Contributo dell’avv. Andrea Calzolaio al Convegno “linguaggio giuridico e lingua di genere” Macerata 4 marzo 2011 L’obbligo del giudice e delle parti di redazione degli atti in forma chiara e sintetica nell’art. 3 del Codice del processo amministrativo. Sommario: 1) ‐ Introduzione – La chiarezza e sinteticità degli atti è uno dei principi nel nuovo Codice del processo amministrativo 2) – In particolare: la sinteticità degli atti nel nuovo Codice. 3) ‐ Il contenuto del precetto: gli atti obesi. 4) ‐ Efficacia e sanzioni : verso una nuova prassi nella stesura degli atti difensivi. 5) – Alcuni spunti applicativi nella redazione degli atti difensivi: i sommario, il fatto e i motivi intrusi, la epigrafe e la articolazione delle censure, la prima stesura e la revisione, le memorie. * * * 1) ‐ Introduzione – La chiarezza e sinteticità degli atti è uno dei principi nel nuovo Codice del processo amministrativo Il Codice del processo amministrativo (in sigla Cpa), approvato con D. Lgs. 2 luglio 2010 n. 104, è entrato in vigore il 16 settembre 2010 e costituisce la prima sistemazione organica della disciplina del processo amministrativo nella storia del nostro Paese. Molte sono le novità, cui occorre accennare brevemente per inquadrare la norma di principio cui è dedicato il presente intervento. Il Codice tematizza diverse azioni esperibili avanti al G.A.: oltre a quella tradizionale di annullamento (art. 29), e alle altre già diffuse in materia di silenzio e di accesso, è interessante la espressa e in parte innovativa disciplina della azione di condanna (art. 30) e di quella di accertamento della nullità (art. 31). Per l’esigenza di dare stabilità ai provvedimenti della P.A. e nel contempo per il timore di gravi conseguenza sulla spesa pubblica, è stato introdotto un termine decadenziale di appena 120 giorni per la azione risarcitoria (art. 30) e sono state espunte dal Governo le disposizioni relative alle azioni di accertamento e di adempimento. Cionondimeno il Cpa introduce non solo nuove azioni ma anche nuove tutele, come ad esempio il potere del giudice di disporre le misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio (art. 34 lett. c). Contributo dell’avv. Andrea Calzolaio al Convegno “linguaggio giuridico e lingua di genere” Macerata 4 marzo 2011 Il Presidente del Consiglio di Stato ne ha giustamente valorizzato l’importanza e il carattere innovativo nella relazione di apertura dell’anno giudiziario svoltasi l’8 febbraio 2011 a Roma, così come anche ha fatto il Presidente del Tar delle Marche nella analoga cerimonia svoltasi il 25 febbraio scorso in Ancona. Sottolineano i Presidenti che la emanazione del Codice costituisce una presa d’atto ed una sistemazione delle trasformazioni che hanno interessato, specie a partire dagli anni ’90, la Giustizia amministrativa. Il Codice si è reso necessario perché sono cambiate le manifestazioni del potere pubblico ‐ non più limitate al solo provvedimento autoritativo ‐ e perché è mutato, in conseguenza, il ruolo del giudice amministrativo, che è ora sempre più in grado di garantire la cognizione piena del rapporto tra cittadino e pubblico potere e quindi di assicurare il bene della vita sotteso all’istanza di giustizia. La giustizia amministrativa si presenta oggi come la sede del controllo giurisdizionale di tutto l’esercizio del potere pubblico nella vita economica, esplicantesi sia nei settori tradizionali come il governo del territorio, il commercio, i contratti pubblici, sia in nuove materia che vanno dal controllo sulle Autorità indipendenti fino al contenzioso relativo agli stranieri. Nel contesto di un tale ampliamento delle tutele e di altri non meno significativi istituti sui quali non vi è luogo a soffermarsi in questa sede, si colloca la definizione dei principi generali della giurisdizione amministrativa, ai quali è dedicato il capo I, composto di primi tre articoli. Molto significativa è la unificazione nell’art. 1 dei principi della Costituzione e di quelli del diritto europeo, entità disomogenee (il diritto europeo è una entità a dir poco indeterminata e comunque appare piuttosto ardito metterlo tout court e tutto intero sullo stesso piano della Costituzione repubblicana). Per quanto interessa direttamente il presente intervento, proprio sul piano dei principi l’art. 2 comma 1 stabilisce che il processo amministrativo attua i principi della parità delle parti, del contraddittorio e del giusto processo previsto dall’articolo 111, primo comma, della Costituzione, e l’art. 3 comma 1 stabilisce che ogni provvedimento decisorio del giudice è motivato. A tale enunciazione si accompagnano due ulteriori disposizioni che significativamente accomunano il giudice e le parti: ‐ Il giudice amministrativo e le parti cooperano per la realizzazione della ragionevole durata del processo (art. 2 comma 2); ‐ Il giudice e le parti redigono gli atti in maniera chiara e sintetica (art. 3 comma 2). Contributo dell’avv. Andrea Calzolaio al Convegno “linguaggio giuridico e lingua di genere” Macerata 4 marzo 2011 E’ degno di nota che la chiarezza e sinteticità degli atti viene configurata dal Codice come un principio del processo amministrativo, quasi alla stessa stregua di altri ben più significativi e in qualche modo prevedibili alla luce della evoluzione dell’ordinamento. Ma è anche giusto segnalare subito che, ad onta delle disposizioni che accomunano il giudice e le parti, i primi indirizzi in materia di chiarezza e sinteticità sono rivolti piuttosto ai difensori che ai giudici e tendono a correggere la prassi degli avvocati in ordine alla redazione degli atti difensivi. 2) – In particolare: la sinteticità degli atti nel nuovo Codice. Oltre che in due disposizioni relative alla discussione orale, in cui la norma sottolinea che la trattazione della istanza cautelare si svolge in modo sintetico (art. 55) e che le parti possono discutere sinteticamente il merito (art.73), la necessità della sintesi è richiamata tre volte dal Cpa come criterio di redazione degli atti scritti. All’art. 3 comma 2 già ricordato si aggiungono l’art. 120, che disciplina il rito speciale degli affidamenti di pubblici lavori, servizi e forniture, e l’art. 74, che disciplina le sentenze in forma semplificata. E’ interessante subito notare che nell’art. 3, disposizione inclusa nel capo I e quindi dichiaratamente di principio, la sinteticità viene collegata espressamente alla chiarezza, il che non si rinviene nelle altre due disposizioni. In queste ultime il Cpa insiste sull’una (sintesi) ma non sull’altra (chiarezza). Nell’art. 74 la sintesi viene indicata come una facoltà del giudice (la sentenza può consistere in un sintetico riferimento …) ma anche ancorata un preciso riferimento oggettivo (… al punto di fatto e di diritto ritenuto risolutivo), onde la chiarezza è implicitamente prescritta grazie a tale riferimento al punto ritenuto risolutivo. Un tale approccio non può estendersi ai difensori, che hanno il dovere professionale e deontologico di completezza e non possono limitarsi ad un solo tema, neppure quando lo ritengano decisivo o assorbente. La chiarezza ad onor del vero si perde poi del tutto nel successivo art. 120, in materia di provvedimenti concernenti le procedure di affidamento di lavori pubblici servizi e forniture, nel cui comma 10 la sintesi degli atti del giudice e delle parti diviene oggetto di una prescrizione tassativa: “provvedimenti e atti devono essere sintetici”. Posto che nessuno può pensare che in materia di contratti pubblici gli atti processuali possano essere “oscuri”, la omessa menzione della chiarezza Contributo dell’avv. Andrea Calzolaio al Convegno “linguaggio giuridico e lingua di genere” Macerata 4 marzo 2011 come loro requisito è espressiva di una ratio affannosamente sollecitatoria e tendenzialmente disincentivante (basta pensare alla enorme contrazione dei termini), che caratterizza tutta la disciplina del contenzioso a partire dal D. Ls. N. 53 del 2010 fino (seppure con alcune mitigazioni) al di poco successivo Cpa. Ci chiediamo a questo punto che rapporto c’è fra chiarezza e sinteticità. In dottrina è stato rilevato che l’art. 3 impone di ricercare una situazione di equilibrio fra tali due esigenze, dandosi per scontato che la sintesi implica brevità e la chiarezza richiede un appropriato dettaglio in fatto e in diritto, che in fattispecie complesse comporta la redazioni di atti lunghi ma non per ciò solo prolissi (Sandulli MA, a cura di, Officina del diritto, il Codice del processo amministrativo, Giuffrè 2010, pag 8). Nel dizionario italiano la parola sintesi significa compendio o esposizione riassuntiva. Più interessante ai nostri fini è la definizione dell’aggettivo sintetico, che significa conciso, alieno dai particolari, rapido. Questo è chiaramente il significato della parola nel Cpa: non riassunto (mancandone il presupposto) ma esposizione concisa, aliena dai particolari. Ecco allora il potenziale contrasto, o almeno la necessità di un equilibrio, rispetto all’altra esigenza, che è quella di chiarezza. Chiarezza, in senso ovviamente figurato, significa un diverso requisito del testo, nel senso non della concisione e della sommarietà, bensì nel senso che esso sia esteso, luminoso, trasparente, di agevole comprensione e soprattutto ordinato, con uno scopo preciso. Possiamo dunque parafrasare la norma ed affermare che l’equilibrio si sintesi e chiarezza comporta che la esposizione deve essere concisa, aliena dai particolari (si intende non necessari), di agevole comprensione, ordinata e finalizzata allo scopo. Al di là della sensazione di ovvietà che simili aggettivazioni possono suscitare, non è indifferente che il legislatore abbia avvertito la esigenza di qualificare la forma chiara e sintetica addirittura come un principio del processo. 3) ‐ Il contenuto del precetto: gli atti obesi. Ancora nella sua relazione inaugurale dell’anno giudiziario il Presidente De Lise ha osservato che alcune delle norme di principio incidono anche sul nostro consueto modus operandi e in specie alla prassi di molti avvocati di presentare atti difensivi troppo estesi, cui seguono molto spesso sentenze altrettanto lunghe. Ciò, ora, non dovrebbe essere più possibile: il Codice ha espressamente recepito il principio di sinteticità sul quale da tempo insistono anche il Legislatore ed il giudice comunitario, ma la cui completa attuazione postula la collaborazione di tutti gli Contributo dell’avv. Andrea Calzolaio al Convegno “linguaggio giuridico e lingua di genere” Macerata 4 marzo 2011 operatori della giustizia. Ed è proprio in questo senso la relazione richiama e in qualche modo formalizza un precedente atto con cui il medesimo Presidente aveva esortato i colleghi ed i difensori ad attenersi ai dovere di chiarezza e di sinteticità, evitando scritti inutilmente lunghi. Il riferimento è alla missiva in data 20 dicembre 2010, rivolta alla Società italiana degli avvocati amministrativisti, che ha avuto eco nelle riviste di settore, nella quale il medesimo Presidente De Lise qualificava la norma in questione come recepimento del principio di economia processuale (da ritenersi a sua volta, osservo , espressione del giusto processo ex art. 111 Cost.: in argomento vedi anche Chieppa, Il codice del processo amministrativo, 2010, pag. 53) e ne traeva occasione per alcuni suggerimenti agli avvocati molto precisi, anzitutto in tema di lunghezza dei ricorsi, che non dovrebbe superare di norma le 20 – 25 pagine. Aggiungeva poi la avvertenza che se la complessità della controversia richiede una maggiore estensione, occorre premettere un indice sommario di un paio di cartelle. Nella missiva non manca l’ulteriore monito che nelle memorie difensive occorre limitarsi a un richiamo degli atti precedenti, escludendo la trascrizione per esteso di questi (che, osservo, è una malattia derivante dall’uso generalizzato e spesso fuorviante della funzione “copia ed incolla” tipica dei moderni sistemi informatici di scrittura). Come si vede, la prima ed autorevole flessione del principio si rivolge nel processo agli avvocati e non ai giudici. In disparte il male comune a tali categorie di dover fare i conti con un ordinamento farraginoso e con disposizioni minuziose e di non facile interpretazione, oltre che con la molteplicità delle tutele che oggi caratterizza specificamente il processo amministrativo, è chiaro che i giudici (favoriti in ciò anche dal tenore di alcune disposizioni che ho sopra ricordato) tendono a vedere la sintesi per sé come una facoltà e per gli avvocati come una prescrizione. Va detto però che un tale dualismo appare forse rispondente ad una effettiva esigenza di rimeditazione della prassi di stesura degli atti difensivi da parte degli avvocati. In una sua interessante relazione proposta al 56°Convegno di studi amministrativi di Varenna (settembre 2010), Guglielmo Saporito ha usato la efficace formula “atti obesi”, citando come esempio un caso notevole ma non isolato nella pratica dei processi (amministrativi e non solo): sentenza di primo grado (150 pagine) – appello (292 cartelle) – sentenza di secondo grado (90 pagine). Il caso era indubbiamente particolare ed importante (sanzione milionaria comminata a società di gestione aeroportuale) ma il gigantismo degli atti appare egualmente eccessivo ed ha trovato una sua sanzione indiretta nella stessa sentenza di appello, cui accenneremo più avanti. D’altra parte sappiamo che in ambito comunitario la prassi degli avvocati, a paragone con la esigenza delle traduzioni, ha dato vita a norme trancianti in tema di lunghezza degli atti di parte: Contributo dell’avv. Andrea Calzolaio al Convegno “linguaggio giuridico e lingua di genere” Macerata 4 marzo 2011 non più di 50 pagine per i ricorsi e 25 per le repliche innanzi alla Corte di Giustizia Europea (Guida per gli avvocati). Ed anche il fascicolo informatico del processo civile ed amministrativo postula una dimensione usuale dell’atto contenuta nelle 20 pagine essendone altrimenti eccessivamente onerosa la gestione (art. 13 DPR 13.2.2001 n. 123). Possiamo dunque annotare conclusivamente che la sintesi viene: a) avvertita essenzialmente come brevità e b) riferita principalmente agli avvocati. Nel suo insieme il precetto dell’art. 3 comma 2 viene inteso nel senso di una auspicabile brevità degli atti difensivi accompagnata da tecniche di stesura che determinino la appropriata organizzazione e la agevole percepibilità del loro contenuto. 4) ‐ Efficacia e sanzioni : verso una nuova prassi nella stesura degli atti difensivi. Nel Codice non si rinvengono sanzioni esplicite per la violazione del principio di chiarezza e sinteticità, il che ha fatto dire ad alcuni che la norma è genericamente suggeritoria, seppur apprezzabile (Marcello Russo, Il nuovo Codice di rito amministrativo, giustizia amministrativa e amministrazione giusta, in Lexitalia n. 10/2010) Si tratta di affermazione che non condivido. E’ certamente vero che non si può predicare la nullità degli atti di parte che il giudice ritenga non conformi a tale principio, giacchè l’art. 44 CPA prevede la nullità (in disparte la mancanza di sottoscrizione) nel solo caso della incertezza assoluta sulle persone o sull’oggetto della domanda, non certo della mancanza di sinteticità o chiarezza. Quanto poi alla condanna alle spese, l’art. 26 al comma 1 generalizza nel processo amministrativo la condanna alle spese del soccombente (in passato poco praticata) richiamando espressamente gli artt. da 91 a 97 cpc e al comma 2 prevede la condanna aggiuntiva della parte soccombente ad una somma equitativamente determinata (in termini non dissimili dall’96 comma 3 cpc), con la limitazione però che la decisione sia fondata su ragioni manifeste o su orientamenti giurisprudenziali consolidati. Poiché tale condanna resta ancorata alla soccombenza, neppur essa assume rilevanza specifica ai fini del precetto in questione. Contributo dell’avv. Andrea Calzolaio al Convegno “linguaggio giuridico e lingua di genere” Macerata 4 marzo 2011 Né sembrano apprezzabili conseguenze di tipo deontologico, sempre che la mancanza di sinteticità e chiarezza non si risolva in una sostanziale carenza di difesa dalla parte patrocinata. A mio avviso però tali considerazioni non bastano ad escludere una peculiare rilevanza della norma in quanto tale ed un sua specifica efficacia. Innanzitutto si intravedono in giurisprudenza i primi segnali di una lettura più rigorosa del testo degli atti difensivi, che può condurre anche a dichiarazioni di (parziale) inammissibilità, con riferimento alle parti di questo che non risultino perspicue: un esempio se ne rinviene nel paragrafo successivo. Inoltre, la stessa esistenza della norme, come abbiamo visto, ha permesso al Presidente del Consiglio di Stato di dettare già a caldo precise indicazioni sulla lunghezza e sulla forma degli atti di parte, espresse non solo in una corrispondenza con una Associazione di avvocati specialisti ma anche in un atto istituzionale come la relazione per la apertura dell’anno giudiziario. Dunque la norma sta già orientando autorevoli protagonisti del processo amministrativo ad una prassi fondata su qualcosa più di una moral suasion: in futuro nulla vieta che si possa addivenire a direttive ed istruzioni per gli avvocati, o anche a protocolli di intesa con loro concordati, che, pur senza certo comportare inammissibilità o nullità, giungano a configurare uno standard di comportamento uniforme oggettivamente vincolante e difficilmente derogabile. A mio avviso dunque la norma in discorso va considerata per quel che è: una codificazione di principi che il legislatore rivolge a tutti i soggetti del processo, ma la cui concreta attuazione indirizza specialmente agli avvocati, al fine di accentuare la concisione e la efficacia degli scritti e, per quanto riguarda noi avvocati, degli atti difensivi. Essa tende ad influire non sulla validità degli atti, ma sulla prassi. E viene giustamente colta in tale sua connotazione dai soggetti istituzionali, che compiono i primi passi formali nella direzione che essa indica. 5) – Alcuni spunti applicativi nella redazione degli atti difensivi: i sommario, il fatto e i motivi intrusi, la epigrafe e la articolazione delle censure, la prima stesura e la revisione, le memorie. Per raccogliere gli indirizzi volti ad instaurare una nuova prassi, più rispettosa del principio di sinteticità e chiarezza, come espressione della economia dei mezzi processuali, il difensore è chiamato a lavorare non tanto per abbreviare gli atti, non potendosi dire che la brevità è un valore in sé, quanto per la migliore organizzazione del loro contenuto e per la concisione del linguaggio. Contributo dell’avv. Andrea Calzolaio al Convegno “linguaggio giuridico e lingua di genere” Macerata 4 marzo 2011 La lotta agli atti obesi comincia dalla maturità del difensore che adotta scelte che tengono conto di questa esigenza in sede non solo di prima stesura ma anche di revisione dell’atto. Il primo portato della esperienza, che mi nasce dal lavorare spesso anche con l’ausilio di colleghi e collaboratori, è la importanza della revisione del testo. Si scrive spesso di getto e non meno spesso proprio nello scrivere si raggiunge un approfondimento del pensiero e degli argomenti. Allora la revisione è importante, richiede una cura sua propria, per riorganizzare il testo, affinare il linguaggio, sfrondare le ripetizioni. Ma anche la impostazione dell’atto va rimeditata. Viene utile qui ricordare quella sentenza del Consiglio di Stato cui avevo accennato nel precedente paragrafo 3, ossia la decisione sez. VI 24 giugno 2010 n. 4016: essa, redatta da un Consigliere, Rosanna De Nictolis, molto apprezzato sia nello svolgimento delle funzioni giurisdizionali, sia come giurista (specie, ma non solo, in materia di contratti pubblici), analizza attentamente la struttura espositiva del ricorso e rileva che questo è stato articolato in epigrafe, indice sommario, premessa (fatto), motivi debitamente epigrafati e conclusioni . La sentenza commenta e valuta la modalità espositiva del ricorso rispetto al paradigma normativo ed osserva che l’art. 6, n. 3, r.d. n. 642/1907, laddove dispone che il ricorso reca l’esposizione sommaria dei fatti, i motivi e le norme che si assumono violate, risponde a fondamentali principi di chiarezza, lealtà processuale, economia processuale. E’ un commento che vale la pena riportare. La ricostruzione dei fatti deve essere “sommaria” ossia sintetica, perché i fatti rilevano nei limiti in cui rientrano nella materia del contendere. Gli articoli di legge o regolamento vanno indicati nei limiti in cui si “ritengono violati”, e non per operare complessive e generali ricostruzioni del quadro normativo di riferimento, se non direttamente pertinenti ai fatti di causa; la riproduzione integrale di fonti normative può semmai formare oggetto di documento allegato al ricorso, non di contenuto interno del ricorso, al fine collaborativo di agevolare il giudice nella ricerca delle norme, esigenza peraltro non indispensabile, atteso il dovere del giudice di conoscere le norme (jura novit curia). La ripartizione del ricorso in “fatto” e “motivi” risponde all’esigenza di una corretta delimitazione della materia del contendere. Ebbene, rileva a questo punto la sentenza che nel caso di specie, la parte autoqualificata come “premessa” oltre a contenere una ricostruzione dei fatti e del quadro normativo contiene anche, Contributo dell’avv. Andrea Calzolaio al Convegno “linguaggio giuridico e lingua di genere” Macerata 4 marzo 2011 in modo sparso, anticipazioni di critiche alla sentenza appellata, critiche che in genere vengono poi riproposte nella parte di ricorso autoqualificata “motivi”. Ritiene il Collegio che i motivi di ricorso intrusi senza un ordine logico nella parte in fatto siano, nel caso di specie, inammissibili, perché: a) la parte ha scelto di distinguere, nel ricorso, tra fatto e motivi; tale scelta va interpretata nel senso che non si sono intesi proporre motivi autonomi all’interno del “fatto”; b) i motivi intrusi non hanno un ordine coerente e non consentono al giudice di delimitare la materia del contendere. Ecco quindi una “sanzione” della non chiarezza, riferita ai motivi intrusi, seppur in concreto scarsamente incidente sulla vicenda processuale (tant’è che l’appello viene in parte accolto). Ecco ancora che con pochi tratti il Consiglio di Stato offre suggerimenti che ritengo preziosi e condivisibili nell’ottica della sinteticità e chiarezza. Riassumo così allora alcuni criteri metodologici di base per una rinnovata prassi nella redazione degli atti difensivi e in particolare del ricorso giurisdizionale avanti al giudice amministrativo: ‐ il fatto non è necessario se non per un primo inquadramento introduttivo della fattispecie; ‐ le censure debbono essere precedute da una epigrafe che non si limiti a richiamare le norme violate o i profili di eccesso di potere (ad esempio: Violazione di legge dlgs n. 152/2006, artt. 240 co. 1 lett. r ), 242 comma 4 ss., 244, 245 co. 2, 303 co. 1 lett h, 253 ‐ art. 2 co. 1 let. j del DM 471 /1999 ‐ art. 17 dlgs n 22/97 – violazione dei relativi principi di diritto – eccesso di potere per travisamento dei fatti e falsità dei presupposti e sotto molteplici profili), ma descriva molto sinteticamente la violazione (ad esempio aggiungendo – trattasi di inquinamento preesistente e diffuso). Tale descrizione finale è essenziale per consentire al giudice di percepire immediatamente il tema in discussione; ‐ la articolazione dei motivi richiede una riflessione approfondita, anche in riferimento al potere dispositivo della parte in funzione del proprio interesse, che non sempre vedo nella pratica professionale adeguatamente compreso e valorizzato dai difensori; l’argomento è almeno parzialmente fuori del tema; non potendo dilungarmi ulteriormente, rimando alla bella e completa relazione di Rosanna De Nictolis svolta al sopra ricordato 56° Convegno di Varenna, dal titolo “L’ordine dei motivi e la sua disponibilità”; ‐ le circostanze in fatto debbono essere adeguatamente esposte nella trattazione delle censure in diritto che ad esse di riferiscono (ricordo al riguardo che la giurisprudenza della cassazione in tema Contributo dell’avv. Andrea Calzolaio al Convegno “linguaggio giuridico e lingua di genere” Macerata 4 marzo 2011 di quesito di diritto, vigente l’art. 366 bis cpc abrogato con decorrenza 4.7.2009 dalla L. 18.6.2009 n. 69, aveva espressamente prescritto che il quesito non dovesse essere formulato in modo astratto ma con esplicito riferimento alla fattispecie concreta); ‐ vanno elencati, numerati e richiamati con precisione i documenti che si producono a sostegno delle domande ed eccezioni, ma non occorre ordinariamente trascrivere per esteso il contenuto (da questo punto di vista si deve ricordare che il principio della autosufficienza del ricorso vale solo per la cassazione, non per altri giudici, quand’anche di legittimità come i giudici amministrativi); ‐ quando l’atto è particolarmente complesso, in sede di revisione è opportuno premettere un indice sommario del suo contenuto; ‐ per le memorie vale senz’altro la regola indicata dal Presidente del Consiglio di Stato: richiamare gli scritti precedenti, integrare con riferimenti alla giurisprudenza e alle difese avversarie, se si tratta di replica limitarsi alla funzione propria. * * * Al termine di una riflessione (che spero sia risultata sintetica e chiara …) non mi sento di trarre altra conclusione se non ricordare quella della regola delle regole, cui tento di uniformare da questo punto di vista la mia attività professionale e che a ben vedere è anche espressione di un principio etico: non infliggere al giudice e alla controparte il disagio e il fastidio che ciascuno di noi avverte di fronte a scritti difensivi altrui che siano prolissi, inutilmente ripetitivi, obesi appunto. Secondo la mia esperienza, riferita non tanto a ma stesso quanto ai colleghi che più stimo, l’impegno alla concisione, alla organizzazione, alla lucidità espositiva è un viatico eccellente per conseguire talora l’accoglimento delle proprie ragioni, quando possibile, ma sempre il rispetto del nostro assistito, del giudice e della controparte. STEFANIA CAVAGNOLI Linguaggio giuridico e lingua di genere Il presente contributo, risultato di riflessioni più volte condivise con giuristi, in ottica interdisciplinare, affronta il linguaggio giuridico con particolare attenzione al discorso di genere. Dopo una breve introduzione diretta a descrivere il ruolo della linguistica e dei suoi strumenti relativamente al linguaggio giuridico, con l’individuazione di alcune direzioni di ricerca come la linguistica testuale, la pragmatica, la sociolinguistica e la lessicografia, si passerà all’analisi, sempre dal punto di vista linguistico, del linguaggio giuridico, presentando inoltre alcuni casi emblematici, scelti in quanto capaci di illustrare il percorso del diritto verso un adeguamento o meno della lingua alla situazione reale dell’agire giuridico. Si proporranno alcuni esempi, in ottica contrastiva, di situazioni linguistiche fortemente connotate al maschile, indicando alcune possibilità di modifiche della lingua, che dovranno essere condivise dagli esperti e dalle esperte che lavorano in ambito giuridico. Pare evidente che, in questo contesto, linguisti e giuristi sono chiamati a riflettere sul futuro della lingua giuridica, in quanto veicolo di realtà, anche al fine di sensibilizzare il legislatore futuro circa la realtà da veicolare con il linguaggio scelto nei testi giuridici. Stefania Cavagnoli è professoressa associata di linguistica e glottologia presso l’Università di Macerata, dove insegna didattica delle lingue e linguistica applicata. I temi della sua ricerca riguardano i linguaggi specialistici e della loro didattica, soprattutto la comunicazione specialistica giuridica, e il plurilinguismo, con particolare attenzione all’acquisizione precoce. Collabora nell’ambito della formazione degli insegnanti con scuole italiane. Ha al suo attivo diverse pubblicazioni a livello internazionale, spesso in collaborazione con studiosi di altre discipline, fra cui Introduzione all’italiano giuridico, Beck Verlag, Monaco, 2004, Tradurre il diritto, (a cura di, in collaborazione con E. Ioriatti Ferrari), Cedam, Padova, 2009, La comunicazione specialistica, Carocci, Roma, 2007. Il linguaggio normativo e semplificazione . Luigia Alessandrelli Semplificare il linguaggio normativo, rendere le leggi comprensibili ai cittadini e alle cittadine è un obiettivo che da tempo le assemblee legislative si sono date. Le ragioni sono evidenti . Norme oscure, contraddittorie, imprecise impediscono di fatto ai loro destinatari, cioè a chiunque spetti, di applicarle e farle applicare. Detta così sembra semplice e invece non lo è affatto . Anzi, scrivere disposizioni chiare è assai complesso e richiede interventi coordinati di politici e tecnici, peraltro, non tutti nella disponibilità della singola Assemblea che una determinata legge approva. Del resto che il problema vi sia è dimostrato dall’ ampia selva di norme oscure presenti nel nostro ordinamento che creano un contenzioso poderoso, intasano i tribunali, si frappongono alla competitività del nostro Paese. Ma perché è così complicato scrivere norme chiare ? Innanzitutto perché la legge, atto del diritto/atto della politica, è un prodotto negoziato e come tutti i prodotti negoziati non brilla per chiarezza. Ma vi è di più. Capita a volte che le diverse posizioni politiche che confluiscono nel testo non trovino una sintesi. Frasi involute , affermazioni contraddette da mille eccezioni, commi pieni di concetti contrastanti , norme in bianco, sono spesso il frutto di mediazioni non riuscite . E’ il prezzo della democrazia. E’ evidente che norma, essendo interventi tecnici. in altri campi in questi casi l’oscurità della voluta , non è risolvibile con Le soluzioni sono da ricercare (esempio: diminuzione del il problema della sua numero dei partiti che sostengono le maggioranze anche attraverso introduzione di sistemi elettorali idonei allo scopo). In secondo luogo non si può dimenticare che viviamo in un ordinamento giuridico in cui i soggetti produttori di norme sono moltissimi e ciascuno con una propria competenza più o meno netta. Si tratta del cosiddetto sistema multilivello in cui a disciplinare un medesimo settore intervengono più istituzioni (UE, Stato, Regioni, enti locali, autonomie funzionali) e quindi più fonti (legislative, regolamentari, programmatorie, amministrative, ecc). Il sistema risponde alle concrete esigenze di una moderna società complessa, ove una decisone efficace deve tener conto di tutti i punti di vista. A ciò si aggiunga che i rapidi cambiamenti sociali ed economici che caratterizzano la nostra epoca costringono ad approvare leggi elastiche capaci, cioè, di adattarsi continuamente all’ evolversi vertiginoso dei fenomeni che regolano. Ecco la ragione per cui vengono sempre più spesso approvate leggi cosiddette sperimentali cioè leggi che fissano principi e attribuiscono funzione regolative ad atti diversi ( normalmente programmatori di durata triennale o quinquennale). In tal maniera è possibile verificare gli effetti delle regolazione introdotta e i risultati raggiunti, implementando politiche efficaci ed abbandonando quelle prive di effetti. Ovviamente, però, se la disciplina di una determinata materia non è contenuta più, dalla prima parola all’ ultima, in unico testo questo si riverbera sulla chiarezza della norma. Per trovare qual è la regola di condotta da seguire in una specifica situazione occorre, infatti, leggere molti testi e di tipologia diversa. Su questo tema la singola Assemblea può incidere solo in piccola misura provvedendo, per quanto di competenza, ad abrogare e modificare esplicitamente nonchè a ridurre il numero delle leggi trasversali allo stretto indispensabile. Tale obiettivo è raggiungibile attraverso tecniche che non attengono all’ ambito redazionale della legge. Uno degli strumenti più usati per questo scopo è rappresentato dall’ analisi tecnico normativa (ATN) che , tra le altre cose, deve valutare l’impatto della nuova legge sull’ ordinamento in cui incide. Da questo punto di vista la nostra Regione è all’ avanguardia. Lo Statuto regionale, infatti, prevede che tutte le leggi siano accompagnate da tale analisi . Dal versante della leggibilità delle norme il sistema multilivello e la presenza di leggi trasversali si riverberano su una tecnica che appesantisce moltissimo i testi e cioè sul sistema dei cosiddetti rinvii esterni. Più sono i soggetti competenti a disciplinare un certo settore e più sono le leggi trasversali, più i rinvii esterni diventano necessari. Individuati gli elementi di contorno del problema , il cuore della questione resta altrove e cioè : il rapporto tra lingua e legge Le norme giuridiche viaggiano, infatti, attraverso parole scritte e proposizioni per cui la loro efficacia è condizionata dai pregi e dai difetti della lingua usata. Senza lingua le norme non esisterebbero, tanto ciò è vero che le leggi sono scritte per essere lette. Di qui l’importanza del cosiddetta interpretazione letterale (art 12 delle disposizioni della legge in generale) in base alla quale “nell’ applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole, secondo la connessione di esse”. Tale norma, pensata per chi legge, è importantissima per chi scrive perché impone di usare nelle leggi le parole nel significato loro proprio ossia il significato che normalmente hanno nella lingua italiana. A questo proposito un importante novità è stata introdotta nel 2007 nel manuale per la redazione dei testi normativi adottato formalmente da tutte le Regioni italiane. Una delle regole fondamentali del manuale è proprio quella di usare di preferenza le parole dell’ italiano comune. Solo se per un dato concetto non esistono parole dell'italiano comune caratterizzate da precisione, chiarezza e univocità possono essere usati termini giuridici o tecnici. Le ragioni di tale precisazione sono evidenti perché le leggi, non solo si servono della lingua ma sono esse stesse parte di un linguaggio che è quello giuridico. La specializzazione del linguaggio giuridico risponde all’ esigenza di precisare il più possibile proprio per non causare equivoci. Chiarezza e precisione, però, sono due concetti, spesso, in antitesi tra loro. I rinvii esterni, ad esempio, rispondono ad esigenze di precisione ed economia ma contrastano con quelli di chiarezza e accessibilità. L’antitesi tra chiarezza e precisione è rilevante anche su un altro versante. Per capirlo si può prendere in prestito la regola non giuridica “ama il prossimo tuo come te stesso”.Si tratta di una norma assolutamente chiara ma assolutamente imprecisa. La sua imprecisione le ha permesso di sopravvivere nel tempo perché si è adattata ai diversi quadri culturali e sociali in cui ha operato. La caratteristica fondamentale della legge chiara è infatti al sua elasticità , quella della legge precisa è al sua rigidità. Però chiarezza e precisione sono due requisiti essenziali della legge per cui occorre trovare tra loro la mediazione più alta possibile. Il punto di equilibrio tra elasticità e rigidità, chiarezza e precisione dipende dalla tipologia di legge. Un legge sperimentale e distributiva può permettersi di lasciare ampio spazio all’ elasticità. Un codice di procedura civile , legge regolativa per eccellenza, deve dare maggior spazio alle ragioni della precisione, ai termini tecnici. Non si deve dimenticare infatti che non tutte le leggi hanno gli stessi destinatari e non tutte le leggi sono rivolte ai tecnici del diritto. In questo ultimo caso esse non possono prescindere dal linguaggio dei destinatari, cioè dal linguaggio comune. Il problema della conoscibilità della norma è un problema assai serio La legge è infatti un messaggio e se non è conoscibile per i suoi destinatari e destinatarie non può produrre effetti . Dispone al riguardo il manuale su drafting che “ Un testo normativo deve essere linguisticamente accessibile al cittadino, nei limiti permessi dalla complessità dei suoi contenuti. Nella redazione si deve tener conto delle conoscenze linguistiche e delle esigenze di comprensione di coloro ai quali i testi si applicano” . Tale obiettivo è raggiungibile attraverso operazioni che sono a monte della stesura del testo e cioè attraverso un’ attenta analisi ex ante volta ad individuare i destinatari della norma. Detta analisi è uno degli elementi dell’ ATN . E’ da rilevare però che anche se i destinatari diretti della legge sono Comuni , dirigenti pubblici , Giunta regionale le disposizioni del manuale per la redazione dei testi normativi vietano di indulgere su un linguaggio burocratico. Perché? Se una legge deve esser svolta da un burocrate , se non ha immediato effetto per il cittadino comune , perché evitare il linguaggio burocratico normalmente tranquillizzante per il funzionario medesimo? La verità è che le parole non sono solo i mattoni delle leggi ma sono anche portoni attraverso cui passano valori. Le parole delle leggi sono parole pesanti. E’ per questo che le leggi devono dare il buon esempio evitando il linguaggio burocratico , linguaggio che crea una distanza insormontabile tra amministrazioni e società civile. Sempre su questo versante , una novità particolarmente significativa è costituita dalle disposizione del manuale su darfting relative al linguaggio discriminatorio che invitano ad evitare l’uso del maschile come neutro universale Questa disposizione è stata introdotta anche per aiutare a mette a fuoco che i destinatari della legge sono uomini e donne cioè soggetti con caratteristiche , problemi , bisogni, desideri in parte diversi. Solo partendo da tale consapevolezza è possibile costruire un sistema giuridico equo capace cioè di incoraggiare e sostenere, maniera paritaria , le diverse aspirazioni delle donne e degli uomini. L’analisi di attuazione di molte leggi ci dimostra che i beneficiari delle stesse , non sono in pari percentuale uomini e donne. L’ago della bilancia pende in maniera sproporzionata verso il sesso maschile. Per finire un cenno ad uno strumento di semplificazione ed omogeneizzazione del linguaggio normativo introdotto nella nostra Regione e su cui si sta lavorando al livello interregionale : il formulario del legislatore regionale Il formulario è una raccolta di schemi ed esempi delle disposizioni legislative di uso più frequente nella regione che facilita la predisposizione dei testi perché propone modelli da utilizzare nei diversi settori di intervento legislativo . L’impiego di formulazioni predeterminate, inoltre, assicura l’omogeneità terminologica del sistema e favorisce l’interpretazione uniforme delle diverse disposizioni. EMILIA MAGNARELLI Per mero tuziorismo difensivo: la retorica dell’avvocato nel processo civile Nell’”Elogio dei giudici scritto da un avvocato”, Piero Calamandrei sintetizzava così- settant’anni fa- il succo di uno “stile” forense moderno: “ciascuno si industrierà di esprimer l’essenziale con parole semplici”. Questa regola era dettata per un processo civile che si sperava avviato verso una quasi completa oralità: le cose sono poi andate molto diversamente, per ragioni non legate a scelte di politica giudiziaria ma al sempre più insopportabile carico di processi e alla sempre crescente impossibilità di trattarli in tempi non biblici. Gli avvocati civilisti sono quindi, necessariamente e più che mai, “scrittori” di atti, che tendono anzi a moltiplicarsi e ramificarsi lungo tutto il corso del processo. Come se la cavano? Ci sono alcuni luoghi comuni negati a parole ma praticati nei fatti: ad esempio, quello di ritenere che la lunghezza degli atti sia sinonimo di una buona argomentazione, ossia di una argomentazione esaustiva. Si corrono certo rischi di ellitticità o di eccesso di ipotassi in una redazione troppo stringata: ma l’opposto- ossia l’eccessiva lunghezzasconta l’adesione ad un distorto ideale di “completezza”, che impone il rispetto di una sorta di principio di precauzione secondo il quale nell’atto non devono esserci lacune (salvo ovviamente evitare ammissioni dannose o controproducenti). A questo inattingibile ideale di completezza (che produce atti pletorici e ripetitivi) si contrappone il mito di una totale “trasparenza” dell’atto, nel quale ogni frase sia depurata da elementi spuri. Tra questi due estremi, il civilista deve trovare la strada di una “eloquenza” argomentata, in grado di trasmettere la drammaticità di certe situazioni, ma anche lucida nell’esposizione e secca nello stile. Gli atti scritti, però, non si rivolgono solo al giudice: essi si inseriscono nella dialettica con i difensori delle altre parti. Al di là dei principi generali di correttezza e lealtà, esistono altre regole cui far riferimento per non trasformare questa dialettica in una serie di monologhi ognuno dei quali racconta la sua storia, senza curarsi della storia degli altri. Il riferimento è alla “pragmadialettica” di cui parla la professoressa Mortara Garavelli nel suo “Le parole e la giustizia”: una serie di premesse di metodo che, tenuto contro della specificità dell’argomentazione difensiva, contribuiscono ad un’esposizione non viziata da fallacie logiche o dialettiche : anche se è esperienza comune che alla fallacia logica può corrispondere, in certi casi, un’efficacia pragmatica. La conclusione torna al titolo dell’intervento: “per mero tuziorismo difensivo” è una di quelle formule vagamente latineggianti (insieme ai veri e propri prestiti dal latino) che contribuiscono a tenerci lontani da un vero italiano giuridico, lingua tecnica ma ben collegata a quella comune, parlata e scritta. Abstract dell’intervento di DOMENICO POTETTI "Nel periodo che va dalla Costituzione repubblicana ad oggi sono radicalmente cambiati l'amministrazione della giustizia, la figura del giudice, e di conseguenza il rapporto fra il giudice (e le parti) e lo strumento linguistico. In origine l'amministrazione della giustizia esprimeva la sacralità dello Stato in una società molto meno complessa dell'attuale, e in una situazione degli uffici giudiziari non ancora degradata come oggi. Poteva quindi sopravvivere la figura del giudice letterato, didascalico e inevitabilmente lento. Lo strumento linguistico era evidentemente funzionale a tale situazione dell'amministrazione della giustizia e a quel ruolo del giudice. Da ciò le motivazioni auliche, le espressioni pompose, il tono didascalico.Viceversa la quantità del lavoro e i tempi dello stesso rappresentavano quasi fattori di contaminazione, da evitarsi, rispetto alla sacralità del giudice e della giustizia. La tumultuosa trasformazione della società, diventata sempre più complessa (soprattutto in relazione all’economia e ai relativi conflitti) ha comportato negli ultimi decenni che l'amministrazione della giustizia è diventata essenziale e funzionale rispetto alle esigenze dell'economia (si pensi alla tutela del credito). Pragmaticamente, la produzione giudiziaria perde progressivamente la sua sacralità per essere concepita infine come servizio pubblico; si pone quindi l'esigenza della sua efficienza.Contemporaneamente, i necessari adeguamenti del sistema giudiziario (le cosiddette riforme della giustizia) si realizzano solo in misura insufficiente rispetto alle necessità, essendo anche lo scenario di queste riforme dominato dal conflitto fra ordine giudiziario e classe politica. Questi fattori comportano la profonda crisi del sistema giudiziario, proprio quando allo stesso si dovrebbe ricavare il massimo dell'efficienza. Questa situazione produce anche una vera e propria rivoluzione del ruolo del giudice, non più letterato e didascalico, ma moderno professionista, al quale si chiede il rapporto migliore e a livello più alto fra qualità e soprattutto quantità del lavoro svolto. Imperano le statistiche come strumento di valutazione del magistrato.La ricerca della forma diventa difetto, e la funzione didascalica del provvedimento giudiziario viene di regola abbandonata.La stessa funzione della Suprema corte di cassazione rischia di venire pregiudicata.Incalzato dalla necessità di dare risposte alle sempre maggiori esigenze della società, il giudice vede trasformarsi anche, profondamente, la tecnica di redazione degli atti giudiziari e, di conseguenza, di quelli di parte, nell'ambito del processo. La sintesi diventa un'esigenza prepotente del lavoro giudiziario, fino al rischio di sfociare nella lacuna. Irrompe la necessità della chiarezza immediata della scrittura.L’atto giudiziario fuoriesce dalla letteratura ed entra nella logica.Diventa essenziale comprendere e adeguarsi al metodo di lavoro del giudice.Anche l'informatica rappresenta una clamorosa rivoluzione dei sistemi di lavoro e di redazione degli atti.Si affermano nuovi sistemi di scrittura: non solo la tastiera, ma anche lo scanner, il riconoscimento vocale, l'accesso alle banche dati, il metodo del copiaincolla.L'informatica produce effetti grandemente positivi, come la velocità di accesso al dato e la velocità di scrittura.Vi sono però anche effetti negativi in questa rivoluzione dell'uso del dato linguistico: il soggetto che scrive tende a riportare meccanicamente la scrittura altrui (nell'ipotesi migliore), e rischia addirittura di non comprendere, o di trascurare, il significato del segno grafico del quale si impadronisce. Elena Ranucci Esperienze europee di attenzione al genere nel linguaggio giuridico Schema di intervento 1. Indicazioni per l'utilizzazioni di una lingua non sessista contenute in documenti ufficiali dell'UE, del Consiglio d'Europa e di altre organizzazioni internazionali. 2. Linee guida del Parlamento europeo per l'utilizzazione di un linguaggio neutro dal punto di vista del genere nelle sue pubblicazioni e comunicazioni: problemi puntuali segnalati e soluzioni proposte; confronto tra le diverse versioni linguistiche delle Linee guida, con particolare attenzione al francese, allo spagnolo, al portoghese e all'italiano. 3. Uso effettivo dei femminili per i titoli e le funzioni nei testi dell'Unione europea, con particolare attenzione al francese, allo spagnolo, al portoghese e all'italiano. Esame di alcuni casi specifici: commissaria, segretaria generale, presidente, alta rappresentante, direttrice generale, direttrice, capo unità ecc. Uso dei femminili nei bandi per concorsi e negli avvisi di posti vacanti. Confronto delle strategie prevalenti nelle varie lingue ufficiali dell'Unione, con particolare attenzione al francese, allo spagnolo, al portoghese e all'italiano.