Anno XXXI, luglio/agosto 2010, n.11/12
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LA RIVISTA DELLA SCUOLA
della filosofia occidentale
stranizzi all’idea di limite e di sfericità, poiché,
secondo l’antica concezione della natura, il
concetto di perfezione coincideva con quello
di limite e di sfera; ciò che è il-limitato o in-finito risulta pure imperfetto, in quanto solo ciò
che è limitato o finito risulta perfetto; a sua
volta il concetto di perfezione coincide con
quello di sfericità, poiché l’essere, in quanto
tale, cioè finito e perfetto, non può che essere
compatto e quindi di forma sferica (così come
vedremo in Empedocle).
A confronto con Eraclito
e con gli altri presocratici
Leggendo i frammenti di Parmenide, non si
può dimenticare che il caposcuola di Elea si
muove nel contesto di una fisiologia, anche se
già sotto l’influsso del pitagorismo (per essere
stato allievo di Aminia), oltre che di Anassimandro e di Senofane. Egli concepisce la natura,
partendo dall’esperienza della scuola ionica, ma
recependo il carattere della scuola pitagorica,
per via dell’allegoria, del misticismo e della mitologia che caratterizzano la sua opera e il suo
pensiero. Lo si è considerato filosofo contrapposto a Eraclito, ma il suo modo di pensare è talmente raffinato e profondo, da non potere risultare il prodotto di un antagonismo culturale; ciò
evidentemente vale pure per Eraclito, ma intanto
vale per Parmenide, al quale va il merito di
avere arricchito ulteriormente la filosofia di questo periodo storico, contribuendo alla nascita di
una scuola che, seppure entro i limiti di una concezione aristocratica della società civile, contribuì alla formulazione di buone leggi della città di
Elea. La sua concezione dell’essere, come di
una realtà unica, ha fatto molto discutere per
tutta la storia della filosofia. Ma, ciò che può sorprendere, è che la sua tesi sull’unicità dell’essere viene problematizzata già a partire dal suo
allievo più fedele, Zenone.
La fortuna di Parmenide
La filosofia di Parmenide è molto presente
nella Scienza della logica di Hegel, che l’ha
assunta soprattutto nel primo libro, specificamente dedicato alla logica dell’essere, per quel
che riguarda appunto il problema del cominciamento, posto ad apertura della sua opera, che
così risulta imperniata proprio sulla categoria
dell’essere indeterminato. “Furono gli Eleati i
primi ad enunciare il semplice pensiero del
puro essere, soprattutto Parmenide, che lo
enunciò come l’Assoluto e come l’unica verità,
e ciò, nei frammenti di lui rimastici, col puro
entusiasmo del pensiero, che per la prima volta
si afferra nella sua assoluta astrazione: soltanto l’essere è, e il nulla non è punto” (W.F.G.
Hegel, Scienza della logica, Laterza, Bari
1968, vol. I, pagg. 71-2).
Passando alla filosofia del secolo XX, non si
può trascurare Heidegger che morì nel 1976,
leggendo i presocratici e, tra questi, soprattutto Parmenide, proprio per il problema dell’essere, considerato il fondamento, oltre che logico, metafisico di una filosofia contemporanea
che deve riscoprire le proprie radici nella filosofia greca. Nella sua opera principale, in
Essere e tempo, pubblicata nel 1927, ancor
prima che in Platone e in Aristotele, Heidegger
intravede in Parmenide il fondatore della metafisica occidentale, avendo concettualizzato il
problema dell’essere che, pur risultando “il più
oscuro di tutti”, rappresenta la base della
verità che l’uomo deve perseguire, così come
Parmenide ci ha suggerito metaforicamente,
ad apertura del suo poema con la figura della
dea Dike che gli apre la porta, per introdurlo
nel mondo della luce. La verità (αϕληϖθεια)
coincide con il disvelamento dell’essere che si
nasconde dietro l’ente; sicché, nel richiamarsi
a Parmenide, Heidegger sottolinea che “l’essere è ciò che si manifesta alla visione intuitiva
pura: solo questo vedere scopre l’essere” (M.
Heidegger, Essere e tempo, UTET, Torino
1969, pag. 273).
Zenone di Elea
Vita e opere
Come Parmenide, Zenone nacque e trascorse la sua vita ad Elea; probabilmente era
più giovane di circa venticinque anni e visse
nel corso del V secolo a.C.; sebbene non sia
da escludere che abbia viaggiato molto
(recandosi persino in Grecia), egli rappresenta una figura tipica della scuola di Elea, dove,
succedendo al maestro nella guida, rappresentò uno stadio più avanzato e, per certi
versi, più problematico dell’eleatismo. Della
sua opera Sulla natura (περι; φυϖσεω),
scritta in prosa, ci sono stati tramandati solo
alcuni frammenti prevalentemente rivolti ad
una critica serrata contro la tesi sulla molteplicità dell’essere e contro la tesi sul movimento.
Infatti anche se da Aristotele fu considerato
l’inventore della dialettica, dallo stesso Aristotele fu pure considerato pensatore di poco
conto, che in effetti si sarebbe limitato a
sostenere la tesi del maestro (sulla unicità
dell’essere), confutando quella dei suoi avversari e denigratori che sostenevano la tesi contraria (sulla molteplicità dell’essere). Platone lo
definì il “Palamede eleatico”, chiarendo comunque che non si trattava di un ripetitore pedissequo della tesi del maestro, ma di un acuto filosofo, che metteva in ridicolo i sostenitori della
molteplicità, dimostrando che da tale tesi (sulla
molteplicità) derivavano più difficoltà di quante
ne potessero derivare dalla tesi di Parmenide
sulla unicità. “Infatti Zenone dimostrava che la
medesima cosa sarebbe stata simile e dissimile, eguale e diseguale, e che ne sarebbe
seguito assolutamente intero l’annientamento
dell’ordine del reale e un disordinato sconvolgimento del tutto” (Fedro, 261d). In effetti, a ben
leggere le argomentazioni del suo scritto, si
ricava l’impressione che ci si trova di fronte ad
un pensatore intelligente ed originale, che, se
non prende le distanze dal maestro, quanto
meno, va oltre, anticipando di molti secoli le
problematiche che, tra la fine dell’ottocento e
l’inizio del novecento, saranno riproposte con
la scoperta del calcolo infinitesimale e la elaborazione della teoria degli insiemi.
Aporie e dialettica
Zenone non intese negare la molteplicità
dell’essere e, di conseguenza, il movimento,
bensì porre un problema fisico, che implicava
risvolti di natura logica e matematica. Il movimento comprende, non solo la molteplicità,
ma pure il cambiamento; per cui non si tratta
di negare il movimento che osserviamo con i
nostri sensi, ma di spiegarlo epistemicamente. Non a caso, secondo Popper, Zenone si
sarebbe chiesto: “Come è possibile il mutamento, possibile, cioè, da un punto di vista
logico? Come può una cosa mutare, senza
perdere la propria identità? Se rimane la stessa, non muta; e se perde la propria identità,
non è più quella cosa che è mutata” ( K.R.
Popper, Ritorno ai Presocratici, in Congetture
e confutazioni, Il Mulino, Bologna 1972, pag.
246). I suoi discorsi (λοϖγοι) erano svolti in
modo pungente e polemico; partendo da una
ipotesi, venivano sviluppate considerazioni
sulla sua legittimità logica e sulla ipotesi contraria; ad esempio, nella seconda parte del
Parmenide, Platone dà l’impressione di recepire il metodo dialettico dalle argomentazioni
contenute nell’opera di Zenone, affidando al
personaggio-Parmenide il compito di discutere dell’essere e non essere. Tali discorsi si
rivelano delle vere e proprie aporie, ossia
paradossi, in quanto si tratta di argomentazioni che conducono a delle ipotesi finali, solo
apparentemente assurde; come nel caso,
appunto, della tesi sulla molteplicità dell’essere e sul movimento.
Le aporie sulla molteplicità
Sulla molteplicità dell’essere ci sono pervenuti quattro argomenti, tutti quanti imperniati
sulla tesi “se vi sono molte cose” (ειϕ πολλαϖ
εϕστι). Partendo da tale ipotesi sulla molteplicità, l’essere, sotto l’aspetto della grandezza,
dovrebbe risultare, ad un tempo, infinitamente
piccolo e infinitamente grande; sotto l’aspetto
del numero, finito e infinito; inoltre, se tutto ciò
che esiste sta nello spazio, anche lo spazio
dovrebbe stare in un altro spazio e così via
all’infinito; il quarto argomento sulla molteplicità è relativo al rumore prodotto da un moggio di grano, quando invece il singolo granello
non produce alcun rumore; più precisamente
l’obiezione riguarda l’azione prodotta da una
massa, a differenza dell’azione prodotta da
ogni sua singola parte.
Le aporie sul movimento
Contro il movimento ci sono pervenuti pure
quattro argomenti. Il primo è riferito alla freccia che si muove da un punto A ad un altro
punto B; in questo caso il movimento non troverebbe spiegazione né logica né matematica, perché, prima di pervenire da A a B, ciò
che si muove dovrebbe pervenire a C, ossia
ad un punto intermedio tra A e B; seguendo
tale procedimento, si presuppone una scomposizione all’infinito del segmento AB che, pur
essendo composto da una serie infinita di
punti, dovrebbe essere percorso in un tempo
finito; evidentemente si tratta di una ipotesi
paradossale di tipo logico-matematico, perché
nella realtà la freccia si sposta da A e raggiunge B. Tale aporia può essere così esemplificata e raffigurata
A--------------------C--------------------B
Russell ha dato una soluzione alle presunte
aporie di Zenone sul movimento, riferendosi
soprattuto a questo primo argomento, secondo il quale è da supporre che, tra i due limiti
estremi, aritmeticamente assunti con i numeri
0 e 1, bisogna presupporre una variabile x,
che può acquisire tutti i valori intercorrenti tra
0 e 1. La classe dei valori, che può acquisire
la variabile x, è costituita da un tutto infinito le
cui “parti non sono logicamente anteriori ad
esso” (B. Russell, I principi della matematica,
Longanesi, Milano 1963, pag. 486), giacché il
tutto non solo è costituito da una serie di
parti, ma non sussisterebbe se ad esso venisse meno una sola delle sue parti.
Il secondo argomento è quello di Achille e
la tartaruga che, seguendo il medesimo ragionamento del primo, non consentirebbe di
spiegare il movimento, qualora i due contendenti nella corsa (il veloce Achille e la lenta
tartaruga) si trovassero su due punti diversi
(l’uno più avanti dell’altro) su due linee parallele; nell’istante in cui Achille va da un punto
all’altro, la tartaruga va pure da un punto
all’altro, senza che il primo possa raggiungere
e superare la seconda; in questo caso ci troveremmo di fronte ad una ipotesi paradossale, se non facessimo ricorso alla spiegazione
logico-matematica data al primo paradosso,
perché in effetti Achille è più veloce della tartaruga. L’aporia può essere così raffigurata
Achille
A’-A”--------------------------------------Tartaruga
A’-A”---------------------------------Il terzo argomento è riconducibile pure al
primo ed è riferito ad una freccia che, in un
determinato istante, si trova su di un determinato punto; in questo caso l’ipotesi prevede la
situazione paradossale di ritenere la freccia
simultaneamente in quiete e in movimento.
Dallo schema si evince che un
corpo, considerato in un medesimo
istante, relativo ad un determinato
punto, potrebbe trovarsi sia in quiete
che in movimento, in quanto da A è
già passato in B, ma da B non è
passato in C; quindi, pur non negando il passaggio da un punto ad un
altro, in un determinato istante, su
un punto specifico, si troverebbe,
oltre che in movimento, pure in quiete
1893; per non dire del contributo dato da Russell con la pubblicazione, nel 1903, de I principi della matematica.
Melisso
Vita e opere
Melisso fu coetaneo o poco più giovane di
Zenone, essendo vissuto (anno più anno
meno) intorno al V secolo a.C.; ma, pur
essendo stato coetaneo e condiscepolo di
Zenone, risulta nativo di Samo (cioè di una
delle città della Ionia), da dove dovette emigrare per ragioni politiche, dopo la caduta del
regime aristocratico, di cui faceva parte o che
addirittura rappresentava. L’anno di riferimento, della sconfitta della città di Samo da parte
di Atene, è il 442 a.C.; Melisso addirittura guidava la flotta samiense contro quella ateniese
e fu artefice di una momentanea battaglia
navale. Della vita di Melisso si hanno comunque poche notizie sopratutto in ordine al
periodo successivo all’anno 442; probabilmente riprese a viaggiare, così come aveva
fatto precedentemente alla sua esperienza
politica e militare, entrando a contatto con la
Scuola di Elea (sia con Parmenide che con
Zenone), senza però farne parte organicamente. Ci troviamo di fronte ad un pensatore
solitario, sebbene il suo scritto Sulla natura o
sull’essere riprenda chiaramente le problematiche elaborate da Parmenide sulla tesi relativa all’unicità dell’essere.
L’essere infinito
e incorporeo
All’essere parmenideo egli riconosce alcuni
attributi (uno, finito, eterno, uguale, immutabile, inalterabile, impassibile, immobile, pieno),
che avrebbe sottoscritto lo stesso caposcuola
di Elea; egli aggiunge quelli di infinito (α[πει−
ρον) e di incorporeo (αϕσωϖµατο). Il primo
A---------------B---------------C
Il dato, solo apparentemente
paradossale, è stato chiarito dallo
stesso Platone che, nel Parmenide
(specificamente nella terza ipotesi
esposta nella seconda parte del dialogo per bocca dello stesso Parmenide), considera che l’uno nel medesimo
istante partecipa dell’essere e del non essere.
Esponendo la famosa terza ipotesi sull’unicità
dell’essere, nel Parmenide, sull’uno in relazione al tempo, Platone dice che l’uno, nel contempo sta in quiete e si muove, è; sicché,
riprendendo le argomentazioni, più che di
Parmenide, di Zenone, mediante il personaggio-Parmenide, prosegue, sottolinenando che
l’istante (εϕξαιϖφνη⌡) possiede una strana
natura, tale da costituire il limite spazio-temporale, nel quale l’uno è e non è, ovvero si
trova in quiete e in moto; “questa natura dell’istante è qualche cosa di assurdo che giace
fra la quiete e il moto, al di fuori di ogni tempo,
e così verso l’istante e dall’istante ciò che si
muove si muta nello stare e ciò che sta si
muta nel muoversi” (Parmenide, 156 d-e).
Il quar to argomento si riferisce a due
masse che si muovono in senso contrario,
l’uno verso l’altro su due linee, parallele ad
una terza linea dentro uno stadio. Apparentemente le due masse dovrebbero coprire il
medesimo percorso in un medesimo arco di
tempo; muovendosi l’una verso l’altra e viceversa, accade che le due masse si trovino
l’una di fronte all’altra con una velocità doppia, apparentemente determinata dal loro
senso contrario di marcia.
La fortuna di Zenone
Abbiamo già accennato al fatto che Zenone
di Elea, sia presso gli antichi che presso i
moderni, ha rappresentato una sorta di Giano
bifronte; ora considerato semplicemente il
fedele allievo del maestro, ora il prosecutore
intelligente delle tematiche, poste da Parmenide, sino al punto di impegnare pensatori
come Platone nell’antichità e come Russell
nella contemporaneità. A tal proposito basti
ricordare il dibattito avviatosi in Francia alla
fine dell’ottocento con Renouvier Evellin,
Dunan, Brochard e, nella Revue de
Méthaphysique et de Morale , a partire dal
L’inchino - Rea Gardner - NY, 1925010
attributo di infinito sembra affermato in contrapposizione a quello di finito, riconosciuto
all’essere da Parmenide; ma in effetti si tratta
di un attributo elaborato proprio per ribadire la
tesi parmenidea sul fatto che l’essere, nel
tempo, non muta e non si altera e risulta
senza principio e senza fine; sicché deve
essere concepito pure infinito, a meno che
non si voglia presupporre che provenga dal
nulla. Lo definisce incorporeo, associandolo
all’attributo di infinito, perché ciò che è infinito
risulta privo di corpo finito, cioè immediatamente palpabile o visibile; quindi infinito e
incorporeo risultano omonimi, in quanto sono
riferiti ad un essere che non ha né confini né
limiti predeterminati; tale essere, non essendo
soggetto al cambiamento, risulta un tutto
sempre uguale a se stesso, che era e sempre
è, nel senso che sfugge al flusso del continuo
divenire. L’avere presupposto la formula dell’eternità dell’essere (che ritroveremo nella teologia cristiana), consente di considerarlo
come pensatore che ripropone problematiche
antiche, arricchite però di nuovi contenuti che
suggeriscono di riflettere sullo scambio culturale esistente tra la filosofia dell’Asia minore e
quella della Magna Graecia (in questo caso
tra la scuola ionica e quella eleatica). Tra l’altro Melisso non accetta la presunta dicotomia
esistente tra ragione e sensi (tra verità e opinione), perché solo la ragione consente
all’uomo di cogliere la realtà nel suo vero
essere, al di là delle apparenze, che suggeriscono ai sensi il cambiamento continuo (sia
quantitativo che qualitativo) della realtà.
Anche se non vi sono stati rapporti diretti con
i successivi filosofi pluralisti, senza dubbio
Melisso, seppure indirettamente e senza
volerlo, anticipa la nuova visione che della
natura viene elaborata sia dal pluralismo di
Empedocle e di Anassagora sia dall’atomismo di Leucippo e Democratico.
A. Fundarò
Fine (Per esigenze di spazio la Bibliografia non viene pubblicata. Ce ne scusiamo con l’Autore e i Lettori. - La prima
parte é stata pubblicata nel precedente n.9 della Rivista)