iL KoSoVo UN PRoBLEMA iNtERNAzioNALE

PRiMo PiANo
iL KoSoVo
UN PRoBLEMA iNtERNAzioNALE
Cartina del Kosovo e la sua Bandiera (fonte Wikipedia).
ANtoN BEBLER (*)
C
ento anni addietro, pochissime persone
in Europa, anche se istruite, avevano mai
sentito parlare del Kosovo, nome di un’o-
scura provincia ottomana nei Balcani. tale
provincia comprendeva non solo l’odierno
Kosovo, ma anche il Sandzhak (che, poi,
(*) Professore nella Facoltà di Scienze Sociali dell’Università di Lubiana. Studioso di livello internazionale.
Autore o curatore di libri e autore di articoli pregevoli di Sociologia Militare. È stato in passato, per anni,
ambasciatore della Slovenia presso gli Uffici delle Nazioni Unite di Ginevra.
Rivista Marittima-Gennaio/Febbraio 2011
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il Kosovo un problema internazionale
si spartirono la Serbia e il Montenegro) e
la maggior parte della Macedonia del fiume Vardar (l’attuale Repubblica di Macedonia). A quei tempi, il Kosovo costituiva
solo un capitolo minore della più ampia
questione nazionale albanese, all’interno
del decadente impero ottomano. Quel capitolo minore fu creato nel 1912 dal Regno
di Serbia, come questione separata ed evanescente; l’aggressiva espansione del Kosovo nei paesi confinanti, con poca o nessuna popolazione serba, era stata per decenni attivamente incoraggiata e appoggiata, per suoi motivi geopolitici, dall’impero Russo. Altre potenze europee, come
la Gran Bretagna, l’Austria-Ungheria, la
Germania, la Francia e l’italia, contribuirono anche a creare un altro problema coloniale, permettendo alla Serbia di occupare il Kosovo come preda di guerra. Le
grandi potenze coloniali agirono così, come è noto, contro le aspirazioni della maggioranza della popolazione del Kosovo,
tanto che, fra il 1918 e il 1999, esso fu parte — in successione — di tre Stati iugoslavi, per la maggior parte come territorio
non dotato di autogoverno, ma subordinato alla burocrazia serba di Belgrado. Durante la seconda guerra mondiale, la maggior parte del Kosovo, sotto occupazione
italiana, venne incorporato nel «Regno di
Albania», mentre la parte rimanente fu occupata dal terzo Reich e annessa dalla
Bulgaria. Come cancro locale e fonte costante di conflitti politici e di sicurezza, il
Kosovo, nel 1941, nel 1991 e nel 2003
contribuì a distruggere i tre Stati iugoslavi
suddetti (il Regno, la Repubblica Federale
Socialista di iugoslavia o SFRY, e la Repubblica Federale di iugoslavia o FRY).
L’ondata di dimostrazioni nell’Europa
orientale negli ultimi anni ottanta e nei
primi anni Novanta del secolo scorso,
portò al crollo dell’impero sovietico nel20
l’Est europeo e a quello della sua suprema
espressione, il Patto di Varsavia, e — quindi — anche alla fine della stessa Unione
Sovietica. La sanguinosa disintegrazione
della SFRY attrasse allora la particolare attenzione della comunità internazionale. A
causa delle esagerate preoccupazioni fra le
potenze occidentali circa il suo effetto domino sull’ex spazio sovietico, il dramma
balcanico proiettò la iugoslavia al livello
massimo dei problemi internazionali più
gravi e potenzialmente molto pericolosi.
Seguirono parecchi avvenimenti straordinari: tra l’altro, la prima e, fino allora, la
più grande operazione di mantenimento
della pace dell’oNU in Europa e la prima
azione di imposizione della pace «out of
area» della NAto. La SFRY era scomparsa nel 1991-1992, ma la questione del Kosovo, ancora viva, era stata per parecchi
anni quasi totalmente trascurata dalla comunità internazionale. il Kosovo riapparve come grande problema internazionale
quando, principalmente da parte degli Stati Uniti d’America, si capì che la pacificazione dei Balcani sarebbe rimasta incompleta senza dare una soluzione anche a
questo problema e senza fermare la brutale repressione della Serbia. Nella primavera del 1997, questa questione fu finalmente sollevata nei fori internazionali, ma diversi tentativi di risolvere il problema pacificamente attraverso negoziati con la
FRY e l’ostinato regime serbo, con pressioni diplomatiche e minacce militari, non
portarono a risultati positivi. Questi avvenimenti furono seguiti, nel marzo 1999,
dal primo attacco armato della NAto contro uno Stato europeo membro dell’oNU
(la FRY - Ndt); l’intervento, eseguito senza l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza, condusse a una seconda occupazione da parte della NAto, dopo quella della
Bosnia Erzegovina, di una parte del terriRivista Marittima-Gennaio/Febbraio 2011
il Kosovo un problema internazionale
torio dell’ex SFRY. Da allora, il Kosovo
ha costituito una questione internazionale
controversa.
il contesto storico
Situato al centro dei Balcani, il Kosovo
— paese che non si affaccia sul mare —
con circa 2,2 milioni di abitanti, non ha
avuto, nella sua storia passata, alcuna tradizione di sovranità locale. Smembrato e
fatto a pezzi, il Kosovo è stato unito molte
volte a parti di terre confinanti, divise in
parecchie zone, occupate da conquistatori
stranieri, ed è, nella sua rozza forma attuale, un’unica unità amministrativa, esistente solo dal 1945. Nella iugoslavia governata dai comunisti, il Kosovo fu «una regione autonoma», nell’àmbito della Serbia
unitaria, sempre contro i desideri della
maggioranza albanese della sua popolazione. A esso venne dato il nome ufficiale
di Kosovo & Metohia (K & M). Poiché i
Kosovari albanesi non gradivano il doppio
nome, considerato da loro un’offesa di tipo coloniale, venne introdotta, solo nel
1963, una designazione costituita da un
unico nome, insieme a un ordinamento che
prevedeva una maggiore autonomia.
Quando, nel 1989, l’autonomia del Kosovo venne di fatto abolita dal regime di Milosevic, il doppio nome venne riesumato e,
da allora, è rimasto come designazione ufficiale serba. il doppio nome K & M viene
usato oggi, tra l’altro, dal Ministero serbo,
dalle amministrazioni municipali trapiantate sul territorio della «Serbia vera e propria» e da membri ribelli di organizzazioni della minoranza serba in Kosovo, i quali ancora rifiutano di riconoscere l’indipendenza del Kosovo dalla Serbia e dall’autorità di Pristina.
Per la maggior parte del suo passato, il
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territorio del Kosovo è stato controllato da
governanti stranieri da capitali distanti;
sebbene una più ampia area abbia avuto,
sotto i Romani, i Bizantini, i Greci e i Bulgari, parecchi antichi nomi, quello slavo
di Kosovo venne dato dagli antenati dei
Serbi di oggi. Essi colonizzarono la zona
e si installarono nelle sue fertili pianure
nei secoli Xi e Xii; contrariamente a
quanto ripetutamente proclamato dalla
propaganda ufficiale serba, i Serbi non sono stati l’antica popolazione della regione
e nemmeno gli Slavi che si installarono
anticamente su quella terra. inoltre, ancora diversamente da un altro slogan propagandistico serbo, il Kosovo non fu «la culla» dello Stato serbo del Medio Evo. La
prima Banovina «serba» (Banovina = territorio governato da un ban - Ndt) e vecchie chiese furono costruite a Raška (nell’odierna Sandzhak) intorno all’anno
1000; i feudatari serbi conquistarono il
Kosovo più di un secolo dopo e, verso il
1216, approfittando della crudele conquista di Costantinopoli da parte dei Crociati, essi estromisero la burocrazia provinciale bizantina. Per circa 250 anni, il Kosovo rimase una colonia della Corona del
Regno «di Serbia» medievale. Al culmine
della sua importanza e del suo potere, il
più potente tra i monarchi serbi, Dušan, fu
incoronato nel 1347 come «imperatore
dei Serbi, dei Greci, dei Bulgari e degli
Albanesi». Da notare che la sua capitale
non fu nel Kosovo, ma Skopje, nell’attuale Repubblica di Macedonia.
tuttavia, il più traumatico evento della
storia medievale serba ebbe luogo nel Kosovo: la sconfitta storica nella vallata di
Kosovo Polje (presso Pristina), il 15 giugno del 1389, che dette inizio alla distruzione dello Stato serbo da parte ottomana
e che dette vigore a quel governo nei Balcani per più di 450 anni. il penoso ricordo
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il Kosovo un problema internazionale
della battaglia del Kosovo divenne un elemento centrale dell’identità nazionale serba: è stato coltivato per secoli dalla Chiesa
ortodossa Serba che, con insistenza e con
grande successo, ha alimentato nei suoi fedeli il desiderio di rivincita contro i musulmani (turchi, Slavi islamizzati e Albanesi). Gli assassinî in massa degli anni Novanta, a Srebrenica e in molti altri luoghi
della Bosnia, del Kosovo e di Serbia, non
possono spiegarsi senza questo indottrinamento all’odio, durato per generazioni e
ingigantito dai moderni mezzi di comunicazione di massa. il mito Kosovo è stato
largamente sfruttato dai nazionalisti serbi
di tutti i colori ideologici come uno strumento politico facile, e dalle classi superiori serbe come utile copertura alle ambizioni egemoniche nei Balcani.
Dal 1459 al 1912 il territorio dell’odierno Kosovo ha fatto parte dell’impero ottomano, che ha impresso una forte impronta
orientale alla sua cultura e alla sua vita sociale e religiosa. L’etnìa serba diventò una
minoranza nel Kosovo, già nella prima
metà del XiX secolo, a causa della repressione dopo ogni sollevazione serba, dell’esodo di massa nel XViii secolo, guidato
dalla Chiesa ortodossa Serba, e della colonizzazione da parte dell’Albania settentrionale, oltre che del molto più alto tasso
di fertilità fra gli Albanesi. Poiché i Serbi
emigrarono in massa nel nord e nell’ovest
del Kosovo, il ruolo avuto dalla loro vita
politica, culturale e religiosa divenne conseguentemente marginale, mentre il contrario era vero per gli Albanesi. Una delle
più importanti organizzazioni politiche albanesi, la Lega di Prizren, venne creata in
Kosovo, e i Kosovari erano in maggioranza fra i fondatori dell’Albania indipendente nel novembre 1912.
La Serbia, la Grecia e il Montenegro,
ostili all’emancipazione nazionale albane22
se, cospirarono con la Russia per occupare
e spartirsi i possedimenti ottomani con popolazione interamente o prevalentemente
albanese. Esse intendevano, così, prevenire la nascita di uno Stato albanese indipendente. Nell’ottobre 1912, secondo piani di
guerra sincronizzati, l’Esercito serbo invase il Kosovo, quest’ultimo sul punto di
conquistare l’intera Albania settentrionale.
L’occupazione del Kosovo servì allora solo come obiettivo collaterale e la sua «liberazione» come slogan propagandistico utile per ingannare i Serbi e il pubblico internazionale. il principale piano geostrategico serbo era infatti volto a ottenere con la
forza un accesso territoriale permanente al
Mediterraneo, attraverso il porto di Durazzo. il progetto fu frustrato dall’AustriaUngheria, che resisté alle incursioni della
Russia e a quelle, per delega, della Serbia,
nell’Adriatico. Nel 1913, essendosi piegato a un ultimatum di guerra dell’AustriaUngheria, l’Esercito serbo fu costretto a ritirarsi dall’Albania settentrionale. Successivamente, i possedimenti coloniali serbi
acquisiti di recente, compreso il Kosovo,
vennero incorporati nel 1918-1919 nel Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni
(poi denominato Regno di iugoslavia). Dal
1945 al 1999, essi fecero parte dei due Stati successivi denominati iugoslavia.
Nel XX secolo, il Kosovo fu governato
dalla Serbia, con due interruzioni dovute a
guerre, per meno di 80 anni. Nonostante
tutti gli sforzi fatti dalla Serbia, compresi
il terrore, la totale discriminazione, la repressione poliziesca, l’impoverimento voluto dei Kosovari albanesi, le pressioni su
di essi perché emigrassero, l’introduzione
di quarantamila «coloni» slavi finanziati
dallo Stato, l’etnìa serba rimase una minoranza separata in Kosovo. La loro quota
nella popolazione del Kosovo è progressivamente diminuita da circa il venti per
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il Kosovo un problema internazionale
cento a circa il dieci per cento nel 1999 e
al cinque per cento nel 2010. Dall’altra
parte, la quota della popolazione albanese
del Kosovo è aumentata, nonostante la
considerevole emigrazione in turchia e
nell’Europa occidentale, per motivi economici e politici. Verso gli ultimi anni ottanta del secolo XX, i Kosovari albanesi erano la terza maggiore nazionalità in iugoslavia (dopo i Serbi e i Croati), il che rese
insostenibile la loro posizione, perché ineguali nei diritti rispetto alla popolazione di
una nazione slava (il Montenegro) parecchie volte più piccola.
il problema del Kosovo era costituito,
nelle sue linee essenziali, dal fatto che i
Kosovari albanesi desideravano eguaglianza, emancipazione nazionale e autodeterminazione mentre, dall’altro lato, la
Serbia si sforzava di continuare a governarli da Belgrado. Per le classi elevate,
culturali e politiche, serbe e per una parte
considerevole del pubblico serbo, il Kosovo è rimasto un prezioso simbolo della
gloria passata della Serbia e dell’anima
stessa della Serbia. Dal 1945 sono stati
provati diversi modelli di relazioni fra Serbia e Kosovo, spazianti dalla totale occupazione militare alla brutale repressione
poliziesca e all’autonomia piuttosto benevola: tutti sono falliti e non hanno portato
a una durevole coesistenza pacifica fra le
due comunità nel Kosovo stesso e fra i Kosovari albanesi e la Serbia. Nell’ultima costituzione della SFRY, del 1974, venne introdotta un’insolita e assurda soluzione
che prevedeva un ampio autogoverno del
Kosovo, col doppio status di parte autonoma della Serbia e, contemporaneamente,
di membro a tutti gli effetti della Federazione iugoslava. Questa soluzione non
funzionò, a causa del desiderio dei Kosovari di eguaglianza con gli Slavi e, dall’altra parte, fu violentemente attaccata dai
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nazionalisti serbi, per cui lo storico compromesso fu alfine annullato, nel 1989, da
Belgrado. Queste modifiche costituzionali
operate dalla Serbia furono accompagnate
da brutali minacce della polizia ai deputati kosovari, uniti per la presenza di carri armati iugoslavi nelle strade di Pristina; con
la sua azione unilaterale, la Serbia minò
gravemente l’ordine costituzionale iugoslavo, turbò le sue relazioni con la Croazia e la Slovenia e scatenò una serie di
eventi che, entro due anni, portarono alla
seconda iugoslavia (la FRY - Ndt).
La Serbia perse i suoi diritti di legittimo governante del Kosovo nel 1989
quando essa, ignorando l’ancora valida
costituzione iugoslava, annullò l’applicazione delle libertà fondamentali nel Kosovo, sottopose la maggioranza di detta popolazione a un regime di arbitraria e dura
oppressione poliziesca ed escluse i Kosovari albanesi da tutte le cariche statali e
pubbliche. inoltre, nel 1998-1999, le autorità serbe della FRY cominciarono a sradicare ed espellere dal Kosovo quasi l’intera popolazione albanese, il che fu equivalente a un atto di genocidio. i crimini
serbi compresero allora, tra l’altro, sommarie esecuzioni e assassinî di parecchie
migliaia di Kosovari, le cui tombe comuni furono scoperte in seguito in Kosovo e
in Serbia. Secondo l’Alto Commissariato
delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), nel 1998, circa 350.000 Kosovari e
turchi vennero obbligati dalle autorità
serbe, con breve preavviso e spesso con la
pistola puntata, a lasciare le loro case. Nel
1999 circa 800.000 Kosovari e turchi
vennero espulsi dalla FRY e la maggioranza dei loro documenti d’identità fu distrutta al confine. La Serbia non si è mai
scusata e nessun alto funzionario serbo è
mai stato processato in Serbia per aver
commesso questi reati. il cambio di regi23
il Kosovo un problema internazionale
me non assolse la Repubblica di Serbia
per le sue responsabilità circa queste gravi e massicce violazioni dei diritti umani
e per gli obblighi della FRY come membro del Consiglio d’Europa e dell’oNU.
Queste violazioni fornirono legittimazione all’«intervento umanitario» della NAto nel 1999 e giustificarono pienamente
il distacco del Kosovo dalla Serbia come
«secessione correttiva».
La dissoluzione della SFRY, durata quasi due decenni, è stata forse completata
con tre proclamazioni d’indipendenza:
quelle del Montenegro e della Serbia, nel
2006, e del Kosovo, nel 2008. tutte le altre repubbliche iugoslave, eccetto la Serbia (Croazia, Slovenia, Bosnia Erzegovina, Macedonia - Ndt), e una ex provincia
autonoma (la Vojvodina - Ndt) avevano
abbandonato la SFRY e la FRY, alcune con
pesanti perdite di vite e di beni. La Serbia
aveva resistito a quattro su sei secessioni:
essa, con gradualità e riluttanza, riconobbe
l’indipendenza e stabilì relazioni diplomatiche con tutte le altre parti della SFRY, ad
eccezione del Kosovo. La Serbia fu l’ultima e la sola ex repubblica iugoslava che
divenne sovrana contro la sua volontà, nonostante tutte le parti della SFRY che si
erano staccate, lo avessero fatto principalmente per gli stessi motivi. il Kosovo, sotto molti aspetti, è stato un caso molto speciale. Questa ex provincia serba è stata, tra
l’altro, la sola parte della SFRY che venne
liberata dal governo serbo e occupata da
forze straniere internazionali.. Come per la
Bosnia Erzegovina, il problema del Kosovo non sarebbe stato per metà risolto, senza un’azione decisa degli Stati Uniti d’America e della NAto. Nel 1999 il Kosovo
fu posto sotto amministrazione temporanea dell’oNU (UNMiK = United Nations
Mission in Kosovo - Ndt), mentre da allora vari organi specialistici con compiti,
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ciascuno, di sicurezza, sorveglianza, controllo, assistenza e altro, forniti da varie
organizzazioni internazionali (NAto,
oSCE, EU, Consiglio d’Europa, Banca
Mondiale, ecc.), hanno collaborato con le
autorità locali provvisorie del Kosovo.
Fu, così, creato fra i Kosovari un sistema complicato e rozzo di protettorato internazionale incrociato, combinato con
un limitato autogoverno provvisorio e ampio ordinamento informale. Questa situazione produsse un limbo legale nella maggior parte del Kosovo, nel quale tutte le
leggi serbe ed ex iugoslave divennero non
valide, mancavano molti archivi legali e
altra documentazione amministrativa
(perché evacuati nella Serbia propriamente detta) e la legislazione dell’UNMiK era
largamente incompleta. Verso il 2007, la
continuazione dello status legale non
chiaro del Kosovo divenne, politicamente
e per ciò che riguardava la sicurezza, insostenibile, data la crescente impazienza dei
Kosovari e poiché le trattative con la Serbia si erano arenate. Dopo notevole esitazione, i componenti occidentali del Gruppo di Contatto conclusero che un’ampia
autonomia del Kosovo, anche soltanto
sotto una formale sovranità serba, sarebbe
stata del tutto inaccettabile per la maggioranza della sua popolazione. il grave problema fu formalmente risolto nel febbraio
2008, permettendo la dichiarazione di indipendenza del Kosovo. Ciò venne eseguito senza un’apposita risoluzione del
Consiglio di Sicurezza dell’oNU, ma
quest’ultimo organo, successivamente,
non annullò l’indipendenza del Kosovo,
come chiedeva la Serbia.
Avendo perso, fra il 1991 e il 1999,
quattro guerre di successione iugoslava, la
Serbia, nel febbraio 2008, non osò usare
nuovamente le sue forze armate. il suo governo rispose in un primo tempo, chiudenRivista Marittima-Gennaio/Febbraio 2011
il Kosovo un problema internazionale
do i suoi confini che consentivano traffici
col Kosovo, più che tollerando la violenza
della folla contro parecchie ambasciate
straniere a Belgado e richiamando temporaneamente gli ambasciatori serbi dagli
Stati che avevano riconosciuto il Kosovo.
Quiest’ultimo provvedimento fu una versione serba alquanto mite della dottrina di
Hallstein, usata in passato dalla Germania
Federale.
La Corte internazionale di Giustizia
il governo serbo, allo scopo di ammorbi-
dire la pubblica opinione, di guadagnar
tempo e di rallentare le procedure per il riconoscimento del Kosovo, compì un’azione che sembrò una manovra diplomatica astuta. Ai primi di ottobre 2008, la delegazione serba riuscì a ottenere una risoluzione dell’Assemblea Generale dell’oNU che chiedeva il parere della Corte internazionale di Giustizia dell’Aja (iCJ)
sulla «dichiarazione unilaterale d’indipendenza» del Kosovo, alla luce del diritto internazionale. Gli autori serbi, tuttavia, formularono male la richiesta, perché le dichiarazioni d’indipendenza sono fatti riguardanti gli ordinamenti politici e costituzionali degli Stati, mentre il diritto internazionale non tratta affatto questo argomento, né permette o proibisce tali dichiarazioni. inoltre, la dichiarazione non
era sostanzialmente unilaterale, poiché le
parole usate e i tempi furono coordinati da
cinque potenze occidentali, di cui tre erano membri permanenti del Consiglio di
Sicurezza dell’oNU. Con l’adozione di
quel documento, il Kosovo dichiarò quell’intenzione, ma di fatto non diventò uno
Stato sovrano.
Secondo la richiesta presentata dalla
Serbia, l’illegalità derivava presumibilRivista Marittima-Gennaio/Febbraio 2011
mente da: (1) la sua violazione del principio del rispetto dell’integrità territoriale
degli stati; (2) l’inapplicabilità del principio di autodeterminazione al Kosovo; (3)
la sua violazione della Risoluzione 1244
del Consiglio di Sicurezza dell’oNU (che,
presumibilmente, affermava che la Serbia
dovesse continuare a esercitare la sua sovranità sul Kosovo).
Per quanto riguarda il primo punto possono farsi tre osservazioni. in primo luogo,
la stessa Serbia violò grossolanamente il
principio dell’integrità territoriale di uno
Stato confinante (l’impero ottomano),
quando le sue forze armate nel 1912 attaccarono e occuparono il Kosovo. L’impero
ottomano e il suo legale successore, la Repubblica di turchia, non riconobbero mai
la cessione del Kosovo e nessun trattato fu
concluso a questo proposito. Perciò, il possesso del Kosovo da parte della Serbia era
in sé illegale. Era anche illegittimo, perché
la Serbia attuò la conquista contro la volontà della maggioranza della sua popolazione albanese. La conquista fu accompagnata da massacri di massa e da gravi violazioni del diritto umanitario internazionale. Quelle atrocità contro la popolazione
civile vennero descritte vividamente da
Leon trotsky (giornalista, allora corrispondente russo dai Balcani) e furono accuratamente documentate dalla Fondazione Carnegie. il Kosovo, anche, non fu annesso alla Serbia adeguatamente dal punto
di vista legale, secondo la costituzione serba del 1903 allora in vigore e, poi, secondo la costituzione del «Vidovdan» (ricorrenza religiosa che ricorda il martirio di
San Vito - Ndt) del Regno dei Serbi,
Croati e Sloveni. La terza conquista «liberazione» del Kosovo nel 1944 fu di nuovo
accompagnata da violenza armata contro i
Kosovari. L’atto di annessione venne approvato, per acclamazione, nell’aprile
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il Kosovo un problema internazionale
1945, con in vigore la legge marziale, dall’
«Assembra Popolare Regionale Kosmet»,
senza una votazione, senza un discorso e
anche senza, meno che mai, un dibattito.
La composizione dell’Assemblea fu completamente non rappresentativa, poiché
annoverava 142 membri nominati (non
eletti), di cui solo 33 Kosovari albanesi.
tutti i membri nominati erano comunisti,
in maggioranza erano serbi e rappresentavano solo circa il 20% della popolazione
del Kosovo. Non vi fu una precedente elezione o un referendum in Kosovo. Questa
parodia stalinista di legalità, perciò, mancava totalmente di legittimazione.
Secondariamente, la vera ed evidente
violazione dell’integrità territoriale della
Serbia non ebbe luogo nel febbraio 2008,
ma circa nove anni prima, quando, nel
marzo 1999, la NAto cominciò il suo intervento armato. La FRY presentò allora
una protesta contro i Paesi componenti
della NAto, per «uso illegale della forza».
La iCJ (international Court of Justice) respinse la mozione e rifiutò di esaminare la
legalità dell’«intervento umanitario» della
NAto. Secondo quanto previsto dal protocollo di Kumanovo (Macedonia), firmato con la NAto nel giugno 1999, la FRY,
e per essa la Serbia, ritirò dal Kosovo il
suo Esercito, la sua Polizia e la sua amministrazione civile. Perciò, la Serbia perdette tre elementi della sovranità: il controllo
sul territorio del Kosovo, sulla popolazione e sui confini. La dichiarazione del 18
febbraio 2008 legalizzò, solo ex- post facto, il distacco del Kosovo dalla Serbia.
Per ciò che concerne la terza osservazione, possiamo dire che, rispecchiando il
processo di decolonizzazione, il moderno
diritto internazionale ha aggiornato il
principio dell’integrità territoriale. E,
quando in contrasto con il diritto di autodeterminazione dei popoli, a quest’ultimo
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è stata consentita priorità. Questa evoluzione è stata espressa in un certo numero
di documenti legali, compreso l’Accordo
internazionale sui Diritti Politici e Civili e
la Dichiarazione dell’Assemblea Generale
dell’oNU sulla concessione dell’indipendenza a popoli coloniali. Nel suo Viii
principio, l’Atto Finale di Helsinki consente anche un pacifico cambiamento dei
confini di uno Stato, sulla base dell’autodeterminazione democraticamente espressa. La proclamazione d’indipendenza del
Kosovo fu attuata in modo pacifico, ordinato e civile. i soli atti di violenza furono
commessi allora dai Serbi, principalmente
in Serbia.
La Provincia Autonoma del Kosovo è
stata, secondo l’ultima costituzione della
SFRY, del 1974, parte integrante della Federazione iugoslava. Fu rappresentata alla
pari nella Presidenza collettiva e, sotto
molti aspetti, godé di diritti uguali alle sei
repubbliche, compresa la Serbia. La Commissione d’Arbitraggio Badinter (Robert
Badinter era un avvocato e politico francese che si batté con successo, negli anni
Settanta-ottanta del Novecento, per fare
abolire la pena di morte in Francia - Ndt)
fece una distinzione, molto discutibile, fra
le repubbliche e le due province autonome
della Serbia (l’altra era la Vojvodina Ndt), come soggetti ai quali poteva essere applicato il diritto di autodeterminazione. La pronuncia serba usò questa distinzione per sostenere che il Kosovo non
aveva titolo a godere del diritto (esterno)
all’autodeterminazione, tra cui la secessione, e ciò era dovuto, in qualche modo,
al fatto che le due province citate avevano
uno status, nella ex iugoslavia, di livello
federale inferiore. Agli autori della pronuncia era convenuto dimenticare che la
FRY e la Serbia, precedentemente, per
molti anni, avevano negato questo diritto
Rivista Marittima-Gennaio/Febbraio 2011
il Kosovo un problema internazionale
anche alle ex repubbliche iugoslave. La
pronuncia serba, inoltre, a pagina 588,
contestava che non vi fosse «alcuna evidenza… che il Kosovo abbia mai costituito una unità con autodeterminazione e che
esso veniva riconosciuto come un territorio non dotato di autogoverno». Questa affermazione era affetta da una madornale
contraddizione con avvenimenti ben noti;
cioè, per la maggior parte del XX secolo,
e particolarmente nel periodo 1989-1999,
il Kosovo era stato un territorio non dotato di autogoverno, e la maggioranza della
sua popolazione era stata soggetta, sotto
certi aspetti, a un trattamento peggiore di
quello esercitato dalle potenze coloniali
europee in Africa e in Asia.
La Corte internazionale di Giustizia ha
emesso il suo parere non vincolante il 22
luglio 2010 (poche settimane prima di
quando scriviamo - Ndt). La Corte ha evitato di trattare la maggioranza delle questioni sollevate nella richiesta della Serbia,
nei commenti del Kosovo e di un’altra
trentina di Stati. La iCJ ha limitato il suo
compito, considerando solo strettamente la
richiesta ricevuta. Ci si aspettava ampiamente che il parere della Corte si sarebbe
posto a metà tra le due opposte posizioni,
non soddisfacendo pienamente nessuna
delle due parti. La Corte sorprese molti,
con la sua semplice conclusione che la dichiarazione d’indipendenza del Kosovo
non violava le norme del diritto internazionale, né la Risoluzione 1244 del Consiglio
di Sicurezza dell’oNU, né l’intelaiatura
Costituzionale decretata dall’Amministrazione Provvisoria dell’oNU. Sorprendente
fu anche la forte maggioranza di dieci a
quattro voti dei giudici, con cui il parere fu
adottato. L’effetto politico della decisione
della Corte fu immediatamente chiaro: una
sconfitta per la diplomazia serba e una giustezza della posizione del Kosovo.
Rivista Marittima-Gennaio/Febbraio 2011
il Kosovo indipendente
Dall’estate del 1999 il Kosovo è stato
legalmente un protettorato internazionale
su mandato dell’oNU, controllato oggi
da diecimila militari statunitensi, tedeschi, francesi, italiani, turchi e di altri
paesi, facenti parte della KFoR, la forza
di mantenimento della pace a guida NAto. Sorvegliato e assistito da personale
civile che conta circa 2.500 elementi,
prima dell’UNMiK e poi dell’EULEX
(European Union Rule of Law Mission in
Kosovo = Missione in Kosovo dell’Unione Europea), il Kosovo, dal 1999, è completamente separato e indipendente dalla
Serbia. il Paese ha sviluppato un sistema
politico parlamentare separato, un libero
mercato in economia e ha adottato una
valuta diversa, l’Euro. La situazione economica, sociale e politica del Kosovo è,
da allora, molto migliorata. il progresso è
stato largamente dovuto all’assistenza internazionale (circa il 21% del PiL) e alle
rimesse dei Kosovari dall’estero (approssimativamente il 15% del PiL). Statisticamente, il PiL del Kosovo è aumentato di
più di sei volte, a circa 1.760 Euro pro capite. È, tuttavia, più basso che negli stati
balcanici vicini.
intorno alla fine di luglio 2010, cioè subito dopo la decisione della Corte, il Kosovo era stato riconosciuto da 69 stati, tra cui
tre membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’oNU, più di due terzi dei
componenti del Consiglio d’Europa, tutti
gli immediati stati vicini e tutte le ex repubbliche iugoslave, eccettuate la Serbia e
la Bosnia Erzegovina. A seguito della decisione dell’iCJ, questi numeri dono destinati a salire, ed entro il 2011 il loro totale
potrebbe superare la metà dei componenti
dell’oNU. Nonostante l’esistenza del Kosovo sia protetta da forze internazionali e
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il Kosovo un problema internazionale
la sua sopravvivenza sia assicurata, questo
giovanissimo Stato europeo è ancora una
struttura incompleta, manca di controllo
sull’intero territorio e sull’intera popolazione, ha delle deficienze nell’attuabilità
dell’autosostentamento economico ed è
eccessivamente dipendente, sotto l’aspetto
finanziario, dall’esterno. tutto ciò è aggravato da problemi di corruzione regionale e
dalla presenza di criminalità organizzata.
Dal 1216, i governanti serbi hanno conquistato il Kosovo cinque volte, e cinque
volte le loro truppe e i loro funzionari civili hanno lasciato libero il Paese in seguito
a una pressione militare straniera, quelle
— in successione — ottomana, austro-ungarica, bulgara, tedesca, italiana, di nuovo
bulgara, e della NAto. oggi, a quasi cento anni dalla conquista del 1912, è chiaro
che l’avventura nell’Albania settentrionale
e nel Kosovo non ha avuto buone conseguenze per la Serbia. Senza il peso del Kosovo, la Serbia sarebbe, senza alcun dubbio, oggi un Paese più sviluppato, più prospero e più forte. Nella sua scalata al potere, Slobodan Milosevic sfruttò abilmente
l’ossessione nazionale della storica gloria
della Serbia, con l’idea di possedere il Kosovo e di avere tutti i Serbi in un unico
Stato. Questo concetto aveva goduto in
realtà, per molti anni, di ampio appoggio
pubblico fra tutti i Serbi. Sotto il governo
di Milosevic, tuttavia, la Serbia, in buona
parte per la sua politica nel Kosovo, distrusse il grande successo nazionale (la
maggior parte dei Serbi viveva in iugoslavia) e subì perdite economiche, umane e
intellettuali. il governo serbo sull’intero
Kosovo cessò fortunatamente nel luglio
1999 e non potrà mai più essere ristabilito
pacificamente in qualsiasi forma, e anche
se ciò fosse possibile, danneggerebbe per
parecchi decenni la maggioranza dei Serbi
sul territorio della Serbia, nei suoi confini
28
antecedenti al 1999, e metterebbe a repentaglio il suo sistema politico unitario attuale. Vi sono indicazioni che il vero obiettivo attuale del governo della Serbia non è il
riacquisto della sua sovranità sulla provincia perduta, ma quello di ritracciare l’attuale confine tra stati Serbia Kosovo, forse
scambiando i territori e le popolazioni minoritarie su entrambi i lati. Questa soluzione, sostenuta da vari eminenti Serbi, molto probabilmente non verrebbe accettata
dalle autorità del Kosovo e dalla comunità
internazionale.
Per la Serbia di oggi, il Kosovo rappresenta, in via principale, un problema di riadattamento psicologico. La sua attuale politica di rifiuto e di ostruzionismo procura
danni ai reali interessi politici ed economici serbi, alla minoranza serba in Kosovo,
ai profughi serbi e alla minoranza albanese in Serbia. È nell’obiettivo interesse del
popolo serbo e della minoranza serba in
Kosovo riconoscere e accettare l’irreversibile realtà. Almeno una normalizzata coesistenza de facto della Serbia e del Kosovo, senza un riconoscimento formale dell’indipendenza della ex provincia, avrebbe
effetti positivi sul clima politico interno
nelle vicine Macedonia, Bosnia Erzegovina e Montenegro. Con il suo comportamento ragionevole e costruttivo, la Serbia
potrebbe tangibilmente contribuire alla
stabilità, prosperità e sicurezza della regione balcanica. Più presto tale normalizzazione avverrà, meglio sarà per la regione
balcanica e per l’Europa.
il principale socio nella creazione del
problema del Kosovo, la Russia, ha pagato caro l’appoggio alle politiche della Serbia nei Balcani. Nel 1913, essa non ottenne ciò che voleva, cioè tra l’altro una base
navale militare nel Mediterraneo, da cui la
Marina Russa potesse operare senza il
controllo dei turchi nei Dardanelli. Nel
Rivista Marittima-Gennaio/Febbraio 2011
il Kosovo un problema internazionale
1914, dopo l’omicidio di Sarajevo, si fece
trascinare, anche se poco preparata, nella
prima guerra mondiale. Successivamente,
la Russia ebbe gravi perdite, sperimentò
due rivoluzioni e il crollo del suo impero.
Nel 1999, i capi russi non ripeterono l’errore: essi respinsero la richiesta di appoggio militare da parte di Slobodan Milosevic, e anche la sua proposta di creare una
federazione tripartita con la Bielorussia.
Al culmine della campagna per il Kosovo,
la Federazione Russa rifiutò di essere
coinvolta in una guerra con la NAto e lasciò la Serbia sola nel confronto militare,
provocato intenzionalmente dal presidente
Milosevic. il tentativo azzardato dai militari russi di occupare l’aeroporto di Pristina prima dell’arrivo delle truppe NAto,
fallì sciaguratamente. La Federazione
Russa, poi, si disimpegnò militarmente dal
Kosovo; inoltre, essa si esentò praticamente dal risolvere in modo pragmatico il problema del Kosovo e dall’appoggiare l’intransigenza della parte serba. i Russi, tuttavia, sfruttarono l’occasione per riguadagnare la loro influenza politica in Serbia e
per mettere sotto controllo russo il settore
dell’energia in Serbia. La dipendenza della Serbia dall’appoggio russo nel Consiglio di Sicurezza dell’oNU è stata usata
come leva per impedire troppo strette relazioni serbe con potenze occidentali, particolarmente con gli Stati Uniti d’America e
con la NAto.
Dal 1998-1999 la questione del Kosovo
ha spaccato la comunità internazionale, tagliandola secondo la divisione Est-ovest.
Essa pose una seria minaccia alla coesione
politica interna della NAto e peggiorò le
relazioni della NAto e dei singoli Paesi
appartenenti alla NAto con la Federazione Russa. L’Alleanza poté allora attenuare
le differenze fra i suoi membri, raggiungere il consenso riguardante l’azione militaRivista Marittima-Gennaio/Febbraio 2011
re contro la FRY e il conseguente schieramento della KFoR. La comunità internazionale ha aiutato notevolmente il Kosovo
e spende annualmente circa due miliardi di
Euro. Però, solo una parte dei fondi internazionali fluisce direttamente nell’economia del Kosovo, poiché la maggior parte
di tali fondi viene spesa per fornire sicurezza e mantenere il personale internazionale. L’efficacia dell’assistenza internazionale potrebbe certamente essere migliorata, attraverso uno snellimento del sistema,
ottenendo più chiare autorizzazioni di attori internazionali e raggiungendo un migliore coordinamento regionale.
otto anni dopo la creazione del protettorato, il problema del Kosovo divise di
nuovo le Nazioni che compongono l’Unione Europea e la NAto. Nel 2007, una forte maggioranza di membri della NAto e
dell’UE accettò le raccomandazioni dell’ex presidente finlandese Martii Ahtisaari,
che erano sostenute dal Segretario Generale dell’oNU, Ban Ki-moon. La proposta,
che consisteva nella limitazione della sovranità del Kosovo, combinata con il decentramento e la forte protezione delle minoranze, venne considerata, dalle potenze
occidentali importanti e dai maggiori contribuenti della KFoR, come minimo, la
meno sfavorevole, fra le alternative disponibili. Successivamente, ventidue Stati
membri della NAto e dell’UE riconobbero l’indipendenza del Kosovo. Una minoranza tra detti membri — in particolare la
Grecia, Cipro, la Spagna, la Slovacchia e
la Romania — seguirono, per motivi propri, la posizione di rifiuto della Serbia. il
disaccordo fra i componenti dell’UE su
questa questione, nel 2008, fu più profondo della discordia fra gli appartenenti alla
Comunità Economica Europea (CEE), nel
1991, circa il riconoscimento dell’indipendenza della Croazia e della Slovenia. Que29
il Kosovo un problema internazionale
sto paragone non fece apprezzare, nel
2008, la coerenza della Politica Estera e di
Sicurezza Comune dell’Unione Europea,
quindici anni dopo che essa era stata lanciata, nel novembre 1993.
il Kosovo, per decenni, ha rappresentato solo uno dei numerosi conflitti politici
nel mondo, strettamente collegati a divisioni fra gli Stati di carattere etnico, nazionale, linguistico, culturale e religioso. Soltanto nell’area euro-atlantica, la loro geografia abbraccia il Quebec, la Groenlandia,
la Scozia, l’irlanda del Nord, la Catalogna
e i Paesi baschi in Spagna, la Fiandra in
Belgio, la Corsica in Francia, la Slovacchia, l’Estonia, l’Ucraina occidentale, la
Bosnia e l’Erzegovina, la Macedonia occidentale, la Moldavia orientale, la Russia
meridionale e Cipro. inoltre, in Asia, luoghi con dispute simili si estendono dalla
Palestina all’iraq settentrionale e, quindi,
al tibet, a taiwan, allo Sri-Lanka, alle Filippine e all’indonesia. il numero totale
dei problemi che minacciano la stabilità
interna di molti Stati multietnici e multireligiosi in Africa è anche alto. Ciascuno di
questi casi è stato trattato o, più spesso, osservato e diffuso dalla comunità internazionale. in passato, molti conflitti di questa natura sono stati risolti con riuscite secessioni, accompagnate da proclamazioni
unilaterali o altri simili gesti o atti simbolici. Fra i popoli che si sono separati da
Stati e imperi più grandi possono essere
annoverati i Serbi e, prima e dopo di loro,
gli Svizzeri, i Russi, i Portoghesi, i Nordamericani, i Sudamericani, i Belgi, i Cechi
e gli Slovacchi, i Polacchi, i Finlandesi, gli
Estoni, i Lettoni, i Lituani, gli indonesiani,
i Vietnamiti, gli Sloveni, i Croati, e altri.
inoltre, dalla fine della «Guerra Fredda»,
vi sono stati una ventina di cambiamenti di
confini internazionalmente riconosciuti
nell’area euro-atlantica, in massima parte
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senza l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza dell’oNU. Ciascuno di questi
cambiamenti — in Germania, nella ex iugoslavia, in Cecoslovacchia e nell’Unione
Sovietica — fece il suo corso. Perciò, la
soluzione del problema del Kosovo, sotto
un certo numero di aspetti sui generis, non
deve essere replicata altrove. Da questo
punto di vista, non era assolutamente necessario che la Federazione Russa citasse
il riconoscimento del Kosovo da parte dell’occidente come giustificazione per il suo
riconoscimento dell’indipendenza dell’Abkazia e dell’ossezia meridionale. in
questi tre eventi, simili tra loro per molti
aspetti, diversi stati componenti della NAto e dell’UE e la Federazione Russa non
usarono un unico criterio, quando onorarono il diritto all’autodeterminazione in un
caso e non ne tennero conto in altri.
Durante parecchi periodi del passato, gli
italiani e l’italia hanno giocato un ruolo
importante, o anche essenziale, nel Kosovo, o relativamente a esso. Alla storica battaglia per il Kosovo, nel giugno del 1389,
i balestrieri mercenari della Repubblica di
Genova contribuirono considerevolmente
alla vittoria ottomana, che alla fine decretò
il destino del Kosovo per i successivi quattro secoli e mezzo. Fin dalla sua unità
(1861), l’italia, come potenza europea
geograficamente vicina al Kosovo e ancora più vicina sotto molti aspetti all’Albania, è stata comprensibilmente interessata
e coinvolta negli affari balcanici; il suo
ruolo, però, è cambiato radicalmente nel
tempo. Nel 1912-1913 il Regno d’italia
cooperò strettamente con l’Austria-Ungheria, poi con i suoi alleati nella triplice
intesa (inghilterra, Francia e Russia) obbligò la Serbia a ritirare le sue truppe dal
nord dell’Albania. insieme ad altre potenze europee che parteciparono alla Conferenza di Londra del luglio 1913, l’italia,
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il Kosovo un problema internazionale
tuttavia, diede il suo consenso alla spartizione fra diversi stati confinanti delle terre
con maggioranza di popolazione albanese
e all’occupazione del Kosovo da parte della Serbia. Questa decisione, confermata
nel 1921, separò il destino del Kosovo da
quello dell’Albania. Nell’aprile 1941, l’italia, con Benito Mussolini capo del governo, unitamente al terzo Reich, all’Ungheria e alla Bulgaria, attaccò, sconfisse,
occupò e si spartì il Regno di iugoslavia.
La zona di occupazione italiana comprese
per due anni e mezzo, tra l’altro, la maggior parte del Kosovo, dove le truppe italiane venivano acclamate come liberatrici.
il territorio del Kosovo venne allora incorporato nel «Regno di Albania», che aveva
come capo dello Stato il Re d’italia. La
riunificazione del Kosovo con l’Albania fu
accolta calorosamente dalla maggioranza
dei Kosovari albanesi, i quali preferivano
l’occupazione italiana, anche se sotto il fascismo, al precedente governo serboslavo.
Questo fatto spiega la resistenza in Kosovo, praticamente inesistente.
Durante l’operazione Allied Force nel
1999, l’italia ha ospitato e appoggiato sul
suo territorio centinaia di aerei alleati.
L’Aeronautica e la Marina italiana hanno
partecipato alla campagna militare della
NAto contro la FRY con 50 aerei da combattimento, tra cui gli «AV-8B» del Giu-
seppe Garibali. L’italia, successivamente,
si è unita agli Stati Uniti, alla Gran Bretagna, alla Francia e alla Germania e ad altre
Nazioni nella forza di stabilizzazione in
Kosovo, la KFoR. Da allora, gli italiani,
esecutori del mantenimento della pace, sono responsabili della sicurezza nel Kosovo
occidentale. il Comando del Contingente
italiano è situato nel «Villaggio italiano»,
nei pressi di Peć. Migliaia di ufficiali, sottufficiali e soldati italiani dal 1999 hanno
prestato servizio in Kosovo; l’italia ha anche contribuito con circa 700 carabinieri ai
reparti multinazionali specializzati della
KFoR e, dal 2008, anche all’EULEX. L’italia è stata membro importante del Gruppo di Contatto per il Kosovo e un diplomatico italiano, l’ambasciatore Lamberto
zannier, presta servizio oggi come Rappresentante Speciale del Segretario Generale dell’oNU e Capo dell’UNMiK.
Dodici anni dopo la sua riemersione
nella politica internazionale, il Kosovo rimane un problema controverso. Esso richiede attenzione e assistenza da parte della comunità internazionale, per fare in modo che i suoi sforzi di pacificazione, in atto dal 1992 nei Balcani occidentali, contribuiscano alla causa della libera, democratica e prospera Europa, alla quale tutti i
Paesi balcanici, compreso il Kosovo, legittimamente appartengono.
n
Esclusivo per la RiViStA MARittiMA;
traduzione dall’inglese di Franceso PASCAzio.
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