Emissione di elettroni da nanotubi di carbonio ottenuti mediante

1
Università degli Studi di Roma "La Sapienza"
Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali
Dipartimento di Fisica
Dissertazione di Laurea in Fisica
Emissione di elettroni da nanotubi di carbonio ottenuti
mediante tecniche al plasma
Laureando :
Gaia DI PAOLO
Relatore :
P rof. Mario MATTIOLI
Correlatore :
Dott. Stefano BELLUCCI
Anno Accademico 2006-07
Indice
Introduzione
3
1 Nanotubi di carbonio
1.1 Fullereni di carbonio . . . . . . . . . .
1.2 Nanotubi di carbonio . . . . . . . . . .
1.2.1 Nanotubi a parete singola . . .
1.2.2 Nanotubi a parete multipla . .
1.2.3 Difetti nei nanotubi di carbonio
4
4
5
6
7
7
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2 Sintesi dei nanotubi
9
2.1 Il plasma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9
2.2 Scarica ad arco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10
2.3 Descrizione dell'esperimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
3 Caratterizzazione dei nanotubi di carbonio
13
3.1 Microscopio a scansione elettronica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13
3.2 Microscopio a trasmissione elettronica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14
3.3 Risultati sperimentali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16
4 Emissione di campo
4.1 Teoria dell'emissione di campo . . . . . . . .
4.1.1 Bande elettroniche e funzione lavoro
4.1.2 Eetto tunnel . . . . . . . . . . . . .
4.2 Descrizione dell'esperimento . . . . . . . . .
4.3 Risultati sperimentali . . . . . . . . . . . . .
4.4 Applicazioni: display a emissione di campo .
5 Conclusioni
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2
Introduzione
Il termine nanoscienza indica il ramo della scienza che si occupa dello studio e del controllo
della materia su scala nanometrica e coinvolge moltissime discipline, quali la biologia molecolare, la scienza dei materiali, la chimica sopramolecolare e la sica quantistica.
Le nanotecnologie, ora in fase di rapido sviluppo, rappresentano l'insieme di tecnologie, tecniche e processi volti all'applicazione dei metodi delle nanoscienze per la creazione e l'utilizzazione di materiali e dispositivi nanostrutturati. I campi di ricerca e applicazione coprono
uno spettro molto ampio: sviluppo di nuovi materiali e prodotti per l'elettronica e per l'ingegneria aerospaziale, nuovi farmaci, dispositivi medici e terapeutici.
Gli approcci seguiti per operare a livello nanometrico sono due: top-down e bottom-up. Il
primo consiste nel ridurre con metodi sici le dimensioni delle strutture più piccole verso
livelli nanometrici; il secondo indica il processo nel quale, partendo da piccoli componenti,
normalmente molecole, si cerca di controllarne l'assemblaggio per realizzare nanostrutture.
I primi passi nel campo della nanoscienza furono mossi negli anni 1980, con l'osservazione
della prima molecola nanostrutturata: il fullerene di carbonio. Successiva di qualche anno è
la scoperta dei nanotubi di carbonio, ora principale oggetto di ricerca in questo settore, grazie
alle numerose proprietà che li rendono interessanti per molteplici applicazioni.
Con il presente elaborato vogliamo presentare un quadro generale delle nanostrutture di carbonio, dando una breve descrizione dei fullereni, primo esempio di molecole ottenute dalla
grate, e focalizzando l'attenzione sui nanotubi. Di questi ultimi cercheremo di fornire una
descrizione più dettagliata, esamineremo la tecnica di sintesi mediante scarica ad arco e alcune delle principali tecniche di caratterizzazione, riportando i risultati sperimentali relativi
alla produzione e alla caratterizzazione eettuate in laboratorio. Analizzeremo, quindi, alcune proprietà siche soermandoci sull'emissione di elettroni, della quale riporteremo i dati
sperimentali acquisiti, analizzando i risultati ottenuti alla luce delle conoscenze teoriche.
Gli studi sperimentali sono stati eettuati presso i Laboratori Nazionali di Frascati dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (LNF-INFN).
3
Capitolo 1
Nanotubi di carbonio
I nanotubi di carbonio (CNTs-Carbon NanoTubes ) [1] [2] sono costituiti da fogli di grate che,
arrotolati su se stessi, si chiudono dando luogo a strutture tubulari con supercie cilindrica.
La grate risulta composta da strati bidimensionali, a cui si attribuisce il nome di grafene,
costituiti da atomi di carbonio legati tra loro in modo che ognuno di essi occupi un vertice
di un esagono regolare. Mentre il legame di ogni atomo di carbonio con i tre primi vicini è
molto forte, due piani adiacenti sono tenuti insieme debolmente da forze di Van der Waals.
Tali fogli possono, pertanto, essere estratti facilmente dalla grate e dare vita, attraverso
diversi processi di sintesi, a strutture nanometriche non presenti in natura, quali i fullereni e
i nanotubi.
1.1
Fullereni di carbonio
Con il nome di fullerene ci si riferisce ad una molecola quasi sferica, nota anche come C60 ,
costituita da 60 atomi di carbonio ordinati in 20 esagoni e 12 pentagoni regolari, distribuiti
in una struttura con simmetria icosaedrica. In essa ogni sito atomico ha tre primi vicini e la
distanza media tra due atomi è di 1.44 Ȧ, quasi identica alla distanza interatomica tipica della
grate, pari a 1.42 Ȧ. La prima identicazione di tale struttura risale alla metà degli anni
1980, quando Kroto e Smalley ne sintetizzarono alcuni campioni durante una vaporizzazione
laser di targhette di grate. Sebbene gli atomi nella grate siano disposti in celle esagonali,
simili molecole presentano facce pentagonali, necessarie a creare la curvatura e permettere,
dunque, la chiusura in forma sferica. La denizione si estende a molecole di simile struttura,
con dierente numero di atomi (Cn , n 6= 60) e conseguente dierenza nel numero di facce
pentagonali ed esagonali. Si può dimostrare che, mentre il numero di esagoni varia con il
numero n di atomi, i pentagoni che costituiscono tali molecole devono essere esattamente 12.
L'attribuzione del nome fullerene a questa famiglia di molecole è dovuto alla somiglianza tra
la struttura della molecola C60 e la cupola geodesica progettata da R. Buckminster Fuller.
4
5
CAPITOLO 1. NANOTUBI DI CARBONIO
Figura 1.1: fullerene di carbonio
1.2
Figura 1.2: cupola geodesica di R.B.
Fuller
Nanotubi di carbonio
Quando un foglio di grafene estratto da un campione di grate si arrotola attorno ad un asse
dà vita ad una struttura cilindrica di diametro nanometrico, alla quale attribuiamo il nome
di nanotubo di carbonio.
Figura 1.3: dal foglio di grafene al CNT
I CNTs possono essere classicati in due tipologie fondamentali:
ˆ tubi costituiti da un unico foglio di grate, detti nanotubi a parete singola (SWNTs-
single-walled nanotubes );
ˆ tubi in cui più fogli di grate si arrotolano attorno allo stesso asse generando una serie di
pareti concentriche, detti nanotubi a parete multipla (MWNTs-multi-walled nanotubes ).
La prima osservazione sperimentale di tali strutture riguarda i MWNTs e risale al 1991,
quando il sico Iijima li scoprì analizzando, con un microscopio a trasmissione elettronica
ad alta risoluzione, i depositi accumulati su un catodo di carbonio utilizzato in una scarica
ad arco per la sintesi di fullereni. A distanza di due anni, nel 1993, furono osservati i primi
campioni di SWNTs.
CAPITOLO 1. NANOTUBI DI CARBONIO
6
1.2.1 Nanotubi a parete singola
Un SWNT ideale è costituito da un foglio di grate arrotolato attorno ad un asse e chiuso
alle estremità da due semi-fullereni di identico diametro. Il valore tipico del diametro di un
SWNT è di 1nm, la lunghezza può raggiungere valori no a 100 µm. Tale proporzione fra le
dimensioni (il rapporto tra lunghezza e diametro è dell'ordine di 105 ) permette di considerare
i SWNTs come strutture quasi-unidimensionali.
Figura 1.4: Nanotubo a parete singola
Essendo la struttura dei nanotubi strettamente correlata al grafene, essi possono essere descritti in termine dei vettori reticolo di quest'ultimo. La cella unitaria del reticolo di grafene
Figura 1.5: vettori reticolo e vettore chirale
è identicata dai due vettori a 1 e a 2 di lunghezza |a 1 | = |a 2 | = a0 = 2.461 Ȧ, che formano
fra loro un angolo di 60◦ . In un nanotubo il foglio di grafene è arrotolato in modo che la sua
circonferenza sia rappresentata dal vettore Ch = na 1 + ma 2 .
Tale vettore Ch , che prende il nome di vettore chirale, è il parametro che eettivamente stabilisce la connessione tra la struttura del grafene e il nanotubo da esso ottenuto. Ne deriva
che ogni particolare tubo è denito da una specica coppia di numeri (n, m).
La direzione del vettore chirale è misurata dall'angolo chirale ϑ formato dai vettori a 1 e Ch
, denito a meno di 30◦ .
Sulla base di tali parametri possiamo eettuare un'ulteriore suddivisione e classicare i nanotubi in:
ˆ zig-zag CNTs
: ϑ = 0◦
, (n, 0)
CAPITOLO 1. NANOTUBI DI CARBONIO
ˆ armchair CNTs : ϑ = 30◦
ˆ chiral CNTs
7
, (n, n)
: 0◦ < ϑ < 30◦ , (n, m)
I nomi sono attribuiti in riferimento al prolo che i CNTs mostrano, se tagliati trasversalmente,
all'estremità del taglio.
Figura 1.6: armchair CNT e zig-zag CNT
La classicazione è importante poichè la direzione in cui il grafene è arrotolato attorno all'asse,
ovvero il valore dell'angolo chirale, determina le proprietà elettroniche del CNT in base alle
quali si deduce che i SWNTs possono essere sia metalli che semiconduttori.
Non meno importante come parametro di denizione di un nanotubo è, comunque, il diametro,
poichè molte delle proprietà siche di queste strutture dipendono fortemente da esso. Anche
il diametro può, però, essere espresso in funzione del vettore chirale. Riesce, infatti
d=
|Ch |
a0
= √ 2
.
π
π n + m2 + nm
(1.1)
Questo permette, pertanto, di utilizzare la coppia di numeri interi (n, m) come unico parametro
di identicazione di un CNT.
1.2.2 Nanotubi a parete multipla
Un MWNT è costituito da una serie di SWNTs concentrici. Pertanto la lunghezza tipica
di un MWNT risulta simile a quella dei SWNTs, mentre il diametro raggiunge valori molto
maggiori, se consideriamo la parete più esterna, e varia a seconda del numero di tubi che
compongono la struttura. Tipicamente, infatti, la distanza tra i singoli strati è di 0.34 nm, il
diametro del più interno di essi varia tra 1 nm e 3 nm, quello del più esterno tra 2 nm e 20
nm. Anche per i MWNTs, dunque, il rapporto lunghezza-diametro permette di classicarli
come sistemi unidimensionali.
1.2.3 Difetti nei nanotubi di carbonio
La presenza di difetti all'interno di un CNT comporta un cambiamento delle sue proprietà
siche, come accade con il drogaggio nel caso di semiconduttori. I nanotubi presentano spesso
CAPITOLO 1. NANOTUBI DI CARBONIO
8
Figura 1.7: Nanotubo a parete multipla
difetti strutturali di vario tipo: incompletezza di legami, difetti di ibridazione e difetti topologici.
Il primo tipo si realizza nella presenza di vacanze all'interno della struttura; i difetti di ibridazione consistono nella formazione di alcuni legami sp3 piuttosto che sp2 ; i difetti topologici
consistono nella presenza all'interno della struttura tipicamente composta di celle esagonali, di
alcune unità pentagonali o eptagonali, che producono variazione a livello locale del diametro
e della chiralità del nanotubo. Essi risultano pertanto molto importanti poichè inuiscono
sulle proprietà elettroniche del nanotubo. I difetti possono generarsi naturalmente durante la
sintesi e la crescita dei nanotubi, ma esistono anche vari metodi per funzionalizzare i CNTs
inducendo volontariamente dei difetti all'interno della struttura.
Capitolo 2
Sintesi dei nanotubi
Esistono vari modi per sintetizzare nanotubi e, in generale, nanomateriali [5] [6]. Tra questi i
principali sono:
ˆ scarica ad arco
ˆ deposizione chimica da fase vapore (CVD-Chemical Vapour Deposition)
ˆ vaporizzazione laser
Rispetto agli altri la scarica ad arco, altirmenti nota con il nome di plasma termico, ha il
vantaggio, oltre ad essere il metodo più rapido, di produrre nanomateriali non eccessivamente
impuri, poichè non si utilizzano catalizzatori. Le uniche impurità prodotte dal processo di sintesi consistono in materiale amorfo. In ogni caso le impurità devono essere rimosse attraverso
appositi metodi di puricazione per ottenere nanomateriali puri e ottimizzarne le proprietà.
La scarica ad arco permette, inoltre, di sintetizzare diversi tipi di materiali utilizzando sempre
lo stesso apparato.
2.1
Il plasma
I primi studi riguardanti il plasma risalgono al 1895, quando Roentgen osservò che un gas, che
normalmente si comportava come un isolante, diveniva conduttore di elettricità se attraversato
da raggi-x.
Plasma è il nome che si attribuisce alla materia quando essa si trova in uno stato ionizzato
contenente elettroni e ioni liberi. È spesso identicato anche con l'appellativo di quarto stato,
poichè non è classicabile come nessuno dei tre stati tipici della materia: solido, liquido e
gassoso.
Il comportamento del plasma è regolato dalla presenza di particelle cariche all'interno di esso,
poichè è attraverso tali particelle che i campi magnetici ed elettrici possono agire sulla materia.
Il numero di portatori di carica presenti nel plasma, pertanto, determina le sue proprietà. La
9
CAPITOLO 2. SINTESI DEI NANOTUBI
10
densità di carica relativa è descritta dal cosiddetto grado di ionizzazione α: se nel plasma vi
sono ne elettroni, n+ ioni positivi e ng particelle neutre per unità di volume, riesce:
α=
n+
ne
=
.
ne + ng
n+ + ng
(2.1)
Il plasma può essere creato in vari modi, considerando che la ionizzazione di un gas viene
prodotta se gli si fornisce suciente energia e che la quantità richiesta per trasformare la
materia dallo stato gassoso al quarto stato è compresa tra 1 e 30 eV per particella, contro i
valori di 0.01 e 1 eV per liquefazione e vaporizzazione.
La temperatura del plasma è espressa in funzione dell'energia cinetica delle particelle che lo
compongono. Assumendo che l'i-esima particella sia in equilibrio e la sua velocità segua la
distribuzione di Maxwell, la temperatura è legata alla energia cinetica media dalla relazione
mi < vi2 >
3kB Ti
=
2
2
(2.2)
dove kB , costante di Boltzmann, è pari a 1.38×10−23 J/K , mi è la massa dell'i-esima particella
e < vi2 > la sua velocità quadratrica media. I componenti del plasma, dunque, possono avere
temperature diverse tra loro. Si dice che il plasma è in completo equilibrio termodinamico
quando tutte queste temperature sono uguali. È dicile ottenere questa condizione, ma può
vericarsi il caso di equilibrio termodinamico locale, o di equilibrio parziale, in cui i diversi
componenti sono in equilibrio tra loro ma non con le altre specie di particelle.
2.2
Scarica ad arco
Il plasma può essere generato in laboratorio con dierenti metodi [7].
L'elemento principale nei processi di ionizzazione è la presenza, all'inizio del processo, di una
particella carica attraverso la quale l'energia possa essere trasportata e trasferita al gas, in
modo che la collisione con le altre particelle generi una moltiplicazione di particelle cariche,
a cui fornire energia elettromagnetica. La fotoionizzazione è la fonte primaria di produzione
dell'elettrone iniziale da utilizzare per scatenare i processi di collisione.
Un semplice modo di produrre plasma in un esperimento consiste nel realizzare una scarica
riempiendo un tubo di vetro con un gas a bassa pressione, collocandovi due elettrodi disposti
parallelamente l'uno all'altro e connettendo ad essi un generatore di corrente continua.
La scarica ad arco è un tipo di scarica elettrica, caratterizzata da bassi voltaggi e correnti
elevate. La densità di corrente e il usso di calore che si generano in una scarica ad arco sono
elevati al punto da causare il danneggiamento degli elettrodi.
~
E
In una scarica il valore del rapporto | p | , tra campo elettrico e pressione del gas utilizzato,
fornisce una stima dell'energia acquistata dalle particelle cariche. In una scarica ad arco tale
rapporto è molto basso, dell'ordine di 10−3 V/cmTorr, da cui si intuisce che la ionizzazione
CAPITOLO 2. SINTESI DEI NANOTUBI
11
degli atomi in questa tecnica di scarica è dovuta a processi termici.
La tecnica ad arco fu il primo metodo con cui vennero prodotti fullereni, utilizzando elettrodi
di grate. Il metodo si basa sul trasferimento di energia tra il gas ionizzato e gli elettrodi.
Il vantaggio di questa tecnica sta nella possibilità di variare un buon numero di parametri al
ne di ottimizzare le condizione per la formazione di nanotubi.
Il plasma formato consiste in un misto di vapore di carbone e gas utilizzato. La vaporizzazione è una conseguenza del trasferimento di energia dall'arco all'anodo. L'erosione dell'anodo dipende dalla potenza dell'arco e da altre condizioni sperimentali, ma bisogna notare
che un'elevata erosione non comporta necessariamente la produzione di una buona quantità
di nanotubi.
Quando l'arco scocca, il trasferimento di energia termica che ne deriva comporta la sublimazione della grate e produce una nube di atomi di carbonio che si condensano in molecole
e successivamente in strutture unidimensionali. Esse si depositano sul catodo e non si disperdono poichè l'elevato gradiente di temperatura comporta che la zona dove la crescita è
permessa sia solo quella in corrispondenza della supercie del catodo. Il prodotto non consiste
soltanto in nanotubi, ma anche in altre strutture non tubulari, come i fullereni.
2.3
Descrizione dell'esperimento
L'apparato sperimentale consiste in una camera cilindrica, collegata con opportune connessioni a un generatore di corrente continua (Hewlett Packard 6472 C con voltaggio a circuito
aperto di 80 V e corrente massima di 180 A), a un sistema da vuoto (una pompa rotativa
e una turbomolecolare in serie) , a una bombola di elio e ad un sistema di rareddamento.
Le parti che, connesse al generatore, svolgono la funzione di anodo e catodo, sono dotate
sulla parete interna di appositi sostegni per i cilindretti di grate. Il sostegno del catodo è
inoltre dotato di una guida scorrevole che permette di regolarne la distanza dall'anodo. I due
bastoncini hanno diametro di 10 mm per l'anodo e 6 mm per il catodo.
La camera viene evacuata no ad una pressione di circa 10−3 − 10−4 mbar, al ne di eliminare
tutto l'aria presente all'interno, perchè l'ossigeno non reagisca con il carbonio. Successivamente viene riempita di elio no al raggiungimento di una pressione di 700 mbar. A questo
punto il generatore viene acceso e il catodo viene avvicinato all'anodo no allo scoccare dell'arco, dopodichè la corrente viene regolata su 110 A. Il potenziale applicato si stabilizza su
un valore di circa 24 V . L'arco viene mantenuto per una durata approssimativa di 3 minuti,
durante i quali i nanotubi si sintetizzano sull'estremo del catodo. Per ogni scarica di questa
durata si riesce ad ottenere una quantità di materiale sintetizzato compresa tra 1 e 2 mg,
di cui circa l'80 % sono eettivamente nanotubi. Durante l'esperimento è possibile osservare
l'arco attraverso l'oblò di cui la camera è provvista (gura 2.2).
12
CAPITOLO 2. SINTESI DEI NANOTUBI
Figura 2.1: esterno della camera utilizzata
per la sintesi
Figura 2.2: immagine dell'arco durante la
scarica
Capitolo 3
Caratterizzazione dei nanotubi di
carbonio
La scoperta dei nanomateriali ha comportato inevitabilmente la necessità di sviluppare metodologie in grado di consentire l'analisi delle strutture su dimensioni nanometriche. La caratterizzazione di un campione di materiale nanostrutturato necessita, infatti, di estrema sensibilità
e di altissima risoluzione.
Il microscopio ottico non possiede risoluzione suciente, poichè il potere risolutivo risulta
inversamente proporzionale alla lunghezza d'onda della radiazione impiegata.
La scoperta della possibilità di trattare gli elettroni come una radiazione di lunghezza d'onda
bassissima ha suggerito l'impiego di fasci di elettroni per ottenere poteri risolutivi assai elevati. Pertanto, si utilizzano per l'analisi delle nanostrutture microscopi elettronici in grado
di soddisfare la richiesta di risoluzione a livello nanometrico e di fornire no a circa 200000
ingrandimenti. Tra questi si annoverano il microscopio a scansione elettronica (SEM - Scanning Electron Microscopy ) e il microscopio a trasmissione elettronica (TEM - Trasmission
Electron Microscopy ).
3.1
Microscopio a scansione elettronica
Il microscopio a scansione elettronica utilizza un fascio di elettroni per produrre informazioni
sulla morfologia dei campioni analizzati.
Si fa uso di elettroni in quanto particelle cariche facilmente ottenibili da vari materiali tramite
diverse tecniche di emissione, in grado di essere deesse tramite campi o lenti magnetiche e di
essere rese visibili facilmente attraverso l'uso di uno schermo uorescente. Inoltre la piccola
massa degli elettroni permette loro, da un lato, di non causare danni ai campioni, dall' altro,
di risentire considerevolmente dell'interazione con le particelle che incontrano.
Generalmente la fonte di elettroni consiste in un lo di tungsteno o hexaboride di lantanio,
termoionicamente eccitato. Gli elettroni, emessi con energie comprese tra poche centinaia di
13
CAPITOLO 3. CARATTERIZZAZIONE DEI NANOTUBI DI CARBONIO
14
eV e 100 KeV, vengono fatti convergere tramite l'uso di lenti magnetiche, in un sottilissimo
fascio la cui sezione varia tra 0.4 nm e 5 nm. Il fascio, opportunamente deesso da bobine di
esame, viene indirizzato sulla supercie del campione.
L'interazione con gli atomi della supercie provoca lo scattering degli elettroni del fascio, che
comporta una modica della loro traiettoria e, in alcuni casi, perdita di energia. Distinguiamo,
infatti, due tipi di scattering: elastico e anelastico.
Lo scattering elastico si verica quando l'elettrone interagisce con il nucleo atomico: la
sostanziale dierenza di massa tra i due produce un trasferimento di energia pressochè nullo.
Quello anelastico, invece, è accompagnato da perdita di energia dell'elettrone incidente,
trasferita agli elettroni dell'atomo coinvolto, con conseguente eccitazione di essi.
Tali interazioni danno vita a dierenti processi che costituiscono l'oggetto di analisi:
ˆ elettroni secondari: quando l'energia trasferita in uno scattering inelastico, tra elet-
trone primario e elettrone di valenza dell'atomo investito dal fascio, è suciente, dalla
supercie del campione vengono estratti ed emessi elettroni con energia minore di 50
eV.
ˆ elettroni retrodiusi: si tratta degli elettroni del fascio primario che vengono scatterati
all'indietro per interazione elastica con i nuclei degli atomi del campione, mantenendo,
pertanto, l'energia di partenza.
ˆ raggi-x: essi vengono emessi quando un elettrone dopo aver acquistato energia, in una
collisione con il fascio primario, la rilascia ricadendo nello stato iniziale.
Ognuno di questi tre processi fondamentali gioca un ruolo essenziale nell'analisi del campione:
gli elettroni secondari forniscono informazioni sulla morfologia e la topologia del materiale
analizzato, la retrodiusione dipende fortemente dal numero atomico e contiene, quindi, le
informazioni sul numero atomico medio e sulla struttura cristallina; i raggi-x rivelano la composizione elementare del campione.
Tutte queste informazioni si ottengono raccogliendo i prodotti delle interazioni tramite opportuni rivelatori che trasformano il segnale fornendo l'immagine ingrandita dell'oggetto analizzato.
La risoluzione spaziale di un SEM, tipicamente di 2-5 nm, dipende dal diametro del fascio, a
sua volta determinato dal sistema ottico costituito da lenti e bobine. Le dimensioni del fascio
risultano generalmente maggiori della distanza interatomica, pertanto il potere risolutivo del
SEM non consente di ottenere l'immagine dei singoli atomi, come è invece possibile tramite
l'uso del TEM.
3.2
Microscopio a trasmissione elettronica
Il microscopio a trasmissione elettronica è costituito da una struttura simile a quella del SEM
per quanto riguarda la pistola di elettroni e il sistema ottico, ma utilizza metodi diversi per
15
CAPITOLO 3. CARATTERIZZAZIONE DEI NANOTUBI DI CARBONIO
produrre e ingrandire le immagini da analizzare. Un'ulteriore dierenza fondamentale tra i
due strumenti sta nel fatto che nel TEM gli elettroni del fascio vengono accelerati verso il
basso tramite l'applicazione di alti voltaggi e raggiungono energie massime di 300 KeV, molto
più elevate rispetto a quelle tipiche del SEM.
Poichè la lunghezza d'onda λ è legata all'energia E dalla relazione di de Broglie
h
λ= √
2mE
(3.1)
(dove h è la costante di Planck e m è la massa della particella) si ottiene, accelerando gli
elettroni, la riduzione della lunghezza della radiazione, che permette di aumentare il potere
risolutivo. Questo rende il TEM uno strumento d'analisi molto più potente del SEM, capace
di fornire informazioni sulla struttura interna del campione analizzato.
Il fascio di elettroni prodotto come nel SEM e accelerato viene fatto passare attraverso il
dispositivo magneto-ottico e inviato sul materiale in esame, il cui spessore deve essere opportunamente sottile da permettere ad alcuni elettroni di attraversarlo. Tali elettroni sono in
parte assorbiti dal campione, in parte deviati irregolarmente, diratti.
Dopo il campione è posta una sequenza di lenti - obiettivo, intermedia e proiettore - che
rispettivamente focalizzano il fascio uscente dall'oggetto, lo allargano e lo proiettano su uno
schermo uorescente. Sia gli elettroni diratti che quelli trasmessi senza subire deviazioni
passano attraverso le lenti e vanno a formare sullo schermo l'immagine, contribuendo con
diverso contrasto, ovvero con intensità dierenti che permettono di distinguere sullo schermo
le diverse parti dell'immagine.
È possibile intervenire selezionando per la formazione dell'immagine solo il fascio diretto o
solo quello diratto. I due metodi di visualizzazione sono rispettivamente detti bright eld
imaging mode, e dark eld imaging mode.
Attraverso i fenomeni di contrasto è dunque possibile analizzare gli spettri di dirazione e
ottenere informazioni sulla struttura cristallina del campione, visualizzando possibili difetti
e imperfezioni del reticolo che causano la dirazione. L'analisi consente di ricavare anche la
misura della distanza interatomica, utilizzando la legge di Bragg
nλ = 2dsinθ
(3.2)
dove:
ˆ n è l'ordine di dirazione
ˆ λ è la lunghezza d'onda del fascio di elettroni
ˆ θ è l'angolo formato dal fascio incidente con il piano cristallino.
Si osserva sperimentalmente che l'angolo tra la direzione incidente e quella diratta è 2θ.
CAPITOLO 3. CARATTERIZZAZIONE DEI NANOTUBI DI CARBONIO
16
Figura 3.1: legge di Bragg
Figura 3.2: dirazione del fascio nella camera del TEM
Approssimando per angoli piccoli (sinθ ≈ θ) e considerando il primo ordine di dirazione
(n=1) riesce
λ ≈ 2dθ
(3.3)
R
= tg2θ ≈ 2θ
L
da cui
d=
λL
R
(3.4)
(3.5)
dove R è il raggio dell'anello di dirazione e L la lunghezza della camera. Il prodotto λL è
detto costante di camera dello strumento.
3.3
Risultati sperimentali
Si riportano le immagini ottenute dall'analisi eseguita con il SEM e il TEM, di campioni
sintetizzati in laboratorio con scarica ad arco, di SWNTs e MWNTs commerciali. Il SEM
utilizzato è quello dei Laboratori Nazionali di Frascati (DS-130S Digiscan ISI-DS), con un
fascio di elettroni di energia pari a 20 KeV.
Nelle tre immagini ottenute con il SEM ( gure 3.4, 3.5, 3.6) la barra della scala vale 2 µm.
Si possono osservare nanotubi di lunghezza di alcuni µm; è dicile stimare accuratamente
il diametro dei nanotubi dalle immagini riportate a causa del potere risolutivo. Il SEM è
infatti utilizzato solo al ne di vericare la presenza di nanotubi. Per approfondire l'analisi
CAPITOLO 3. CARATTERIZZAZIONE DEI NANOTUBI DI CARBONIO
17
Figura 3.3: rappresentazione schematica di SEM e TEM
dei campioni si utilizza il TEM. Il TEM utilizzato è quello del CIGS (Centro Italiano Grandi
Strumenti) dell' Università di Modena (JEOL 2010), con un fascio di elettroni di energia
massima pari a 200 KeV.
Dalle immagini ottenute con l'uso del TEM è possibile constatare la superiorità del potere
risolutivo di questo strumento, che permette di apprezzare la struttura dei nanotubi: è possibile, per esempio, visualizzare le varie pareti di un MWNT.
È possibile riscontrare che i campioni contengono MWNTs, SWNTs e materiale amorfo. Si
osserva inoltre che il diametro dei SWNTs è di circa 10 nm e quello dei MWNTs è di 60-80
nm. La lunghezza dei CNTs analizzati risulta essere di qualche µm.
CAPITOLO 3. CARATTERIZZAZIONE DEI NANOTUBI DI CARBONIO
Figura 3.4: analisi al SEM dei CNTs
sintetizzati in laboratorio
Figura 3.5: analisi al SEM dei MWNTs
commerciali depositati sul lo di tungsteno
Figura 3.6: analisi al SEM dei SWNTs
commerciali depositati sul lo di tungsteno
18
CAPITOLO 3. CARATTERIZZAZIONE DEI NANOTUBI DI CARBONIO
Figura 3.7: analisi al TEM dei CNTs
sintetizzati in laboratorio
Figura 3.8: analisi al TEM dei MWNTs
commerciali
Figura 3.9: analisi al TEM dei SWNTs
commerciali
19
Capitolo 4
Emissione di campo
L'emissione di elettroni da parte di materiali allo stato solido è stata costantemente oggetto
di studio e di ricerca, poichè sono numerosi i campi e le applicazioni che coinvolgono l'utilizzo
di fonti di elettroni. Oltre alle ben note tecniche di emissione termoionica e fotoelettrica,
si è sviluppata la tecnica che prevede l'emissione in seguito all'applicazione di elevati campi
elettrici, identicata con il nome di emissione di campo o eld emission (FE) [8] [9]: quando
un campo elettrico elevato è applicato a una supercie solida vengono emessi elettroni per
eetto tunnel.
Le strutture unidimensionali, come i nanotubi, sono considerati ottimi candidati ad essere
emettitori di campo per alcune loro caratteristiche fondamentali: diametro nanometrico, alto
rapporto d'aspetto, punta sottile, alta resistenza meccanica, alta stabilità chimica. Tali qualità comportano ulteriori caratteristiche di importanza basilare nel fenomeno di emissione di
campo, quali basso valore del campo di estrazione, alta densità di corrente e lungo tempo di
funzionamento.
L'utilizzo di strutture nanometriche, infatti, diminuisce sensibilmente il voltaggio necessario
all'emissione. Generalmente il campo richiesto per la FE è molto elevato, ma può essere
ottenuto sfruttando il fatto che i campi elettrici si concentrano e si intensicano in corrispondenza di punte.
I primi a proporre i nanotubi come emettitori di campo furono de Heer, Andrè Chatelain
e Daniel Urgate che, nel 1995, presentarono risultati relativi alla FE da parte di un lm di
MWNTs.
Tra le varie possibili applicazioni dei nanotubi l'emissione di campo costituisce una delle
più promettenti e con maggiore applicabilità e sbocchi pratici in diversi campi dell'industria
e della tecnologia. Oltre alla microscopia elettronica, in cui possono essere utilizzati come
fonti di elettroni, è in rapido sviluppo il settore che si occupa della progettazione di display
(NED-Nano Emissive Display ).
20
CAPITOLO 4. EMISSIONE DI CAMPO
4.1
21
Teoria dell'emissione di campo
L'emissione di campo [10] è un fenomeno quanto-meccanico, che consiste nel passaggio per
eetto tunnel di elettroni attraverso la barriera di potenziale della supercie di un solido,
deformata dall'applicazione di un elevato campo elettrostatico. Fortunatamente, la teoria
della FE può essere descritta in termini molto più semplici senza comprometterne la validità,
facendo riferimento al modello a elettrone libero dei metalli e alla teoria delle bande dei
semiconduttori.
4.1.1 Bande elettroniche e funzione lavoro
In un solido le buche di potenziale corrispondenti a singoli atomi o molecole si sovrappongono
considerevolmente. Pertanto, gli elettroni esterni originariamente appartenenti ad un atomo
possono passare da una buca all'altra e risultare non-localizzati all'interno del solido.
I livelli energetici di un atomo si fondono in una struttura a bande, separate da zone proibite
corrispondenti ai gap di energia tra i diversi livelli atomici. Se le bande sono completamente
riempite di elettroni il solido risulta essere un isolante (o un semiconduttore); in caso contrario, ossia quando sono presenti bande parzialmente vuote, il solido si presenta come un
metallo. Negli isolanti non vi sono livelli vuoti in cui gli elettroni possano essere trasferiti senza dispendio di energia dall'esterno; nei metalli, invece, gli elettroni possono essere facilmente
accelerati attraverso l'applicazione di un campo elettrico.
La dierenza di energia tra l'energia di Fermi µ e il vuoto a campo nullo in prossimità della
supercie corrisponde alla cosiddetta funzione lavoro (Work Function), ϕ, che costituisce, per
lo stato solido, l'analogo del potenziale di ionizzazione per atomi e molecole. La funzione
Figura 4.1:
incluso
µ, energia di Fermi; ϕ, funzione lavoro (a) potenziale a gradino; (b) potenziale immagine
lavoro ha valori di 2-5 V nei metalli e scaturisce da due eetti: il primo, detto potenziale
interno, è la dierenza tra potenziale chimico degli elettroni nel metallo e quello a grande
distanza da esso nel vuoto in assenza di campo; il secondo, o potenziale immagine, è dovuto
ad eetti elettrostatici sulla supercie e decade lentamente con la distanza.
22
CAPITOLO 4. EMISSIONE DI CAMPO
4.1.2 Eetto tunnel
Nei processi di emissione termoionica e fotoemissione gli elettroni ricevono energia suciente
a superare la barriera di potenziale della supercie del metallo: nell'emissione termoionica il metallo è riscaldato nchè un suciente numero di elettroni acquista energia cinetica
K ≥ ϕ + µ; nella fotoemissione la supercie viene irradiata con una luce di energia hν ≥ ϕ.
Nel fenomeno di emissione di campo, invece, la barriera di potenziale è deformata a tal punto
che elettroni non eccitati possono attraversarla.
L'eetto tunnel è un fenomeno puramente quanto-meccanico.
Trattiamo il caso di potenziale a gradino, trascurando gli eetti del potenziale immagine.
Quando un campo F è applicato alla supercie di un metallo, gli elettroni di energia cinetica
Ex lungo la direzione di emissione vedono una barriera di altezza (ϕ + µ − Ex ) e larghezza
(ϕ + µ − Ex )/F e.
Se consideriamo un elettrone vicino al livello di Fermi, l'incertezza sul momento corrispon-
Figura 4.2: diagramma potenziale-energia per elettroni sulla supercie di un metallo in presenza di campo
elettrico
dente alla barriera di altezza ϕ, vale (2mϕ) 2 . Conseguentemente, secondo il principio di
indeterminazione di Heisenberg, l'incertezza sulla posizione vale
1
∆x ∼
=
h̄
1
2(2mϕ) 2
.
(4.1)
Se risulta dell'ordine dell'ampiezza della barriera
x=
ϕ
Fe
(4.2)
23
CAPITOLO 4. EMISSIONE DI CAMPO
c'è una probabilità nita di trovare un elettrone al di là di essa. Tale possibilità si esprime
quindi attraverso la condizione
ϕ ∼
h̄
(4.3)
=
1 ,
Fe
ovvero
2(2mϕ) 2
2m
2
h̄2
1
3
ϕ2
=1
Fe
2
(4.4)
Si può considerare approssimativamente questa condizione come quella richiesta anchè
avvenga l'emissione di campo. I coecienti di penetrazione nel caso di barriera unidimensionale si possono trovare tramite il metodo Wentzel - Kramers - Brillouin (WKB). Risultano
essere


1 Z l
2
1
2m
(V − E) 2 dx
(4.5)
D(E, V ) = f (E, V )exp −2
2
h̄
0
e rappresentano la probabilità che un elettrone attraversi la barriera. V è il potenziale dell'elettrone e E la sua energia. La funzione f (E, V ) può essere spesso approssimata a una
costante vicina all'unità. Si può dimostrare la validità della parte esponenziale di D secondo
semplici considerazioni: deve valere, infatti,
(4.6)
2
D∼
= [ψ(l)/ψ(0)]
dove ψ(l) e ψ(0) sono le funzioni d'onda dell'elettrone rispettivamente a x = l, 0.
Per distanze piccole abbastanza da poter considerare V costante, si può approssimare la
funzione d'onda come ψ = eikx , con
p
2m
k = = (E − V ) 2
h̄
h̄
1
2
(4.7)
.
Nella regione della barriera il termine E - V è negativo. Riesce pertanto

2m
ψ = exp −
h̄2
da cui

ψ(l)/ψ(0) = exp −

2m
D∼
= exp −2
h̄2

1
2
2m
h̄2
(V − E) x
0
l
0
l
1 Z
2
1 Z
2
L'esponente rappresenta, a meno del fattore 2
(4.8)
1
2
2m
h̄2

1
2
(V − E) dx
(4.9)

1
2
(V − E) dx
1
2
(4.10)
, l'area A sotto la curva (V − E) 2 tra
1
24
CAPITOLO 4. EMISSIONE DI CAMPO
x=0 e x=l. Come si può osservare dalla gura
4.2 quest'area è pressochè triangolare, con base
1
2
(ϕ + µ − Ex )/F e e altezza (ϕ + µ − Ex ) . Vale pertanto
3
1
A∼
= (ϕ + µ − Ex ) 2 /F e,
2
(4.11)
da cui si ottiene per D l'espressione

2m
D∼
= f (Ex , V )exp −
h̄2
1
2

3
2
(ϕ + µ − Ex ) /F e .
(4.12)
Tale espressione risulta simile a quella calcolata per i coecienti di penetrazione da Fowler e
Nordheim :


1
1
3
4 [Ex (ϕ + µ − Ex )] 2
4 2m
D∼
exp −
=
(ϕ + µ)
3 h̄2
2
(ϕ + µ − Ex ) 2 
.
Fe
(4.13)
Se consideriamo solo elettroni con energia Ex ∼
= µ,si ottiene
1

3

4(ϕµ) 2
ϕ2
D∼
exp −6.8 × 107  ,
=
(ϕ + µ)
F
(4.14)
con ϕ in Volts e F in V/cm.
La corrente emessa è approssimata moltiplicando il coeciente D per la frequenza totale di
arrivo degli elettroni. Si ottiene in tal modo l'equazione di Fowler-Nordheim:
1

3

ϕ2
(µ/ϕ) 2 2
F exp −6.8 × 107  amp/cm2 ,
i = 6.2 × 106
µ+ϕ
F
4.2
(4.15)
Descrizione dell'esperimento
Gli studi di emissione di campo vengono eettuati sia per SWNTs commerciali che per campioni sintetizzati con scarica ad arco in laboratorio e caratterizzati al SEM e al TEM. Dalla
caratterizzazione sappiamo, infatti, che i nanotubi prodotti in laboratorio contengono per lo
più MWNTs, e SWNTs in quantità minori. Poichè da precedenti studi le proprietà di emissione dei SWNTs sono risultate migliori di quelle dei MWNTs, il confronto con i nanotubi
commerciali viene eseguito con i SWNTs.
I nanotubi vengono applicati su un lo di tungsteno di diametro di 0.2 mm, immergendo la
punta di esso in una soluzione di acetone e nanotubi. Il lo viene inserito in un apposito
supporto all'interno di una camera a vuoto e costituisce il catodo, la sorgente emettitrice.
L'anodo è invece costituito da un vetro reso conduttivo da un sottile lm di ossido di indio
e stagno (ITO-Indium Tin Oxide ) e risulta avere una resistività intrinseca di 25 ohm-cm. Il
vetro è inoltre ricoperto da uno strato di fosforo che, eccitato dagli elettroni emessi, aiuta a
CAPITOLO 4. EMISSIONE DI CAMPO
25
visualizzare e a stimare la supercie di emissione. La distanza tra gli elettrodi viene variata
utilizzando la guida che permette di muovere il suppporto del catodo. I due elettrodi sono
collegati, con apposite connessioni che raggiungono l'esterno della camera, ad un generatore
di tensione digitale, che permette di applicare voltaggi tra 0 V e 7 kV e ad un sistema utilizzato per misurare la corrente di emissione, costituito da un amperometro (Keithley 2001)
che misura correnti da alcuni µA ad alcuni A. All'interno della camera viene generata una
pressione dell'ordine di 10−7 − 10−8 Torr, utilizzando una pompa rotativa e una turbomolecolare in serie. La camera è inoltre dotata di un oblò dal quale è possibile osservare l'interno e
visualizzare l'immagine fosforescente sul vetro.
Figura 4.3: esterno della camera per la FE
Gli strumenti a disposizione permettono, dunque, di eettuare gli studi in funzione della
distanza tra gli elettrodi e del voltaggio applicato. Le misure vengono eseguite variando il
potenziale applicato a distanza ssa, e ripetute per dierenti distanze.
4.3
Risultati sperimentali
Lo studio è eettuato per distanze D di 4mm, 6mm e 8mm variando il voltaggio generalmente
con passi di 50 V, in un intervallo da 0 a 1200 V. Prima di acquisire i dati si eettua una
misura senza CNTs per controllare che non si verichi emissione dal lo di tungsteno nel suddetto intervallo di potenziale, al ne di assicurarsi di poter attribuire la corrente interamente
ai campioni analizzati.
Per ogni set di misure si graca l'andamento della corrente in funzione del voltaggio (I vs V),
da cui si ricava il voltaggio di accensione, ovvero il valore minimo del potenziale necessario
ad osservare l'emissione.
La distanza tra gli elettrodi viene stimata regolando la guida che sostiene il catodo sul valore
desiderato, una volta assunto come zero della misura il valore a cui corrisponde il contatto tra
gli elettrodi. La misura è eseguita con un calibro, il cui errore di sensibilità vale σD = 0.05
mm.
CAPITOLO 4. EMISSIONE DI CAMPO
26
Sulla tensione applicata, invece, possiamo stimare un errore σV = 1 V, considerando la sensibilità dello strumento.
Per quanto riguarda gli errori sulla corrente bisogna tener conto non solo dell'errore strumentale, pari al 17 ppm dei valori misurati nell'intervallo da 0 a 2mA, come attestato dalla documentazione dello strumento, bensì anche di altri errori sistematici, più rilevanti del suddetto,
attribuibili a diversi fattori:
ˆ instabilità della supercie di emissione: i nanotubi possono staccarsi del lo di tungsteno
provocando una diminuzione dell'area emettitrice e, quindi, della corrente emessa;
ˆ instabilità della corrente dovuta al fenomeno di carica e scarica dei nanotubi: quando
gli emettitori sono semiconduttori, l'emissione non risulta continua, bensì vi sono degli
intervalli di tempo in cui nuove cariche devono attraversare il gap energetico tra la banda
di valenza e quella di conduzione e non vi è corrente.
Per tenere in considerazione tali fattori si osserva la corrente in corrispondenza di ogni valore
del voltaggio per un intervallo di tempo suciente a valutare la stabilità dei dati: poichè le
uttuazioni risultano contenute, si assume come misura il valore medio e come errore l'errore
massimo.
Per vericare la validità dei dati acquisiti e dell'andamento ottenuto si eettua sul graco
I vs V relativo ad una delle misure fatte un t con la funzione di Fowler-Nordheim 4.15.
Nonostante le variabili che compaiano nell'equazione siano la densità di corrente i e il campo
elettrico F, il t può essere eseguito direttamente sull'andamento gracato poichè le grandezze
I e V risultano proporzionali rispettivamente a i e F, potendo assumere che la supercie di
emissione sia costante e la distanza tra gli elettrodi ssa. Si osserva che eettivamente i
punti seguono l'andamento atteso. Il test del χ2 ridotto, il cui valore risulta prossimo ad
1, conferma che i dati sperimentali sono in buon accordo con la forma funzionale teorica di
Fowler-Nordheim.
Poichè, però, la parte in salita dell'andamento può essere approssimata con una parabola,
si preferisce eseguire l'analisi su tutte le misure eseguendo i t con un polinomio di secondo
grado: tale approssimazione, infatti, oltre ad essere valida, come attestato dai risultati del t,
permette di stimare il valore del voltaggio di accensione Va denendolo come una delle radici
del polinomio di secondo grado. Nel caso si utilizzi invece la funzione di Fowler-Nordheim,
funzione priva di zeri, risulta dicile denire un metodo adatto alla stima della suddetta
grandezza.
Le prime misure riportate sono quelle relative ai nanotubi sintetizzati in laboratorio.
Dai graci in gura 4.5, 4.6 e 4.7 si osserva che per i primi punti presi, ovvero per valori di
voltaggio da 0 V a circa 500 V, la corrente è trascurabile, ma, anche in questo intervallo,
cresce con l'aumento del potenziale, seppur mantenendosi intorno a valori di pochi nA. In
corrispondenza del voltaggio di accensione si osserva un incremento notevole dell'emissione,
vericabile gracamente: l'andamento I vs V cambia, infatti, repentinamente dando luogo ad
una rapida salita. Si misurano correnti dell'ordine di µA, con aumenti visibili ad ogni passo
CAPITOLO 4. EMISSIONE DI CAMPO
27
Figura 4.4: verica dell'andamento attaverso il t con la funzione di Fowler e Nordheim
Figura 4.5: I vs V, CNTs prodotti in laboratorio, D = 4 mm
di 50V.
Il valore eettivo del voltaggio di accensione Va si ottiene dai risultati del t calcolando le
CAPITOLO 4. EMISSIONE DI CAMPO
28
Figura 4.6: I vs V, CNTs prodotti in laboratorio, D = 6 mm
Figura 4.7: I vs V, CNTs prodotti in laboratorio, D = 8 mm
radici del polinomio di secondo grado e considerando quella maggiore. L'errore sul valore di
Va stimato viene calcolato propagando gli errori dei parametri ottenuti dal t.
CAPITOLO 4. EMISSIONE DI CAMPO
29
La validità del t è confermata dal test del χ2 ridotto.
Si ottiene:
D = 4mm , Va = (439 ± 13) V ;
D = 6mm , Va = (505 ± 12) V ;
D = 8mm , Va = (567 ± 16) V .
Le stesse misure sono eseguite per i campioni di SWNTs commerciali, depositati sul lo di
tungsteno.
Figura 4.8: I vs V, SWNTs commerciali, D = 4 mm
È possibile osservare dai graci in gura 4.8 e 4.9 4.10 lo stesso andamento ottenuto per i
nanotubi prodotti in laboratorio. Eettuando anche per queste misure la stessa analisi con i
t parabolici si ottengono per il potenziale di accensione i seguenti valori:
D = 4mm , Va = (388 ± 10) V ;
D = 6mm , Va = (444 ± 12) V ;
D = 8mm , Va = (512 ± 14) V .
Con dati ottenuti è possibile confrontare i risultati relativi ai CNTs sintetizzati in laboratorio
con quelli dei SWNTs commerciali. Considerando le misure relative ai due diversi campioni
si osserva che, a parità di distanza tra gli elettrodi, il voltaggio di accensione è inferiore per
i campioni commerciali di circa 50 V. A parità di potenziale applicato, inoltre, la corrente
emessa è approssimativamente la stessa.
CAPITOLO 4. EMISSIONE DI CAMPO
30
Figura 4.9: I vs V, SWNTs commerciali, D = 6 mm
Il confronto può essere eseguito direttamente gracando insieme i dati relativi ai due campioni
analizzati per la stessa distanza (gure 4.11, 4.12 e 4.13).
Si riporta anche l'immagine dell'interno della camera durante la presa dati, in presenza di
emissione: come aspettato, lo strato di fosforo che ricopre il vetro rivela la presenza di corrente
(gura 4.14).
4.4
Applicazioni: display a emissione di campo
Tra le applicazioni che rendono di grande interesse l'emissione di campo spicca la tecnologia
dei display che sfruttano tale fenomeno per l'illuminazione e in particolare utilizzano proprio
i nanotubi di carbonio come emettitori (NED- Nano-Emissive Display ).
Concettualmente il principio sul quale si basano è simile a quello dei tubi a raggi catodici. Vi
è sempre la presenza di un cannone elettronico pilotato da un campo magnetico in modo tale
da colpire dei fosfori che emettano luce. La dierenza è che non vi è un unico fascio di elettroni
bensì uno per ogni pixel, essendo il cannone elettronico rappresentato da una moltitudine di
nanotubi di carbonio. Il vantaggio comportato dall'utilizzo dei CNTs in questa tecnologia
sta nella possibilità, grazie alle dimensioni degli emettitori, di ottenere schermi molto piatti,
più vantaggiosi dal punto di vista energetico e con costi di manodopera inferiori rispetto agli
schermi al plasma o a cristalli liquidi.
CAPITOLO 4. EMISSIONE DI CAMPO
Figura 4.10: I vs V, SWNTs commerciali, D = 8 mm
Figura 4.11: confronto tra i due dierenti campioni, D = 4mm
31
CAPITOLO 4. EMISSIONE DI CAMPO
Figura 4.12: confronto tra i due dierenti campioni, D = 6mm
Figura 4.13: confronto tra i due dierenti campioni, D = 8mm
32
CAPITOLO 4. EMISSIONE DI CAMPO
Figura 4.14: interno della camera, emissione relativa ai SWNTs commerciali, D = 6mm
33
Capitolo 5
Conclusioni
I nanotubi di carbonio sono stati sintetizzati in laboratorio mediante la tecnica di arco al
plasma e caratterizzati a microscopi elettronici SEM (in dotazione ai Laboratori Nazionali di
Frascati dell'INFN) e TEM (utilizzando lo strumento a disposizione al CIGS dell'Università
di Modena). Per ogni scarica eseguita per una durata di circa 3 minuti è stata rilevata la
presenza di 1-2 mg di materiale sintetizzato sul catodo, di cui l'80% circa è stato identicato
in nanotubi di carbonio. Dalla caratterizzazione è stato inoltre possibile osservare che tali
CNTs risultano essere per la maggior parte MWNTs. I CNTs sintetizzati sono stati inne
depositati su un lo di tungsteno di diametro di 0.2 mm e utilizzati per gli studi di emissione
di campo. Gli stessi studi sono stati eseguiti per SWNTs commerciali, al ne di comparare i
risultati. Anche in questo caso i campioni sono stati depositati sul lo di tungsteno utilizzato
come catodo nell'emissione. Le misure sono state eettuate osservando, per diverse distanze
tra gli elettrodi, la dipendenza della corrente emessa dal voltaggio applicato e vericando la
compatibilità dei risultati con quelli predetti dalla teoria di Fowler e Nordheim. Dall'analisi
eettuata è stato stimato il voltaggio di accensione Va . Dal confronto tra i dati relativi ai due
diversi campioni (CNTs prodotti in laboratorio e SWNTs commerciali) si è potuto osservare
che Va è risultato inferiore di circa 50 V per i SWNTs commerciali, a parità di distanza tra
gli elettrodi. Si è inoltre potuto riscontrare che la corrente emessa dai CNTs prodotti in
laboratorio è risultata leggermente inferiore a quella relativa ai SWNTs, a parità di voltaggio
applicato. Tali considerazioni permettono di attestare la bontà dei campioni prodotti in
laboratorio in relazione alle proprietà esaminate.
Gli studi di emissione di campo, condotti allo scopo di vericare le proprietà dei nanotubi
in qualità di emettitori di elettroni, sono di grande interesse date le molteplici applicazioni,
quali l'utilizzo nella microscopia elettronica e nella fabbricazione di schermi NED.
Le misure eseguite confermano le proprietà aspettate. Gli studi sono comunque in continua
evoluzione.
34
Bibliograa
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35