Gli effetti del terrorismo islamico

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Panorama Internazionale
Gli effetti del terrorismo islamico
nelle dinamiche sociali del Kosovo:
l’esperienza dell’European Union Monitoring Mission
Toni Caporrella
M
ettendo a frutto l’esperienza maturata durante la
partecipazione alla Missione diplomatica dell’Unione Europea - European Union Monitoring Mission
- (EUMM) e utilizzando metodi mutuati dall’analisi delle organizzazioni sociali, ovvero la tecnica di ricerca qualitativa
di esplorazione della realtà sociale mediante l’osservazione
partecipante, si vuole analizzare una delle probabili cause in
cui si manifesta il terrorismo fondamentalista islamico in Kosovo e la sua rete economica illegale. La missione diplomatica europea di monitoraggio fu istituita, inizialmente, con la
denominazione di European Community Monitoring Mission
(ECMM), dalla Comunità Europea in seguito agli accordi di
Brioni del 7 luglio 1991. Dal 1° gennaio 2001, la missione
fu quindi rinominata EUMM, con il fine di rappresentare lo
strumento di Politica Estera e di Sicurezza dell’Unione Europea nei Balcani. La missione, alle dipendenze del Consiglio
dell’Unione Europea, operava attraverso il Segretario Generale/Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC) dell’Unione Europea. La sede principale
venne istituita a Sarajevo ed altre sedi regionali furono dislocate, a seguito del progressivo sgretolamento della Jugoslavia, in Croazia, Serbia, Montenegro, Kosovo e FYROM. La
EUMM si poneva il compito di monitorare gli sviluppi politici,
di sicurezza nonché le problematiche inter-etniche e di ritorno dei rifugiati nell’area di responsabilità. Un ulteriore compito
era costituito dal contributo al sistema di early warning e alla
confidence building nel contesto della politica di stabilizza-
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zione dell’Unione Europea nella regione. Per la sua stessa
natura la EUMM non era legata alla gestione delle crisi, ma
coordinava la propria attività con i Comandi NATO presenti
sul territorio nonché con i Capi Missione delle più importanti
Organizzazioni Internazionali quali UN ed OSCE.
Ma come nasce il terrorismo fondamentalista islamico?
Il terrorismo originato dai movimenti integralisti sembra essere diventato negli anni recenti il nemico giurato della stabilità
socio-politica di diversi paesi e, in concreto, si è manifestato
come un pericolo estremo incombente sulla società civile
delle nazioni. Oggi non v’è paese che non sia stato toccato o
minacciato dall’aggressione terroristica; non c’è persona che
non senta il pericolo incombente della minaccia confermata
periodicamente da attentati sanguinosi; ma in generale come
si potrebbe definire tale minaccia? L’atto di terrorismo può
essere inteso come un’azione violenta, politicamente motivata, volta a colpire obiettivi di valore simbolico e destinata
ad intimidire parte della popolazione. In generale, la violenza
scaturita dal terrorismo sarebbe causata dalla scarsità di beni
desiderabili che un dato sistema di valori percepisce come
fondamentali. Le incompatibilità degli obiettivi, la scarsità delle risorse a disposizione e le issues in gioco nella violenza,
possono essere classificate in quattro diverse tipologie:
1) Controllo sulle risorse. Le risorse possono essere beni materiali o a disposizione, divisibili come nel caso del de-
naro o non divisibili, come la carica di un rappresentante istituzionale;
2) Valori o sistemi di valori. Questi tipi di violenza si incon-
trano in forma mista, ad esempio i sistemi di valori posso
no fungere da giustificazione ideologica per conflitti e vio-
lenze che in realtà vertono sul controllo delle risorse;
3) Sopravvivenza. Riferita ad uno degli attori, sia in senso fisico, sia per attori collettivi, in termini di organizzazione sociale; si pensi, ad esempio, alla guerra totale condotta dalla Germania nazista e ai diversi genocidi accaduti nel XX secolo;
4) Credenze. Se il conflitto sui valori verte sul “dover esse-
re”, nel conflitto sulle credenze l’incompatibilità si basa su come è la realtà, o meglio, sulle assunzioni in base alle quali le parti la interpretano.
Per giungere alla spiegazione dei conflitti nelle società contemporanee ed in particolare del terrorismo fondamentalista
islamico, viene analizzato l’assunto teorico che parte dalla
considerazione per cui i desideri umani, senza la mediazione di un potere comune e socialmente condiviso, possono
degenerare in violenza. Ciò è stato ampiamente trattato negli
studi sociologici e antropologici della tradizione sociologica di
matrice durkheimiana nei termini della nozione di “anomia”.
Il sociologo francese Emile Durkheim afferma che ciò che
caratterizza il fenomeno sociale in senso proprio sarebbe la
coscienza collettiva, emergente dai contatti e dai contrasti di
quelle individuali. Proponendo il termine di anomia, con il significato di frattura delle regole sociali che in una società conduce un certo numero di soggetti a comportamenti devianti,
Durkheim ritiene che le cause dell’anomia sarebbero da ricercarsi nella iperstimolazione delle aspirazioni dei soggetti da
parte della società industriale cui corrisponde, in assenza di
mezzi legittimi per conseguirle, una rottura delle norme sociali.
Modelli di vita tipici della società occidentale, discrepanza fra
fini e mezzi, assenza di strumenti per raggiungerli, ci fanno
riflettere sul fatto che alcune società islamiche, come quella del Kosovo ad esempio, non riescano ad adeguarsi. Tali
inadeguatezze indurrebbero i propri appartenenti a compiere
atti di terrorismo. Utilizzando come principale fonte di tale assunto il Rapporto delle Nazioni Unite del 2002 sullo sviluppo
umano nei paesi a maggioranza islamica, si evince che la
crescita complessiva di tali paesi risulta inferiore ad altre regioni in via di sviluppo quali quelle dell’Asia orientale e quelle
dell’America latina e caraibica. Ciò si desume dall’esame di
alcuni indicatori di sviluppo umano scelti dagli estensori del
Rapporto: un reddito pro-capite, un livello di alfabetizzazione
ed una speranza di vita alla nascita inferiore a quella delle
due regioni sopra menzionate. L’adozione dell’assunto teori-
co di Durkheim, in tema di anomia, si confermerebbe dunque
idoneo a chiarire il fenomeno del terrorismo fondamentalista
islamico con la discrepanza complessiva tra la povertà percepita e l’opulenza degli Stati ricchi. L’indice di sviluppo umano
(Human Development Index), utilizzato nel rapporto, si riferisce al benessere umano non limitato alle dimensioni materiali
o puramente economiche, ma comprensivo del processo di
allargamento delle scelte. La scala dell’indice è espressa in
millesimi decrescenti da 1 a 0 e si suddivide in nazioni ad alto
sviluppo umano (indice compreso tra 1 e 0,800 colore blu),
nazioni a medio sviluppo (indice compreso tra 0,799 e 0,500
colore giallo), nazioni a basso sviluppo (indice compreso tra
0,499 e 0 colore rosso) e il Kosovo è inserito tra i paesi con un
indice di colore rosso.
Il fondamentalismo islamico in Kosovo
Sin dagli inizi della Guerra Fredda, alcune super potenze
avevano sviluppato delle complesse relazioni con gruppi armati/rivoluzionari localizzati in diverse regioni e quadranti del
globo terrestre, contribuendo alla loro autonomia finanziaria,
anche per mezzo di traffici illeciti. Il denaro illegale che ne
derivava, una volta riciclato nel sistema bancario internazionale, veniva poi utilizzato per finanziare operazioni segrete.
In riferimento ai Balcani, secondo indiscrezioni avute da diversi confidenti albanesi/kosovari e serbi/kosovari, uno dei
piani congiunti messi a punto da alcuni Paesi occidentali,
negli anni ’90, sembra essere stato quello di supportare i
movimenti nazionalisti di liberazione della Bosnia e del Kosovo, con l’obiettivo finale di destabilizzare la Jugoslavia.
Quest’ultimo obiettivo fu anche portato avanti fingendo di non
conoscere l’entità del supporto logistico e finanziario dato ai
mercenari Mujahideen, che si unirono all’esercito di liberazione del Kosovo denominato UCK, finanziati da organizzazioni
del fondamentalismo islamico. La continua ed inesorabile
destabilizzazione del Caucaso ed il ruolo emergente della
Cecenia, quale roccaforte antirussa, sono stati fattori cruciali
della rivolta di gruppi fondamentalisti islamici che erano, nel
frattempo, riusciti a sviluppare forti legami con gruppi del crimine presenti nei Balcani, un particolare riferimento a quello
kosovaro albanese dell’UCK. Nei confusi mesi fra la metà del
1997 e l’inizio del 1998, caratterizzati dal collasso istituzionaSotto, un check point di KFOR;
in apertura: festeggiamenti per l’indipendenza
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le dell’Albania e dall’infittirsi di traffici di armi e di droga che
attraversavano i porosi confini albanesi e macedoni, sorsero
sulla scena Balcanica le prime infiltrazioni islamiche di varia
matrice Mujahideen (sciite-iraniane e vicine al wahabismo),
le quali cercando di cavalcare il crescente malcontento albanese/kosovaro, offrivano risorse per la diffusione di culture di
stampo pan-islamico. Il Kosovo, a parte la minoranza serba
e poche sacche di cattolici romani, è completamente musulmano, ma decisamente poco praticante. Questo non ha
evitato che diversi wahabiti, per lo più laureati provenienti dalle università straniere islamiche, giungessero nella regione
attraverso organizzazioni umanitarie, radicando così la loro
presenza in tutta la regione. L’eliminazione delle impalcature
politico-culturali ed economiche, imposte dai regimi di tipo
socialista, avrebbe portato allo scoperto problemi che si supponeva appartenessero al passato. La condizione di diffusa
illegalità favorì il crollo dell’economia locale e la disoccupazione in Kosovo raggiunse l’impressionante tasso del 70%.
La guerra, il degrado culturale ed il declino economico avrebbero spinto certe comunità dell’area Balcanica ad avvicinarsi
al fondamentalismo islamico. In quanto risposta all’anomia,
la povertà ed il collasso economico servirono ad esacerbare
le tensioni etniche in ebollizione già da diversi anni. Si ritiene
che all’interno di questo contesto, delle sue crepe religiose,
politiche, intellettuali ed economiche molti fondamentalisti
islamici avrebbero scelto come base logistica la regione Balcanica. Il mercato del lavoro, i campus, le moschee, le scuole
coraniche ed altri luoghi di aggregazione sociale, avrebbero
fornito le risorse umane attraverso un processo di selezione,
formazione e lotta al servizio della jihad. Infatti, la jihad moderna nei Balcani riunisce un’ideologia rivoluzionaria, ossia
la ricerca di un’identità musulmana e aspirazioni di riscatto
sociale ed economico. Accanto a tali gruppi armati, vi sono
anche fondazioni, ufficialmente impegnate in attività umanitarie, assistenza sanitaria e istruzione, come riportato dai documenti in possesso dell’UNMIK, che sarebbero sospettate di
utilizzare le proprie strutture per fornire supporto logistico alle
formazioni integraliste islamiche. La pervasiva opera delle
Organizzazioni Non Governative (NGO) sarebbe stata orientata piuttosto a creare le condizioni migliori per una maggiore
adesione all’Islam più osservante, ponendo quali catalizzatori
religiosi quelli più integralisti. Il Kosovo, infatti, ha visto un ricostituirsi delle identità etniche e religiose musulmane nel corso
degli ultimi quindici anni. Alcuni rappresentanti della comunità
islamica di Pristina hanno più volte espresso pubblicamente
dure critiche nei confronti dei propri corregionali musulmani,
colpevoli di non professare compiutamente l’Islam da veri
credenti e di essersi assimilati troppo ai loro vicini cristiani.
Accanto al suddetto profilo critico emerge anche un impegno
più pragmatico ed operativo ad opera di alcuni rappresentanti islamici. Infatti è emerso che nella parte est della regione
del Kosovo, attualmente area di responsabilità del Comando
multinazionale della NATO a guida italiana, sarebbero stati
costituiti campi di addestramento e d’indottrinamento di integralisti islamici albanesi, libici, turchi ed algerini (in particolare
nelle aree di confine tra Dakovica, Pec, Kukes e Tropoje).
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Pertanto, dall’insieme delle situazioni rappresentate si può
facilmente dedurre la necessità di prevenire un’eventuale
spiralizzazione delle presenze riconducibili all’integralismo
islamico e rilevare possibili interazioni tra la criminalità ed il
terrorismo, capaci di creare un’inedita e pericolosa sponda ai
“vettori” terroristici proprio nel cuore dell’Europa. Il principale
quotidiano del Kosovo, Koha Ditore, ha scritto nel Novembre
2006 che “il fenomeno del wahabismo ha assunto proporzioni grandi ed allarmanti in tutte le terre albanesi e in particolare in Kosovo”, condannando i recenti atti di vandalismo
e di profanazione di tombe, mirati a cancellare le iscrizioni di
nomi e le immagini fotografiche, pratiche religiose contrarie
alla dottrina wahabita. La religione è divenuta un’ideologia,
lo strumento per reclutare le masse che vivono un’esistenza
di stenti a causa della disoccupazione e dell’incertezza sul
futuro del neo costituito Stato del Kosovo. La rabbia scatenata dal terrorismo islamico in Kosovo esprimerebbe solo
un fenomeno di manipolazione della religione, di velleitario
protagonismo storico e non una proposta politica e culturale
maturata in un credibile ritorno al sacro.
Economia, religione e terrore
Con la fine della Guerra Fredda, l’intera regione dell’Asia centrale è divenuta strategica non solo per le sue grandi riserve
petrolifere, ma, soprattutto, per la produzione dei tre quarti
dell’oppio mondiale. In tale contesto, gli eserciti ribelli ceceni
e talebani guidati da comandanti Mujahideen, avevano anche l’incarico di salvaguardare il traffico del Golden Crescent
attraverso l’International Islamic Relief Organisation: un’organizzazione religiosa militante con base in Arabia Saudita
e presente in modo capillare in Kosovo. Questa organizzazione sarebbe finanziata da moschee e magnati musulmani
ed il traffico del Golden Crescent è stato usato per finanziare
ed equipaggiare l’esercito musulmano bosniaco a partire
dai primi anni ’90 e l’UCK, nel quale i mercenari Mujahideen
combatterono in Kosovo e in FYROM successivamente. È
da evidenziare che le banche islamiche applicano la zakat
su qualsiasi contratto o transazione, pari al 2% del patrimonio personale, versata successivamente ad organizzazioni
filantropiche islamiche. Queste somme non sono registrate
in bilancio e quindi non sono rintracciabili in quanto tutte le
registrazioni contabili vanno distrutte appena completate
le operazioni bancarie. Se ne deduce che la pratica della
zakat versata ad enti di beneficenza sarebbe solo uno dei
tanti stratagemmi utilizzati per finanziare i gruppi del terrore.
Alcuni Paesi della penisola arabica sembrerebbero donare
alle organizzazioni presenti in Kosovo circa dieci milioni di
dollari l’anno. Diversi analisti avrebbero valutato che i flussi
di denaro, dall’Arabia Saudita per il Kosovo ad esempio, corrispondono a una cifra oscillante fra il 2% e il 4% per cento
dell’insieme delle transazioni con il resto del mondo. Alcune
di queste vengono condotte secondo il sistema dell’hawala.
Utilizzando un codice alfabetico si permette al beneficiario
di incassare il denaro da un fiduciario dell’operatore dell’hawala d’origine. Il sistema funziona ventiquattro ore al giorno
per sette giorni alla settimana, spesso basta una telefona-
A lato: Addestramento controllo della folla
con la Kosovo Police; Sotto, una compagnia di
danza locale
ta o un telex affinché i soldi arrivino a
destinazione senza alcun bisogno di
presentare un documento di identità, le
commissioni sono più basse ed il servizio è più rapido. Per mezzo di questo
sistema il contante sarebbe depositato
in un paese e incassato in un altro e tutti
i dati contabili andrebbero distrutti a transazione conclusa.
Introdotto in origine dai cinesi, che lo chiamavano fei qian
(moneta volante), il sistema fu adottato dai mercanti arabi per
sottrarsi alle rapine lungo la Via della Seta e conobbe nuova
popolarità negli anni Sessanta e Settanta del XX secolo con
l’ondata di emigrazione dai paesi in via di sviluppo. Questo
sistema sembra essere l’ordinaria prassi per finanziare organizzazioni filantropiche islamiche di diversi paesi, fra cui la
Bosnia, il Kosovo e l’Albania, il cui compito principale è tutt’altro che filantropico, i gruppi criminali ne sfruttano le potenzialità al fine di reclutare e finanziare i combattenti Mujahideen.
La secessione del Kosovo dalla Serbia, proclamata dall’assemblea parlamentare di Pristina il 17 febbraio 2008, ha ingenerato da subito un importante dibattito tra giuristi, esperti
di strategia e diplomatici in merito alle conseguenze che siffatto evento produrrà in futuro nelle relazioni internazionali.
Inoltre, la mancanza dell’esercizio del potere di imperio del
governo di Pristina lascia spazio a tutte quelle attività illegali sopra descritte: la mancanza di una sicurezza dei confini
(per ora affidata alla missione KFOR), la mancanza di una
reale e risoluta amministrazione interna (affidata ad UNMIK)
ed infine la mancanza di una sicurezza interna, la cui gestione dovrebbe essere affidata alla nascente missione EULEX,
pongono il neo Stato del Kosovo in estrema difficoltà per la
creazione di un paese multietnico e multiconfessionale. Lo
stallo economico, una bassissima crescita economica (secondo dati statistici del Governo di Pristina l’ammontare delle
importazioni e delle esportazioni a febbraio del 2008 sono
pari rispettivamente a 127.5 e 14.1 milioni di euro), un grado di disoccupazione pari al 46% e la crescente corruzione
minano l’emergere di una classe politica matura ed il conseguente sviluppo di una società tollerante e democratica. A
tutto ciò va aggiunto il fatto che il Kosovo, ad oggi, risulta de
facto ulteriormente diviso, a nord del fiume Ibar, da una maggioranza serba sempre più legata a Belgrado. Durante uno
degli incontri con il presidente della comunità islamica del Kosovo, Mufti Naim Ternava, fu detto che “Non c’è pace senza
pace religiosa, non c’è pace tra le religioni senza dialogo tra
le religioni”. Da quelle parole si possono trarre interessanti
valutazioni: la lotta al terrorismo non è altro che una drammatica contingenza che impone una presenza più vivace,
più attenta e innovativa della società civile. Se ci si limita ad
affrontare i temi internazionali in occasione di guerre o attentati, si giungerà sempre troppo tardi a formulare una dialettica articolata sui nuovi problemi e le nuove possibili risposte.
La peculiarità offerta dalla missione diplomatica dell’Unione
Europea, di agire in modo imparziale ed incisivo sul tessuto
sociale, ai fini informativi, ha messo in evidenza che il terrorismo islamista in Kosovo ha una funzione prevalentemente
di carattere logistico, transito di uomini, risorse e materiali da
destinare successivamente in Europa. Un metodo vincente
per prevenire e rimuovere questo fenomeno alle sue radici,
almeno per quanto riguarda i Balcani, potrebbe essere quello di indirizzare possibili strategie di intelligence, secondo tre
temi principali: i fini, i mezzi ed i valori. Per quanto riguarda
i fini, sarebbe necessario richiamare l’attenzione sulle contraddizioni di un Islam dato per unitario nonostante il suo pluralismo etnico e statuale, all’assenza di un progetto politico
preciso, ragionevole e contestualizzato. Per quanto riguarda
i mezzi urge una risposta al profilarsi storico di nuove forme di
condotta dei conflitti armati, che premono su nuove frontiere
dello jus ad bellum e dello jus in bello. Ciò porterà alla revisione, da un lato, delle convenzioni internazionali e dall’altro,
delle tecniche militari idonee a fronteggiare il terrorismo. Il
mutamento giuridico e militare è in linea con una tradizione
etica ed umanitaria oggi più che mai attuale a fronte dell’impiego possibile di armi di distruzione di massa. Per quanto
riguarda i valori sarebbe opportuno che la Comunità Internazionale accettasse nuove responsabilità per una convivenza
internazionale pacifica, promuovendo maggiore giustizia ed
equità, facendo leva sui valori universali capaci di fondere
le differenze sociali. Senza nessuna pretesa di verità, senza
esprimere giudizi di alcun genere, certo è che ci troviamo di
fronte non tanto ad uno scontro di civiltà, come descritto da
S. Huntington, quanto tra civiltà ed inciviltà e diversi livelli di
sviluppo economico, culturale e sociale. n
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