Jean-Yves Frétigné GIUSEPPE GARIBALDI L’EROE E GIUSEPPE MAZZINI L’ANTIEROE, L’OPINIONE PUBBLICA E L’INTELLIGENTSIA FRANCESI DI FRONTE AI DUE NUMI TUTELARI DELL’ITALIA CONTEMPORANEA Jean-Yves Frétigné (Università di Rouen Presidente del Gruppo degli storici francesi del Risorgimento) Il nome di Giuseppe Mazzini e quello di Giuseppe Garibaldi cominciano a essere davvero conosciuti in Francia nel 1848. A partire da questa data ha inizio un discorso positivo e uno negativo su ciascuno dei due ma il confronto non è destinato a proseguire, dal momento che le dinamiche della loro popolarità, se si può parlare di popolarità nel caso di Mazzini, successivamente divergeranno in maniera profonda. Questo breve articolo 1 non vuole studiare nei dettagli come furono recepiti Mazzini e Garibaldi in Francia –esistono già parecchi saggi a questo proposito e rinviamo il lettore alla bibliografia indicativa proposta alla fine dell’articolo-, ma ha come scopo quello di esaminare le ragioni dello scarto notevole tra l’importante presenza di Garibaldi nella vita politica francese e l’assenza pressoché totale di Mazzini. La tesi che sosterremo in questo lavoro è quella di dimostrare che questo scarto si giustifica sia con lo sguardo che i Francesi rivolgono ai due patrioti italiani sia con l’attenzione che i due rivolgono alla Francia. La distinzione di questi due punti di vista viene evidenziata solo per comodità didattica, perché nella realtà essi s’intersecano l’uno con l’altro. Si può sostenere senza esagerare che dal 1848 al 1882, e in particolar modo a partire dal 1859, Giuseppe Garibaldi è presente molto spesso nella stampa e nelle conversazioni dei Francesi. Ciò si spiega con la sua posizione di rilievo in Italia ma anche perché le sue gesta coinvolgono direttamente la storia della Francia, in quanto essa è, da una parte, dal 1849 la custode della sovranità temporale del Papa e, dall’altra, con il fatto che Napoleone III svolge un ruolo capitale nelle tre guerre d’indipendenza che conducono alla formazione dell’unità d’ Italia. Garibaldi, infine, interviene personalmente a fianco dei Francesi nella guerra contro la Prussia del 1870-71. Il radicamento del nome e del mito di Garibaldi non si verifica solo a Parigi ma anche, fenomeno molto più raro per uno straniero, in provincia, a Nizza, la sua città natale, e in Borgogna, dove diventa famoso a capo del suo esercito di volontari. Grandi scrittori francesi hanno posto la loro penna al servizio di Garibaldi. Citiamo, tra gli altri, Victor Hugo e Émile Zola. Ma è senza dubbio Alexandre Dumas a svolgere il ruolo più importante nella diffusione della leggenda garibaldina in Francia. Romano Ugolini ha ragione nel vedere nella traduzione/tradimento dei Mémoires di Garibaldi di Dumas lo sforzo di quest’ultimo per “rendere accattivante il personaggio Garibaldi al suo pubblico di lettori perché lo ha francesizzato”. Dumas ce la fa a “catturare la simpatia dei lettori nei confronti del suo personaggio senza dispiacere all’élite napoleonica né, sull’altro versante, ferire la suscettibilità dei repubblicani; il tutto doveva essere pervaso da un’atmosfera accattivante di avventura, dove la fantasia da evocare doveva trovare il suo contrappeso in un contesto realistico di verità documentabili e accertate”2. Un altro elemento che spiega la popolarità di Garibaldi è il fatto che la famiglia repubblicana gli resta fedele dal 1848 al 1882 3. L’omaggio più bello reso alla sua memoria è la commemorazione organizzata al Cirque d’hiver l’11 giugno 1882 dai repubblicani, il cui regista altri non era che Edouard Locroy, che svolgerà la prestigiosa funzione di Ministro della Marina del Governo Léon Bourgeois. Tra il 1891 e il 1907 vengono eretti tre monumenti in onore di Garibaldi e molte municipalità di ispirazione repubblicana e socialisteggiante assegnano il nome dell’eroe italiano a una delle loro strade. Il riavvicinamento, infine, franco-italiano alla svolta tra XIX e XX secolo si fonda in gran parte sul tema della fraternità latina, della quale Garibaldi incarna l’immagine più perfetta. Non deve sorprendere quindi il fatto che la leggenda dorata, cioè la memoria positiva di Garibaldi, prevalga nel cuore dei Francesi sulla leggenda nera. I Francesi ammirano da una parte il suo coraggio sul campo di battaglia e, dall’altra, la forza dei suoi ideali, la capacità di sintesi della sua azione tra la guerra patriottica e la guerra rivoluzionaria, il suo idealismo senza ideologia, la grandezza dell’uomo impegnato che sa risolvere i dilemmi senza tuttavia perdere il proprio onore e vendere la propria anima. La stima conferita al patriota italiano va al di là della sola famiglia repubblicana ed è presente sia tra i bonapartisti sia all’interno del movimento socialista. Perfino l’antigaribaldinismo, ben studiato da Marina Milan4, mostra un certo riguardo, se così si può dire, nei confronti di Garibaldi. Nella guerra degli opuscoli, che ha inizio con la pubblicazione di quelli del visconte de La Guéronnière, fortemente influenzati da Napoleone III, L’Empereur Napoléon III et l’Italie, poi Le Pape et le Congrès (1859), quelli volti a difendere o ad attaccare Garibaldi sono molti. Partendo dallo studio di questi ultimi, Marina Milan distingue quattro forme di antigaribaldinismo. La più frequente è quella che si sviluppa in nome della difesa degli ideali cattolici, secondo la quale Garibaldi è l’ateo senza vergogna, il rivoluzionario senza pietà, l’anticlericale viscerale, il primo avversario del Papa, in conclusione il nemico della civiltà cristiana. In questa letteratura viene contrapposta spesso a Garibaldi la figura di Lamoricière, il capo degli zuavi pontifici. La seconda forma di antigaribaldinismo è quella sostenuta dai partigiani del legittimismo. Nella loro prosa sono presenti gli stessi temi della critica cattolica, anche se l’accento viene posto soprattutto sul martirio di Francesco II, l’ultimo sovrano del Regno delle Due Sicilie, sacrificato dalla diplomazia europea, la quale ha scelto di fare il gioco della politica di Garibaldi. La terza forma di antigaribaldinismo si differenzia dalle prime due in quanto essa si dimostra favorevole all’idea di una Confederazione italiana, pur rifiutandosi di prefigurare l’unità d’Italia di cui Garibaldi è eroe e baluardo. Questa tesi viene spinta fino all’estremo dal filosofo francese Joseph Proudhon. L’ultima forma dell’antigaribaldinismo, infine, e senza dubbio la più moderata di tutte, giustifica, per ragioni esclusivamente diplomatiche, la presenza dell’esercito francese a Roma con lo scopo di evitare un intervento dell’Austria. Lo studio dell’antigaribaldinismo dimostra che l’arsenale argomentativo contro Garibaldi fa parte del discorso contro l’unità d’Italia. Così, tra i cattolici francesi ultramontani, le critiche contro il Nizzardo perdono di vigore dopo Mentana, dal momento preciso nel quale la Francia imperiale si rivela all’altezza dei propri doveri rispetto alla Santa Sede. Molti oppositori di Garibaldi vedono in lui prima di tutto un ingenuo manipolato dal machiavellico Cavour per servire i torbidi disegni dell’Inghilterra, la quale mira ad assicurarsi l’egemonia nel Mediterraneo a discapito della Francia: “Oui, je suis par position, catholique, clérical, si vous voulez, parce que la France, ma patrie, n’a pas encore cessé de l’être, et que les Anglais sont anglicans, les Prussiens protestants, les Suisses calvinistes, les Américains unitaires, les Russes grecs; parce que tandis que nos missionnaires se font martyriser en Cochinchine, ceux de l’Angleterre vendent des bibles et autre articles de commerce. De toutes ces considérations il résulte, selon moi, que, par suite de l’imbroglio italien et de la campagne de 1859, à laquelle je n’ai pas le regret d’avoir applaudi, la nation française est en présence d’un immense échec, acculée pour ainsi dire à sa propre déchéance. Et si je comprends à merveille les raisons qui font désirer cet échec aux puissances rivales, ce que je ne comprends pas c’est l’adhésion donnée à cette irréparable dégradation par la presse libérale française; c’est la stupidité italienne qui la sollicite; c’est l’imprévoyance de certains Etats, dont la sûreté n’est rien moins que garantie et qui y applaudissent. L’armée française sortira de Rome,soit; l’Autriche finira moitié de gré, moitié de force, par cedér Venise, soit encore : l’unité italienne sera consommée, je suppose la chose faite. Croyez vous donc que la France, que l’Autriche, que toutes deux, dans ce cas unies d’intérêts, se désistent sans compensation? Idiot qui le penserait”5[Sì, sono, per posizione, cattolico, clericale se volete, perché la Francia, la mia patria, non ha ancora smesso di esserlo, e perché gli Inglesi sono anglicani, i Prussiani protestanti, gli Svizzeri calvinisti, gli Americani unitari, i Russi ortodossi; perché, mentre i nostri missionari si fanno martirizzare in Cina, quelli inglesi vendono bibbie e altri articoli di commercio. Da tutte queste considerazioni si evince, secondo me, che, in seguito all’imbroglio italiano e della campagna del 1859, che non rimpiango di non aver applaudito, la nazione francese è in presenza di un enorme fallimento, spinta verso la propria decadenza. E se capisco a meraviglia le ragioni per le quali le potenze rivali desiderano questo fallimento, ciò che non capisco è l’adesione data a questo irreparabile degrado dalla stampa liberale francese; è la stupidità italiana che lo sollecita; è la miopìa di certi Stati, la cui sicurezza non è affatto garantita, eppure l’applaudono. L’esercito francese uscirà da Roma, ebbene; l’Austria finirà, metà spontaneamente e metà forzata, per cedere Venezia, sia pure: l’unità italiana sarà realizzata, non ho dubbi. Pensate forse che la Francia, che l’Austria, che entrambe, in questo caso unite da interessi comuni, desistano senza compensi? Solo un idiota potrebbe pensarlo”] 5. In questo estratto dell’opuscolo La fédération et l’unité en Italie, Joseph Proudhon non rimprovera personalmente niente a Garibaldi, ma accusa il patriota italiano di nuocere agli interessi della Francia. Del resto, lui non è che lo strumento di questa politica. Non ne è il principale responsabile perché il responsabile vero si chiama Inghilterra, oppure Cavour, o ancora Giuseppe Mazzini. E’ interessante evidenziare come nel discorso antigaribaldino non sia raro percepire una forma di ammirazione nei confronti del coraggio e dell’integrità morale dell’eroe dei Due Mondi. Gli appellativi stessi di avventuriero e filibustiere che i suoi avversari affibbiano a Garibaldi non hanno fondamentalmente una connotazione negativa nella lingua francese. Rari non sono gli scrittori e i pubblicisti che rendono omaggio al carattere cavalleresco del Nizzardo. E’ in questo modo che il legittimista La Rochefoucauld parla di Garibaldi: “E’ un capo che, almeno lui, è l’immagine della schiettezza del proprio ruolo e del disinteresse del fanatismo” 6. Altro esempio; al capo opposto dello scacchiere politico, Joseph Proudhon scrive: “Rendo l’omaggio più sincero al carattere di Garibaldi, alla devozione cavalleresca, alla sua alta probità che non mercanteggia i suoi servizi per un'idea"7. Ben altri sono i rapporti tra l’opinione pubblica e l’intelligentsia francese e Giuseppe Mazzini. Non esiste nessun radicamento di un mito mazziniano in Francia, anche se scrittori e giornalisti di grande levatura, come Georges Sand, hanno posto per un certo tempo la loro penna al servizio degli ideali e della persona di Mazzini. Così non deve sorprenderci il fatto che i legami tra Mazzini e la Francia siano intessuti di silenzi, di omissioni, d’ignoranza e di malafede. In Francia la leggenda nera di Mazzini supera di molto un apprezzamento positivo sulla sua figura e la sua azione. Peggio ancora, mentre l’ammirazione per Garibaldi oltrepassa il cerchio della famiglia repubblicana, quella per Mazzini è ben lontana dall’essere condivisa anche da tutti i repubblicani. Al contrario, a differenza dell’antigaribaldinismo, l’antimazzinianesimo è chiaramente privo della minima considerazione positiva a favore dell’apostolo dell’unità italiana. Fin dalla Seconda Repubblica (1848-1851), si vanno delineando due immagini radicalmente antinomiche di Mazzini: da una parte quella del patriota unitario repubblicano e dall’altra quella del pensatore mistico e fanatico. Nel periodo della Repubblica romana, una parte dei repubblicani gli oppone già la figura di Daniele Manin. Nel giornale L’Evénement, del quale Victor Hugo è una delle penne più prestigiose, si può leggere nel numero datato 4 giugno 1849, cioè proprio dopo la presa del forte di Marghera, un articolo che suggerisce al governo francese “d’intervenire diplomaticamente per salvaguardare la libertà di Venezia. Facendo una distinzione del tutto legittima tra il signor Manin e il signor Mazzini, il gabinetto francese dimostrerebbe lo scopo realmente liberale della spedizione di Civitavecchia…”8. Nel 1852, Mazzini rompe definitivamente con i socialisti e chiude con gli intellettuali francesi che ha ammirato di più, cioè Félicité de Lamennais, Pierre Leroux e Georges Sand. Questa rottura, che abbiamo dimostrato in un articolo recente essere voluta e decisa dal pensatore italiano, gli fa perdere i suoi principali sostenitori in Francia, ma non segna la fine, come è stato troppo spesso affermato, dei suoi rapporti con questo paese. Dopo la polemica con i socialisti francesi, si assiste piuttosto a una riconversione delle sue amicizie verso i repubblicani moderati, come Edgar Quinet, Jules Michelet o ancora … Victor Hugo. Sotto il Secondo Impero, mentre la stampa democratica è imbavagliata, di Mazzini non resta altro che un’immagine negativa. Quest’ultima non è mai controbilanciata né attenuata, dal momento che quasi nessun testo o articolo di Mazzini viene tradotto o pubblicato in Francia dopo il 1851. Dopo l’affaire Lesseps9, bisogna aspettare l’episodio di Mentana perché i repubblicani francesi si ricordino di Giuseppe Mazzini, anche se preferiscono manifestare la loro opposizione alla politica estera dell’Imperatore riunendosi sulla tomba di Manin, il quale ha avuto la fortuna di trovare il proprio Alexandre Dumas nella persona dello storico Henri Martin che gli apre le colonne del celebre giornale Le siècle. Notiamo di passaggio il contrasto tra la situazione di Mazzini in Francia e la sua posizione in Inghilterra, dove il mazzinianesimo occupa una posizione di primo piano per una quindicina di anni, dall’inizio degli anni Quaranta dell’Ottocento alla guerra di Crimea10. In Francia, l’immagine negativa di Mazzini è quella di un utopista pronto a sacrificare la vita dei giovani patrioti in nome dei suoi progetti di morte, di un pugnalatore e cospiratore, insomma di un “Mosè dello spirito del male”, “un Maometto cosmopolita”11, secondo le espressioni dello scrittore romantico e reazionario Charles-Victor Prévost d’ Arlincourt (1788-1856). E’ interessante sottolineare che queste due definizioni verranno riprese da Louis Blanc nella sua Réponse à Mazzini, pubblicata nel 185512. “Maometto cosmopolita”, “Mosè dello spirito del male”, “angelo caduto” –quest’ultimo paragone si deve allo storico e scrittore controrivoluzionario Alphonse Balleydier (1810-1859)-, questi tre epiteti che lo caratterizzano come un assassino rimandano alla dimensione religiosa, settaria e mistica di Mazzini e ne fanno un nemico acerrimo del quale bisogna tener conto. Ciò vale anche per l’appellativo che lo designa come “il Papa dell’Antichiesa”, affibbiatogli dagli scrittori socialisti, espressione che stigmatizza insieme l’autoritarismo e il misticismo del patriota italiano. In conclusione, da questo breve esame emerge che Mazzini è poco conosciuto, molto poco considerato e descritto, quando va bene, come un rivoluzionario che appartiene al passato. Quest’analisi è corroborata dal fatto che dopo la sua morte Mazzini non goda di alcuna popolarità e non svolga nessun ruolo di primo piano nel riavvicinamento tra la Francia e l’Italia. Dopo il 1872, sparisce quasi del tutto dalla memoria dei Francesi nella quale non aveva mai messo radici. E’ opportuno tuttavia ricordare che personalità tanto diverse come lo scrittore di sensibilità comunista Romain Rolland, il socialista Clovis Hugues, Lucien Millevoye, un allievo di Barrès, senza dimenticare i celebri repubblicani Alfred Naquet e Georges Clemenceau, hanno saputo riconoscere i meriti e la grandezza di Mazzini13. Perché una differenza così grande tra la percezione di Mazzini e quella di Garibaldi da parte degli intellettuali e dell’opinione pubblica francese? Secondo noi le ragioni di questo scarto così significativo sono tre. La prima attiene al fatto che Mazzini è considerato un pensatore mentre Garibaldi è percepito soprattutto come uomo d’azione. Se è possibile esprimere un giudizio tollerante nei confronti di un uomo d’azione, non è possibile farlo con un pensatore, del quale o si accettano o non si accettano le teorie. Si può essere indulgenti nei confronti di qualcuno che esegue degli ordini, che segue un programma, soprattutto se lo fa con cavalleria e nobiltà d’animo, ma un tale atteggiamento non può essere accettato da chi gli ordini li dà e in particolar modo da chi si tiene, e questo è il caso di Mazzini, al riparo dal pericolo non esitando a sacrificare gli altri per i propri ideali. Per spiegare questa considerazione ci limitiamo all’esempio di Proudhon. In due libelli dedicati all’Italia, da una parte La Fédération et l’unité italienne (1862), di cui fanno parte due saggi Mazzini et l’unité italienne e Garibaldi et l’unité italienne e, dall’altra, Nouvelles observations sur l’unité italienne (1864) il tono utilizzato dal filosofo francese nei confronti di Mazzini e di Garibaldi non è affatto identico. Per quanto riguarda il primo, l’accento viene posto su un testo, La Dichiarazione del 6 giugno 186214, nel quale Mazzini denuncia la retromarcia fatta dal governo di Vittorio Emanuele II in merito alla propria missione e invita a proseguire la lotta patriottica fino alla conquista delle Venezie e di Roma in nome del dovere nazionale superiore a ogni forma di rispetto dovuto a un governo. Per Garibaldi, Proudhon mette in evidenza la ferita ricevuta in Aspromonte il 29 agosto 1862. Uno scritto che, da una parte fa appello allo scontro, dall’altro alla ferita, da un lato al sistema freddo del pensiero e dall’altro alla carne sofferente di un uomo “grande unitario”15, “capo del movimento”16 “uomo di dottrina”17, queste sono le espressioni più frequenti sulla penna dello spregiatore della proprietà privata per qualificare, o meglio, per squalificare Mazzini: “Quel che posso dire, è che Mazzini, vantandosi di avere fatto nascere l’unità italiana grazie alla campagna del 1859 e imponendola a Vittorio Emanuele ha dato prova di una scarsa capacità di valutazione e di essere venuto meno alla sua missione di rivoluzionario e di democratico. L’unità in Italia è come la repubblica indivisibile di Robespierre, la pietra angolare del dispotismo e dello sfruttamento borghese. Quando un uomo ha commesso tali sbagli, non cospira più, sparisce. La dilapidazione e il deficit, l’arbitrarietà, l’ipocrisia, la tirannia subalterna, l’incendio, il massacro, la rovina, ecco ciò che da quattro anni l’Italia ha raccolto da questa politica di unità preconizzata dal 1820 da Mazzini, ripresa dalle fondamenta da Cavour e dai suoi successori, sostenuta in Francia da una stampa senza autorità. Un compatriota di Mazzini ha detto di lui che in tutta la sua vita aveva saputo fare solo due cose: spillare denaro ai ricchi e sangue al popolo senza restituire niente né agli uni né agli altri. Che pazienza gli Italiani!”18. Da questo estratto emerge che Proudhon riconosce a Mazzini una vera e propria leadership intellettuale, mentre vede in Garibaldi colui che esegue il programma di Mazzini contro il quale Proudhon si scaglia con virulenza: “Di tutta questa avventura (Aspromonte), solo un uomo è rimasto in piedi, Mazzini, l’ideatore dell’impresa, che non ha contribuito per niente all’esecuzione e che si lamenta anche del fatto che Garibaldi sia stato maldestro. Povero Garibaldi!”19. Mentre Maxime du Camp paragona Garibaldi a Goffredo di Buglione e a Giovanna d’Arco, Proudhon lo accosta a Wallenstein (15831634), il cui destino di condottiere è certamente tragico ma non manca di cavalleria. E’ quindi a Mazzini che Proudhon riserva le sue critiche di fondo nei confronti dell’unità italiana, contro la prosecuzione della politica centralista del giacobinismo e infine contro un approccio superato e antisocialista della questione sociale. La seconda grande differenza riguarda la concezione che Mazzini e Garibaldi hanno del ruolo della Francia in Europa. Come ci siamo sforzati di dimostrare in una serie di articoli, uno degli elementi centrali della dottrina di Mazzini è la contrapposizione fondamentale tra l’iniziativa italiana e l’iniziativa francese. Deluso dall’atteggiamento della Francia all’indomani poco glorioso della Rivoluzione delle Trois Glorieuses, l’autore di Foi et avenir non smette mai di criticare la Francia e di riversare le proprie speranze di rigenerazione dei popoli europei su altri paesi, tra i quali al primo posto vi è l’Italia della Terza Roma. Durante il primo lustro del decennio 1850-1860, dopo l’intervento delle truppe di Oudinot, Mazzini gioca la carta dell’Inghilterra contro la Francia, sperando che Palmerston, sostenuto dall’opinione pubblica britannica, abbia forze sufficienti per ostacolare i disegni di Luigi Napoleone Bonaparte. La posizione di Garibaldi nei confronti della Francia è diversa. Sebbene formuli dei rimproveri a Napoleone per aver posto fine alla Repubblica Romana e imposto il Trattato di Torino del 24 marzo 1860, mantiene sempre intatto il proprio attaccamento agli ideali del 1789 continuando a credere che la Francia abbia da svolgere un ruolo di primo piano in Europa e nel mondo. Perché altrimenti si sarebbe impegnato a fianco dei Repubblicani volendo continuare la guerra contro la Prussia? Nonostante deplori l’egemonia napoleonica sull’Italia, sancìta de jure dalla Convenzione del 15 settembre 1864, sottolinea tuttavia il coraggio dei soldati francesi nella seconda guerra d’indipendenza, nel momento in cui Mazzini invita le truppe piemontesi a disertare. Nei tre testi più importanti20nei quali Garibaldi ridisegna la carta dell’Europa, attribuisce alla Francia sempre una funzione positiva, pur rimproverandole la sua manìa di grandezza. Egli ritiene che questo paese occupi il primo posto tra le potenze del continente europeo, che possa svolgere un ruolo di arbitro e di motore per una confederazione dell’Europa, ma debba tuttavia sforzarsi di cercare un riavvicinamento con l’Inghilterra. La differenza con Mazzini, che cerca di giocare la carta di Londra contro Parigi, in particolare all’epoca del Comitato Centrale Democratico Europeo, non potrebbe essere evidenziata meglio. Anche nel suo breve saggio Union européenne, nel quale espone il suo progetto utopico di ristrutturazione dell’Europa in grandi aree linguistiche e culturali, ritiene che la Francia “potrebbe fare a meno dell’Alsazia e della Lorena, le quali con le altre provincie della Prussia renana formerebbero una magnifica confederazione come quella svizzera” 21rimanendo il punto d’incontro tra i grandi insiemi renano, alpino e mediterraneo. La terza e ultima differenza è quella meno considerata dagli specialisti di Mazzini e di Garibaldi. Essa è senza dubbio la più discussa, ma anche la più originale. Consiste nel contrapporre lo spiritualismo di Mazzini al positivismo di Garibaldi. Nella seconda metà del XIX secolo e in particolare dopo il 1860, Mazzini rappresenta sempre di più agli occhi dei rari Francesi che continuano a interessarsi ancora a lui l’uomo del passato. Rivelatore di questo tipo d’interpretazione è il breve saggio Mazzini, l’Italie et la Révolution française di Eugène Spuller, pubblicato dalla Revue moderne nell’aprile del 1862, nel quale lo scrittore e uomo politico vicino a Gambetta saluta la grandezza del patriota italiano, sebbene gli rimproveri di aver rifiutato la separazione della Chiesa dallo Stato a favore di una nuova teocrazia che sostituisse quella difesa dal Sovrano Pontefice. Agli occhi della generazione dei repubblicani che formeranno presto i quadri dirigenti della Terza Repubblica nella sua fase di avvìo, il pensiero di Mazzini appartiene a un’altra epoca, segnata dall’impronta della religione, quella che Paul Bénichou22 ha definito in modo appropriato come l’epoca della democrazia umanitaria, cioè della democrazia dell’umanità, di cui Pierre Leroux, Edgar Quinet e Jules Michelet furono tra i più significativi esponenti. A differenza degli ultimi due, gli intellettuali francesi ritengono che il passaggio dalla religione dell’umanità a un ideale laico, quello stesso che la scuola di Jules Ferry e l’università di Célestin Bouglé si prefiggono di diffondere, non possa realizzarsi nel mazzinianesimo. Ma, mentre Quinet e Michelet divengono Padri della Terza repubblica, Mazzini cade nel dimenticatoio dopo essere stato stigmatizzato come uno spirito religioso, e lo testimoniano gli epiteti usati per squalificarlo, che abbiamo citato in precedenza. Garibaldi non può a questo punto divenire la vittima dello stesso discorso, non foss’altro per il suo anticlericalismo manifesto. Ci sembra che esistano comunque altri elementi di convergenza tra Garibaldi e la mentalità francese, quale si delinea a partire dagli anni Sessanta dell’Ottocento. Ne intravediamo due in particolare. Innanzi tutto la concezione plebiscitaria della democrazia, l’idea di trovare un uomo provvidenziale, un Washington, è un tratto che accomuna parecchie culture politiche francesi, quella bonapartista in primo luogo, anche se questo tentativo è condiviso da certi repubblicani (vedi l’affaire Boulanger). La mentalità positivista, infine, cioè quell’atteggiamento del pensiero che è attento alla lezione dei fatti, atteggiamento ben individuato da Giuseppe Monsagrati nel comportamento parlamentare di Giuseppe Garibaldi dopo il 187023, è ben rappresentata nell’intellighentsia francese degli anni dal Sessanta al Novanta dell’Ottocento, fino alla ripresa del cattolicesimo nella sensibilità di fine secolo. Agendo da positivista, Garibaldi è inserito nello spirito del tempo, mentre Mazzini appare come il pensatore di un’epoca trascorsa, diventando “l’ultimo sacerdote dell’idealismo religioso, metafisico e politico che va sparendo”24, come scrive di lui Bakounine in un testo del 1871. N O T E 1) L’origine di questo articolo è in una relazione presentata in italiano al colloquio internazionale Mazzini e Garibaldi a confronto sull’unità d’Italia organizzato dalla Mazzini Society, dal Comitato per le celebrazioni del Bicentenario della nascita di Giuseppe Mazzini e dal Comitato per le celebrazioni del Bicentenario della nascita di Giuseppe Garibaldi che si è tenuto a Roma dal 17 al 19 settembre 2008. 2)R. Ugolini, “Garibaldi, Barrault e il viaggio con la Clorinda” in Rassegna storica del Risorgimento italiano, numero speciale per il bicentenario della nascita di Giuseppe Garibaldi, maggio 2008, p.4. 3)Gli elettori repubblicani gli sono anch’essi fedeli poiché lo eleggono trionfalmente a Parigi, nel dipartimento delle Alpi e ad Algeri. 4)M. Milan, “Opinione pubblica e antigaribaldinismo in Francia: la querelle sull’unità d’Italia 1860-1870”. 5)J. Proudhon, La fédération et l’unité en l’Italie, 1862, in Oeuvres complètes, Paris, Librairie Marcel Rivière, 1959, p.123. 6)Cit. da M. Milan, art. cit., p.150. 7)Ibid., p.150. 8) Cit. da Ph. Gut, “Mazzini et l’opinion publique française sous la Deuxième République”, p.115. 9) Sulle ripercussioni dell’affaire Lesseps in Francia, v. ibid., pp.117-120. 10) Sull’importanza dell’esilio inglese per la formazione e lo sviluppo del mazzinianesimo, v. S. Mastellone, Mazzini scrittore politico in inglese. Democracy in Europe (1840-1855), Firenze, Olschki, 2004 e Id., Mazzini e Linton, Firenze, Olschki, 2007. 11) Cit. da Ph. Gut, art.cit., p.128. 12) V. J.-Y. Frétigné, “Mazzini et les socialistes français: signification et enjeux de la polémique de l’année 1852”. 13) V. l’appendice di A.-C. Ignace, “Il mito di Mazzini in Francia”. 14) SEN, vol. LXIX, pp. 339-348. 15) J. Proudhon, La fédération et l’unité en l’Italie cit., p.84. 16) Ibid., p.86. 17) Ibid., p.86. 18) Ibid., p.106. 19) Ibid., p.115. 20) Si tratta del Memorandum aux puissances d’Europe datato 22 ottobre 1860, cioè solo sette mesi dopo il Trattato di Torino con il quale, con gran dolore di Garibaldi, il Regno d’Italia perde Nizza e la Savoia; de L’Union européenne e de L’Unité mondiale, due testi degli anni Settanta. 21) Cit. da Garibaldi héros d’une Europe en quête d’identité, p.91. 22) V. P. Benichou, Le temps des prophètes. Doctrines de l’âge romantique, Paris, Gallimard, 1977. 23) “Il Garibaldi dell’ultimo decennio di vita non si limita a essere un mito o un simbolo, anzi si rifiuta di essere posto su un piedistallo prima che la fine della vita glielo imponga; è invece un Garibaldi dotato di insospettate capacità politiche, tutte marcate da una precisa volontà di democratizzare la vita interna del paese, ben più di quanto abbia fatto e faccia la Sinistra ufficiale, che da tempo siede in Parlamento, ben più di quanto abbia voluto fare la Sinistra mazziniana, che in Parlamento non c’è mai entrata appunto per dimostrare che non riconosce istituzioni, come quelle monarchiche, segnate da un vizio d’origine che le delegittima…” (G. Monsagrati, “I labirinti del Generale. Garibaldi e i nodi della politica italiana dopo l’Unità” in J.-Y. Frétigné e P. Pasteur (sous la dir. de), Garibaldi en Europe. Modèle, contre-modèle, légende dorée et légende noire, Rouen, PURH, à paraître, 2011. Per un tentativo di definizione del positivismo di Garibaldi, J.-Y. Frétigné, “Garibaldi, i garibaldini, la politica e il positivismo”, in C. Vernizzi (a c.di), Garibaldi in Piemonte tra guerra, politica e medicina, Istituto per la storia del Risorgimento italiano, Comitato di Novara-Vco, 2008, pp.53-74. 24) M. Bakounine, Réponse d’un international à Mazzini, tradotto dal francese e pubblicato ne Il Gazzettino rosa del 14 agosto 1871, in seguito su La liberté di Bruxelles, in M. Bakounine, Oeuvres, tome VI, Paris, Stock, 1913, p.110. Creato da AVS Document Converter www.avs4you.com