La crisi dell`Eurozona: La riduzione del debito pubblico come

La crisi dell'Eurozona:
La riduzione del debito pubblico come sua causa ultima.
Contributo al quadro.
La Crisi dell’Eurozona: sperpero della finanza pubblica o movimento di capitali come cause
ultime
Andrea Terzi
Franklin University Switzerland
and Department of Economics
and Finance Catholic University, Milano
Estratto
Questo documento propone una diversa interpretazione della crisi dell’Eurozona nell'individuare
la sua causa "principale" nelle politiche europee che hanno compresso il risparmio privato verso
un livello eccessivamente basso. Né lo sperpero delle casse pubbliche, né i movimenti di capitale
da soli costituirebbero infatti la causa "determinante" del fallimento politico e istituzionale
dell’Eurozona che ostacola la crescita della produzione e dell'occupazione. La crisi del debito
sovrano e la fuga di capitali dal 2010-12 sono stati innescati dalla posizione vulnerabile dei
governi regionali al cambio fisso dell'unione monetaria, e di un sistema bancario frammentato
senza assicurazione e garanzia dei depositi. Se da qui in avanti i paesi membri dovessero
rispettare pedissequamente tutte le attuali regole macroeconomiche e di bilancio comunitarie,
non si ripristinerebbe mai più una vera crescita, né si darebbe luogo alla creazione di posti di
lavoro. Dunque, la causa principale di resistenza economica nell’Eurozona deve essere cercata
all'interno di queste stesse regole.
Il saggio vorrebbe dunque offrire, prima di tutto, una revisione critica della nozione di risparmio
rispetto alla teoria ortodossa che lo descrive come l'origine di fondi disponibili per
l'investimento. Si ritiene che in un’economia monetaria il risparmio finanziario può essere
depositato solo nella forma di un credito, e si realizza attraverso l'azione di un soggetto
diametralmente opposta alle azioni prese da altri soggetti. Ciò significa che l'azione che produce
un risparmio finanziario richiede fondi, e deve quindi essere associato ad una corrispondente
azione di un altro soggetto, il quale, viceversa, emette un debito. In altre parole: i risparmi non
finanziano. Altresì, hanno bisogno di essere finanziati.
Si elabora, poi, sulla base di un modello semplice ("T-shirt") la creazione di lavoro nel settore
privato di un'economia monetaria, nella quale si tratta sia della funzione dello stock lordo di
risparmio privato, sia di quello corrente che programmato. Quando il risparmio è in eccesso
rispetto alla quantità prevista, i privati che spendono creano posti di lavoro; viceversa, quando
sono a corto di risparmi rispetto all'importo programmato, i privati che spendono distruggono
posti di lavoro. Assumendo il risparmio come un dato di fatto, e poiché l'ultima fonte di
risparmio è il debito, allora qualsiasi politica che inibisce la formazione del debito ostacola anche
la formazione di risparmio e dunque riduce, in generale, posti di lavoro. Se il debito (privato,
pubblico, o straniero) è il combustibile finale per la spesa, allora le regole dell'Eurozona che
Fonte: https://ineteconomics.org/uploads/papers/INET-2015-TERZI-f.pdf
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mettono un tetto sul debito pubblico inibiscono una delle principali fonti di risparmio. Le
differenze di equilibri finanziari dei soggetti economici sono la condizione normale di
un'economia monetaria, e la politica fiscale dovrebbe sostenere tali differenze per il
raggiungimento dei suoi obiettivi, senza, viceversa, costringere l'economia ad una riduzione di
tali differenze che vengono trattate come degli "squilibri". Le regole fiscali attuali lasciano
l’Eurozona solo con due alternative fragili e rischiose: l'aumento di maggiore debito privato,
oppure quello di un costante aumento delle esportazione nette.
INET Annual Conference
New Economic Thinking: Liberte, Egalite, Fragilite
Paris, 8-11 April 2015
I. Introduzione
Come si fa a “stimolare un nuovo pensiero economico", come ne sono convinti ad esempio i
sostenitori della INET (Ineteconomics)? Nelle scienze sociali è spesso una buona idea
cominciare un nuovo percorso di studio partendo dalla rivisitazione dalle esperienze passate.
Questo è particolarmente indicato nel campo dell'economia, dove i modelli che si consolidano e
diventano ‘ortodossi’ non offrono sempre “le risposte più appropriate” della nostra epoca. Di
fronte a ciò che l'INET definisce ‘le carenze delle teorie economiche attuali e obsolete’,
dobbiamo prima rivedere le idee precedenti che sono state dimenticate oppure fraintese. Lo
sviluppo di una nuova scuola economica che ‘vuole cimentarsi nelle sfide del 21 ° secolo’ deve
basarsi, prima di tutto infatti, sulla storia del pensiero economico. Purtroppo oggi giorno, al
contrario, questo metodo è sempre meno praticato a causa anche del fatto che la storia economica
è stata declassata ad un corso facoltativo nel curriculum universitario nelle facoltà di economia.
Il contributo della INET, che offre anche questa presentazione, fa invece continuo riferimento a
quella, e si ispira infatti a due maestri classici dell'economia: Adam Smith e John Maynard
Keynes, i quali insieme offrono una chiave di lettura dell’attuale crisi dell'Eurozona:
1. Da Smith prenderò una nozione che è così raffinata e concisa, espressa fin dalla prima pagina,
e che poi continua per tutti e cinque i libri della Ricchezza delle nazioni [6]: secondo cui: "la
prosperità di una nazione è la sua capacità di fornire ai suoi membri ‘beni e servizi indispensabili
alla vita". Smith ci insegna che l'obiettivo di una nazione, e lo scopo della sua economia politica,
è l'accesso al prodotto del lavoro, sia che si ottiene a livello nazionale, oppure da altri, in cambio
delle nostre esportazioni. Secondo Smith le persone vogliono acquisire beni reali, non monetari.
La stessa idea applicata all'Europa di oggi ci ricorda che le politiche europee dovrebbero mirare
all'obiettivo di aumentare la crescita del prodotto reale e l'occupazione, e quindi, viceversa, di
considerare le condizioni finanziarie interamente funzionali al raggiungimento di una prosperità
reale.
2. Da Keynes invece recupererò la convinzione, inerente a tutta la sua opera, per cui l'economia
monetaria funzionerebbe in modo così diverso da quello di un sistema di mero scambio, che
qualsiasi teoria, dove è assente il riconoscimento del denaro come fattore centrale nella
formazione delle decisioni dei soggetti economici, sarà insufficiente e precaria [4]. Keynes ci
informa di come i soggetti economici, che prendono decisioni in un'economia di contratti di
denaro e d'incertezza, si concentrano sui titoli finanziari e sulle aspettative dei flussi monetari.
Secondo Keynes, in un'economia monetaria, i prodotti monetari danno luogo a risultati
economici reali, e perciò l'efficacia di una gestione monetaria diventa una condizione essenziale
per evitare intoppi finanziari che, in ultima istanza, influenzano il benessere legato anche alla
produzione reale. Sebbene sembrino partire da due presupposti apparentemente opposti, questi
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due punti di vista sono in realtà strettamente complementari, più di quanto si creda. Smith ci sta
infatti mettendo in guardia dagli obiettivi finanziari nominali, solamente monetari; mentre
Keynes ci sta avvisando che, nel perseguire gli obiettivi di Smith, si debba tuttavia considerare
come le dinamiche del sistema siano organizzate da considerazioni e aspettative sia monetarie,
sia finanziarie. Smith descrive come il volume dei beni reali è ciò che conta veramente, ma è
anche consapevole del fatto che il denaro costituisca più in generale ‘la grande ruota che
permette la circolazione dei beni’: non è la nostra ricchezza, ma rende la produzione di ricchezza
reale possibile. Keynes, d'altro canto, ci sta dicendo che le variabili monetarie e finanziarie
influenzano le nostre scelte ma, allo stesso tempo, è anche consapevole del fatto che il benessere
di beni reali dovrebbe essere lo scopo pubblico ultimo delle nazioni. Smith mette in chiaro quale
dovrebbe essere l'obiettivo della politica. Keynes chiarisce quali dovrebbero essere gli strumenti
utilizzati per raggiungere tale obiettivo.
Quando consideriamo le teorie economiche ortodosse, che nella nostra epoca vanno ormai per la
maggiore, le troviamo spesso sbilanciate verso una prospettiva secondo cui gli agenti economici
si preoccuperebbero limitatamente ai costi e ai benefici reali. Viceversa, i beni monetari si
riducono soltanto a grandezze nominali che non cambiano il processo decisionale se non a causa
di malintesi della teoria, oppure per un abbaglio temporaneo. In altre parole, la teoria è sempre
giusta. Su questa fede, dunque, la teoria dovrebbe cogliere le relazioni fondamentali
dell'economia, dove il denaro si limita a rappresentare un comodo mezzo di pagamento che
diventerebbe la fonte di un disagio solo nella misura in cui viene mal gestito dal suo emittente.
Questo è attualmente il modello dominante in macroeconomia. Di conseguenza, tutto ciò finisce
per sostenere anche l'idea secondo cui solo le riforme strutturali sarebbero in grado di aumentare
la crescita sul lungo periodo, e che non esistono scorciatoie monetarie pre raggiungere un livello
maggiore di benessere. Portando la visione di Adam Smith al suo lato estremo, si potrebbe dire
che questi modelli sono piuttosto da considerare come royalistes du roi (le regole del re).
Nell'odierno dibattito macro-politico, considerevolmente rivisto durante la crisi economica e
finanziaria globale, esiste un'altra famiglia di modelli che assume una posizione più equilibrata
tra la visione di Smith (in ultima analisi, costi e benefici reali in economia) e la visione di Keynes
(beni monetari che contano perché orientati verso le decisioni dei soggetti privati nell'ambito di
una economia monetaria, e le decisioni monetarie che influenzano i risultati reali). In effetti,
modelli di questa famiglia (come quello di Godley di [2]) si sono dimostrati più capaci di
prevedere le fragilità finanziarie che si stavano accumulando prima della crisi finanziaria del
2007; le ripercussioni sulla crescita e l'occupazione nel 2008; così come la relativa efficacia delle
politiche adottate da allora in poi, in particolare in Europa e negli Stati Uniti. Il contributo di
questo saggio rientra nella seconda tradizione: una crescita sostenibile, e sostenuta della
produzione e dei posti di lavoro, non solo richiede continui sforzi per migliorare e potenziare le
istituzioni di sviluppo compatibile, ma ha anche bisogno di condizioni monetarie che non
ostacolino i flussi di liquidità che favoriscono la crescita reale. Come mostrerò, il mix di
politiche adottato dall'Eurozona ha trovato soltanto condizioni monetarie sfavorevoli per la
crescita, ed è ancora lontano dal fornire un supporto efficace per la produzione reale e
l'occupazione. Inoltre, le riforme strutturali che l'Europa considera delle priorità per il rilancio
del processo di integrazione mercato europeo potrebbero rivelarsi insufficienti anche per
rafforzare lo stesso mercato unico.
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II. La crisi dell’Eurozona
Per prima cosa vorrei iniziare ad esaminare il titolo di questa sessione al fine di chiarire che tipo
di approccio ho in mente nel discutere l'argomento. Quando insegno tengo sempre in mente che
una sfida difficile riguardo l'apprendimento delle questioni economiche coinvolge l'uso di una
terminologia comune, di ambito quotidiano (come ad esempio il denaro, il risparmio, il reddito, e
il benessere) a cui si devono allegare definizioni precise che potrebbero essere diverse dal
linguaggio ordinario. Non di rado, tuttavia, gli economisti sono i primi a collegare definizioni
sbagliate, talvolta anche contraddittorie e incoerenti, sullo stesso termine. Perciò, prima di
procedere oltre, vorrei chiarire cosa intendo per ciascuno dei termini che compongono il titolo
della sessione. La crisi dell’euro zona è multiforme e può quindi essere inquadrata sotto diverse
prospettive. C'è una crisi del debito pubblico che si è sviluppato in seguito al crollo della Lehman
Brothers il quale scoppiò pienamente tra il 2010-11 quando i governi furono costretti ad
affrontare gli oneri finanziari divergenti dai tassi d'interesse fissati dalla Banca centrale europea
(BCE). La crisi ha in seguito raggiunto il picco nel 2012 con la BCE che annunciava di
impegnarsi nell’acquisto illimitato di titoli del debito pubblico nei mercati secondari qualora
fosse stato necessario.
E'stata una crisi causata dalla condizione delle ex nazioni sovrane che in questo momento si
ritrovano ad avere una banca centrale indipendente, cui quelle stesse nazioni, per mandato,
avevano vietato di finanziare la propria spesa pubblica. C'è stata la volontà dei paesi di voler far
ritorno ad un'unione monetaria che rispecchiava dinamiche (pre-euro) molto simili a quelle già
riscontrate nel Sistema Monetario Europeo (SME), ma con una differenza fondamentale: infatti
gli oneri finanziari dei governi sotto lo SME erano diversi, in quanto le banche centrali (di
ciascuno stato) fissavano i tassi d'interesse su livelli differenti per difendere la parità del cambio.
Ora, viceversa, i diversi oneri finanziari della zona euro rappresentano il segnale che la BCE sta
perdendo il controllo della politica monetaria in quanto non è stata più in grado di impostare un
tasso di interesse comune in tutta l'area della moneta unica. Il ‘programma di acquisto degli asset
del settore pubblico’ 2015 (PSPP) ha dovuto confrontarsi proprio con la questione della
divergenza dei diversi oneri finanziari per tutti i paesi della zona euro che vi erano entrati a far
parte proprio in base a questo criterio.
Vi è anche una crisi di convergenza, d'integrazione e di governance europea, e dell’Eurozona in
particolare. Questo, a sua volta, può essere visto da due angolazioni diverse. Si può scegliere di
sottolineare come la crisi sia dovuta alla mancanza di una governance coordinata su base
istituzionale, oppure accentuare il fatto come invece sia stato inadeguato l'intervento di ciascun
governo che si trova ad affrontare le norme comunitarie (in particolare, la procedura che riguarda
i disavanzi eccessivi e gli squilibri macroeconomici). In entrambi i casi gli sviluppi, che
prendono inizio dal 2010, sembrano riflettere la fatica di un'unione monetaria i cui paesi membri,
e le cui singole regioni, sembrano differenti sotto molti punti di vista, in particolare nelle loro
strutture economiche e istituzionali. Se il processo di convergenza e di integrazione rallenta, o si
inverte, l'Europa potrebbe essere costretta a compiere una scelta difficile: trasformarsi in una
unione che ammette manovre legate ai trasferimenti fiscali - oppure affrontare la sua
disgregazione, essendo entrambi gli unici modi per ripristinare contemporaneamente, sullo stesso
piano, il normale concorso di forze politiche, fiscali, e monetarie [3].
La crisi della governance non comporterebbe gravi conseguenze se l'Europa non fosse affetta da
un'altra crisi: una lunga e acuta crisi economica che ha creato la stagnazione e conferma la
definizione dell’Eurozona, come un peso per l'economia mondiale, con effetti negativi sul più
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ampio ruolo internazionale dell'Europa nel mondo, lontano dalla sua stabilità sostenuta durante la
guerra fredda. Un concetto globale che cattura queste diverse dimensioni di crisi è il
riconoscimento di un fallimento politico e istituzionale radicato all’interno della stessa
architettura della moneta unica. La crisi del debito, la mancanza di convergenza, e la stagnazione
economica rivelano gravi crepe in un edificio che ha avuto lo scopo di fornire, economicamente,
le condizioni per il successo di un ‘mercato unico con una sola moneta’ e, politicamente, il
progetto di aumentare l'armonia tra i popoli d'Europa. Tuttavia il progetto non ha prodotto ancora
risposte positive su nessuno dei due fronti, così come la crisi ha approfondito, se mai, le divisioni
e la diffidenza reciproca, che minaccia l'intero processo di unificazione. E' una questione diversa
se si tratta del risultato di una cattiva progettazione, o il fallimento di prendere le misure
necessarie in maniera tempestiva per rendere l'Unione economica e monetaria un motore della
prosperità. Che oggi, tuttavia, sia nell'interesse dell'Europa che la moneta unica, essendo stata
messa sotto accusa, non debba fallire, è un discorso tutto da vedere. Prima di passare alla mia
analisi delle condizioni monetarie che sarebbero necessarie per tornare ad un ritorno del
benessere, prenderò in considerazione due difetti monetari ampiamente discussi, indicati nel
titolo di questa sessione: ‘spreco della finanza pubblica’ e ‘movimento di capitale’. Anche in
questo caso, prima di procedere, mi interessa in primo luogo di chiarire questo punto.
III. ‘Lo sperpero della finanza pubblica’ come causa ultima della crisi economica.
‘Lo sperpero della finanza pubblica’ descrive comunemente la mancanza di conformità
dell’Eurozona (e della UE allargata) di paesi con regole di bilancio comuni. Sin dalla nascita
della moneta unica, diversi paesi hanno avuto deficit di bilancio di dimensioni superiori ai limiti
imposti dai vincoli europei. Finora, la Commissione europea ha avviato 33 ‘procedure per
disavanzo eccessivo’, 11 delle quali sono ancora aperte. Inoltre, quattro paesi hanno ricevuto
assistenza finanziaria previo l'impegno di attuare un ‘programma di aggiustamento economico’
disegnato dalla stessa Commissione, dalla Banca Centrale Europea (BCE), e il Fondo monetario
internazionale (FMI). Indicando nello sperpero della finanza pubblica la causa principale della
crisi dell’Eurozona si vorrebbe sottolineare che le ragioni della crisi sono riconducibili ad aree
circoscritte, le quali chiedono perciò correzioni altrettanto particolari. Ci è stato detto che l’idea
di porre fine allo sperpero dovuto ad una politica fiscale sregolata nei paesi che hanno infranto i
loro limiti, implicherebbe fare tagli di spesa discrezionali e inefficaci, così da offrire un
miglioramento nella razionalizzazione dei controlli per la riscossione delle imposte, e un
miglioramento del quadro istituzionale che stimolerebbe l'iniziativa economica. Dunque, si tratta
di questioni politiche tutte quante serie: infatti, la mancanza di controllo della qualità della spesa
pubblica, un alto grado di evasione fiscale, e la carenza di infrastrutture pubbliche che soffocano
l'attività economica, sono tutti esempi infatti di ‘negligenza della politica fiscale’ (piuttosto che
di ‘sprechi’) che, in una certa misura, e a ragione, influenzano il livello del benessere di una
nazione. Si tratta inoltre di rimedi particolarmente insidiosi in quanto rimangono piuttosto latenti
nelle statistiche dei deficit di bilancio nazionali.
Tutt’altra questione sono i deficit fiscali e quello a cui servono: la spesa netta dei governi (la loro
spesa in eccesso rispetto alle entrate fiscali) tende a fluttuare in modo coerente con i fenomeni
non discrezionali guidati dal ciclo economico. Questo vale nel caso degli USA così come anche
nell’Eurozona. Ricordate Smith? Non perdiamo di vista i veri problemi osservando le proiezioni
monetarie. La lotta per ottenere un settore pubblico più efficiente può difficilmente essere portato
avanti attraverso la strategia che pretende di ridurre il disavanzo pubblico. Deficit di grandi
dimensioni non creano, e non possono segnalare, tale presunta negligenza fiscale. La
correlazione tra il deficit di bilancio e le condizioni cicliche è un evento ben conosciuto in
Fonte: https://ineteconomics.org/uploads/papers/INET-2015-TERZI-f.pdf
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macroeconomia che i libri di testo descrivono, e che rientrano nel fenomeno anti-ciclico degli
‘stabilizzatori automatici’. Non c'è quasi più nessuno oggi che ritenga l'austerità come la risposta
più efficace ai crescenti deficit e debiti. Abbiamo scoperto (o dovrei dire riscoperto?) Che
l'austerità (in altre parole, con qualsiasi combinazione si vogliano fare, se attraverso tagli alla
spesa oppure attraverso un aumento delle tasse, oppure entrambi) rallenta ulteriormente la
crescita durante una recessione, proprio in quanto ostacola il funzionamento degli ‘stabilizzatori
automatici’, così che è più probabile fare un deficit di bilancio più grande rispetto al PIL. Se non
si può definire ‘dissoluto’ il governo di un paese il cui deficit di bilancio riflette le condizioni
cicliche, allora un governo viene definito ‘dissoluto’ nel momento in cui ha accumulato un
considerevole eccesso di debito pubblico che limita lo spazio di manovra fiscale, e ostacola il
funzionamento automatico degli stabilizzatori. In quest'ultima definizione si coglie un'accezione
perversa di ‘dissolutezza’, in quanto non è l'aumento dei deficit di bilancio, durante la crisi, che
ha rappresentato una minaccia per l’Eurozona. Quanto piuttosto, viceversa, è stato il troppo
grande debito accumulato di alcuni paesi i quali non sono stati lasciati liberi di rispondere con
manovre endogene alla recessione.
Qui, però, l'argomento sullo ‘sperpero delle politiche fiscali’ deve affrontare un'altra sfida:
mancando la prova per cui il rapporto tra debito/ PIL vada oltre la soglia oltre la quale il debito
diventa insostenibile, si può inquadrare lo ‘sperpero fiscale’ solo come una condizione dove il
debito di un determinato paese viene giudicato semplicisticamente ‘eccessivo’, in modo da
costringere quel paese all' ‘austerità’. In altre parole, una volta che il debito accumulato di un
paese viene dichiarato ‘eccessivo’, quel paese non può più permettersi di lasciare che i deficit
fluttuino insieme al ciclo economico. Per qualche tempo è stato lasciato in mano ai mercati
finanziari per decidere quali debiti, di quali paesi dell'Eurozona, erano diventati ‘insostenibili’.
Con le politiche della BCE successive al 2012, è invece la stessa normativa UE che si mette a
classificare il debito del paese ‘eccessivo’. Ma in questo modo qualsiasi paese colto in una tale
definizione perde la flessibilità fiscale per contrastare la recessione.
IV. ‘I movimenti di capitale’ come causa ultima della crisi economica.
‘I movimenti di capitale’ (o flussi di capitale) è un’espressione che si presta a interpretazioni
diverse e potenzialmente fuorvianti. Il significato intuitivo dei flussi di capitale è quella di una
porzione di capitali che, in una certa misura, si spostano da un paese all'altro. Qui sono da fare
almeno due precisazioni. In primo luogo, il termine ‘flussi di capitale’ indica le operazioni
esterne di un determinato paese che coinvolgono il capitale finanziario, come l'acquisizione da
parte di residenti all'estero di depositi bancari o di altre attività finanziarie. Ai fini di questa
introduzione, io preferirei utilizzare i termini ‘crediti finanziari trans-frontalieri’ o ‘transazioni
sul proprio conto-corrente’. La differenza con le transazioni internazionali sta nel confine
politico-territoriale che divide le parti coinvolte, così che il proprietario dei conti è un nonresidente del luogo in cui sono mantenuti i conti.
In secondo luogo, qualsiasi pretesa finanziaria trans-frontaliera proviene, sia dallo stanziamento
di un pagamento commerciale, oppure di un reddito trans-frontaliero, o da un investimento
finanziario trans-frontaliero. In quest'ultimo caso, un ‘debito’ di conto finanziario sarà sempre
accompagnato da un ‘credito’ di conto finanziario equivalente. Solo i pagamenti commerciali, o
di reddito, creano una mancata corrispondenza dei flussi finanziari, e di una voce di rete in quella
che viene chiamata la sezione di ‘conto corrente’ della bilancia dei pagamenti. Afflussi finanziari
netti (e in uscita) costituiscono una registrazione contabile di un differenziale (noto anche come
‘squilibrio’) nei flussi reali trans-frontalieri. Ad esempio, se un paese è un importatore netto, e
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perciò le banche nazionali detengono una passività nei confronti dei non residenti, finisce per
ricoprire il ruolo di ‘debitore’. In maniera simmetrica, un paese esportatore netto, in quanto
fornitore dei flussi finanziari, è considerato un ‘creditore netto’ (o sono tali le banche di quella
nazione). E, dunque, quest'ultimo esercita il diritto di recuperare crediti da banche estere (e non
da quelle nazionali, come avviene, viceversa, per un regolamento di pagamenti che coinvolge il
mercato domestico). Tali squilibri sono resi possibili dalla ‘rete dei finanziatori’ di una nazione
che è disposta a tenere una quantità crescente di crediti nei confronti di soggetti economici non
residenti (esteri).
Quando questa disponibilità viene meno, e i paesi coinvolti utilizzano valute diverse, il
mutamento di circostanze provoca un deprezzamento della valuta della nazione che ha contratto
il ‘debito’. Se i due paesi, o le regioni coinvolte, fanno parte della stessa area valutaria, una
diminuzione della disponibilità nel mantenere i crediti verso la regione ‘debitrice’ può verificarsi
quando le banche della regione ‘creditrice’ percepiscono che il rischio di credito delle banche
della regione ‘indebitata’ sia in aumento. Normalmente, la vigilanza bancaria evita che si
accumulino alti rischi in un'unica area e, per qualsiasi rischio di una minaccia di esplosione del
credito, entra in gioco un'assicurazione nazionale sui depositi. Nell’Eurozona, durante la crisi
finanziaria, non sono state applicate nessuna di queste due misure di sicurezza (e non sono state
applicate tutt’ora): diverse autorità di vigilanza bancaria e di assicurazione sui depositi nonrimborsabili hanno innescato infatti una ‘fuga di capitali’, così come è emerso dalla denuncia
della svendita dei crediti dei soggetti economici non residenti, in quanto il ‘rischio di
ridenominazione del debito’ (in una nuova valuta, nel caso di uscita dall’Eurozona) ha iniziato ad
essere una variabile significativa nelle decisioni di portafoglio degli investitori esteri.
Anche con i movimenti di capitale si indica uno strumento in grado di spiegare la ragione prima
delle cause sistemiche, entro le quali sono stati coinvolti centro e periferia europea così da
trovarsi reciprocamente intrecciate fra loro. Dunque, la prova che sono stati i movimenti di
capitale, e non il debito pubblico, a generare la crisi, è fornita dal fatto che tutti i ‘paesi in crisi’
dimostravano di avere in comune fra loro il conto corrente con maggiore deficit dell’Eurozona, e
non le politiche di deficit fiscali più elevate. Di conseguenza, la crisi ha riguardato piuttosto la
bilancia dei pagamenti. Come l’Eurozona sia stata colpita da una crisi della bilancia dei
pagamenti è stato spiegato in due modi diversi. Uno è una ‘storia reale trade-flow’ (trasferimento
dei flussi) che inizia con la politica deflazionistica iniziata in Germania quando è stato riformato
il mercato del lavoro da parte di Schröder con la sua riforma "Agenda 2010". E' in questo
momento che la Germania ha abbassato il costo del lavoro per unità di prodotto aumentando le
esportazioni, e quindi i movimenti netti di merci dalla Germania verso l'area periferica
dell’Eurozona. I crediti accumulati da parte del settore privato tedesco nei confronti della
periferia sono stati rimarchevoli e hanno contribuito ad aumentare la crisi mondiale dovuta alla
sfiducia dei mercati verso queste aree nel ripagare l'ammontare del loro debito.
L'altra maniera di spiegare questo fenomeno consiste in una ‘storia dei flussi finanziari’ che
inizia con i gestori del portafoglio finanziario tedesco, i quali realizzano investimenti ingenti
nelle attività finanziarie della periferia che offrivano un pagamento degli interessi leggermente
più elevato. Quest'ultimi avevano sottostimato il rischio di credito più elevato di tali
investimenti, in particolare il debito della periferia. Questo è stato il risultato di un fallimento del
mercato nella valutazione del rischio finanziario con la complicità degli incentivi bancari che
detenevano i titoli di Stato. I rendimenti dei titoli di Stato si sono ridotti fino al momento in cui le
differenze sostanziali delle imprese a rischio di ridenominazione sono letteralmente scoppiate. In
questa storia, ‘il movimento dei capitali tedeschi’ ha presumibilmente rallentato la crescita
nell'area core dell'Eurozona, mentre, viceversa, ha accelerato la creazione di una bolla
insostenibile nell'area periferica per i paesi destinatari dei benefici. Questi ultimi hanno resistito
fino a quando i ‘i creditori’ hanno deciso di bloccare il rinnovo dei prestiti, così da generare una
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massiccia crisi di liquidità nei paesi beneficiari. La storia di questa bolla, tuttavia, non riesce a
fornire un resoconto attendibile di un collegamento tra la fuga dei capitali e il credito in
espansione nei paesi periferici. Il movimento di capitali infatti non è affetto da nessun vincolo
quantitativo per quanto concerne l'offerta di credito, in quanto semplicemente comporta che la
proprietà dei depositi venga trasferita ai non residenti.
Indipendentemente dal fatto che la storia della bolla abbia un senso, i movimenti di capitali
hanno svolto un ruolo importante nello scatenare instabilità finanziaria. Non tanto quando i flussi
si sono espansi (questo aumento, in fondo, riflette l'integrazione finanziaria, e soddisfaceva
inoltre il risultato di un'aspettativa e un punto cruciale della nascente unione monetaria), quanto
piuttosto quando si sono interrotti. La mancanza di un'unione bancaria e di una assicurazione
condivisa e fiduciaria sui depositi sono state le due cause principali che hanno dato luogo alla
fuga dei capitali con le conseguenze negative connesse a questo fenomeno. L'assicurazione sui
depositi infatti non era fiduciaria in senso comunitario, in quanto questa viene (ed è tuttora)
finanziata solo dai singoli governi costretti a rispettare stringenti limiti di credito con le loro con
finanze pubbliche, e perciò vulnerabili. Dunque, abbiamo visto come questo ragionamento metta
in evidenza il legame tra i due argomenti diffusi a livello pubblico e sopra elencati: sia quello
dello sperpero delle finanze pubbliche, sia quello dei movimenti di capitale che possono così
essere considerati invece come cause successive dell'attuale crisi, e non, come si sostiene in
questo saggio, i fattori scatenanti. Se infatti il punto dello sperpero fiscale legittima la nozione
per cui i governi hanno speso più di quanto erano legittimati a fare sotto i vincoli del debito
concertato dai trattati UE, il movimento dei capitali dimostra come il settore privato dei paesi
core avrebbe elargito prestiti in maniera sconsiderata ai paesi periferici, ignorando il rischio
specifico di ciascun paese, e favorendo la crisi. Tuttavia, alla radice del problema rimane, più
importante, comprendere come la trasformazione dei paesi della zona euro in ex nazioni sovrane
abbia impedito loro l'accesso ai finanziamenti ad una propria banca centrale. Questo ha reso i
governi sensibili al credito e e l'assicurazione dei loro depositi privi di fiducia bancaria.
Due rimedi sono stati Introdotti nell'architettura dell’Eurozona per affrontare l'instabilità
finanziaria: l'unione bancaria (anche se appare incompleta) e la prassi della BCE di fornire un
supporto (anche se condizionato) ai problemi del debito pubblico che ha compresso i
differenziali di rendimento su tutte le scadenze. Questi due accorgimenti nell'architettura della
zona euro sono stati una prassi sufficiente per mettere l'Eurozona di nuovo in salvo per quanto
riguarda la crescita reale della produzione e dei posti di lavoro? Poiché l’Eurozona ha continuato
a costituire un freno all'economia mondiale, ed essendo diventata la deflazione una minaccia, la
BCE sembra ora aver assunto un obiettivo di politica economica che dichiara di voler spingere
per l’aumento della domanda aggregata. Ogni previsione professionale di crescita economica si
basa sulla spesa prevista in diversi settori: la spesa dei consumatori, gli investimenti delle
imprese, la spesa del governo, e le esportazioni. Nella sezione successiva, esplorerò il potenziale
di crescita della domanda sotto l'attuale architettura dell’Eurozona, concentrandomi sui termini
monetari necessari per raggiungere e ottenere un benessere reale.
VII. Perché il risparmio è importante.
Discutere di spesa e il suo contrario, il risparmio, rappresenta un altro difficile esercizio della
macroeconomia. Il concetto di risparmio, in particolare, quello che più libri di testo maneggiano
con un certo grado di confusione. La domanda ricorrente è se ‘i risparmi siano positivi o negativi
per l'economia?’. I libri di testo offrono due risposte contrastanti, spesso presentati in due
capitoli diversi. Quando spiegano il modello di crescita neoclassico, il risparmio costituisce la
fonte di investimenti e della crescita. Viceversa, quando invece espongono il modello keynesiano
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della domanda e dell'offerta aggregata, il risparmio finisce per deprimere la domanda e la
crescita. Agli studenti curiosi, che chiedono chiarimenti, è data in genere la seguente risposta: ‘il
risparmio è un male nel breve periodo, mentre rappresenta un bene sul lungo periodo’.
Ovviamente, per la maggior parte degli studenti, questo conflitto logico rimane purtroppo un
mistero, e da quel momento in poi rinunciano a chiedere qualsiasi ulteriore chiarimento fin tanto
che pensano di conoscere la risposta che è prevista per ogni domanda a scelta multipla dei
compiti in classe. Passando dai libri di testo alle scelte politiche, sentiamo punti di vista
diametralmente opposti: risparmi eccessivi sono considerati una causa di recessione, ma la
carenza di risparmi spiega un rallentamento della crescita del prodotto potenziale. In un contesto
di risparmio eccessivo di breve periodo, le politiche raccomandano di aumentare la spesa
attraverso la redistribuzione del reddito spostandolo dalla popolazione con bassa propensione
alla spesa (il ceto benestante) alla popolazione che, viceversa, tende ad un'alta propensione a
spendere (il ceto meno abbiente). Al contrario, nel contesto di un lungo periodo affetto da
carenza di risparmi, le politiche economiche raccomandano di risparmiare. Poiché aumentare il
prodotto potenziale sembra-avere un beneficio di maggiore durata che semplicemente pone fine
alla recessione, la maggior parte delle persone (e soprattutto la classe benestante) trova la
tendenza al risparmio la politica più adeguata alla crescita.
Eppure, la soluzione al dilemma di una politica che ruota intorno al risparmio deve essere cercata
altrove. Ed è ottimo far partire le nostre indagini dallo studio sul modo in cui i risparmi vengono
misurati. Considerare come la maggior parte di noi sono abituati a considerare i risparmi
personali e nazionali, sulla base della contabilità nazionale, distinguendo gli investimenti dal
consumo, il risparmio privato (SP) è definito come segue:
1) SP = reddito nazionale - Tasse - spesa a consumo.
Questa definizione è coerente con il modo in cui, apparentemente, si definisce il flusso di
risparmio individuale: ciò che permette a una persona di risparmiare ogni anno è, allo stesso
modo, l'importo non speso del reddito al netto delle imposte.
Quando si considerano i componenti di contabilità di reddito nazionale, questa definizione è
scritta come segue:
2) SP deficit = + investimenti pubblici + saldo del conto corrente
Perché il risparmio nazionale (S) è generalmente definito come la somma del risparmio privato
(SP) e del risparmio statale (SG), con la seconda, che è la componente negativa del deficit di
governo, deve valere la seguente identità:
3) S = investimento + saldo del conto corrente
Mentre le equazioni di sopra sono identità contabili che rispecchiano come i diversi elementi
siano disposti nella contabilità nazionale, le seguenti istruzioni si prestano contemporaneamente
a fraintendimenti: il risparmio privato può essere utilizzato per finanziare attività di investimento,
il nuovo debito pubblico, oppure essere trattenuto all'estero, in cambio di esportazioni nette
(beni, servizi e reddito).
•
•
Un governo che emette un deficit assorbe e consuma li risparmio privato, riducendo la
quantità di risparmio a disposizione per gli investimenti.
Una nazione (cioè, il settore privato più il governo) che consente di risparmiare più di
quanto investe (vale a dire S > I) è un prestatore netto nella forma di crediti nei confronti
di non residenti che si ottengono dal saldo netto delle esportazioni.·
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•
Una nazione che risparmia meno di quanto investe (vale a dire S < I) deve indebitarsi con
i non residenti attraverso un deficit delle partite correnti.
Nonostante le opinioni ortodosse ben consolidate sostengano queste dichiarazioni, esistono due
problemi sostanziali con l'interpretazione di cui sopra. In primo luogo, il risparmio privato non
misura ciò che molti credono faccia. Ovvero, non misura ciò che i vari soggetti economici hanno
conservato in uno strumento monetario o finanziario - ed è ciò che qui sarebbe normalmente
identificato con i ‘risparmi disponibili per gli investimenti’. Invece, si tratta di una misura
residuale, estrapolata da definizioni contabili, pari al valore complessivo del reddito che genera:
output (prodotto) - meno il valore della componente di consumo di produzione interna - meno le
imposte pagate al governo - meno le importazioni.
La sua dimensione (particolare) dipende, insomma, da principi contabili nazionali. Si consideri,
per esempio, quando un paese implementa la nuova linea guida dei conti nazionali (ESA 2010),
spostando un certo tipo di acquisto di business (come quelli per la ricerca e lo sviluppo) che,
dall'essere classificato come una voce di spesa corrente in ingresso, passa ad essere classificato
come ‘un investimento per le imprese’. Tale revisione comporta che la definizione di uscita
dell'investimento sia più grande, mentre la definizione di uscita dei consumi sia, viceversa, più
modesta, e che i risparmi privati aumentino in maniera simmetrica e corrispondente. Il risparmio
privato è infatti aumentato a causa di una modifica della definizione contabile, senza alterare i
flussi monetari e finanziari che erano stati messi in atto. Il secondo problema con le precedenti
affermazioni è che queste non si applicano ad un'economia monetaria. La versione secondo cui il
risparmio verrebbe considerato una fonte di finanziamento si adatta solo ad un sistema di
scambio non-monetario dove il risparmio è una vera e propria risorsa. Quando le persone
risparmiano nella forma di una vera e propria merce, come fosse il mais, la decisione di
risparmiare diventa una questione del tutto personale: se si è acquistato una certa quantità di
mais, si ha il privilegio di consumarlo, conservarlo, sprecarlo, come si preferisce, senza che
questo coinvolga direttamente il consumo di mais delle altre persone. Solo se si decide di
prestarlo si instaurano delle relazioni con gli altri. Il ‘risparmio reale’ riflette la decisione
personale di non consumare un prodotto reale, procurando così un possibile mezzo
d'investimento, qualora il proprietario del mais, che utilizza l'oro, lo prestasse per produrre beni
di investimento.
Tuttavia, in un'economia monetaria il risparmio non costituisce una vera e propria quantità reale,
un bene, che chiunque può detenere in modo indipendente, come il mais o l'oro, oppure una
collezione di francobolli rari. In un'economia monetaria il risparmio è un azione che si riflette
sugli altri, sotto forma di un credito finanziario. A differenza di una merce come il mais, il
risparmio finanziario appare sempre in un rapporto finanziario, in quanto esiste solo come un
diritto sugli altri, sotto forma di banconote, depositi bancari, oro, e altre attività finanziarie. I
risparmi privati sono crediti di un soggetto economico su un altro, e le variazioni di risparmio
comportano un cambiamento nella relazione tra il ‘risparmiatore’ e gli altri soggetti economici.
Ciò non compare nella contabilità nazionale la quale espone solo beni aggregati. Poi, se
guardiamo al risparmio zoomando al di fuori del singolo soggetto economico, e considerando le
diverse relazioni tra i vari soggetti e i diversi settori (saldi settoriali), troviamo che ogni denaro
risparmiato deve corrispondere necessariamente ad un debito di pari entità di un altro settore: in
altre parole, l’emissione di una banconota corrisponde sempre ad una passività della banca
centrale; un deposito bancario è la passività di una banca commerciale; un titolo di stato è una
passività del governo; un bond aziendale è una passività di un privato; e così via. Questo
significa che quando discutiamo di risparmio finanziario stiamo discutendo contemporaneamente
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di un debito: ogni denaro risparmiato è la passività di qualcun altro. In un'economia monetaria i
risparmi non finanziano: ma hanno bisogno di essere finanziati.
La relazione tra il risparmio e il debito può essere analizzato con un sistema finanziario di conti
(flusso di fondi) [8]. L' ‘equilibrio finanziario netto’ di un singolo soggetto economico è pari alla
differenza tra tutte le sue entrate e tutte le sue spese. Perciò, un eccesso di entrate sulle spese
comporta sia un accumulo di crediti nei confronti di altri e / o una riduzione delle passività.
Viceversa, un eccesso di spese sulle entrate comporta sia una riduzione dei crediti verso gli altri
e / o un aumento delle passività. Poiché la somma di tutte le entrate economiche durante un dato
periodo di tempo deve essere uguale alla somma di tutte le spese, i saldi finanziari netti devono
azzerarsi in qualsiasi sistema chiuso di contabilità. Notoriamente, e ciò non sorprende, si afferma
infatti che i risparmi finanziari si sommano a zero quando si prende in considerazione tutta
l'economia mondiale. Questo modello va ovviamente in contrasto con la versione ‘reale’ del
risparmio, come uscita non spesa che, generalmente, viene definita come maggiore di zero.
Utilizzando i conti finanziari per studiare la relazione tra i vari settori economici, o saldi settoriali
(vale a dire, quello privato, che include famiglie e imprese - governativo, che comprende le
istituzioni pubbliche come la PA e la BC- ed estero, che coinvolge i non residenti), la seguente
identità deve dunque stabilire che:
4) Il saldo netto privato finanziario + il saldo netto della finanza pubblica + il saldo netto del
settore estero = 0
Oppure:
5) equilibrio finanziario = deficit di governo + saldo del conto corrente
dove il disavanzo pubblico è il saldo negativo finanziario netto del governo, e il saldo del conto
corrente nazionale è quello negativo dei non residenti (ovvero del settore estero). Si noti che il
saldo finanziario privato netto è, per definizione, la differenza tra la variazione dei crediti
finanziari privati e la variazione delle passività private, in modo che ogni nuova domanda
finanziaria privata, che viene ad esistere, deve essere la controparte di un'altra passività privata,
oppure la passività del governo, oppure la passività del settore estero. Come detto in precedenza,
i termini economici in economia possono essere spesso oggetto di fraintendimento. Quando si
parla di ‘risparmio privato’ con termini quotidiani, tale categoria misura generalmente l'out-put
monetario che non è stato consumato nel momento presente di osservazione. Quando, viceversa,
il ‘risparmio’ si misura in termini monetari, si tratta invece del risultato prodotto da una passività
da parte del settore privato, quello pubblico oppure di quello estero. In contrasto con
l'interpretazione fuorviante del risparmio come un vero e proprio bene, che al momento
dell'acquisto può essere conservato, oppure fatto oggetto di prestito, il risparmio monetario può
essere conservato solo sotto forma di crediti verso altri soggetti economici. Questo significa
anche che un atto di risparmio da parte di un soggetto economico richiede un finanziamento, ed è
associato ad un'azione di credito di un'altra unità che emette contemporaneamente un debito.
Questo processo infrange l'idea per cui il risparmio finanziario sarebbe la fonte di fondi
disponibili per gli investimenti. Questo stesso risultato può essere visto in forma di scorte
piuttosto che di flussi:
6) i crediti finanziari privati lordi = debito privato lordo + debito pubblico netto + posizione
internazionale netta finanziaria.
Quando i produttori hanno bisogno di fondi sulla base di quello che ottengono attraverso le
vendite e il reddito, ancora non dipendono dalla volontà del risparmio di altri soggetti economici.
E possono sia ottenere prestiti dalle banche sia provare a vendere l'obbligazione di un debito, nel
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qual caso tutti hanno bisogno di competere per ottenere i crediti finanziari in circolazione. Perciò,
è nell'interesse dei produttori aumentare le attività finanziarie tramite la vendita di ricevute,
piuttosto che fare prestiti. Se i consumatori o i datori di lavoro risparmiassero di più, i produttori
avrebbero più difficoltà ad ottenere crediti finanziari e risparmi.
VI. Il risparmio, il debito, e il modello t-shirt di spesa per la creazione di lavoro.
In questa sezione mi soffermerò su un semplice modello di creazione di lavoro. I fisici
sostengono che una teoria dell'universo non è credibile se non può essere sintetizzata in una tshirt. In modo simile, quello che andrò ad esporre è un modello T-shirt di creazione di lavoro nel
settore privato nell'ambito di un'economia monetaria. Supponendo che i posti di lavoro pubblici
sono offerti mediante decisioni politiche deliberate, e assumendo che nel periodo che prendiamo
come punto di riferimento, non si abbia nessuna creazione di posti di lavoro pubblici, dunque un
cambiamento verso la creazione di lavoro nel settore privato può essere spiegato attraverso
l'immissione di una spesa complessiva. Perciò, questo modello T-shirt si propone di spiegare ciò
che alimenta la spesa. Per ciascun soggetto economico la decisione di spendere riduce il proprio
stock al netto delle attività finanziarie, mentre aumenta contemporaneamente lo stock netto di
attività finanziarie di proprietà di un altro soggetto. Dobbiamo ragionevolmente dedurre che la
spesa di ciascun soggetto economico è influenzata dal desiderio di questo stesso di accumulare, o
ridurre, in questo periodo di riferimento, il proprio credito [7]. La spesa aumenta quando il
risparmio di un soggetto economico supera le aspettative sui propri risparmi, e diminuisce
quando il risparmio di questo soggetto economico manca di un’aspettativa di risparmio.
Aggregando tutti i soggetti economici privati, si può affermare che la spesa complessiva dipenda
dalla differenza tra lo stock effettivo del risparmio privato lordo (GS) e lo stock atteso
(desiderato) di risparmio privato lordo (GSD). Così, si afferma che un cambiamento nell'ambito
dell'occupazione elargita dal settore privato ( J) sia in realtà una funzione ( ) dell'eccesso di
risparmio (oppure una carenza del risparmio in una circostanza, viceversa, negativa) di soggetti
privati che spendono.
Questo conferma che in un’economia monetaria un aumento del risparmio privato al di sopra
dell’obiettivo prestabilito fornisca abbastanza spesa per la creazione di posti di lavoro nel settore
privato. Se assumiamo il livello di aspettativa di risparmio privato lordo (GSD) come dato,
Dunque, la creazione di posti di lavoro è una funzione dello stock effettivo di risparmio privato
lordo: quando questo è in eccesso rispetto alla quantità prevista, si creano posti di lavoro, mentre,
viceversa, quando sono a corto dell'importo previsto, i posti di lavoro vengono distrutti.
La successiva e definitiva questione di questo modello affronterà come fa lo stock attuale riesce a
cambiare il risparmio. Come discusso nel paragrafo precedente, il risparmio privato lordo riflette
le azioni decise dal settore privato, quello governativo, e il debito degli stranieri:
dove DP è la controparte del debito privato lordo, DG è la controparte del debito pubblico netto,
e DF rappresenta quella del debito estero. Assumendo l'obiettivo di risparmio (GSD) come dato,
lo stock attuale del risparmio (GS) diventa il combustibile necessario per innescare la spesa
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capace di generare l’occupazione; e, se GS può aumentare solo quando uno delle sue controparti
cambiano, l'ultima fonte di risparmio di finanziamento e di posti di lavoro rimane il debito.
L'importo effettivo del risparmio potrà essere solo più alto se il debito sarà altrettanto elevato.
Qualsiasi aumento del debito (privato, pubblico, oppure estero) genera più posti di lavoro fino a
quando i risparmi creati dal debito aggiuntivo sono percepiti come in eccesso rispetto al livello
obiettivo. Questo modello può essere ulteriormente esteso per includere tre fattori aggiuntivi:
a) L'effetto di leva privato sul risparmio atteso: nel momento in cui i debitori privati iniziano a
soddisfare sempre più con maggiore difficoltà il loro debito si innalza il livello obiettivo
desiderato di crediti (con riduzione della leva finanziaria) e, a meno che non ci sia un'altra fonte
di credito (tramite emissione ad esempio di nuovo debito pubblico, oppure quello estero),
verranno persi posti di lavoro.
b) L'effetto di una risposta anti-ciclica di un cambiamento della produzione e di posti di lavoro
sul debito pubblico: quando si ottiene un cambiamento attraverso l'aumento dell'occupazione nel
settore privato, la spesa pubblica al netto cambierà attraverso le imposte sul reddito progressivo e
programmi sociali, così che questo influenzerà il flusso (e lo stock) del risparmio tramite il suo
effetto sul debito pubblico.
c) L’effetto della redistribuzione del reddito, la ricollocazione della spesa pubblica, e la
distribuzione dell'onere fiscale: poiché i vari soggetti economici hanno obiettivi di risparmio
diversi, quando i crediti finanziari vengono ridistribuiti, i posti di lavoro del settore privato
possono essere influenzati anche senza variazione del debito.
VII. La carenza di debito come causa determinante e primaria della crisi dell'Eurozona.
Prendendo il risparmio per quello che è, cioè, uno strumento finanziario con una controparte di
debito, aiuta a chiarire il ruolo del risparmio nella prospettiva di un' economia monetaria. Il
modello introdotto nel paragrafo precedente è l'alternativa dell'economia monetaria al modello
dell'economia non monetaria, la quale considera il risparmio come una vera e propria risorsa
necessaria agli investimenti. Il modello T-shirt comporta le seguenti formulazioni:
- Lo stock dei crediti privati include i crediti verso il settore privato, quelli relativi al settore
pubblico, e quelli, infine, del settore estero.
- Per raggiungere i propri risparmi desiderati il settore privato deve finanziarli adeguatamente. In
generale, i cambiamenti di spesa privata rispondono al fatto che il settore privato consideri i suoi
risparmi al di sotto o al di sopra del proprio obiettivo desiderato.
- La produzione interna e l'occupazione aumentano grazie ad una maggiore disponibilità del
settore privato (in particolare, ma non esclusivamente, attraverso il ruolo assunto dal sistema
bancario) per espandere il credito, del settore pubblico al netto del debito, oppure del settore
privato nell'aumentare crediti non spesi sul settore estero.
Ciò significa che le cause finali di crescita del prodotto reale e dell'occupazione nel soddisfare il
potenziale economico a disposizione (vale a dire, la chiusura del gap lasciato da colmare tra
prodotto reale e prodotto potenziale) includono l'espansione del credito bancario, la spesa netta
del governo, e le esportazioni nette. Ciò comporta anche che le differenze (avanzi\disavanzi) dei
saldi finanziari (settori pubblico\privato\estero) siano la condizione normale di un'economia
monetaria. Qualsiasi politica rivolta ad obiettivi reali (prodotto interno lordo e posti di lavoro)
dovrebbe essere focalizzata, quindi, sulla comprensione di come tali differenze migliorino il
raggiungimento di questi stessi obiettivi politici, senza dover forzare una riduzione delle
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differenze tra i diversi settori, che puntualmente invece vengono definite con un’accezione
negativa con il termine ‘squilibri’. Si noti che l'argomento per cui il debito pubblico diventa
insostenibile non ha alcun senso, in quanto ogni debito sarà sempre sostenibile nella misura in
cui la banca centrale è autorizzata ad utilizzare la propria moneta fluttuante per l'acquisto del
proprio debito [5]. Divieti di finanziamento monetario, al contrario, minacceranno la sostenibilità
del debito pubblico e l'economia reale. Se ci fermiamo a tracciare un parallelo con la crisi
tedesca del 1931, Bindseil e Winkler spiegano infatti come tali divieti, con le conseguenti misure
di austerità draconiane, intensificarono la crisi causando la rovina del sistema bancario della
Reichsbank, nonché dello stato tedesco e civile la società del 1930 [1].
In questa sezione finale farò alcune considerazioni sulla Eurozona.
Dall'inizio della crisi, le politiche si sono concentrate sulle riforme strutturali, la politica
monetaria e la politica fiscale. Le riforme strutturali possono rivelarsi molto utili in modi diversi,
quando cambiano la composizione delle entrate e delle spese pubbliche in modo favorevole alla
crescita (ad esempio, ridistribuendo il carico fiscale da lavoro), la lotta contro la corruzione, il
miglioramento delle infrastrutture amministrative. Tuttavia, tali misure non hanno niente a che
vedere con l’approvvigionamento della spesa pubblica e il risparmio necessario per ripristinare la
crescita e la creazione di posti di lavoro.
Per quanto riguarda la politica fiscale, limiti al debito pubblico e il deficit, in combinazione con i
governi della Eurozona sensibili al credito, hanno praticamente tolto dal tavolo la possibilità di
espandere il proprio debito pubblico: i paesi che, viceversa, avevano ancora lo ‘spazio fiscale’
per farlo, non sono invece intervenuti, e gli altri sono stati costretti a prendere provvedimenti per
ridurre il loro debito, producendo infine una recessione ancora più profonda dei disavanzi
pubblici che inizialmente erano stati lasciati liberi di adeguarsi alle condizioni cicliche. Questo
fenomeno ha permesso un aumento del debito privato e / o un aumento dei crediti verso i non
residenti come uniche possibili fonti di risparmio per i residenti dell’Eurozona. Non esiste alcuna
politica dell'Eurozona, tuttavia, per favorire un aumento, sia del credito privato, o delle
esportazioni nette, quando la crescita è lenta, se non attraverso condizioni di deflazione. Può
essere vista come una 'coincidenza' che la stagnazione internazionale sia diventata così grave, e
che le dinamiche dei prezzi siano così contenute, così come il fatto che lo scorso anno il tasso
d'inflazione sia sceso in modo significativo sotto l'obiettivo prefissato dalla BCE. Questo
giustifica l'azione della BCE in base al suo mandato di stabilità sui prezzi. Poi, la BCE ha tagliato
i tassi di interesse, presumibilmente per incoraggiare l'espansione del credito bancario e, quindi,
per condurre ad una sempre maggiore tendenza all’indebitamento privato. Le conseguenze dei
bassi tassi di interesse sulla produzione reale e i posti di lavoro devono essere giudicati per i loro
effetti sul debito privato (cioè, effettivamente sul risparmio privato lordo), e sulle intenzioni di
risparmio del settore privato. Affinché riescano ad aiutare i governi a rispettare le regole di
bilancio comuni, i bassi tassi di interesse potrebbero avere alcuni effetti limitati sulla riduzione
dei risparmi qualora alcune delle spese necessarie per onorare il debito venissero riassegnate ad
altri settori più favorevoli alla crescita. Tuttavia, la ridistribuzione del risparmio da parte degli
istituti di credito verso i mutuatari crea effetti ambigui, così che la ridotta espansione del debito
pubblico funziona proprio nella direzione opposta da quella che era stata inizialmente
prospettata.
In tale contesto deflazionistico, la BCE si è anche impegnata in programmi di acquisto illimitato
(di titoli garantiti da attività, obbligazioni garantite, e il debito del settore pubblico), noto anche
come Quantitative Easing (QE). I mercati hanno reagito al QE e guidato il valore esterno
dell'euro verso un livello più basso. Nonostante ciò, anche se un euro debole può offrire un
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maggior contributo per alimentare il risparmio a favore della creazione di posti di lavoro
nell'ambito degli attuali vincoli europei, che hanno chiuso l’erogazione di spesa attraverso il
debito, ostruendo completamente il rifornimento di risparmio, le conseguenze sul conto corrente
dell'Eurozona restano incerte su molte questioni. Di fatti si persevera con tale strategia al costo di
aumentare il rischio per i residenti che accumulano crediti all'estero, e si rende l'economia
dell’Eurozona dipendente dalla sola variabile della domanda estera. L'enfasi che si concentra
soltanto sul taglio del debito pubblico, e perciò sulla diminuizione del risparmio privato, così
come sul deleveraging in atto nel settore privato (ovvero, la condizione per cui le famiglie e le
imprese da soggetti che spendono sono diventati soggetti che si indebitano e risparmiano in
modo maniacale), lasciano i risparmiatori con nessuna alternativa se non quella di cercare di
finanziare i propri risparmi attesi attraverso le esportazioni nette. Eppure, essere costretti a fare
affidamento soltanto sulla domanda estera (e quindi sulla creazione di debito privato e quello del
settore privato di altri paesi stranieri) indica una manchevolezza drammatica sulla promessa
iniziale di creare un potente mercato unico europeo che riduca la sua dipendenza da acquirenti
stranieri, e quindi sul debito dei non residenti. La riluttanza attuale dell'Eurozona di lasciare che i
paesi membri espandano il loro debito pubblico senza limiti è ragionevole. Ciò che non è
ragionevole è la riluttanza ad espandere il debito pubblico in una forma che rimanga sotto la
supervisione di un governo comunitario, senza che ciò avvenga nel contesto di un'unione fiscale
dei trasferimenti. Questo pregiudizio è radicato in una profonda avversione per il debito pubblico
che deriva dall'idea secondo cui l'aumento dal deficit fiscale non sia sostenibile, e che l’Eurozona
debba essere immaginata come un nuovo "Gold Standard" il cui compite consiste nel disciplinare
i governi e promuovere la prosperità senza il supporto proveniente da spinte ‘monetarie e
l'attivismo fiscale’ [9].
Come nel modello illustrato sopra, non vi è alcun risparmio senza debito e, che piaccia o meno,
non vi è alcun risparmio privato netto senza una qualche combinazione tra maggiore debito
pubblico insieme a quello estero. Se si ritiene quest’ultimo un ragionamento sensato, allora, la
mancanza di una serie di strumenti statali interni a ciascun paese membro che riescono a
funzionare efficacemente per soddisfare il risparmio destinato ai cittadini dell'Eurozona,
dovrebbe essere la preoccupazione fondamentale nell'attuale architettura europea, ed è ad oggi la
causa determinante di una stasi continua che, rimanendo nelle condizioni attuali, potrebbe essere
alleggerita soltanto attraverso una crescita vigorosa dei paesi fuori l'Europa. La sfida che
l'Europa si trova ad affrontare è dunque di natura politica, ed è la questione di come progettare
un meccanismo che crea un debito sufficiente (e quindi un risparmio equivalente) per chiudere il
gap produttivo tra i diversi paesi, e sostenere così la piena occupazione. Un meccanismo
centralizzato è preferibile ad uno decentrato, come l'aumento del limite sul disavanzo / PIL dei
paesi dell'UE. Assicurare che il rubinetto del debito e, dunque, di un risparmio equivalente, lasci
diffondere abbastanza liquidità nel settore privato europeo e consenta alle singole zone di
competere per il credito in circolazione sarebbe sufficiente a fermare la forbice che allarga le
differenze delle diverse economie europee, mentre le riforme a quel punto potrebbero funzionare
per restringere ulteriormente la differenze strutturali tra questi paesi membri. Questo è il vero
salto di qualità di cui l'Eurozona oggi ha veramente bisogno.
Fonte: https://ineteconomics.org/uploads/papers/INET-2015-TERZI-f.pdf
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Bibliografia
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Optimal Currency Areas,” European Journal of Political Economy, 1998, pp. 407-32.
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Collected Writings of John Maynard Keynes, vol. XIII, London: Macmillan, 1973, pp.
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Cannan (ed.), in 2 vols., London: Methuen, 1904 (1776).
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Nazionale del Lavoro Quarterly Review, 1982, pp. 69-88.
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[8] Terzi, A., “The Independence of Finance from Saving: A Flow of Funds
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[9] Terzi, A., “When Good Intentions Pave the Road to Hell: Monetization Fears and
Europe’s Narrowing Options,” Levy Economics Institute of Bard College, 2014.
Fonte: https://ineteconomics.org/uploads/papers/INET-2015-TERZI-f.pdf
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