Mendrisio
In nero i comuni aggregati,
in verde i comuni che hanno
rinunciato.
Mendrisio
2 3
4
Noi abbiamo aggregato:
ma il progetto della città non c’è
Altro che unica città, altro che «grande
Lugano» o «grande Mendrisio» o «grande
Bellinzona».
Non lo si è fatto prima come si doveva, occorre farlo adesso, cosa ben più
difficile: fare un progetto, il progetto della «nuova città». Basato su criteri che siano chiari, fondati su quelle scelte che sono fondamentali per sapere quale città
si vuole creare. Occorre definire tutto
ciò che è pertinente all’abitante, dei suoi
spazi di vita, delle sue abitudini, dei suoi
luoghi d’incontro e di socializzazione.
Definire tutto ciò che è pertinente alle
relazioni già esistenti tra di ex comuni
oggi quartieri, e rispettivamente quali
relazioni si vogliono modificare o creare
verso il centro – o meglio: i centri – della
«nuova città». E poi specificare il valore
dell’identità di ogni quartiere dentro la
«nuova città», e come s’intende procedere per non distruggerla, l’identità. E definire, anzi determinare, quali garanzie
avrà il nuovo quartiere, come potrà farsi
valere, difendere i suoi interessi e specificità, quale sarà – indipendentemente
dalla sua grandezza e popolazione – il
suo ruolo e la sua influenza decisionale
dentro la «nuova città».
E poi: il progetto della «nuova città»
dovrà analizzare e determinare la geografia e il paesaggio della «nuova città»,
tenere conto delle forti disparità delle diverse entità urbane, degli elementi naturali e antropici preminenti e quelli di
valore storico o di memoria, nonché prevedere il possibile sviluppo edificatorio.
E ancora: il progetto dovrà essere attento a tutte le strutture inerenti il lavoro e le
attività economiche. Senza dimenticare
ciò che finora è stato ignorato: gli spazi
negletti che esistono tra gli odierni
quartieri, quegli spazi residui che con
urgenza devono essere a loro volta progettati. Perché? Perché con la creazione
della «nuova città» sono proprio queste
aree residue ad essere importanti, perché tolti i limiti politici dei singoli comuni, è proprio il verde in senso lato, i prati,
i boschi, i pendii, le aree residue, a costituire in primo luogo il «legante» tra quartiere e quartiere, nonché lo strumento
per creare identità e qualità.
Non solo l’architetto,
non solo l’urbanista
È indispensabile fare il progetto della
«nuova città». Ma non può essere una sola persona a decidere tutto, a tenere in
mano la matita – architetto o urbanista
La guida a un architetto
esterno al Ticino
E infine, per affrontare questo compito complesso, mi chiedo se chi guida il
gruppo di lavoro non debba essere un
architetto esterno al Cantone, non un ticinese. Qualcuno libero da ogni vincolo,
né con le amministrazioni né con gli abitanti, in grado di valutare il tutto senza
condizionamenti emotivi di chi ci abita
dentro, senza timori reverenziali e condizionamenti di sorta, qualcuno esterno
insomma agli interessi di parte, politici,
economici, urbanistici.
Importante: qualcuno che venga da
Göschenen in su – dalla Svizzera francese o tedesca – che guardi l’eterogeneo
impasto urbano e ne valuti il paesaggio
con occhi nuovi: i nuclei abitati, il territorio, la geografia, i valori storici e architettonici e paesaggistici. E ciò che è irrisolto, indecoroso, le brutture. E che con
tali occhi sappia guidare il politico, l’amministratore, l’architetto del paesaggio,
il pianificatore, l’ingegnere, l’economista, lo storico che compongono il gruppo di lavoro.
Anche se, se sono ben informato, le
cose stanno andando in tutt’altra direzione.
Ahimè.
Le opere recenti
di Armando Ruinelli
Alberto Caruso
Delle tre valli grigionesi di lingua italiana che formano, con il Canton Ticino,
la Svizzera italiana, la Bregaglia è la più attraversata e, contemporaneamente, la meno
conosciuta. Dal punto di vista del paesaggio costruito, così come viene percepito dal
viaggiatore in automobile, la Bregaglia offre due scenari diversi, separati dalla frontiera di Castasegna. A sud della dogana, gli antichi borghi sono anticipati da periferie un
po’ disordinate, casette multicolori e piccoli capannoni prefabbricati, recinzioni e insegne. A nord della dogana, i villaggi di Castasegna, Bondo, Promontogno, Vicosoprano,
Stampa e Casaccia sono compatti, austeri, monocromatici. Appena dopo la dogana di
Castasegna, la stazione di servizio Agip disegnata da Peppo Brivio nel 1963, con i singolari manufatti a fungo, dichiara subito che la frontiera culturale è netta, che qui il territorio viene trattato con una colta cura. E poi c’è Soglio, che si raggiunge da Bondo,
salendo tra i castagni fino a un terrazzo dal quale si gode una estesa vista sulle alte
montagne innevate che dividono la Bregaglia dalla Valtellina e dalla Valmalenco.
Per la sua situazione, lontana dalla strada cantonale, la maggior parte dei viaggiatori che attraversano la Bregaglia per andare in Engadina non conosce l’esistenza del
villaggio medioevale di Soglio.
Negli antichi abitati della Bregaglia non ci sono fabbricati residenziali abbandonati e degradati, né nuove casette sparse – come più spesso si registra nella parte
italiana della valle – perché è diffusa e consolidata la cultura della manutenzione. Le
antiche case dei villaggi, in pietra o rivestite di intonaco di colore bianco e con il tetto
in piode, sono in stato dignitoso, e gli innesti moderni si distinguono per la silenziosa
qualità con cui dialogano con il contesto. L’economia non è vivace ma è solida. Alla
pastorizia, alla colture del castagno e della vite e alle tradizionali attività artigianali si
è aggiunto un turismo di appassionati di camminate e ascensioni in montagna, culturalmente molto diverso da quello che frequenta i costosi impianti sciistici engadinesi.
La Val Bregaglia è una pausa di calma tra le sensazioni di disagio provocate
dal disordine insediativo del paesaggio italiano della Valchiavenna, che occulta al
viaggiatore la dura bellezza delle sue montagne, e le emozioni provocate dallo spettacolo molto celebrato dei grandi laghi e delle cime del Bernina che dominano l’altopiano dell’alta Engadina, che le ripide rampe del Maloja separano dalla Bregaglia.
È una pausa di riflessione, che invita i viaggiatori/osservatori meno frettolosi e più
attenti al territorio a pensieri sui modi alternativi di costruire e vivere la montagna.
L’architettura di Armando Ruinelli è la compiuta espressione del modo di
costruire e vivere la montagna della Bregaglia. Ruinelli è un architetto autodidatta,
la cui profonda cultura traspare in filigrana in ogni dettaglio dei suoi progetti. Abita
e lavora a Soglio, in una condizione singolarmente urbana. La elevata densità degli
edifici del villaggio gli ha fatto apprezzare la forte socialità delle relazioni umane, insieme alla parsimonia dei mezzi costruttivi ed espressivi necessari all’abitare. Una
condizione simile a quella che lega il lavoro di Gion Caminada al villaggio di Vrin, ma
che tuttavia differisce da quella, proprio perché i villaggi della Val Bregaglia non sono
solari come Vrin, formati da abitazioni aperte verso il paesaggio, ma sono vere città in
miniatura che presidiano i percorsi della valle, con le strette strade sempre all’ombra,
che riparano dal vento d’inverno e dal sole d’estate. Ogni lavoro di Ruinelli differisce
dal precedente, perché la sua ricerca avanza continuamente, ma soprattutto perché
ha messo a punto (insieme a Fernando Giovanoli, con il quale è associato dal 2000) un
approccio progettuale finalizzato all’appropriatezza della soluzione di ogni specifico
tema da risolvere. È una qualità che, anche se con un’accezione un po’ diversa, Ruinelli chiama Massstäblichkeit, ovvero misura, senso della scala, rispetto al contesto.
È un approccio che obbliga ad affrontare ogni tema – il cui contesto è sempre diverso
dal precedente – rimettendo in discussione le convinzioni precedentemente accumulate, e ricorrendo ogni volta alle motivazioni fondative del progettare.
In diverse occasioni, rivolgendo la nostra attenzione alle prove architettoniche più capaci di stabilire relazioni significative con il contesto, di offrire un contributo
materiale, costruttivo, all’abitare come fatto sociale, abbiamo denunciato le tendenze
– dominanti sulle riviste importanti e, ancora di più, sui media online – a esibire l’architettura come forma di spettacolo ed espressione di individualismo. Le opere di Armando Ruinelli, che invitiamo i lettori di Archi a visitare, sollecitano invece riflessioni
sulle ragioni per cui ha un senso esercitare questo mestiere, e invitano all’autocritica.
EDITORIALE L’ARCHITE T T UR A DELL A VAL BREG AGLIA 11
Architettura
in Val Bregaglia
«Senza provocare cesure
e senza negare la
contemporaneità, la nostra
architettura è sobria e
modesta, non vuole lasciare
un segno esibito, ma
diventare essa stessa fatto
normale per un determinato
luogo, una traccia per ciò
che sarà costruito dopo».
Armando Ruinelli, 2012
1
EDITORIALE L’ARCHITE T T UR A DELL A VAL BREG AGLIA 12
Architektur im Bergell
Die neuesten Arbeiten von Armando Ruinelli
Alberto Caruso
«Unsere Architektur ist nüchtern und bescheiden,
ohne Einschnitte zu bewirken oder das Zeitgenössische
zu negieren. Sie will kein für sich stehendes Zeichen hinterlassen,
sondern selbst ein “normaler Fakt” für einen bestimmten Ort
werden, eine Spur für das, was danach gebaut werden wird».
Armando Ruinelli, 2012
Unter den drei Graubündner Tälern italienischer Sprache, die gemeinsam mit dem Kanton Tessin die italienische
Schweiz bilden, ist das Bergell das am häufigsten durchquerte und gleichzeitig das am wenigsten bekannte Tal. Im Hinblick auf die bebaute Landschaft, die der Reisende aus dem
Auto erlebt, bietet das Bergell zwei unterschiedliche Szenarien, die durch die Grenze von Castasegna getrennt werden.
Südlich des Zollamtes liegen vor den alten Dörfern ungeordnete Vorstadtgebiete, bunte Häuschen und kleine Fertigbauhallen, Zäune und Werbeschilder. Nördlich des Zollamtes
bieten die Dörfer Castasegna, Bondo, Promontogno, Vicosoprano, Stampa und Casaccia einen kompakten, strengen
und monochromatischen Anblick. Kurz hinter dem Zollamt
von Casatasegna markiert die 1963 von Peppo Brivio entworfene Agip-Tankstelle mit den einzigartigen pilzförmigen Bauten eine klare kulturelle Grenze. Hier wird das Gebiet mit
Umsicht und Kenntnis verwaltet.
Dann kommt Soglio, ein Dorf, das man von Bondo aus
erreicht, indem man zwischen den Kastanien bis zu einer
Terrasse aufsteigt, von der aus man eine weite Sicht über die
hohen, verschneiten Berge geniesst, die das Bergell vom
Veltlin und dem Valmalenco trennt. Aufgrund der Lage weit
entfernt von der Kantonsstrasse kennt der Grossteil der Reisenden, die das Bergell auf dem Weg ins Engadin durchqueren, das mittelalterliche Dorf Soglio nicht.
In den alten Ortszentren des Bergells gibt es weder verlassene und zerfallene alte Wohngebäude noch neue Häuser
in zersiedelter Landschaft wie im italienischen Teil des Tals,
da die Erhaltungskultur hier verbreitet ist und sich seit langem bewährt hat. Die alten Dorfhäuser aus Stein oder mit
Verkleidung aus weissem Putz und Natursteinplattendach
befinden sich in gutem Zustand und die eingefügten Neubauten zeichnen sich durch den stillen Dialog mit ihrem Kontext aus. Die Wirtschaft ist nicht dynamisch, aber solide.
Weidewirtschaft, Kastanien- und Weinanbau sowie traditionelles Handwerk werden durch einen Tourismus von Bergwanderern ergänzt, die sich kulturell von den Besuchern der
kostspieligen Skigebiete im Engadin unterscheiden.
Das Bergell bietet eine Ruhepause zwischen den von
der unordentlichen Besiedlung der italienischen Landschaft
im Valchiavenna ausgelösten negativen Empfindungen, die
dem Besucher die harte Schönheit der Natur vorenthält, und
den Gefühlen, die von dem hoch gelobten Bild der grossen
Seen und den Bernina-Gipfeln ausgelöst werden, die die
Hochebene des Hochengadins dominieren, das durch die
steilen Wände des Maloja vom Bergell getrennt wird. Eine
Ruhepause, die Reisende und Beobachter ohne Eile und mit
einem Blick auf die Landschaft zu Überlegungen über alternative Bau- und Lebensweisen in den Bergen einlädt.
Die Architektur von Armando Ruinelli bringt die Bauund Lebensart in den Bergen des Bergells perfekt auf den
Punkt. Ruinelli ist als Architekt Autodidakt und seine umfassende Bildung scheint filigran durch jedes Detail seiner Projekte. Er lebt und arbeitet in Soglio unter ungewöhnlich urbanen Bedingungen. Dank der hohen Dichte der Dorfgebäude
geniesst Ruinelli die engen zwischenmenschlichen Be-
ziehungen gemeinsam mit dem sparsamen Einsatz der zum
Wohnen erforderlichen Bau- und Ausdrucksmittel. Diese Situation erinnert an den Zusammenhang zwischen der Arbeit
von Gion Caminada und dem Dorf Vrin, ist jedoch anders, da
die Dörfer des Bergells nicht wie Vrin sonnenverwöhnt sind
und aus zur Landschaft hin geöffneten Häusern bestehen.
Es handelt sich vielmehr um echte Miniaturstädte hoch über
den Wegen durch das Tal, mit engen Gassen im Schatten, die
im Winter vor dem Wind und im Sommer vor der Sonne
schützen.
Jedes Bauvorhaben von Ruinelli unterscheidet sich
von dem vorhergehenden, da er kontinuierlich weiter forscht
und (gemeinsam mit Fernando Giovanoli, der seit 2000 sein
beruflicher Partner ist) einen Projektansatz entwickelt hat,
der auf die Angemessenheit der Lösung für jede spezifische
Aufgabenstellung abzielt. Diese Qualität nennt Ruinelli,
wenn auch mit einer etwas anderen Bedeutung, Massstäblichkeit im Verhältnis zum Kontext. Es handelt sich um einen
Ansatz, mit dem bei jedem Thema – dessen Kontext immer
unterschiedlich ist – die in der Vergangenheit gewonnenen
Überzeugungen auf den Prüfstand gestellt werden und die
dem Entwerfen selbst zu Grunde liegenden Motivationen erneuert werden.
Wir haben bereits zu verschiedenen Anlässen unsere
Aufmerksamkeit auf architektonische Werke gerichtet, die
bedeutungsvolle Beziehungen zu ihrem Kontext aufbauen
und einen materiellen und baulichen Beitrag zum Wohnen
als sozialem Handeln leisten, und die in den renommierten
Fachzeitschriften und in noch stärkerem Mass in Online-Medien dominante Tendenz kritisiert, Architektur als Spektakel
und individuelle Ausdrucksform zu zelebrieren. Die Arbeiten
von Armando Ruinelli, die wir unseren Lesern präsentieren,
laden dagegen zum Nachdenken über den Sinn unseres Berufs und zur Selbstkritik ein.
1–2 Peppo Brivio, stazione di rifornimento
a Soglio, 1963. Foto Alberto Flammer
2
L’ARCHITE T T UR A DELL A VAL BREG AGLIA 13
«You must absolutely
build a house
in the Bregaglia»
Habitat e abitanti
della Bregaglia
Marcello Abbiati
Storico dell’arte
Spesso genericamente associata al nome di Alberto Giacometti, la Val Bregaglia sembra rappresentare per il turista medio solamente un passaggio obbligato per risalire il Maloja e recarsi a godere le bellezze paesaggistiche e culturali offerte dalla vicina Engadina.
L’ampio e certamente più ameno altopiano engadinese, contraddistinto da
un imprimatur artistico straordinario e un favoloso jet set, sembra costituire una
sorta di controcanto al solco ruvido e profondo della Val Bregaglia. «Il leggiadro e
serio carattere collinoso, lacustre e selvoso di quest’altopiano»1 è sempre apparso
ai viaggiatori in drammatico contrasto con il precipizio che si spalanca al di là del
Maloja, «probabilmente la discesa in Italia più brusca e insieme quella che tocca
di più la sensibilità e la vitalità», come ebbe a definirla Ernst Bloch.2 Non deve stupire dunque se la fama dell’Engadina, anche in virtù delle proprie bellezze paesaggistiche, abbia sempre superato di gran lunga quella della Bregaglia, anche quale
meta turistica: questa popolarità è stata ulteriormente accresciuta dalla notorietà
di cui godono, a livello internazionale, le personalità artistiche che vi soggiornavano, mentre la Bregaglia viene spesso laconicamente ricordata solo come «la patria
di Alberto Giacometti».
Eppure a livello geografico la Bregaglia rappresenta un unicum: estendendosi dal lago di Sils fino alle porte di Chiavenna, si colloca a ridosso di quel triplice spartiacque che, pure a livello culturale, ha determinato la fisionomia del cuore
dell’Europa, identificando questa vallata quale luogo di transizione e di parziale sedimentazione d’influenze multiculturali.
Personalmente trovo particolarmente stuzzicante il fatto che la Bregaglia,
a seconda del background culturale di chi la percorre, possa apparire tetra e glaciale, oppure un sorridente preludio del Meridione latino: se il cancelliere bernese
Gottlieb Sigmund Gruner trovava la Bregaglia una «spaventevole regione (...), le cui
cavità sono inzeppate di orribili carichi di ghiaccio e di neve»,3 il parroco engadinese Ernst Lechner gioiva invece della «rigogliosa vegetazione arborea (...) fichi,
peschi, fiori appartenenti alla flora del mezzogiorno – farfalle e scorpioni vestiti di
splendidi colori (...)» che annunciavano «al viandante di trovarsi alle soglie dell’Italia».4 La valle di Bregaglia è ancora suddivisa in due parti – Sopraporta e Sottoporta
– dalla barriera fortificata costruita in tempi remoti a Promontogno, laggiù dove la
Maira (il torrente di valle) si strozza in un canyon profondo. Territorialmente, queste
due aree risultano polarizzate in senso opposto: Sottoporta, comprendendo i comuni di Bondo, Soglio e Castasegna, subisce maggiormente il clima meteorologico e
culturale della vicina Italia; Sopraporta, con i comuni di Vicosoprano, Casaccia e
Stampa, è davvero terra di confine, e risente maggiormente della cultura di matrice
germanica della vicina Engadina. Così anche le famiglie notabili che hanno fatto
la storia politica della Bregaglia: i Castelmur, i Prevosti e gli Stampa dominavano
l’alta valle ed erano tradizionalmente alleati con il principe-vescovo di Coira; i Salis
risiedevano a Soglio e Bondo, appoggiando volentieri le rivendicazioni del vescovo
di Como prima, dei Visconti e degli Sforza poi.
Questa alternanza ondivaga di elementi culturali nordici o meridionali
sembra percorrere anche la storia economica e sociale della vallata: ricordo una frase, forse di Ernst Scheidegger, che identifica Chiavenna quale «capitale segreta della
Bregaglia». I borghi di valle infatti non potevano rivaleggiare in termini di ricchezza
e densità di popolazione con il capoluogo valchiavennasco, che oltretutto vantava
fiorenti industrie e un vivace artigianato locale, e quindi non di rado i traffici mercantili che attraversavano la Bregaglia trovavano quale hub preferenziale proprio Chiavenna, decentrando l’asse economico a favore della Valchiavenna. Non è quindi un
caso che in Bregaglia, nonostante l’introduzione della Riforma (pare già dal 1529),
l’italiano avesse preso il posto del tedesco come lingua della Chiesa e dell’amministrazione: questo accadeva anche in ragione del fatto che numerosi ministri riformati – uno tra tutti, Michelangelo Florio – provenissero dall’Italia, oltre ovviamente al
1
2
L’ARCHITE T T UR A DELL A VAL BREG AGLIA 14
1 Affiche del 1945 che pubblicizza
la corriera postale delle Alpi.
Fonte Museo della comunicazione, Berna
2 Théophile Alexandre Steinlen,
Tournée du Chat Noir de Rodolphe Salis.
Fonte Wikimedia Commons
3 Il villaggio di Soglio in autunno.
Foto Marcello Abbiati
4 L’antica rampa del Malögin, che già
in epoca romana superava il Passo
del Maloja per raggiungere il Passo
del Settimo. Foto di Ernst Scheidegger
5 La nuova stazione della funivia
dell’Albigna, realizzata dallo studio
d’architettura Alder Clavuot Nunzi
nel 2016. Foto Alder Clavuot Nunzi
6 La chiesa gotica di San Gaudenzio
a Casaccia. Foto Marcello Abbiati
7 Palazzo Salis a Bondo.
Foto Marcello Abbiati
3
fatto innegabile che rifiutare il tedesco significava, per le autonomie locali, allontanarsi di fatto dal controllo del vescovo di Coira. Ancora, dai resoconti di viaggio ottocenteschi
emerge spesso come il tipico bregagliotto sembri assommare fisionomie e temperamenti certamente latini a una moralità e un carattere tipicamente svizzero.
Il passato è tutt’ora presente nella Bregaglia contemporanea.
Infatti solo nel 2010 è avvenuta la fusione dei cinque
antichi comuni della valle – Castasegna, Bondo, Soglio,
Stampa e Vicosoprano – in un’unica entità giuridica, annullando di fatto la supremazia giurisdizionale dei borghi
maggiori (Soglio e Vicosoprano) a favore di una redistribuzione più equa dei diritti e delle autonomie. Anche il destino dell’immigrazione percorre trasversalmente la storia del
territorio giungendo all’oggi: fin dal Quattrocento vengono
registrate forti ondate migratorie che portavano i bregagliotti a intraprendere attività commerciali in tutta Europa,
gestendo pasticcerie, drogherie o caffè, senza dimenticare
il celebre cabaret parigino Le Chat Noir, fondato nel 1881
dall’oriundo Rodolphe Salis. Questo fenomeno non era causato solamente dalla povertà diffusa, ma era dettato anche
dal bisogno di sottrarsi al severo controllo sociale, ai duri lavori nei campi o dell’allevamento, alla limitatezza delle scarse risorse agricole in rapporto a una situazione demografica
di sovrappopolamento. Quest’ultimo dato appare davvero sorprendente oggigiorno, se si pensa che il borgo di Soglio (tra l’altro insignito nel 2015 del titolo di «più bel villaggio
della Svizzera») contava nel 1801 408 abitanti, mentre ora è
abitato stabilmente da sole 114 persone: un trend negativo
che interessa peraltro tutta la vallata.
La depressione demografica della Bregaglia – che è caratteristica di numerose regioni dell’area alpina – viene parzialmente compensata dal massiccio flusso turistico (e relativo indotto economico) dei mesi estivi, e generalmente si
esaurisce quando i magnifici castagneti del versante solivo
abbandonano al suolo le loro livree dorate e brune. L’offerta
alberghiera non è particolarmente variegata ma spesso di
grande qualità, e certamente costituisce un introito rilevante nell’economia di valle: basti pensare all’eclettico Hotel
Bregaglia di Promontogno (progettato dal celebre architetto
Sottovia nel 1875) oppure la settecentesca Casa Battista a
Soglio, dove usavano soggiornare, tra gli altri, Giovanni Segantini e Rainer Maria Rilke.
Da giugno in poi francesi, tedeschi, anglosassoni, italiani e anche giapponesi si riversano nelle tranquille vie ac-
ciottolate di Soglio, Bondo e Vicosoprano; i più arditi tentano
ascese verso lo spigolo nord del Badile; gli amanti della natura vagabondano per boschi e alpeggi di media montagna,
raccogliendo fiori selvatici e ammirando i graniti perlacei
e i ghiacci della Bondasca. Si tratta soprattutto di turisti di
mezza età o addirittura anziani, di amanti della montagna, e
non di rado anche di artisti o intellettuali, venuti in valle sulle orme dei grandi che li hanno preceduti: Varlin, Max Ernst,
Balthus, Friedrich Dürrenmatt, Ferdinand Hodler, Cuno
Amiet, Nietzsche… Spesso la Bregaglia diventa il buen ritiro
per spiriti eletti o ritenuti tali, come già Capalbio in Toscana
o Montemarcello in Liguria: evidentemente la severa pensosità del suo paesaggio spinge a elucubrazioni assorte e
creative.
Poi in autunno, quando ombre lunghe e cerulee iniziano a riempire gli anfratti tra le rocce, la valle nuovamente
si svuota e ripiomba nel silenzio. È la stessa stagione in cui
Alberto Giacometti, nato il 10 ottobre 1901 proprio a Stampa in Bregaglia, usava ritornare a casa dalla madre Annetta,
ormai anziana: pur avendo eletto Parigi sua patria adottiva,
Alberto tornava in valle ogni autunno, «quando quella lunga crepa nella roccia, dove erano incastrate anche le case
di Stampa come efflorescenze minerali, si inzuppava
di penombra e (…) la signoria delle vette di granito, con i loro
schianti e le loro rovine, imponeva all’universo l’austerità geologica e cosmica del grigio».5
Proprio il 16 ottobre 2016 si è chiusa la retrospettiva dedicata ad Alberto Giacometti, presso il Museo Ciäsa Granda
e l’Atelier Giacometti di Stampa, per i 50 anni dalla morte
dell’artista. Questa mostra è solo un esempio delle numerose iniziative culturali organizzate in Bregaglia durante la
stagione turistica: un’offerta relativamente ricca in rapporto all’estensione e alla densità demografica della regione,
di soli 251,45 km² per una popolazione stimata, nel 2013, di
circa 1.564 residenti effettivi. I momenti di incontro culturale offerti dalla valle sono perlopiù organizzati e sostenuti
da numerose associazioni e società ufficiali non lucrative
presenti sul territorio, tra le quali vale per lo meno la pena
di annoverare la Società Culturale di Bregaglia, sezione della Pro Grigioni Italiano, la cui mission è la salvaguardia e la
promozione della cultura locale e regionale attraverso manifestazioni e iniziative sul territorio a carattere socio-culturale. L’impressione è che la Bregaglia di oggi sia una sorta di
curioso ecosistema culturale da difendere e tutelare, anche
attraverso robusti incentivi economici di cui si fa carico indirettamente il Canton Grigioni, cui la valle a livello ammi-
L’ARCHITE T T UR A DELL A VAL BREG AGLIA 15
nistrativo appartiene. Anche nel 2016 il Governo grigione
ha infatti approvato un accordo di prestazioni con l’Ufficio
federale della cultura per il periodo 2017-2020, che prevede
contributi per un importo complessivo di circa 21,2 milioni
di franchi. In cambio, il Cantone deve adottare misure volte a salvaguardare e a promuovere la lingua e la cultura romancia e italiana, sostenere organizzazioni e istituzioni
attive in questo settore, promuovere l’attività editoriale ed
erogare aiuti finanziari per la salvaguardia e la promozione della lingua italiana nei media. Questo piano strategico
coinvolge le organizzazioni linguistiche – Lia Rumantscha e
Pro Grigioni Italiano, l’ Agentura da Novitads Rumantscha –,
riguardando anche le misure di salvaguardia e di promozione delle lingue adottate autonomamente dal Cantone.
Inizialmente popolata dai Celti e, forse, dagli Etruschi,
la Bregaglia divenne in seguito uno snodo nevralgico della
rete viaria romana, poiché attraverso il Maloja e il passo del
Giulia (oggi Julierpass) o, in alternativa, attraverso il passo
del Settimo (Septimerpass), merci e persone potevano raggiungere agevolmente la dorsale della catena alpina e da lì
scendere fino ai territori del bacino del Reno e del Danubio.
Si potrebbe affermare che da allora la situazione non è drasticamente cambiata, poiché la Bregaglia è attualmente collegata all’Engadina e alla Valchiavenna dalla sola strada cantonale n. 3: per far fronte all’aumento (modesto) del traffico
automobilistico, già nel 1960 Vicosoprano si era dotata di una
circonvallazione, imitata nel 1975, 1991 e 2003 da Borgonovo,
Promontogno e Castasegna. In valle, diversamente dall’Engadina, non esistono aeroporti, e le stazioni ferroviarie più vicine sono Chiavenna, gestita da Trenord, e St. Moritz, gestita
dalla Ferrovia retica: per raggiungere la valle occorre quindi
montare sui pittoreschi autobus gialli de La Posta svizzera,
sperando di non soffrire il mal d’auto e i tornanti. In realtà un
progetto di collegamento ferroviario tra la Valtellina e l’Engadina, via Bregaglia, era già stato valutato e poi accantonato
dal Governo federale svizzero a metà Ottocento: la linea ferroviaria, a scartamento ridotto, avrebbe dovuto collegare Coira – la capitale del Canton Grigioni – a Chiavenna, approfittando della modesta altitudine del passo del Maloja (1815
m slm), passando per Thusis, Tiefencastel e l’Oberhalbstein.
Nel 1910, con l’inaugurazione della linea del Bernina (il celebre «trenino rosso»), il Cantone perdeva definitivamente l’interesse per il progetto, in primis perché questa già garantiva un collegamento con l’Italia tramite la Val Poschiavo, ma
anche per la difficoltà a rifornire d’energia un’eventuale linea
ferroviaria elettrificata. Solo a metà Novecento si è avuto in
Bregaglia un periodo di espansione economica legato al
settore energetico: nel giro di pochi anni veniva realizzato il
lago artificiale dell’Albigna, sopra Vicosoprano, grazie a una
diga di sbarramento alta 115 metri, seguita dalla costruzione di 5 centrali idroelettriche, 2 complessi residenziali per i
dipendenti e un nuovo ospedale. Recentemente il complesso
dell’Albigna, realizzato dalla società elettrica di Zurigo nel
1955-1959, è stato oggetto di riqualificazione architettonica
da parte dello studio di architetti bregagliotti Alder Clavuot
Nunzi, che ha curato il restyling della funivia che da Pranzaira porta alla diga, superando un dislivello di quasi 1000
metri. Quasi in contemporanea, una doppia mostra – L’Albigna di Emil Zbinden al Museo Ciäsa Granda e Una giornata
sull’Albigna di Urs Beyeler presso la Galleria Il Salice di Castasegna – ha celebrato i sessant’anni della costruzione
della diga, attraverso la grafica d’arte e la fotografia di reportage. Certamente suggestiva per dimensioni e posizione,
quest’opera di alta ingegneria ha ispirato anche l’architetto
bregagliotto Armando Ruinelli, che afferma di aver ripreso,
nei suoi calcestruzzi battuti, l’andamento delle linee isobariche di sedimentazione delle acque del bacino.
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La spinta economica che a metà del secolo scorso ha
dinamizzato la valle si era manifestata non solo a livello
d’ingegneria del territorio ma anche attraverso temi architettonici, quando l’architetto bregagliotto naturalizzato zurighese Bruno Giacometti (fratello del più celebre Alberto)
veniva chiamato a progettare nuovi alloggi per i lavoratori,
tra gli antichi castagneti di Brentan presso Castasegna, non
lontano dal confine italiano. Si tratta di un insediamento di
sapore modernista, costruito intenzionalmente a una certa
distanza da nuclei urbani storici per smorzarne l’impatto
ambientale e consentirne un’articolazione più libera, rispondente agli ideali urbanistici della città ricca di verde, articolata e non monotona.
Tralasciando questa parentesi moderna – breve ma significativa – l’architettura vernacolare bregagliotta sembra
generalmente rientrare nei parametri tipologici legati all’
economia agropastorale medio-alpina. La coltura del castagno, introdotta dai Romani, insieme alla pax, già nel I secolo d.C., e quella della vite affiancavano e integravano infatti
la magra pastorizia alpestre. L’andamento insediativo degli
abitati storici appare abbastanza denso, sostanzialmente privo di episodi urbanistici contemporanei brutalizzanti
ed eccessivamente invasivi, e tendenzialmente omogeneo
nelle sue caratteristiche rurali: fanno eccezione alcune
L’ARCHITE T T UR A DELL A VAL BREG AGLIA 16
«penetrazione spirituale puramente germanica» 6 lungamente e accanitamente osteggiata dai valligiani. In questa breve panoramica di peculiarità architettoniche occorre per lo
meno ricordare Villa Garbald, costruita nel 1862 (e rinnovata
nel 2004 dagli architetti Miller & Maranta) a Castasegna per
il funzionario di dogana Agostino Garbald dal celebre architetto amburghese Gottfried Semper, e naturalmente Palazzo
Salis a Bondo. Palazzo Salis nasceva dal capriccio della nobildonna inglese Mary Fane – moglie dell’inviato britannico
presso le Tre Leghe Girolamo Salis (nato nei Grigioni ma naturalizzato inglese) – la quale, non sopportando la rigidezza
del clima e l’ambiente provinciale di Coira, aveva seccamente indicato al marito di trasferire la propria residenza a sud
delle Alpi, il più vicino possibile al sole dell’Italia. «If you are
risolved to stay here, you must absolutely build a house in
the Bregaglia», scriveva nel 1759 al marito l’ostinata contessa inglese, e già nel 1766 Girolamo si rassegnava ad avviare
i lavori per la costruzione dell’unica villa settecentesca su
territorio grigione. Nonostante i contesti ambientali diversissimi, il sobrio edificio di gusto italiano appare per certi versi
cugino di certe tenute inglesi tardobarocche e neopalladiane: realmente straniante è l’effetto della contrapposizione tra
la colta cifra architettonica e il selvaggio ambiente circostante, caratterizzato da distese prative e meli selvatici, dominato
dalle ombre lugubri del massiccio della Bondasca.
Palazzo Salis, per me, simboleggia ed esprime l’ineffabile fascino champêtre della Bregaglia, dove genuinamente
si fondono ancora oggi ruralità, natura e arte.
6
7
emergenze architettoniche di carattere gentilizio presenti a
Vicosoprano e particolarmente a Soglio, dove il volume globale del complesso palaziale rinascimentale della famiglia
Salis emerge poderoso dalla trama del borgo rurale. Anche la
chiesa di San Gaudenzio a Casaccia – oggi ancora in rovina
dall’epoca della profanazione cinquecentesca perpetrata dai
riformati – appare un unicum di forme tardogotiche, rappresentando un prezioso indizio della sopravvivenza di quella
Note
1. L. Bonesio, Engadina e Bregaglia paesaggi
dell’anima, in «Notiziario della Banca Popolare
di Sondrio», 99, dicembre 2005, p. 103.
2. E. Bloch, Da Maloja a Chiavenna, in «Notiziario
della Banca Popolare di Sondrio», 102,
dicembre 2006, p. 104.
3. G.S. Gruner, Reisen durch die merkwürdigsten Gegeden Helvetien. Zweyter Teil, London 1778, p. 174.
4. E. Lechner, Das Thal Bergell (Bregaglia) in Graubunden. Natur, Sage, Geschichte, Volk, Sprache
etc. nebst Wanderungen, Leipzig 1874, p. 31.
5. P. Bellasi, Il sogno che urla e comanda. Metafora
di una valle delle Alpi, in I Giacometti.
La valle, il mondo, Milano 2000, p. 32.
6. G. Segantini, La Bregaglia, in «Quaderni Grigioni
Italiani», anno V, n. I, ottobre 1936, p. 5.
Sie müssen unbedingt ein Haus im Bergell bauen
Das häufig mit dem Namen Alberto Giacomettis
in Zusammenhang gebrachte Bergell-Tal scheint für den
durchschnittlichen Touristen nur eine Station auf der
Durchfahrt zu den landschaftlichen Schönheiten und dem
kulturellen Angebot des nahe gelegenen Engadins zu sein.
Unter dem geographischen Gesichtspunkt ist das Bergell
jedoch einzigartig. Es erstreckt sich vom Sils-See bis vor
die Tore Chiavennas und liegt daher an der dreifachen
Wasserscheide, die das Herz Europas auch in kultureller
Hinsicht geprägt hat. Die Vergangenheit ist auch im
heutigen Bergell noch präsent. Erst 2008 wurden die fünf
alten Gemeinden des Tals – Castasegna, Bondo, Soglio,
Stampa und Vicosoprano – zu einer rechtlichen Einheit
verschmolzen. Der derzeitige demografische Rückgang
im Bergell wird teilweise durch die zahlreichen Touristen
in den Sommermonaten kompensiert, der normalerweise
endet, wenn die prächtigen Kastanienwälder auf der
Sonnenseite ihre goldenen und braunen Blätter abwerfen.
Erst gegen Mitte des 20. Jahrhunderts kam es zu einem
von dem Energiesektor bewirkten wirtschaftlichen
Aufschwung. In wenigen Jahren wurde der Stausee von
Albigna angelegt. Darauf folgten fünf Wasserkraftwerke,
zwei Wohnsiedlungen für Mitarbeiter und ein neues
Krankenhaus. Abgesehen von diesem Ausflug in die
Moderne entspricht die traditionelle Architektur des
Bergells den klassischen Mustern der Weidewirtschaft
in den mittleren Alpen. Die Ausnahme bilden einige
Gebäude adliger Familien in Vicosoprano, Soglio und
natürlich der Palazzo Salis in Bondo. Trotz des unterschiedlichen Umfeldes erscheint das nüchterne, italienisch
geprägte Bauwerk mit bestimmten englischen Gutshöfen
des Spätbarock und des Neopalladianismus verwandt.
Der Gegensatz zwischen der eleganten Architektur und
der wilden Umgebung, die in dem düsteren Schatten des
Bondasca-Massivs liegt und von weiträumigen Wiesen
und wilden Apfelbäumen geprägt ist, wird verfremdend.
Palazzo Salis symbolisiert und verkörpert den unvergänglichen ländlichen Charme des Bergells, in dem auch heute
noch ländlicher Charakter, Natur und Kunst miteinander
verschmelzen.
L’ARCHITE T T UR A DELL A VAL BREG AGLIA 17
L’architettura storica
in Bregaglia
Diego Giovanoli
Storico dell’architettura
Durante le ricerche propedeutiche alla pubblicazione del volume Costruirono la Bregaglia, uscito nel 2014, la valutazione del paesaggio abitato ha favorito la lettura delle abitazioni, in particolare degli edifici maggiormente diffusi, delle dimore
rurali e borghesi e dei rustici nei nuclei popolati, sui prati e sui monti.
La Val Bregaglia svizzera, dal 2010 amministrativamente unificata in un
unico comune da Maloja a Castasegna, è un eccellente laboratorio storico di ricerca architettonica che spazia da poco meno di 600 a oltre 2000 metri di area insediata e coltivata. Altrettanto interessanti per la loro sorprendente continuità culturale
sarebbero i fenomeni insediativi e architettonici che interessano, da Villa di Chiavenna a Chiavenna, la porzione italiana della valle, non trattata in questo contributo.
Lo studio della storia delle case rivela che in epoca moderna ogni valle alpina ha sviluppato una morfologia architettonica propria, diversa dai canoni medioevali preesistenti. A tale patrimonio rinascimentale accumulato dal Cinquecento al
primo Ottocento verrà accostato dopo la metà del XIX secolo il linguaggio architettonico europeo, accademico, applicato anche alle strutture comuni. L’equilibrio fra
il tutto e le parti, che governava fino ad allora la mente dei costruttori, venne sostituito dalla prospettiva riferita all’asse centrale.
In linea di principio dal periodo rinascimentale a tutto il barocco i costruttori locali adottarono il principio della ripartizione o divisione degli elementi edilizi,
contrariamente al principio dell’addizione degli stessi elementi adottato in altre valli, ad esempio in Engadina.
Nel campo dei materiali, l’edilizia in Bregaglia progredisce dal legno al sasso, dalla parete lignea rivestita a muro intonacato all’edificio in muratura. Il patrimonio edilizio medioevale pare essere stato meno diversificato delle morfologie e
delle tipologie sviluppate in epoca moderna.
Una valle alpina laboratorio di progettazione dello storico
Negli ultimi decenni il patrimonio storico locale è stato riconosciuto, studiato e qualificato di pari passo con la radicale trasformazione socio-economica del
territorio alpino. Oltre alle numerose pubblicazioni, basti ricordare la recente consegna del premio Wakker dello Heimatschutz e la nomina di Soglio a più bel villaggio
della Svizzera. Bondo e Vicosoprano non erano in gara, altrimenti avrebbero avuto
voti molto incoraggianti. Accanto e in parte dentro i nuclei storici le case nuove si
riferiscono al linguaggio internazionale con timbri regionali più o meno percettibili.
Soglio
Pianloco
83
3
6
6
–
79
4
–
–
Doppie
Diroccate
In buono stato
Metàti Castagne
Diroccati
In buono stato
Diroccate
Doppie
Con casvél
(edificio annesso)
Caseifici
Semplici
Con cucina e camera
Case nuove
Diroccate
Case patrizie
Stalle
In buono stato
Case
1
–
–
–
–
–
–
–
–
–
75
8
2
7
–
–
–
–
–
Däir
20
5
–
–
8
62
2
–
13
5
–
–
–
–
Tombal/Plän Vest
19
4
–
–
10
29
2
–
34
2
1
–
–
–
Munt dent
17
4
–
–
12
63
–
–
36
1
2
1
–
–
Selva
–
–
–
–
–
74
4
–
9
–
–
73
12
6
Totale
139
16
6
6
30
382
20
2
99
9
3
74
12
6
1 Censimento edifici 1983.
Fonte Soglio, insediamenti e costruzioni,
Birkhäuser 1997, p. 16
167
533
12
92
804
1
L’ARCHITE T T UR A DELL A VAL BREG AGLIA 18
A loro volta le case e le stalle del passato non sono
mera archeologia architettonica, anzi, attendono di essere
riconsegnate alla storia debitamente restaurate o ristrutturate. L’offerta di edifici storici da riqualificare spazia su
tutta la gamma tipologica delle dimore: umili dimore unifamiliari, imponenti case residenziali del Settecento, baite
sui monti e sul passo alpestre del Maloja. Sono fuori uso la
stragrande maggioranza delle stalle bovine e caprine di
paese, senza contare quelle che sorgono sui prati, nelle selve e sui monti. Ciò risulta dalla composizione dell’azienda
agricola storica che contava una dimora in paese, una sui
monti e una terza in alpe, nonché una stalla e più in paese,
una o due stalle sui monti, una parte di stalla nella selva
e la relativa cascina di essiccazione. Nel 2015 l’inventario
del territorio di Bondo elencava in paese 92 dimore unitamente alle loro 74 stalle distribuite in piano, tutte o quasi
fuori uso, e due tipologie caratteristiche del luogo, 17 crotti
e 11 cascine di essiccazione delle castagne (in italiano dotto: metàto); attualmente è in funzione una sola cascina. In
queste cifre non figurano le baite e le stalle sui monti antichi, Laret, Splügh, Lera, Lumbardui, Selvartigh, Cugian,
Cant, Ciresc, Lizol, tutti dotati di alcune baite con cantine
a refrigerazione naturale e delle relative stalle bovine. L’inventario edilizio di Soglio pubblicato nel 1994 elenca un totale di 395 edifici distribuiti sui 28 gruppi edilizi.
Situazione attuale
In Bregaglia e in particolare a Soglio, negli insediamenti stanziali, le case di vacanza superano la quota del
20% prescritta dalla Legge sulle abitazioni secondarie del
2 marzo 2015. L’articolo 9 del capitolo 4 della legge citata,
oltre a parificare la dimora al rustico e a proporre la protezione delle stalle bovine, recita: «Il valore protetto dell’edificio non risulta compromesso, in particolare se l’aspetto
esterno e la struttura edilizia basilare restano sostanzialmente immutati». La regola che prescrive la conservazione
«sostanzialmente immutata» è una novità assoluta e inverosimile nella storia dell’architettura rurale. Negli insediamenti che superano la quota del 20% di abitazioni secondarie, a condizione che gli edifici vengano preliminarmente
protetti, gli edifici civili verranno conservati alla pari delle
stalle rustiche. La prassi si ricollega alle prescrizioni finora in vigore nei nuclei storici importanti. La conservazione
dell’aspetto esterno e della struttura basilare di una stalla
richiede un approccio progettuale diametralmente opposto a quello di una dimora storica, già fondamentalmente
predisposta alle funzioni abitative con le finestre e le porte
riferite alla struttura dei piani dell’edificio. Dotare una stalla storica di finestre nega l’identità stessa dell’edificio rustico e delega la fatica insuperabile alla sensibilità dei progettisti e alla pazienza delle commissioni edilizie. A partire
dal 1970 la trasformazione della destinazione d’uso degli
edifici rustici, pur mantenendone l’aspetto originario, è nel
frattempo divenuto una consuetudine.
Ipotesi di cantiere
Le regole pianificatorie dei nuclei storici postulano in
via di principio la conservazione dell’edificio storico. È compito del committente e del progettista riconoscerne la peculiarità e la struttura edilizia di base, i due aspetti di cui tener
conto secondo le regole del nucleo storico vigenti da decenni
e a norma della legge sulle abitazioni secondarie del 2015.
2
3
2 Un edificio anteriore al Seicento: la ridotta
struttura è a locale unico sovrapposto
3 Tipologia diffusa da fine Seicento a metà
Settecento; umile dimora singola con stalla
a lato. La dimora comprende un locale terreno
in muratura parzialmente intonacata, due spazi al primo piano solitamente in incastellatura
lignea rivestita con una cortina muraria
e camera precaria nel sottotetto. Il committente chiede un grado di abitabilità confortevole
nelle strutture storiche oppure la loro sostituzione a nuovo. La sostituzione a nuovo
è legalmente realizzabile, ma, se propone
la copia dell’esistente, risulta avvilente.
4 Una dimora composita del Seicento a Muntacc
5 Le finalità della tutela dell’edificio di alto ceto,
detto Gadina, situato a Casaccia, contemplano il restauro conservativo del palazzo con
il giardino attiguo. Oltre alla manutenzione
del tetto di piode è auspicabile il restauro delle
decorazioni esterne. L’intera struttura residenziale ha carattere monumentale. La porzione
dell’edificio costruita nel 1594 contiene
tre abitazioni sovrapposte nell’incastellatura
lignea rivestita di muratura all’esterno;
l’aggiunta sul retro datata 1685 è una spaziosa dimora signorile con sala terrena, e con
stüa, cucina e camera sopra. Lo spazio seminterrato con soffitti voltati a croce sorretti da un
pilastro centrale era usato come fondaco.
Il palazzo è una dimora patrizia del tardo
Cinquecento costruita dai Prevosti e ampliata
in epoca barocca dai von Salis, un’altra
eminente famiglia locale. Con la Ciäsa
granda a Stampa e le case palaziali Prevosti e
Castelmur a Vicosoprano è una delle maggiori
strutture patrizie della valle, emblema
dell’egemonia territoriale dell’alta valle
nel settore dei trasporti
6 La casa datata 1727 è il fulcro di un’azienda
agricola storica con orto e due stalle bovine.
Il volume di tre piani e solaio accorpa due
abitazioni appaiate a lato dei corridoi centrali
che evolvono dal piano delle cantine a volta,
al livello nobile con le stüe foderate e la cucina,
alle stanze da letto sul terzo livello con un
capiente solaio di essiccazione dotato di
ballatoio. La struttura è ortogonale in pianta
e simmetrica in prospetto. Le due finestre con
inferriata inginocchiata e apertura quadrilobata
sotto il colmo sono il marchio architettonico
locale della tipologia binata del Settecento
7 Nel 1852 l’emigrante Giovanni Pontisella fece
erigere a Stampa una casa di conio borghese
L’ARCHITE T T UR A DELL A VAL BREG AGLIA 19
4 5
6 7
8
affiancata a una rimessa per la carrozza.
La struttura abitativa di tre livelli con mezzanino sotto il tetto a tre spioventi è stata
disegnata dal capomastro Giovanni Battista
Pedrazzini. Il piano terra è contraddistinto
da un insolito trio di porte che disimpegnano
i locali a volta predisposti a destinazione
commerciale. Le facciate con intonaco civile
scialbato sono impostate su registri simmetrici
di finestre rettangolari in cornice viva
8 La grande struttura abitativa binata, regolare
e geometrica, con annessi laterali aggiunti
nell’Ottocento, fu costruita nel 1741. L’abito
esterno con intonaco civile scialbato e conci
alterni a graffio sugli angoli è singolare per
via delle finestre a strombo. L’asse mediano
divide l’edificio in due porzioni identiche.
Il corridoio centrale con volta a triplice
9
crociera disimpegna in sovrapposizione due
appartamenti verso mattina e due verso sera.
Le cantine sono a struttura voltata, la stüa
foderata è a sud e la cucina dietro, le stanze
da letto sul quarto piano e in soffitta. In futuro,
pur conservando l’aspetto esteriore e migliorando la già eccellente abitabilità, si pone la
questione dell’autonomia dei disimpegni alle
singole abitazioni senza interferire con
il substrato storico
9 Una dimora a quattro livelli, tipologia ricorrente dal tardo Cinquecento a tutto il Seicento.
Tali dimore comprendono in successione verticale un locale interrato, uno spazio terreno
in muratura parzialmente intonacata, due
spazi al primo piano solitamente in incastellatura lignea rivestita con una cortina muraria
e camera precaria nel sottotetto. In facciata
10
sono presenti decorazioni d’epoca, in questo
caso graffiti di pregio. Le dimore si prestano
per la riabilitazione conservativa possibilmente senza volumi aggiunti
10 Le case affrescate, come la dimora doppia situata al centro di Borgonovo, sono abbastanza
rare in Bregaglia. L’edificio di tre piani
e mezzo è stato affrescato nel 1681 e restaurato in facciata nel 1978. Secondo la tradizione
locale la successione dei piani propone le
cantine a volta nel seminterrato, due abitazioni
sovrapposte nei piani superiori con stüa,
cucina e saletta voltata a botte e abbellita
da tre crociere. Le due stüe sovrapposte sono
impreziosite da soffitti con trave mediana
a sostegno dei travetti trasversali scorniciati
L’ARCHITE T T UR A DELL A VAL BREG AGLIA 20
11 12
13 14
15
11 La tradizionale cascina abbina sotto il colmo
due unità private di essiccazione. La struttura,
databile intorno al 1850 e tuttora allo stato
originale, sorge a Castasegna
12 I metati, ovvero le cascine di essiccazione
delle castagne, disposti in gruppo come nella
periferia di Bondo, rappresentano strutture
minori e di gran fascino tipiche del patrimonio
storico della bassa valle
13 La grande stalla singola a sei pilastri datata
1762 a Promontogno deve le sue dimensioni
alle opportunità del transito merci sulla strada
cantonale. Il fienile è tradizionalmente servito
da una scala esterna, il tetto coperto di piode
14 La stalla doppia situata sui prati di Promontogno appartiene a una tipologia rara con
timpano sul fronte che accomuna i due rustici.
Al momento è concepibile solo la manutenzione ordinaria
16
15 Le stalle singole sono volumi solitamente a
due livelli di 5 per 6 metri, alti 6-8 metri, con
un piano terra in muratura intonacata.
Il pavimento del pianterreno, usato come stalla, era selciato oppure tavolato. Le travi della
soletta al primo piano sorreggono tronchi interi
o dimezzati, oppure grossi lastroni di pietra,
negli esempi più antichi. Porte esterne sui due
livelli, servite da scale, se necessario
16 La cascina in disuso per essiccare le castagne
è situata a Castasegna
17 L’edificio costruito ad uso crotto per il vino e
le derrate alimentari, con cella refrigerata da
sorgenti naturali di aria fresca, ricorre solo a
Bondo e in località Guaita a Castasegna, appena oltre il confine di Stato. Vi si conservava il
proprio vino ed era ambito luogo di convivio.
Un esempio della tipologia del crotto; l’ultimo
di essi è stato costruito a Bondo nel 1884
17
Foto D. Giovanoli
Motori economici del passato e settori di committenza
Il patrimonio architettonico diffuso nei villaggi, sui
maggesi e sugli alpeggi fu stimolato nei secoli in modo prevalente dall’economa agricola, che ha generato la preponderante porzione rustica del costruito, centinaia di dimore
accanto ad altrettante stalle nei villaggi, le molteplici stalle
bovine diffuse sui prati, le cascine nel castagneto, le numerose baite private con la relativa stalla sui maggesi e sugli
alpeggi a gestione familiare, e le soste alpestri consortili.
Lungo la strada cantonale nei nuclei storici di Casaccia, Vicosoprano, Stampa, Promontogno e Castasegna
si assiepano le grandi case dell’economia di commercio e di
trasporto, dimore solitamente plurifamiliari costruite dai
magnati locali, edilizia pregiata, di tipo patrizio nel Cinque e
nel Seicento, borghese nel Settecento, con le relative stalle di
sosta dei cavalli. Il transito alpino influì solo indirettamente
sul tessuto edilizio storico, ma stimolò in modo percepibile
l’edilizia pubblica, il Pretorio e la Ca da Sett, e anche l’offerta
privata di soste, stalle, locande, osterie e negozi. Prima della
metà dell’Ottocento alle persone in cammino bastavano gli
ospizi, le taverne e i rifugi documentati già nel Cinquecento.
Nel Seicento e in modo particolare nel Sette e nell’Ottocento gli emigranti fortunati in commercio e artigianato
hanno investito cospicue fortune in palazzine e ville che costituiscono tuttora l’architettura locale di gran pregio. In un
primo tempo l’economia turistica si insediò a Maloja, Soglio
e a Vicosoprano nelle grandi dimore nobiliari e originò dopo
il 1870 nuovi alberghi, pensioni e ristoranti in quasi tutti gli
abitati storici. Il settore delle case di vacanza nuove o ristrutturate è tuttora dinamico.
La trama urbana e la rete viaria storica
Il territorio insediato stanzialmente manifesta in
Bregaglia due sistemi antitetici: i villaggi di Bondo, Borgonovo, Casaccia, Castasegna, Soglio e Vicosoprano sono abitati
fortemente agglomerati e strutturati da tendenze centripete. Sono invece distribuiti a nodi edilizi elementari, compositi o allineati a collana gli abitati di Caccior, Coltura, Muntac,
Pungel, Roticcio e Stampa. Il canone centripeto o agglomerato opposto a quello diffuso a nodi di origine familiare è
presente anche nella Bregaglia italiana e nelle valli alpine
contigue, la Mesolcina, la Val Poschiavo e la Valtellina.
A parte gli allargamenti della strada cantonale costruita intorno al 1840 e gli innesti delle strade campestri in
connessione con le migliorie fondiarie dopo il 1940, gli insediamenti storici sono riferiti alla rete viaria medioevale composta da un vicolo direttore e da ramificazioni secondarie.
In epoca medioevale tutte le piazze attuali nei nuclei storici
della Bregaglia non esistevano. Semmai non superavano le
dimensioni di un crocevia allargato, oppure appartenevano
al ceto alto e connotavano lo spazio architettonico privato
davanti alle case signorili costruite nel tardo medioevo, ad
esempio dai Salis a Soglio. In verità le piazze attualmente
esistenti sono attributi squisitamente settecenteschi ovvero iniziative barocche dei ceti alti locali.
Il paesaggio storico
Alle differenze altimetriche e di conseguenza climatiche corrispondeva una divisione dei versanti vallivi in
fasce o gradini: il piano con le strutture stanziali, il monte e
l’alpe con le strutture gestite temporaneamente. L’economia
agro-pastorale storica era costruita su pochi concetti essenziali: l’indiviso contrapposto al diviso concerne la proprietà
comune contrapposta al bene privato. A sua volta il traso
permetteva l’uso collettivo dei terreni privati, il tenso limitava lo sfruttamento del bosco comunale.
Nessi culturali
Anche in Bregaglia le forme vernacolari del costruito
storico mutano da abitato ad abitato e sono diverse alla periferia del territorio rispetto alle case lungo la direttrice del
transito, esattamente come i dialetti locali. Le stesse forme
assimilano il passaggio climatico dal fondo della valle alle
zone alte.
Die historische Architektur im Bergell
Unter dem Begriff architektonisches Kulturerbe versteht
man die Gebäude, die im Laufe der Jahrhunderte von der
bäuerlichen Wirtschaft geprägt wurden. Der Begriff Erbe
entstammt der modernen Wahrnehmung des Historikers.
Die Alpendörfer bestehen aus Wohnhäusern und landwirtschaftlichen Gebäuden, die organisiert und gestaltet
wurden, um das gemeinsame Leben der Bauern und ihrer
Tiere zu sichern. Sie werden von einem aus dem Mittelalter
übernommenen Gassengeflecht miteinander verbunden.
Die Dorfplätze gehen auf strukturelle Eingriffe aus dem 18.
Jahrhundert zurück.
Die landwirtschaftlichen Gebäude können ihre Funktion
heute fast nicht mehr erfüllen, besitzen aber trotzdem einen
unumstrittenen ästhetischen Wert. Im Gegensatz zu dem,
was in der Renaissance für die gehobene Architektur
geschah, lässt sich der ländliche Raum nicht vervollkommnen oder in eine architektonische Formsprache verwandeln, die dessen Vorzüge reflektiert oder hervorhebt. Das
architektonische Kulturebene ist ein wertvolles und
schützenswertes Gut. Der Erhalt des Erbes auch in seiner
einfachsten Form entspricht einem neuen und gleichzeitig
offensichtlichen Ziel, dass noch vor einer Vorstellung für
seine konkrete Umsetzung formuliert wurde.
Cenni bibliografici
– D. Giovanoli, Facevano case. 1450-1950.
Saper vedere le dimore e i rustici nel Grigioni
italiano e nella limitrofa Lombardia,
Pro Grigioni Italiano, Coira 2009
– D. Giovanoli, Costruirono la Bregaglia,
Casanova, Coira 2014.
L’ARCHITE T T UR A DELL A VAL BREG AGLIA 21
Coordinate economico-culturali
del territorio bregagliotto storico
Mentre attualmente la suddivisione gestionale del
territorio e la destinazione utilitaria di un tempo è oggetto di
progressivo oblio collettivo, lo spazio storico risulta regolato
da codici consuetudinari in parte codificati nei regolamenti
delle comunità agricole.
Rinnovo e ridisegno
Matthias Alder, Silvana Clavuot e Alessandro Nunzi
Architetti
La diga dell’Albigna è un’opera di proporzioni monumentali inserita nell’aspro panorama montano della Val Bregaglia. Per quanto riguarda forma e aspetto,
segue la sua funzione e la necessaria logica statica.
Il rinnovamento integrale della funivia ha comportato per prima cosa la costruzione di una teleferica di cantiere, la cui funzione primaria era quella di assicurare il collegamento con la diga per la sua manutenzione con qualsiasi condizione
atmosferica.
Oltre alle esigenze funzionali, era necessario rendere ragione della grande
rilevanza e risonanza dell’impianto per l’azienda elettrica ewz di Zurigo e per l’opinione pubblica.
Il punto di partenza della ricerca di una forma per le stazioni a monte e a
valle è stata la volontà di un rivestimento minimo ed economico della sala macchine. Attraverso lo stesso linguaggio industriale sono state organizzate, a fianco, le
restanti funzioni, riunendo l’infrastruttura della funivia sotto un unico involucro e
conferendole una figura significativa a livello topografico.
Presso la stazione a valle, sita in posizione di spicco in un’ansa del fondovalle, l’avvolgente struttura in acciaio è stata piegata e rialzata per ospitare sotto di
sé la funzione centrale di servizio lungo il muro della sala macchine. La deformazione scultorea contraddistingue l’edificio, lo àncora al luogo e lo apre al tempo stesso
al visitatore in un gesto invitante. Sotto al bordo piegato dell’involucro si sviluppa
uno spazio che si estende in verticale e collega in modo diretto il piano stradale alla
funivia. Attraverso una scala aggettante in calcestruzzo bocciardato si accede alla
costruzione in acciaio che ricorda le intercapedini della diga con il loro aspetto sacrale e che segna, con la progressiva salita, l’inizio della via verso l’Albigna.
La stazione a monte, sita circa 900 m più in alto e distante quasi 2500 m di
fune, si contrappone con un corpo massiccio alle pieghe della sua corrispondente
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n
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L’ARCHITE T T UR A DELL A VAL BREG AGLIA 22
La funivia dell’Albigna
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2OO
GSEducationalVersion
1 Stazione a monte della funivia vista dalla
diga dell’Albigna
2 Diga e stazione a monte nel paesaggio
dell’Albigna
1
5OO
L’ARCHITE T T UR A DELL A VAL BREG AGLIA 23
a valle. Un basamento in calcestruzzo funge da contrappeso al tiro delle funi e si colloca ai piedi della diga che si innalza alle sue spalle. Su questo coronamento uno scheletro
di acciaio completa la figura aprendosi verso valle e assottigliandosi verso la diga all’altezza delle travi. Nella finitura
delle facciate la pesantezza del basamento in calcestruzzo
viene riportata in equilibrio attraverso il trattamento delle
superfici e l’involucro metallico, un equilibrio che media fra
monumentalità e struttura filigranata, congiungendo a livello formale la diga e la stazione con tutti i suoi aspetti tecnici.
La cabina in arrivo si accosta alla pedana che è appesa alle travi del tetto e che, sotto alle funi, entra direttamente nella sala macchine. Una scala conduce alla pancia del
massiccio basamento e un portellone nella parete obliqua di
calcestruzzo si apre quindi verso il panorama alpino ai piedi
della diga.
Nel piano tecnico si collocano la macchine e diversi
locali accessori (sala trasformatore, generatore elettrico di
emergenza, sala di controllo) per la tecnica degli impianti di
trasporto a fune; inoltre si trovano i servizi sanitari, la sala
comandi, i locali di servizio e di deposito per l’esercizio e il
traffico turistico.
Per quanto riguarda la struttura, quella principale è
in calcestruzzo e acciaio, con rivestimento delle facciate in
pannelli in lamiera ondulata. I locali riscaldati sono stati inseriti con una struttura isolata di montanti di legno e rivestiti con pannelli di lamiera di acciaio zincata o lastre in fibrocemento intonacate.
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Stazione a monte
Pianta del piano di arrivo all’impianto
Pianta del piano tecnico
Pedana di arrivo
Vista frontale
Vista laterale
Prospetto laterale con rampa d’ingresso
Sezione trasversale
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Gancio paraneve, modello Piccolo 18/76
Montana SP 18/76, rivestimento
COLORCOAT PRISMA® 50 μm, colore Orion
Montana SP 153/280
Longherone IPE 180
Trave tetto HEB 400
UNP 300 come coronamento in calcestruzzo
Longherone HEB 340
UNP 350 come coronamento in calcestruzzo
Soletta in calcestruzzo, 200 mm
Struttura a graticcio 2 x 50 mm
incrociata con lana di roccia 60 kg/m 3
Barriera antivapore Alu Sisalex 518
Lastra in gessofibra Fermacell, 12,5 mm
Vernice NCS S1010-R70B
Pannello in lamiera zincata rivettato
sul bordo inferiore, 2 mm
Bordo inferiore, retroaerazione, 30 mm
Tenuta antivento Gyso Vent FS 100
Finestra antincendio Janisol C4 EI90, RAL 7026
Intradosso F90 con impiallacciatura in castagno
Struttura a graticcio 2 x 50 mm
incrociata con lana di roccia 60 kg/m3
Tripla lastra di gessofibra da 12,5 mm per F90, 37,5 mm
Vernice NCS S1010-R70B
Noraplan Uni 2647, 2 mm
Stuoia termica posata in malta a letto sottile, 10 mm
Lastra Powerpanel TE Fermacell, 25 mm
Elementi di pavimento continuo in gessofibra Fermacel,
2 x 25 mm
Isolamento Swisspor XPS 500, 80 mm
Barriera antivapore Swissport Bikuvap LL Eva, 3,5 mm
Lastra di calcestruzzo, 300 mm
Porta in metallo Janisol Economy 50
Sostegno tetto HEB 340
Fondamenta in calcestruzzo
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Stazione a valle
Pianta del piano di partenza dell’impianto
Pianta del piano di entrata
Dettaglio sezione della facciata
Vista
Scale d’ingresso e sala d’attesa
Sezione trasversale
Disegni Alder Clavuot Nunzi
Foto Giorgio Della Marianna, Alder Clavuot Nunzi
FUNIVIA ALBIGNA
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L’ARCHITE T T UR A DELL A VAL BREG AGLIA 28
Stazione a valle
I carichi risultanti della funivia vengono scaricati nel
terreno di fondazione mediante una costruzione a pali e rinforzi di fondazione. La struttura di fondazione sotterranea
sporgente sotto l’edificio della stazione si è dimostrata una
soluzione vantaggiosa. Una variante di trasferimento del
carico tramite ancoraggi nella roccia è stata rigettata per
questioni tecniche ed economiche.
Al fine di mantenere in esercizio il più a lungo possibile
la vecchia funivia come impianto di cantiere per i lavori di
costruzione della stazione a monte e dei plinti di fondazione, nonché di ridurre al minimo i tempi di costruzione della
stazione a valle dopo il loro smantellamento, la fondazione a
pali di sinistra, posta fuori dalla vecchia stazione, è stata realizzata in anticipo. La parte adiacente dell’edificio e la fondazione a pali di destra, che si sono trovati in parte nel pozzo
delle pulegge preesistente, hanno potuto essere adeguatamente realizzati dopo lo smontaggio del vecchio impianto a
fune e dopo lo smantellamento della vecchia stazione a valle, senza alcun intoppo e nel rispetto dei tempi.
La sottostruttura della facciata protesa in avanti è
stata dimensionata come un telaio resistente a flessione,
sospeso senza sostegni nell’area di accesso. Per il dimensionamento della struttura del tetto sul lato monte, con i suoi
piloni obliqui lunghi circa 13 m disposti nel terzo anteriore,
sono stati considerati come criteri determinanti, oltre ai carichi gravitazionali, anche il carroponte e gli effetti sismici.
Stazione a monte
La struttura costruttiva della stazione a monte è ampiamente comparabile con quella della stazione a valle. Siccome la stazione a monte doveva essere realizzata per prima e al di fuori dell’area dell’edificio preesistente, a livello di
pianta è stato possibile evitare di dover procedere per fasi.
Presenta una peculiarità: l’intercapedine della fondazione a
pali è sfruttata come nuovo accesso invernale alla diga.
Degno di nota è il fatto che, secondo l’apposita perizia,
doveva essere considerato un valore caratteristico del carico da neve pari a 13,2 kN2 con corrispondente accumulo di
neve per le parti aggettanti del tetto. Grazie a una struttura
resistente alla flessione prevalentemente incernierata e ai
pilastri che si rastremano verso il basso è possibile trasferire
in maniera affidabile questi elevati carichi nelle pareti di calcestruzzo alte fino a 12 m. La struttura del portale è ancorata
in basso per assorbire le sollecitazioni.
La sottocostruzione dei locali di comando interni è stata
anch’essa realizzata prevalentemente in acciaio. Per questioni operative è stata ritenuta come la più idonea una struttura
obliqua, per lo più senza pilastri a livello dell’officina.
Questioni costruttive
Oltre alle consuete complicazioni dell’edilizia d’alta montagna, è stata posta particolare attenzione alle tradizionali superfici in calcestruzzo a vista bocciardato con relativo trattamento idrorepellente. Siccome per la stazione
a monte il calcestruzzo è stato realizzato sul posto, è stata
imprescindibile un’ampia campionatura in loco. La minuziosa pianificazione delle fughe di lavoro delle alte pareti di calcestruzzo è stata funzionale non solo all’aspetto finale, ma
anche a uno svolgimento ragionato dei lavori.
Per i massicci elementi costruttivi è stato scelto un calcestruzzo a indurimento lento con ridotta temperatura del
calcestruzzo fresco. Grazie al rigoroso rispetto dei tempi di
disarmo, così come alla durata e ai metodi di maturazione, è
stato possibile ottenere un calcestruzzo di ottima qualità.
Grazie allo straordinario impegno di tutti i soggetti coinvolti è nata così un’opera complessivamente riuscita,
per non dire eccellente.
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Modellazione strutturale stazione a valle
Modellazione strutturale stazione a monte
Assonometria pilone 1. Fonte Garaventa AG
Sezione plinto pilone 1
Modellazioni Edy Toscano SA
Piloni
Numero piloni
Altezza pilone 1 (altezza fune)
Altezza pilone 2 (altezza fune)
Altezza pilone 3 (altezza fune)
Uscita intermedia (lato unico)
Forza di appoggio massima delle
funi portanti al pilone 1 (per linea)
Ancoraggio funi portanti
Sistema
Ancoraggio presso la stazione
a monte
Forza di trazione massima
di una fune traente
Forza di trazione massima
di una linea
3
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25,0 m
17,0 m
pilone 2
440 kN
Ancoraggio fisso presso
entrambe le stazioni
Colonna ø 2’600 mm
562 kN
1124 kN
L’ARCHITE T T UR A DELL A VAL BREG AGLIA 29
Fondazione a plinti
Tutti i pilastri di fondazione poggiano su plinti. Questi
ultimi sono realizzati su misura degli ancoraggi e pertanto
completati con un getto di calcestruzzo di riempimento solo
dopo la posa.
La disposizione geometrica dei 4 punti di appoggio
consente in parte di realizzare una platea comune, riducendo così le forze simmetriche in direzione trasversale a forze
interne più vantaggiose dal punto di vista della certificazione di stabilità al ribaltamento e allo scorrimento.
La costruzione della fondazione per il pilastro 1 si è rivelata un vero rompicapo progettuale e costruttivo. Il pilastro
in questione è infatti posto in un punto molto ripido e difficilmente accessibile, nelle immediate vicinanze di un settore di
protezione delle acque. Si è rivelata qui vantaggiosa una costruzione compatta. Questo principio costruttivo si è rivelato
funzionale ai fini di un costo equilibrato dei lavori per le movimentazioni di terra e per la posa in opera del calcestruzzo.
Autore: Edy Toscano SA
Impianto di risalita
Si tratta di una moderna funivia a va e vieni con due
veicoli che presentano entrambi una capienza di 8 persone o
massimo 1200 kg.
Per il trasporto di materiale, le cabine per le persone
possono essere sostituite da dispositivi di sollevamento. In
questo caso il peso massimo arriva a 5000 kg, compreso il
dispositivo di sollevamento (carico in sospensione).
Procedura seguita per il cavo
Sono state riutilizzate le funi della vecchia funivia. Con
la vecchia linea sono state inoltre inserite due cosiddette
funi ausiliarie, ancorate davanti alle stazioni.
Dopo la costruzione di stazioni e piloni, le funi ausiliarie sono state congiunte con le nuove funi e tirate da valle a
monte mediante un verricello. La forza di trazione massima
del verricello a monte era pari a 16 t, mentre a valle è stata
applicata come freno una forza massima pari a 8 t, affinché
le funi portanti scorressero sopra il bosco senza impigliarsi
negli alberi.
In corrispondenza delle stazioni le funi portanti sono
state avvolte attorno alle colonne e successivamente tese
alla massima forza di trazione. La fune traente è stata successivamente chiusa ad anello continuo a monte con il contrappeso e a valle mediante l’azionamento.
Autore: Garaventa AG
┌
Ubicazione: Pranzaira, Vicosoprano Committente: ewz,
Elektrizitätswerk der Stadt Zürich, Zurigo
Architettura: Alder Clavuot Nunzi Architekten, Soglio Ingegneria
civile: Edy Toscano SA, Pontresina Tecnica degli impianti di
trasporto a fune: Garaventa AG, Seilbahntechnik, Rotkreuz Date:
concorso 2014, realizzazione 2016
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Der Seilbahn Albigna
Die von dem Züricher Energieunternehmen ewz in Auftrag
gegebene neue Seilbahn von Albigna führt bis zu dem
gleichnamigen Staudamm. Zur Modernisierung der
Seilbahn mussten auch die Tal- und die Bergstation
erneuert werden, die bei begrenzten Investitonssummen
das Unternehmen repräsentieren, Anklang bei der
Öffentlichkeit finden und gut in die Landschaft eingebettet
werden sollten. Aus diesem Grund wurde eine einfache
Wellblechhülle verwendet. Die Konstruktion besteht
dagegen aus Stahl und ruht auf einem Betonsockel.
Die beiden Stationen sind jedoch nicht identisch, sondern
unterscheiden sich durch funktionale Anforderungen an
die Zugangstreppe und an das Dach, das bei der Talstation
über die Fassade hinweg auskragt, in der sich die Seilbahnkabine befindet. Das Dach der Bergstation ist kompakter
gestaltet und entspricht im Wesentlichen dem Grundriss
am Boden. Unter einer geneigten und überstehenden Seite
der Talstation werden die Treppe und der Wartebereich
untergebracht.
Da es sich um ein Bauwerk für das Hochgebirge handelt,
wurde der aufgeraute Beton mit wasserabweisenden
Mitteln behandelt. Für die Bergstation wurde er vor Ort
unter Zusatz von Verzögerern gemischt. Nennenswert sind
auch die Pfeiler – der höchste ist 30 Meter hoch –,
die Aufstiegsanlagen und die für die Inbetriebnahme
der Tragseile zum Einsatz gebrachten Verfahren.
L’ARCHITE T T UR A DELL A VAL BREG AGLIA 30
Armando Ruinelli
architetto della valle
Le prime opere
Alberto Caruso
Heinrich Tessenow spiegava che la semplicità e la povertà non hanno
nulla in comune. La semplicità può rappresentare una grande ricchezza espressiva, mentre la povertà è spesso l’effetto della varietà formale, che è il contrario della
semplicità. Il percorso professionale di Armando Ruinelli, fin dalla metà degli anni
Ottanta, si svolge interpretando la lezione di Tessenow, e dimostra come la semplicità sia l’esito finale di un faticoso processo razionale.
Nel 2012 il lavoro di Ruinelli+Partner è stato pubblicato nella prestigiosa
collana De aedibus della lucernese Quart Verlag. Questo numero di Archi, che illustra alcune delle opere più recenti, ha l’ambizione di essere un aggiornamento della
pubblicazione di Quart. Per consentire, tuttavia, ai lettori di comprendere il percorso progettuale di Ruinelli, è necessario offrire qualche informazione sul suo lavoro
precedente, dal quale abbiamo selezionato tre architetture.
La falegnameria di Spino, del 1990, è un manufatto dalla distribuzione elementare, costituito da un basamento di beton e da un’elevazione tripartita di legno.
La sua forma risolve in modo magistrale le questioni dell’inserimento ambientale.
Più solitamente, infatti, i fabbricati artigianali vengono costruiti lontano dai nuclei
antichi, per la difficoltà di mettere in relazione la loro volumetria con i vecchi edifici.
Al critico di passaggio, la sua forma scalinata suggerisce un’adesione dell’autore al
vocabolario formale degli architetti Analog di Zurigo, ma in realtà il suo disegno è
ispirato ai terrazzamenti con i quali è lavorata la montagna situata dietro all’edificio, mentre la maggiore delle tre quote del tetto riproduce l’altezza delle case allineate sulla strada e si riduce verso il fiume assecondando la pendenza naturale.
La sala polivalente di Bondo, del 1995, è situata sul bordo del letto del torrente, in una situazione orograficamente complessa. Sul basamento di beton, il lungo corpo di fabbrica di legno è illuminato da una grande finestra a nastro che corre
lungo il perimetro e, anche grazie all’aggetto del volume verso la strada che corre a
valle, segnala l’eccezionalità dell’attività sociale ospitata. Gli ingressi e i raccordi
con le aree circostanti a quote diverse, le relazioni del manufatto con il contesto,
sono risolti in modo efficace. Verso sud, un lungo piazzale fa da grande atrio, mentre
a nord una passerella collega la sala all’antico fabbricato oggi sede municipale.
La riqualificazione di una stalla a Soglio, del 2009, e la sua trasformazione
in abitazione è, dei tre che presentiamo, il progetto più complesso per il concetto di
recupero e di modifica d’uso che rappresenta e per le tecniche costruttive adottate. Già pubblicato in Archi 2/2011 (insieme alla casa e atelier per un fotografo, del
2003, sita nel terreno antistante), questo progetto è un esercizio sulla possibilità di
operare trasformazioni radicali dei manufatti antichi – che costituiscono l’insieme
significativo dell’abitato e che per questo vanno protetti – adottando scelte spaziali
e strutturali adeguate e colte. Rimossa la copertura, ai quattro grandi muri angolari di pietra è stata accostata una nuova struttura portante in beton, che ha consentito di concepire con libertà spazi contemporanei resi stimolanti dalla relazione tra i
materiali antichi e quelli moderni. Le grandi aperture che ventilavano la stalla sono
state protette da tavole di legno a tutta altezza che, occultando i serramenti, conferiscono un aspetto figurativamente ambiguo alla costruzione, che acquista una
qualità architettonica nuova. È la messa in opera di quella continuità che Ruinelli
persegue in ogni progetto, con il realismo che Tessenow definisce «la misura che
ogni opera stabilisce con quanto l’ha preceduta».
1 Heinrich Tessenow, Casa Nau-Roeser,
Lostau 1912. Fonte Marco De Michelis,
Heinrich Tessenow 1876-1950, Milano 1991
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Foto Michael Bühler
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Falegnameria a Spino
Pianta piano terra
Sezione longitudinale
Scorcio dal basso
Vista complessiva
Disegni Ruinelli Associati Architetti
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Foto Franco Rigamonti
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Sala polivalente a Bondo
Vista crepuscolare
Sezione longitudinale
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Pianta piano terra
Vista complessiva
Disegni Ruinelli Associati Architetti
Foto Ralph Feiner
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Ex stalla a Soglio
Vista interna
Sezione longitudinale
Pianta piano terra
Scorcio esterno
Foto e disegni Ruinelli
Associati Architetti
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Foto Piero Conconi
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Armando Ruinelli, Architekt des Tals
Der berufliche Werdegang von Armando Ruinelli konzentriert sich seit Mitte der achtziger Jahre auf eine Interpretation der Lehren von Tessenov und zeigt, dass die Einfachheit
in der Architektur das Endergebnis eines mühsamen
rationellen Prozesses ist. Einige Informationen über
Ruinellis frühe Arbeiten sind unverzichtbar, damit die Leser
die Entwicklung seiner Projekte verstehen können.
Die Schreinerei von Spino löst die Fragen der Einbettung
in den Kontext durch die dreigliedrige Form meisterhaft.
Der Multifunktionsraum von Bondo mit der Auskragung
des Baukörpers in Richtung Tal hebt die Besonderheit der
hier stattfindenden gesellschaftlichen Aktivitäten hervor.
Die Umwidmung eines Stalls in Soglio ist aufgrund der
Renovierung und Nutzungsänderung und angesichts der
verwendeten Bautechniken ein komplexeres Vorhaben.
L’ARCHITE T T UR A DELL A VAL BREG AGLIA 34
Costanza e coerenza
Lettera di Nott Caviezel
ad Armando Ruinelli
Caro Armando,
visto che si tratta di te e che il tuo lavoro non cessa di affascinarmi e catturarmi, dopo qualche esitazione ho accettato di riflettere sulla tua opera mettendo su carta i miei pensieri per Archi. Ritenevo infatti di aver detto tutto quello che
avevo da dire nel mio esteso contributo nella monografia a te dedicata edita dalla
Quart. Ora cercherò di ripercorrere nella mente le tue opere e di considerare nuovamente il tutto. Le mie impressioni di quel tempo sono ancora vivide. Chissà se la
Musa mi bacerà regalandomi nuove consapevolezze? Mi sono forse sfuggiti aspetti
che varrebbe la pena di indagare?
Riflettere sull’architettura è più semplice che non scrivere della stessa. I
pensieri volano e si esauriscono, le riflessioni incompiute rimangono un elemento
sfuggevole, nient’altro che una miniera di idee... Quanto misero è limitarsi a meditare sulle tue riuscite opere. Generate dalla mente, hanno infine preso forma su una
solida base: stabili, utili e belle. Lo sai di chi parlo. Il suo codice, spesso citato, non
riesce oggi più a illuminarci in un’epoca in cui in molti luoghi vengono erette costruzioni prive di bellezza, veri e propri insulti alla durabilità nella loro limitazione a una
breve vita utile. Naturalmente sei consapevole che una buona architettura fornisce
risposte convincenti a tutte le domande, che a loro volta, lo si voglia o no, seguono
determinati criteri che riguardano il tutto così come il particolare. Un edificio soddisfa la funzione che gli viene assegnata? Possiede qualità esterne ed entra in una
relazione convincente con ciò che lo circonda, con l’ambiente e con il paesaggio? È
coerente come un tutto e genera una proficua interazione fra la sua parte interna ed
esterna? Le sue dimensioni sono adeguate? Sono adatti i materiali scelti e il modo
in cui è realizzato? Se la risposta è «sì», significa che è già stato fatto molto. Si tratta a
ogni modo di aspetti risolvibili in maniera del tutto razionale, se si ha confidenza col
mestiere che gli architetti dovrebbero padroneggiare. Chi esplora la tua architettura percepisce l’esistenza di ulteriori dimensioni che, pur realmente presenti, non
possono essere apprezzate dalla sola ragione.
Chi si dedica all’osservazione delle tue opere e ne rileva la logica attraverso
la ragione, comprende una componente importante del loro aspetto materiale. È
sempre evidente perché non si perde nelle chiacchiere di forme e materiali, altro-
«Avendo il loro insegnamento
[degli antichi] come punto di
partenza cercheremo di
approntare soluzioni nuove e di
conseguire così una gloria pari
alla loro, se possibile anche
maggiore».
Leon Battista Alberti,
De re edificatoria
Appunti di viaggio di un artista
fiammingo del Quattrocento.
Giovanni da Fano, Costruzione
del tempio Malatestiano,
miniatura dell’Hesperis
di Basinio da Parma, Parigi,
Bibliothèque de l’Arsenal
Castasegna e l’atelier/magazzino dell’artista Miriam Cahn
a Stampa – dimostrano la tua crescita attraverso l’attenzione per i compiti costruttivi sempre nuovi. Adeguati alla loro
funzione e alla loro ubicazione, convincono ancora una volta
per la riduzione dei mezzi a livello di progetto, per i materiali
scelti nonché per l’esecuzione. Con questa vicinanza alla genuinità del mestiere, il «Weiterbauen» diviene con tutta evidenza un approccio progettuale credibile.
I miei più cari saluti, Nott*
Vienna, 19 dicembre 2017
* Nott Caviezel, già caporedattore di werk, bauen+wohnen,
professore all’Università tecnica di Vienna, presidente della
Commissione federale dei monumenti storici.
Traduzione di Andrea Bertocchi
Konstanz und Konsistenz
In Form eines Briefes ergänzt der Autor seinen vor
Jahren in einer Monografie erschienenen Text über
Armando Ruinelli und dessen Werk. Auf der Basis jenes
Beitrags ist im Brief vom soliden Handwerk des Architekten
die Rede. Fest, nützlich und schön seien seine Gebäude.
Während Festigkeit und Nützlichkeit rational überprüft
werden können, entzieht sich die Schönheit selbst bei
Alberti der nüchternen Betrachtung. Die Ästhetik der
Architektur Ruinellis liege wesentlich in ihrer Wahrhaftigkeit, die ihrerseits aus dem historischen Bestand heraus
Kraft und Poesie schöpft. Insofern reihen sich seine Bauten
im nobelsten Sinne in eine erneuernde Tradition der
Geschichte einer Landschaft und eines Ortes ein, ehrlich
und nicht geschwätzig. Hier anzuknüpfen und nicht
mimetisch platt weiterzubauen, sondern aus den Zeitschichten des Bestehenden heraus zu entwerfen, Weiterbauen nicht als hohles Statement zu proklamieren, sondern
als qualitative Weiterentwicklung zu verstehen, gehört zur
hohen Schule. Ruinellis Bauten tragen Erinnerung weiter,
lassen Stimmungen und Sinnlichkeit zu erfahren. Wenn
sich Alt und Neu begegnen, ist der «harmonische Kontrast»
(Max Dvorák) gefragt, den Ruinelli meisterhaft beherrscht,
weil er im Stande ist, zur Essenz der Dinge vorzustossen.
Als zeitgenössischer Dialekt wird Ruinellis Architektur im
trägen Fluss der althergebrachten Sprache verständlich.
Die Anspielung auf Alberti weiterführend, erinnert der
Brief schliesslich an den Begriff der Konformität. Die
eigentlich so nahe liegende «convenienza» oder «conformità» ist als wesentliches Harmonieprinzip der Architektur
heutzutage in Vergessenheit geraten, wo es doch gerade
beim Weiterbauen essentiell ist. Diesem alten Gebot
verpflichtet, bereichert die Architektur Ruinellis – gleichgerichtet und doch anders als der Bestand – in Fortsetzung der
Tradition die Gegenwart.
L’ARCHITE T T UR A DELL A VAL BREG AGLIA 35
ve tanto diffuse. Sono forse un romantico se individuo nella riduzione e nella limitazione l’aspetto più veritiero delle
tue opere? Era Ruskin che nel XIX secolo parlava di verità
e sincerità dell’architettura aborrendo illusioni e menzogne.
Percepisco anche in te la sua predilezione per l’esistente,
che porta in sé storia e storie che animano il presente. Senza
alcun eccesso di pathos. Ne sono certo: anche tu ti addentri
in quanto ti circonda, nel luogo e nel paesaggio. In loro giace il ricordo, un’esigenza primaria dell’uomo che per questo
motivo può togliere tanto all’eredità culturale. Al principio
non c’è forse il sentimento in grado di percepire sensazioni
ed esperire la sensualità? Voglio dire, su questa base anche
il tuo fiuto e la tua pronunciata intuizione per le dimensioni,
ilcorpo, la forma e i materiali «creano», generando in fondo
una forza poetica con grande ambizione.
Tutti parlano di costruzione continua, conferendo
tuttavia al concetto significati molto diversi fra loro. Mentre alcuni creano consapevolmente fratture mettendo in
scena le proprie opere e se stessi, tu hai scelto il percorso
opposto. L’opzione più difficile, a parer mio, visto che non
ti accontenti di un’imitazione mimetica, non intendi la costruzione continua come banale affermazione, bensì come
perfezionamento sotto il profilo qualitativo. Progettare partendo dal patrimonio storico è alta scuola, dimostrargli il dovuto rispetto è per te una necessità. In questo modo, ciò che
fai è in un certo senso conservazione dei monumenti storici.
Oltre un secolo fa Georg Dehio, Alois Riegl e Max Dvorák,
tre antesignani della moderna conservazione del patrimonio storico, invocavano che tale attività non fosse mossa da
una ricerca del piacere, ma divenisse un esercizio di pietà.
Pietà verso opere passate dimostratesi in grado di resistere sino al presente: singoli edifici, il paese, il paesaggio. Un
tale rispetto non comportava una cristallizzazione, quanto
piuttosto sviluppo e innovazione. Max Dvorák, che non si
occupò solo di conservazione dei monumenti storici ma anche sapientemente dell’avanguardia dell’epoca, si espresse
a favore di un «armonico contrasto» fra vecchio e nuovo. Che
ciò non rappresenti una contraddizione lo dimostrano le tue
nuove costruzioni, i tuoi cambiamenti di destinazione d’uso
e le tue ristrutturazioni di edifici preesistenti. Anche questa
è alta scuola, visto che la ricerca di un contrasto adeguato
richiede innanzitutto di avvicinarsi all’essenza delle cose.
La tua architettura genera senso e influenza anche perché
in un certo modo si rende comprensibile quale dialetto contemporaneo nel lento fluire del linguaggio tradizionale.
I nonconformisti godono di una certa attenzione, laddove il conformismo è gravato da un’insipida noia. Nel quadro della storia dell’architettura, uno dei valori fondamentali è fin da Vitruvio la conformità architettonica. Come
ebbe modo di formulare Georg Germann, anche Alberti,
che quindici secoli dopo riprende sotto molti aspetti Vitruvio, tratta la convenienza, se non addirittura la conformità,
quale armonico principio guida dell’architettura. Il motivo
non è qui la pietà quanto piuttosto la convinzione che a livello architettonico il nuovo debba essere custodito nel vecchio, e sua volta il vecchio nel nuovo. Di conseguenza, solo
la raggiunta consapevolezza della diversità del patrimonio
consente l’adeguamento del nuovo. Così come il ricordo, anche il desiderio di continuità è un’esigenza primaria dell’uomo. Vista così, caro Armando, la tua architettura è vocata
alla conformità nel senso più nobile, una conformità elogiata già molto tempo prima di noi da autorevoli architetti e
teorici. Preservando lo stesso orientamento del patrimonio
esistente pur sottolineando la propria diversità, la tua architettura arricchisce il presente in quanto proseguimento
della tradizione. Hai un lungo respiro e dimostri costanza e
coerenza. Le tue opere più recenti – la casa unifamiliare di
L’ARCHITE T T UR A DELL A VAL BREG AGLIA 36
Armando Ruinelli
foto Ralph Feiner
Casa unifamiliare,
Castasegna
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Committenza: Siska Willaert e Arnout Hostens, Castasegna
Architettura: Ruinelli Associati Architetti - Armando Ruinelli,
Soglio Collaboratori: F. Giovanoli, A. Innocenti Ingegneria
civile: Moreno Giudicetti, Edy Toscano AG, St. Moritz
Fisica della costruzione: Kuster + Partner AG, Coira Fotografia:
Ralph Feiner, Malans Date: progetto e realizzazione 2012-2013
La progettazione di questo nuovo edificio segue il terreno e il suo pendio e trova delle soluzioni architettoniche
adeguate e espresse dalla sezione.
Il tetto nel suo fronte principale è in contropendenza rispetto al terreno, abbassandosi dal prospetto principale
a sud verso la linea di impluvio della falda. L’innalzamento
della falda conferisce un effetto slanciato all’edificio, che è
compatto, lungo e stretto.
La composizione delle facciate è risolta con bucature in
formati diversi, tra loro legati da rapporti proporzionali. La superficie degli esterni è ottenuta con intonaco monostrato in
malta di calce, cemento e ghiaietto, applicato e «lavato» a mano.
All’interno, la lunga scala e il corridoio permettono di
leggere l’edificio in tutta la sua lunghezza e altezza.
La costruzione è essenziale, declina l’archetipo del muro
«a tutto spessore», costituito da un unico mattone con funzione strutturale e isolante. Le solette sono in calcestruzzo a vista
e i pavimenti in betoncino autolivellante, finito ad olio, a mano
dagli stessi proprietari. La cucina è concepita come un «laboratorio» e realizzata in calcestruzzo nero, gettato sul posto.
Si tratta di una casa costruita con poche risorse e materiali utilizzati al grezzo. Tuttavia il budget ridotto non ha compromesso né la qualità architettonica né la ricerca compositiva, compresi il progetto del dettaglio e la cura artigianale.
B
A Villa Garbald, 1862-1864, arch. Gottfried Semper,
restauro 2002/2003, arch. Miller & Maranta
B Roccolo, 2003/2004, arch. Miller & Maranta
A
0
20
50
100
N
1
2
0
1
5
10
3
L’ARCHITE T T UR A DELL A VAL BREG AGLIA 38
Costruzione copertura inclinata
Calcestruzzo, 25 cm
Barriera al vapore (tipo EVA), 0.3 cm
Isolamento termico (tipo swissporPUR Alu lose), 16 cm
Impermeabilizzazione, guaina polimerica bituminosa
(tipo EGV3 lose), 0.3 cm
– Impermeabilizzazione, guaina polimerica bituminosa
(tipo EP4 flam wf), 0.4 cm
– Fibra sintetica/tessuto non tessuto
– Ghiaia, 5 cm
B
B Costruzione muro perimetrale fuoriterra
– Mattone di laterizio isolante (tipo Porotherm PTH T7 – 42.4), 42.5
C Costruzione copertura ingrsso
– Calcestruzzo, pendenza 0.5% - 1%, spessore min 18 cm
– Ghiaia, spessore max 12.5 cm
D
–
–
–
–
–
–
Costruzione soletta controterra
Betoncino autolivellante, 9 cm
Strato di separazione (tipo Trenn/Gleitlage PE-Folie), 0.2 mm
Isolamento termico (tipo swissporPUR Alu), 14 cm
Impermeabilizzazione (tipo VA 4), 0.4 cm
Platea in calcestruzzo, 20 cm
Magrone, 5 cm
1
2
3
4
Pianta piano entrata
Pianta piano primo
Sezione longitudinale
Sezione di dettaglio
C
Testo e disegni Ruinelli Associati Architetti
D
4
0
50
100
200
L’ARCHITE T T UR A DELL A VAL BREG AGLIA 39
A
–
–
–
–
A
L’ARCHITE T T UR A DELL A VAL BREG AGLIA 40
Armando Ruinelli
foto Ralph Feiner
Cimitero
San Lorenzo, Soglio
┌
Committenza: Comune di Bregaglia, Comune di Soglio
Architettura: Ruinelli Associati Architetti - Armando Ruinelli,
Soglio Collaboratori: F. Giovanoli, S. Giovanoli
Ingegneria civile: Beat E. Birchler, Zernez Fotografia:
Ralph Feiner, Malans Date: progetto e realizzazione 2010
Il progetto di restauro del cimitero prevede la sistemazione delle fosse, la pavimentazione dei percorsi e la predisposizione per la tumulazione delle ceneri nel terreno.
Negli ultimi anni sempre più è richiesta la possibilità
di inserire l’urna cineraria direttamente nella terra, in modo
anonimo, in un contenitore che si dissolve disperdendo le
ceneri. Un elemento indipendente, come per esempio una tavola o una grande pietra, riporta i nomi dei defunti.
L’idea di progetto è di porre le iscrizioni in uno specchio d’acqua, nel quale, insieme ai nomi, si riflettono il cielo
e le montagne.
Abbiamo introdotto perciò due fontane: una approvvigiona l’acqua per annaffiare i fiori, l’altra contiene i nomi dei
defunti.
Le fontane sono collocate in corrispondenza del passaggio di quota tra le due porzioni in cui è strutturato il cimitero, delimitando e precisando i due livelli. Il fondo della fontana è in leggera pendenza e, come su un leggio, si possono
leggere bene i nomi dei defunti incisi su una serie di piastre
di bronzo industriale. Le fontane sono in calcestruzzo scuro perché l’effetto specchiante è accentuato da una vasca
nera riempita di acqua. L’acqua scorre continuamente nella
vasca, immessa sotto la superficie in modo silenzioso, vibra
leggermente per effetto del vento che, senza far rumore, genera poetiche immagini animate di cielo e nuvole.
1 Sezione trasversale
2 Vista laterale
Testo e disegni Ruinelli Associati Architetti
foto Ruinelli Associati Architetti
0
0
0,5
1
0.5
1
2
2,5
1 2
L’ARCHITE T T UR A DELL A VAL BREG AGLIA 42
Armando Ruinelli
foto Ralph Feiner
Atelier
di Miriam Cahn,
Stampa
┌
Committenza: Miriam Cahn, Stampa Architettura:
Ruinelli Associati Architetti - Armando Ruinelli, Soglio
Collaboratori: F. Giovanoli, T. Guerrazzi, A. Innocenti, P. Sterni
Ingegneria civile: Beat E. Birchler, Zernez Fotografia: Ralph
Feiner, Malans Date: progetto e realizzazione 2014-2016
L’edificio di nuova costruzione è sia un contenitore per
materiali e opere sia uno spazio di lavoro per l’artista.
Si tratta di un prisma monolitico e compatto, in aggetto su un basamento arretrato, come se il pesante contenitore
fosse «sospeso» sul terreno in pendenza tra la strada e il fiume.
Si intendeva far emergere la destinazione d’uso artigianale dell’edificio e allo stesso tempo un certa qualità
dell’architettura.
La soluzione suggerita risiede nella scelta del materiale: il calcestruzzo coniuga le due aspirazioni, è un materiale
industriale, ma il progetto del cassero gli conferisce espressività architettonica. Viene utilizzato un calcestruzzo «povero», dove il cassero lascia intravvedere l’imprecisione. La
ricerca della soluzione adatta al controllo dell’imperfezione
è stata molto impegnativa e condotta attraverso prove e modelli in scala 1:1. La scelta ricade su di un calcestruzzo bianco che porta il segno del cassero «imperfetto» in assi grezze;
le finestre delle facciate hanno un ordine «gigante»; i serramenti industriali sono in ferro.
La copertura è in ghiaia; la lattoneria è sostituita da
una gomma sintetica, per conferire all’edificio uniformità di
colore e materiale.
1
2
0
2
5
0
1
10
5
10
L’ARCHITE T T UR A DELL A VAL BREG AGLIA 44
L’ARCHITE T T UR A DELL A VAL BREG AGLIA 45
1 Pianta
2 Sezione trasversale
3 Dettaglio serramento filomuro
Testo e disegni Ruinelli Associati Architetti
–
–
–
–
–
3
Stratigrafia – da interno verso esterno –
Lastre truciolare 1,9 cm
Barriera vapore Ampatex DB 90
Lana di roccia 16 cm
Elemento in calcestruzzo prefabbricato 25 cm
0 10
50
100
0
0,2
0,5
1
L’ARCHITE T T UR A DELL A VAL BREG AGLIA 46
Armando Ruinelli
foto Ruinelli Associati Architetti
Ristrutturazione
Casa 63, Soglio
┌
Committenza: Fam. Schmid, Celerina Architettura:
Ruinelli Associati Architetti - Armando Ruinelli, Soglio
Collaboratori: F. Giovanoli, S. Giovanoli, T. Guerrazzi
Ingegneria civile: Beat E. Birchler, Zernez Fisica della
costruzione: Kuster + Partner AG, Coira Fotografia:
Ruinelli Associati Architetti, Soglio Date: progetto
e realizzazione 2016
Il progetto di restauro si è concentrato sull’architettura
dell’edificio esistente che, sebbene modesto, presentava alcuni caratteri interessanti, da conservare.
Ambienti come la stüa e le camere sono stati restaurati, mentre ogni nuovo intervento è ben visibile, come la cucina, realizzata in lamiera su disegno, e il bagno, con il grande
tavolo nero in calcestruzzo gettato sul posto.
Risulta evidente che il progetto contemporaneo si distingue come riconoscibile e successivo alla struttura originaria.
Uno dei problemi riscontrati in fase progettuale è stata l’altezza ridotta dei locali, perciò sono state adottate delle
soluzioni adeguate per occupare poco spazio con le nuove
solette interpiano. La soletta in calcestruzzo tra il piano terra
e il primo piano ha uno spessore di soli 16 cm, in cui è incluso
tutto, illuminazione, riscaldamento e trattamento finale (il
calcestruzzo è stato lisciato a mano il meglio possibile). Lo
stesso principio è stato adottato con la soletta in legno tra il
primo piano e il piano sottotetto, che, con uno spessore di 12
cm, svolge la funzione di soffitto e pavimento.
L’intervento ha tenuto conto degli aspetti energetici
con il minimo necessario, optando per una coibentazione interna con intonaco isolante.
L’ARCHITE T T UR A DELL A VAL BREG AGLIA 48
0
1
5
10
1
2 4
3 5
L’ARCHITE T T UR A DELL A VAL BREG AGLIA 49
1
2
3
4
5
Sezione trasversale
Pianta piano secondo
Pianta piano terreno
Pianta primo piano
Pianta piano seminterrato
Testo e disegni Ruinelli Associati Architetti
L’ARCHITE T T UR A DELL A VAL BREG AGLIA 50
Armando Ruinelli
Il progetto affronta due temi, la trasformazione di una
stalla con fienile in abitazione e la ricostruzione di un edificio ad esso adiacente e indipendente, originariamente utilizzato come cascina per la produzione del formaggio. L’intervento collega le due piccole costruzioni con un passaggio
interrato, invisibile dall’esterno per non turbare l’equilibrio
dell’insediamento.
I due edifici sono trattati in modo autonomo, pur avendo degli elementi che permettono di leggerli come intervento unitario, per esempio la continuità della pavimentazione.
La stalla presenta un basamento in pietra, consolidato
e intonacato a calce e cemento e rifinito in calce con l’aggiunta di sabbia molto fine, e un fienile al piano superiore realizzato con sistema costruttivo ligneo (Blockbau) al cui interno è
stata «inserita» una stanza di larice massiccio, essenza tipica
della zona. Il portone del fienile, originariamente a due ante,
è stato reinterpretato con una grande porta-finestra in larice,
come tutti i serramenti della stalla, chiusa da un pannello
scorrevole in legno intagliato. Le restanti aperture sono state
ricavate con interventi minimi sulla travatura.
La cascina mantiene posizione e forma originaria e sostituisce al muro in pietra intonacato un nuovo muro in calcestruzzo, isolato e intonacato. L’interno è in calcestruzzo a
vista, ottenuto con cemento bianco. Il cassero è stato composto con tavole a taglio sega di spessore variabile tra i 12 e
i 15 cm. Le aperture riprendono la tipologia preesistente di
finestre molto piccole (circa 25 x 40 cm), sguinciate, ad eccezione di una grande finestra a ovest che incornicia il panorama del lago di Maloja. Le parti in legno sono qui in quercia,
essenza che si accosta al calcestruzzo meglio del larice.
L’esterno è in intonaco di calce e cemento, graffiato il
giorno dopo la posa per conferirgli un aspetto ruvido. Le ante
esterne sono qui in lamiera grezza. La pavimentazione di entrambi gli edifici è in malta battuta, ottenuta con l’aggiunta
di polvere di marmo e impregnata di sapone di marsiglia.
foto Ruinelli Associati Architetti
Trasformazione
e ricostruzione
di due rustici, Isola
┌
Committenza: Fam. Meuli, Zurigo Architettura: Ruinelli
Associati Architetti - Armando Ruinelli, Soglio Collaboratori:
F. Giovanoli, A. Curti, T. Guerrazzi, A. Innocenti, P. Sterni,
S. Giovanoli Ingegneria civile: Moreno Giudicetti, Edy Toscano
AG, St. Moritz Fisica della costruzione: Kuster + Partner AG,
Coira Fotografia: Ruinelli Associati Architetti, Soglio
Date: progetto e realizzazione 2012 – in corso
0
10
25
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N
L’ARCHITE T T UR A DELL A VAL BREG AGLIA 52
3
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4
5
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1
5
10
L’ARCHITE T T UR A DELL A VAL BREG AGLIA 53
1
2
3
4
5
Sezione trasversale dei due edifici
Sezione della cascina, con vista della stalla
Pianta primo piano
Pianta piano terreno
Pianta piano interrato
Testo e disegni Ruinelli Associati Architetti
L’ARCHITE T T UR A DELL A VAL BREG AGLIA 54
Armando Ruinelli
Il progetto consiste nella ristrutturazione di una parte
di edificio residenziale situato nella piazza di Sils Maria, originariamente a destinazione rurale.
La casa è stata sventrata, conservando i muri perimetrali, isolati esternamente con un cappotto intonacato, e la
struttura del tetto, ancora visibile. Le distribuzioni interne
sono state eseguite con nuove solette in calcestruzzo e con
le partizioni verticali necessarie per un programma degli
spazi molto articolato.
I pavimenti dei locali principali sono in parquet di rovere, le pareti sono intonacate in grigio scuro, mentre i soffitti hanno un leggero effetto lucido dato dal gesso bianco
trattato con cera d’api. Gli ambienti di servizio presentano
finiture in ceramica. La nuova scala, in rovere massiccio con
corrimano in legno e parapetto in rame, ha un andamento
«scultoreo», e mette in evidenza la cura del dettaglio. In questa casa è stato disegnato tutto: i letti, gli armadi e la cucina, con un uso colto di materiali locali reinterpretati in veste
contemporanea.
foto Ralph Feiner
Ristrutturazione
di un’abitazione,
Sils Maria
┌
Committenza: Fam. Rittweger, Sils Maria Architettura:
Ruinelli Associati Architetti - Armando Ruinelli, Soglio
Collaboratori: F. Giovanoli, A. Curti, P. Sterni, L. Wieland
Ingegneria civile: Beat E. Birchler, Zernez Fisica della
costruzione: Kuster + Partner AG, Coira Fotografia: Ralph
Feiner, Malans Date: progetto e realizzazione 2014
1
0
20
50
100
N
0
2
2
3
5
0
1
5
10
1 Pianta sottotetto
2 Pianta primo piano
3 Pianta piano terreno
Testo e disegni Ruinelli Associati Architetti
L’ARCHITE T T UR A DELL A VAL BREG AGLIA 56
Apparati
Laura Ceriolo
Guida sentimentale alle Piccole architetture di montagna:
Val Bregaglia*
Non è un’inesattezza che l’aggettivo Piccole sia scritto in maiuscolo: le
architetture che vi presentiamo sono piccole solo in quanto a dimensioni, mentre
sono notevoli qualitativamente, sia quelle di nuova edificazione sia quelle storiche.
Non è neppure vero che tutte abbiano piccole dimensioni, perché in questa guida,
sentimentale perché opera una scelta affettiva che non le comprende proprio tutte, alcune sono più grandi, altre addirittura si presentano a scala territoriale, opere
di ingegneria come le dighe dell’Albigna (1959), la strada a serpentina del Maloja
(1828) e, in misura minore, la diga del Maloja (1980).
La diga ad arco del Maloja, situata nella valle del Forno, protegge i paesi
della Bregaglia dalle inondazioni del fiume Orlegna durante le stagioni di piena.
L’imponente diga a gravità dell’Albigna, macro-struttura in calcestruzzo
ad andamento planimetrico spezzato appartenente ormai al paesaggio della Bregaglia, che al suo interno somiglia a una cattedrale, non solo per la forma, ma anche
per l’atmosfera, è un segno per chi percorre la valle e al tempo stesso si confonde
con le sue montagne. Fatta costruire dalla società elettrica zurighese «ewz», alimenta la centrale idroelettrica di Castasegna, dove, nel castagneto di Brentan, fu
costruito un intero villaggio di case, oltre a quelle di Vicosoprano, per i dipendenti
dell’azienda, dette ancora oggi «case ewz», della cui progettazione fu incaricato l’architetto Bruno Giacometti.
La strada a tornanti che si arrampica inesorabilmente e tortuosamente al
passo Maloja, con i suoi alti muri in pietra naturale che la arginano, dotati di speroni
di rinforzo distribuiti sulla loro superficie, si presenta anch’essa come un progetto a
grande scala che incide l’erto versante della valle fino a raggiungere, oltre il passo,
l’ampia alta Engadina.
Negli anni Sessanta sono numerosi altri i progetti che modificano il volto
della valle: piccole architetture ora a scala «urbana», in beton, si integrano in un
paesaggio sì verde, ma fatto anche di montagne rocciose. La struttura «a fungo»,
ombrello in calcestruzzo per la protezione dei gestori e dei clienti della stazione di
rifornimento City SA a Farzett, progettata dal ticinese Peppo Brivio (1962), è sorta
in occasione della costruzione delle circonvallazioni che liberarono dal traffico i villaggi bregagliotti e rimane oggi un simbolo del passaggio degli italiani per la Bregaglia – dai lavoratori frontalieri ai villeggianti dell’Engadina. Per l’adeguamento
alla nuova viabilità fu costruito anche il casello rosso della dogana di Castasegna
(1959), ora ufficio postale, un lato a livello strada e l’altro sospeso sulla scarpata e
sorretto da pilastri a sbalzo, altra opera di Bruno Giacometti.
Il tipo a torre, di cui la torre Belvedere che domina la valle dal passo del Maloja è antesignana in Bregaglia, è riproposto in chiave contemporanea sia dall’ampliamento di Villa Garbald, il «Roccolo» di Castasegna, ad opera di Miller e Maranta,
sia più recentemente da Hans-Jörg Ruch, che costruisce in località Roticcio presso
Vicosoprano il Rifugio Bregaglia. Si tratta di una dimora che sorge sul lato soleggiato della vallata, dal volume rettangolare verso il paese, ma che dal fondovalle appare come una torre sottile. Le pareti esterne sono in calcestruzzo con inerti (emersi
dopo lavaggio ad alta pressione) derivanti da pietrisco locale da scavo, ciò che rende la costruzione ancora più ancorata al luogo in cui è sita.
L’uso e la lavorazione dei materiali di cui sono costruite, dettagli a scala
macroscopica, contraddistinguono le architetture della Bregaglia. Dal legno alla
pietra naturale a quella artificiale, il calcestruzzo in particolare, composto a sua volta dall’aggregazione di pietrisco locale, tutti i materiali sono lavorati con maestria
e originalità, pur nel rispetto dei luoghi, della tradizione e delle caratteristiche proprie di ciascuno. Una bellezza e un’armonia fatta di architetture rarefatte, che scaturiscono dalla luce e dalle ombre di questa vallata.
* Le architetture non menzionate nel testo sono state commentate
in altri saggi e progetti presentati in questo numero di Archi.
Carta topografica.
Fonte Ufficio federale di topografia
Sils
Lago di Sils
Isola
Maloja
Casaccia
Coltura
Soglio
Spino
Castasegna
Piuro
Vicosoprano
Stampa
Bondo
Promontogno
Lago di Albigna
Chiavenna
Opere*
1
Chiavenna, Palazzo Balbiani, Castello, XV sec.
2
Chiavenna, Collegiata di San Lorenzo, XI-XVIII sec.
3
Chiavenna, Palazzo Salis, XVI sec.
4
Chiavenna, Palazzo Pestalozzi-Pollavini, XVI sec.
5
Chiavenna, Palazzo Pretorio, XVI sec.
6
Piuro, Palazzo Vertemate Franchi, XVI sec.
7
Castasegna, Stazione di rifornimento a Farzett,
1962-1963, arch. Peppo Brivio
8
Castasegna, Casa unifamiliare, 2013,
Ruinelli Associati Architetti
9
Castasegna, Villa Garbald, 1862-1864,
18 Spino, Falegnameria, 1990,
32 Vicosoprano/Albigna, Diga, 1954-1959, ing. W. Zingg
arch. Armando Ruinelli
33 Casaccia, Vestigia della Chiesa San Gaudenzio,
19 Bondo, Sala polivalente, 1995,
arch. Armando Ruinelli
20 Bondo, Palazzo Salis, 1766-1775, arch. Francesco
Croce, restauro esterno 1997-1998
21 Bondo, Chiesa riformata San Martino,
consacrata nel 1250, affreschi 1480,
modificata nel 1617 e nel 1763, restauro 2011
22 Promontogno, Hotel Bregaglia, 1875-1877,
arch. Giovanni Sottovia
arch. Gottfried Semper, restauro 2002-2003,
23 Promontogno, Müraia e Nossa Donna, XII-XIX sec.
arch. Miller & Maranta
24 Coltura, Palazzo Castelmur, 1723, ampliamento
10 Castasegna, Roccolo, 2003-2004,
arch. Miller & Maranta
11 Castasegna, quartiere ewz, 1957-1959,
arch. Bruno Giacometti
12 Soglio, Palazzi Salis, XVI-XVIII sec.
13 Soglio, Cimitero San Lorenzo, 2010,
Ruinelli Associati Architetti
14 Soglio, Ristrutturazione casa 63, 2016,
Ruinelli Associati Architetti
15 Soglio, Casa atelier fotografico, 2003,
Ruinelli associati architetti (cfr. Archi 2/2011)
16 Soglio, Riqualificazione stalla, 2009,
Ruinelli associati architetti (cfr. Archi 2/2011)
17 Soglio, Casa unifamilare, 2015,
Ruch & partner architekten
1850-1854, arch. Giovanni Crassi Marliani
25 Stampa, Museo di valle Ciäsa granda, 1581,
restauro 1721 e 1953
26 Stampa, Atelier Giacometti, stalla del XVIII sec.
trasformata nel 1906 da Giovanni Giacometti
citata intorno al 840, costruita a nuovo nel
1514-1518, consolidamenti e restauri 2009-2015
34 Diga del Maloja
35 Maloja, la strada a serpentina del passo, 1827-1828,
ingegneri Richard La Nicca e Ulysses von Gugelberg
36 Maloja, Case plurifamiliari, 2006-2014,
arch. Renato Maurizio
37 Maloja, Villa Segantini, villa della Châletfabrik
Kuoni 1882; atelier 1898, arch. Giovanni Segantini
38 Maloja, Hotel Kursaal Maloja, 1882-1884,
arch. Jules Rau
39 Maloja, Torre belvedere, arch. Ruch
40 Isola, Trasformazione di una stalla e ricostruzione di
una cascina, 2012-2017, Ruinelli Associati Architetti
41 Sils, Ristrutturazione casa unifamiliare, 2014,
Ruinelli Associati Architetti
27 Stampa, Magazzino per l’artista Miriam Cahn,
2014-2016, Ruinelli Associati Architetti
28 Vicosoprano, località Roticcio, Rifugio
Val Bregaglia, 2014, Ruch & partner architekten
In rosso le opere presentate nella rivista. In grigio
quelle visitabili, ma non pubblicate, elencate da sud a
nord, al confine con l’Engadina, fino ad arrivare a Sils.
29 Vicosoprano, Casa unifamiliare, 2012,
arch. Renato Maurizio
30 Vicosoprano, Pretorio, torre rotonda seconda metà
* Per opere intendiamo qui i manufatti di rilievo
presenti in Val Bregaglia – che geograficamente
XIII sec., restauro 1592, pretorio riedificato nel 1583
si conclude a fondo valle con la città italiana
31 Vicosoprano, Nuove stazioni della Funivia dell’Albigna,
di Chiavenna – siano essi monumenti storici,
arch. Alder Clavuot Nunzi, località Pranzaira
ingegneristici o architettonici.
58
COMUNIC ATI
Basi per
l’applicazione
del metodo
BIM
Manfred Huber
Prof. Manfred Huber, arch. dipl. ETH SIA, presidente commissione SIA 2051 BIM, contitolare
aardeplan Architekten ETH SIA, responsabile
Kompetenzzentrum Digitales Entwerfen und
Bauen, FHNW
Con il quaderno tecnico SIA 2051 BIM, in consultazione, la SIA stila un
importante testo utile alla comprensione di questo nuovo metodo. È in
elaborazione anche un altro documento sull’impiego pratico del BIM.
Il Building Information Modelling (BIM)
è ormai sulla bocca di tutti, soprattutto
da quando si è tenuta la fiera «Swissbau
2016». Gli architetti e i progettisti si confrontano con questo nuovo metodo, sempre più utilizzato. Anche i committenti richiedono sempre più l’impiego del BIM,
fiduciosi che questo strumento innovativo apporti un netto miglioramento nei
processi di progettazione, costruzione e
gestione, agevolando la realizzazione di
opere qualitativamente migliori.
Nel contempo, gli esperti del settore
discutono sulle possibilità di impiego del
BIM. Le opinioni divergono fortemente, e
per molti il nuovo metodo suscita qualche perplessità. Con il quaderno tecnico
SIA 2051 «Building Information Modelling (BIM) – basi per l’applicazione del
metodo BIM», posto in consultazione a
inizio luglio, la SIA apporta un importante contributo atto a chiarire e oggettivare la discussione in materia. Il quaderno
tecnico è stato stilato da una commissione di 18 specialisti, provenienti da tutti i
gruppi professionali SIA. Nel documento
sono confluiti anche know how ed esperienze raccolti in seno a scuole universitarie, CRB e KBOB.
Consenso a livello terminologico
La commissione si è accordata, definendo per il quaderno tecnico una serie
di principi fondamentali. Il Building Information Modelling è un metodo che
utilizza i modelli delle opere in formato
digitale. Tali modelli sono una raccolta di
dati informativi, rappresentano un’astrazione della realtà e illustrano nel contempo le caratteristiche delle opere. Per infondere, sin dall’inizio, chiarezza a livello
terminologico, il quaderno tecnico definisce l’acronimo BIM e numerosi altri termini utilizzati in concomitanza con l’applicazione. Il documento descrive inoltre
l’organizzazione di una procedura BIM
con il suo componente principale, il piano di sviluppo del progetto BIM. In questo ambito si approfondiscono aspetti
come la formulazione dell’obiettivo, i
contenuti dei modelli e la loro coordinazione. Sono spiegate anche le forme e la
portata delle diverse possibilità di impiego del BIM e la conseguente integrazione dei modelli di opere. Il quaderno tecnico definisce le persone coinvolte e il loro
ruolo, assegnando le rispettive mansioni
e responsabilità. Il capitolo conclusivo,
intitolato «Prestazioni», illustra in modo
chiaro come la fornitura di prestazioni
possa cambiare con l’applicazione del
metodo BIM. Questo aspetto viene spiegato con le quattro domande «Quando?», «Cosa?», «Chi?» e «Quanto?». Nel contempo si definisce come tenere conto di
possibili cambiamenti negli esistenti regolamenti per gli onorari. Si fa riferimento anche ai cambiamenti relativi alle disposizioni contrattuali e agli ambiti
giuridici coinvolti (p. es. diritto di utilizzo).
Nessun nuovo sistema
di classificazione
Il quaderno tecnico SIA 2051 costituisce una base per l’applicazione del metodo BIM ed è utile alla comprensione, pertanto esso non fa volutamente alcun
riferimento ad altre norme o regolamenti. Nel documento si rinuncia espressamente a stabilire un nuovo sistema di
classificazione, definire nuovi attributi o
fissare principi qualitativi o quantitativi
sulla fornitura di prestazioni e sulla relativa remunerazione, dimostrando invece
come il metodo possa essere già impiegato con le norme, i regolamenti e gli
standard in vigore. In futuro tuttavia sarà
necessario adeguare gli strumenti di lavoro esistenti o crearne di nuovi, tenendo
conto della progressiva digitalizzazione
delle procedure di progettazione e realizzazione. Per farlo sarà necessario raccogliere maggiori esperienze in materia di
best practice.
Contemporaneamente al quaderno
tecnico è in programma la pubblicazione
del documento SIA D0256 BIM. Stilato
sotto la supervisione della commissione
SIA 2051, esso si compone di due parti:
nella prima si approfondiscono le sfide
che l’implementazione del BIM implica
all’interno di un’azienda; nella seconda,
più corposa, si illustra invece un progetto
modello, realizzato mediante il BIM. Qui
l’applicazione del metodo BIM è spiegata
in modo concreto e pratico. Sono definiti i
vari elementi del piano di sviluppo del
progetto BIM e il loro nesso con i modelli
digitali. Per quanto concerne le prestazioni, il documento mostra come sia possibile armonizzare la retribuzione sulla
base dei regolamenti per gli onorari at-
tualmente in vigore. Il documento SIA
D0256 rappresenta dunque, per i suoi
contenuti, un importante complemento,
orientato alla prassi, del quaderno tecnico SIA 2051, il cui scopo principale è creare una base di comprensione comune.
Lacune nel modello IFC
Il quaderno tecnico e la documentazione agevolano in modo considerevole
l’impiego del BIM nella prassi quotidiana, tuttavia per progettare con il BIM la
via non è ancora del tutto priva di ostacoli: né il quaderno tecnico né la documentazione definiscono infatti le caratteristiche degli oggetti impiegati nei modelli
delle opere in formato digitale. Tali caratteristiche sono oggi descritte nel formato
IFC (ISO 16739).
Il formato IFC è un modello di dati
completo e solido, ma ha qualche lacuna.
Diverse caratteristiche (p. es. materiali) e
attribuzioni relative alle fasi di progettazione, costruzione e gestione, non sono
standardizzate. Su scala europea, per eliminare tali lacune si stanno compiendo
sforzi considerevoli con il CEN TC 442
BIM. Ciononostante la Svizzera dovrà
adattare caratteristiche e attribuzioni in
base alla cultura della costruzione elvetica, ad es. rendendole accessibili mediante un database pubblico delle caratteristiche. Una soluzione che, tra l’altro, in
Austria viene già offerta agli utenti, con
le generazioni di software più all’avanguardia. Senza un’ulteriore standardizzazione delle caratteristiche e delle corrispettive fasi, l’interoperabilità resterà
limitata.
┌
Il quaderno tecnico SIA 2051
Sarà presumibilmente pubblicato nell’autunno
2017. Non è ancora stata definita la data in cui
il quaderno tecnico sarà pubblicato in italiano.
Trovate la bozza e il relativo formulario su:
www.sia.ch/vernehmlassungen
59
COMUNIC ATI
Riflessioni
di fine anno
Stefan Cadosch
Presidente SIA
Sguardi, Svizzera 2050, Netzwerk
Digital – anche nel 2017 la SIA partecipa al dibattito pubblico in veste di
vettore e catalizzatore di un pensiero
responsabile, sostenibile e all’avanguardia.
Qualche mese fa, la popolazione svizzera ha detto «no» all’abbandono accelerato dell’energia nucleare. C’è già chi afferma che con questo rifiuto, il popolo
sovrano abbia voluto dire «no» alla rinuncia all’atomo. Io la penso diversamente, e
anche la nostra futura presidente della
Confederazione, Doris Leuthard, è dello
stesso parere: «La popolazione vuole l’uscita dal nucleare, ma l’abbandono avverrà progressivamente, e non in modo
precipitoso».
La lungimirante trasformazione del
nostro sistema energetico dovrà avvenire
in modo ben riflettuto, partendo innanzitutto dalla decarbonizzazione per rimediare al riscaldamento climatico. Dobbiamo però anche allontanarci da un ciclo
di produzione energetica che genera
emissioni e comporta rischi imponderabili. Ciò giustifica pienamente un abbandono pianificato dell’energia nucleare,
come previsto dalla Strategia energetica 2050.
Produzione di calore
a zero emissioni
Dato che il motore decisivo per lo sviluppo della produzione di energia rigenerativa è la domanda stessa, è quest’ultima
che va aumentata. Ed è qui che entriamo
in gioco noi, architetti e ingegneri. Il parco immobiliare svizzero consuma il 49%
di energie fossili e il 14% di energia nucleare. Siamo quindi noi, con le nostre proposte e soluzioni, a dovere convincere le
persone che continuano a riscaldare
le proprie case a olio, gas e legna, ad optare per le tecnologie a zero emissioni.
Attraverso le ottimizzazioni d’esercizio è
possibile contenere enormemente il consumo di energia elettrica. Questi approcci non sono che singoli esempi di come
possiamo condizionare e limitare in modo importante la dipendenza della nostra
società dall’energia fossile e nucleare.
Il fatto che sia possibile evitare emissioni nocive e creare nel contempo un
plusvalore a livello sociale, economico e
di cultura della costruzione, l’hanno dimostrato a chiare lettere, una volta di più,
anche i progetti candidati al riconoscimento SIA «Umsicht – Regards – Sguardi
Stefan Cadosch, presidente SIA, aprile 2016, a Zugo. Foto Manu Friederich
2017». Proprio per questo attendo con
grande impazienza uno degli appuntamenti cruciali di questo nuovo anno: la
cerimonia di premiazione, che si terrà il
22 marzo nella nuova ala del Museo nazionale di Zurigo. «Sguardi» è uno strumento di sensibilizzazione e una fonte
d’ispirazione, un invito a seguirci in questo cammino verso una lungimirante
trasformazione del patrimonio costruito
svizzero.
Progetto di ricerca «Svizzera 2050»
Rinnoviamo il nostro appello anche
con un altro impegno importante: il progetto di ricerca «Svizzera 2050 - territori e
opere». L’obiettivo è quello di elaborare
una visione unitaria dello sviluppo territoriale, volutamente orientata allo stesso
orizzonte temporale della Strategia energetica, poiché le trasformazioni in materia energetica e di pianificazione territoriale sono strettamente legate. Si tratta
di un progetto fondamentale che, oltre
ad offrire una visione di quella che sarà
la Svizzera nel 2050, ci fornirà anche informazioni preziose per la prassi professionale dei membri SIA. Inoltre ci permetterà di capire in quale direzione articolare
le norme e orientare i nostri corsi di formazione continua e perfezionamento professionale. Con questo progetto la SIA
sottolinea, non da ultimo, il ruolo pionieristico che assume nell’ambito di un’organizzazione lungimirante, innovativa e di
alto valore qualitativo dello spazio vitale
svizzero.
BIM: sfide e occasioni
La terza sfida con cui la SIA dovrà confrontarsi è la digitalizzazione. La «fantascienza che diventa fatto scientifico»,
queste le parole usate dal futurologo
Gerd Leonhard in occasione del Dîner
SIA 2016 per descrivere l’evoluzione delle
tecnologie dell’informazione. Ciò che tale
trasformazione possa significare cominciamo solo ora a immaginarlo, ma quel
che è certo è che l’evoluzione informatica
avrà ripercussioni profonde sul lavoro di
noi architetti, architetti paesaggisti, urbanisti e ingegneri, cambiando sostanzialmente il nostro profilo professionale e il
nostro ruolo nella società. Personalmente vivo questi sviluppi come una sfida e
trovo entusiasmante poter essere protagonisti di questo momento della storia.
Se contribuiamo attivamente a forgiare
questo momento storico, con l’intervento
di «Netzwerk Digital» e dei gruppi professionali SIA, si presenteranno nuove vie e
possibilità per l’architettura e l’ingegneria e si apriranno altre prospettive. Dobbiamo però anche condurre un dibattito
sui vantaggi, ma anche sui limiti di tale
evoluzione, soprattutto perché con la progressiva digitalizzazione, vi è anche una
parte crescente di popolazione che si
preoccupa per il futuro.
Colgo l’occasione per rivolgere i miei
più calorosi ringraziamenti a tutti coloro
che hanno sostenuto la nostra Società in
quest’anno trascorso, sia nell’ambito di
progetti come «Sguardi» o «Svizzera 2050»,
oppure «Netzwerk Digital», ma anche
nell’elaborazione delle nostre norme o collaborando in seno al Comitato, ai gruppi
professionali, alle sezioni, alle commissioni e all’Ufficio amministrativo. Costruiamo insieme un futuro degno di essere
vissuto!
60
COMUNIC ATI
«SIA-Service»
festeggia
10 anni
Frank Peter Jäger
Redattore responsabile Pagine SIA
[email protected]
Sono già trascorsi dieci anni da
quando la SIA ha lanciato «SIA-Service», un ventaglio di prestazioni rivolte
alle ditte affiliate. Mike Siering (cofondatore) e David Fässler (responsabile dal 2014) tirano un bilancio intermedio.
Come nasce l’idea di «SIA-Service»
nel 2006?
Mike Siering: In quel periodo gli studi
di progettazione avevano espresso l’esigenza di ricevere informazioni che andassero anche oltre i temi tecnici e specialistici legati alla costruzione. La richiesta
verteva soprattutto sulla possibilità di acquisire un know how di base in materia
di gestione aziendale. Su iniziativa del nostro ex presidente, Daniel Kündig, abbiamo messo a punto alcune prime offerte rivolte alle ditte: consulenza in materia di
gestione aziendale, rilevamento statistico e salariale, borsa d’impiego e così via.
Dal 2006, il profilo della SIA si è trasformato in modo sostanziale. Ciò ha avuto delle conseguenze per SIA-Service?
Mike Siering: È vero, le prestazioni SIA
si sono sempre più diversificate, il che ha
certamente influito anche sulle offerte di
SIA-Service. Inoltre, per alcuni servizi, si
sono ottimizzate alcune modalità, facilitando l’utenza, per esempio nel caso del
rilevamento statistico e salariale (prima
disponibile in forma di dossier, oggi accessibile per via elettronica). Ora bastano pochi clic per confrontare gli indici
economico-aziendali della propria ditta
con la media del settore. Con SIA-Service
cerchiamo inoltre un dialogo diretto con
le ditte affiliate.
In che modo?
David Fässler: Offrendo regolarmente
un ventaglio di prestazioni. Oltre ai rilevamenti statistici e salariali, SIA-Service
organizza corsi e diverse altre opportunità di scambio, da cui nascono numerosi
contatti. Una delle formule di maggiore
successo è l’«Erfa», che sta per Erfahrungsaustausch (scambio di esperienze). Una
volta all’anno invitiamo in sede un relatore a parlare di temi specifici, in presenza
di una decina di membri affiliati come
ditta SIA.
Manteniamo volutamente piccolo il
gruppo di presenti, in modo che i parteci-
1
panti si sentano a loro agio e possano
porre le proprie domande. Un’altra buona
occasione di contatto è il Dîner SIA annuale, con circa un centinaio di invitati.
Non sono state mai mosse critiche sul
fatto che, facendo una distinzione tra affiliazione come membro individuale e come ditta, la SIA separi i membri in due categorie?
Mike Siering: Non mi sono mai giunti
commenti al riguardo, penso che l’idea e
le motivazioni di un’ampliata offerta di
servizi siano sempre state concepite come plausibili.
La quota per affiliarsi come ditta è molto
più elevata?
Mike Siering: Le quote sono calcolate
in base alla somma salariale soggetta
all’AVS. Per ogni ditta è diverso. Più lo
studio è grande e più collaboratori vi lavorano, tanto più elevata sarà anche la
quota di affiliazione.
Le prestazioni di SIA-Service potrebbero
essere adattate e offerte anche ai membri
individuali?
David Fässler: Alcuni di questi servizi
sono già stati adattati, pensiamo ai corsi
di gestione aziendale proposti da SIAForm. Comunque, penso che invece di
uniformare i servizi, dovremmo mettere
maggiormente a fuoco lo status delle ditte affiliate.
Mike Siering: I vantaggi che apporta
un’affiliazione come ditta dovrebbero risaltare in modo chiaro. Ecco perché anche in futuro è importante che vi siano
delle offerte rivolte espressamente alle
ditte affiliate, come le conferenze specialistiche sull’attuale situazione congiunturale nel settore.
Attraverso le offerte di benchmarking e i
corsi di gestione è stato possibile promuovere tra i membri uno spirito più imprenditoriale?
Mike Siering: Sì, ritengo di sì. Se penso
ai partecipanti ai miei corsi, persone che
si accingono ad assumere la mansione di
quadri, resto a bocca aperta nel vedere
con quale entusiasmo affrontino oggi i
temi legati alla gestione aziendale. Per la
maggior parte degli architetti e degli ingegneri il «management» ha perso quel
suo connotato negativo, ormai fa parte
del tutto. Dieci anni fa, le cose stavano diversamente.
David Fässler: L’aumentato interesse
è confermato anche dal crescente numero di partecipanti ai sondaggi. Quest’anno hanno partecipato al rilevamento statistico ben 300 studi, quasi un centinaio
in più di due anni fa. Ciò dimostra che
sempre più ditte accordano un’importanza crescente al fatto di saper gestire uno
studio anche dal punto di vista aziendale
e finanziario. È il più bel risultato che potessimo ottenere.
Che cosa avete in progetto per il futuro
prossimo?
Mike Siering: Sperimentare nuove vie,
senza paura del cambiamento. Forse un
giorno riusciremo a stabilire un rapporto
più stretto, quasi familiare, tra la SIA e le
ditte affiliate, fino a formare una vera e
propria comunità di progettisti.
2
3
1 Fanno parte del team SIA-Service, in seno
all’Ufficio amministrativo: Elisa Tirendi, David
Fässler e Henrietta Krüger (da sinistra a destra).
2 Mike Siering, ing. arch. dipl. RWTH/SIA, ing.
econ. dipl., presso la SIA dal 2005, responsabile
servizio Comunicazione e vicedirettore SIA.
3 David Fässler, avvocato, M.B.A./SIA, presso
la SIA dal 2010, nel settore SIA-Service dal
2011, dal 2014 in veste di responsabile.
Ivo Vasella
Comunicazione, responsabile Progetti ed eventi
[email protected]
Oggi la complessità dei mandati
richiede anche nuovi metodi di progettazione – ne parliamo con Martina Voser, architetto paesaggista e
membro giurato di «Sguardi».
Signora Voser, questa è stata la prima
edizione di «Umsicht – Regards – Sguardi»
che l’ha vista coinvolta in veste di membro della giuria. Che cosa contraddistingue la procedura di valutazione di questo
riconoscimento rispetto ad altri in cui ha
partecipato come membro giurato?
La giuria era composta da tredici
membri, tutti specialisti. È stato entusiasmante trovarsi a far parte di un’unione
di competenze così ampie e diversificate. Tale interdisciplinarità rispecchia la
complessità dei progetti presentati. Credo che tale diversificazione sia una condizione imprescindibile, visti gli impegnativi criteri posti dal riconoscimento.
Mi è rimasto impresso il sopralluogo effettuato insieme a un altro membro giurato. Visitando le opere in loco è stato
possibile chiedere informazioni agli autori, discutere e verificare con occhio critico i dettagli. Tenuto conto dell’ampio
ventaglio di progetti presentati, davvero
molto diversi tra loro, forse ci sarebbe
voluto ancora un po’ più spazio di discussione. Ad ogni modo l’intera procedura è stata incredibilmente appassionante e arricchente.
In Svizzera i premi conferiti in ambito
architettonico ed edilizio non sono pochi.
Sono davvero necessari così tanti riconoscimenti e distinzioni?
La nostra società, il contesto in cui viviamo e lavoriamo, e di conseguenza
anche il nostro operato in veste di progettisti, è sottoposto a costanti cambiamenti. Proprio per questo sono convinta che sia necessario un premio come
«Sguardi». Per me si tratta del riconoscimento più ambito che si possa ricevere
perché contraddistingue i progetti lungimiranti, capaci di soddisfare tutti gli
aspetti contemplati dal costruire, sul
piano sociale, culturale, tecnico ed economico. «Sguardi» risponde alla complessità che caratterizza oggi i diversi mandati. A volte mi chiedo se i «premi
di stampo classico», conferiti essenzialmente all’opera in quanto tale, non siano
ormai superati. Forse sono necessari an-
61
che questi, per me tuttavia non danno
sufficienti risposte, non spiegano in
quale direzione debba evolvere il contesto in cui viviamo.
Signora Voser, lei è architetto paesaggista, ha uno studio a Zurigo, inoltre insegna
all’Accademia di architettura di Mendrisio. Che ruolo riveste l’architettura del paesaggio nell’ambito del riconoscimento
«Sguardi»?
Il tema del paesaggio, e non solo
dell’architettura del paesaggio, era presente in molti progetti presentati, il che
attesta, con grande evidenza, quanto sia
attuale e di rilievo questo tema, anche in
riferimento alla nostra identità, tenuto
conto degli sviluppi a cui assistiamo a livello di pianificazione territoriale e di urbanistica. Numerosi articoli e pubblicazioni dimostrano che attualmente si
interessano all’argomento anche molte
altre discipline. Quel che non approvo è
che spesso il paesaggio si riduca a una
sorta di immagine idealizzata. Soprattutto in Svizzera infatti abbiamo sempre
a che fare con un paesaggio antropizzato e costruito, caratterizzato da una lunga tradizione in materia di infrastrutture, mobilità ecc.
Per trovare soluzioni valide è indispensabile lavorare in un team interdisciplinare?
Sì, ne sono convinta. I progetti davvero lungimiranti, accorti e coerenti possono nascere soltanto dal lavoro di
squadra. È importante anche l’interazione tra progettisti, committenti e autorità
responsabili. Comunque, da ultimo, il
successo dipende strettamente dalle
singole personalità coinvolte, che credono nel progetto e portano avanti le proprie convinzioni.
Considerata la complessità e anche
la lunga durata degli odierni mandati, ritengo indispensabile un lavoro tra pari,
un partenariato tra specialisti con pari
diritti. È avvincente quando nel corso di
un progetto vi è un passaggio di testimone. Chi ha potere decisionale, ma anche i progettisti, deve oggi essere pronto a rompere gli schemi e a interrogarsi
in modo critico sul proprio ruolo e i metodi finora impiegati. Questo aspetto andrebbe trasmesso già durante la formazione, ma forse qui deve passare ancora
un po’ di acqua sotto i ponti.
In che direzione potrebbe evolvere il riconoscimento «Sguardi» nei prossimi anni?
Probabilmente i criteri fissati nell’ambito del riconoscimento avranno bisogno della morbidezza necessaria per potersi adattare allo sviluppo della società.
I problemi attuali richiedono anche nuove dinamiche di collaborazione, diverse
da progetto a progetto. Un’opera d’ec-
cellenza insignita del premio «Sguardi» nasce quasi sempre da procedure e
approcci straordinari. Poi sarà il tempo a
dire se le procedure scelte siano anche
vincenti.
Martina Voser ha studiato architettura al PF di
Zurigo, in seguito si è specializzata in architettura
del paesaggio e urbanistica. È titolare dello studio
mavo Landschaften, dove lavora a fianco di un
team interdisciplinare. Dal 2009, Martina Voser
insegna architettura del paesaggio all’Accademia
di architettura di Mendrisio (USI) ed è membro di
varie commissioni e giurie. La signora Voser vive e
lavora a Zurigo e Mendrisio. Foto Beat Schweizer
┌
SvizzeraEnergia lancia nuove messe
a concorso
SvizzeraEnergia lancia nuove messe a
concorso di progetti nel settore «energia negli
edifici». In aggiunta agli strumenti esistenti
(legislazione, incentivi, ricerca e sviluppo,
informazione e consulenza ecc.),
SvizzeraEnergia vuole contribuire all’ottimizzazione e all’applicazione delle tecnologie
avveniristiche, offrendo un sostegno diretto
ai progetti innovativi. Nell’opuscolo per i
promotori dei progetti sono riportate tutte
le informazioni necessarie.
I membri SIA attivi in ambiti affini al settore
dell’energia possono partecipare ai bandi
lanciati da SvizzeraEnergia e assicurarsi così,
con un po’ di fortuna, un sostegno finanziario
per attuare il proprio progetto.
Info-I:
Per maggior informazioni consultare:
www.svizzeraenergia.ch/page/it-ch/
Nuove-messe-a-concorso-nel-settoreenergia-negli-edifici
COMUNIC ATI
Pari diritti
nei mandati
complessi
62
COMUNIC ATI
Deontologia
riferita ai rapporti con gli
Enti pubblici
Giancarlo Ré
Ingegnere
Il Consiglio dell’OTIA mi invita a commentare il problema della deontologia
da parte degli ingegneri, riferita ai rapporti con gli Enti pubblici. Come premessa ricorderò che il problema si pone, in
ugual misura sia per ingegneri sia per
architetti e che il Codice deontologico
dell’OTIA ne parla diffusamente all’art. 7.
Vale dunque la pena ricordare questo articolo che si riferisce ai rapporti con gli
Enti pubblici. Il punto 7.2 afferma che
«eventuali legami di parentela o amicizia
di ingegneri o architetti con membri di
pubbliche amministrazioni non possono essere utilizzati per trarne profitto, direttamente o indirettamente, nell’esercizio dell’attività professionale». Il punto
7.3 afferma inoltre: «Ingegneri o architetti che rivestano cariche pubbliche non
possono trarre vantaggi, direttamente o
indirettamente, per se stessi o per altri».
Il punto 7.4 afferma infine: «Ingegneri ed
architetti che svolgono compiti di consulenza per un Ente pubblico, in forma occasionale o continuativa, non possono
assumere incarichi professionali che siano o siano stati oggetto della loro consulenza. Il divieto si estende ai colleghi che
con il consulente abbiano in atto rapporti di collaborazione». Il capitolo 7 del Codice deontologico dà dunque già chiare
indicazioni ai nostri professionisti su come si deve agire nei confronti degli Enti
pubblici. Ciò malgrado occorre ammettere che, in un piccolo Cantone come
il nostro, non è sempre facile osservare
scrupolosamente le disposizioni citate
al capitolo 7. I legami di parentela e di
amicizia, politica e no, sono infatti diffusi
e perciò si richiede, al professionista della
costruzione, una grande attenzione. L’Ente pubblico – Confederazione, Cantone,
Comuni, Consorzi ecc. – è inoltre è inoltre
in grado di affidare mandati di progettazione allo scopo di realizzare le infrastrutture necessarie alla popolazione.
Ovviamente questi mandati pubblici sono interessanti per i progettisti perché,
attraverso gli stessi, possono ottenere
una visibilità superiore a quella che, di
solito, si ottiene con i mandati privati. Si
aggiunga che, nel nostro sistema di milizia, ingegneri, architetti, impresari e altri
professionisti della costruzione sono
spesso eletti come sindaci, municipali,
granconsiglieri, consiglieri comunali. Si
trovano perciò nella condizione di poter
attribuire lavori di progettazione e di costruzione: questa facoltà impone dunque una grande attenzione per rispettare le norme deontologiche dell’OTIA.
Architetti e ingegneri agiscono poi anche come consulenti o come pianificatori e, in tale veste, possono influenzare le
scelte di un Esecutivo. Il sistema di milizia, indispensabile in un microcosmo
come il nostro Cantone, dà inoltre visibilità a coloro che occupano una carica
pubblica. Se quest’ultimi sono ingegneri, architetti o altri professionisti della costruzione, possono trovarsi nella condizione di dover decidere su progetti di
cui, nella loro attività privata, sono responsabili. Ho elencato alcuni casi che
possono verificarsi nell’esercizio della
professione allo scopo di mettere in risalto che il rispetto del Codice deontologico
dell’OTIA richiede grande attenzione da
parte di ingegneri e architetti. Quali sono i rimedi alle situazioni descritte? Innanzitutto la tensione morale da parte
del professionista che deve essere cosciente della necessità di rispettare il
Codice deontologico dell’OTIA. Inoltre
l’Ente pubblico deve ricorrere sempre,
quando attribuisce mandati, al concorso pubblico (salvo casi eccezionali). Il
concorso ha il vantaggio di mettere tutti
i concorrenti nella stessa condizione di
partenza e di favorire l’affermarsi di giovani professionisti che, altrimenti, avrebbero poche possibilità di mettersi in
evidenza. La SIA e l’OTIA auspicano
da sempre che gli Enti pubblici attribuiscano i mandati attraverso concorsi pubblici. Cito infine, tra i possibili rimedi, la
necessità della massima trasparenza: l’ingegnere, l’architetto o l’impresario, che si
trova ad esercitare una carica pubblica,
deve sempre astenersi, segnalando il
suo coinvolgimento, quando si tratta di
attribuire un mandato per un progetto
in cui risulta coinvolto. Considerazioni
analoghe valgono anche quando l’architetto o l’ingegnere si trova a dover decidere, quale rappresentante di un Ente
pubblico, su di un progetto privato di cui
è responsabile. In questi casi si richiede
addirittura di non partecipare alla discussione, e non solo al voto, e di lasciare
la sala. Non è sempre facile rispettare il
Codice deontologico dell’OTIA ma è indispensabile farlo per salvaguardare la
credibilità delle nostre istituzioni.
Codice
deontologico,
non dimentichiamolo
in un cassetto
Nicola Nembrini
Già presidente OTIA
Si chiude con questa edizione l’iniziativa di presentazione del codice deontologico degli ingegneri e degli architetti,
voluta dal consiglio dell’Ordine.
Iniziata nel 2015 con il primo testo introduttivo e arricchita da 9 contributi di
professionisti, che nei vari articoli di Archi
hanno saputo evidenziare e arricchire
gli aspetti più importanti di questo codice etico e morale, questa iniziativa giunge ora al termine con la speranza che
quanto prodotto possa aver fatto riflettere ingegneri e architetti su quanta importanza, oltre all’aspetto puramente
tecnico e commerciale, rivestano le professioni che rappresentiamo.
Nei vari articoli sono stati approfonditi il tema del rispetto delle leggi, le norme sulla concorrenza, il modo di agire
secondo coscienza, il senso del dovere, il
diritto d’autore, l’agire come prestanome, le relazioni con il committente, le
modalità di comportamento per gli appalti, le relazioni con l’ente pubblico e altri argomenti predominanti delle nostre
professioni. In tutti i contributi si è potuto però evincere come la deontologia sia
al di sopra di ogni regola, e formi una caratteristica che deve accomunare tutti i
professionisti, un insieme di regole che è
difficile da scrivere e può essere anche
interpretato erroneamente: ognuno infatti, nel proprio agire e in maniera soggettiva, è solitamente sempre convinto
di essere nel giusto al 100%, e anche
ignorando una particolare legge è convinto che il proprio modo di agire sia corretto e che non intacchi la morale o il
buon comportamento.
Come per le leggi, dove l’ignoranza
non è ammessa quando esse vengono
infrante, lo stesso deve valere per il codice deontologico. L’invito quindi è quello
di non tenere il libricino che raccoglie il
codice etico che OTIA ha distribuito a
tutti i propri associati, in un cassetto: teniamolo di fianco al nostro PC, o di fianco al telefono, e ricordiamoci ogni tanto
di aprire una pagina a caso, leggiamone
un paragrafo e chiediamoci se stiamo lavorando in osservanza di questo nostro
codice. Se lo stiamo facendo, oltre a ottimi professionisti, saremo anche delle ottime persone.
Mercedes Daguerre
Antonio De Rossi
La costruzione delle Alpi
Il Novecento e il modernismo alpino
(1917-2017)
Donzelli, Roma 2016
Come dimostra con lucidità questo volume, la percezione stessa del paesaggio
alpino è una costruzione culturale che ha
implicato l’interazione tra la trasformazione fisica del territorio – tramite la progettualità e il lavoro umano – e la costituzione
di uno specifico immaginario collettivo.
Le Alpi vanno dunque concepite non solo
come una realtà geografica ma anche come un «universo mentale», ambito privilegiato per la narrazione di paesaggi straordinari e luogo deputato per l’elaborazione
di nuove concezioni del rapporto tra uomo e natura. Notevole contributo a una
storia sans frontières che si colloca a cavallo di varie discipline, la ricerca di Antonio De Rossi su La costruzione delle Alpi,
iniziata con la precedente pubblicazione
Immagini e scenari del pittoresco alpino
(1773-1914), si completa ora con un nuovo
Antonio De Rossi
La costruzione delle
Alpi. Immagini e scenari
del pittoresco alpino
(1773-1914)
Donzelli, Roma 2014
capitolo dedicato al modernismo alpino
(1917-2017). Entrambi i libri disegnano
una complessa raffigurazione che – esaustivamente documentata con un ricco apparato iconografico – indaga l’arco alpino
nel suo emergere come soggetto storico
autonomo – sia dal punto di vista materiale sia da quello simbolico – individuando le sue trasformazioni e le sue rappresentazioni in una fase temporale che dal
Settecento ai primi anni del XX secolo
(momento in cui le società urbane europee scoprono le Alpi e si afferma il concetto di «pittoresco alpino») arriva alle problematiche della contemporaneità. Due
particolari fenomeni scandiscono il divenire dello spazio montano durante il
Novecento: la diffusione del turismo con i
processi di urbanizzazione e il rinnovo infrastrutturale a esso legati (l’invenzione
delle stazioni invernali caratterizzate
dall’architettura moderna alpina, strettamente connesse al consumo sciistico e
automobilistico del territorio così come
all’imporsi di nuovi dispositivi salutistici
che condizionano l’organizzazione del
tempo libero) e lo spopolamento (con il
conseguente abbandono delle aree vallive e la scomparsa di modi di abitare tradizionali), assieme ai tentativi di individuare nuove possibilità di progettualità e di
sviluppo. Si focalizza in questo modo il
manifestarsi di un’inedita «civilizzazione
di alta quota» – pratiche e immagini di
quello che l’autore definisce come modernismo alpino, saldamente correlato alle
dinamiche di urbanizzazione della pianura e che sembra porsi in questo scenario
estremo come una specifica declinazione della modernità. Sarà invece alla fine
degli anni Settanta che il processo registrerà una fase critica discendente, portatrice di radicali correzioni con l’emergere
di una nuova coscienza ecologica associata a una rinnovata idea della montagna che solleva la questione della patrimonializzazione. Attraverso un articolato
percorso storico-geografico, emergono
Diego Giovanoli
Costruirono la Bregaglia
Denkmalpflege, Bündner
Monatsblatt, Chur 2014
Nott Caviezel
Armando Ruinelli
+ Partner
De aedibus, Quart Verlag,
Lucerna 2016
quindi tre paradigmi teoricamente contrapposti (a quello del «pittoresco alpino»
del primo volume, si sovrappongono il
«modernismo alpino» novecentesco e l’odierna stagione «patrimonialista»). Tuttavia – come rileva l’autore – non solo essi si
compenetrano, ma la loro contrapposizione non impedisce una continuità celata:
quella per cui dall’Ottocento ad oggi ogni
paradigma è stato «portatore di un dover
essere della montagna che si traduceva
in modelli, quasi sempre di matrice urbana, cui il territorio alpino doveva aderire e
soggiacere». Pregio di questa ricerca è
quello di muoversi sempre su piani interpretativi diversi, rivelandone le contraddizioni e mettendo in discussione stereotipi e semplificazioni. Si riescono così a
intravvedere sguardi comuni che superano le singole e fittizie visioni nazionali,
disegnando un profilo europeo di lunga
durata che trova riscontro nell’attuale
progetto di una macroregione alpina.
Infine, la bellissima fotografia di copertina di Charlotte Perriand di spalle,
«vera eroina e icona della modernità tra le
Alpi, nell’atto di dominare le montagne
innevate della Savoia», risulta eloquente
espressione del paradigma modernista
trionfante, in cui il progettista «diviene
demiurgo, inventore e edificatore di paesaggi, Weltbaumeister – costruttore del
mondo». Essa si pone come drammatico contraltare dell’ultima illustrazione del volume, in cui due scure figure
ritraggono con i loro cellulari il desolante vuoto lasciato dalla scomparsa di un
ghiacciaio alpino.
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Servizio ai lettori
Avete la possibilità di ordinare i libri
recensiti all’indirizzo [email protected]
(Buchstämpfli, Berna), indicando il titolo
dell’opera, il vostro nome e cognome,
l’indirizzo di fatturazione e quello di consegna.
Riceverete quanto richiesto entro 3/5 giorni
lavorativi con la fattura e la cedola di versamento. Buchstämpfli fattura un importo
forfettario di Fr. 8.50 per invio + imballaggio.
AA.VV.,
Reklamekunst und Reiseträume
Anton Reckziegel und die
Frühzeit des Tourismusplakates
Alpinen Museum der Schweiz,
Scheidegger & Spiess, Zürich 2016
LIBRI 63
Libri
CONCORSI 64
Concorsi
espazium.ch/archi/concorsi
Nodo di interscambio dei trasporti
pubblici e valorizzazione urbanistica
del comparto Muralto-Stazione FFS
Muralto
Settembre 2016
Il collegio esperti ha suggerito di sviluppare
il concetto urbanistico e trasportistico
proposto dal progetto del
Team Mario Botta Architetto
Mario Botta Architetto, Mendrisio
I team che hanno partecipato al concorso:
Team GP Gellera Tropeano
ARGE Gellera & Tropeano, Muralto
Team EMA/CPZ
EMA architectes associés, Ginevra –
Conte Pianetti Zanetta architetti, Carabbia
Team Michele Arnaboldi architetti
Michele Arnaboldi architetti, Locarno
1 2017
Archi rivista svizzera di architettura,
ingegneria e urbanistica
Fondata nel 1998, esce sei volte all’anno.
ISSN 1422-5417
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Corrispondenti
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Francesco Collotti, Milano
Jacques Gubler, Basilea
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Daniel Walser, Coira
Traduzioni italiano-tedesco
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Correzione bozze
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Nicola Baserga, arch. ETHZ, Muralto
Jacqueline Burkhardt, storica
dell’architettura, Zurigo
Marco Della Torre, arch. POLIMI, Milano-Como
Franco Gervasoni, ing. ETH, Bellinzona
Nicola Nembrini, ing. STS, Locarno
Nathalie Rossetti, arch. ETHZ, Zollikon
Armando Ruinelli, arch., Soglio
Nicola Soldini, storico dell’architettura,
Novazzano
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