Parte I CLASSE PRIMA LINGUISTICO 0 Capitolo 1 Logica 1.1 Teoria matematica Una teoria esprime per mezzo di un linguaggio preciso concetti e loro proprietà. Ogni termine, ogni proposizione di una teoria ha un significato univoco. Una teoria è composta da alcuni termini primitivi, per esempio nella geometria la retta. Di questi termini non è data una definizione. Con i termini primitivi, mediante le definizioni, si definiscono altri termini che a loro volta possono essere utilizzati per definirne altri: per esempio il segmento. Con i termini si costruiscono alcune proposizioni dette postulati o assiomi che sono verità assunte a priori. Con i termini si costruiscono altre proposizioni dette teoremi che si devono dimostrare. In un teorema si distingue un’ipotesi e una tesi. L’ipotesi è formata da proposizioni vere da cui, attraverso la dimostrazione, deve scaturire la verità della tesi, utilizzando gli assiomi e i teoremi già dimostrati. Consideriamo la teoria delle proposizioni detta anche logica. 1.2 Proposizioni Alla base della logica ci sono le proposizioni. Definizione 1.2.1 (Proposizione). Si dice proposizione un’affermazione vera o falsa. I concetti di vero e falso li assumiamo come primitivi, cioè li useremo senza definirli. Esempio 1.2.1. • “Il sole è una stella” è una proposizione vera • “Il sole è un pianeta” è una proposizione falsa • “2 + 3 = 5” è una proposizione vera • “Domani pioverà” non è una proposizione perché non si può dire se è vera o falsa Per rappresentare le proposizioni uilizzeremo le lettere minuscole p, q, r, . . .. Per indicare che una proposizione è vera utilizzeremo il simbolo V , per indicare che una proposizione è falsa utilizzeremo il simbolo F . Con le proposizioni e con i valori che possono assumere si costruiscono delle tabelle che si chiamano tavole di verità. Esempio 1.2.2. Un esempio di tavola di verità è p V F 1 CAPITOLO 1. LOGICA Per determinare tutti i casi possibili nelle tavole di verità si procede nel seguente modo: • con una sola proposizione i valori possibili sono V e F ; • con due proposizioni nella colonna della prima si scrivono due V e due F , nella colonna della seconda si scrive in modo alternato V , F . • con tre proposizioni, nella colonna della prima si scrivono quattro V e quattro F , nella colonna della seconda si scrivono in modo alternato due V e due F , nella colonna della terza si scrive in modo alternato V , F . 1.3 Connettivi Le proposizioni che abbiamo visto sono dette proposizioni elementari perché non sono scomponibili in altre proposizioni. Le proposizioni elementari, legate insieme con delle particelle chiamate connettivi, formano le proposizioni composte. I connettivi più importanti sono: non, e, o. Nella lingua italiana i connettivi possono avere diversi significati. Nella frase “per andare a Torino prendi la macchina o il pulman” la o è esclusiva: o la macchina o il pulman, non entrambi. Nella frase “rimani in casa se piove o se tira il vento” la o è inclusiva, può anche piovere e tirare vento contemporaneamente. Nella logica i connettivi devono avere un significato non ambiguo; per questo a ogni connettivo è associata una legge che si chiama operazione logica schematizzata generalmente con le tavole di verità. Analizziamo ora i vari connettivi. 1.3.1 Connettivo non Il connettivo non si può anche trovare nella forma inglese not. L’operazione logica associata è la negazione. Definizione 1.3.1 (Negazione). Si dice negazione di una proposizione p quella proposizione che è vera se p è falsa, falsa se p è vera. La negazione di p si indica con ¬p La tavola di verità della negazione è: p ¬p V F F V Esempio 1.3.1. Data la proposizione p: “oggi è martedì” la sua negazione è ¬p : “oggi non è martedì” 1.3.2 Connettivo e Il connettivo e si può anche trovare nella forma inglese and o nella forma latina et. L’operazione logica associata è la congiunzione Definizione 1.3.2 (Congiunzione). Si dice congiunzione di due proposizioni p e q quella proposizione che è vera se sono entrambe vere, falsa negli altri casi. La congiunzione di p e q si indica con p ∧ q La tavola di verità della congiunzione è: p q p∧q V V F F V F V F V F F F 2 1.3. CONNETTIVI Esempio 1.3.2. Date le proposizioni p: “oggi è sabato” q: “oggi c’è il sole” la congiunzione delle due proposizioni è p ∧ q: “oggi è sabato e c’è il sole” 1.3.3 Connettivo o Il connettivo o si può anche trovare nella forma inglese or o nella forma latina vel. L’operazione logica associata è la disgiunzione. Definizione 1.3.3 (Disgiunzione). Si dice disgiunzione di due proposizioni p e q quella proposizione che è vera se almeno una delle due proposizioni è vera, falsa negli altri casi. La disgiunzione di p e q si indica con p ∨ q La tavola di verità della disgiunzione è: p q p∨q V V F F V F V F V V V F Esempio 1.3.3. Date le proposizioni p: “oggi è sabato” q: “oggi c’è il sole” la disgiunzione dalle due proposizioni è p ∧ q: “oggi è sabato o c’è il sole” Il connettivo ∨ rappresenta il significato inclusivo della o della lingua italiana. 1.3.4 Precedenza delle operazioni logiche I connettivi visti possono essere applicati, oltre che a proposizioni elementari, anche a proposizioni composte e ottenere altre proposizione composte. Nelle proposizioni composte si possono utilizzare le parentesi per indicare l’ordine con cui si devono effettuare le operazioni. In assenza di parentesi i connettivi hanno il seguente ordine di precedenza: ¬, ∧, ∨ Esempio 1.3.4. Un esempio di espressione logica è (p ∧ q) ∨ (¬p ∨ q) Anche per le espressioni logiche si può scrivere la tavola di verità considerando tutte le proposizioni semplici e composte che formano l’espressione considerata. Esempio 1.3.5. La tavola di verità dell’espressione (p ∧ q) ∨ p è: p q V V F F V F V F p ∧ q (p ∧ q) ∨ p V F F F V V F F 3 CAPITOLO 1. LOGICA 1.3.5 Tautologie e contraddizioni Definizione 1.3.4 (Tautologia). Si dice tautologia un’espressione logica vera per qualsiasi valore delle variabili che la compongono. Esempio 1.3.6. Data l’espressione logica p ∨ (¬p) la sua tavola di verità è p ¬p p ∨ (¬p) V F F V V V Quindi p ∨ (¬p) è una tautologia. L’affermazione “piove o non piove” è sempre vera. Definizione 1.3.5 (Contraddizione). Si dice contraddizione un’espressione logica falsa per qualsiasi valore delle variabili che la compongono. Esempio 1.3.7. Data l’espressione logica p ∧ (¬p) la sua tavola di verità è p ¬p p ∧ (¬p) V F F V F F Quindi p ∧ (¬p) è una contraddizione. L’affermazione “piove e non piove” è sempre falsa. Una tautologia la indicheremo con T e una contraddizione con C. 1.3.6 Espressioni equivalenti Definizione 1.3.6 (Espressioni equivalenti). Due espressioni logiche si dicono equivalenti se e solo se hanno tavole di verità uguali. Per indicare l’equivalenza utilizzeremo il simbolo ⇔. Esempio 1.3.8. Verifichiamo che ¬(¬p) ⇔ p La tavola di verità di ¬(¬p) è p ¬p ¬(¬p) V F F V V F Poiché la colonna p e la colonna ¬(¬p) sono uguali si ha ¬(¬p) ⇔ p Cioè se neghiamo due volte una proposizione otteniamo la proposizione stessa 4 1.4. PROPRIETÀ DELLE OPERAZIONI LOGICHE 1.4 Proprietà delle operazioni logiche Vediamo ora alcune proprietà delle operazioni logiche. La dimostrazione di queste proprietà si può effettuare costruendo le tavole di verità e vedendo l’equivalenza delle espressioni. Siano p e q e r delle proposizioni. Valgono le seguenti proprietà: 1. proprietà commutativa: p∧q ⇔q∧p p∨q ⇔q∨p 2. proprietà associativa: p ∧ (q ∧ r) ⇔ (p ∧ q) ∧ r p ∨ (q ∨ r) ⇔ (p ∨ q) ∨ r 3. proprietà di idempotenza: p∧p⇔p p∨p⇔p 4. proprietà distributiva: p ∧ (q ∨ r) ⇔ (p ∧ q) ∨ (p ∧ r) p ∨ (q ∧ r) ⇔ (p ∨ q) ∧ (p ∨ r) 5. proprietà di assorbimento: p ∧ (p ∨ q) ⇔ p p ∨ (p ∧ q) ⇔ p 6. leggi di De Morgan: ¬(p ∧ q) ⇔ ¬p ∨ (¬q) ¬(p ∨ q) ⇔ ¬p ∧ (¬q) 7. proprietà con tautologie e contraddizioni p∧T ⇔p p∧C ⇔C p∨T ⇔T p∨C ⇔p p ∧ (¬p) ⇔ C p ∨ (¬p) ⇔ T Dimostriamo alcune proprietà Esempio 1.4.1. 5 CAPITOLO 1. LOGICA • Verifichiamo che p ∨ (p ∧ q) ⇔ p La tavola di verità di p ∨ (p ∧ q) è p q V V F F V F V F p ∧ q p ∨ (p ∧ q) V F F F V V F F Poiché la colonna p e la colonna (p ∧ q) ∨ p sono uguali si ha (p ∧ q) ∨ p ⇔ p • Verifichiamo che ¬(p ∧ q) ⇔ ¬p ∨ (¬q) La tavola di verità di ¬(p ∧ q) è p q V V F F V F V F p ∧ q ¬(p ∧ q) V F F F F V V V La tavola di verità di ¬p ∨ (¬q) è p q ¬p ¬q ¬p ∨ (¬q) V V F F V F V F F F V V F V F V F V V V Poiché le due tavole di verità sono uguali si ha ¬(p ∧ q) ⇔ ¬p ∨ (¬q) • Verifichiamo che ¬(p ∨ q) ⇔ ¬p ∧ (¬q) La tavola di verità di ¬(p ∨ q) 6 1.5. PROPOSIZIONI APERTE E QUANTIFICATORI è p q V V F F V F V F p ∨ q ¬(p ∨ q) V V V F F F F V La tavola di verità di ¬p ∧ (¬q) è p q ¬p ¬q ¬p ∧ (¬q) V V F F V F V F F F V V F V F V F F F V Poiché le due tavole di verità sono uguali si ha ¬(p ∨ q) ⇔ ¬p ∧ (¬q) 1.5 Proposizioni aperte e quantificatori Per introdurre i concetti di proposizione aperta e quantificatore ci serve il concetto di insieme 1.5.1 Insiemi e elementi Il concetto di insieme lo assumiamo come primitivo, cioè lo useremo senza definirlo. Gli oggetti che fanno parte di un insieme si chiamano elementi e si dice che appartengono all’insieme. Dato un insieme, di ogni oggetto si deve poter dire se appartiene o no all’insieme. Gli insiemi in genere si indicano con le lettere maiuscole, gli elementi con le lettere minuscole. La proposizione: “l’elemento a appartiene all’insieme A” verrà scritta in simboli nel seguente modo: a ∈ A dove ∈ è il simbolo di appartenenza. La negazione della proposizione precedente: “a non appartiene all’insieme A” verrà scritta in simboli nel seguente modo: a 6∈ A dove 6∈ è il simbolo di non appartenenza. Esempio 1.5.1. Indicando con N l’insieme dei numeri naturali si ha: • 2∈N • −3 6∈ N 1.5.2 Proposizioni aperte Definizione 1.5.1 (Proposizione aperta). Si dice proposizione aperta una proposizione con una o più variabili Le proposizioni aperte in simboli le indicheremo con p(x), q(x, y), . . .. Esempio 1.5.2. • x > 8 è una proposizione aperta • “x è capitale di y” è una proposizione aperta 7 CAPITOLO 1. LOGICA Osservazione Il valore di verità di una proposizione aperta dipende dai valori che assumono le variabili. Se alle variabili si sostituiscono dei valori la proposizione aperta diventa una proposizione. I valori che si possono sostituire devono appartenere a un particolare insieme chiamato dominio. Definizione 1.5.2 (Dominio). Si dice dominio di una proposizione aperta e si indica con D l’insieme dal quale si possono prendere i valori da sostituire alle variabili Esempio 1.5.3. • Nella proposizione aperta “x > 8”, la variabile x deve essere un numero, il dominio della proposizione aperta è l’insieme dei numeri reali. • Nella proposizione aperta “x è la capitale di y”, la variabile x deve essere un nome di città e la variabile y un nome di nazione, il dominio della proposizione aperta è l’insieme delle coppie formate da una citta e una nazione. Alcuni valori del dominio rendono vera la proposizione aperta, altri la rendono falsa. Definizione 1.5.3 (Insieme di verità). Si dice insieme di verità di una proposizione aperta l’insieme dei valori del dominio che la rendono vera Esempio 1.5.4. • L’insieme di verità della proposizione aperta “x > 8” è l’insieme di tutti i numeri reali maggiori di 8 • L’insieme di verità della proposizione aperta “x è la capitale di y” è l’insieme delle coppie formate da una città capitale e dalla nazione di cui è capitale la città: (Roma,Italia), (Parigi,Francia), ect. 1.5.3 Quantificatori Abbiamo visto che per ottenere una proposizione da una proposizione aperta si sostituiscono dei valori alle variabili. Un altro modo per ottenere una proposizione da una proposizione aperta è utilizzare i quantificatori. Esistono due quantificatori, il quantificatore esistenziale, indicato con il simbolo ∃ che significa “esiste almeno un” e il quantificatore universale indicato con il simbolo ∀ che significa “tutti” o “per ogni”. La proposizione ∃x ∈ D/p(x) si legge “esiste almeno un elemento x appartenente a D tale che p(x)”. La proposizione ∀x ∈ D, p(x) si legge “per ogni elemento x appartenente a D, p(x)”. Esempio 1.5.5. Consideriamo come dominio D l’insieme dei corpi celesti. Utilizziamo i quantificatori per trasformare la proposizione aperta “x è un pianeta” in una proposizione. • “∃x ∈ D/x è un pianeta” (esiste almeno un x appartenente a D tale che x è un pianeta) è una proposizione vera. • “∀x ∈ D, x è un pianeta” (per ogni x appartenente a D, x è un pianeta) è una proposizione falsa Teorema 1.5.1 (Leggi di De Morgan). ¬(∀x ∈ D, p(x)) ⇔ ∃x ∈ D/¬p(x) ¬(∃x ∈ D/p(x)) ⇔ ∀x ∈ D, ¬p(x) Le leggi di De Morgan dicono rispettivamente che • “non è vero che tutti gli x godono p(x)” è equivalente a “esiste almeno un x che non gode p(x)” 8 1.6. IMPLICAZIONE LOGICA • “non è vero che esiste almeno un x che gode p(x)” è equivalente a “tutti gli x non godono p(x)” Esempio 1.5.6. • La negazione della proposizione “tutti i cavalli sono bianchi” è “esiste almeno un cavallo che non è bianco” • La negazione della proposizione “esiste un cavallo bianco” è “ogni cavallo non è bianco” 1.6 Implicazione logica Definizione 1.6.1 (Implicazione logica). Date due proposizioni aperte I(x) e T (x) con x ∈ D, se ogni valore di x che renda verà I(x) rende vera anche T (x) si dice che I(x) implica logicamente T (x) e si scrive I(x) ⇒ T (x) Osservazioni 1. I(x) si chiama ipotesi, T (x) si chiama tesi. 2. I(x) ⇒ T (x) si può anche leggere “se I(x) allora T (x)”. 3. I(x) si chiama condizione sufficiente per T (x) e T (x) si chiama condizione necessaria per I(x). Esempio 1.6.1. x è divisibile per 4 ⇒ x è divisibile per 2 (se x è divisibile per 4 allora è divisibile per 2) Osservazione La definizione data vale anche per proposizioni con più variabili. Esempio 1.6.2. x > 0 ∧ y > 0 ∧ x > y ⇒ x2 > y 2 Osservazione In seguito l’implicazione logica verrà chiamata semplicemente implicazione. 1.7 Equivalenza logica o biimplicazione logica Date le proposizione aperte A(x) e B(x), se A(x) ⇒ B(x) non è detto che B(x) ⇒ A(x) Esempio 1.7.1. x è divisibile per 4 ⇒ x è divisibile per 2 ma x è divisibile per 2 non implica x è divisibile per 2 Definizione 1.7.1 (Biimplicazione logica). Date due proposizioni aperte A(x) e B(x), se per ogni x ∈ D assumono lo stesso valore di verità si dice che A(x) biimplica logicamente B(x) oppure A(x) equivale logicamente a B(x) e si scrive A(x) ⇔ B(x) Osservazioni 1. A(x) ⇔ B(x) si può anche leggere “A(x) se e solo se B(x)” . 2. A(x) si chiama condizione necessaria e sufficiente per B(x) e B(x) si chiama condizione necessaria e sufficiente per A(x). 3. Dire che A(x) ⇔ B(x) è come dire A(x) ⇒ B(x) e B(x) ⇒ A(x) Esempio 1.7.2. x è un numero pari ⇔ x è divisibile per 2 9 Capitolo 2 Insiemi 2.1 Rappresentazione degli insiemi Gli insiemi si possono rappresentare in vari modi: 1. elencando gli elementi racchiusi tra parentesi graffe: A = {1, 2, 3, 4, 5} 2. con i diagrammi di Eulero-Venn: gli elementi sono racchiusi da delle linee chiuse. A 2 1 3 4 5 Figura 2.1: diagrammi di Eulero-Venn 3. tramite la proprietà caratteristica, cioè una proprietà che è vera per tutti e soli gli elementi dell’insieme: A = {x ∈ N0 /x < 6} 2.2 Uguaglianza Definizione 2.2.1 (Uguaglianza). Si dice che l’insieme A è uguale all’insieme B se e solo se A e B hanno gli stessi elementi e si scrive A=B Esempio 2.2.1. {1, 2, 3, 4, 5} = {x ∈ N0 /x < 6} Osservazione Negli insiemi non contano l’ordine o le ripetizioni, l’insieme {1, 2, 3, 4, 5} = {2, 1, 4, 3, 5} = {1, 1, 1, 2, 3, 4, 5} 10 2.3. INSIEMI PARTICOLARI 2.3 Insiemi particolari Vediamo ora alcuni insiemi particolari: 1. insieme vuoto: insieme con nessun elemento, si indica con ∅ o {} 2. insieme unitario: insieme con un solo elemento: {a} 2.4 Inclusione Definizione 2.4.1 (Inclusione). Si dice che l’insieme A è incluso nell’insieme B se e solo se ogni elemento di A appartiene a B e si scrive A ⊆ B Esempio 2.4.1. {1, 2} ⊆ {1, 2, 3} Osservazioni 1. Se A è incluso in B si dice che A è un sottoinsieme di B. 2. L ’insieme vuoto è incluso in qualsiasi insieme 3. Ogni insieme è incluso in se stesso. 4. Dato un insieme A, l’insieme vuoto e A si dicono sottoinsiemi impropri di A, gli altri sottoinsiemi di A si dicono propri. 5. A = B ⇔ A ⊆ B ∧ B ⊆ A 6. Se A non è incluso in B, si scrive A * B 7. A ⊇ B ⇔ B ⊆ A Definizione 2.4.2 (Inclusione stretta). Si dice che l’insieme A è incluso strettamente nell’insieme B se e solo se A ⊆ B ∧ A 6= B e si scrive A⊂B Esempio 2.4.2. {1, 2} ⊂ {1, 2, 3} Osservazioni 1. Se A non è incluso strettamente in B, si scrive A 6⊂ B 2. A ⊃ B ⇔ B ⊂ A 2.5 Insieme delle parti Definizione 2.5.1 (Insieme delle parti). Si dice insieme delle parti di un insieme A l’insieme costituito da tutti i sottoinsiemi di A e si indica con P (A) Esempio 2.5.1. • Dato A=∅ si ha P (A) = {∅} 11 CAPITOLO 2. INSIEMI • Dato A = {a} si ha P (A) = {∅, {a}} • Dato A = {a, b} si ha P (A) = {∅, {a}, {b}, {a, b}} Osservazione Se A ha n elementi allora P (A) ha 2n elementi 2.6 2.6.1 Operazioni tra insiemi Unione Definizione 2.6.1 (Unione). Si dice unione di due insiemi A e B l’insieme costituito dagli elementi che appartengono ad A o a B e si scrive A ∪ B La proprietà caratteristica dell’insieme A ∪ B è la disgiunzione delle proprietà caratteristiche di A e B, in simboli: A ∪ B = {x/x ∈ A ∨ x ∈ B} Esempio 2.6.1. Dati A = {1, 2, 3, 4, 5} B = {4, 5, 6, 7} si ha A ∪ B = {1, 2, 3, 4, 5, 6, 7} Osservazioni 1. Se A ⊆ B allora A ∪ B = B 2. A ∪ A = A 3. A ∪ ∅ = A 2.6.2 Intersezione Definizione 2.6.2 (Intersezione). Si dice Intersezione di due insiemi A e B l’insieme costituito dagli elementi comuni ad A e B e si scrive A ∩ B La proprietà caratteristica dell’insieme A ∩ B è la congiunzione delle proprietà caratteristiche di A e B, in simboli: A ∩ B = {x/x ∈ A ∧ x ∈ B} 12 2.6. OPERAZIONI TRA INSIEMI Esempio 2.6.2. Dati A = {1, 2, 3, 4, 5} B = {4, 5, 6, 7} si ha A ∩ B = {4, 5} Osservazioni 1. Se A ⊆ B allora A ∩ B = A 2. A ∩ A = A 3. A ∩ ∅ = ∅ Definizione 2.6.3 (Insiemi disgiunti). Due insiemi si dicono disgiunti se la loro intersezione è l’insieme vuoto, cioè se non hanno elementi in comune Esempio 2.6.3. Gli insiemi A = {1, 2, 3, 4, 5} B = {6, 7} sono disgiunti poiché A∩B =∅ 2.6.3 Differenza Definizione 2.6.4 (Differenza). Si dice differenza di due insiemi A e B l’insieme costituito dagli elementi di A che non appartengono a B e si scrive A − B La proprietà caratteristica dell’insieme A − B è la congiunzione tra la proprietà caratteristica di A e la negazione della proprietà caratteristica di B, in simboli: A − B = {x/x ∈ A ∧ x 6∈ B} Esempio 2.6.4. Dati A = {1, 2, 3, 4, 5} B = {4, 5, 6, 7} si ha A − B = {1, 2, 3} Osservazioni 1. Se A ⊆ B allora A − B = ∅ 2. Se A ∩ B = ∅ allora A − B = A 3. A − A = ∅ 4. A − ∅ = A 13 CAPITOLO 2. INSIEMI 2.6.4 Insieme complementare Definizione 2.6.5 (Insieme complementare). Si dice insieme complementare di un insieme A ⊆ B rispetto a B, l’insieme B − A e si scrive CB (A) Esempio 2.6.5. Dati B = {1, 2, 3, 4, 5} A = {4, 5} si ha CB (A) = {1, 2, 3} Osservazioni 1. CA (A) = ∅ 2. CA (∅) = A 2.6.5 Proprietà delle operazioni tra insiemi Vediamo ora alcune proprietà delle operazioni tra insiemi. Siano A, B, C degli insiemi inclusi nell’insieme U . Valgono le seguenti proprietà: 1. proprietà commutativa: A∪B =B∪A A∩B =B∩A 2. proprietà associativa: A ∪ (B ∪ C) = (A ∪ B) ∪ C A ∩ (B ∩ C) = (A ∩ B) ∩ C 3. proprietà di idempotenza: A∪A=A A∩A=A 4. proprietà distributiva: A ∪ (B ∩ C) = (A ∪ B) ∩ (A ∪ C) A ∩ (B ∪ C) = (A ∩ B) ∪ (A ∩ C) 5. proprietà di assorbimento: A ∪ (A ∩ B) = A A ∩ (A ∪ B) = A 6. leggi di De Morgan: CU (A ∪ B) = CU (A) ∩ CU (B) CU (A ∩ B) = CU (A) ∪ CU (B) 7. proprietà con insieme vuoto e U A∩U =A A∩∅=∅ A∪U =U A∪∅=A A ∩ CU (A) = ∅ A ∪ CU (A) = U 14 2.7. PARTIZIONE DI UN INSIEME 2.7 Partizione di un insieme Definizione 2.7.1 (Partizione). Si dice partizione di un insieme A non vuoto un insieme di sottoinsiemi di A tale che 1. nessun sottoinsieme è vuoto 2. i sottoinsiemi sono disgiunti a due a due 3. l’unione di tutti i sottoinsiemi è uguale all’insieme A Esempio 2.7.1. Dato l’insieme A = {1, 2, 3, 4, 5} • {{1}, {2, 4}.{3, 5}} è una partizione di A • {{1, 2}, {2, 4}.{3, 5}} non è una partizione di A perché gli insiemi {1, 2} e {2, 4} non sono disgiunti. • {{1}, {2, 4}.{3}} non è una partizione di A perché l’unione di tutti i sottoinsiemi è diversa da A. • P(A) non è una partizione perché contiene l’insieme vuoto. 2.8 Prodotto cartesiano Il prodotto cartesiano tra due insiemi si definisce utilizzando il concetto di coppia ordinata. Una coppia ordinata è formata da due elementi a e b disposti in un certo ordine e si indica con (a, b): a è il primo elemento e b il secondo. {a, b} = {b, a} ma (a, b) 6= (b, a) Definizione 2.8.1 (Prodotto cartesiano). Si dice prodotto cartesiano di due insiemi A e B l’insieme costituito dalle coppie ordinate con il primo elemento appartenente ad A e il secondo appartenente a B e si scrive A × B In simboli: A × B = {(a, b)/a ∈ A ∧ b ∈ B} Esempio 2.8.1. Dati gli insiemi A = {a, b, c} B = {1, 2} si ha A × B = {(a, 1), (a, 2), (b, 1), (b, 2), (c, 1), (c, 2)} Osservazioni 1. Se uno dei due insiemi è vuoto, il prodotto cartesiano è l’insieme vuoto 2. Nel prodotto cartesiano i due insiemi possono anche coincidere; in questo caso A×A viene anche indicato con A2 . 15 CAPITOLO 2. INSIEMI 3. Se A ha m elementi e B ha n elementi, allora A × B ha m · n elementi. Definizione 2.8.2 (Diagonale principale). Dato un insieme A si dice diagonale principale e si indica con ∆ il sottoinsieme di A × A costituito dalle coppie ordinate con i due elementi uguali In simboli: ∆ = {(a, a)/a ∈ A} Esempio 2.8.2. Dato A = {a, b, c} si ha ∆ = {(a, a), (b, b), (c, c)} 2.8.1 Rappresentazione grafica del prodotto cartesiano Il prodotto cartesiano A × B si può rappresentare graficamente in due modi 1. utilizzando i diagrammi sagittali: dopo aver rappresentato gli insiemi A e B con i diagrammi di Eulero-Venn si disegnano delle frecce che congiungono tutti gli elementi di A con tutti gli elementi di B. 2. utilizzando i diagrammi cartesiani: si disegnano una retta orizzontale rA e una retta verticale rB ; gli elementi di A si rappresentano con dei trattini su rA , gli elementi di B si rappresentano con dei trattini su rB . La coppia (a, b) è rappresentata dal punto di intersezione tra la retta verticale passante per a e la retta orizzontale passante per b Esempio 2.8.3. • Rappresentiamo con i diagrammi sagittali A × B = {(a, 1), (a, 2), (b, 1), (b, 2), (c, 1), (c, 2)} 1 (a, 1) a (b, 1) (a, 2) (b, 2) b 2 (c, 1) c (c, 2) Figura 2.2: diagramma sagittale • Rappresentiamo con i diagrammi cartesiani A × B = {(a, 1), (a, 2), (b, 1), (b, 2), (c, 1), (c, 2)} 16 2.8. PRODOTTO CARTESIANO rB 2 (a,2) (b,2) 1 (a,1) (b,1) a b (c,2) (c,1) c rA Figura 2.3: diagramma cartesiano 2.8.2 Prodotto cartesiano di più insiemi La definizione di prodotto cartesiano si può estendere a più di due insiemi. Nel caso di tre insiemi, gli elementi di A × B × C sono delle triple ordinate il cui primo elemento appartiene ad A, il secondo a B e il terzo a C. Per determinare tutte le ennuple di un prodotto cartesiano si può utilizzare un diagramma ad albero. L’albero si costriusce dall’alto verso il basso. Dal primo nodo si disegna un ramo per ogni elemento del primo insieme; dai nodi ottenuti si disegna un ramo per ogni elemento del secondo insieme e così via. Per determinare le ennuple è sufficiente seguire i rami. Esempio 2.8.4. Dati A = {a, b, c} B = {T, C} C = {1, 2} Determinare A×B×C Costruiamo il diagramma ad albero: 17 CAPITOLO 2. INSIEMI a T C T 1 2 c b 1 2 1 T C 2 1 2 1 C 2 1 Figura 2.4: diagramma a albero Quindi A × B × C = {(a, T, 1), (a, T, 2), (a, C, 1), (a, C, 2), (b, T, 1), (b, T, 2), (b, C, 1), (b, C, 2), (c, T, 1), (c, T, 2), (c, C, 1), (c, C, 2) 18 2 Capitolo 3 Relazioni tra due insiemi 3.1 Introduzione Definizione 3.1.1 (Relazione). Si dice relazione dall’insieme A nell’insieme B una proposizione aperta in due variabili che ad elementi di A associa elementi di B. Esempio 3.1.1. Dati gli insiemi A = {Roma, Parigi, Vienna}, B = {Francia, Italia} “x è capitale di y” è una proposizione aperta in due variabili che associa a elementi di A elementi di B: a Roma associa Italia e a Parigi associa Francia. In questo modo si ottiene una relazione da A in B. Una relazione la indichiamo con R. L’insieme A si dice insieme di partenza, l’insieme B si dice insieme di arrivo. Se in una relazione R, x ∈ A è in relazione con y ∈ B, si dice che y è immagine di x, x è controimmagine di y e si scrive xRy. L’insieme degli elementi di A che hanno almeno un’immagine si dice dominio e si indica con D. L’insieme degli elementi di B che hanno almeno una controimmagine si dice codominio e si indica con C. Osservazione Il codominio di una relazione è l’insieme delle immagini degli elementi del dominio. 3.2 Grafo Definizione 3.2.1 (Grafo). Data una relazione R da A in B si dice grafo e si indica con G il sottoinsieme di A × B formato da tutte le coppie di elementi in relazione tra di loro, in simboli: G = {(x, y) ∈ A × B/xRy} Poiché la relazione è la proprietà caratteristica del grafo, grafo e relazione si possono identificare, quindi la relazione si può anche definire nel seguente modo: Definizione 3.2.2 (Relazione). Si dice relazione dall’insieme A nell’insieme B un sottoinsieme di A × B Esempio 3.2.1. • Dati gli insiemi A = {1, 2, 3, 4}, B = {2, 4, 8, 10} 19 CAPITOLO 3. RELAZIONI TRA DUE INSIEMI e la relazione R da A in B definita nel seguente modo xRy ⇔ “x è la metà di y” con x ∈ A e y ∈ B si ha: 1R2, 2R4, 4R8 G = {(1, 2), (2, 4), (4, 8)} D = {1, 2, 4} C = {2, 4, 8} • Dati gli insiemi A = {Roma, Parigi, Londra} B = {Tevere, Senna, Danubio} e la relazione R da A in B definita nel seguente modo xRy ⇔ “x è bagnato da y” con x ∈ A e y ∈ B si ha RomaRTevere, ParigiRSenna G = {(Roma,Tevere), (Parigi,Senna)} D = {Roma, Parigi} C = {Tevere, Senna} 3.3 Rapprentazione grafica di una relazione Poichè una relazione è un sottoinsieme del prodotto cartesiano possiamo rappresentarla graficamente con i metodi visti per il prodotto cartesiano: 1. utilizzando i diagrammi sagittali 2. utilizzando i diagrammi cartesiani Esempio 3.3.1. Dati gli insiemi A = {2, 3}, B = {1, 2, 3, 4} e la relazione R da A in B definita nel seguente modo xRy ⇔ “x è un divisore di y” con x ∈ A e y ∈ B si ha: 2R2, 2R4, 3R3 G = {(2, 2), (2, 4), (3, 3)} D = {2, 3} = A C = {2, 3, 4} La rappresentazione con i diagrammi sagittali é 1 2 2 3 4 3 Figura 3.1: diagramma sagittale 20 3.4. RELAZIONE INVERSA La rappresentazione con i diagrammi cartesiani é rB 4 3 2 1 rA 2 3 Figura 3.2: diagramma cartesiano 3.4 Relazione inversa Definizione 3.4.1 (Relazione inversa). Data la relazione R da A in B, si dice relazione inversa di R e si indica con R −1 la relazione da B in A definita nel seguente modo: yR −1 x ⇔ xRy ∀x ∈ A, ∀y ∈ B Il grafo della relazione inversa si ottiene invertendo gli elementi di ogni coppia del grafo della relazione data. Il diagramma sagittale della relazione inversa si ottiene invertendo la direzione di ogni freccia del diagramma sagittale della relazione data. Il diagramma cartesiano della relazione inversa si ottiene invertendo gli assi del diagramma cartesiano della relazione data. Esempio 3.4.1. Dati gli insiemi A = {1, 2, 3, 4, 5}, B = {2, 4, 6, 8, 10} e la relazione R da A in B definita nel seguente modo xRy ⇔ “x è la metà di y” con x ∈ A e y ∈ B si ha: G = {(1, 2), (2, 4), (3, 6), (4, 8), (5, 10)} La relazione inversa R −1 va da B in A ed è definita nel seguente modo xR −1 y ⇔ “x è il doppio di y” con x ∈ B e y ∈ A il suo grafo è: G−1 = {(2, 1), (4, 2), (6, 3), (8, 4), (10, 5)} La rappresentazione con i diagrammi sagittali é 21 CAPITOLO 3. RELAZIONI TRA DUE INSIEMI B A 2 4 1 2 6 8 3 10 4 5 B A 2 4 1 2 6 8 3 10 4 5 La rappresentazione con i diagrammi cartesiani é rB 10 8 6 4 2 rA 1 2 3 22 4 5 3.5. TIPI DI RELAZIONI rA 5 4 3 2 1 rB 2 3.5 4 6 8 10 Tipi di relazioni 3.5.1 Relazioni ovunque definite Definizione 3.5.1 (Relazione ovunque definita). Una relazione R da A in B si dice ovunque definita se e solo se ogni elemento di A ha almeno un’immagine Osservazioni 1. In una relazione ovunque definita il dominio coincide con l’insieme di partenza 2. Una relazione rappresentata con i diagrammi sagittali è ovunque definita se da ogni elemento di A parte almeno una freccia 3. Una relazione rappresentata con i diagrammi cartesiani è ovunque definita se su ogni retta verticale passante per un elemento di A, c’è almeno un punto. Esempio 3.5.1. • Dati gli insiemi A = {1, 2, 4, 5}, B = {2, 4, 8, 10, 12} la relazione R da A in B definita nel seguente modo xRy ⇔ “x è la metà di y” con x ∈ A e y ∈ B è ovunque definita poiché ogni elemento di A ha almeno un’immagine • Dati gli insiemi A, B, la relazione R da A in B rappresentata dal seguente diagramma sagittale 1 2 2 3 3 4 Figura 3.3: relazione ovunque definita è ovunque definita poiché da ogni elemento di A esce almeno una freccia. • Dati gli insiemi A, B, la relazione R da A in B rappresentata dal seguente diagramma cartesiano 23 CAPITOLO 3. RELAZIONI TRA DUE INSIEMI rB 4 3 2 1 rA 2 3 Figura 3.4: relazione ovunque definita è ovunque definita poiché su ogni retta verticale passante per un elemento di A c’è almeno un punto. 3.5.2 Relazioni funzionali Definizione 3.5.2 (Relazione funzionale). Una relazione R da A in B si dice funzionale se e solo se ogni elemento di A ha al più un’immagine Osservazioni 1. Una relazione rappresentata con i diagrammi sagittali è funzionale se da ogni elemento di A parte al più una freccia. 2. Una relazione rappresentata con i diagrammi cartesiani è funzionale se su ogni retta verticale passante per un elemento di A, c’è al più un punto. Esempio 3.5.2. • Dati gli insiemi A = {1, 2, 4, 5}, B = {2, 4, 8, 10, 12} la relazione R da A in B definita nel seguente modo xRy ⇔ “x è la metà di y” con x ∈ A e y ∈ B è funzionale poiché ogni elemento di A ha al più un’immagine. • Dati gli insiemi A, B, la relazione R da A in B rappresentata dal seguente diagramma sagittale 1 2 2 3 3 4 Figura 3.5: relazione funzionale è funzionale poiché da ogni elemento di A esce al più una freccia. • Dati gli insiemi A, B, la relazione R da A in B rappresentata dal seguente diagramma cartesiano 24 3.5. TIPI DI RELAZIONI 4 rB 3 2 1 rA 2 3 Figura 3.6: relazione funzionale è funzionale poiché su ogni retta verticale passante per un elemento di A c’è al più un punto. 3.5.3 Relazioni suriettive Definizione 3.5.3 (Relazione suriettiva). Una relazione R da A in B si dice suriettiva se e solo se ogni elemento di B ha almeno una controimmagine Osservazioni 1. In una relazione suriettiva il codominio coincide con l’insieme di arrivo 2. Una relazione rappresentata con i diagrammi sagittali è suriettiva se a ogni elemento di B arriva almeno una freccia 3. Una relazione rappresentata con i diagrammi cartesiani è suriettiva se su ogni retta orizzontale passante per un elemento di B c’è almeno un punto Esempio 3.5.3. • Dati gli insiemi A = {1, 2, 4, 5}, B = {2, 4, 8} la relazione R da A in B definita nel seguente modo xRy ⇔ “x è la metà di y” con x ∈ A e y ∈ B è suriettiva poiché ogni elemento di B ha almeno una controimmagine. • Dati gli insiemi A, B, la relazione R da A in B rappresentata dal seguente diagramma sagittale 1 2 2 3 4 3 Figura 3.7: relazione suriettiva è suriettiva poiché a ogni elemento di B arriva almeno una freccia. • Dati gli insiemi A, B la relazione R da A in B rappresentata dal seguente diagramma cartesiano 25 CAPITOLO 3. RELAZIONI TRA DUE INSIEMI rB 4 3 2 1 rA 2 3 Figura 3.8: relazione suriettiva è suriettiva poiché su ogni retta orizzontale passante per un elemento di B c’è almeno un punto. 3.5.4 Relazioni iniettive Definizione 3.5.4 (Relazione iniettiva). Una relazione R da A in B si dice iniettiva se e solo se ogni elemento di B ha al più una controimmagine Osservazioni 1. Una relazione rappresentata con i diagrammi sagittali è iniettiva se a ogni elemento di B arriva al più una freccia 2. Una relazione rappresentata con i diagrammi cartesiani è iniettiva se su ogni retta orizzontale passante per un elemento di B c’è al più un punto Esempio 3.5.4. • Dati gli insiemi A = {1, 2, 4, 5}, B = {2, 4, 8, 10, 12} la relazione R da A in B definita nel seguente modo xRy ⇔ “x è la metà di y” con x ∈ A e y ∈ B è iniettiva poiché ogni elemento di B ha al più una controimmagine • Dati gli insiemi A, B, la relazione R da A in B rappresentata dal seguente diagramma sagittale 1 2 3 2 3 4 Figura 3.9: relazione iniettiva è iniettiva poiché a ogni elemento di B arriva al più una freccia • Dati gli insiemi A, B, la relazione R da A in B rappresentata dal seguente diagramma cartesiano 26 3.6. FUNZIONI 4 rB 3 2 1 rA 3 2 Figura 3.10: relazione iniettiva è iniettiva poiché su ogni retta orizzontale passante per un elemento di B c’è al più un punto. 3.6 Funzioni Definizione 3.6.1 (Funzione). Una relazione R da A in B si dice funzione se e solo se è ovunque definita e funzionale. Osservazioni 1. In una funzione il dominio coincide con l’insieme di partenza. 2. Una relazione R da A in B è una funzione se e solo se ogni elemento di A ha una sola immagine. 3. Una relazione rappresentata con i diagrammi sagittali è una funzione se da ogni elemento di A parte una sola freccia. 4. Una relazione rappresentata con i diagrammi cartesiani è una funzione se su ogni retta verticale passante per un elemento di A, c’è un solo punto. Esempio 3.6.1. • Dati gli insiemi A = {1, 2, 4, 5}, B = {2, 4, 8, 10, 12} la relazione R da A in B definita nel seguente modo xRy ⇔ “x è la metà di y” con x ∈ A e y ∈ B è una funzione poiché ogni elemento di A ha una sola immagine • Dati gli insiemi A, B, la relazione R da A in B rappresentata dal seguente diagramma sagittale 1 2 2 3 3 4 Figura 3.11: funzione è una funzione poiché da ogni elemento di A parte una sola freccia • Dati gli insiemi A, B, la relazione R da A in B rappresentata dal seguente diagramma cartesiano 27 CAPITOLO 3. RELAZIONI TRA DUE INSIEMI 4 rB 3 2 1 rA 2 3 Figura 3.12: funzione è una funzione poiché su ogni retta verticale passante per un elemento di A c’è un solo punto. Osservazioni 1. Le funzioni invece che con R normalmente si indicano con f ,g,h. 2. Per indicare che una funzione f va da A in B si scrive f :A→B 3. Nelle funzioni il dominio si indica con D e il codominio si indica con f (D). 4. Se x ∈ A è in relazione con y ∈ B si scrive y = f (x), x si dice variabile indipendente e y variabile dipendente. 5. Se, data la funzione f : A → B, A ed B sono sottoinsiemi dei numeri reali, allora essa è detta funzione reale di variabile reale. In una funzione reale di variabile reale, il dominio può essere dato a priori oppure si considera il dominio massimale; anche l’insieme di arrivo può essere dato a priori oppure si considera R. 6. In una funzione f reale di variabile reale f (x) è l’espressione analitica, y = f (x) è l’equazione cartesiana della funzione. Esempio 3.6.2. Data la funzione f :R→R f (x) = 3x + 2 (espressione analitica) la sua equazione cartesiana è y = 3x + 2 il suo dominio è D=R il suo codominio è f (D) = R 28 3.6. FUNZIONI 3.6.1 Biiezioni Definizione 3.6.2 (Biiezione). Una funzione f : A → B si dice funzione biiettiva o biiezione se e solo se è iniettiva e suriettiva. Osservazioni 1. Una funzione f : A → B è biiettiva se ogni elemento di B ha una sola controimmagine. 2. Una biiezione è anche detta corrispondenza biunivoca. 3. Una funzione rappresentata con i diagrammi sagittali è una biiezione se a ogni elemento di B arriva una sola freccia. 4. Una funzione rappresentata con i diagrammi cartesiani è una biiezione se su ogni retta orizzontale passante per un elemento di B, c’è un solo punto. Esempio 3.6.3. • Dati gli insiemi A = {1, 2, 4, 5}, B = {2, 4, 8, 10} la relazione R da A in B definita nel seguente modo xRy ⇔ “x è la metà di y” con x ∈ A e y ∈ B è una biiezione poiché ogni elemento di A ha una sola immagine e ogni elemento di B ha una sola controimmagine. • Dati gli insiemi A, B, la relazione R da A in B rappresentata dal seguente diagramma sagittale 2 2 4 3 Figura 3.13: biiezione è una biiezione poiché da ogni elemento di A parte una sola freccia e a ogni elemento di B arriva una sola freccia. • Dati gli insiemi A, B, la relazione R da A in B rappresentata dal seguente diagramma cartesiano rB 10 8 6 4 2 rA 1 2 3 4 Figura 3.14: biiezione 29 5 CAPITOLO 3. RELAZIONI TRA DUE INSIEMI è una biiezione poiché su ogni retta verticale passante per un elemento di A e su ogni retta orizzontale passante per un elemento di B c’è un solo punto. 3.6.2 Funzione inversa Definizione 3.6.3 (Funzione inversa). Data la funzione f : A → B, se esiste la funzione f −1 : B → A definita nel seguente modo: x = f −1 (y) ⇔ y = f (x) , ∀x ∈ A, ∀y ∈ B f è invertibile e f −1 è la funzione inversa. Osservazione Una funzione è invertibile, se e solo se è biiettiva; la funzione inversa è ancora biiettiva. Esempio 3.6.4. • Dati gli insiemi A = {1, 2, 3, 4, 5}, B = {2, 4, 6, 8, 10} la funzione f :A→B definita nel seguente modo f (x) = 2x è invertibile perche è una biezione. La funzione inversa è f −1 : B → A definita nel seguente modo f −1 (x) = x 2 La rappresentazione con i diagrammi sagittali é B A 2 4 1 2 6 8 3 10 4 5 30 3.6. FUNZIONI B A 2 4 1 2 6 8 3 10 4 5 La rappresentazione con i diagrammi cartesiani é rB rA 10 5 8 4 6 3 4 2 2 1 rB rA 1 2 3 4 5 2 4 • Dati gli insiemi A = {−2, −1, 0, 1, 2}, B = {0, 1, 2, 3, 4} la funzione f :A→B definita nel seguente modo f (x) = x2 non è invertibile perche non è una biezione. B A 0 -2 1 -1 2 3 0 1 4 2 Figura 3.15: f (x) = x2 31 6 8 10 CAPITOLO 3. RELAZIONI TRA DUE INSIEMI Osservazione Una funzione non invertibile, si può rendere invertibile restringendo opportunamente il dominio e l’insieme di arrivo. Esempio 3.6.5. Dati gli insiemi A = {−2, −1, 0, 1, 2}, B = {0, 1, 2, 3, 4} la funzione f :A→B definita nel seguente modo f (x) = x2 non è invertibile perche non è una biezione. Se restringiamo B ottenendo B1 = {0, 1, 4} la funzione f : A → B1 definita nel seguente modo f (x) = x2 è suriettiva. A B 0 -2 1 -1 0 1 4 2 Figura 3.16: f (x) = x2 Se restringiamo A ottenendo A1 = {0, 1, 2} la funzione f : A1 → B1 definita nel seguente modo f (x) = x2 è una biezione e quindi è invertibile. 32 3.6. FUNZIONI B A 0 0 1 1 2 4 Figura 3.17: f (x) = x2 La funzione inversa è f −1 : B1 → A1 definita nel seguente modo f −1 (x) = 3.6.3 √ x Composizione di funzioni Definizione 3.6.4 (Funzione composta). Siano f : A → B e g : C → D due funzioni tali che il codominio di f sia incluso nel dominio di g. Si dice funzione composta di f e g la funzione g ◦ f : A → D (g composto f ) definita nel seguente modo: (g ◦ f ) (x) = g (f (x)) , ∀x ∈ A Esempio 3.6.6. • Dati gli insiemi A = {−2, −1, 0, 1, 2}, B = {0, 1, 2, 3, 4}, C = {0, 1, 2, 3, 4, 5} e le funzioni f :A→B definita nel seguente modo f (x) = x2 g:B→C definita nel seguente modo g(x) = x + 1 Determiniamo g◦f 33 CAPITOLO 3. RELAZIONI TRA DUE INSIEMI -2 0 1 2 g◦f -1 3 4 0 1 5 2 g f 0 1 2 3 4 Figura 3.18: g ◦ f Il codominio di f è incluso nel dominio di g. g◦f :A→C Ä ä (g ◦ f ) (x) = g (f (x)) = g x2 = x2 + 1 • Date le funzioni f :R→R f (x) = 2x g:R→R g (x) = x + 2 determiniamo g◦f Il codominio di f è incluso nel dominio di g. g◦f :R→R (g ◦ f ) (x) = g (f (x)) = g (2x) = 2x + 2 La composizione di funzioni non è commutativa. Infatti, date le due funzioni precedenti, poiché il codominio di g è incluso nel dominio di f , si può determinare f ◦ g: f ◦g :R→R (f ◦ g) (x) = f (g (x)) = f (x + 2) = 2 (x + 2) = 2x + 4 Pertanto g ◦ f 6= f ◦ g. 34 Capitolo 4 Relazioni in un insieme 4.1 Introduzione Se gli insiemi A e B tra cui è definita una relazione coincidono, si ha una relazione che va da A in A; essa si può anche interpretare come relazione tra gli elementi di A e in questo caso si dice relazione in A. Esempio 4.1.1. Dato l’insieme A = {padre, madre, figlio, figlia} e la relazione R definita nel seguente modo xRy ⇔ “x è genitore di y” con x, y ∈ A consideriamo la sua rappresentiamola con i diagrammi sagittali, prima con due insiemi e poi con un insieme. A A padre madre figlio figlia padre madre figlio figlia Figura 4.1: diagramma sagittale con due insiemi A padre figlio madre figlia Figura 4.2: diagramma sagittale con un insieme Osservazione Per le relazioni in un insieme non utilizzeremo la rapprentazione con i diagrammi cartesiani 4.2 Proprietà delle relazioni in un insieme Una relazione in un insieme può godere delle seguenti proprietà: 35 CAPITOLO 4. RELAZIONI IN UN INSIEME • riflessiva • simmetrica • antisimmetrica • transitiva 4.2.1 Proprietà riflessiva Definizione 4.2.1 (Riflessiva). Una relazione R in un insieme A gode della proprietà riflessiva se e solo se ∀x ∈ A xRx cioè ogni elemento è in relazione con se stesso. La relazione R in A, rappresentata per elencazione, gode della proprietà riflessiva se per ogni elemento x di A il grafo contiene la coppia (x, x). La relazione R in A, rappresentata con i diagrammi sagittali, gode della proprietà riflessiva se ogni elemento ha un cappio, cioè un arco che entra e esce dallo stesso punto. Esempio 4.2.1. Dato l’insieme A = {2, 3, 4} e la relazione R definita nel seguente modo xRy ⇔ “x 6 y con x, y ∈ A, verifichiamo se gode della proprietà riflessiva. Il grafo di R è: G = {(2, 2), (2, 3), (2, 4), (3, 3), (3, 4), (4, 4)} Poiché il grafo contiene le coppie (2, 2), (3, 3), (4, 4), R gode della proprietà riflessiva. La rappresentazione con i diagrammi sagittali di R è: A 3 2 4 Figura 4.3: diagramma sagittale di x 6 y Poiché nella rappresentazione con i diagrammi sagittali ogni elemento ha un cappio, R gode della proprietà riflessiva. 4.2.2 Proprietà simmetrica Definizione 4.2.2 (Simmetrica). Una relazione R in un insieme A gode della proprietà simmetrica se e solo se ∀x, y ∈ A xRy ⇒ yRx cioè se un elemento x è in relazione con un elemento y allora y deve essere in relazione con x 36 4.2. PROPRIETÀ DELLE RELAZIONI IN UN INSIEME La relazione R in A, rappresentata per elencazione, gode della proprietà simmetrica se per ogni coppia (x, y) esiste anche la coppia (y, x). La relazione R in A, rappresentata con i diagrammi sagittali, gode della proprietà simmetrica se per ogni freccia da x a y esiste la freccia da y a x. Esempio 4.2.2. Dato l’insieme A = {2, 3, 4, 6} e la relazione R definita nel seguente modo xRy ⇔ “x · y = 12 con x, y ∈ A, verifichiamo se gode della proprietà simmetrica. Il grafo di R è: G = {(2, 6), (6, 2), (3, 4), (4, 3)} Poiché il grafo contiene le coppie (2, 6), (6, 2) e le coppie (3, 4), (4, 3), R gode della proprietà simmetrica. La rappresentazione con i diagrammi sagittali di R è: A 3 2 6 4 Figura 4.4: diagramma sagittale di x · y = 12 Poiché nella rappresentazione con i diagrammi sagittali per ogni freccia da x a y c’è una freccia da y a x, R gode della proprietà simmetrica. 4.2.3 Proprietà antisimmetrica Definizione 4.2.3 (Antisimmetrica). Una relazione R in un insieme A gode della proprietà antisimmetrica se e solo se x ∀x, y ∈ A x 6= y ∧ xRy ⇒ y R cioè se un elemento x è in relazione con un elemento y 6= x allora y non deve essere in relazione con x La relazione R in A, rappresentata per elencazione, gode della proprietà antisimmetrica se per ogni coppia (x, y) con x 6= y non esiste la coppia (y, x). La relazione R in A, rappresentata con i diagrammi sagittali, gode della proprietà antisimmetrica se per ogni freccia da x a y 6= x non esiste la freccia da y a x. Esempio 4.2.3. Dato l’insieme A = {2, 3, 4} e la relazione R definita nel seguente modo xRy ⇔ “x < y” con x, y ∈ A, verifichiamo se gode della proprietà antisimmetrica. Il grafo di R è: G = {(2, 3), (2, 4), (3, 4)} 37 CAPITOLO 4. RELAZIONI IN UN INSIEME Poiché il grafo contiene: la coppia (2, 3) ma non la coppia (3, 2), la coppia (2, 4) ma non la coppia (4, 2), la coppia (3, 4) ma non la coppia (4, 3), R gode della proprietà antisimmetrica. La rappresentazione con i diagrammi sagittali di R è: A 2 3 4 Figura 4.5: diagramma sagittale di x < y Poiché nella rappresentazione con i diagrammi sagittali per ogni freccia non c’è la freccia di ritorno, R gode della proprietà antisimmetrica. Esiste una definizione equivalente di proprietà antisimmetrica che può essere utile nelle dimostrazioni: Definizione 4.2.4 (Antisimmetrica). Una relazione R in un insieme A gode della proprietà antisimmetrica se e solo se ∀x, y ∈ A xRy ∧ yRx ⇒ x = y cioè se un elemento x è in relazione con un elemento y e y è in relazione con x allora gli elementi sono uguali 4.2.4 Proprietà transitiva Definizione 4.2.5 (Transitiva). Una relazione R in un insieme A gode della proprietà transitiva se e solo se ∀x, y, z ∈ A xRy ∧ yRz ⇒ xRz cioè se un elemento x è in relazione con un elemento y e y è in relazione con un elemento z allora x è in relazione con z La relazione R in A, rappresentata per elencazione, gode della proprietà transitiva se, quando esistono le coppie (x, y), (y, z), esiste la coppia (x, z). La relazione R in A, rappresentata con i diagrammi sagittali, gode della proprietà transitiva se quando esistono le frecce da x a y e da y a z, esiste la freccia da x a z. Esempio 4.2.4. Dato l’insieme A = {2, 3, 4} e la relazione R definita nel seguente modo xRy ⇔ “x < y” con x, y ∈ A, verifichiamo se gode della proprietà transitiva. Il grafo di R è: G = {(2, 3), (2, 4), (3, 4)} Poiché il grafo contiene: le coppie (2, 3), (3, 4) e la coppia (2, 4), R gode della proprietà transitiva. La rappresentazione con i diagrammi sagittali di R è: 38 4.3. RELAZIONE D’ORDINE A 2 3 4 Figura 4.6: diagramma sagittale di x < y Poiché nella rappresentazione con i diagrammi sagittali ci sono le frecce che vanno da 2 a 3 e da 3 a 4 e la freccia che va da 2 a 4, R gode della proprietà transitiva. 4.3 Relazione d’ordine Definizione 4.3.1 (Relazione d’ordine). Una relazione in un insieme si dice d’ordine se e solo se gode delle proprietà riflessiva, antisimmetrica, transitiva. Esempio 4.3.1. La relazione R definita nel seguente modo xRy ⇔ “x 6 y” con x, y ∈ N gode delle proprietà riflessiva, antisimmetrica e transitiva e quindi è una relazione d’ordine. Definizione 4.3.2 (Elementi confrontabili). Data una relazione d’ordine R in un insieme A, due elementi x, y ∈ A con x 6= y si dicono confrontabili se e solo se xRy ∨ yRx Esempio 4.3.2. • Sia R la relazione d’ordine definita nel seguente modo xRy ⇔ “x 6 y” con x, y ∈ N, gli elementi 5 e 3 sono confrontabili perché 365 • Dato l’insieme A = {1, 2} e la relazione d’ordine R definita nel seguente modo XRY ⇔ “X ⊆ Y ” con X, Y ∈ P(A), gli elementi {1} e {1, 2} sono confrontabili perché {1} ⊆ {1, 2} gli elementi {1} e {2} non sono confrontabili perché {1} 6⊆ {2} ∧ {2} 6⊆ {1} Definizione 4.3.3 (Relazione d’ordine totale). Una relazione d’ordine R in un insieme A si dice totale se e solo se tutti gli elementi di A sono confrontabili, in simboli ∀x, y ∈ A, con x 6= y xRy ∨ yRx Esempio 4.3.3. La relazione d’ordine R definita nel seguente modo xRy ⇔ “x 6 y” con x, y ∈ N, è una relazione d’ordine totale Definizione 4.3.4 (Relazione d’ordine parziale). Una relazione d’ordine R in un insieme A si dice parziale se e solo se non è totale Esempio 4.3.4. Dato l’insieme A con almeno due elementi, la relazione d’ordine R definita nel seguente modo XRY ⇔ “X ⊆ Y ” con X, Y ∈ P(A), è una relazione d’ordine parziale 39 CAPITOLO 4. RELAZIONI IN UN INSIEME 4.3.1 Massimo e minimo di un insieme Definizione 4.3.5 (Massimo). Dati un insieme non vuoto A e una relazione d’ordine R in A, si dice che M ∈ A è il massimo di A, se e solo se ∀x ∈ A xRM e si indica con max (A). Se il massimo esiste, è unico. Esempio 4.3.5. • Dati A = {3, 4} xRy ⇔ “x 6 y” con x, y ∈ A si ha max (A) = 4 • Dati A = R− xRy ⇔ “x 6 y” con x, y ∈ A il massimo non esiste Definizione 4.3.6 (Minimo). Dati un insieme non vuoto A e una relazione d’ordine R in A, si dice che m ∈ A è il minimo di A, se e solo se ∀x ∈ A mRx e si indica con min (A). Se il minimo esiste, è unico. Esempio 4.3.6. • Dati A = {3, 4} xRy ⇔ “x 6 y” con x, y ∈ A si ha min (A) = 3 • Dati A = R+ xRy ⇔ “x 6 y” con x, y ∈ A il minimo non esiste Osservazioni 1. Per determinare il minimo di un insieme A è sufficiente rispondere alla domanda: qual’è l’elemento di A “relazione” di tutti? 2. Per determinare il massimo di un insieme A è sufficiente rispondere alla domanda: tutti gli elementi di A sono “relazione” di? Esempio 4.3.7. Dati A = {2, 4, 8} xRy ⇔ “x è multiplo di y” con x, y ∈ A Qual’è l’elemento di A multiplo di tutti? 8, quindi min (A) = 8 Tutti gli elementi di A sono multipli di? 2, quindi max (A) = 2 40 4.4. RELAZIONE DI EQUIVALENZA 4.4 Relazione di equivalenza Definizione 4.4.1 (Relazione di equivalenza). Una relazione in un insieme si dice relazione di equivalenza se e solo se gode delle proprietà riflessiva, simmetrica, transitiva. Esempio 4.4.1. Dato l’insieme A = allievi del Pascal La relazione R definita nel seguente modo xRy ⇔ “x frequenta la stessa classe di y” con x, y ∈ A gode delle proprietà riflessiva, simmetrica e transitiva e quindi è una relazione di equivalenza Definizione 4.4.2 (Classe di equivalenza). Dati una relazione di equivalenza R in un insieme A e x ∈ A, si dice classe di equivalenza di rappresentante x l’insieme di tutti gli elementi di A che sono in relazione con x e si indica con [x], in simboli: [x] = {y ∈ A/yRx} Osservazione Ogni classe di equivalenza è un sottoinsieme di A. Esempio 4.4.2. Dato l’insieme A = allievi della classe La relazione R definita nel seguente modo xRy ⇔ “x ha lo stesso sesso di y” con x, y ∈ A è una relazione di equivalenza. Si hanno due classi di equivalenza [Davide] = {Davide,Luca, Alberto, Matteo, . . .} [Manuela] = {Manuela, Francesca, Chiara, Giulia, . . .} Come rappresentante della classe possiamo prendere un qualsiasi elemento della classe [Davide] = [Luca] Si può anche dare un nome alla classe: classe maschi e classe femmine: maschi = {Davide,Luca, Alberto, Matteo, . . .} femmine = {Manuela, Francesca, Chiara, Giulia, . . .} Teorema 4.4.1 (Classi di equivalenza). Data una relazione di equivalenza R in un insieme A, le classi di equivalenza che si ottengono soddisfano le seguenti proprietà 1. nessuna classe di equivalenza è vuota. 2. l’unione delle classi di equivalenza dà A 3. le classi di equivalenza distinte sono disgiunte a due a due. Dimostrazione 1. ∀a ∈ A consideriamo la classe [a]. Poiché vale la proprietà riflessiva si ha aRa ⇒ a ∈ [a] quindi la classe [a] contiene almeno l’elemento a. 41 CAPITOLO 4. RELAZIONI IN UN INSIEME 2. ∀a ∈ A, a ∈ [a] quindi l’unione delle classi di equivalenza dà A 3. Effettuiamo la dimostrazione per assurdo. Siano [a] e [b] due classi di equivalenza distinte, cioè [a] 6= [b]. Supponiamo per assurdo che non siano disgiunte, cioè: [a] ∩ [b] 6= ∅ quindi esiste c ∈ A tale che c ∈ [a] ∧ c ∈ [b] cioè cRa ∧ cRb poiché valgono le proprietà simmetrica e transitiva si ha aRc ∧ cRb aRb quindi [a] = [b] questo è assurdo perché, per ipotesi, [a] 6= [b] Teorema 4.4.2 (Classi di equivalenza e partizione). Data una relazione di equivalenza R in un insieme A, le classi di equivalenza che si ottengono formano una partizione di A La dimostrazione è ovvia in base alle proprietà appena viste sulle classi di equivalenza. Definizione 4.4.3 (Insieme quoziente). Data una relazione di equivalenza R in un insieme A, si dice insieme quoziente di A rispetto a R e si indica con A/R l’insieme che ha come elementi le classi di equivalenza, in simboli: A/R = {[a]/a ∈ A} Esempio 4.4.3. Dato l’insieme A = allievi della classe La relazione R definita nel seguente modo xRy ⇔ “x ha lo stesso sesso di y con x, y ∈ A individua le classi di equivalenza: maschi, femmine. L’insieme quoziente è A/R = {maschi, femmine} 42 Capitolo 5 Numeri naturali 5.1 Introduzione I numeri naturali hanno origine antica, sono nati per contare per esempio le pecore solo in seguito diventarono astratti. Se pensate al numero 4 non dovete per forza associarlo a qualcosa come le stagioni, o come i punti cardinali, il 4 indica qualcosa comune ai due insiemi, il loro numero di elementi. L’insieme dei numeri naturali è infinito e viene indicato con N. N = {0, 1, 2, 3, 4, 5, . . .} Con N0 indichiamo l’insieme dei numeri naturali privati dello 0: N0 = {1, 2, 3, 4, 5, . . .} 5.2 Addizione e moltiplicazione Nell’insieme dei numeri naturali sono definite due operazioni: l’addizione e la moltiplicazione. L’addizione si indica con +: a ogni coppia ordinata (a, b) ∈ N × N viene associato c = a + b ∈ N; a e b si dicono addendi, c si dice somma. La moltiplicazione si indica con ·: a ogni coppia ordinata (a, b) ∈ N × N viene associato c = a · b ∈ N; a e b si dicono fattori, c si dice prodotto. 5.2.1 Proprietà Vediamo ora alcune proprietà dell’addizione 1. proprietà commutativa: ∀a, b ∈ N a + b = b + a 2. proprietà associativa: ∀a, b, c ∈ N a + (b + c) = (a + b) + c 3. proprietà di esistenza dell’elemento neutro: ∃0 ∈ N/∀a ∈ N a + 0 = a Vediamo ora alcune proprietà della moltiplicazione 1. proprietà commutativa: ∀a, b ∈ N a · b = b · a 43 CAPITOLO 5. NUMERI NATURALI 2. proprietà associativa: ∀a, b, c ∈ N a · (b · c) = (a · b) · c 3. proprietà di esistenza dell’elemento neutro: ∃1 ∈ N/∀a ∈ N a · 1 = a 4. proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto all’addizione: ∀a, b, c ∈ N a · (b + c) = (a · b) + (a · c) 5. proprietà di esistenza dell’elemento nullificatore: ∃0 ∈ N/∀a ∈ N a · 0 = 0 6. legge di annullamento del prodotto ∀a, b ∈ N a · b = 0 ⇔ a = 0 ∨ b = 0 Osservazione La proprietà associativa ci permette di scrivere la somma o il prodotto di più numeri senza parentesi. Esempio 5.2.1. • 3 + (2 + 5) = 3 + 2 + 5 = 10 • 3 · (2 · 5) = 3 · 2 · 5 = 30 5.2.2 Precedenza delle operazioni Nelle espressioni numeriche, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza: 1. moltiplicazione 2. addizione Esempio 5.2.2. Semplifichiamo l’espressione 5 + 3 · 2 + 4 · (2 + 2 · 7) = 5 + 6 + 4 · (2 + 14) = 11 + 4 · 16 = 11 + 64 = 75 5.3 5.3.1 Relazioni nell’insieme dei numeri naturali Relazioni minore e maggiore Definizione 5.3.1 (Relazione minore o uguale). Dati a, b ∈ N si dice che a è minore o uguale di b se e solo se esiste d ∈ N tale che a + d = b, in simboli: a 6 b ⇔ ∃d ∈ N/a + d = b con a, b ∈ N Esempio 5.3.1. 44 5.3. RELAZIONI NELL’INSIEME DEI NUMERI NATURALI • 365 perché ∃2 ∈ N/3 + 2 = 5 • 363 perché ∃0 ∈ N/3 + 0 = 3 Teorema 5.3.1 (Relazione minore o uguale). La relazione minore o uguale in N è d’ordine. Definizione 5.3.2 (Relazione minore ). Dati a, b ∈ N si dice che a è minore di b se e solo se a è minore o uguale di b e a è diverso da b, in simboli: a < b ⇔ a 6 b ∧ a 6= b con a, b ∈ N Esempio 5.3.2. 3<5 perché 3 6 5 ∧ 3 6= 5 Definizione 5.3.3 (Relazione maggiore o uguale). Dati a, b ∈ N si dice che a è maggiore o uguale di b se e solo se b è minore o uguale di a, in simboli: a > b ⇔ b 6 a con a, b ∈ N Esempio 5.3.3. 5>3 perché 365 Definizione 5.3.4 (Relazione maggiore). Dati a, b ∈ N si dice che a è maggiore di b se e solo se b è minore di a, in simboli: a > b ⇔ b < a con a, b ∈ N Esempio 5.3.4. 5>3 perché 3<5 La relazione d’ordine minore o uguale è totale e permette di rappresentare i numeri naturali su una retta orientata. 0 1 2 3 4 5 6 7 Figura 5.1: numeri naturali Ogni numero naturale ammette successivo: il successivo di n è n + 1 Esempio 5.3.5. Il successivo di 5 è 6 45 8 CAPITOLO 5. NUMERI NATURALI Compatibilità La relazione d’ordine minore o uguale è compatibile con le operazioni di addizione e moltiplicazione: • ∀a, b, c ∈ N a 6 b ⇒ a + c 6 b + c • ∀a, b, c ∈ N a 6 b ⇒ a · c 6 b · c La compatibilità si ha anche per le relazioni maggiore o uguale, uguale. Nel caso delle relazioni minore e maggiore, la compatibilità si ha per l’addizione, mentre per la moltiplicazione si ha se c 6= 0 5.3.2 Relazioni divisore e multiplo Definizione 5.3.5 (Relazione divisore). Dati a, b ∈ N si dice che a è divisore di b se e solo se esiste q ∈ N tale che aq = b, in simboli: a|b ⇔ ∃q ∈ N/aq = b con a, b ∈ N Esempio 5.3.6. • 3|6 perché ∃2 ∈ N/3 · 2 = 6 • 3|3 perché ∃1 ∈ N/3 · 1 = 3 • 3|0 perché ∃0 ∈ N/3 · 0 = 0 • 0|0 perché ∃3 ∈ N/0 · 3 = 0 Teorema 5.3.2 (Relazione divisore). La relazione divisore in N è d’ordine. Osservazione La relazione divisore in N è di ordine parziale perché per esempio 2 non è in relazione con 3. Definizione 5.3.6 (Relazione multiplo). Dati a, b ∈ N si dice che a è multiplo di b se e solo se b è divisore di a, in simboli: a è multiplo di b ⇔ b|a con a, b ∈ N Esempio 5.3.7. • 6 è multiplo di 3 perché 3|6 46 5.4. SOTTRAZIONE • 0 è multiplo di 3 perché 3|0 • 0 è multiplo di 0 perché 0|0 Definizione 5.3.7 (Numero pari). Un numero naturale si dice pari se è un multiplo di 2 L’insieme dei numeri pari naturali si indica con P Definizione 5.3.8 (Numero dispari). Un numero naturale si dice dispari se non è un multiplo di 2 L’insieme dei numeri dispari naturali si indica con D Esempio 5.3.8. • 6 è un numero pari perché è un multiplo di 2 • 0 è un numero pari perché è un multiplo di 2 • 5 è un numero dispari perché è non un multiplo di 2 Osservazione Un generico numero pari si indica con 2n e un generico numero dispari si indica con 2n + 1 dove n ∈ N 5.4 Sottrazione La sottrazione è un’operazione che non è sempre possibile effettuare in N. La sottrazione si indica con − ed è definita nel seguente modo: a ogni coppia ordinata (a, b) ∈ N × N con a > b viene associato d = a − b che è il numero naturale che addizionato a b dà a. In simboli a − b = d ⇔ a = b + d con a, b, d ∈ N ∧ a > b a si dice minuendo, b si dice sottraendo, d si dice differenza. Esempio 5.4.1. • 3−2=1 perché 1+2=3 • 3−4 non si può effettuare perché 3 < 4 Osservazione La sottrazione non gode delle proprietà commutativa e associativa Ogni numero naturale non nullo ammette precedente: il precedente di n è n − 1 Esempio 5.4.2. Il precedente di 5 è 4 47 CAPITOLO 5. NUMERI NATURALI 5.4.1 Precedenza delle operazioni Nelle espressioni numeriche, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza: 1. moltiplicazione 2. addizione, sottrazione Esempio 5.4.3. Semplifichiamo l’espressione (5 · 4 − 2 · 7 + 1) · 2 + 3 − 6 · 2 = (20 − 14 + 1) · 2 + 3 − 12 = 7 · 2 + 3 − 12 = 14 + 3 − 12 = 17 − 12 = 5 5.5 Divisione La divisione è un’operazione che non è sempre possibile effettuare in N La divisione si indica con : ed è definita nel seguente modo: a ogni coppia ordinata (a, b) ∈ N × N0 con a multiplo di b viene associato q = a : b che è il numero naturale che moltiplicato per b dà a In simboli a : b = q ⇔ a = b · q con a, q ∈ N, b ∈ N0 ∧ a multiplo di b a si dice dividendo, b si dice divisore, q si dice quoziente Esempio 5.5.1. • 6:2=3 perché 3·2=6 • 3:2 non si può effettuare perché 3 non è multiplo di 2 Osservazioni 1. La divisione non gode delle proprietà commutativa e associativa. 2. La divisione gode della proprietà distributiva a destra rispetto all’addizione e alla sottrazione: ∀a, b ∈ N, c ∈ N0 con a, b multipli di c (a + b) : c = (a : c) + (b : c) ∀a, b ∈ N, c ∈ N0 con a, b multipli di c ∧ a > b (a − b) : c = (a : c) − (b : c) 3. Non si può dividere a 6= 0 per 0, perchè nessun numero naturale moltiplicato per 0 dà a quindi un numero naturale non nullo diviso 0 è impossibile. 4. 0 : 0 è indeterminato perché qualsiasi numero naturale moltiplicato per 0 dà 0 5. Se a 6= 0 allora 0 : a = 0 48 5.6. POTENZA 5.5.1 Precedenza delle operazioni Nelle espressioni numeriche, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza: (a) moltiplicazione, divisione (b) addizione, sottrazione Esempio 5.5.2. Semplifichiamo l’espressione [5 · (10 − 2) + 12 : (10 + 2)] · 2 − 3 · (8 − 2 · 3) = [5 · 8 + 12 : 12] · 2 − 3 · (8 − 6) = [40 + 1] · 2 − 3 · 2 = 41 · 2 − 6 = 82 − 6 = 76 5.5.2 Criteri di divisibilità I criteri di divisibilità ci permettono di stabilire se un numero è divisibile per un altro senza effettuare la divisione. 1. Un numero naturale è divisibile per 2 se l’ultima cifra è pari 2. Un numero naturale è divisibile per 3 se la somma delle cifre è un multiplo di 3 3. Un numero naturale è divisibile per 5 se l’ultima cifra è 0 o 5 4. Un numero naturale è divisibile per 11 se la differenza tra la somma delle cifre di posto pari e la somma delle cifre di posto dispari è un multiplo di 11 Esempio 5.5.3. • 328 è divisibile per 2 perché l’ultima cifra è 8 che è pari • 324 è divisibile per 3 perché la somma delle cifre è 9 che è un multiplo di 3 • 325 è divisibile per 5 perché l’ultima cifra è 5 • 1221 è divisibile per 11 perché la differenza tra la somma delle cifre di posto pari e la somma delle cifre di posto dispari è 0 che è un multiplo di 11 5.6 Potenza Definizione 5.6.1 (Potenza). Si dice potenza avente per base un numero naturale a ed esponente un numero naturale n > 1 il prodotto di n fattori uguali ad a. In simboli: an = |a · .{z . . · a}, con a, n ∈ N ∧ n > 1 n La condizione n > 1 è dovuta al fatto che per effettuare un prodotto occorrono due fattori, perciò, secondo la definizione data, non si può parlare di potenza con esponente 0 o 1. Si pone per convenzione: a1 = a e, per a 6= 0, a0 = 1 00 non ha significato 49 CAPITOLO 5. NUMERI NATURALI Esempio 5.6.1. • 23 = 2 · 2 · 2 = 8 • 21 = 2 • 20 = 1 5.6.1 Proprietà delle potenze Per le potenze valgono le seguenti proprietà: 1. ap · aq = ap+q 2. ap : aq = ap−q con p > q 3. (ap )q = ap·q 4. ap · bp = (a · b)p 5. ap : bp = (a : b)p con a multiplo di b con a, b ∈ N0 , p, q ∈ N Esempio 5.6.2. • 23 · 25 = 28 • 35 : 32 = 33 • 23 4 = 212 • 23 · 43 = 83 • 63 : 23 = 33 5.6.2 Precedenza delle operazioni Nelle espressioni numeriche, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza: 1. potenza 2. moltiplicazione, divisione 3. addizione, sottrazione Esempio 5.6.3. Semplifichiamo l’espressione 23 + 22 · nî 12 − 32 · (15 − 13 + 2) : 62 ó2 o : 11 + 26 : 23 − 24 : 6 − 32 = 23 + 22 · [12 − 9 · 4 : 36]2 : 11 + 23 − 24 : 6 − 32 = ¶ ¶ © © 23 + 22 · 112 : 11 + 8 − 16 : 6 − 32 = 23 + 22 · {11 + 8 − 16} : 6 − 32 = 8+4·3:6−9= 8+2−9=1 sectionNumeri primi Definizione 5.6.2 (Numero primo). Si dice numero primo un numero naturale maggiore di 1 che ha come divisori solo 1 e se stesso 50 5.7. MASSIMO COMUNE DIVISORE E MINIMO COMUNE MULTIPLO Esempio 5.6.4. I numeri 2, 3, 5, 7, 11, 13, 17, 19 sono primi Teorema 5.6.1 (Numeri primi infiniti). L’insieme dei numeri primi è infinito Teorema 5.6.2 (Teorema fondamentale dell’aritmetica). Ogni numero naturale maggiore di 1 si può scrivere come prodotto di fattori primi e tale scomposizione è unica, a meno dell’ordine dei fattori Esempio 5.6.5. Scomponiamo in fattori primi il numero 328 328 164 82 41 1 2 2 2 41 328 = 23 · 41 5.7 Massimo comune divisore e minimo comune multiplo Definizione 5.7.1 (Massimo comune divisore). Si dice massimo comune divisore di due numeri a, b ∈ N0 il maggiore dei divisori comuni ad a e a b e si indica con MCD(a, b) Osservazione MCD(a, b) = MCD(b, a) Esempio 5.7.1. Consideriamo i numeri 12 e 18. I divisori di 12 sono 1, 2, 3, 4, 6, 12 I divisori di 18 sono 1, 2, 3, 6, 9, 18 I divisori comuni di 12 e 18 sono 1, 2, 3, 6 il maggiore dei divisori comuni è 6 Quindi MCD(12, 18) = 6 Per calcolare il MCD(a, b), con a 6= 1 ∧ b 6= 1: 1. si scompongono a e b in fattori primi 51 CAPITOLO 5. NUMERI NATURALI 2. il massimo comune divisore è il prodotto dei fattori comuni presi una volta sola con il minimo esponente, 1 se non ci sono fattori comuni Inoltre MCD(a, 1) = 1 Esempio 5.7.2. Consideriamo i numeri 12 e 18. Scomponiamo 12: 12 = 22 · 3 Scomponiamo 18: 18 = 2 · 32 Quindi MCD(12, 18) = 2 · 3 = 6 Osservazione Il massimo comune divisore si può estendere a più di due numeri naturali Esempio 5.7.3. Calcoliamo il massimo comune divisore di 16, 24, 36. Scomponiamo 16: 16 = 24 Scomponiamo 24: 24 = 23 · 3 Scomponiamo 36: 36 = 22 · 32 Quindi MCD(16, 24, 36) = 22 = 4 Definizione 5.7.2 (Numeri primi tra loro). Due numeri a, b ∈ N0 si dicono primi tra loro se MCD(a, b) = 1 Esempio 5.7.4. Consideriamo i numeri 15 e 16. Scomponiamo 15: 15 = 3 · 5 Scomponiamo 16: 16 = 24 MCD(15, 16) = 1 quindi 15 e 16 sono primi tra loro Osservazione Due numeri primi tra loro non necessariamente sono primi. 52 5.7. MASSIMO COMUNE DIVISORE E MINIMO COMUNE MULTIPLO Definizione 5.7.3 (Minimo comune multiplo). Si dice minimo comune multiplo di due numeri a, b ∈ N0 il minore dei multipli non nulli comuni ad a e a b e si indica con mcm(a, b) Osservazione mcm(a, b) = mcm(b, a) Esempio 5.7.5. Consideriamo i numeri 12 e 18. I multipli di 12 escluso lo 0 sono 12, 24, 36, 48, 60, 72, . . . I multipli di 18 escluso lo 0 sono 18, 36, 54, 72, . . . I multipli comuni non nulli di 12 e 18 sono 36, 72, . . . il minore dei multipli comuni è 36 Quindi mcm(12, 18) = 36 Per calcolare il mcm(a, b), con a 6= 1 ∧ b 6= 1: 1. si scompongono a e b in fattori primi 2. il minimo comune multiplo è il prodotto dei fattori comuni e non comuni presi una volta sola con il massimo esponente Inoltre mcm(a, 1) = a Esempio 5.7.6. Consideriamo i numeri 12 e 18. Scomponiamo 12: 12 = 22 · 3 Scomponiamo 18: 18 = 2 · 32 Quindi mcm(12, 18) = 22 · 32 = 36 Osservazione Il minimo comune multiplo si può estendere a più di due numeri naturali 53 CAPITOLO 5. NUMERI NATURALI Esempio 5.7.7. Calcoliamo il minimo comune multiplo di 16, 24, 36. Scomponiamo 16: 16 = 24 Scomponiamo 24: 24 = 23 · 3 Scomponiamo 36: 36 = 22 · 32 Quindi mcm(16, 24, 36) = 24 · 32 = 144 Teorema 5.7.1 (Massimo comune divisore e minimo comune multiplo). Il prodotto tra il massimo comune divisore e il minimo comune multiplo di due numeri è uguale al prodotto dei due numeri. In simboli: MCD(a, b) · mcm(a, b) = a · b Esempio 5.7.8. Consideriamo i numeri 12 e 18 MCD(12, 18) = 6 mcm(12, 18) = 36 12 · 18 = 216 6 · 36 = 216 54 Capitolo 6 Numeri interi 6.1 Introduzione Abbiamo visto che i numeri naturali sono nati per contare gli elementi di un insieme. I numeri naturali non sono sufficienti per risolvere alcuni problemi pratici come, per esempio, esprimere una temperatura. Si è quindi ampliato l’insieme dei numeri naturali introducendo l’insieme dei numeri interi. I numeri interi si esprimono scrivendo i numeri naturali preceduti dal segno − (numeri interi negativi) o dal segno + (numeri interi positivi). Lo 0 non è preceduto da alcun segno. L’insieme dei numeri interi è infinito e viene indicato con Z. Z = {. . . , −5, −4, −3, −2, −1, 0, +1, +2, +3, +4, +5, . . .} Con Z− indichiamo l’insieme dei numeri interi negativi Z− = {. . . , −3, −2, −1} Con Z+ indichiamo l’insieme dei numeri interi positivi Z+ = {+1, +2, +3, . . .} Con Z0 indichiamo l’insieme dei numeri interi privati dello 0: Z0 = {. . . , −5, −4, −3, −2, −1, +1, +2, +3, +4, +5, . . .} Osservazione Se un numero intero è preceduto da un simbolo di operazione, si racchiude il numero tra parentesi. 6.2 Addizione e moltiplicazione Nell’insieme dei numeri interi sono definite due operazioni: l’addizione e la moltiplicazione. L’addizione si indica con +: a ogni coppia ordinata (a, b) ∈ Z × Z viene associato c = a + b ∈ Z; a e b si dicono addendi, c si dice somma. La moltiplicazione si indica con ·: a ogni coppia ordinata (a, b) ∈ Z × Z viene associato c = a · b ∈ Z; a e b si dicono fattori, c si dice prodotto. 6.2.1 Proprietà Vediamo ora alcune proprietà dell’addizione 1. proprietà commutativa: ∀a, b ∈ Z a + b = b + a 2. proprietà associativa: ∀a, b, c ∈ Z a + (b + c) = (a + b) + c 55 CAPITOLO 6. NUMERI INTERI 3. proprietà di esistenza dell’elemento neutro: ∃0 ∈ Z/∀a ∈ Z a + 0 = 0 + a = a 4. proprietà di esistenza dell’elemento opposto: ∀a ∈ Z ∃ − a ∈ Z/a + (−a) = −a + a = 0 Vediamo ora alcune proprietà della moltiplicazione 1. proprietà commutativa: ∀a, b ∈ Z a · b = b · a 2. proprietà associativa: ∀a, b, c ∈ Z a · (b · c) = (a · b) · c 3. proprietà di esistenza dell’elemento neutro: ∃ + 1 ∈ Z/∀a ∈ Z a · (+1) = +1 · a = a Vale inoltre la proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto all’addizione: ∀a, b, c ∈ Z a · (b + c) = (a · b) + (a · c) ∀a, b, c ∈ Z (a + b) · c = (a · c) + (b · c) Oltre alle proprietà viste la moltiplicazione gode delle seguenti proprietà 1. proprietà di esistenza dell’elemento nullificatore: ∃0 ∈ Z/∀a ∈ Z a · 0 = 0 · a = 0 2. legge di annullamento del prodotto ∀a, b ∈ Z a · b = 0 ⇔ a = 0 ∨ b = 0 6.2.2 Numeri interi concordi e discordi Definizione 6.2.1 (Concordi). Due numeri interi non nulli si dicono concordi se hanno lo stesso segno Esempio 6.2.1. • I numeri interi +3 e +7 sono concordi. • I numeri interi −5 e −27 sono concordi. Definizione 6.2.2 (Discordi). Due numeri interi non nulli si dicono discordi se hanno segno diverso Esempio 6.2.2. • I numeri interi +2 e −7 sono discordi. • I numeri interi −5 e +3 sono discordi. 56 6.2. ADDIZIONE E MOLTIPLICAZIONE 6.2.3 Valore assoluto Definizione 6.2.3 (Valore assoluto). Si dice valore assoluto la funzione | | : Z → N definita nel seguente modo: |0| = 0 | + n| = n | − n| = n con n ∈ N0 Esempio 6.2.3. • | + 3| = 3 • | − 2| = 2 6.2.4 Opposto L’opposto di un numero intero a 6= 0 è il numero che ha lo stesso valore assoluto di a e segno diverso da quello di a; l’opposto di 0 è 0 Esempio 6.2.4. • L’opposto di +3 è −3. • L’opposto di −5 è +5. 6.2.5 Regola per l’addizione Dalla definizione di addizione con le classi di equivalenza si deduce la seguente regola: 1. la somma di due numeri interi concordi è il numero intero concorde con essi che ha come valore assoluto la somma dei valori assoluti; 2. la somma di due numeri interi discordi, non opposti, è il numero intero concorde con l’addendo di valore assoluto maggiore e avente come valore assoluto la differenza tra il valore assoluto maggiore e il valore assoluto minore; 3. la somma di due numeri interi opposti è uguale a zero 4. la somma di un numero intero con 0 è il numero intero Esempio 6.2.5. • +3 + (+2) = +5 • −3 + (−2) = −5 • +3 + (−2) = +1 • −3 + (+2) = −1 • −3 + (+3) = 0 • 0 + (−3) = −3 57 CAPITOLO 6. NUMERI INTERI 6.2.6 Regola per la moltiplicazione Dalla definizione di moltiplicazione con le classi di equivalenza si deduce la seguente regola: 1. il prodotto di due numeri interi concordi è il numero positivo che ha per valore assoluto il prodotto dei valori assoluti; 2. il prodotto di due numeri interi discordi è il numero negativo che ha per valore assoluto il prodotto dei valori assoluti; 3. il prodotto di un numero intero per zero è uguale a zero. Esempio 6.2.6. • +3 · (+2) = +6 • −3 · (−2) = +6 • +3 · (−2) = −6 • −3 · 0 = 0 6.2.7 Precedenza delle operazioni Nelle espressioni numeriche, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza: 1. moltiplicazione 2. addizione Esempio 6.2.7. Semplifichiamo l’espressione (+2 + (−5) + (−3)) · (−2) + (−3 + (+4) + (+1)) · (+2) = −6 · (−2) + (+2) · (+2) +12 + (+4) = +16 6.3 Sottrazione Definizione 6.3.1 (Differenza). La differenza fra due numeri interi a e b è la somma di a con l’opposto di b. In simboli a − b = a + (−b) Esempio 6.3.1. +3 − (−5) = +3 + (+5) = +8 Osservazione La sottrazione non gode delle proprietà commutativa e associativa. 6.3.1 Precedenza delle operazioni Nelle espressioni numeriche, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza: 1. moltiplicazione 2. addizione, sottrazione Esempio 6.3.2. Semplifichiamo l’espressione −2 · (−3 − (+4) − (−6)) − (−1) · (+3 + (−6) − (+3)) + (+1) = −2 · (−1) − (−1) · (−6) + (+1) = +2 − (+6) + (+1) = −3 58 6.4. RELAZIONI NELL’INSIEME DEI NUMERI INTERI 6.4 Relazioni nell’insieme dei numeri interi 6.4.1 Relazioni minore e maggiore Definizione 6.4.1 (Relazione minore o uguale). Dati a, b ∈ Z si dice che a è minore o uguale di b se e solo se esiste d ∈ Z+ ∪ {0} tale che a + d = b, in simboli: a 6 b ⇔ ∃d ∈ Z+ ∪ {0}/a + d = b con a, b ∈ Z Esempio 6.4.1. • +3 6 +5 perché ∃ + 2 ∈ Z+ ∪ {0}/ + 3 + (+2) = +5 • +3 6 +3 perché ∃0 ∈ Z+ ∪ {0}/ + 3 + 0 = +3 • −3 6 +2 perché ∃ + 5 ∈ Z+ ∪ {0}/ − 3 + (+5) = +2 • −5 6 −2 perché ∃ + 3 ∈ Z+ ∪ {0}/ − 5 + (+3) = −2 Riassumendo: 1. se due numeri sono entrambi positivi, il minore o uguale è quello che ha valore assoluto minore o uguale; 2. se due numeri sono entrambi negativi, il minore o uguale è quello che ha valore assoluto maggiore o uguale; 3. se due numeri sono discordi, il minore o uguale è quello negativo; 4. 0 è minore o uguale di tutti i numeri positivi o nulli 5. tutti i numeri negativi o nulli sono minori o uguali di 0 Teorema 6.4.1 (Relazione minore o uguale). La relazione minore o uguale in Z è d’ordine. La relazione d’ordine minore o uguale è totale e permette di rappresentare i numeri interi su una retta orientata. −4 −3 −2 −1 0 +1 +2 +3 +4 +5 Figura 6.1: numeri interi In Z si possono definire le relazioni minore, maggiore o uguale e maggiore in modo analogo alle definizioni viste in N. Ogni numero intero ammette successivo: il successivo di a è a + (+1) 59 CAPITOLO 6. NUMERI INTERI Esempio 6.4.2. Il successivo di +5 è +6, il successivo di −3 è −2 Ogni numero intero ammette precedente: il precedente di a è a − (+1) Esempio 6.4.3. Il precedente di +5 è +4, il precedente di −3 è −4 Compatibilità La relazione d’ordine minore o uguale è compatibile con le operazioni di addizione e moltiplicazione: • ∀a, b, c ∈ Z a 6 b ⇒ a + c 6 b + c • ∀a, b ∈ Z, c ∈ Z+ ∪ {0} a 6 b ⇒ a · c 6 b · c La compatibilità si ha anche per la relazione maggiore o uguale. Nel caso delle relazioni minore e maggiore, la compabilità si ha per l’addizione, mentre per la moltiplicazione si ha se c > 0. Nel caso della relazione uguale la compabilità si ha per l’addizione, mentre per la moltiplicazione si ha per ogni c. 6.4.2 Relazioni divisore e multiplo Definizione 6.4.2 (Relazione divisore). Dati a, b ∈ Z si dice che a è divisore di b se e solo se esiste q ∈ Z tale che aq = b, in simboli: a|b ⇔ ∃q ∈ Z/aq = b con a, b ∈ Z Esempio 6.4.4. • +3| + 6 perché ∃ + 2 ∈ Z/ + 3 · (+2) = +6 • −3| + 6 perché ∃ − 2 ∈ Z/ − 3 · (−2) = +6 • +3| − 6 perché ∃ − 2 ∈ Z/ + 3 · (−2) = −6 • +3| + 3 perché ∃ + 1 ∈ Z/ + 3 · (+1) = +3 • +3|0 perché ∃0 ∈ Z/ + 3 · 0 = 0 60 6.4. RELAZIONI NELL’INSIEME DEI NUMERI INTERI • 0|0 perché ∃ + 3 ∈ Z/0 · (+3) = 0 Teorema 6.4.2 (Relazione divisore). La relazione divisore in Z gode delle proprietà riflessiva e transitiva. Osservazioni 1. La relazione divisore in Z non è una relazione d’ordine perché non gode delle proprietà antisimmetrica. Infatti +3 è divisore di −3 e −3 è divisore di +3 con −3 6= +3. 2. In Z si può definire la relazione multiplo in modo analogo alla definizione vista in N 3. In Z si definiscono i numeri pari e dispari in modo analogo a quanto visto in N 6.4.3 Relazione di congruenza modulo n Definizione 6.4.3 (Numeri congrui modulo n). Si dice che due numeri a, b ∈ Z sono congrui modulo n, con n ∈ N0 , se e solo se la loro differenza è un multiplo di n. Osservazione Due numeri a, b ∈ Z sono congrui modulo n, con n ∈ N0 , se e solo se divisi per n danno lo stesso resto. Nel caso di numeri negativi il quoziente della divisione con resto è il numero massimo che moltiplicato per il divisore è minore del dividendo). Esempio 6.4.5. I numeri 7 e 4 sono congrui modulo 3, infatti 7 − 4 = 3 che è un multiplo di 3 oppure divisi per 3 danno entrambi resto 1. La relazione R definita nel seguente modo xRy ⇔ “x è congruo modulo n con y” con x, y ∈ Z gode delle proprietà riflessiva, simmetrica, transitiva e quindi è una relazione di equivalenza. Le classi di equivalenza, dette classi di resto sono: [0] formata da tutti i numeri interi che divisi per n danno resto 0, [1] formata da tutti i numeri interi che divisi per n danno resto 1, ... [n − 1] formata da tutti i numeri interi che divisi per n danno resto n − 1. L’insieme quoziente è Z/R = Zn = {[0], [1], [2], . . . , [n − 1]} Esempio 6.4.6. Le classi di resto modulo 3 sono [0] = {0, ±3, ±6, ±9, . . .} [1] = {. . . , −8, −5, −2, 1, 4, 7, . . .} [2] = {. . . , −7, −4, −1, 2, 5, 8, . . .} L’insieme quoziente è Z3 = {[0], [1], [2]} 61 CAPITOLO 6. NUMERI INTERI 6.5 Divisione La divisione è un’operazione che non è sempre possibile effettuare in Z. La divisione si indica con : ed è definita nel seguente modo: a ogni coppia ordinata (a, b) ∈ Z × Z0 con a multiplo di b viene associato q = a : b che è il numero intero che moltiplicato per b dà a. In simboli a : b = q ⇔ a = b · q con a, q ∈ Z, b ∈ Z0 ∧ a multiplo di b a si dice dividendo, b si dice divisore, q si dice quoziente. In pratica: 1. il quoziente di due numeri interi concordi è un numero positivo che ha per valore assoluto il quoziente dei valori assoluti; 2. il quoziente di due numeri interi discordi è un numero negativo che ha per valore assoluto il quoziente dei valori assoluti; 3. il quoziente tra 0 e un numero intero diverso da 0 è uguale a zero. Esempio 6.5.1. • +6 : (+2) = +3 perché +3 · (+2) = +6 • −6 : (+2) = −3 perché −3 · (+2) = −6 • −6 : (−2) = +3 perché +3 · (−2) = −6 • +3 : (+2) non si può effettuare perché +3 non è multiplo di +2 Osservazioni 1. La divisione non gode delle proprietà commutativa e associativa. 2. La divisione gode della proprietà distributiva a destra rispetto all’addizione e alla sottrazione: ∀a, b ∈ Z, ∀c ∈ Z0 con a, b multipli di c (a + b) : c = (a : c) + (b : c) ∀a, b ∈ Z, ∀c ∈ Z0 con a, b multipli di c (a − b) : c = (a : c) − (b : c) 3. Non si può dividere a 6= 0 per 0, perchè nessun numero intero moltiplicato per 0 dà a quindi un numero intero non nullo diviso 0 è impossibile. 4. 0 : 0 è indeterminato perché qualsiasi numero intero moltiplicato per 0 dà 0 5. Se a 6= 0 allora 0 : a = 0 62 6.6. POTENZA 6.5.1 Precedenza delle operazioni Nelle espressioni numeriche, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza: 1. moltiplicazione, divisione 2. addizione, sottrazione Esempio 6.5.2. Semplifichiamo l’espressione +6 : (−3 + (+2) − (+1)) − (+7 + (−2) − (−5)) : (−2) · (+3) + (+1) = +6 : (−2) − (+10) : (−2) · (+3) + (+1) = −3 − (−5) · (+3) + (+1) = −3 − (−15) + (+1) = +13 6.6 Potenza Definizione 6.6.1 (Potenza). Si dice potenza avente per base un numero intero a ed esponente un numero naturale n > 1 il prodotto di n fattori uguali ad a: an = |a · .{z . . · a}, n > 1 n Si pone per convenzione: a1 = a e, per a 6= 0, a0 = +1 00 non ha significato Osservazione La potenza di un numero positivo è positiva, la potenza con esponente pari di un numero negativo è positiva, la potenza con esponente dispari di un numero negativo è negativa. Esempio 6.6.1. • (+2)3 = +8 • (+2)1 = +2 • (+2)0 = +1 • (−2)4 = +16 • (−2)3 = −8 63 CAPITOLO 6. NUMERI INTERI 6.6.1 Proprietà delle potenze 1. ap · aq = ap+q 2. ap : aq = ap−q con p > q 3. (ap )q = ap·q 4. ap · bp = (a · b)p 5. ap : bp = (a : b)p con a multiplo di b con a, b ∈ Z0 , p, q ∈ N Esempio 6.6.2. • (−2)3 · (−2)5 = (−2)8 • (+3)5 : (+3)2 = (+3)3 = +27 • (−2)3 4 = (−2)12 • (+2)3 · (−4)3 = (−8)3 = (−2)9 • (−2)4 · (+2)10 = (+2)4 · (+2)10 = (+2)14 • (−2)3 · (+2)6 = (−2)3 · (−2)6 = (−2)9 • (−2)3 · (+2)5 = −(+2)3 · (+2)5 = −(+2)8 • (+6)3 : (−2)3 = (−3)3 = −27 • (+8)3 : (+2)5 = ((+2)3 )3 : (+2)5 = (+2)9 : (+2)5 = (+2)4 = +16 6.6.2 Precedenza delle operazioni Nelle espressioni numeriche, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza: 1. potenza 2. moltiplicazione, divisione 3. addizione, sottrazione Esempio 6.6.3. Semplifichiamo l’espressione î ó î (+4)3 · (−5)3 : (−10)3 + (−2)4 · (−2)3 î (−20)3 : (−10)3 + (−2)7 ó2 ó2 : (−2)10 = : (−2)10 = (+2)3 + (−2)14 : (−2)10 = +8 + (−2)4 = +8 + (+16) = +24 64 6.7. L’INSIEME DEI NUMERI INTERI COME AMPLIAMENTO DELL’INSIEME DEI NUMERI NATURALI 6.7 L’insieme dei numeri interi come ampliamento dell’insieme dei numeri naturali Poiché N 6= Z+ ∪{0}, N non è un sottoinsieme di Z. Possiamo, però, identificare i numeri interi positivi con i numeri naturali e quindi scriverli senza il segno +. L’espressione +5 + (+6) la scriveremo 5+6 Inoltre l’espressione +5 + (−6) la scriveremo 5−6 Per questo si dice che Z è un ampliamento di N. Osservazione Il segno − davanti a una parentesi cambia il segno di tutti gli addendi dentro la parentesi. Esempio 6.7.1. • Semplifichiamo l’espressione (−2)2 · (5 − 3)5 = (−2)2 · 25 = 22 · 25 = 27 • Semplifichiamo l’espressione (−2)3 · (5 − 3)5 = (−2)3 · 25 = −23 · 25 = −28 • Semplifichiamo l’espressione −8 + (5 − 7 + 4)5 : (−8 + 6)3 · (−15 + 17) + (−5)2 ¶î ó −8 + (2)5 : (−2)3 · 2 + 25 ¶î ó ó 3 ©3 −8 − (−2)5 : (−2) · 2 + 25 −8 − (−2)2 · 2 + 25 ©3 ¶î ¶î ó · (−4) + 3 = ©3 · (−4) + 3 = · (−4) + 3 = {[−8 − 4] · 2 + 25}3 · (−4) + 3 = {−12 · 2 + 25}3 · (−4) + 3 = {−24 + 25}3 · (−4) + 3 = {1}3 · (−4) + 3 = −4 + 3 = −1 65 ©3 · (−4) + 3 = CAPITOLO 6. NUMERI INTERI 6.8 Valore assoluto Il valore assoluto di un numero intero si può anche definire nel seguente modo: Definizione 6.8.1 (Valore assoluto). Il valore assoluto di un numero intero è il numero stesso se il numero è maggiore o uguale di 0, il suo opposto se il numero è minore di 0. In simboli: ( |a| = a se a > 0 −a se a < 0 Esempio 6.8.1. • |5| = 5 • | − 5| = 5 • |0| = 0 6.9 Massimo comune divisore e minimo comune multiplo Definizione 6.9.1 (Massimo comune divisore). Si dice massimo comune divisore di due numeri a, b ∈ Z0 il maggiore dei divisori positivi comuni ad a e a b e si indica con MCD(a, b) Osservazione Il massimo comune divisore di due numeri interi è un numero intero positivo ed è uguale al massimo comune divisore dei loro valori assoluti. Esempio 6.9.1. Consideriamo i numeri −12 e 18. Scomponiamo | − 12| = 12: 12 = 22 · 3 Scomponiamo |18| = 18: 18 = 2 · 32 Quindi MCD(−12, 18) = 2 · 3 = 6 Definizione 6.9.2 (Numeri primi tra loro). Due numeri a, b ∈ Z0 si dicono primi tra loro se MCD(a, b) = 1 Esempio 6.9.2. Consideriamo i numeri 15 e −16. Scomponiamo |15| = 15: 15 = 3 · 5 Scomponiamo | − 16| = 16: 16 = 24 MCD(15, −16) = 1 quindi 15 e −16 sono primi tra loro Definizione 6.9.3 (Minimo comune multiplo). Si dice minimo comune multiplo di due numeri a, b ∈ Z0 il minore dei multipli positivi comuni ad a e a b e si indica con mcm(a, b) 66 6.9. MASSIMO COMUNE DIVISORE E MINIMO COMUNE MULTIPLO Osservazione Il minimo comune multiplo di due numeri interi è un numero intero positivo ed è uguale al minimo comune multiplo dei loro valori assoluti. Esempio 6.9.3. Consideriamo i numeri −12 e 18. Scomponiamo | − 12| = 12: 12 = 22 · 3 Scomponiamo |18| = 18: 18 = 2 · 32 Quindi mcm(−12, 18) = 22 · 32 = 36 67 Capitolo 7 Numeri razionali 7.1 Introduzione Come i numeri naturali anche i numeri interi non sono sufficienti per risolvere alcuni problemi pratici come, per esempio, dividere una torta. Si è quindi ampliato l’insieme dei numeri interi introducendo l’insieme dei numeri razionali. I numeri razionali si esprimono come rapporto tra due numeri interi con il secondo diverso da 0. Esempio 7.1.1. I numeri 3 −5 2 0 −5 5 6 , , , , , , −2 7 3 2 −3 1 2 sono razionali. L’insieme dei numeri razionali è infinito e viene indicato con Q. ß Q= m /m ∈ Z ∧ n ∈ Z0 n ™ m si dice anche frazione, m si dice numeratore, n si dice denominatore. Il numero razionale n 0 n Il numero si indica con 0, il numero si indica con 1. n n Un numero razionale si dice negativo se il numeratore e il denominatore sono discordi, positivo se sono concordi. L’insieme dei numeri razionali negativi si indica con Q− , l’insieme dei numeri razionali positivi si indica con Q+ . L’insieme dei numeri razionali privato dello 0 si indica con Q0 . m Dato il numero razionale non nullo : n • se m e n sono discordi, allora m |m| =− n |n| • se m e n sono concordi, allora m |m| = n |n| Esempio 7.1.2. • −3 3 3 = =− 4 −4 4 • −3 3 = −4 4 68 7.2. ADDIZIONE E MOLTIPLICAZIONE 7.2 Addizione e moltiplicazione Nell’insieme dei numeri razionali sono definite due operazioni: l’addizione e la moltiplicazione. L’addizione si indica con +: a ogni coppia ordinata (a, b) ∈ Q × Q viene associato c = a + b ∈ Q; a e b si dicono addendi, c si dice somma. La moltiplicazione si indica con ·: a ogni coppia ordinata (a, b) ∈ Q × Q viene associato c = a · b ∈ Q; a e b si dicono fattori, c si dice prodotto. 7.2.1 Proprietà Vediamo ora alcune proprietà dell’addizione 1. proprietà commutativa: ∀a, b ∈ Q a + b = b + a 2. proprietà associativa: ∀a, b, c ∈ Q a + (b + c) = (a + b) + c 3. proprietà di esistenza dell’elemento neutro: ∃0 ∈ Q/∀a ∈ Q a + 0 = 0 + a = a 4. proprietà di esistenza dell’elemento opposto: ∀a ∈ Q ∃ − a ∈ Q/a + (−a) = −a + a = 0 Vediamo ora alcune proprietà della moltiplicazione 1. proprietà commutativa: ∀a, b ∈ Q a · b = b · a 2. proprietà associativa: ∀a, b, c ∈ Q a · (b · c) = (a · b) · c 3. proprietà di esistenza dell’elemento neutro: ∃1 ∈ Q/∀a ∈ Q a · 1 = 1 · a = a 4. proprietà di esistenza dell’elemento reciproco: ∀a ∈ Q0 ∃a−1 ∈ Q0 /a · a−1 = a−1 · a = 1 Vale inoltre la proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto all’addizione: ∀a, b, c ∈ Q a · (b + c) = (a · b) + (a · c) ∀a, b, c ∈ Q (a + b) · c = (a · c) + (b · c) Oltre alle proprietà viste la moltiplicazione gode delle seguenti proprietà 1. proprietà di esistenza dell’elemento nullificatore: ∃0 ∈ Q/∀a ∈ Q a · 0 = 0 · a = 0 2. legge di annullamento del prodotto ∀a, b ∈ Q a · b = 0 ⇔ a = 0 ∨ b = 0 69 CAPITOLO 7. NUMERI RAZIONALI 7.2.2 Opposto L’opposto del numero razionale m −m è n n Esempio 7.2.1. • L’opposto di 2 5 è −2 2 =− 5 5 • L’opposto di 3 −3 − = 4 4 è 3 4 • L’opposto di 0 è 0 7.2.3 Reciproco Il reciproco del numero razionale m n 6= 0 è n m Esempio 7.2.2. • Il reciproco di 2 5 è 5 2 • Il reciproco di 3 −3 − = 4 4 è 4 4 =− −3 3 Osservazione 1 Il reciproco di a si dice anche inverso di a e si può indicare con a 70 7.2. ADDIZIONE E MOLTIPLICAZIONE 7.2.4 Numeri razionali concordi e discordi Definizione 7.2.1 (Concordi). Due numeri razionali non nulli si dicono concordi se sono entrambi positivi o entrambi negativi Esempio 7.2.3. 3 7 e sono concordi. 7 2 5 2 • I numeri razionali − e − sono concordi. 3 7 Definizione 7.2.2 (Discordi). Due numeri razionali non nulli si dicono discordi se uno è positivo e l’altro è negativo • I numeri razionali Esempio 7.2.4. 2 7 e − sono discordi. 3 2 5 3 • I numeri razionali − e sono discordi. 4 8 • I numeri razionali 7.2.5 Proprietà invariantiva Teorema 7.2.1 (Proprietà invariantiva). Moltiplicando numeratore e denominatore di un numero razionale per uno stesso numero intero non nullo, si ottiene lo stesso numero razionale, in simboli: a ak = con a ∈ Z, b, k ∈ Z0 b bk Esempio 7.2.5. 3·2 6 3 = = 4 4·2 8 Osservazione Da a ak = b bk si ha ak a = bk b Cioè, dividendo numeratore e denominatore di un numero razionale per un divisore non nullo di entrambi, si ottiene lo stesso numero razionale. Esempio 7.2.6. 9 9:3 3 • = = 6 6:3 2 9 −9 −9 : 3 −3 3 • − = = = =− 6 6 6:3 2 2 Definizione 7.2.3 (Numero razionale ridotto ai minimi termini). Un numero razionale non nullo si dice ridotto ai minimi termini se numeratore e denominatore sono primi tra loro Esempio 7.2.7. 3 • 4 è ridotto ai minimi termini 9 • 6 non è ridotto ai minimi termini 71 CAPITOLO 7. NUMERI RAZIONALI Semplificazione di un numero razionale Utilizzando la proprietà invariantiva si può semplificare un numero razionale, cioè ridurlo ai minimi termini, dividendo numeratore e denominatore per il loro massimo comune divisore. Esempio 7.2.8. Dato il numero razionale 9 6 poiché MCD(9, 6) = 3 dividendo numeratore e denominatore per 3, si ottiene 9 9:3 3 = = 6 6:3 2 Osservazione In pratica, per semplificare un numero razionale, si dividono numeratore e denominatore per un loro divisore comune e si ripete il procedimento fino a quando non diventano primi tra loro. Riduzione di più numeri razionali allo stesso denominatore Per ridurre più numeri razionali allo stesso denominatore: 1. si determina il minimo comune multiplo dei denominatori 2. per ciascun numero razionale si applica la proprietà invariantiva dividendo il minimo comune multiplo per il denominatore e moltiplicando il quoziente per il numeratore Esempio 7.2.9. Ridurre allo stesso denominatore i numeri razionali 3 1 , 4 6 Il minimo comune multiplo dei denominatori è mcm(4, 6) = 12 per ciascun numero razionale dividiamo il minimo comune multiplo per il denominatore e moltiplichiamo il quoziente per il numeratore 9 2 , 12 12 7.2.6 Regola per l’addizione Dalla definizione di addizione con le classi di equivalenza si deduce la seguente regola: Teorema 7.2.2 (Addizione). La somma di due numeri razionali con lo stesso denominatore è il numero razionale avente per numeratore la somma dei numeratori e per denominatore lo stesso denominatore. Esempio 7.2.10. • 3 4 3+4 7 + = = 5 5 5 5 3 9 −3 + 9 6 3 • − + = = = 4 4 4 4 2 72 7.2. ADDIZIONE E MOLTIPLICAZIONE Se i numeri razionali non hanno lo stesso denominatore, prima di addizionarli, li si può ridurre allo stesso denominatore applicando la proprietà invariantiva. In pratica per addizionare due numeri razionali : 1. si semplifica ogni numero razionale 2. si scrive il numero razionale che ha come denominatore il minimo comune multiplo dei denominatori 3. per ottenere il numeratore: (a) si divide il minimo comune multiplo dei denominatori per il denominatore del primo numero razionale e si moltiplica il quoziente ottenuto per il suo numeratore (b) si ripete il procedimento per il secondo numero razionale e si somma al risultato precedente 4. si effettuano i calcoli al numeratore 5. si semplifica il numero razionale ottenuto Esempio 7.2.11. 12 + 35 47 3 5 = • + = 7 4 28 28 3 5 −3 + 10 7 • − + = = 4 2 4 4 7.2.7 Regola per la moltiplicazione Dalla definizione di moltiplicazione con le classi di equivalenza si deduce la seguente regola: Teorema 7.2.3 (Moltiplicazione). Il prodotto di due numeri razionali è il numero razionale avente per numeratore il prodotto dei numeratori e per denominatore il prodotto dei denominatori. In pratica per moltiplicare due numeri razionali: 1. si semplificano numeratore e denominatore della stessa frazione o di frazioni diverse 2. si scrive il numero razionale che ha come numeratore il prodotto dei numeratori e come denominatore il prodotto dei denominatori Esempio 7.2.12. 2 4 4 12 41 12 2 • · = 3· 1 = 2 9 8 9 3 8 2 3 2 31 2 • − · =− 3 · =− 9 5 9 5 15 7.2.8 Precedenza delle operazioni Nelle espressioni numeriche, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza: 1. moltiplicazione 2. addizione Esempio 7.2.13. Semplifichiamo l’espressione 1 1 1 3 1 + − + · − + 1+ − 2 3 6 4 3 Å Å ã ã 1 3 2 3 · − + · − = 3 4 3 8 Å ã 1 1 1 − + − =− 4 4 2 ï Å ã ò Å ã ï Å 5 · + (−1) = 8 ãò ï ò 73 CAPITOLO 7. NUMERI RAZIONALI 7.3 Sottrazione Definizione 7.3.1 (Differenza). La differenza di due numeri razionali a e b è la somma di a con l’opposto di b. In simboli a − b = a + (−b) Esempio 7.3.1. 1 2 1 2 1 7 2 − − = + + = + = 3 2 3 2 3 2 6 Å ã Å ã Osservazione La sottrazione non gode delle proprietà commutativa e associativa. 7.3.1 Precedenza delle operazioni Nelle espressioni numeriche, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza: 1. moltiplicazione 2. addizione, sottrazione Esempio 7.3.2. Semplifichiamo l’espressione 1 2 1 1 1 2 1+ − · + − +1 · − = 2 3 2 3 4 3 Å ã Å ã Å ã 5 1 13 2 · + · − = 6 2 12 3 Å ã 5 13 − = 12 18 − 11 36 7.4 Divisione Definizione 7.4.1 (Quoziente). Il quoziente di due numeri razionali a e b con b 6= 0 è il prodotto di a con il reciproco di b. In simboli a:b=a· 1 b Esempio 7.4.1. 2 1 2 2 4 : − = · − =− 3 2 3 1 3 Å ã Å ã Osservazione La divisione tra due numeri razionali a e b con b 6= 0 si può anche indicare in questo modo: a b a Quindi l’espressione con a ∈ Q, b ∈ Q0 si trasforma in a : b. Quando si effettua questa trasformazione b si deve fare attenzione a non confondere la linea che indica la divisione dalle linee che separano il numeratore e il denominatore dei numeri razionali a e b. 74 7.5. POTENZA Esempio 7.4.2. 3 4 = 3 : 5 = 3 · 7 = 21 5 4 7 4 5 20 7 Osservazione La divisione non gode delle proprietà commutativa e associativa. La divisione gode della proprietà distributiva a destra rispetto all’addizione e alla sottrazione: ∀a, b ∈ Q, c ∈ Q0 (a + b) : c = (a : c) + (b : c) ∀a, b ∈ Q, c ∈ Q0 (a − b) : c = (a : c) − (b : c) Esempio 7.4.3. Å 2 3 1 2 1 3 1 2 5 3 5 10 15 85 + : = : + : = · + · = + = 3 4 5 3 5 4 5 3 1 4 1 3 4 12 ã Non si può dividere a 6= 0 per 0, perchè nessun numero razionale moltiplicato per 0 dà a quindi un numero razionale non nullo diviso 0 è impossibile. 0 : 0 è indeterminato perché qualsiasi numero razionale moltiplicato per 0 dà 0 Se a 6= 0 allora 0 : a = 0 7.4.1 Precedenza delle operazioni Nelle espressioni numeriche, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza: 1. moltiplicazione, divisione 2. addizione, sottrazione Esempio 7.4.4. Semplifichiamo l’espressione ïÅ 1 1 1 3 3 1 1 1 1 − − · + 1− : · − + = 2 3 4 2 8 2 2 6 3 ï 1 3 5 1 2 · + : · = 12 2 8 2 3 − ã Å ã ò Å ã ò 1 5 2 2 − + · · = 8 8 1 3 ï ò 1 5 2 − + · = 8 4 3 ï ò 9 2 3 · = 8 3 4 7.5 Potenza Definizione 7.5.1 (Potenza). Si dice potenza avente per base un numero razionale a ed esponente un numero naturale n > 1 il prodotto di n fattori uguali ad a: an = |a · .{z . . · a}, n > 1 n 75 CAPITOLO 7. NUMERI RAZIONALI Si pone per convenzione: a1 = a e, per a 6= 0, a0 = 1 00 non ha significato Osservazioni 1. La potenza di un numero positivo è positiva, la potenza con esponente pari di un numero negativo è positiva, la potenza con esponente dispari di un numero negativo è negativa. Å 2. m n mp np ãp = Esempio 7.5.1. • • • • • Å ã3 2 3 = 8 27 = 2 3 Å ã1 2 3 Å ã0 2 3 =1 Å − Å − 2 3 ã4 2 3 ã3 = 16 81 =− 8 27 Nell’insieme dei numeri razionali si può estendere la definizione di potenza al caso in cui l’esponente è intero negativo Definizione 7.5.2 (Potenza con esponente intero negativo). Dati a ∈ Q0 , n ∈ N0 si pone −n a Å ãn = 1 a Esempio 7.5.2. Å ã−3 2 3 Å ã3 = 7.5.1 3 2 = 27 8 Proprietà delle potenze 1. ap · aq = ap+q 2. ap : aq = ap−q 3. (ap )q = ap·q 4. ap · bp = (a · b)p 5. ap : bp = (a : b)p con a b ∈ Q0 , p, q ∈ Z Esempio 7.5.3. 76 7.6. RELAZIONI MINORE E MAGGIORE NELL’INSIEME DEI NUMERI RAZIONALI • • • • • • 2 5 ã3 Å 2 − 5 ã5 Å ã2 2 − 5 ã3 Å ã−2 Å − Å Å · − 2 : − 5 2 − 5 − Å − 7.5.2 ã5 2 : − 5 ÇÅ Å 2 5 ã3 å2 2 5 ã3 Å 2 5 ã3 Å · − Å = − Å : − 2 = − 5 2 5 ã5 ã6 Å = ã3 ã3 Å ã3 7 3 ã8 2 = − 5 Å = − 7 3 2 5 14 15 ã3 2 3 = − · − 5 7 Å Å ãã3 Å = 6 35 ã3 Precedenza delle operazioni Nelle espressioni numeriche, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza: 1. potenza 2. moltiplicazione, divisione 3. addizione, sottrazione Esempio 7.5.4. Semplifichiamo l’espressione Å 7 15 3 · + 12 14 8 ã2 ñ Å 5 3 + 8 8 ã2 ñ Å 3 : 1− 1− 2 Å 1 : 1− − 2 ã3 Å ã3 Å 1 : − 2 5 : 2− 2 ã2 ã2 ô 4 5 5 = − · : 3 6 3 ô 10 3 − · = 9 5 1 2 − = 2 3 ï ò 1 2 1: 1+ − = 2 3 6 6 5 1: =1· = 6 5 5 ï Å 12 : 1 − − 7.6 ã ò Relazioni minore e maggiore nell’insieme dei numeri razionali Definizione 7.6.1 (Relazione minore o uguale). Dati a, b ∈ Q si dice che a è minore o uguale di b se e solo se esiste d ∈ Q+ ∪ {0} tale che a + d = b, in simboli: a 6 b ⇔ ∃d ∈ Q+ ∪ {0}/a + d = b con a, b ∈ Q Esempio 7.6.1. • 3 7 6 5 5 perché 4 3 4 7 ∃ ∈ Q+ ∪ {0}/ + = 5 5 5 5 77 CAPITOLO 7. NUMERI RAZIONALI 2 2 6 3 3 • perché 2 2 ∃0 ∈ Q+ ∪ {0}/ + 0 = 3 3 Teorema 7.6.1 (Relazione minore o uguale). La relazione minore o uguale in Q è d’ordine. 7.6.1 Ordinamento dei numeri razionali In pratica per ordinare più numeri razionali: 1. si riducono i numeri razionali allo stesso denominatore 2. si confrontano i numeratori Esempio 7.6.2. Disporre i seguenti numeri razionali in ordine crescente. 2 5 3 1 − , , , 3 1 4 6 Il minimo comune multiplo dei denominatori è mcm(3, 1, 4, 6) = 12 Riduciamo i numeri razionali allo stesso denominatore −8 60 9 2 , , , 12 12 12 12 Confrontiamo i numeratori, i numeri razionali disposti in ordine crescente sono 2 1 3 5 − , , , 3 6 4 1 Osservazione La relazione d’ordine minore o uguale è totale e permette di rappresentare i numeri razionali su una retta orientata. − 3 2 1 − 0 2 2 3 2 1 Figura 7.1: numeri razionali In Q si possono definire le relazioni minore, maggiore o uguale e maggiore in modo analogo alle definizioni viste in N. 7.6.2 Compatibilità La relazione d’ordine minore o uguale è compatibile con le operazioni di addizione e moltiplicazione: • ∀a, b, c ∈ Q a 6 b ⇒ a + c 6 b + c • ∀a, b ∈ Q, c ∈ Q+ ∪ {0} a 6 b ⇒ a · c 6 b · c La compatibilità si ha anche per la relazione maggiore o uguale. Nel caso delle relazioni minore e maggiore, la compabilità si ha per l’addizione, mentre per la moltiplicazione si ha se c > 0. Nel caso della relazione uguale la compabilità si ha per l’addizione, mentre per la moltiplicazione si ha per ogni c. 78 7.7. DENSITÀ 7.7 Densità A differenza dei numeri naturali e interi i numeri razionali non ammettono successivo e precedente. Teorema 7.7.1. Dati due numeri razionali a, b con a < b esistono infiniti numeri razionali compresi tra a e b. Dimostrazione a+b ∈ Q è compreso tra a e b, cioè Dati a, b ∈ Q con a < b dimostriamo che 2 a< a+b <b 2 1 1 a+b a < b ⇒ a + a < a + b ⇒ 2a < a + b ⇒ 2a < (a + b) ⇒ a < 2 2 2 1 1 a+b a < b ⇒ a + b < b + b ⇒ a + b < 2b ⇒ (a + b) < 2b ⇒ <b 2 2 2 quindi a< a+b <b 2 a+b troviamo un altro numero razionale e così via. Ripetendo il procedimento tra a e 2 Osservazione Il teorema precedente ci dice che l’insieme dei numeri razionali è denso 7.8 Numeri decimali Ogni numero razionale si può rappresentare con un numero decimale. m Dato il numero razionale per ottenere la rappresentazione decimale si effettua la divisione |m| : |n| n e se m e n sono discordi si scrive un − davanti al risultato. Esempio 7.8.1. • Dato il numero razionale 3 effettuiamo la divisione 5 3 5 0 0,6 30 30 0 Quindi 3 = 0, 6 5 • Dato il numero razionale − 20 18 20 18 20 18 2 Quindi − 20 −20 = effettuiamo la divisione 3 3 3 6,66 20 = −6, 6 3 79 CAPITOLO 7. NUMERI RAZIONALI • Dato il numero razionale 23 18 50 48 20 18 20 18 2 Quindi 23 effettuiamo la divisione 6 6 3,833 23 = 3, 83 3 Il numero decimale che rappresenta un numero razionale può essere: 1. un numero decimale limitato 2. un numero decimale illimitato periodico semplice (le cifre della parte decimale si ripetono periodicamente) 3. un numero decimale illimitato periodico misto (ci sono delle cifre decimali prima di quelle che si ripetono periodicamente) Il numero formato dalle cifre che si ripetono periodicamente si dice periodo, il numero formato dalle cifre decimali che precedono il periodo si dice antiperiodo. Esempio 7.8.2. Nel numero 21, 34567 il periodo è 567 l’antiperiodo è 34 Osservazioni 1. Un numero razionale non può essere rappresentato con un numero decimale illimitato non periodico. Infatti, poiché il resto della divisione è minore del divisore, dopo un numero di passaggi minore o uguale del divisore si ottiene un resto uguale a uno precedente. 2. Per stabilire a quale tipo di numero decimale corrisponde un numero razionale: (a) si riduce il numero razionale ai minimi termini (b) si scompone in fattori primi il denominatore (c) si anilizzano i fattori primi i. se sono presenti solo i fattori 2 o 5, il numero decimale è limitato ii. se non sono presenti i fattori 2 e 5, il numero decimale è illimitato periodico semplice iii. se sono presenti 2 o 5 e altri fattori, il numero decimale è illimitato periodico misto Esempio 7.8.3. 80 7.8. NUMERI DECIMALI • Dato il numero razionale 3 , scomponiamo il denominatore 5 5=5 Quindi 3 è un numero decimale limitato 5 • Dato il numero razionale − 20 , scomponiamo il denominatore 3 3=3 Quindi − 20 è un numero decimale illimitato periodico semplice 3 • Dato il numero razionale 23 , scomponiamo il denominatore 6 6=2·3 Quindi 7.8.1 23 è un numero decimale illimitato periodico misto 6 Trasformazione dei numeri decimali in frazione Per scrivere un numero decimale limitato sotto forma di frazione 1. si scrive al numeratore il numero decimale senza la virgola 2. si scrive al denominatore 1 seguito da tanti 0 quante sono le cifre dopo la virgola 3. si semplica la frazione ottenuta Esempio 7.8.4. • 3, 51 = • 3, 5 = 351 100 35 7 = 10 2 Per scrivere un numero decimale illimitato peridico semplice positivo sotto forma di frazione: 1. si scrive al numeratore la differenza tra il numero decimale senza la virgola e il numero formato da tutte le cifre che precedono il periodo 2. si scrive al denominatore il numero formato da tanti 9 quante sono le cifre del periodo 3. si semplica la frazione ottenuta Esempio 7.8.5. 3, 6 = 33 11 36 − 3 = = 9 9 3 Per scrivere un numero decimale illimitato periodico misto positivo sotto forma di frazione 1. si scrive al numeratore la differenza tra il numero decimale senza la virgola e il numero formato da tutte le cifre che precedono il periodo 2. si scrive al denominatore il numero formato da tanti 9 quante sono le cifre del periodo e da tanti 0 quante sono le cifre dell’antiperiodo 3. si semplica la frazione ottenuta Esempio 7.8.6. 3, 26 = 326 − 32 294 49 = = 90 90 15 81 CAPITOLO 7. NUMERI RAZIONALI Osservazione Per trasformare un numero decimale illimitato periodico negativo in frazione, si fa precedere dal segno meno la frazione ottenuta trasformando il valore assoluto del numero. Esempio 7.8.7. −3, 26 = − 326 − 32 294 49 =− =− 90 90 15 Osservazione Un numero decimale illimitato periodico con periodo 9 è un numero decimale limitato. Esempio 7.8.8. • 3, 19 = • 3, 9 = 7.8.2 319 − 31 288 16 = = = 3, 2 90 90 5 39 − 3 36 = =4 9 9 Notazione scientifica Definizione 7.8.1 (Notazione scientifica). Un numero decimale è scritto in notazione scientifica se è espresso come prodotto di un numero con una sola cifra diversa da 0 prima della virgola per una potenza di 10 Esempio 7.8.9. I numeri 3, 75 · 105 1, 234 · 10−3 sono espressi in notazione scientifica Per scrivere un numero decimale in notazione scientifica: 1. si pone la virgola dopo la prima cifra diversa da zero che si incontra partendo dalla sinistra del numero 2. l’esponente del dieci è il numero di cifre di cui si è spostata la virgola se si è spostata verso sinistra, il suo opposto se si è spostata verso destra. Esempio 7.8.10. • Il numero 324, 72 in notazione scientifica è 3, 2472 · 102 • Il numero 0, 0023 in notazione scientifica è 2, 3 · 10−3 7.8.3 Ordine di grandezza Definizione 7.8.2 (Ordine di grandezza). Si dice ordine di grandezza di un numero decimale la potenza di 10 più vicina a quel numero Per determinare l’ordine di grandezza di un numero decimale 1. si scrive il numero in notazione scientifica: a · 10n 2. se a < 5, l’ordine di grandezza è 10n altrimenti è 10n+1 Esempio 7.8.11. 82 7.9. ESPRESSIONI CON I NUMERI RAZIONALI • Determinare l’ordine di grandezza del numero 324, 72. Il numero 324, 72 in notazione scientifica è 3, 2472 · 102 poiché 3 < 5 l’ordine di grandezza del numero è 102 • Determinare l’ordine di grandezza del numero 0, 0073. Il numero 0, 0073 in notazione scientifica è 7, 3 · 10−3 poiché 7 > 5 l’ordine di grandezza del numero è 10−2 7.9 Espressioni con i numeri razionali Nelle operazioni si deve tenere conto che se il numero razionale è scritto senza denominatore, il denominatore è 1. Esempio 7.9.1. 3 5 3 + 20 23 3 +5= + = = 4 4 1 4 4 3 3 5 15 • ·5= · = 4 4 1 4 3 5 3 1 3 3 • :5= : = · = 4 4 1 4 5 20 Si deve usare particolare attenzione quando la divisione tra due numeri razionali a e b con b 6= 0 è a indicata con . In questo caso si deve individuare chi è a e chi è b b Esempio 7.9.2. • 3 3 5 3 1 3 • 4 = : = · = 5 4 1 4 5 20 3 3 5 15 3 4 • = : = · = 4 1 5 1 4 4 5 Il segno − davanti a una parentesi cambia il segno di tutti gli addendi dentro la parantesi. Esempio 7.9.3. Semplifichiamo l’espressione ñ 3 1, 6 · (−0, 6) · − 5 5 · 3 ñÅ 5 · 3 ñÅ 3 − 5 3 − 5 2 Å ã2 Å 3 · − 5 ã−1 ã−3 ã−3 ï Å Å Å ã Å ã Å 5 1 7 2 − · − + : − 2 3 15 5 ñ 5 · − − 3 ï 5 · − − 3 ï 5 · − − 3 Å 5 1 2 7 2 − · − + · : − 2 3 5 6 5 5 5 5 2 2 · − − · : − 3 3 2 15 5 5 3 5 3 5 3 5 2 2 − · −0, 3 + · 1, 16 : − 2 5 5 ã Å ã2 ô−2 = ã2 ô−2 = ã2 ô−2 = ã2 ô−2 = 1 4 −2 : = 3 25 ò 1 25 −2 · = 3 4 ò ï ò 25 −2 5 15 −2 5 16 16 = · − = · = 12 3 4 3 225 135 ò 83 CAPITOLO 7. NUMERI RAZIONALI 7.10 Rapporti e proporzioni Definizione 7.10.1 (Rapporto). Si dice rapporto tra due numeri razionali non nulli il quoziente della divisione tra il primo e il secondo Esempio 7.10.1. • Il rapporto tra 6 e 3 è 6:3=2 • Il rapporto tra 5 e 8 è 5:8= 5 8 • Il rapporto tra 4 6 e è 5 7 4 6 4 7 14 : = · = 5 7 5 6 15 Definizione 7.10.2 (Proporzione). Si dice proporzione l’uguaglianza tra due rapporti La proporzione a:b=c:d si legge a sta a b come c sta a d. a e d si dicono estremi, b e c medi; a e c si dicono antecedenti, b e d conseguenti. Esempio 7.10.2. 3 : 8 = 15 : 40 infatti 3:8= 3 8 15 3 = 40 8 Definizione 7.10.3 (Proporzione continua). Si dice proporzione continua una proporzione in cui i medi sono uguali 15 : 40 = La proporzione a:b=b:c è continua Definizione 7.10.4 (Medio proporzionale). Si dice medio proporzionale il medio di una proporzione continua Nella proporzione continua a:b=b:c b è il medio proporzionale Esempio 7.10.3. 16 : 8 = 8 : 4 è una proporzione continua e 8 è il medio proporzionale 84 7.10. RAPPORTI E PROPORZIONI 7.10.1 Proprietà Teorema 7.10.1 (Proprietà fondamentale delle proporzioni). In ogni proporzione il prodotto dei medi è uguale al prodotto degli estremi. In simboli a : b = c : d ⇒ ad = bc Osservazione Dalla proprietà fondamentale si può ricavare uno dei termini della proporzione. Ricaviamo a ad = bc ⇒ ad 1 1 bc = bc ⇒ a = d d d In modo analogo si ricavano gli altri termini. Teorema 7.10.2 (Proprietà dell’invertire). Se in una proporzione si scambia ogni antecedente con il proprio conseguente si ottiene una nuova proporzione. In simboli a:b=c:d⇒b:a=d:c Teorema 7.10.3 (Proprietà del permutare). Se in una proporzione si scambiano tra loro i due medi o i due estremi si ottiene una nuova proporzione. In simboli a:b=c:d⇒a:c=b:d a:b=c:d⇒d:b=c:a Teorema 7.10.4 (Proprietà del comporre). In una proporzione con la somma dei primi due termini diversa da 0, la somma dei primi due termini sta al secondo come la somma del terzo e quarto termine sta al quarto. In simboli a : b = c : d ⇒ (a + b) : b = (c + d) : d In una proporzione con la somma dei primi due termini diversa da 0, la somma dei primi due termini sta al primo come la somma del terzo e quarto termine sta al terzo. a : b = c : d ⇒ (a + b) : a = (c + d) : c La proprietà del comporre si estende nel caso di più rapporti uguali: Teorema 7.10.5 (Proprietà del comporre). In una serie di rapporti uguali con la somma degli antecedenti diversa da 0, la somma degli antecedenti sta a un antecedente come la somma dei conseguenti sta al conseguente corrispondente Teorema 7.10.6 (Proprietà dello scomporre). In una proporzione con la differenza dei primi due termini diversa da 0, la differenza tra i primi due termini sta al secondo come la differenza tra il terzo e e il quarto termine sta al quarto. In simboli a : b = c : d ⇒ (a − b) : b = (c − d) : d In una proporzione con la differenza dei primi due termini diversa da 0, la differenza tra i primi due termini sta al primo come la differenza tra il terzo e il quarto termine sta al terzo. In simboli a : b = c : d ⇒ (a − b) : a = (c − d) : c Esempio 7.10.4. 85 CAPITOLO 7. NUMERI RAZIONALI • Determiniamo il termine x della seguente proporzione 5 : 4 = x : 20 applichiamo la proprietà fondamentale x= 20 · 5 = 25 4 • Determiniamo il termine x della seguente proporzione 5 : x = x : 20 applichiamo la proprietà fondamentale x2 = 100 x = 10 ∨ x = −10 • Data la proporzione 10 : 4 = 15 : 6 ricaviamo altre proporzioni applicando le proprietà. Proprietà dell’invertire 4 : 10 = 6 : 15 Proprietà del permutare i medi 10 : 15 = 4 : 6 Proprietà del permutare gli estremi 6 : 4 = 15 : 10 Proprietà del comporre 14 : 4 = 21 : 6 Proprietà dello scomporre 6:4=9:6 • Dividere il numero 650 in tre parti che stiano tra loro come i numeri 3, 4, 6. Indicando con x, y, z le tre parti si ha x:3=y:4=z:6 Applicando la proprietà del comporre otteniamo (x + y + z) : x = (3 + 4 + 6) : 3 650 : x = 13 : 3 650 · 3 x= = 150 13 Applicando la proprietà del comporre otteniamo (x + y + z) : y = (3 + 4 + 6) : 4 650 : y = 13 : 4 650 · 4 y= = 200 13 La terza parte è z = 650 − 150 − 200 = 300 86 7.10. RAPPORTI E PROPORZIONI 7.10.2 Percentuali Definizione 7.10.5 (Percentuale). a Si dice percentuale un numero razionale con a ∈ Z e si scrive a% 100 Esempio 7.10.5. 25 = 25% = 0, 25 100 Poiché la percentuale è un rapporto si possono utilizzare le proporzioni per risolvere alcuni problemi riguardanti le percentuali. Esempio 7.10.6. • In un paese di 3600 abitanti 900 hanno superato i 50 anni. Determinare la percentuale degli ultra cinquantenni. Dalla proporzione 900 : 3600 = x : 100 si ha x= 900 · 100 = 25 3600 La percentuale degli ultra cinquantenni è 25% • Una maglia costa 250A C. Il negoziante offre uno sconto del 20%. Quanto paghiamo la maglia? Dalla proporzione x : 250 = 20 : 100 si ha x= 250 · 20 = 50 100 Si ha uno sconto di 50A C e quindi il costo è 250 − 50 = 200A C 87 Capitolo 8 Numeri reali 8.1 Introduzione Un ampliamento dell’insieme dei numeri razionali si rende necessario, sia per poter eseguire l’estrazione di radice, sia per poter risolvere problemi di misura della diagonale di un quadrato rispetto al lato assunto come unità di misura, della lunghezza della circonferenza rispetto al raggio, ecc. D C d= A 1 √ 2 1 B Consideriamo un quadrato ABCD di lato unitario. Applicando il teorema di Pitagora al triangolo rettangolo ABC si ha: d2 = 1 + 1 = 2 √ d= 2 Teorema √ 8.1.1. Il numero 2 non è un numero razionale Dimostrazione per assurdo √ Supponiamo per assurdo che 2 sia un numero razionale: allora √ p 2 = con p, q primi fra loro q Elevando al quadrato entrambi i membri si ottiene p2 =2 q2 p2 = 2q 2 Quindi p2 è un numero pari. Se p2 è pari, allora p è pari, cioè p = 2n; sostituendo nell’uguaglianza precedente si ottiene: (2n)2 = 2q 2 4n2 = 2q 2 2n2 = q 2 Quindi q 2 è un numero pari. Se q 2 è pari, allora q è pari, cioè q = √ 2m, quindi p e q non sono primi tra loro e questo contraddice l’ipotesi. Poiché la tesi negata è falsa 2 non è un numero razionale. 88 8.2. NUMERI IRRAZIONALI 8.2 Numeri irrazionali Definizione 8.2.1 (Numeri irrazionali). Si dice numero irrazionale ogni numero decimale illimitato non periodico Esempio 8.2.1. I numeri √ √ √ √ 5 3 2, 3, 7, 2, π sono irrazionali L’insieme dei numeri irrazionali si indica con I. 8.3 Insieme dei numeri reali Definizione 8.3.1 (Numeri reale). Si dice numero reale ogni numero razionale o irrazionale Esempio 8.3.1. I numeri √ √ 3 2, 5, , −7, 5, π 4 sono reali Definizione 8.3.2 (Insieme dei numeri reali). L’insieme dei numeri reali è l’unione fra l’insieme dei numeri razionali e l’insieme dei numeri irrazionali L’insieme dei numeri reali si indica con R: R=Q∪I L’insieme dei numeri reali negativi si indica con R− , l’insieme dei numeri reali positivi si indica con R+ . L’insieme dei numeri reali privato dello 0 si indica con R0 . 8.4 Addizione e moltiplicazione Nell’insieme dei numeri reali sono definite le operazioni di addizione e di moltiplicazione. L’addizione si indica con +: a ogni coppia ordinata (α, β) ∈ R × R viene associato γ = α + β ∈ R; α e β si dicono addendi, γ si dice somma. La moltiplicazione si indica con ·: a ogni coppia ordinata (α, β) ∈ R × R viene associato γ = α · β ∈ R; α e β si dicono fattori, γ si dice prodotto. Proprietà Vediamo ora alcune proprietà dell’addizione 1. proprietà commutativa: ∀α, β ∈ R α + β = β + α 2. proprietà associativa: ∀α, β, γ ∈ R α + (β + γ) = (α + β) + γ 3. proprietà di esistenza dell’elemento neutro: ∃0 ∈ R/∀α ∈ R α + 0 = 0 + α = α 89 CAPITOLO 8. NUMERI REALI 4. proprietà di esistenza dell’elemento opposto: ∀α ∈ R ∃ − α ∈ R/α + (−α) = −α + α = 0 Vediamo ora alcune proprietà della moltiplicazione 1. proprietà commutativa: ∀α, β ∈ R α · β = β · α 2. proprietà associativa: ∀α, β, γ ∈ R α · (β · γ) = (α · β) · γ 3. proprietà di esistenza dell’elemento neutro: ∃1 ∈ R/∀α ∈ R α · 1 = 1 · α = α 4. proprietà di esistenza dell’elemento reciproco: ∀α ∈ R0 ∃α−1 ∈ R0 /α · α−1 = α−1 · α = 1 Vale inoltre la proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto all’addizione: ∀α, β, γ ∈ R α · (β + γ) = (α · β) + (α · γ) ∀α, β, γ ∈ R (α + β) · γ = (α · γ) + (β · γ) Oltre alle proprietà viste la moltiplicazione gode delle seguenti proprietà 1. proprietà di esistenza dell’elemento nullificatore: ∃0 ∈ R/∀α ∈ R α · 0 = 0 · α = 0 2. legge di annullamento del prodotto ∀α, β ∈ R α · β = 0 ⇔ α = 0 ∨ β = 0 Osservazioni 1. Il reciproco di α si dice anche inverso di α e si può indicare con 1 α 2. Le proprietà di esistenza dell’elemento opposto e di quello reciproco ci permettono di definire le operazioni di sottrazione e divisione tra numeri reali. 8.5 Sottrazione Definizione 8.5.1 (Differenza). La differenza di due numeri reali α e β è la somma di α con l’opposto di β. In simboli α − β = α + (−β) 8.6 Divisione Definizione 8.6.1 (Quoziente). Il quoziente di due numeri reali α e β con β 6= 0 è il prodotto di α con il reciproco di β. In simboli α:β =α· 1 β 90 8.7. RELAZIONI MINORE E MAGGIORE NELL’INSIEME DEI NUMERI REALI 8.7 Relazioni minore e maggiore nell’insieme dei numeri reali Definizione 8.7.1 (Relazione minore o uguale). Dati α, β ∈ R si dice che α è minore o uguale di β se e solo se esiste γ ∈ R+ ∪ {0} tale che α + γ = β, in simboli: α 6 β ⇔ ∃γ ∈ R+ ∪ {0}/α + γ = β con α, β ∈ R Teorema 8.7.1 (Relazione minore o uguale). La relazione minore o uguale in R è di ordine. Osservazione La relazione minore o uguale è di ordine totale e permette di rappresentare i numeri reali su una retta orientata. − 3 2 − 1 0 2 2 3 √ 22 1 π Figura 8.1: numeri reali In R si possono definire le relazioni minore, maggiore o uguale e maggiore in modo analogo alle definizioni viste in N. 8.7.1 Compatibilità La relazione d’ordine minore o uguale è compatibile con le operazioni di addizione e moltiplicazione: • ∀α, β, γ ∈ R α 6 β ⇒ α + γ 6 β + γ • ∀α, β ∈ R, γ ∈ R+ ∪ {0} α 6 β ⇒ α · γ 6 β · γ La compatibilità si ha anche per la relazione maggiore o uguale. Nel caso delle relazioni minore e maggiore, la compabilità si ha per l’addizione, mentre per la moltiplicazione si ha se γ > 0. Nel caso della relazione uguale la compabilità si ha per l’addizione, mentre per la moltiplicazione si ha per ogni γ. 8.8 Densità Come i numeri razionali, i numeri reali non ammettono successivo e precedente e vale il seguente teorema: Teorema 8.8.1. Dati due numeri reali α, β con α < β esistono infiniti numeri reali compresi tra α e β 8.9 Continuità dei numeri reali L’insieme dei numeri reali è caratterizzato dalla proprietà di continuità: Teorema 8.9.1 (Continuità dei numeri reali). Esiste una biezione tra l’insieme dei numeri reali e quello dei punti di una retta orientata: ad ogni numero reale corrisponde un punto della retta e, viceversa, a ogni punto della retta corrisponde un numero reale 91 CAPITOLO 8. NUMERI REALI Questo teorema non vale per i numeri razionali: a ogni numero razionale corrisponde un punto della retta orientata, ma esistono punti della retta a cui non corrisponde alcun numero razionale. Infatti, se consideriamo un quadrato di lato unitario e √ riportiamo il segmento della diagonale sulla retta orientata, troviamo il punto P rappresentativo di 2 che non è razionale √ 2 0 8.10 1 P √ 2 Approssimazione dei numeri reali Ogni numero reale si può approssimare per difetto o per eccesso con un numero razionale Esempio 8.10.1. • il numero irrazionale √ 2 si può approssimare per difetto con 1; 1, 4; 1, 41; 1, 414 . . . e per eccesso con 2; 1, 5; 1, 42; 1, 415 . . . • il numero irrazionale π si può approssimare per difetto con 3; 3, 1; 3, 14; 3, 141 . . . e per eccesso con 4; 3, 2; 3, 15; 3, 142 . . . • il numero razionale 3, 728 si può approssimare per difetto con 3; 3, 7; 3, 72 . . . e per eccesso con 4; 3, 8; 3, 73 . . . 92 Capitolo 9 Sistemi di numerazione 9.1 Introduzione I numeri si possono rappresentare in diversi modi. Definizione 9.1.1 (Sistema di numerazione). Un sistema di numerazione è un insieme di simboli, detti cifre, e di regole per combinare le cifre in modo da rappresentare qualunque numero e permettere di effettuare operazioni aritmetiche. Esempio 9.1.1. Il sistema di numerazione romano è un sistema additivo in quanto il valore del numero si ottiene per somma (e talvolta per differenza) delle cifre. Il sistema di numerazione romano usa i seguenti simboli che ricordiamo, indicando il valore corrispondente nel sistema decimale: romano I V decimale 1 5 X L C D M 10 50 100 500 1000 I numeri sono sequenze di questi simboli iniziando dai valori più alti. XX= 10 + 10 = 20 LXXVII= 50 + 10 + 10 + 5 + 1 + 1 = 77 CIV= 100 + 5 − 1 = 104 MDXLVI=1000 + 500 + 50 − 10 + 5 + 1 = 1546 Nel sistema di numerazione romano le operazioni risultavano molto difficili da eseguire. 9.2 Sistemi di numerazione posizionali In un sistema di numerazione posizionale il numero dipende dalla posizione delle cifre. In un sistema di numerazione posizionale è più semplice rappresentare i numeri ed è più facile eseguire le operazioni aritmetiche. Noi utilizziamo il sistema di numerazione posizionale in base 10, detto decimale. Nel sistema posizionale decimale si utilizzano 10 cifre: 0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9. Nel sistema posizionale decimale un numero di n cifre si può esprimere nella forma polinomiale, cioè come somma di n termini formati dal prodotto di una cifra moltiplicata per una potenza di 10 con esponente decrescente da n − 1 a 0. Esempio 9.2.1. 5725 = 5 · 103 + 7 · 102 + 2 · 101 + 5 · 100 Un sistema posizionale può anche avere una base diversa da 10. In generale, per avere un sistema di numerazione posizionale, 1. si fissa la base che è un numero naturale b > 1 93 CAPITOLO 9. SISTEMI DI NUMERAZIONE 2. si scelgono b simboli per rappresentare le cifre: normalmente se b 6 10 si scelgono come simboli 0, 1, 2, . . ., se b > 10 si scelgono come simboli 0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, A, B, C, . . . dove A = 10, B = 11, C = 12, . . . 3. un numero di n cifre si ottiene scrivendo le cifre una di seguito all’altra tenendo presente che ogni cifra deve essere moltiplicata per una potenza di b a partire dalla cifra avente posizione più a sinistra, che va moltiplicata per bn−1 , fino alla n-esima cifra che va moltiplicata per b0 Osservazione Nella scrittura dei numeri in basi diverse da 10 si scrive la base come pedice del numero. Esempio 9.2.2. 101102 Un numero scritto in una base diversa da 10 si legge elencando le cifre. Esempio 9.2.3. 101102 non si legge diecimilacentodieci, ma uno-zero-uno-uno-zero in base 2 Abbiamo detto che il sistema di numerazione più utilizzato è quello decimale; i calcolatori, invece, utilizzano le basi 2 (sistema binario), 8 (sistema ottale), 16 (sistema esadecimale). 9.3 Passaggio da base qualsiasi a base 10 Per scrivere in base 10 un numero in un’altra base: 1. si scrive il numero in forma polinomiale 2. si effettuano i calcoli Esempio 9.3.1. • 101102 = 1 · 24 + 0 · 23 + 1 · 22 + 1 · 21 + 0 · 20 = 16 + 4 + 2 = 22 • 1478 = 1 · 82 + 4 · 81 + 7 · 80 = 64 + 32 + 7 = 103 • A01B16 = 10 · 163 + 0 · 162 + 1 · 161 + 11 · 160 = 40960 + 16 + 11 = 40987 9.4 Passaggio da base 10 a base qualsiasi Per scrivere in base b un numero in base 10: 1. si divide il numero per la base b determinando quoziente e resto 2. si ripete il procedimento dividendo il quoziente ottenuto per b fino a quando si trova un quoziente nullo 3. i resti ottenuti, scritti nell’ordine che va dall’ultimo al primo, danno il numero espresso in base b. Esempio 9.4.1. Scriviamo in base 2 il numero 124 124 62 31 15 7 3 1 0 0 0 1 1 1 1 1 124 = 11111002 94 9.5. PASSAGGIO DA BASE 2 A BASE 8 E 16 9.5 Passaggio da base 2 a base 8 e 16 Per scrivere in base 8 un numero in base 2: 1. si suddividono le cifre in gruppi di 3 partendo da destra 2. a ogni terna corrisponde una cifra nel sistema ottale. Esempio 9.5.1. Scriviamo in base 8 il numero 11011112 1 − 101 − 111 1−5−7 1578 Per scrivere in base 2 un numero in base 8: 1. per ogni cifra si scrive il gruppo di 3 cifre binarie corrispondenti Esempio 9.5.2. Scriviamo in base 2 il numero 3258 011 − 010 − 101 110101012 Per scrivere in base 16 un numero in base 2: 1. si suddividono le cifre in gruppi di 4 partendo da destra 2. a ogni quaterna corrisponde una cifra nel sistema esadecimale. Esempio 9.5.3. Scriviamo in base 16 il numero 11011112 110 − 1111 6−F 6F16 Per scrivere in base 2 un numero in base 16: 1. per ogni cifra si scrive il gruppo di 4 cifre binarie corrispondenti Esempio 9.5.4. Scriviamo in base 2 il numero 3A116 0011 − 1010 − 0001 11101000012 95 CAPITOLO 9. SISTEMI DI NUMERAZIONE 9.6 Operazioni con i numeri in base 2 Le operazioni aritmetiche si possono eseguire in qualsiasi sistema di numerazione posizionale di base b. Consideriamo l’addizione e la moltiplicazione. Si procede come nelle operazioni in base 10. Osservazione Nelle operazioni con i numeri in base 10 il riporto si ha quando si raggiunge o supera 10, quindi nelle operazioni con i numeri in base b il riporto si ha quando si raggiunge o supera b. Esempio 9.6.1. • Calcoliamo 101102 + 11012 . Effettuiamo l’operazione in colonna 11 10110 + 1101 = 100011 101102 + 11012 = 1000112 • Calcoliamo 11112 + 11112 + 11112 + 11112 . Effettuiamo l’operazione in colonna 111 1111 1111 1111 1111 1111 1111 111100 + + + + 11112 + 11112 + 11112 + 11112 = 1111002 • Calcoliamo 101102 · 11012 . Effettuiamo l’operazione in colonna 10110 · 1101 = 1 10110 1 00000 1 10110 10110 100011110 101102 · 11012 = 1000111102 96 Capitolo 10 Monomi e polinomi 10.1 Monomi Definizione 10.1.1 (Monomio). Si dice monomio ogni prodotto di fattori numerici e letterali, dove gli esponenti dei fattori letterali sono numeri naturali. Osservazione Per indicare il prodotto delle lettere a e b si scrive a · b o, più semplicemente, ab; anche per indicare il prodotto di un numero e una lettera si può tralasciare il simbolo di moltiplicazione; naturalmente, per indicare il prodotto di due numeri, non si può tralasciare il simbolo di moltiplicazione: per esempio, il prodotto di 7 e 2 si scrive 7 · 2 e non 72. Esempio 10.1.1. 2 3ab, ab2 , −5a 3 sono monomi. Osservazioni 1. Anche ab è un monomio sebbene non compaia il fattore numerico: infatti quando il fattore numerico è uguale a 1, esso può non essere indicato, quindi: 1ab = ab 2. Anche −a è un monomio sebbene non compaia il fattore numerico: infatti quando il fattore numerico è uguale a −1, si può scrivere: −1a = −a 3. Non si possono mai indicare due simboli di operazione uno accanto all’altro, ad esempio non si può scrivere a · −b ma di deve scrivere a · (−b). 4. In un monomio, non necessariamente i fattori numerici devono precedere i fattori letterali, quindi 5a2 2c è un monomio. 5. In un monomio, può comparire più volte la stessa lettera, quindi 3aba è un monomio. 6. In un monomio i fattori letterali con esponente 0 possono essere tralasciati, quindi ab2 c0 si può scrivere ab2 perché c0 = 1. 7. Anche i numeri sono dei monomi; infatti i numeri si possono considerare monomi i cui fattori letterali hanno esponente 0. Il monomio 5a0 si può scrivere 5 perché abbiamo tralasciato la a che ha esponente 0 97 CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI Esempio 10.1.2. • 3a + b non è un monomio perché compare una somma • ab non è un monomio perché compare una lettera al denominatore; c • 3a−2 non è un monomio perché l’esponente della lettera a non è un numero naturale ma un numero intero negativo. Definizione 10.1.2 (Monomio nullo). Si dice monomio nullo ogni monomio con un fattore numerico nullo Esempio 10.1.3. I monomi 0, 0ab, 0a2 5b3 c sono monomi nulli perché hanno un fattore numerico nullo 10.1.1 Monomi in forma normale Definizione 10.1.3 (Monomio in forma normale). Un monomio si dice in forma normale se è formato da un fattore numerico e da fattori letterali con basi diverse. Esempio 10.1.4. • I monomi 1 3a2 b, abc, −5a 2 sono in forma normale perché sono formati da un fattore numerico e da fattori letterali con basi diverse. 2 • il monomio è in forma normale perché è formato da un fattore numerico 3 • Il monomio 3a2 5b3 non è in forma normale perché sono presenti due fattori numerici. • Il monomio 3a2 b2 a4 non è in forma normale perché la lettera a compare due volte. Definizione 10.1.4 (Coefficiente e parte letterale). In un monomio in forma normale, il fattore numerico è detto coefficiente, il prodotto dei fattori letterali, è detto parte letterale. Esempio 10.1.5. • Nel monomio 21ab il coefficiente è 21 e la parte letterale è ab. • Nel monomio a3 bc il coefficiente è 1 e la parte letterale è a3 bc. • Nel monomio −a2 b il coefficiente è −1 e la parte letterale è a2 b. • Nel monomio 2x il coefficiente è 2 e la parte letterale è x. • Nel monomio −3 il coefficiente è −3 e la parte letterale è il prodotto di lettere diverse con esponente 0 Ogni monomio può essere scritto in forma normale: è sufficiente moltiplicare tra loro i fattori numerici e i fattori letterali con base uguale applicando le proprietà delle potenze. Esempio 10.1.6. • Per scrivere in forma normale il monomio 3a2 7b si moltiplicano i fattori numerici 3 e 7, ottenendo 21a2 b. • Per scrivere in forma normale il monomio 2a2 ba3 c si moltiplicano i fattori letterali con base a sommando gli esponenti, ottenendo 2a5 bc. 1 1 • Per scrivere in forma normale il monomio − x2 2x3 y xy 3 si moltiplicano i fattori numerici e i 3 4 1 6 4 fattori letterali con basi uguali ottenendo − x y 6 98 10.2. ADDIZIONE DI MONOMI 10.1.2 Grado di un monomio Definizione 10.1.5 (Grado di un monomio). Si dice grado di un monomio non nullo la somma degli esponenti dei fattori letterali della sua forma normale Esempio 10.1.7. • Il monomio 2a3 b4 ha grado 7, infatti sommando gli esponenti delle lettere a e b si ottiene 3+4 = 7 1 • Il monomio abc ha grado 3, infatti quando l’esponente delle lettere non è indicato ha valore 1, 2 quindi: 1 + 1 + 1 = 3. • Il monomio 13 ha grado 0, perché la parte letterale è il prodotto di lettere diverse con esponente 0 Osservazione Per calcolare il grado di un monomio non si considera l’eventuale esponente del coefficiente, quindi: 23 a2 ha grado 2 e non 5. Definizione 10.1.6 (Grado di un monomio rispetto a una lettera). Si dice grado rispetto a una lettera di un monomio non nullo l’esponente di quella lettera nella sua forma normale Esempio 10.1.8. Il monomio 5a2 b3 c ha grado 2 rispetto alla lettera a, grado 3 rispetto alla lettera b, grado 1 rispetto alla lettera c, grado 0 rispetto a tutte le altre lettere 10.1.3 Monomi simili Definizione 10.1.7 (Monomi simili). Due monomi in forma normale si dicono simili se hanno la stessa parte letterale. Osservazione Le parti letterali si considerano uguali anche se sono scritte con ordine diverso: ab = ba. Inoltre non si tiene conto di eventuali lettere con esponente 0 Esempio 10.1.9. 1 • I monomi 3a2 b e − a2 b sono simili perché hanno la stessa parte letterale. 2 • I monomi 4ab e −7ba sono simili perché, pur presentando lettere in ordine inverso, hanno la stessa parte letterale. • I monomi abc e ab non sono simili perché nel primo monomio compare la lettera c e nel secondo non compare. • I monomi 2a2 b e 2ab non sono simili perché nel primo monomio l’esponente della lettera a è 2 e nel secondo è 1. 10.2 Addizione di monomi L’addizione di monomi si può effettuare solo se i monomi sono simili; il risultato dell’addizione si dice somma. Definizione 10.2.1 (Somma). La somma di due monomi simili è il monomio simile a quelli dati che ha come coefficiente la somma dei coefficienti. Osservazione L’addizione di monomi gode delle proprietà: associativa, commutativa, esistenza dell’elemento neutro, esistenza dell’elemento opposto. 99 CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI Esempio 10.2.1. • 2a + 3a = 5a perché si sono sommati i coefficienti e si è riscritta la parte letterale. • 3ab + 7ab + (−2ab) = 8ab perché si sono sommati i tre coefficienti e si è riscritta la parte letterale. • a + a = 2a perché si sono sommati i coefficienti che hanno valore 1 e si è riscritta la parte letterale. Osservazione a + a 6= a2 10.3 Opposto di un monomio Definizione 10.3.1 (Opposto). Si dice opposto di un monomio il monomio che, addizionato a quello dato, dà come somma il monomio nullo. Osservazione L’opposto di un monomio si indica ponendo il segno − davanti al monomio racchiuso tra parentesi ed è uguale al monomio simile che ha come coefficiente l’opposto del coefficiente del monomio dato Esempio 10.3.1. • L’opposto del monomio a3 è −(a3 ) = −a3 infatti a3 + (−a3 ) = 0 1 • L’opposto del monomio − x2 y è 2 1 1 − − x2 y = x2 y 2 2 Å ã infatti 1 1 − x2 y + x2 y = 0 2 2 10.4 Sottrazione di monomi La sottrazione di monomi si può effettuare solo se i monomi sono simili; il risultato della sottrazione si dice differenza. Definizione 10.4.1 (Differenza). La differenza di due monomi simili è il monomio che si ottiene addizionando al primo l’opposto del secondo. Esempio 10.4.1. 1 1 7 • 3b3 − − b3 = 3b3 + b3 = b3 2 2 2 Å ã infatti nel primo passaggio abbiamo applicato la definizione di opposto e nel secondo passaggio abbiamo addizionato i monomi simili. 100 10.5. ADDIZIONE ALGEBRICA DI MONOMI • −3x2 − 7x2 = −3x2 + (−7x2 ) = −10x2 infatti nel primo passaggio abbiamo applicato la definizione di opposto e nel secondo passaggio abbiamo addizionato i monomi simili. • −5ab2 − (−5ab2 ) = −5ab2 + 5ab2 = 0 infatti nel primo passaggio abbiamo applicato la definizione di opposto e nel secondo passaggio abbiamo addizionato i monomi simili che, essendo opposti, hanno come somma 0; pertanto la differenza di due monomi uguali è il monomio nullo. 10.5 Addizione algebrica di monomi L’addizione e la sottrazione di monomi possono essere considerate un’unica operazione che si dice addizione algebrica. Esempio 10.5.1. 3a2 + (+a2 ) − (+5a2 ) − (−7a2 ) = 3a2 + a2 − 5a2 + 7a2 = 6a2 10.6 Moltiplicazione di monomi Nell’insieme dei monomi la moltiplicazione può sempre essere effettuata; il risultato della moltiplicazione si dice prodotto. Definizione 10.6.1 (Prodotto). Il prodotto di due monomi è il monomio che ha come coefficiente il prodotto dei coefficienti e, come parte letterale, il prodotto delle parti letterali dei monomi dati. Osservazione La moltiplicazione di monomi gode delle proprietà: associativa, commutativa, esistenza dell’elemento neutro, esistenza dell’elemento nullificatore, legge di annullamento del prodotto, distributiva rispetto all’addizione Esempio 10.6.1. • 3a2 b · 2a3 c = 6a5 bc perché 6 è il prodotto dei coefficienti 3 e 2 a5 è il prodotto di a2 e a3 poiché le lettere b e c compaiono in uno solo dei due monomi, vengono semplicemente riscritte. 1 3 • − a2 b · 3a4 b = − a6 b2 2 2 3 1 è il prodotto dei coefficienti − e 3 2 2 a6 è il prodotto di a2 e a4 b2 è il prodotto di b e b (se l’esponente non è indicato è 1). perché − • 3a2 · (−5a3 b2 c2 ) · 2abc = −30a6 b3 c3 perché −30 è il prodotto dei coefficienti 3 −5 e 2; a6 è il prodotto di a2 , a3 e a b3 è il prodotto di b2 e b c3 è il prodotto di c2 e c. Osservazioni 1. a · a 6= 2a 101 CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI 2. Il grado del prodotto di più monomi non nulli è la somma dei gradi dei fattori. Esempio 10.6.2. Se moltiplichiamo il monomio 7a3 b2 , di grado 5, e il monomio 2a2 b4 c, di grado 7, otteniamo il monomio 14a5 b6 c che ha grado 12. 10.6.1 Precedenza delle operazioni Nelle espressioni con i monomi, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza: 1. moltiplicazione 2. addizione, sottrazione Esempio 10.6.3. Semplifichiamo l’espressione Å 1 2 3 3 2 1 2 4 2 2 9 ab + ab − ab · a − a + a − ab · a2 = 2 3 4 5 2 5 3 4 ã Å ã 9 3 5 ab · a2 − a3 b = 12 10 2 3 3 3 9 a b − a3 b = − a3 b 8 2 8 10.7 Elevamento a potenza di monomi Definizione 10.7.1 (Potenza). La potenza con esponente un numero naturale di un monomio non nullo è il monomio che ha come coefficiente la potenza del coefficiente e, come parte letterale, la potenza di ogni fattore della parte letterale del monomio dato. Esempio 10.7.1. • (3a2 b3 )3 = 27a6 b9 perché elevando 3 alla terza si ottiene 27 elevando a2 alla terza si ottiene a6 elevando b3 alla terza si ottiene b9 . • (−2a3 bc5 )4 = 16a12 b4 c20 perché elevando −2 alla quarta si ottiene 16 elevando a3 alla quarta si ottiene a12 elevando b alla quarta si ottiene b4 elevando c5 alla quarta si ottiene c20 . • (−3ab3 )0 = 1 perché elevando −3 alla 0 si ottiene 1 elevando a alla 0 si ottiene 1 elevando b3 alla 0 si ottiene 1 Osservazione Il monomio nullo elevato a un numero naturale non nullo è il momonio nullo, il monomio nullo elevato a 0 non ha significato. 102 10.8. DIVISIBILITÀ DI MONOMI 10.7.1 Precedenza delle operazioni Nelle espressioni con i monomi, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza: 1. potenza 2. moltiplicazione 3. addizione, sottrazione Esempio 10.7.2. Semplifichiamo l’espressione Å 1 3 2 a b 2 ã2 3 · ab2 · 4a − 4 ñÅ 2 3 ab 3 ã2 Å 3 2 · a 4 ã3 Ä 2 ä4 − a b 2 ·b ô = 1 6 4 3 2 4 27 a b · ab · 4a − a2 b6 · a6 − a8 b4 · b2 = 4 4 9 64 ï ò 3 8 6 3 8 6 a b − a b − a8 b6 = 4 16 ò ï 3 8 6 13 a b − − a8 b6 = 4 16 ï ò 3 8 6 13 8 6 25 8 6 a b + a b = a b 4 16 16 10.8 Divisibilità di monomi Definizione 10.8.1 (Divisibilità). Un monomio non nullo in forma normale si dice divisibile per monomio non nullo in forma normale se l’esponente di ogni lettera del primo monomio è maggiore o uguale dell’esponente della corrispondente lettera del secondo monomio Osservazione Il monomio nullo è divisibile per qualunque monomio non nullo Esempio 10.8.1. • Il monomio 3ab è divisibile per −2a perché l’esponente della lettera a è uguale nel primo e nel secondo monomio e l’esponente della lettera b è maggiore nel primo monomio (è uguale a 1, mentre nel secondo è uguale a 0). 1 2 a b è divisibile per 3a perché l’esponente della lettera a è maggiore nel primo 2 monomio e l’esponente della lettera b è maggiore nel primo (è uguale a 1, mentre nel secondo è uguale a 0). • Il monomio • Il monomio −3a3 b è divisibile per 5 perché l’esponente della lettera a è maggiore nel primo monomio e l’esponente della lettera b è maggiore nel primo momomio. • Il monomio 3ab non è divisibile per 2a2 perché l’esponente della lettera a è minore nel primo monomio. 1 ab non è divisibile per 3ac perché l’esponente della lettera c è minore nel primo 2 momomio (è uguale a 0, mentre nel secondo è uguale a 1). • Il monomio 103 CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI 10.9 Divisione di monomi Nell’insieme dei monomi la divisione si può effettuare solo se il primo monomio, detto dividendo, è divisibile per il secondo, detto divisore; il risultato della divisione si dice quoziente. In particolare, è sempre possibile effettuare la divisione di un monomio per un numero diverso da 0 perché le lettere del divisore hanno esponente 0. Definizione 10.9.1 (Quoziente). Il quoziente di due monomi, con il primo divisibile per il secondo, è il monomio che ha come coefficiente il quoziente dei coefficienti e, come parte letterale, il quoziente delle parti letterali dei monomi dati. Esempio 10.9.1. 5 • 5a2 b : (2a) = ab 2 5 è il quoziente dei coefficienti 5 e 2 2 a è il quoziente di a2 e a b è il quoziente di b e b0 . perché 3 4 3 3 9 • a3 bc : − abc = · − a2 = − a2 2 3 2 4 8 Å ã Å ã 3 4 9 è il quoziente dei coefficienti e − 8 2 3 a2 è il quoziente di a3 e a le lettere b e c non compaiono nel risultato perché b : b = 1 e c : c = 1 perché − 3 • −3a4 b : 2 = − a4 b 2 3 è il quoziente dei coefficienti −3 e 2 2 a4 è il quoziente di a4 e a0 b è il quoziente di b e b0 . Quindi nella divisione tra un monomio e un numero, si effettua il quoziente dei coefficienti e si riscrive la parte letterale del dividendo. perché − • −5a2 b3 : (2a2 b3 ) = − 5 2 5 è il quoziente dei coefficienti −5 e 2 2 le lettere a e b non compaiono perché a2 : a2 = 1 e b3 : b3 = 1 perché − • 0 : (5ab) = 0 Osservazioni 1. Il quoziente della divisione di due monomi simili è il quoziente dei coefficienti. 2 2 4 2 3 a b: ab 6= a2 b · ab 3 3 3 4 Å 2. ã perché si è effettuato il reciproco solo del coefficiente e non della parte letterale; il procedimento corretto è: 2 2 4 2 3 1 a b: ab = · a = a 3 3 3 4 2 Å ã quindi si deve moltiplicare il primo coefficiente per il reciproco del secondo ed effettuare contemporaneamente la divisione della parti letterali. 104 10.10. MASSIMO COMUNE DIVISORE E MINIMO COMUNE MULTIPLO DI MONOMI 10.9.1 Precedenza delle operazioni Nelle espressioni con i monomi, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza: 1. potenza 2. moltiplicazione, divisione 3. addizione, sottrazione Esempio 10.9.2. Semplifichiamo l’espressione Ä ä Ä ä (3xy)2 · x2 y 2 : −3xy 2 − −x2 y · 3xy − 2x3 y 2 = Ä ä Ä ä 9x2 y 2 · x2 y 2 : −3xy 2 − −3x3 y 2 − 2x3 y 2 = Ä ä Ä ä 9x4 y 4 : −3xy 2 − −5x3 y 2 = −3x3 y 2 + 5x3 y 2 = 2x3 y 2 10.10 Massimo comune divisore e minimo comune multiplo di monomi Definizione 10.10.1 (Massimo comune divisore). Il massimo comune divisore di due o più monomi non nulli è ogni monomio di grado massimo che sia divisore di tutti i monomi dati. In pratica il massimo comune divisore di due o più monomi è il monomio che ha come parte letterale il prodotto delle lettere comuni ai monomi dati con il minimo esponente e come coefficiente un numero qualsiasi. Per comodità come coefficiente si sceglie il MCD dei coefficienti, se questi sono interi; si sceglie 1, se tra i coefficienti c’è almeno una frazione. Esempio 10.10.1. • MCD(6a2 bc, 12a3 b2 , 18a2 b3 c4 ) = 6a2 b perché il massimo comune divisore dei coefficienti è uguale a 6 le lettere comuni a tutti i monomi sono a e b il minimo esponente della lettera a è 2 il minimo esponente della lettera b è 1 La lettera c non compare nel risultato perché non è comune a tutti i monomi. 1 • MCD a2 b2 , 3a4 b2 c, 4a2 b3 = a2 b2 2 Å ã infatti, poiché nei coefficienti compare una frazione, si sceglie 1 come coefficiente le lettere comuni a tutti i monomi sono a e b il minimo esponente della lettera a è 2 il minimo esponente della lettera b è 2 La lettera c non compare nel risultato perché non è comune a tutti i monomi • MCD(−4a2 b2 c, −8a4 c, 6a2 bc) = 2a2 c perché il MCD dei coefficienti è uguale a 2 le lettere comuni a tutti i monomi sono a e c il minimo esponente della lettera a è 2 il minimo esponente della lettera c è 1 La lettera b non compare nel risultato perché non è comune a tutti i monomi 105 CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI • MCD(3a2 b, 5c3 ) = 1 perché il MCD dei coefficienti è uguale a 1 e non ci sono lettere comuni. Definizione 10.10.2 (Minimo comune multiplo). Il minimo comune multiplo di due o più monomi non nulli è ogni monomio non nullo di grado minimo che sia divisibile per tutti i monomi dati. In pratica il minimo comune multiplo di due o più monomi è il monomio che ha come parte letterale il prodotto delle lettere comuni e non comuni con il massimo esponente e come coefficiente un numero qualsiasi. Per comodità come coefficiente si sceglie il mcm dei coefficienti, se questi sono interi; si sceglie 1, se tra i coefficienti c’è almeno una frazione. Esempio 10.10.2. • mcm(2a2 c, 12a4 b2 , 18ab3 c4 ) = 36a4 b3 c4 perché il mcm dei coefficienti è uguale a 36 il massimo esponente della lettera a è 4 il massimo esponente della lettera b è 3 il massimo esponente della lettera c è 4. • mcm Å 2 2 3 1 ab c , 2ab2 c2 , a2 b3 = a2 b3 c3 3 2 ã infatti, poiché compare una frazione, si sceglie 1 come coefficiente il massimo esponente della lettera a è 2 il massimo esponente della lettera b è 3 il massimo esponente della lettera c è 3. • mcm(−4a3 b3 c, −8a5 c2 , 2a2 bc) = 8a5 b3 c2 perché il mcm dei coefficienti è uguale a 8 il massimo esponente della lettera a è 5 il massimo esponente della lettera b è 3 il massimo esponente della lettera c è 2. 10.11 Polinomi Definizione 10.11.1 (Polinomio). Si dice polinomio la somma algebrica di più monomi. Esempio 10.11.1. Le seguenti espressioni algebriche letterali sono polinomi: 1 1 2 3ab + 2b + 7ab, ab2 − 3a2 b + , 3aba + ab2 − 1 3 2 2 Osservazione Anche i monomi sono dei polinomi; infatti i monomi si possono considerare polinomi formati dalla somma del monomio e di monomi nulli. Il polinomio 5a2 + 0 si può scrivere 5a2 perché abbiamo tralasciato il monomio nullo. Quindi anche i numeri, essendo dei monomi, si possono considerare polinomi. Vediamo adesso alcuni esempi di espressioni algebriche letterali che non sono polinomi. Esempio 10.11.2. • a2 b 3c non è un polinomio perché è formata dal rapporto tra due monomi e non dalla loro somma algebrica; vedremo in seguito che questa espressione si chiama frazione algebrica. 106 10.11. POLINOMI • a−2 + 2a + 5 non è un polinomio perché l’esponente della lettera a non è un numero naturale, ma un numero intero e quindi a−2 non è un monomio. I monomi che compongono il polinomio si dicono termini del polinomio. Osservazione Gli elementi che compongono i monomi si dicono fattori, gli elementi che compongono i polinomi si dicono termini. In 3ab + 2c sono fattori 3, a, b, 2, c, mentre 3ab, 2c sono termini del polinomio. Questa distinzione sarà utile quando in seguito si tratterà la semplificazione delle frazioni algebriche. 10.11.1 Polinomi in forma normale Definizione 10.11.2 (Polinomio in forma normale). Un polinomio si dice in forma normale quando i suoi termini sono tutti in forma normale e non ci sono monomi simili Esempio 10.11.3. • il polinomio 1 3a2 b + a − 3 2 è in forma normale perché è formato da tre monomi in forma normale non simili. • il polinomio 1 2 a b + 2a + 3a2 b 3 non è in forma normale perché il primo e il terzo monomio sono simili. • il polinomio 3ab2 + 5aba non è in forma normale perché il secondo monomio non è in forma normale Ogni polinomio può sempre essere scritto in forma normale: è sufficiente scrivere in forma normale i monomi che lo compongono e sommare i monomi simili. Esempio 10.11.4. 1 3 • Per scrivere in forma normale il polinomio ab2 + 3ab − 5ab + ab2 , si sommano i monomi 2 2 1 2 3 2 2 ab , ab ottenendo 2ab , e i monomi 3ab, −5ab, ottenendo −2ab, quindi il polinomio in forma 2 2 normale è: 2ab2 − 2ab • Per scrivere in forma normale il polinomio 2a2 ba3 c + 3a + 2, si scrive in forma normale il primo monomio ottenendo 2a5 bc, quindi il polinomio in forma normale è: 2a5 bc + 3a + 2 1 2 ab + 5a2 b, si scrive in forma normale il 2 primo monomio, ottenendo 3a2 b, poi si sommano il primo e il terzo monomio, ottenendo 8a2 b, quindi il polinomio in forma normale è: • Per scrivere in forma normale il polinomio 3aba − 1 8a2 b − ab2 2 107 CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI 0 è il polinomio nullo Un polinomio in forma normale costituito da due termini si dice binomio, costituito da tre termini si dice trinomio, costituito da quattro termini di dice quadrinomio. Esempio 10.11.5. • 2a3 − b2 è un binomio perché è costituito da 2 termini. • a2 + 2ab + b2 è un trinomio perché è costituito da 3 termini. • x3 + x2 + x + 1 è un quadrinomio perché è costituito da 4 termini. 10.11.2 Grado di un polinomio Definizione 10.11.3 (Grado di un polinomio). Si dice grado di un polinomio non nullo in forma normale il massimo dei gradi dei suoi termini. Esempio 10.11.6. 1 • Il polinomio a3 b4 + a2 b − 3a5 ha grado 7, infatti il primo termine ha grado 7, il secondo ha 2 grado 3, il terzo ha grado 5, quindi il massimo è 7. • Il polinomio 3a3 + 2a2 b + 5b3 ha grado 3, infatti tutti i termini hanno grado 3, quindi il massimo è 3. • Il polinomio 2a2 b ha grado 3, infatti l’unico suo termine ha grado 3. Definizione 10.11.4 (Termine noto). Si dice termine noto di un polinomio il termine di grado 0 Esempio 10.11.7. 1 • Il termine noto del polinomio a3 b4 + a2 b − 3 è −3. 2 • Il polinomio 3a2 b + 3ab non ha termine noto Definizione 10.11.5 (Grado rispetto a una lettera di un polinomio). Si dice grado rispetto a una lettera di un polinomio non nullo in forma normale il massimo esponente di quella lettera Esempio 10.11.8. 1 Il polinomio a3 b2 c − a4 b + 3ac5 + 2a3 ha grado 4 rispetto alla lettera a, grado 2 rispetto alla lettera 2 b, grado 5 rispetto alla lettera c, grado 0 rispetto a tutte le altre lettere 10.11.3 Polinomi omogenei, ordinati, completi Definizione 10.11.6 (Polinomio omogeneo). Un polinomio in forma normale si dice omogeneo se tutti i suoi termini hanno lo stesso grado Esempio 10.11.9. • Il polinomio a3 + 3a2 b + 3ab2 + b3 è omogeneo perché tutti i suoi termini hanno grado 3. • Il polinomio 4ab + 2xy è omogeneo perché tutti i suoi termini hanno grado 2. • Il polinomio a3 + a2 non è omogeneo perché il primo termine ha grado 3 e il secondo ha grado 2. 108 10.11. POLINOMI • Il polinomio x3 + x2 y + xy 2 + 1 non è omogeneo perché i primi tre termini hanno grado 3 ma l’ultimo ha grado 0. Definizione 10.11.7 (Polinomio ordinato). Un polinomio in forma normale si dice ordinato secondo le potenze decrescenti rispetto a una lettera se, leggendo da sinistra a destra, gli esponenti di quella lettera non aumentano. Un polinomio in forma normale si dice ordinato secondo le potenze crescenti rispetto a una lettera se, leggendo da sinistra a destra, gli esponenti di quella lettera non diminuiscono. Esempio 10.11.10. • Il polinomio a3 c + 3a2 bc3 + ab5 c2 è ordinato secondo le potenze decrescenti rispetto alla lettera a, è ordinato secondo le potenze crescenti rispetto alla lettera b, non è ordinato rispetto alla lettera c. • Il polinomio a3 + a2 + 1 è ordinato secondo le potenze decrescenti rispetto alla lettera a • Il polinomio 2x3 + y 4 + xy + x2 y 2 non è ordinato rispetto ad alcuna lettera. Un polinomio non ordinato lo si può rendere ordinato rispetto ad una lettera spostando i termini in modo che gli esponenti di quella lettera diventino crescenti o decrescenti. Esempio 10.11.11. Per ordinare secondo le potenze decrescenti rispetto alla lettera a il polinomio a2 + 3a3 b − a + 2ab2 è sufficiente scambiare i primi due termini ottenendo 3a3 b + a2 − a + 2ab2 Definizione 10.11.8 (Polinomio completo). Un polinomio in forma normale si dice completo rispetto ad una lettera se essa vi compare con tutte le potenze da quella di grado maggiore a quella di grado 0. Esempio 10.11.12. • Il polinomio 3x3 + x + 2x2 + 3 è completo rispetto alla lettera x perché essa compare con gli esponenti 3, 2, 1, 0. • Il polinomio x2 + 2xy + y 2 è completo sia rispetto alla lettera x sia rispetto alla lettera y perché esse compaiono con gli esponenti 2, 1, 0. • Il polinomio b3 + b2 + 5 non è completo rispetto alla lettera b perché manca il termine con esponente 1. • Il polinomio a3 +b2 a+ba2 è completo rispetto alla lettera b perché essa compare con gli esponenti 2, 1, 0; non è completo rispetto alla lettera a perché manca il termine con esponente 0. 10.11.4 Polinomi uguali Definizione 10.11.9 (Polinomi uguali). Due polinomi in forma normale sono uguali se hanno gli stessi termini indipendentemente dall’ordine. Esempio 10.11.13. 1 1 • I polinomi 3a2 b − a3 b + 5 e 5 + 3a2 b − a3 b sono uguali perché hanno gli stessi termini anche 2 2 se sono scritti in ordine diverso. • I polinomi 3x2 + x e 3x2 + x sono uguali perché hanno gli stessi termini. • I polinomi xy + x e x + yx sono uguali perché hanno gli stessi termini. • I polinomi y 2 + 2x e x2 + 2y non sono uguali perché i termini sono diversi 109 CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI 10.12 Addizione di polinomi Nell’insieme dei polinomi l’addizione si può sempre effettuare; il risultato dell’addizione si dice somma. Definizione 10.12.1 (Somma). La somma di due polinomi è il polinomio formato da tutti i termini dei polinomi dati. Eventuali termini simili vengono addizionati tra loro. Osservazioni 1. L’addizione di polinomi gode delle proprietà: associativa, commutativa, esistenza dell’elemento neutro, esistenza dell’elemento opposto. 2. Per effettuare la somma può essere utile sottolineare con segni uguali i termini simili. Inoltre può essere utile ordinare il polinomio somma secondo le potenze decrescenti rispetto ad una lettera. Esempio 10.12.1. • (3a + 5ab + b2 ) + (a2 − 7a2 b) = 3a + 5ab + b2 + a2 − 7a2 b non essendoci monomi simili, si sono riscritti tutti i termini. • (3x2 + 2x + 5) + (−5x3 + 2x2 + 6) = 3x2 + 2x + 5 − 5x3 + 2x2 + 6 = −5x3 + 5x2 + 2x + 11 infatti, nel primo passaggio si sono riscritti tutti i termini, nel secondo passaggio si sono sommati i monomi simili e si è ordinato il polinomio secondo le potenze decrescenti rispetto alla lettera x. • (2x2 y − 3x + 5) + (−3x2 y + x2 ) + (5x − 2 + x2 ) = 2x2 y − 3x + 5 − 3x2 y + x2 + 5x − 2 + x2 = −x2 y + 2x2 + 2x + 3 infatti, nel primo passaggio si sono riscritti tutti i termini, nel secondo passaggio si sono sommati i monomi simili e si è ordinato il polinomio secondo le potenze decrescenti rispetto alla lettera x. 10.13 Opposto di un polinomio Definizione 10.13.1 (Opposto). Si dice opposto di un polinomio il polinomio che, addizionato a quello dato, dà come somma il polinomio nullo. Osservazione L’opposto di un polinomio si indica ponendo il segno − davanti al polinomio racchiuso tra parentesi ed è uguale al polinomio che per termini gli opposti dei termini del polinomio dato. Esempio 10.13.1. L’opposto del polinomio a3 + 3a2 − 2 è −(a3 + 3a2 − 2) = −a3 − 3a2 + 2 infatti a3 + 3a2 − 2 − a3 − 3a2 + 2 = 0 Osservazione Il segno − davanti ad una parentesi cambia i segni dei coefficienti dei termini all’interno della parentesi. 110 10.14. SOTTRAZIONE DI POLINOMI 10.14 Sottrazione di polinomi La sottrazione, nell’insieme dei polinomi, si può sempre effettuare. Il risultato della sottrazione si dice differenza. Definizione 10.14.1 (Differenza). La differenza di due polinomi è il polinomio che si ottiene addizionando al primo l’opposto del secondo. Esempio 10.14.1. 1 1 2a − ab + 3b3 − 2a + a2 b − b3 = 2a − ab + 3b3 − 2a − a2 b + b3 = 2 2 Å ã 7 −a2 b − ab + b3 2 infatti nel primo passaggio il segno − davanti alla parentesi fa cambiare i segni dei coefficienti dei termini ivi racchiusi, nel secondo passaggio vengono sommati i monomi simili e il polinomio viene ordinato secondo le potenze decrescenti rispetto alla lettera a. Osservazione La differenza di due polinomi uguali è il polinomio nullo Esempio 10.14.2. −3x2 − x − 5 − (−3x2 − x − 5) = −3x2 − x − 5 + 3x2 + x + 5 = 0 infatti nel primo passaggio il segno − davanti alla parentesi fa cambiare i segni dei coefficienti dei termini ivi racchiusi, nel secondo passaggio vengono sommati i monomi simili che, essendo opposti, danno come risultato 0 La sottrazione e l’addizione di polinomi possono essere considerate un’unica operazione che si dice addizione algebrica. Esempio 10.14.3. 3a2 + 2a + a2 + a + 5 − (3a + 2) = 3a2 + 2a + a2 + a + 5 − 3a − 2 = 4a2 + 3 infatti nel primo passaggio vengono riscritti i termini tenendo conto che il segno − davanti alla parentesi fa cambiare i segni dei coefficienti dei termini ivi racchiusi, nel secondo passaggio vengono sommati i monomi simili e il polinomio viene ordinato secondo le potenze decrescenti rispetto alla lettera a. 10.15 Moltiplicazione di polinomi La moltiplicazione, nell’insieme dei polinomi, si può sempre effettuare. Consideriamo la seguente moltiplicazione di un monomio per un polinomio: a · (b + c) applicando la proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto all’addizione si ottiene: a·b+a·c Il risultato della moltiplicazione si dice prodotto. Definizione 10.15.1 (Prodotto di un monomio per un polinomio). Il prodotto di un monomio per un polinomio è il polinomio i cui termini si ottengono moltiplicando il monomio per ogni termine del polinomio dato. Esempio 10.15.1. 2a2 b · (3a2 − 2ab) = 6a4 b − 4a3 b2 infatti si è moltiplicato il monomio per ognuno dei termini del polinomio. 111 CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI Osservazione Poiché vale la proprietà commutativa della moltiplicazione, è indifferente che il monomio moltiplichi il polinomio o viceversa. Esempio 10.15.2. 1 2 1 1 x + 3x · ab = abx2 + abx 2 3 6 infatti si è moltiplicato il monomio per ognuno dei termini del polinomio. Å ã Consideriamo la seguente moltiplicazione di due polinomi: (a + b) · (c + d) applicando la proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto all’addizione e considerando la seconda parentesi come un unico termine, si ottiene: a · (c + d) + b · (c + d) applicando ancora la stessa proprietà si ottiene: ac + ad + bc + bd Nella pratica si salta il passaggio intermedio. Definizione 10.15.2 (Prodotto). Il prodotto di due polinomi è il polinomio i cui termini si ottengono moltiplicando ogni termine del primo polinomio per ogni termine del secondo polinomio. Osservazioni 1. La moltipliazione di polinomi gode delle proprietà: associativa, commutativa, esistenza dell’elemento neutro, esistenza dell’elemento nullificatore, legge di annullamento del prodotto, distributiva rispetto all’addizione 2. Se dopo aver effettuato la moltiplicazione si hanno dei monomi simili, questi si sommano. 3. Il grado del polinomio prodotto di due polinomi non nulli è uguale alla somma dei gradi dei polinomi dati. Esempio 10.15.3. • (3ax2 + 2x) · (2a + 3x) = 6a2 x2 + 9ax3 + 4ax + 6x2 infatti si è moltiplicato il primo termine del primo polinomio per ogni termine del secondo polinomio, poi si è moltiplicato il secondo termine del primo polinomio per ogni termine del secondo polinomio; essendo i polinomi formati da due termini, il risultato ha 2 · 2 = 4 termini, e, poiché il primo polinomio ha grado 3 e il secondo ha grado 1, il prodotto ha grado 3 + 1 = 4 • (a2 b + 2ab2 + b) · (a + b) = a3 b + a2 b2 + 2a2 b2 + 2ab3 + ab + b2 = a3 b + 3a2 b2 + 2ab3 + ab + b2 infatti si è moltiplicato ogni termine del primo polinomio per ogni termine del secondo polinomio; dopo aver effettuato la moltiplicazione si sono sommati i monomi simili e si è ordinato il polinomio secondo le potenze decrescenti rispetto alla lettera a; il grado del polinomio prodotto è 4. Osservazioni 1. Negli esempi si è fatta la scelta di moltiplicare il primo termine del primo polinomio per ogni termine del secondo polinomio, poi il secondo termine del primo polinomio per ogni termine del secondo polinomio e così via. È anche possibile moltiplicare tutti i termini del primo polinomio per il primo termine del secondo polinomio, poi tutti i termini del primo polinomio per il secondo termine del secondo polinomio e così via. Nel primo prodotto di polinomi dell’esempio precedente, procedendo in questo modo, si ottiene: (3ax2 + 2x) · (2a + 3x) = 6a2 x2 + 4ax + 9ax3 + 6x2 che coincide con il risultato trovato precedentemente. 112 10.15. MOLTIPLICAZIONE DI POLINOMI 2. Se dobbiamo moltiplicare tre polinomi, se ne moltiplicano due di loro e il risultato lo si moltiplica per il terzo. Poiché valgono le proprietà commutativa e associativa della moltiplicazione, la scelta dell’ordine secondo il quale moltiplicare i polinomi è libera. Dopo aver moltiplicato due polinomi, è utile sommare eventuali termini simili. Nella moltiplicazione di tre polinomi, il prodotto dei primi due deve essere racchiuso tra parentesi altrimenti solo un termine moltiplicherebbe il terzo polinomio. Esempio 10.15.4. (a + b) · (c + d) · (e + f ) = (ac + ad + bc + bd) · (e + f ) = ace + acf + ade + adf + bce + bcf + bde + bdf È errato scrivere (a + b) · (c + d) · (e + f ) = ac + ad + bc + bd · (e + f ) = ac + ad + bc + bde + bdf Esempio 10.15.5. • (3x2 + 2x) · (x − 2) · (x2 − x − 1) Moltiplicando i primi due polinomi si ottiene (3x3 − 6x2 + 2x2 − 4x) · (x2 − x − 1) Sommando i termini simili si ottiene (3x3 − 4x2 − 4x) · (x2 − x − 1) Moltiplicando i due polinomi si ottiene 3x5 − 3x4 − 3x3 − 4x4 + 4x3 + 4x2 − 4x3 + 4x2 + 4x Sommando i termini simili si ottiene 3x5 − 7x4 − 3x3 + 8x2 + 4x • (a − 2b) · (a + b) · (2a + b) · (2a − b) Moltiplicando rispettivamente, i primi due polinomi e il terzo e il quarto si ottiene (a2 + ab − 2ab − 2b2 ) · (4a2 − 2ab + 2ab − b2 ) Sommando i termini simili si ottiene (a2 − ab − 2b2 ) · (4a2 − b2 ) Moltiplicando i due polinomi si ottiene 4a4 − a2 b2 − 4a3 b + ab3 − 8a2 b2 + 2b4 Sommando i termini simili si ottiene 4a4 − 4a3 b − 9a2 b2 + ab3 + 2b4 Osservazione Se dobbiamo moltiplicare un monomio per due polinomi è consigliabile, per evitare errori, eseguire prima il prodotto dei due polinomi e poi moltiplicare il monomio per il prodotto ottenuto. Esempio 10.15.6. 2x · (x + 2) · (x + 3) Moltiplicando i due polinomi si ottiene 2x · (x2 + 3x + 2x + 6) Sommando i termini simili si ottiene 2x · (x2 + 5x + 6) Moltiplicando il monomio per il polinomio si ottiene 2x3 + 10x2 + 12x 113 CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI 10.15.1 Precedenza delle operazioni Nelle espressioni con i polinomi, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza: 1. moltiplicazione 2. addizione, sottrazione Esempio 10.15.7. Semplifichiamo l’espressione (2a + b) · (a − b) − 3a · (2a − b) + 4a2 = 2a2 − 2ab + ab − b2 − 6a2 + 3ab + 4a2 = −b2 + 2ab 10.16 Prodotti notevoli Alcune moltiplicazioni e potenze di polinomi rivestono una particolare importanza e si dicono prodotti notevoli. Questi prodotti e le potenze, dopo averle trasformate in prodotti, si potrebbero calcolare con il metodo visto precedentemente, cioè moltiplicando ogni termine di un polinomio per ogni termine dell’altro polinomio e poi sommando i termini simili; tuttavia è possibile scrivere direttamente il risultato finale omettendo i passaggi intermedi. In questo modo si velocizza la risoluzione delle espressioni algebriche; inoltre i prodotti notevoli rivestiranno un ruolo importante nella scomposizione in fattori dei polinomi. 10.16.1 Precedenza delle operazioni Nelle espressioni con i polinomi, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza: 1. potenza 2. moltiplicazione 3. addizione, sottrazione 10.16.2 Somma di due monomi per la loro differenza (a + b) · (a − b) = a2 − ab + ab − b2 = a2 − b2 Teorema 10.16.1 (Somma per differenza). Il prodotto della somma di due monomi per la loro differenza è uguale alla differenza fra il quadrato del termine con coefficiente che non cambia segno e il quadrato e il quadrato dell’altro termine: (a + b) · (a − b) = a2 − b2 Esempio 10.16.1. • (a + 5)(a − 5) = a2 − 25 infatti: a2 è il quadrato del termine con coefficiente che non cambia segno 25 è il quadrato del termine con coefficiente che cambia segno • (−2a + b3 )(−2a − b3 ) = 4a2 − b6 infatti: 4a2 è il quadrato del termine con coefficiente che non cambia segno b6 è il quadrato del termine con coefficiente che cambia segno 114 10.16. PRODOTTI NOTEVOLI • (−y + 3)(y + 3) = 9 − y 2 infatti: 9 è il quadrato del termine con coefficiente che non cambia segno y 2 è il quadrato del termine con coefficiente che cambia segno • Semplifichiamo l’espressione (2a + 3)(2a − 3)(4a2 + 9) = (4a2 − 9)(4a2 + 9) = 16a4 − 81 • Semplifichiamo l’espressione (2a + 1)(2a − 1) − 4(a + 3)(a − 3) = 4a2 − 1 − 4(a2 − 9) = 4a2 − 1 − 4a2 + 36 = 35 • Semplifichiamo l’espressione [2xy + (x + y)(x − y)](3x − 2y) − x(4xy − 7y 2 + 3x2 ) = (2xy + x2 − y 2 )(3x − 2y) − 4x2 y + 7xy 2 − 3x3 = 6x2 y − 4xy 2 + 3x3 − 2x2 y − 3xy 2 + 2y 3 − 4x2 y + 7xy 2 − 3x3 = 2y 3 10.16.3 Quadrato di un binomio (a + b)2 = (a + b) · (a + b) = a2 + ab + ab + b2 = a2 + 2ab + b2 Teorema 10.16.2 (Quadrato di un binomio). Il quadrato di un binomio è il polinomio costituito dalla somma dei quadrati dei due termini e del loro doppio prodotto: (a + b)2 = a2 + 2ab + b2 Osservazioni 1. I due quadrati hanno sempre coefficiente positivo, il coefficiente del doppio prodotto è positivo se i coefficienti dei due termini hanno lo stesso segno, negativo in caso contrario. 2. Per calcolare il doppio prodotto si effettua il prodotto tra i due termini e lo si moltiplica per 2. Esempio 10.16.2. • (a + 5)2 = a2 + 10a + 25 infatti: a2 e 25 sono i quadrati dei due termini a e 5 10a è il loro doppio prodotto: 2 · a · 5 • (2a − 3)2 = 4a2 − 12a + 9 infatti: 4a2 e 9 sono i quadrati dei due termini 2a e −3 −12a è il loro doppio prodotto: 2 · 2a · (−3) • (−3y − x2 )2 = 9y 2 + 6x2 y + x4 115 CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI • Semplifichiamo l’espressione (2b − 3)2 − (b + 1)2 − 5(b2 + 2) = 4b2 − 12b + 9 − (b2 + 2b + 1) − 5b2 − 10 = 4b2 − 12b + 9 − b2 − 2b − 1 − 5b2 − 10 = −2b2 − 14b − 2 • Semplifichiamo l’espressione (2x − 3)2 (x + 1) − (x + 2)(x − 3)2 + x2 (4 − 3x) = (4x2 − 12x + 9)(x + 1) − (x + 2)(x2 − 6x + 9) + 4x2 − 3x3 = 4x3 + 4x2 − 12x2 − 12x + 9x + 9 − (x3 − 6x2 + 9x + 2x2 − 12x + 18) + 4x2 − 3x3 = 4x3 − 8x2 − 3x + 9 − x3 + 6x2 − 9x − 2x2 + 12x − 18 + 4x2 − 3x3 = −9 • Semplifichiamo l’espressione (a − b + 5)(a + b − 5) = (a − (b − 5))(a + (b − 5)) = a2 − (b − 5)2 = a2 − (b2 − 10b + 25) = a2 − b2 + 10b − 25 • Semplifichiamo l’espressione (x + 3)2 (x − 3)2 − ((2x + 3)2 + x2 (x − 2)(x + 2) − 12x) = ((x + 3)(x − 3))2 − (4x2 + 12x + 9 + x2 (x2 − 4) − 12x) = (x2 − 9)2 − (4x2 + 12x + 9 + x4 − 4x2 − 12x) = x4 − 18x2 + 81 − 9 − x4 = −18x2 + 72 Osservazione È errato scrivere (a + b)2 = a2 + b2 cioè, per elevare al quadrato una somma, è errato elevare al quadrato solo i termini della somma. Infatti (2 + 3)2 = 52 = 25 mentre 22 + 32 = 4 + 9 = 13 quello che manca è il doppio prodotto 12 che sommato a 13 dà 25. 116 10.16. PRODOTTI NOTEVOLI 10.16.4 Quadrato di un trinomio (a + b + c)2 = (a + b + c)(a + b + c) = a2 + ab + ac + ab + b2 + bc + ac + bc + c2 = a2 + b2 + c2 + 2ab + 2ac + 2bc Teorema 10.16.3 (Quadrato di un trinomio). Il quadrato di un trinomio è il polinomio costituito dalla somma dei quadrati dei tre termini e dei tre loro doppi prodotti: (a + b + c)2 = a2 + b2 + c2 + 2ab + 2ac + 2bc Osservazione I tre quadrati hanno sempre coefficiente positivo, i coefficienti dei doppi prodotti sono positivi se i coefficienti dei due termini hanno lo stesso segno, negativi in caso contrario. Esempio 10.16.3. • (a2 + b + 1)2 = a4 + b2 + 1 + 2a2 b + 2a2 + 2b infatti: a4 , b2 , 1 sono i quadrati di a2 , b e 1 2a2 b è il doppio prodotto del primo termine per il secondo: 2 · a2 · b 2a2 è il doppio prodotto del primo termine per il terzo: 2 · a2 · 1 2b è il doppio prodotto del secondo termine per il terzo: 2 · b · 1 • (2x − y + xy)2 = 4x2 + y 2 + x2 y 2 − 4xy + 4x2 y − 2xy 2 infatti: 4x2 , y 2 , x2 y 2 sono i quadrati di 2x, −y e xy −4xy è il doppio prodotto del primo termine per il secondo 4x2 y è il doppio prodotto del primo termine per il terzo −2xy 2 è il doppio prodotto del secondo termine per il terzo • Semplifichiamo l’espressione (x + 2 + y)2 − (x + 2)(2y + 4) = x2 + 4 + y 2 + 4x + 2xy + 4y − (2xy + 4x + 4y + 8) = x2 + 4 + y 2 + 4x + 2xy + 4y − 2xy − 4x − 4y − 8 = x2 + y 2 − 4 • Semplifichiamo l’espressione (a + 3)2 (2a − 1)2 − (2a + 13)(2a3 + a2 ) + 2a(15 + 4a2 ) = ((a + 3)(2a − 1))2 − (4a4 + 2a3 + 26a3 + 13a2 ) + 30a + 8a3 = (2a2 + 5a − 3)2 − 4a4 − 2a3 − 26a3 − 13a2 + 30a + 8a3 = 4a4 + 25a2 + 9 + 20a3 − 12a2 − 30a − 4a4 − 2a3 − 26a3 − 13a2 + 30a + 8a3 = 9 • Semplifichiamo l’espressione (x2 + x + 1)2 − (x2 − 1)2 + (x + 1)(x − 1) − 3(x + 1)(2x − 2) = x4 + x2 + 1 + 2x3 + 2x2 + 2x − (x4 − 2x2 + 1) + x2 − 1 − 3(2x2 − 2) = x4 + x2 + 1 + 2x3 + 2x2 + 2x − x4 + 2x2 − 1 + x2 − 1 − 6x2 + 6 = 2x3 + 2x + 5 117 CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI 10.16.5 Cubo di un binomio (a + b)3 = (a + b)2 (a + b) = (a2 + 2ab + b2 )(a + b) = a3 + a2 b + 2a2 b + 2ab2 + ab2 + b3 = a3 + 3a2 b + 3ab2 + b3 Teorema 10.16.4 (Cubo di un binomio). Il cubo di un binomio è il polinomio costituito dalla somma dei cubi dei due termini, del triplo prodotto del quadrato del primo termine per il secondo e del triplo prodotto del primo termine per il quadrato del secondo: (a + b)3 = a3 + 3a2 b + 3ab2 + b3 Esempio 10.16.4. • (a + 2)3 = a3 + 6a2 + 12a + 8 infatti: a3 e 8 sono i cubi di a e 2 6a2 è il triplo prodotto del quadrato del primo termine per il secondo: 3 · a2 · 2 12a è il triplo prodotto del primo termine per il quadrato del secondo: 3 · a · 22 • (2x − 3)3 = 8x3 − 36x2 + 54x − 27 infatti: 8x3 e −27 sono i cubi di 2x e −3 −36x2 è il triplo prodotto del quadrato del primo termine per il secondo: 3 · (2x)2 · (−3) 54x è il triplo prodotto del primo termine per il quadrato del secondo: 3 · 2x · (−3)2 • Semplifichiamo l’espressione (2x − 1)3 − (4x2 + 1)(2x − 1) = 8x3 − 12x2 + 6x − 1 − (8x3 − 4x2 + 2x − 1) = 8x3 − 12x2 + 6x − 1 − 8x3 + 4x2 − 2x + 1 = −8x2 + 4x • Semplifichiamo l’espressione Å 1 1 axy − ab2 2 3 ã3 1 1 1 1 1 − a3 x2 y 2 xy − b2 + a3 b4 − xy + b2 = 4 2 3 2 9 Å ã Å ã 1 3 3 3 1 3 2 2 2 1 3 1 1 1 1 1 a x y − a x y b + a xyb4 − a3 b6 − a3 x3 y 3 + a3 x2 y 2 b2 − a3 b4 xy + a3 b6 = 0 8 4 6 27 8 4 6 27 • Semplifichiamo l’espressione (a + 2)3 + (a + 3)(a − 3) + 2(a − 1)2 − 9a2 = a3 + 6a2 + 12a + 8 + a2 − 9 + 2(a2 − 2a + 1) − 9a2 = a3 + 6a2 + 12a + 8 + a2 − 9 + 2a2 − 4a + 2 − 9a2 = a3 + 8a + 1 • Semplifichiamo l’espressione (y + 2)2 − (y + y 2 + 2)2 + (y + 1)(y 3 + 8) + (y − 2)3 + 10y(−2 + y) = y 2 + 4y + 4 − (y 2 + y 4 + 4 + 2y 3 + 4y + 4y 2 ) + y 4 + 8y + y 3 + 8 + y 3 − 6y 2 + 12y − 8 − 20y + 10y 2 = y 2 + 4y + 4 − y 2 − y 4 − 4 − 2y 3 − 4y − 4y 2 + y 4 + 8y + y 3 + 8 + y 3 − 6y 2 + 12y − 8 − 20y + 10y 2 = 0 Osservazione È errato scrivere (a + b)3 = a3 + b3 118 10.16. PRODOTTI NOTEVOLI 10.16.6 Somma di cubi (a + b) · (a2 − ab + b2 ) = a3 − a2 b + ab2 + a2 b − ab2 + b3 = a3 + b3 Teorema 10.16.5 (Somma di cubi). Il prodotto della somma di due monomi per il polinomio formato dalla somma dei loro quadrati diminuito del loro prodotto è uguale alla somma dei loro cubi (a + b) · (a2 − ab + b2 ) = a3 + b3 Esempio 10.16.5. • (a + 2)(a2 − 2a + 4) = a3 + 8 infatti: a3 è il cubo del primo monomio 8 è il cubo del secondo monomio • (3x2 + y 3 )(9x4 − 3x2 y 3 + y 6 ) = 27x6 + y 9 infatti: 27x6 è il cubo del primo monomio y 9 è il cubo del secondo monomio • Semplifichiamo l’espressione (a + 1)(a2 − a + 1) − a(a2 + 1) = a3 + 1 − a3 − a = 1 − a • Semplifichiamo l’espressione (a2 + b2 − ab)(a2 + b2 + ab + a + b) − (a2 + b2 )2 − (a + b)(a2 + b2 − ab) = a4 + a2 b2 + a3 b + a3 + a2 b + a2 b2 + b4 + ab3 + ab2 + b3 − a3 b − ab3 − a2 b2 − a2 b − ab2 − (a4 + 2a2 b2 + b4 ) − (a3 + b3 ) = a4 + a2 b2 + a3 + b4 + b3 − a4 − 2a2 b2 − b4 − a3 − b3 = −a2 b2 10.16.7 Differenza di cubi (a − b) · (a2 + ab + b2 ) = a3 + a2 b + ab2 − a2 b − ab2 − b3 = a3 − b3 Teorema 10.16.6 (Differenza di cubi). Il prodotto della differenza di due monomi per il polinomio formato dalla somma dei loro quadrati e del loro prodotto è uguale alla differenza dei loro cubi (a − b) · (a2 + ab + b2 ) = a3 − b3 Esempio 10.16.6. • (a − 3)(a2 + 3a + 9) = a3 − 27 infatti: a3 è il cubo del primo monomio 27 è il cubo del secondo monomio • (2x2 y − y 2 )(4x4 y 2 + 2x2 y 3 + y 4 ) = 8x6 y 3 − y 6 infatti: 8x6 y 3 è il cubo del primo monomio y 6 è il cubo del secondo monomio 119 CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI • Semplifichiamo l’espressione (2a − 3)(4a2 + 6a + 9) − 2a(2a − 1)(2a + 3) = 8a3 − 27 − 2a(4a2 + 6a − 2a − 3) = 8a3 − 27 − 8a3 − 12a2 + 4a2 + 6a = −8a2 + 6a − 27 • Semplifichiamo l’espressione (x + y)(x2 − xy + y 2 ) + (x − y)(x2 + xy + y 2 ) = x3 + y 3 + x3 − y 3 = 2x3 • Semplifichiamo l’espressione (x2 + 1)(x + 1)(x − 1) − x3 (x − 1) − (x − 1)(x2 + x + 1) = (x2 + 1)(x2 − 1) − x4 + x3 − (x3 − 1) = x4 − 1 − x4 + x3 − x3 + 1 = 0 10.17 Divisibilità di un polinomio per un monomio Definizione 10.17.1 (Divisibilità). Un polinomio è divisibile per un monomio se ogni termine del polinomio è divisibile per il monomio. Esempio 10.17.1. • Il polinomio 3a2 b + a3 + 5a è divisibile per il monomio 2a perché ogni termine del polinomio è divisibile per 2a • Il polinomio 2x3 + 3x2 + 5x + 2 non è divisibile per il monomio 3x perché 2 non è divisibile per 3x 10.18 Divisione di un polinomio per un monomio Nell’insieme dei polinomi, la divisione di un polinomio per un monomio si può effettuare solo se il polinomio, detto dividendo, è divisibile per il monomio, detto divisore; il risultato si dice quoziente. Inoltre, il divisore deve essere diverso dal monomio nullo. In particolare, è sempre possibile effettuare la divisione di un polinomio per un numero diverso da 0. Definizione 10.18.1 (Quoziente). Il quoziente della divisiondi un polinomio per un monomio, con il primo divisibile per il secondo, è il polinomio i cui termini si ottengono dividendo ogni termine del polinomio dato per il monomio. Esempio 10.18.1. 2 (3a3 b − 2ab2 + 3ab) : (3ab) = a2 − b + 1 3 120 10.19. POLINOMI COME FUNZIONI 10.18.1 Precedenza delle operazioni Nelle espressioni con i polinomi, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza: 1. potenza 2. moltiplicazione, divisione 3. addizione, sottrazione Esempio 10.18.2. 1. Semplifichiamo l’espressione (10x3 + 5x2 ) : (5x) − (2x − 1)(x + 3) = 2x2 + x − (2x2 + 6x − x − 3) = 2x2 + x − 2x2 − 6x + x + 3 = −4x + 3 2. Semplifichiamo l’espressione ã2 Å ãå ä Å5 ã 9 2 3a + 5a : a −3 : a (5a + 10) − (3a + 3)2 = ÇÅ Ä 3 2 3 5 2 9 9 a+3−3 : a (5a + 10) − (9a2 + 18a + 9) = 5 5 Å ãã Å 9 81 2 a : a (5a + 10) − 9a2 − 18a − 9 = 25 5 9 a(5a + 10) − 9a2 − 18a − 9 = 5 9a2 + 18a − 9a2 − 18a − 9 = −9 ÇÅ 10.19 ã Å ãå Polinomi come funzioni Un polinomio in una lettera, per esempio 3x2 + 2x + 5, si può considerare come funzione della variabile x, in quanto per ogni valore attribuito alla variabile x il polinomio assume uno ed un solo valore. Un polinomio con due lettere, per esempio x2 y − 2xy 2 + 4y 3 , si può considerare come funzione delle due variabili x e y. Quindi in generale ogni polinomio è una funzione delle variabili che lo costituiscono. Per indicare un polinomio generico nella variabile x, scriveremo A(x), B(x), P (x), Q(x), . . ., per indicare un polinomio generico nelle variabili x, y, scriveremo A(x, y), B(x, y), P (x, y), . . .. Osservazione A volte, in un polinomio con due lettere, una si può considerare variabile e l’altra costante; in questo caso il polinomio si considera in una variabile Esempio 10.19.1. • Dato il polinomio A(x) = x3 − 5x2 + 4 calcoliamo il valore assunto per x = 2 e per x = −3 Sostituiamo alla variabile x il valore 2: A(2) = 23 − 5 · 22 + 4 = −8 quindi per x = 2 il polinomio assume il valore −8. Sostituiamo alla variabile x il valore −3: A(−3) = (−3)3 − 5 · (−3)2 + 4 = −68 quindi per x = −3 il polinomio assume il valore −68. 121 CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI • Dato il polinomio A(x, y) = 3x2 y + 2y − 3x + 1 calcoliamo il valore assunto per x = −1 ∧ y = 4 Sostituiamo alla variabile x il valore −1 e alla variabile y il valore 4: A(−1, 4) = 3 · (−1)2 · 4 + 2 · 4 − 3 · (−1) + 1 = 24 quindi per x = −1 ∧ y = 4 il polinomio assume il valore 24. • Dato il polinomio A(x) = 3ax2 + x + a calcoliamo il valore assunto per x = a Sostituiamo alla variabile x il valore a: A(a) = 3a · (a)2 + a + a = 3a3 + 2a quindi per x = a il polinomio assume il valore 3a3 + 2a. 10.19.1 Principio di identità dei polinomi Teorema 10.19.1 (Principio di identità dei polinomi). Due polinomi sono uguali, se e solo se assumono lo stesso valore per qualsiasi valore assegnato alle variabili 10.19.2 Regola di Ruffini Per effettuare la divisione di polinomi nel caso particolare in cui il divisore è del tipo x − k, con k costante non nulla, si può utilizzare la regola di Ruffini. Questa regola permette di operare con i numeri trascurando la variabile. Anche in questo caso vediamo la regola attraverso un esempio. Esempio 10.19.2. Consideriamo la seguente divisione di polinomi: (3x4 + 2x2 − 3x + 1) : (x − 2) Ordiniamo i polinomi in ordine decrescente rispetto alla variabile e posizioniamo i coefficienti del dividendo nel seguente schema, inserendo 0 in corrispondenza dei coefficienti delle potenze mancanti. Il termine noto si scrive a destra della seconda barra verticale. 3 0 2 −3 1 A sinistra della prima barra verticale e sopra la barra orizzontale si scrive l’opposto del termine noto del divisore (si scrive l’opposto per poter effettuare la somma invece della differenza). 3 0 2 −3 1 2 Si riporta sotto la riga orizzontale il primo coefficiente del dividendo: 3 0 2 −3 1 2 3 122 10.19. POLINOMI COME FUNZIONI si moltiplica questo coefficiente per l’opposto del termine noto del divisore, si scrive il risultato sotto il secondo coefficiente del dividendo e si somma: 3 0 2 −3 1 2 6 3 6 Si moltiplica questo risultato per l’opposto del termine noto del divisore, si scrive il nuovo risultato sotto il terzo coefficiente e si somma: 2 3 0 2 −3 1 6 12 3 6 14 Si ripete il procedimento fino ad effettuare la somma con il termine a destra della seconda riga verticale: 3 0 2 −3 1 2 6 12 28 50 3 6 14 25 51 I numeri sotto la riga orizzontale compresi tra le due righe verticali sono i coefficienti del quoziente. Poiché, se il dividendo ha grado n, il quoziente ha grado n − 1, al primo coefficiente si associa la variabile con esponente n − 1 e si prosegue diminuendo l’esponente di 1; quindi nel nostro esempio, essendo il dividendo di quarto grado, il quoziente è: Q(x) = 3x3 + 6x2 + 14x + 25 Il numero a destra in basso è il resto, che nel nostro caso vale 51. Se il resto è diverso da 0, il suo grado deve essere minore del grado del divisore, quindi 0; di conseguenza il resto è un numero. Osservazione Se non si inseriscono gli zeri al posto dei coefficienti delle potenze mancanti, il risultato è errato perché, non essendoci la variabile, si sommano termini con grado diverso. Esempio 10.19.3. Determiniamo il quoziente e il resto di Å 1 5 7 a − a − a4 − 28 : (a − 4) 4 8 ã Ordiniamo il dividendo e riportiamo i coefficienti nella prima riga dello schema inserendo 0 dove mancano i termini di 3 e di 2 grado 1 4 − 7 8 0 0 −1 −28 Applichiamo il procedimento visto fino a completare lo schema: 1 4 4 − 7 8 1 1 1 4 8 Il quoziente è 0 1 2 1 2 0 −1 −28 2 8 28 2 7 0 1 1 1 Q(a) = a4 + a3 + a2 + 2a + 7 4 8 2 il resto è R=0 quindi il polinomio 1 5 7 a − a − a4 − 28 è divisibile per il binomio a − 4 4 8 123 CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI 10.19.3 Teorema di Ruffini Teorema 10.19.2 (Teorema di Ruffini). Un polinomio P (x) è divisibile per il binomio x − k se e solo se P (k) = 0 Esempio 10.19.4. • Il polinomio 1 P (y) = 2y 4 − y + 5 2 non è divisibile per y−2 perché P (2) = 2 · 24 − 1 · 2 + 5 = 32 − 1 + 5 = 36 6= 0 2 • Il polinomio P (x) = x4 − 6x2 + 2x − 21 è divisibile per x+3 perché P (−3) = (−3)4 − 6 · (−3)2 + 2 · (−3) − 21 = 81 − 54 − 6 − 21 = 0 • Il polinomio P (x) = x2 + ax − 2a2 è divisibile per x−a perché P (a) = a2 + a(a) − 2a2 = 0 Osservazione Ogni valore della variabile per il quale il polinomio P (x) si annulla si dice zero del polinomio 124 Capitolo 11 Scomposizione di polinomi 11.1 Introduzione Scomporre un polinomio significa scriverlo come prodotto di polinomi di grado inferiore. In questo capitolo consideriamo la scomposizione di polinomi in fattori aventi coefficienti razionali. Esempio 11.1.1. • Il polinomio a3 − a2 b, di terzo grado, può essere scomposto nel prodotto: a2 (a − b) costituito da un polinomio di secondo grado e da uno di primo grado. Infatti, se effettuiamo la moltiplicazione, otteniamo il polinomio dato. • Il polinomio 4a2 − 1, di secondo grado, può essere scomposto nel prodotto: (2a + 1)(2a − 1) costituito da due polinomi di primo grado. Infatti, se effettuiamo la moltiplicazione, otteniamo il polinomio dato. Non tutti i polinomi sono scomponibili. Definizione 11.1.1 (Polinomi riducibili e irriducibili). Un polinomio si dice riducibile se si può scomporre nel prodotto di polinomi di grado inferiore, altrimenti si dice irriducibile. Esempio 11.1.2. • 3a2 b2 + 6ab + 9ab3 è riducibile, infatti può essere scomposto nel prodotto 3ab(ab + 2 + 3b2 ) • a2 − 1 è riducibile, infatti può essere scomposto nel prodotto (a + 1)(a − 1) • a2 + 1 è irriducibile, infatti non può essere scomposto in alcun prodotto di polinomi di grado inferiore. • a+b è irriducibile, infatti non può essere scomposto in alcun prodotto di polinomi di grado inferiore. 125 CAPITOLO 11. SCOMPOSIZIONE DI POLINOMI • x2 − 2 non può essere scomposto in alcun prodotto di polinomi di grado inferiore con coefficienti razionali, mentre nell’insieme dei numeri reali risulta riducibile Osservazione Qualsiasi polinomio può sempre essere scritto come prodotto di un polinomio di grado 0, cioè un numero, per un polinomio dello stesso grado; questa non è una scomposizione perché i polinomi non sono tutti di grado inferiore a quello dato. Il polinomio di partenza è perciò irriducibile. Esempio 11.1.3. • 2a + 2 = 2(a + 2) • 3a2 Å +5=3 a2 5 + 3 ã 126 Capitolo 12 Scomposizione di polinomi 12.1 Introduzione Scomporre un polinomio significa scriverlo come prodotto di polinomi di grado inferiore. In questo capitolo consideriamo la scomposizione di polinomi in fattori aventi coefficienti razionali. Esempio 12.1.1. • Il polinomio a3 − a2 b, di terzo grado, può essere scomposto nel prodotto: a2 (a − b) costituito da un polinomio di secondo grado e da uno di primo grado. Infatti, se effettuiamo la moltiplicazione, otteniamo il polinomio dato. • Il polinomio 4a2 − 1, di secondo grado, può essere scomposto nel prodotto: (2a + 1)(2a − 1) costituito da due polinomi di primo grado. Infatti, se effettuiamo la moltiplicazione, otteniamo il polinomio dato. Non tutti i polinomi sono scomponibili. Definizione 12.1.1 (Polinomi riducibili e irriducibili). Un polinomio si dice riducibile se si può scomporre nel prodotto di polinomi di grado inferiore, altrimenti si dice irriducibile. Esempio 12.1.2. • 3a2 b2 + 6ab + 9ab3 è riducibile, infatti può essere scomposto nel prodotto 3ab(ab + 2 + 3a2 ) • a2 − 1 è riducibile, infatti può essere scomposto nel prodotto (a + 1)(a − 1) • a2 + 1 è irriducibile, infatti non può essere scomposto in alcun prodotto di polinomi di grado inferiore. • a+b è irriducibile, infatti non può essere scomposto in alcun prodotto di polinomi di grado inferiore. 127 CAPITOLO 12. SCOMPOSIZIONE DI POLINOMI • x2 − 2 non può essere scomposto in alcun prodotto di polinomi di grado inferiore con coefficienti razionali, mentre nell’insieme dei numeri reali risulta riducibile Osservazione Qualsiasi polinomio può sempre essere scritto come prodotto di un polinomio di grado 0, cioè un numero, per un polinomio dello stesso grado; questa non è una scomposizione perché i polinomi non sono tutti di grado inferiore a quello dato. Il polinomio di partenza è perciò irriducibile. Esempio 12.1.3. • 2a + 2 = 2(a + 2) • 3a2 12.2 Å +5=3 a2 5 + 3 ã Metodi di scomposizione dei polinomi Nell’esempio precedente abbiamo visto alcuni polinomi riducibili e altri irriducibili; in generale non è possibile decidere a priori se un polinomio è riducibile o no. Infatti, per scomporre un polinomio non c’è una regola generale, ma esistono diversi metodi da applicare di volta in volta e che ora analizziamo. È sempre possibile verificare la correttezza della scomposizione: effettuando la moltiplicazione dei fattori nel polinomio scomposto si deve ottenere il polinomio dato. 12.2.1 Raccoglimento a fattor comune totale La scomposizione mediante raccoglimento a fattor comune totale utilizza la proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto all’addizione: ab + ac = a(b + c) Questo metodo si può applicare se compaiono dei fattori comuni a tutti i termini del polinomio. Per scomporre un polinomio utilizzando il metodo del raccoglimento a fattor comune totale: 1. si determina il MCD di tutti i termini del polinomio 2. il polinomio si scompone nel prodotto tra il MCD e il quoziente della divisione tra il polinomio dato e il MCD Esempio 12.2.1. • Scomponiamo a2 + 3a il polinomio è formato da due termini a2 e 3a il cui MCD è a; il quoziente tra a2 e a è a; il quoziente tra 3a e a è 3; quindi il polinomio si scompone in: a2 + 3a = a(a + 3) • Scomponiamo 5a3 b2 − 10a2 b3 + 20a2 b2 il polinomio è formato da tre termini 5a3 b2 , −10a2 b3 , 20a2 b2 il cui MCD è 5a2 b2 ; il quoziente tra 5a3 b2 e 5a2 b2 è a; il quoziente tra −10a2 b3 e 5a2 b2 è −2b; il quoziente tra 20a2 b2 e 5a2 b2 è 4; quindi il polinomio si scompone in: 5a3 b2 − 10a2 b3 + 20a2 b2 = 5a2 b2 (a − 2b + 4) 128 12.2. METODI DI SCOMPOSIZIONE DEI POLINOMI Osservazione Poiché il quoziente tra un termine e se stesso è 1 e non 0, il polinomio a3 + a2 + a si scompone in a(a2 + a + 1) e non in a(a2 + a). Finora abbiamo raccolto monomi. È anche possibile raccogliere polinomi, come si può vedere dai seguenti esempi. Esempio 12.2.2. • Scomponiamo a(x − y) + 3(x − y) il polinomio è formato da a(x − y) e 3(x − y); il fattore comune è x − y; il quoziente tra a(x − y) e x − y è a; il quoziente tra 3(x − y) e x − y è 3; quindi il polinomio si scompone in: a(x − y) + 3(x − y) = (x − y)(a + 3) • Scomponiamo a(a + b) + (a + b)2 il polinomio è formato da a(a + b) e (a + b)2 ; il fattore comune è a + b; il quoziente tra a(a + b) e a + b è a; il quoziente tra (a + b)2 e a + b è a + b; quindi il polinomio si scompone in: a(a + b) + (a + b)2 = (a + b) (a + (a + b)) = (a + b)(2a + b) Osservazione Quando si raccolgono dei polinomi anche il polinomio raccolto deve essere racchiuso tra parentesi. Per esempio, il polinomio a(x + 2y) + b(x + 2y) si scompone in (x + 2y)(a + b) e non in x + 2y(a + b). 12.2.2 Raccoglimento a fattor comune parziale Se non è possibile effettuare un raccoglimento a fattor comune totale, si può effettuare un raccoglimento a fattor comune parziale fra alcuni termini e, se è possibile, in un secondo passaggio effettuare un raccoglimento a fattor comune totale. Esempio 12.2.3. • Scomponiamo ax + bx + ay + by Non esiste un fattore comune a tutti i termini del polinomio. Tra i primi due termini si può raccogliere il fattore x e tra il terzo e quarto il fattore y, ottenendo: x(a + b) + y(a + b) Ora è possibile effettuare il raccoglimento a fattor comune totale di a + b (a + b)(x + y) quindi ax + bx + ay + by = (a + b)(x + y) Il raccoglimento parziale si poteva anche effettuare raccogliendo il fattore a tra il primo e il terzo termine e il fattore b tra il secondo e quarto termine, ottenendo: a(x + y) + b(x + y) 129 CAPITOLO 12. SCOMPOSIZIONE DI POLINOMI Ora è possibile effettuare il raccoglimento a fattor comune totale di x + y (x + y)(a + b) quindi ax + bx + ay + by = (x + y)(a + b) • Scomponiamo 2a3 − 4a2 b − 3ab + 6b2 Non esiste un fattore comune a tutti i termini del polinomio. Tra i primi due termini si può raccogliere il fattore 2a2 e tra il terzo e il quarto il fattore −3b, ottenendo: 2a2 (a − 2b) − 3b (a − 2b) Ora è possibile effettuare il raccoglimento a fattor comune totale di (a − 2b) Ä ä (a − 2b) 2a2 − 3b quindi Ä ä 2a3 − 4a2 b − 3ab + 6b2 = (a − 2b) 2a2 − 3b • Scomponiamo ax + ay − x − y Non esiste un fattore comune a tutti i termini. Tra i primi due termini si può raccogliere il fattore a e tra il terzo e il quarto il fattore −1, ottenendo: a (x + y) − 1 (x + y) Ora è possibile effettuare il raccoglimento a fattor comune totale di (x + y) (x + y) (a − 1) quindi ax + ay − x − y = (x + y) (a − 1) • Scomponiamo 3ab − c2 + ac − 3bc Non esiste un fattore comune a tutti i termini. Tra il primo e il terzo termine si può raccogliere il fattore a e tra il secondo e il quarto il fattore −c, ottenendo: a(3b + c) − c(c + 3b) Ora è possibile effettuare il raccoglimento a fattor comune totale di (3b + c) (3b + c)(a − c) quindi 3ab − c2 + ac − 3bc = (3b + c)(a − c) Osservazione Nel raccoglimento a fattor comune parziale i fattori raccolti, escluso il primo se ha coefficiente positivo, devono essere preceduti dal segno + o −. Quindi a2 + ab + ac + bc diventa a (a + b) + c (a + b) e non a (a + b) c (a + b) 130 12.2. METODI DI SCOMPOSIZIONE DEI POLINOMI 12.2.3 Scomposizione mediante prodotti notevoli Un altro metodo per scomporre un polinomio in fattori, consiste nell’utilizzare le formule dei prodotti notevoli. Questo metodo si può applicare nel caso in cui il polinomio dato è lo sviluppo di un prodotto notevole. Analizziamo ora i singoli prodotti notevoli Differenza di due quadrati Consideriamo il prodotto notevole somma per differenza: (a + b) (a − b) = a2 − b2 Per la proprietà simmetrica dell’uguaglianza si ha: a2 − b2 = (a + b) (a − b) Il polinomio a2 − b2 si dice differenza di due quadrati. Un polinomio è una differenza di due quadrati se: 1. è la differenza tra due monomi; 2. i due monomi sono dei quadrati. Per scomporre la differenza di due quadrati: 1. si determinano le basi (entrambe con coefficiente positivo) dei due quadrati; 2. il polinomio si scompone nel prodotto tra la somma delle due basi e la loro differenza. Esempio 12.2.4. • Scomponiamo 9 − x2 Il polinomio è la differenza tra i monomi 9, quadrato di 3, e x2 , quadrato di x. Quindi 9 − x2 è una differenza di due quadrati e si scompone in: 9 − x2 = (3 + x)(3 − x) • Scomponiamo −x2 − y 2 Il polinomio è la differenza tra i monomi −x2 e y 2 ; −x2 non è un quadrato perché ha coefficiente negativo, quindi −x2 − y 2 non è una differenza di due quadrati. • Scomponiamo a3 − 4 Il polinomio è la differenza tra i monomi a3 e 4; a3 non è un quadrato, quindi a3 − 4 non è una differenza di due quadrati. • Scomponiamo x4 − 25 Il polinomio è la differenza tra i monomi x4 , quadrato di x2 , e 25, quadrato di 5. Quindi x4 − 25 è una differenza di due quadrati e si scompone in: Ä x4 − 25 = x2 + 5 äÄ x2 − 5 ä 131 CAPITOLO 12. SCOMPOSIZIONE DI POLINOMI • Scomponiamo 16x2 − 9y 4 Il polinomio è la differenza tra i monomi 16x2 , quadrato di 4x, e 9y 4 , quadrato di 3y 2 . Quindi 16x2 − 9y 4 è una differenza di due quadrati e si scompone in: Ä 16x2 − 9y 4 = 4x + 3y 2 äÄ 4x − 3y 2 ä • Scomponiamo −a4 + 16 Il polinomio può essere riscritto come 16 − a4 , che è la differenza di due quadrati. Quindi −a4 + 16 si scompone in: Ä 4 + a2 äÄ 4 − a2 ä Il secondo fattore è ancora una differenza di due quadrati e si scompone in: (2 − a) (2 + a) Pertanto −a4 + 16 si scompone in: Ä ä −a4 + 16 = 4 + a2 (2 + a) (2 − a) • Scomponiamo (3a + 2)2 − (a + 4)2 = ((3a + 2) + (a + 4))((3a + 2) − (a + 4)) = (3a + 2 + a + 4)(3a + 2 − a − 4) = (4a + 6)(2a − 2) = 2(2a + 3)2(a − 1) = 4(2a + 3)(a − 1) Osservazione Il polinomio a2 + b2 è irriducibile perché la somma di due potenze con esponente pari non è divisibile né per la somma, né per la differenza delle basi Quadrato di un binomio Consideriamo ora il prodotto notevole quadrato di un binomio: (a + b)2 = a2 + 2ab + b2 Per la proprietà simmetrica dell’uguaglianza si ha: a2 + 2ab + b2 = (a + b)2 Un polinomio è il quadrato di un binomio se: 1. è formato da tre termini; 2. due termini sono dei quadrati; 3. il terzo termine è il doppio prodotto delle basi. Per scomporre il quadrato di un binomio: 1. si individuano i due quadrati; 2. si determinano le basi, con coefficiente positivo, dei due quadrati; 132 12.2. METODI DI SCOMPOSIZIONE DEI POLINOMI 3. il polinomio si scompone nel quadrato del binomio formato dalla somma o dalla differenza delle due basi, secondo che il doppio prodotto ha coefficiente positivo o negativo. Esempio 12.2.5. • Scomponiamo x2 + 4x + 4 Il polinomio è formato da tre termini x2 e 4 sono i quadrati rispettivamente di x e 2 il termine 4x è il doppio prodotto tra x e 2. Quindi x2 + 4x + 4 è il quadrato di un binomio e si scompone in: x2 + 4x + 4 = (x + 2)2 • Scomponiamo 4a2 − 12a + 9 Il polinomio è formato da tre termini 4a2 e 9 sono i quadrati rispettivamente di 2a e 3 il termine −12a è l’opposto del doppio prodotto tra 2a e 3. Quindi 4a2 − 12a + 9 è il quadrato di un binomio e si scompone in: 4a2 − 12a + 9 = (2a − 3)2 • Scomponiamo a2 + a + 1 Il polinomio è formato da tre termini a2 e 1 sono i quadrati rispettivamente di a e di 1 il termine a non è il doppio prodotto tra a e 1. Quindi a2 + a + 1 non è il quadrato di un binomio. • Scomponiamo x2 + 1 Il polinomio è formato da due termini, quindi x2 + 1 non è il quadrato di un binomio. • Scomponiamo 25x2 + 9y 4 + 30xy 2 Il polinomio è formato da tre termini 25x2 e 9y 4 sono i quadrati rispettivamente di 5x e 3y 2 il termine 30xy 2 è il doppio prodotto tra 5x e 3y 2 . Quindi 25x2 + 9y 4 + 30xy 2 è il quadrato di un binomio e si scompone in: 25x2 + 9y 4 + 30xy 2 = (5x + 3y 2 )2 • Scomponiamo −4abc + 4a2 b2 + c2 Il polinomio è formato da tre termini 4a2 b2 e c2 sono i quadrati rispettivamente di 2ab e c il termine −4abc è l’opposto del doppio prodotto tra 2ab e c. Quindi −4abc + 4a2 b2 + c2 è il quadrato di un binomio e si scompone in: −4abc + 4a2 b2 + c2 = (2ab − c)2 133 CAPITOLO 12. SCOMPOSIZIONE DI POLINOMI • Scomponiamo a2 + 2a + 1 − b2 = (a + 1)2 − b2 = (a + 1 + b)(a + 1 − b) Osservazione Poiché il binomio è elevato al quadrato, si possono cambiare tutti i segni dei coefficienti dei termini all’interno della parentesi e il risultato non cambia. Esempio 12.2.6. • a2 − 2ab + b2 si può scomporre in (a − b)2 oppure in (−a + b)2 • a2 + 2ab + b2 si può scomporre in (a + b)2 oppure in (−a − b)2 Quadrato di un trinomio Consideriamo ora il prodotto notevole quadrato di un trinomio: (a + b + c)2 = a2 + b2 + c2 + 2ab + 2ac + 2bc Per la proprietà simmetrica dell’uguaglianza si ha a2 + b2 + c2 + 2ab + 2ac + 2bc = (a + b + c)2 Un polinomio è il quadrato di un trinomio se: 1. è formato da sei termini; 2. tre termini sono dei quadrati; 3. i rimanenti termini sono i doppi prodotti delle coppie di basi (con coefficiente positivo) dei quadrati o gli opposti degli stessi. Per scomporre il quadrato di un trinomio: 1. si individuano i tre quadrati; 2. si determinano le basi, con coefficiente positivo, dei quadrati; 3. il polinomio si scompone nel quadrato del trinomio formato dalla somma algebrica delle tre basi (i segni dei coefficienti sono uguali se il corrispondente doppio prodotto ha coefficiente positivo, sono diversi in caso contrario). Esempio 12.2.7. 134 12.2. METODI DI SCOMPOSIZIONE DEI POLINOMI • Scomponiamo a2 + b2 + 4 + 2ab + 4a + 4b Il polinomio è formato da sei termini: a2 , b2 e 4 sono i quadrati rispettivamente di a, b e 2; il termine 2ab è il doppio prodotto tra a e b; il termine 4a è il doppio prodotto tra a e 2; il termine 4b è il doppio prodotto tra 2 e b. Quindi a2 + b2 + 4 + 2ab + 4a + 4b è il quadrato di un trinomio e si scompone in: a2 + b2 + 4 + 2ab + 4a + 4b = (a + b + 2)2 Tutti i termini hanno lo stesso segno perché i doppi prodotti hanno tutti coefficiente positivo. • Scomponiamo 4x2 + y 2 + 9 + 4xy − 12x − 6y Il polinomio è formato da sei termini 4x2 , y 2 e 9 sono i quadrati rispettivamente di 2x, y e 3; il termine 4xy è il doppio prodotto tra 2x e y; il termine −12x è l’opposto del doppio prodotto tra 2x e 3; il termine −6y è l’opposto del doppio prodotto tra y e 3. Quindi 4x2 + y 2 + 9 + 4xy − 12x − 6y è il quadrato di un trinomio e si scompone in: 4x2 + y 2 + 9 + 4xy − 12x − 6y = (2x + y − 3)2 I termini 2x e y hanno lo stesso segno perché il loro doppio prodotto ha coefficiente positivo, y e −3 hanno segno diverso perché il loro doppio prodotto ha coefficiente negativo. • Scomponiamo 1 + x4 + a2 + a + 2x2 + 2ax2 Il polinomio è formato da sei termini 1, x4 e a2 sono i quadrati rispettivamente di 1, x2 e a; il termine a non è il doppio prodotto di alcuna coppia dei termini trovati. Quindi 1 + x4 + a2 + a + 2x2 + 2ax2 non è il quadrato di un trinomio. • Scomponiamo a2 + b2 + c2 Il polinomio è formato da tre termini. Quindi a2 + b2 + c2 non è il quadrato di un trinomio. • Scomponiamo 4a2 − 12ab + 9b2 + 4a3 − 6a2 b + a4 Il polinomio è formato da sei termini 4a2 , 9b2 e a4 sono i quadrati rispettivamente di 2a, 3b e a2 ; il termine −12ab è l’opposto del doppio prodotto tra 2a e 3b; il termine 4a3 è il doppio prodotto tra 2a e a2 ; il termine −6a2 b è l’opposto del doppio prodotto tra 3b e a2 . Quindi 4a2 − 12ab + 9b2 + 4a3 − 6a2 b + a4 è il quadrato di un trinomio e si scompone in: Ä 4a2 − 12ab + 9b2 + 4a3 − 6a2 b + a4 = 2a − 3b + a2 ä2 I termini 2a e a2 hanno lo stesso segno perché il loro doppio prodotto ha coefficiente positivo, 2a e −3b hanno segno diverso perché il loro doppio prodotto ha coefficiente negativo. Osservazione Poiché il trinomio è elevato al quadrato, si possono cambiare tutti i segni dei coefficienti dei termini all’interno della parentesi e il risultato non cambia. 135 CAPITOLO 12. SCOMPOSIZIONE DI POLINOMI Cubo di un binomio Consideriamo ora il prodotto notevole cubo di un binomio: (a + b)3 = a3 + 3a2 b + 3ab2 + b3 Per la proprietà simmetrica dell’uguaglianza si ha: a3 + 3a2 b + 3ab2 + b3 = (a + b)3 Un polinomio è il cubo di un binomio se: 1. è formato da quattro termini; 2. due termini sono dei cubi; 3. i rimanenti termini sono i tripli prodotti tra il quadrato della base di un cubo per la base dell’altro cubo. Per scomporre il cubo di un binomio: 1. si individuano i due cubi; 2. si determinano le basi dei cubi; 3. il polinomio si scompone nel cubo del binomio che ha come termini le basi dei due cubi. Esempio 12.2.8. • Scomponiamo x3 + 6x2 + 12x + 8 Il polinomio è formato da quattro termini x3 e 8 sono i cubi rispettivamente di x e 2; il termine 6x2 è il triplo prodotto tra il quadrato di x e 2; il termine 12x è il triplo prodotto tra x e il quadrato di 2. Quindi x3 + 6x2 + 12x + 8 è il cubo di un binomio e si scompone in: x3 + 6x2 + 12x + 8 = (x + 2)3 • Scomponiamo x3 − 3x2 + 3x − 1 Il polinomio è formato da quattro termini x3 e −1 sono i cubi rispettivamente di x e −1; il termine −3x2 è il triplo prodotto tra il quadrato di x e −1; il termine 3x è il triplo prodotto tra x e il quadrato di −1. Quindi x3 − 3x2 + 3x − 1 è il cubo di un binomio e si scompone in: x3 − 3x2 + 3x − 1 = (x − 1)3 • Scomponiamo a3 + 8b3 + 3a2 b + 3ab2 Il polinomio è formato da quattro termini a3 e 8b3 sono i cubi rispettivamente di a e 2b; il termine 3a2 b non è né il triplo prodotto tra il quadrato di a e 2b né il triplo prodotto tra a e il quadrato di 2b. Quindi a3 + 8b3 + 3a2 b + 3ab2 non è il cubo di un binomio. 136 12.2. METODI DI SCOMPOSIZIONE DEI POLINOMI • Scomponiamo a3 + b3 Il polinomio è formato da due termini quindi a3 + b3 non è il cubo di un binomio. • Scomponiamo 27a6 − 8b3 − 54a4 b + 36a2 b2 Il polinomio è formato da quattro termini 27a6 e −8b3 sono i cubi rispettivamente di 3a2 e −2b; il termine −54a4 b è il triplo prodotto tra il quadrato di 3a2 e −2b; il termine 36a2 b2 è il triplo prodotto tra 3a2 e il quadrato di −2b. Quindi 27a6 − 8b3 − 54a4 b + 36a2 b2 è il cubo di un binomio e si scompone in Ä ä3 27a6 − 8b3 − 54a4 b + 36a2 b2 = 3a2 − 2b Somma di due cubi Consideriamo il prodotto notevole somma di cubi: Ä ä (a + b) a2 − ab + b2 = a3 + b3 Per la proprietà simmetrica dell’uguaglianza si ha: Ä a3 + b3 = (a + b) a2 − ab + b2 ä Un polinomio è una somma di due cubi se: 1. è la somma tra due monomi; 2. i due monomi sono dei cubi. Per scomporre la somma di due cubi: 1. si determinano le basi dei due cubi; 2. il polinomio si scompone nel prodotto fra la somma delle basi e il polinomio formato dalla somma dei quadrati e dell’opposto del prodotto delle basi. Esempio 12.2.9. • Scomponiamo x3 + 8 Il polinomio è la somma tra i monomi x3 , cubo di x, e 8, cubo di 2. Quindi x3 + 8 è una somma di due cubi e si scompone in: Ä x3 + 8 = (x + 2) x2 − 2x + 4 ä • Scomponiamo y6 + 1 Il polinomio è la somma tra i monomi y 6 , cubo di y 2 , e 1, cubo di 1. Quindi y 6 + 1 è una somma di due cubi e si scompone in: y 6 + 1 = (y 2 + 1)(y 4 − y 2 + 1) 137 CAPITOLO 12. SCOMPOSIZIONE DI POLINOMI • Scomponiamo x4 + b3 Il polinomio è la somma tra i monomi x4 e b3 ; x4 non è un cubo. Quindi x4 + b3 non è una somma di due cubi. • Scomponiamo 64a9 + b6 c3 Il polinomio è la somma tra i monomi 64a9 , cubo di 4a3 , e b6 c3 , cubo di b2 c. Quindi 64a9 + b6 c3 è una somma di due cubi e si scompone in: Ä äÄ 64a9 + b6 c3 = 4a3 + b2 c 16a6 − 4a3 b2 c + b4 c2 ä • Scomponiamo (a + b)3 + 27 = ((a + b) + 3)((a + b)2 − 3(a + b) + 9) = (a + b + 3)(a2 + 2ab + b2 − 3a − 3b + 9) • Scomponiamo x3 − 3x2 + 3x − 1 + y 3 = (x − 1)3 + y 3 = ((x − 1) + y)((x − 1)2 − (x − 1)y + y 2 ) = (x − 1 + y)(x2 − 2x + 1 − xy + y + y 2 ) • Scomponiamo y 6 + 2y 3 + 1 = (y 3 + 1)2 = ((y + 1)(y 2 − y + 1))2 = (y + 1)2 (y 2 − y + 1)2 Osservazione a2 − ab + b2 non è il quadrato di un binomio, perché −ab non è né il doppio prodotto tra a e b né l’opposto dello stesso. Il polinomio a2 − ab + b2 è irriducibile. Differenza di due cubi Consideriamo il prodotto notevole differenza di cubi: ä Ä (a − b) a2 + ab + b2 = a3 − b3 Per la proprietà simmetrica dell’uguaglianza si ha: Ä a3 − b3 = (a − b) a2 + ab + b2 ä Un polinomio è una differenza di due cubi se: 1. è la differenza tra due monomi; 2. i due monomi sono dei cubi. Per scomporre la differenza di due cubi: 1. si determinano le basi dei due cubi; 2. il polinomio si scompone nel prodotto fra la differenza delle due basi e il polinomio formato dalla somma dei quadrati e del prodotto delle basi. Esempio 12.2.10. 138 12.2. METODI DI SCOMPOSIZIONE DEI POLINOMI • Scomponiamo x3 − 1 Il polinomio è la differenza tra i monomi x3 , cubo di x, e 1, cubo di 1. Quindi x3 − 1 è una differenza di due cubi e si scompone in: Ä x3 − 1 = (x − 1) x2 + x + 1 ä • Scomponiamo a3 − 64 Il polinomio è la differenza tra i monomi a3 , cubo di a, e 64, cubo di 4. Quindi a3 − 64 è una differenza di due cubi e si scompone in: a3 − 64 = (a − 4)(a2 + 4a + 16) • Scomponiamo x8 − b3 Il polinomio è la differenza tra i monomi x8 e b3 ; x8 non è un cubo. Quindi x8 − b3 non è una differenza di due cubi. • Scomponiamo 8a6 − 27b3 Il polinomio è la differenza tra i monomi 8a6 , cubo di 2a2 , e 27b3 , cubo di 3b. Quindi 8a6 − 27b3 è una differenza di due cubi e si scompone in: Ä äÄ 8a6 − 27b3 = 2a2 − 3b 4a4 + 6a2 b + 9b2 ä • Scomponiamo (2a−3b)3 −1 = ((2a−3b)−1)((2a−3b)2 +2a−3b+1) = (2a−3b−1)(4a2 −12ab+9b2 +2a−3b+1) • Scomponiamo x6 − y 6 = (x3 − y 3 )(x3 + y 3 ) = (x − y)(x2 + xy + y 2 )(x + y)(x2 − xy + y 2 ) Osservazione a2 + ab + b2 non è il quadrato di un binomio, perché ab non è il doppio prodotto tra a e b. Il polinomio a2 + ab + b2 è irriducibile. 12.2.4 Trinomio particolare Alcuni trinomi di secondo grado si possono scomporre in prodotti di binomi, utilizzando il metodo del trinomio particolare. Dato il trinomio x2 + sx + p, se è possibile determinare due numeri a, b tali che: a+b=s a·b=p si può scomporre il trinomio nel seguente modo: x2 + sx + p = x2 + (a + b)x + ab = x2 + ax + bx + ab 139 CAPITOLO 12. SCOMPOSIZIONE DI POLINOMI effettuando un raccoglimento a fattor comune parziale si ha x(x + a) + b(x + a) effettuando un raccoglimento a fattor comune totale si ha (x + a)(x + b) quindi x2 + sx + p = (x + a)(x + b) Un polinomio si può scomporre con il metodo del trinomio particolare se: 1. è formato da tre termini; 2. è di secondo grado; 3. il coefficiente del termine di secondo grado è 1; 4. esistono due numeri interi che, addizionati, danno il coefficiente del termine di primo grado e che, moltiplicati, danno il termine noto. Per stabilire se esistono o no tali numeri, si può: 1. si determinano tutte le coppie di numeri interi il cui prodotto è il termine noto 2. si controlla se, tra tutte le coppie ottenute, ne esista una la cui somma sia il coefficiente del termine di primo grado. Per scomporre il trinomio particolare: 1. si determinano i due numeri interi il cui prodotto è il termine noto e la cui somma è il coefficiente del termine di primo grado; 2. il polinomio scomposto è formato dal prodotto tra la somma della variabile con uno dei numeri determinati e la somma della variabile con l’altro numero determinato. Esempio 12.2.11. • Scomponiamo x2 + 5x + 6 Il polinomio è formato da tre termini, è di secondo grado e il coefficiente del termine di secondo grado è 1. Il coefficiente del termine di primo grado è 5, il termine noto è 6. Le possibili coppie di numeri interi che danno come prodotto 6 sono: −6 e − 1; 6 e 1; −3 e − 2; 3 e 2 Tra queste, l’ultima coppia dà come somma 5: i numeri cercati sono 3 e 2. Quindi il polinomio si può scomporre con il metodo del trinomio particolare e: x2 + 5x + 6 = (x + 2) (x + 3) • Scomponiamo x2 − 6x − 7 Il polinomio è formato da tre termini, è di secondo grado e il coefficiente del termine di secondo grado è 1. 140 12.2. METODI DI SCOMPOSIZIONE DEI POLINOMI Il coefficiente del termine di primo grado è −6, il termine noto è −7. Le possibili coppie di numeri interi che danno come prodotto −7 sono: −7 e 1; 7 e − 1 Tra queste, la prima coppia dà come somma −6: i numeri cercati sono −7 e 1. Quindi il polinomio si può scomporre con il metodo del trinomio particolare e: x2 − 6x − 7 = (x − 7) (x + 1) • Scomponiamo x2 + x + 2 Il polinomio è formato da tre termini, è di secondo grado e il coefficiente del termine di secondo grado è 1. Il coefficiente del termine di primo grado è 1, il termine noto è 2. Le possibili coppie di numeri interi che danno come prodotto 2 sono: −2 e − 1; 2 e 1 Nessuna di queste coppie dà come somma 1, quindi x2 + x + 2 non si può scomporre con il metodo del trinomio particolare. • Scomponiamo x2 + x − 12 Il polinomio è formato da tre termini, è di secondo grado e il coefficiente del termine di secondo grado è 1. Il coefficiente del termine di primo grado è 1, il termine noto è −12. Le possibili coppie di numeri interi che danno come prodotto −12 sono: −12 e 1; 12 e − 1; −6 e 2; 6 e − 2; −4 e 3; 4 e − 3 Tra queste, l’ultima coppia dà come somma 1: i numeri cercati sono 4 e −3. Quindi il polinomio si può scomporre con il metodo del trinomio particolare e: x2 + x − 12 = (x + 4) (x − 3) • Scomponiamo x4 + 37x2 + 36 + 10x3 + 60x = x4 + 25x2 + 36 + 10x3 + 12x2 + 60x = (x2 + 5x + 6)2 = ((x + 2)(x + 3))2 = (x + 2)2 (x + 3)2 Osservazione Il metodo del trinomio particolare si può estendere per scomporre trinomi della forma x2n + sxn + p cioè formati da un termine noto e da altri due termini di cui quello con coefficiente uno ha grado doppio dell’altro. In questo caso, per scomporre il polinomio: 1. si determinano, se esistono, due numeri interi a e b il cui prodotto è il termine noto e la cui somma è il coefficiente del termine di grado n; 2. il polinomio si scompone in: x2n + sxn + p = (xn + a)(xn + b) 141 CAPITOLO 12. SCOMPOSIZIONE DI POLINOMI Esempio 12.2.12. • Scomponiamo x6 + x3 − 6 Il polinomio è formato da tre termini, x6 ha coefficiente 1 e il suo grado è il doppio del grado di x3 . il coefficiente del termine di terzo grado è 1, il termine noto è −6. Le possibili coppie di numeri interi che danno come prodotto −6 sono: −6 e 1; 6 e − 1; −3 e 2; 3 e − 2 Tra queste, l’ultima coppia dà come somma 1: i numeri cercati sono 3 e − 2. Quindi il polinomio si può scomporre con il metodo del trinomio particolare e: Ä x6 + x3 − 6 = x3 + 3 äÄ ä x3 − 2 • Scomponiamo x4 − 6x2 + 5 Il polinomio è formato da tre termini, x4 ha coefficiente 1 e il suo grado è il doppio del grado di x2 . Il coefficiente del termine di secondo grado è −6, il termine noto è 5. Le possibili coppie di numeri interi che danno come prodotto 5 sono: −5 e − 1; 5 e 1 Tra queste, la prima coppia dà come somma −6: i numeri cercati sono −5 e − 1. Quindi il polinomio si può scomporre con il metodo del trinomio particolare e: Ä äÄ x4 − 6x2 + 5 = x2 − 5 x2 − 1 ä Il secondo fattore è una differenza di due quadrati e si scompone in: (x − 1) (x + 1) Quindi Ä ä x4 − 6x2 + 5 = x2 − 5 (x − 1) (x + 1) • Scomponiamo x4 − x2 + 2 Il polinomio è formato da tre termini, x4 ha coefficiente 1 e il suo grado è il doppio del grado di x2 . il coefficiente del termine di secondo grado è −1, il termine noto è 2. Le possibili coppie di numeri interi che danno come prodotto 2 sono: 2 e 1; −2 e − 1 Nessuna di queste due coppie ha come somma −1 e quindi il polinomio non può essere scomposto con il metodo del trinomio particolare. • Scomponiamo x8 − 6x2 + 5 Il polinomio è formato da tre termini, x8 ha coefficiente 1 e il suo grado non è il doppio del grado di x2 quindi il polinomio non può essere scomposto con il metodo del trinomio particolare.. 142 12.2. METODI DI SCOMPOSIZIONE DEI POLINOMI • Scomponiamo x8 − 5x4 + 4 = (x4 − 1)(x4 − 4) = (x2 − 1)(x2 + 1)(x2 − 2)(x2 + 2) = (x − 1)(x + 1)(x2 + 1)(x2 − 2)(x2 + 2) Osservazione Il metodo del trinomio particolare si può estendere al caso in cui il coefficiente del termine di secondo grado non sia 1. Per scomporre il trinomio ax2 + bx + c: 1. si determinano due numeri interi x1 , x2 il cui prodotto è ac e la cui somma è b; 2. si sostituisce bx con x1 x + x2 x 3. si effettua il raccoglimento parziale sul polinomio ottenuto Il metodo precedente si può adattare anche per scomporre trinomi della forma ax2n + bxn + c Esempio 12.2.13. • Scomponiamo 6x2 + x − 2 Il polinomio è formato da tre termini ed è di secondo grado. Le possibili coppie di numeri interi che danno come prodotto −12 sono: −12 e 1; 12 e − 1; −6 e 2; 6 e − 2; −4 e 3; 4 e − 3 Tra queste, l’ultima coppia dà come somma 1: i numeri cercati sono 4 e −3. Sostituiamo x con 4x − 3x e otteniamo 6x2 + 4x − 3x − 2 Effettuiamo il raccoglimento parziale 2x(3x + 2) − 1(3x + 2) (3x + 2)(2x − 1) • Scomponiamo 3x4 − 11x2 − 4 Il polinomio è formato da tre termini ed è di quarto grado. Le possibili coppie di numeri interi che danno come prodotto −12 sono: −12 e 1; 12 e − 1; −6 e 2; 6 e − 2; −4 e 3; 4 e − 3 Tra queste, la prima coppia dà come somma −11: i numeri cercati sono −12 e 1. Sostituiamo −11x2 con −12x2 + x2 e otteniamo 3x4 − 12x2 + x2 − 4 Effettuiamo il raccoglimento parziale 3x2 (x2 − 4) + 1(x2 − 4) (x2 − 4)(3x2 + 1) (x − 2)(x + 2)(3x2 + 1) Osservazione Ogni trinomio che è quadrato di un binomio può essere scomposto con il metodo del trinomio particolare, anche se è preferibile utilizzare il metodo del prodotto notevole. 143 CAPITOLO 12. SCOMPOSIZIONE DI POLINOMI 12.2.5 Scomposizione con la regola di Ruffini La regola di Ruffini, quando è applicabile, permette di scomporre un polinomio di grado n nel prodotto di un binomio di primo grado per un polinomio di grado n−1 utilizzando la proprietà che un polinomio P (x) è divisibile per x − k se e solo se P (k) = 0. Osservazione Se il valore che annulla il polinomio è k, il termine noto del divisore è il suo opposto. Per esempio, se il valore che annulla il polinomio è −5, il divisore è x + 5. Il polinomio dato si può scomporre con la regola di Ruffini se esiste un numero razionale che, sostituito alla variabile, annulla il polinomio. La ricerca degli eventuali numeri razionali k che annullano il polinomio è basata sulla seguente proprietà, di cui diamo l’enunciato senza dimostrazione: Teorema 12.2.1. dato un polinomio P (x) a coefficienti interi, gli eventuali numeri razionali che annullano il polinomio sono da ricercare tra le frazioni aventi per numeratore un divisore del termine noto e per denominatore un divisore del coefficiente del termine di grado massimo. Per stabilire se esiste un numero razionale che, sostituito alla variabile, annulla il polinomio: 1. si determinano tutti i numeri razionali che hanno per numeratore un divisore del termine noto e per denominatore un divisore del coefficiente del termine di grado massimo (se il coefficiente del termine di grado massimo è 1, allora i numeri da determinare sono i divisori del termine noto); 2. si sostituisce ciascun numero nel polinomio finché non si trova quello che lo annulla (se esiste); 3. se nessun numero annulla il polinomio, non lo si può scomporre utilizzando la regola di Ruffini. Per scomporre il polinomio con la regola di Ruffini: 1. si effettua la divisione con la regola di Ruffini in cui il dividendo è il polinomio dato e il divisore è il binomio x − k, dove k è il numero razionale che annulla il polinomio; 2. il polinomio scomposto è formato dal prodotto tra il binomio x − k e il quoziente della divisione perché, se il resto è 0, si ha Dividendo = Divisore · Quoziente Dopo aver effettuato la scomposizione, si esamina se il quoziente Q(x) è scomponibile, in caso affermativo lo si scompone o con uno dei metodi visti precedentemente o con la regola di Ruffini. Esempio 12.2.14. • Scomponiamo x3 − 2x2 − 2x − 3 Determiniamo i numeri razionali che hanno come numeratore un divisore del termine noto e come denominatore un divisore del coefficiente del termine di grado massimo: 1, −1, 3, −3 Sostituiamo ciascun numero nel polinomio finché non troviamo quello che lo annulla (se esiste): P (1) = (1)3 − 2 (1)2 − 2 (1) − 3 = −6 1 non annulla il polinomio; P (−1) = (−1)3 − 2 (−1)2 − 2 (−1) − 3 = −4 −1 non annulla il polinomio; P (3) = (3)3 − 2 (3)2 − 2 (3) − 3 = 0 144 12.2. METODI DI SCOMPOSIZIONE DEI POLINOMI Poiché 3 annulla il polinomio, lo si può scomporre con la regola di Ruffini. Effettuiamo la divisione con la regola di Ruffini tra x3 − 2x2 − 2x − 3 e x − 3. Otteniamo come quoziente x2 + x + 1, quindi: Ä x3 − 2x2 − 2x − 3 = (x − 3) x2 + x + 1 ä • Scomponiamo 2x3 − 3x2 + 3x − 1 Determiniamo i numeri razionali che hanno come numeratore un divisore del termine noto e come denominatore un divisore del coefficiente del termine di grado massimo: 1 1 1, −1, , − 2 2 Sostituiamo ciascun numero nel polinomio finché non troviamo quello che lo annulla (se esiste): P (1) = 2 (1)3 − 3 (1)2 + 3 (1) − 1 = 1 1 non annulla il polinomio; P (−1) = 2 (−1)3 − 3 (−1)2 + 3 (−1) − 1 = −9 −1 non annulla il polinomio; 1 3 1 2 1 1 =2 −3 +3 −1=0 P 2 2 2 2 1 Poiché annulla il polinomio, lo si può scomporre con la regola di Ruffini. 2 Å ã Å ã Å ã Å ã 1 Effettuiamo la divisione con la regola di Ruffini tra 2x3 − 3x2 + 3x − 1 e x − . 2 Otteniamo come quoziente 2x2 − 2x + 2, quindi: ã ä 1 Ä 2 2x − 3x + 3x − 1 = x − 2x − 2x + 2 2 3 2 Å Nel secondo fattore si può raccogliere 2 e moltiplicarlo per il primo fattore; pertanto: Ä 2x3 − 3x2 + 3x − 1 = (2x − 1) x2 − x + 1 ä • Scomponiamo x4 − 2x2 + 5 Determiniamo i numeri razionali che hanno come numeratore un divisore del termine noto e come denominatore un divisore del coefficiente del termine di grado massimo: 1, −1, 5, −5 Sostituiamo ciascun numero nel polinomio finché non troviamo quello che lo annulla (se esiste): P (1) = (1)4 − 2 (1)2 + 5 = 4 1 non annulla il polinomio; P (−1) = (−1)4 − 2 (−1)2 + 5 = 4 −1 non annulla il polinomio; P (5) = (5)4 − 2 (5)2 + 5 = 580 5 non annulla il polinomio; P (−5) = (−5)4 − 2 (−5)2 + 5 = 580 −5 non annulla il polinomio. Poiché nessun numero annulla il polinomio, non lo si può scomporre con la regola di Ruffini. 145 CAPITOLO 12. SCOMPOSIZIONE DI POLINOMI • Scomponiamo 6x3 + 7x2 − 1 Determiniamo i numeri razionali che hanno come numeratore un divisore del termine noto e come denominatore un divisore del coefficiente del termine di grado massimo: 1 1 1 1 1 1 1, −1, , − , , − , , − 2 2 3 3 6 6 Sostituiamo ciascun numero nel polinomio finché non troviamo quello che lo annulla (se esiste): P (1) = 6 (1)3 + 7 (1)2 − 1 = 12 1 non annulla il polinomio; P (−1) = 6 (−1)3 + 7 (−1)2 − 1 = 0 Poiché −1 annulla il polinomio, lo si può scomporre con la regola di Ruffini. Effettuiamo la divisione con la regola di Ruffini tra 6x3 + 7x2 − 1 e x + 1. Otteniamo come quoziente 6x2 + x − 1, quindi: 6x3 + 7x2 − 1 = (x + 1)(6x2 + x − 1) Consideriamo ora il secondo fattore. Determiniamo i numeri razionali che hanno come numeratore un divisore del termine noto e come denominatore un divisore del coefficiente del termine di grado massimo: 1 1 1 1 1 1 1, −1, , − , , − , , − 2 2 3 3 6 6 Sostituiamo ciascun numero nel polinomio finché non troviamo quello che lo annulla (se esiste) (il tentativo con 1 è inutile perché se 1 non annulla il polinomio di partenza, non annulla un suo fattore): P (−1) = 6 (−1)2 + (−1) − 1 = 4 −1 non annulla il polinomio; Å ã2 1 1 =6 2 2 Å ã P + 1 −1=1 2 1 non annulla il polinomio; 2 Å P − 1 1 =6 − 2 2 ã Å ã2 − 1 −1=0 2 1 annulla il polinomio, lo si può scomporre con la regola di Ruffini. 2 1 Effettuiamo la divisione con la regola di Ruffini tra 6x2 + x − 1 e x + . 2 Otteniamo come quoziente 6x − 2; quindi: Poiché − Å 6x3 + 7x2 − 1 = (x + 1)(6x2 + x − 1) = (x + 1) x + Å (x + 1) x + 1 (6x − 2) = 2 1 2 (3x − 1) = (x + 1) (2x + 1) (3x − 1) 2 ã 146 ã 12.3. OSSERVAZIONI CONCLUSIVE SULLA SCOMPOSIZIONE 12.3 Osservazioni conclusive sulla scomposizione A conclusione dei metodi di scomposizione fin qui analizzati, elenchiamo i criteri in base ai quali privilegiare un metodo piuttosto che un altro. 1. Effettuare, se è possibile, il raccoglimento a fattore comune totale 2. Se non è possibile effettuare il raccoglimento a fattore comune totale, contare i termini del polinomio: • se i termini sono due, verificare se il polinomio è una differenza di due quadrati, o una differenza di due cubi, o una somma di due cubi; • se i termini sono tre, verificare se il polinomio è lo sviluppo del quadrato di un binomio o un trinomio particolare; • se i termini sono quattro, verificare se il polinomio è lo sviluppo del cubo di un binomio; • se i termini sono sei, verificare se il polinomio è lo sviluppo del quadrato di un trinomio. 3. Se non si sono verificate le condizioni dei casi precedenti, controllare se è possibile effettuare un raccoglimento a fattore comune parziale o una scomposizione mediante la regola di Ruffini o spezzare il polinomio in più parti e scomporlo applicando più volte i metodi precedenti 4. Dopo aver scomposto il polinomio in fattori si può procedere, se è possibile, a un’ulteriore scomposizione dei singoli fattori. Esempio 12.3.1. • Scomponiamo a2 − b2 − 2bc − c2 Il polinomio è formato da quattro termini. Spezziamo il polinomio in due parti, la prima costituita dal primo termine e l’altra dagli altri tre: a2 + (−b2 − 2bc − c2 ) Nella seconda parte raccogliamo −1 e otteniamo: Ä a2 − b2 + 2bc + c2 ä Poiché il polinomio racchiuso nella parentesi è lo sviluppo del quadrato di un binomio, otteniamo: a2 − (b + c)2 Tale espressione si può considerare una differenza di due quadrati che, scomposta, diventa: [a + (b + c)] [a − (b + c)] = (a + b + c) (a − b − c) Osservazione A volte può succedere di considerare associazioni che non permettono di effettuare la scomposizione. Riprendiamo l’esempio a2 − b2 − 2bc − c2 Spezziamo il polinomio in due parti, la prima costituita dai primi due termini e l’altra dagli ultimi due: Ä ä Ä a2 − b2 + −2bc − c2 ä I primi due termini sono una differenza di quadrati e negli ultimi due si può raccogliere −c; quindi: Ä ä Ä ä a2 − b2 − 2bc − c2 = a2 − b2 + −2bc − c2 = (a + b) (a − b) − c (2b + c) Questi passaggi, pur essendo corretti, non sono utili ai fini della scomposizione e quindi si deve individuare, se esiste, un’altra associazione dei termini. 147 CAPITOLO 12. SCOMPOSIZIONE DI POLINOMI • Scomponiamo x2 + 2x + 1 − y 2 − 2ay − a2 Il polinomio è formato da 6 termini. Spezziamo il polinomio in due parti, la prima costituita dai primi 3 termini e l’altra dagli ultimi 3: Ä ä Ä x2 + 2x + 1 + −y 2 − 2ay − a2 ä Nella seconda parte raccogliamo −1 e otteniamo: Ä ä Ä x2 + 2x + 1 − y 2 + 2ay + a2 ä Poiché entrambe le parti sono lo sviluppo del quadrato di un binomio, otteniamo: (x + 1)2 − (y + a)2 Tale espressione si può considerare una differenza di due quadrati che, scomposta, diventa: [(x + 1) + (y + a)] [(x + 1) − (y + a)] = (x + 1 + y + a) (x + 1 − y − a) • Scomponiamo x3 + 2x2 + 2x + 1 Il polinomio è formato da quattro termini, ma non è il cubo di un binomio. Spezziamo il polinomio in due parti, la prima formata dal primo e dal quarto termine, e la seconda dagli altri due termini: (x3 + 1) + (2x2 + 2x) La prima parte è una somma di due cubi e nella seconda si può raccogliere 2x. Si ottiene così: Ä ä (x + 1) x2 − x + 1 + 2x (x + 1) e raccogliendo a fattor comune (x + 1) si ha: (x + 1) îÄ ä ó Ä x2 − x + 1 + 2x = (x + 1) x2 + x + 1 ä Osservazione Il polinomio si può anche scomporre applicando la regola di Ruffini • Scomponiamo x3 − a3 + x2 − a2 Il polinomio è formato da quattro termini. Spezziamo il polinomio in due parti, la prima formata dal primo e dal secondo termine, e l’altra dagli altri due termini: (x3 − a3 ) + (x2 − a2 ) La prima parte è una differenza di due cubi e la seconda una differenza di due quadrati. Otteniamo: Ä ä (x − a) x2 + ax + a2 + (x − a) (x + a) Effettuando un raccoglimento a fattor comune totale, abbiamo: (x − a) îÄ ä ó Ä ä x2 + ax + a2 + (x + a) = (x − a) x2 + ax + a2 + x + a 148 12.3. OSSERVAZIONI CONCLUSIVE SULLA SCOMPOSIZIONE • Scomponiamo x4 − 1 Non è possibile effettuare il raccoglimento a fattore comune totale. I termini del polinomio sono due. Il polinomio è una differenza di due quadrati e si scompone nel seguente modo: Ä x2 + 1 äÄ ä x2 − 1 Il primo fattore è una somma di quadrati e quindi è irriducibile; il secondo è nuovamente una differenza di due quadrati, che quindi possiamo scomporre ottenendo: x2 − 1 = (x + 1) (x − 1) Il polinomio di partenza risulta così scomposto: Ä ä x4 − 1 = x2 + 1 (x + 1) (x − 1) • Scomponiamo 3x3 + 2x2 − 23x − 30 Non è possibile effettuare il raccoglimento a fattore comune totale. I termini del polinomio sono quattro, ma non è lo sviluppo del cubo del binomio. Non è possibile effettuare né il raccoglimento a fattore comune parziale, né la scomposizione mista. Proviamo ad applicare la regola di Ruffini. I possibili numeri razionali che annullano il polinomio sono: 1 1 2 2 5 5 10 10 1, −1, 2, −2, 3, −3, 5, −5, 6, −6, 10, −10, 15, −15, 30, −30, , − , , − , , − , , − 3 3 3 3 3 3 3 3 Tra questi, −2 annulla il polinomio, infatti: P (−2) = 3 (−2)3 + 2 (−2)2 − 23 (−2) − 30 = 0 Effettuiamo la divisione con la regola di Ruffini tra 3x3 + 2x2 − 23x − 30 e x + 2. Otteniamo come quoziente 3x2 − 4x − 15, quindi: Ä ä 3x3 + 2x2 − 23x − 30 = (x + 2) 3x2 − 4x − 15 Il fattore 3x2 − 4x − 15 è costituito da tre termini, non è lo sviluppo del quadrato di un binomio. Proviamo a scomporlo applicando ancora la regola di Ruffini. I possibili numeri razionali che annullano il polinomio sono: 1 1 5 5 1, −1, 3, −3, 5, −5, 15, −15, , − , , − 3 3 3 3 Tra questi, 3 annulla il polinomio. Effettuiamo la divisione con la regola di Ruffini fra 3x2 −4x−15 e x − 3. Otteniamo come quoziente 3x + 5, quindi: 3x2 − 4x − 15 = (x − 3)(3x + 5) Il polinomio di partenza risulta così scomposto: 3x3 + 2x2 − 23x − 30 = (x + 2) (3x + 5) (x − 3) 149 CAPITOLO 12. SCOMPOSIZIONE DI POLINOMI • Scomponiamo x2 − 4x + 4 + ax − 2a Non è possibile effettuare il raccoglimento a fattore comune totale. I termini del polinomio sono cinque. Consideriamo i primi tre termini come lo sviluppo del quadrato di un binomio e raccogliamo il fattore a tra gli ultimi due termini: (x − 2)2 + a (x − 2) Eseguiamo ora un raccoglimento a fattore comune totale, ottenendo: x2 − 4x + 4 + ax − 2a = (x − 2) [(x − 2) + a] = (x − 2) (x − 2 + a) 12.4 Massimo comune divisore e minimo comune multiplo di polinomi Definizione 12.4.1 (Massimo comune divisore). Il massimo comune divisore di due o più polinomi non nulli è ogni polinomio di grado massimo che sia divisore di tutti i polinomi dati. Per determinare il massimo comune divisore di polinomi: 1. si scompongono i polinomi in fattori; 2. se si ottengono dei fattori opposti con esponente dispari, si raccoglie un −1 in uno dei fattori. 3. il massimo comune divisore dei polinomi dati è uguale al prodotto dei fattori comuni presi una sola volta con il minimo esponente. Esempio 12.4.1. • MCD 3a2 + 6a, a2 − 4, a2 + 4a + 4 Scomponiamo i tre polinomi: 3a2 + 6a = 3a (a + 2) a2 − 4 = (a + 2) (a − 2) a2 + 4a + 4 = (a + 2)2 Il fattore comune a tutti i polinomi, preso con il minimo esponente, è (a + 2). Quindi: Ä ä MCD 3a2 + 6a, a2 − 4, a2 + 4a + 4 = a + 2 • MCD 1 − a2 , a2 + a − 2 Scomponiamo i due polinomi: 1 − a2 = (1 − a)(1 + a) a2 + a − 2 = (a − 1) (a + 2) Poiché i fattori (1 − a) e (a − 1) sono opposti, raccogliamo −1 nel fattore (1 − a): 1 − a2 = (1 − a)(1 + a) = −1(a − 1)(1 + a) Il fattore comune a tutti i polinomi, preso con il minimo esponente, è (a − 1). Quindi: Ä ä MCD 1 − a2 , a2 + a − 2 = a − 1 150 12.4. MASSIMO COMUNE DIVISORE E MINIMO COMUNE MULTIPLO DI POLINOMI • MCD x3 − x2 y, x4 − x2 y 2 , 2ax3 + bx3 − 2ax2 y − bx2 y Scomponiamo i tre polinomi: x3 − x2 y = x2 (x − y) Ä ä x4 − x2 y 2 = x2 x2 − y 2 = x2 (x + y) (x − y) ax3 + bx3 − 2ax2 y − bx2 y = x2 (2ax + bx − 2ay − by) = x2 [x (2a + b) − y (2a + b)] = x2 (2a + b) (x − y) I fattori comuni a tutti i polinomi, presi con il minimo esponente, sono x2 e x − y. Quindi: Ä ä MCD x3 − x2 y, x4 − x2 y 2 , 2ax3 + bx3 − 2ax2 y − bx2 y = x2 (x − y) • MCD x2 + 3x, x2 + 4x + 3, x2 − y 2 Scomponiamo i tre polinomi: x2 + 3x = x (x + 3) x2 + 4x + 3 = (x + 3) (x + 1) x2 − y 2 = (x + y) (x − y) Non esistono fattori comuni a tutti i polinomi, quindi: Ä ä MCD x2 + 3x, x2 + 4x + 3, x2 − y 2 = 1 Definizione 12.4.2 (Minimo comune multiplo). Il minimo comune multiplo di due o più polinomi non nulli è ogni polinomio non nullo di grado minimo che sia divisibile per tutti i polinomi dati. Per determinare il minimo comune multiplo di polinomi: 1. si scompongono i polinomi in fattori; 2. se si ottengono dei fattori opposti con esponente dispari, si raccoglie un −1 in uno dei fattori. 3. il minimo comune multiplo dei polinomi dati è uguale al prodotto dei fattori comuni e non comuni presi una sola volta con il massimo esponente. Esempio 12.4.2. • mcm x3 − x2 , x2 − 1, x3 − 3x2 + 3x − 1 Scomponiamo i tre polinomi: x3 − x2 = x2 (x − 1) x2 − 1 = (x + 1) (x − 1) x3 − 3x2 + 3x − 1 = (x − 1)3 I fattori comuni e non comuni, presi con il massimo esponente, sono x2 , (x − 1)3 e x + 1. Quindi: mcm x3 − x2 , x2 − 1, x3 − 3x2 + 3x − 1 = x2 (x − 1)3 (x + 1) Ä ä 151 CAPITOLO 12. SCOMPOSIZIONE DI POLINOMI • mcm 1 − a2 , a2 + a − 2 Scomponiamo i due polinomi: 1 − a2 = (1 − a)(1 + a) a2 + a − 2 = (a − 1) (a + 2) Poiché i fattori (1 − a) e (a − 1) sono opposti, raccogliamo −1 nel fattore (1 − a): 1 − a2 = (1 − a)(1 + a) = −1(a − 1)(1 + a) I fattori comuni e non comuni, presi con il massimo esponente, sono a − 1, 1 + a e a + 2. Quindi: Ä ä mcm 1 − a2 , a2 + a − 2 = (a − 1)(1 + a)(a + 2) • mcm a3 − 1, a2 + a, a2 + 4a + 4 Scomponiamo i tre polinomi: Ä a3 − 1 = (a − 1) a2 + a + 1 ä a2 + a = a (a + 1) a2 + 4a + 4 = (a + 2)2 I fattori comuni e non comuni, presi con il massimo esponente, sono a − 1, a2 + a + 1, a, a + 1 e (a + 2)2 . Quindi: mcm a3 − 1, a2 + a, a2 + 4a + 4 = a (a − 1) a2 + a + 1 (a + 1) (a + 2)2 Ä ä Ä 152 ä Capitolo 13 Frazioni algebriche 13.1 Introduzione Definizione 13.1.1 (Frazione algebrica). Si dice frazione algebrica il rapporto tra due polinomi con il secondo diverso dal polinomio nullo. Osservazione Il primo polinomio si dice nuneratore e il secondo denominatore Esempio 13.1.1. 3a2 + 2a a2 + 3a + 1 x x+y , , 2 , 2 a+2 a x + 2x x + y 2 • sono frazioni algebriche • Poiché i numeri sono polinomi, anche 3a − 1 2 , x+2 3 sono frazioni algebriche • Poiché ogni polinomio può essere scritto come frazione algebrica con denominatore 1, tutti i polinomi sono frazioni algebriche. 13.2 Frazioni algebriche come funzioni Una frazione algebrica si può considerare come funzione delle variabili che vi compaiono. Il dominio di una frazione algebrica è costituito dai valori delle variabili che non annullano il denominatore e si ottiene scrivendo le condizioni di esistenza (CE). Osservazioni 1. Un prodotto è diverso da zero se lo è ogni suo fattore. 2. Una potenza è diversa da zero se lo è la sua base. Per determinare le condizioni di esistenza: 1. si scompone il denominatore; 2. si impone che ogni fattore del denominatore sia diverso da zero. Esempio 13.2.1. • Scriviamo le condizioni di esistenza della frazione algebrica x+2 2x3 y 2 Il denominatore è scomposto nei fattori 2, x3 e y 2 ; 2 è sempre diverso da zero, quindi CE: x 6= 0 ∧ y 6= 0 153 CAPITOLO 13. FRAZIONI ALGEBRICHE • Scriviamo le condizioni di esistenza della frazione algebrica 2a2 + 3b + 1 a+2 Il denominatore è irriducibile, quindi CE: a + 2 6= 0 • Scriviamo le condizioni di esistenza della frazione algebrica 3x + 1 x2 − 4 Scomponiamo il denominatore: 3x + 1 (x + 2) (x − 2) Quindi CE: x + 2 6= 0 ∧ x − 2 6= 0 • Scriviamo le condizioni di esistenza della frazione algebrica 3y − 2x + 1 5 Il denominatore è un numero diverso da zero, quindi la frazione è definita per qualunque valore di x e di y Osservazione Nel porre le condizioni di esistenza di una frazione algebrica non si considera il numeratore. 13.3 Frazioni algebriche equivalenti Definizione 13.3.1 (Frazioni algebriche equivalenti). A C Due frazioni algebriche , si dicono equivalenti se e solo se AD = BC e si scrive B D A C = B D Esempio 13.3.1. • Le frazioni algebriche: 3x 3 , 2 x +x x+1 CE: x 6= 0 ∧ x + 1 6= 0 sono equivalenti perché, 3x(x + 1) = 3(x2 + x) quindi 3x 3 = x2 + x x+1 Le frazioni algebriche: 5x 5x , x−3 x−2 CE: x − 3 6= 0 ∧ x − 2 6= 0 non sono equivalenti perché 5x(x − 2) 6= 5x(x − 3) Osservazione Due frazioni algebriche equivalenti assumono lo stesso valore per ogni valore attribuito alle variabili, soddisfacente le condizioni di esistenza di entrambe. 154 13.4. PROPRIETÀ INVARIANTIVA 13.4 Proprietà invariantiva Teorema 13.4.1 (Proprietà invariantiva). Moltiplicando numeratore e denominatore di una frazione algebrica per uno stesso polinomio diverso da quello nullo, si ottiene una frazione equivalente a quella data nel dominio della frazione data privato degli zeri del polinomio Esempio 13.4.1. Data la frazione algebrica: x−1 x+1 CE: x + 1 6= 0 se moltiplichiamo numeratore e denominatore per x otteniamo: x(x − 1) x2 − x = 2 x(x + 1) x +x che è equivalente alla frazione data nel dominio espresso da CE: x 6= 0 ∧ x + 1 6= 0 quindi x−1 x2 − x = 2 x+1 x +x CE: x 6= 0 ∧ x + 1 6= 0 Osservazione Dividendo numeratore e denominatore di una frazione algebrica per uno stesso polinomio divisore di entrambi, si ottiene una frazione equivalente a quella data. Esempio 13.4.2. Data la frazione algebrica: x2 − x x2 + x CE: x 6= 0 ∧ x + 1 6= 0 se dividiamo numeratore e denominatore per x otteniamo: (x2 − x) : x x−1 = 2 (x + x) : x x+1 che è equivalente alla frazione data nel dominio espresso da CE: x 6= 0 ∧ x + 1 6= 0 quindi x2 − x x−1 = 2 x +x x+1 CE: x 6= 0 ∧ x + 1 6= 0 155 CAPITOLO 13. FRAZIONI ALGEBRICHE 13.5 Semplificazione di frazioni algebriche La proprietà invariantiva è utile per semplificare le frazioni algebriche. Per semplificare una frazione algebrica: 1. si scompongono il numeratore e il denominatore; 2. si scrivono le condizioni di esistenza; 3. si semplifica la frazione dividendo numeratore e denominatore per il loro MCD (In pratica si applicano le proprietà delle potenze tra i fattori comuni al numeratore e denominatore) Esempio 13.5.1. • Semplifichiamo 3a3 x2 6a2 x4 y 2 Scriviamo le condizioni di esistenza CE: a 6= 0 ∧ x 6= 0 ∧ y 6= 0 Il MCD del numeratore e denominatore è 3a2 x2 quindi, dividendo numeratore e denominatore per 3a2 x2 , otteniamo: 3a3 x2 42 62 a2 x y 2 = a 2x2 y 2 • Semplifichiamo x2 + 3x + 2 x2 + 4x + 4 Scomponiamo numeratore e denominatore: (x + 2) (x + 1) (x + 2)2 Scriviamo le condizioni di esistenza CE: x + 2 6= 0 Il MCD del numeratore e denominatore è x + 2; quindi, dividendo numeratore e denominatore per x + 2, otteniamo: + 1) (x +2)(x x+1 = 2 x+2 (x + 2) • Semplifichiamo x2 − 9 x2 + 2x + 1 Scomponiamo numeratore e denominatore: (x + 3) (x − 3) (x + 1)2 Scriviamo le condizioni di esistenza CE: x + 1 6= 0 Poiché non vi sono fattori comuni al numeratore e al denominatore, il loro MCD è 1. La frazione pertanto non è semplificabile. Osservazione Nella semplificazione si possono semplificare solo i fattori comuni e non i termini; quindi la frazione a+2 non è semplificabile perché al numeratore il fattore è a + 2 e al denominatore il fattore è a. a 156 13.6. ADDIZIONE DI FRAZIONI ALGEBRICHE 13.6 Addizione di frazioni algebriche Nell’insieme delle frazioni algebriche l’addizione si può sempre effettuare; il risultato dell’addizione si dice somma. Definizione 13.6.1 (Somma). La somma di due frazioni algebriche con lo stesso denominatore è la frazione algebrica avente per numeratore la somma dei numeratori e per denominatore lo stesso denominatore. Se le frazioni algebriche non hanno lo stesso denominatore, si possono trasformare in modo che abbiano lo stesso denominatore applicando la proprietà invariantiva. In pratica, per addizionare due frazioni algebriche: 1. si scompongono il numeratore e il denominatore di ogni frazione; 2. si scrivono le condizioni di esistenza di ogni frazione; 3. si semplifica ogni frazione; 4. si scrive la frazione che ha come denominatore il minimo comune multiplo dei denominatori; 5. per ottenere il numeratore: (a) si divide il minimo comune multiplo dei denominatori per il denominatore della prima frazione e si moltiplica il quoziente ottenuto per il suo numeratore; (b) si ripete il procedimento per la seconda frazione e si somma al risultato precedente; 6. si effettuano i calcoli al numeratore; 7. si scompone il numeratore; 8. si semplifica la frazione ottenuta. Osservazioni 1. L’addizione di frazioni algebriche gode delle proprietà: associativa, commutativa, esistenza dell’elemento neutro, esistenza dell’elemento opposto. 2. La scomposizione del numeratore è utile solo se la singola frazione si può semplificare. Esempio 13.6.1. • Semplifichiamo l’espressione a2 − 4 a−6 + 2 2 a + 2a a − 3a Scomponiamo denominatore e numeratore di ogni frazione: a−6 (a + 2) (a − 2) + a (a + 2) a (a − 3) Scriviamo le condizioni di esistenza CE: a 6= 0 ∧ a + 2 6= 0 ∧ a − 3 6= 0 Semplifichiamo la prima frazione: (a − 2) (a + 2) a−6 a−2 a−6 + = + a (a + 2) a (a − 3) a a (a − 3) Scriviamo la frazione che ha come denominatore il mcm dei denominatori: a (a − 3) 157 CAPITOLO 13. FRAZIONI ALGEBRICHE Dividiamo il minimo comune multiplo dei denominatori per il denominatore della prima frazione e moltiplichiamo il quoziente per il suo numeratore: (a − 3) (a − 2) a (a − 3) Ripetiamo il procedimento per la seconda frazione e sommiamo al risultato precedente: (a − 3) (a − 2) + a − 6 a (a − 3) Effettuiamo i calcoli al numeratore: a2 − 4a a (a − 3) Scomponiamo il numeratore: a (a − 4) a (a − 3) Semplifichiamo la frazione: a (a − 4) a−4 = a (a − 3) a−3 • Semplifichiamo l’espressione a −b 2b2 + 5ab + + 2 2a + 2b 3a − 3b 6a − 6b2 Scomponiamo denominatore e numeratore di ogni frazione: a −b 2b2 + 5ab + + 2(a + b) 3(a − b) 6(a + b)(a − b) Scriviamo le condizioni di esistenza CE: a + b 6= 0 ∧ a − b 6= 0 Scriviamo la frazione che ha come denominatore il mcm dei denominatori: 6 (a + b) (a − b) Dividiamo il minimo comune multiplo dei denominatori per il denominatore della prima frazione e moltiplichiamo il quoziente per il suo numeratore: (3a) (a − b) 6 (a + b) (a − b) Ripetiamo il procedimento per la seconda frazione e sommiamo al risultato precedente: (3a) (a − b) + (−2b)(a + b) 6 (a + b) (a − b) Ripetiamo il procedimento per la terza frazione e sommiamo al risultato precedente: (3a) (a − b) + (−2b)(a + b) + 2b2 + 5ab 6 (a + b) (a − b) Effettuiamo i calcoli al numeratore: 3a2 − 3ab − 2ab − 2b2 + 2b2 + 5ab 6 (a + b) (a − b) 3a2 6 (a + b) (a − b) Semplifichiamo la frazione: a2 2(a + b)(a − b) 158 13.7. OPPOSTO DI UNA FRAZIONE ALGEBRICA 13.7 Opposto di una frazione algebrica Definizione 13.7.1 (Opposto). Si dice opposto di una frazione algebrica la frazione algebrica che, addizionata a quella data, dà come somma la frazione nulla. Osservazione L’opposto di una frazione algebrica si indica ponendo il segno − davanti alla frazione algebrica ed è uguale alla frazione che ha come numeratore (denominatore) l’opposto del numeratore (denominatore) della frazione data Esempio 13.7.1. L’opposto della frazione algebrica a+2 3b − 1 è − a+2 −a − 2 a+2 = = 3b − 1 3b − 1 −3b + 1 infatti a+2 −a − 2 + =0 3b − 1 3b − 1 13.8 Sottrazione di frazioni algebriche La sottrazione, nell’insieme delle frazioni algebriche, si può sempre effettuare. Il risultato si dice differenza. Definizione 13.8.1 (Differenza). La differenza di due frazioni algebriche è la frazione algebrica che si ottiene addizionando alla prima l’opposto della seconda. Esempio 13.8.1. a−5 3 − = 2 a −1 a+1 Addizioniamo alla prima frazione l’opposto della seconda a−5 −3 + = 2 a −1 a+1 Eseguiamo l’addizione a−5 −3 + = (a + 1)(a − 1) a + 1 CE: a + 1 6= 0 ∧ a − 1 6= 0 a − 5 + (−3)(a − 1) = (a + 1)(a − 1) a − 5 − 3a + 3 = (a + 1)(a − 1) −2a − 2 = (a + 1)(a − 1) −2(a + 1) = (a + 1)(a − 1) −2 a−1 159 CAPITOLO 13. FRAZIONI ALGEBRICHE La sottrazione e l’addizione di frazioni algebriche possono essere considerate un’unica operazione che si dice addizione algebrica. Esempio 13.8.2. • Semplifichiamo l’espressione 3 5 − x+2 x−1 Scriviamo le condizioni di esistenza CE: x + 2 6= 0 ∧ x − 1 6= 0 I numeratori e i denominatori delle frazioni non sono scomponibili; le frazioni non si possono semplificare. Scriviamo la frazione che ha come denominatore il mcm dei denominatori (x + 2) (x − 1) Dividiamo il minimo comune multiplo dei denominatori per il denominatore di ogni frazione e moltiplichiamo i quozienti per i rispettivi numeratori: (x − 1) 3 − (x + 2) 5 (x + 2) (x − 1) effettuiamo i calcoli al numeratore: −2x − 13 (x + 2) (x − 1) Il numeratore non è scomponibile e la frazione non è semplificabile. • Semplifichiamo l’espressione 1 x2 + 2x + 1 1 + − 2 2 4x x4 − 4x2 x − 2x Scomponiamo denominatore e numeratore di ogni frazione: 1 (x + 1)2 1 + − 4x2 x2 (x + 2) (x − 2) x (x − 2) Scriviamo le condizioni di esistenza CE: x 6= 0 ∧ x + 2 6= 0 ∧ x − 2 6= 0 Le frazioni non si possono semplificare. Scriviamo la frazione che ha come denominatore il mcm dei denominatori: 4x2 (x + 2) (x − 2) Dividiamo il minimo comune multiplo dei denominatori per il denominatore di ogni frazione e moltiplichiamo i quozienti per i rispettivi numeratori: (x + 2) (x − 2) + 4 (x + 1)2 − 4x (x + 2) 4x2 (x + 2) (x − 2) Effettuiamo i calcoli al numeratore: 4x2 (x x2 + 2) (x − 2) Semplifichiamo la frazione e otteniamo: x2 4x2 (x + 2) (x − 2) = 1 4 (x + 2) (x − 2) 160 13.8. SOTTRAZIONE DI FRAZIONI ALGEBRICHE Osservazione Nell’addizione algebrica, dopo aver scomposto i denominatori, se tra i fattori dei denominatori ne esistono due opposti con esponente dispari, è opportuno raccogliere −1 in uno di essi. Se l’esponente di un fattore è pari si possono cambiare i segni dei termini senza raccogliere −1. Esempio 13.8.3. • Semplifichiamo l’espressione 2 3 − x2 − 1 1 − x Scomponiamo denominatore e numeratore di ogni frazione: 2 3 − (x + 1) (x − 1) 1 − x Possiamo notare che compaiono i fattori opposti x − 1 e 1 − x. Raccogliendo −1 nel fattore 1 − x, otteniamo: 2 3 − (x + 1) (x − 1) − (x − 1) che possiamo riscrivere nel seguente modo: 2 3 + (x + 1) (x − 1) x − 1 Scriviamo le condizioni di esistenza CE: x + 1 6= 0 ∧ x − 1 6= 0 Scriviamo la frazione che ha come denominatore il mcm dei denominatori: (x + 1) (x − 1) Dividiamo il minimo comune multiplo dei denominatori per ogni denominatore e moltiplichiamo i quozienti per i rispettivi numeratori: 2 + 3 (x + 1) (x + 1) (x − 1) Effettuiamo i calcoli al numeratore: 3x + 5 (x + 1) (x − 1) Il numeratore non è scomponibile e la frazione non è semplificabile. • Semplifichiamo l’espressione 2x 1 + 2 (x − 2y) 2y − x Possiamo notare che compaiono i fattori opposti x − 2y e 2y − x. Possiamo procedere in due modi 1. Raccogliendo −1 nel fattore 2y − x, otteniamo: 1 2x + 2 (x − 2y) −(x − 2y) che possiamo riscrivere nel seguente modo: 2x 1 − 2 (x − 2y) x − 2y 161 CAPITOLO 13. FRAZIONI ALGEBRICHE Scriviamo le condizioni di esistenza CE: x − 2y 6= 0 Eseguiamo l’addizione algebrica 2x − x + 2y (x − 2y)2 x + 2y (x − 2y)2 2. Poiché (x − 2y)2 = (2y − x)2 otteniamo 2x 1 + (2y − x)2 2y − x Scriviamo le condizioni di esistenza CE: 2y − x 6= 0 Eseguiamo l’addizione algebrica 2x + 2y − x (2y − x)2 x + 2y (2y − x)2 • Semplifichiamo l’espressione y2 y−2 y+5 + = − 3y − 10 4 − y 2 y−2 y+5 + = (y − 5)(y + 2) (2 + y)(2 − y) y−2 y+5 + = (y − 5)(y + 2) −(2 + y)(y − 2) y−2 y+5 − = (y − 5)(y + 2) (2 + y)(y − 2) CE: y − 5 6= 0 ∧ y + 2 6= 0 ∧ y − 2 6= 0 (y − 2)2 − (y − 5)(y + 5) = (y − 5)(y + 2)(y − 2) y 2 − 4y + 4 − y 2 + 25 = (y − 5)(y + 2)(y − 2) −4y + 29 (y − 5)(y + 2)(y − 2) 13.9 Moltiplicazione di frazioni algebriche Definizione 13.9.1 (Prodotto). Il prodotto di due frazioni algebriche è la frazione algebrica avente per numeratore il prodotto dei numeratori e per denominatore il prodotto dei denominatori. In pratica per moltiplicare due frazioni algebriche: 1. si scompongono il numeratore e il denominatore di ogni frazione; 2. si scrivono le condizioni di esistenza di ogni frazione; 162 13.9. MOLTIPLICAZIONE DI FRAZIONI ALGEBRICHE 3. si semplificano i fattori comuni al numeratore e al denominatore di una stessa frazione o di frazioni diverse; 4. si scrive la frazione che ha come denominatore il prodotto dei denominatori e come numeratore il prodotto dei numeratori (il prodotto dei numeratori e dei denominatori può non essere calcolato, ma solo indicato). Osservazione La moltiplicazione gode delle seguenti proprietà: associativa, commutativa, esistenza dell’elemento neutro, esistenza dell’elemento inverso. Esempio 13.9.1. • Semplifichiamo l’espressione 3ab2 5c3 · 2ac 6ab3 c Scriviamo le condizioni di esistenza CE: a 6= 0 ∧ c 6= 0 ∧ b 6= 0 Semplifichiamo: 5c3 3a b2 1 5c · = · 2ac 62 ab3 c 2 2ab Effettuiamo i prodotti dei numeratori e dei denominatori: 5c 4ab • Semplifichiamo l’espressione x2 − 1 x2 + x + 1 3x · · 2 3 2 x −1 x −x x + 3x + 2 Scomponiamo denominatore e numeratore di ogni frazione: x2 + x + 1 3x (x + 1) (x − 1) · · 2 (x − 1) (x + x + 1) x (x − 1) (x + 1) (x + 2) Scriviamo le condizioni di esistenza CE: x − 1 6= 0 ∧ x2 + x + 1 6= 0 ∧ x 6= 0 ∧ x + 1 6= 0 ∧ x + 2 6= 0 Semplifichiamo: (x (x +1) x2 +x +1 3 x 1 1 3 − 1) · = · · · 2 x (x − 1) (x + 1) (x + 2) 1 (x − 1) (x + 2) x + 1 (x − 1)x+ Effettuiamo i prodotti dei numeratori e dei denominatori: 3 (x − 1) (x + 2) Osservazione Nella moltiplicazione, se tra i fattori ne esistono due opposti con esponente dispari, è opportuno raccogliere −1 in uno di essi. Se l’esponente di un fattore è pari si possono cambiare i segni dei termini senza raccogliere −1. 163 CAPITOLO 13. FRAZIONI ALGEBRICHE Esempio 13.9.2. Semplifichiamo l’espressione b2 − ab 5 · a2 − b2 5a + 10 Scomponiamo denominatore e numeratore di ogni frazione: b (b − a) 5 · (a − b) (a + b) 5 (a + 2) Possiamo notare che compaiono i fattori opposti a − b e b − a. Raccogliendo −1 nel fattore b − a, otteniamo: 5 −b (−b + a) · (a − b) (a + b) 5 (a + 2) Scriviamo le condizioni di esistenza CE: a − b 6= 0 ∧ a + b 6= 0 ∧ a + 2 6= 0 Semplifichiamo: 5 −b (−b + a) 1 −b · = · (a − b) (a + b) 5 (a + 2) (a + b) (a + 2) Effettuiamo i prodotti dei numeratori e dei denominatori: − b (a + b) (a + 2) 13.9.1 Precedenza delle operazioni Nelle espressioni con le frazioni algebriche, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza: 1. moltiplicazione 2. addizione algebrica Esempio 13.9.3. • Semplifichiamo l’espressione Ç Ç b b2 1− + 2 a a å b2 b 1− + 2 a a å · a2 = a3 + b3 · a2 = (a + b)(a2 − ab + b2 ) CE: a 6= 0 ∧ a + b 6= 0 a2 − ab + b2 a2 · = a2 (a + b)(a2 − ab + b2 ) 1 a+b • Semplifichiamo l’espressione Å x+1 1−x x−3 3 − − · −2 + 1 · (x − 3) = 2 x + 3 − 4x 4x − 4 4 − 4x x−4 Ç ã Å 1−x x−3 x+1 − − (x − 3)(x − 1) 4(x − 1) 4(1 − x) Å ã å Å ã 3 · −2 + 1 · (x − 3) = x−4 164 Å ã ã 13.10. INVERSA DI UNA FRAZIONE ALGEBRICA Ç x+1 1−x x−3 − + (x − 3)(x − 1) 4(x − 1) 4(x − 1) å Å · −2 Å 3 + 1 · (x − 3) = x−4 ã ã CE: x − 3 6= 0 ∧ x − 1 6= 0 ∧ x − 4 6= 0 4(x + 1) − (1 − x)(x − 3) + (x − 3)2 3+x−4 · −2 · (x − 3) = 4(x − 3)(x − 1) x−4 Å ã x−1 4x + 4 − x + 3 + x2 − 3x + x2 − 6x + 9 · −2 · (x − 3) = 4(x − 3)(x − 1) x−4 Å ã 2x2 − 6x + 16 −2(x − 1)(x − 3) · = 4(x − 3)(x − 1) x−4 2(x2 − 3x + 8) −2(x − 1)(x − 3) · = 4(x − 3)(x − 1) x−4 − 13.10 x2 − 3x + 8 x−4 Inversa di una frazione algebrica Definizione 13.10.1 (Inversa). Si dice inversa, o reciproca, di una frazione algebrica non nulla la frazione che, moltiplicata per quella data, dà come risultato 1. Osservazioni 1. l’inversa di una frazione algebrica si ottiene scambiando il numeratore con il denominatore della frazione assegnata. 2. Per l’esistenza dell’inversa di una frazione algebrica non si devono annullare né il denominatore né il numeratore Esempio 13.10.1. • L’inversa della frazione a+2 a−1 con CE: a − 1 6= 0 ∧ a + 2 6= 0 è: a−1 a+2 Infatti: a+2 a−1 · =1 a−1 a+2 • L’inversa della frazione (x + 2) x2 + 1 x (x − 3) con CE: x + 2 6= 0 ∧ x 6= 0 ∧ x − 3 6= 0 è: x (x − 3) (x + 2) (x2 + 1) Infatti: (x + 2) x2 + 1 x (x − 3) · =1 x (x − 3) (x + 2) (x2 + 1) 165 CAPITOLO 13. FRAZIONI ALGEBRICHE 13.11 Divisione di frazioni algebriche Definizione 13.11.1 (Quoziente). Il quoziente di due frazioni algebriche, con la seconda non nulla, è la frazione algebrica che si ottiene moltiplicando la prima frazione per l’inversa della seconda. In pratica per dividere due frazioni algebriche: 1. si scompongono il numeratore e il denominatore di ogni frazione; 2. si scrivono le condizioni di esistenza di ogni frazione; 3. si integrano le condizioni di esistenza imponendo che ogni fattore del numeratore della seconda frazione sia diverso da zero; 4. si moltiplica la prima frazione per l’inversa della seconda. Osservazione Per eseguire divisioni di tre o più frazioni, poiché la divisione non gode della proprietà associativa, si devono effettuare le operazioni nell’ordine indicato. Esempio 13.11.1. • Semplifichiamo l’espressione 5xy 3 10xyz : 3z 4 6z 3 Scriviamo le condizioni di esistenza CE: z 6= 0 ∧ x 6= 0 ∧ y 6= 0 Moltiplichiamo la prima frazione per l’inversa della seconda: 5xy 3 6z 3 · 3z 4 10xyz Semplifichiamo: 2 5 xy3 3z4 · 62 z 3 2 10 xyz = y2 1 · z z Effettuiamo i prodotti dei numeratori e dei denominatori: y2 z2 • Semplifichiamo l’espressione a2 − 5a + 6 a2 − 2a : a2 − 1 a−1 Scomponiamo denominatore e numeratore di ogni frazione: (a − 3) (a − 2) a (a − 2) : (a + 1) (a − 1) a−1 Scriviamo le condizioni di esistenza CE: a + 1 6= 0 ∧ a − 1 6= 0 ∧ a 6= 0 ∧ a − 2 6= 0 Moltiplichiamo la prima frazione per l’inversa della seconda: (a − 3) (a − 2) a−1 · (a + 1) (a − 1) a (a − 2) Eseguiamo i prodotti e otteniamo: (a − 3) (a − 2) a− 1 a−3 · = (a + 1) a (a + 1) (a − 1) a (a − 2) 166 13.11. DIVISIONE DI FRAZIONI ALGEBRICHE • Semplifichiamo l’espressione 3x3 x3 + 3x2 + 3x + 1 x2 + 2x + 1 : : x+2 x2 x2 + 3x + 2 Scomponiamo denominatore e numeratore di ogni frazione: (x + 1)3 (x + 1)2 3x3 : : 2 x+2 x (x + 2) (x + 1) Scriviamo le condizioni di esistenza CE: x + 2 6= 0 ∧ x 6= 0 ∧ x + 1 6= 0 Moltiplichiamo la prima frazione per l’inversa della seconda: (x + 1)3 x2 3x3 · : x+2 (x + 1)2 (x + 2)(x + 1) Effettuiamo il prodotto delle prime due frazioni: 3x3 (x + 1)3 x2 (x + 1) · x2 3x3 : · = : 2 (x + 1) (x + 2)(x + 1) x+2 x+2 (x + 2)(x + 1) Moltiplichiamo la frazione ottenuta per l’inversa delle terza e ricaviamo: (x + 1) · x2 (x + 2)(x + 1) · x+2 3x3 Eseguiamo i prodotti e otteniamo: + 1) (x + 1)2 (x + 1) · x2 (x +2)(x = · x+ 2 3x 3x3 13.11.1 Precedenza delle operazioni Nelle espressioni con le frazioni algebriche, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza: 1. moltiplicazione, divisione 2. addizione algebrica Esempio 13.11.2. • Semplifichiamo l’espressione x2 y + xy 2 xy + y 2 x3 + xy 2 xy + 1 : · + = x3 y + xy 3 x2 − xy x y xy(x + y) y(x + y) x(x2 + y 2 ) xy + 1 : · + = xy(x2 + y 2 ) x(x − y) x y CE: x 6= 0 ∧ y 6= 0 ∧ x + y 6= 0 ∧ x − y 6= 0 x + y x(x − y) xy + 1 · · (x2 + y 2 ) + = x2 + y 2 y(x + y) y x(x − y) xy + 1 + = y y x2 − xy + xy + 1 = y x2 + 1 y 167 CAPITOLO 13. FRAZIONI ALGEBRICHE • Semplifichiamo l’espressione (3a2 − 27) · Å Ç 2 3(a − 9) · 1 1 1 + − 3a − 9 3a − a2 6a − 9 − a2 ã 1 1 1 + + 2 3(a − 3) a(3 − a) a − 6a + 9 Ç 3(a + 3)(a − 3) · : a3 + 27 = a3 − 9a å 1 1 1 − + 3(a − 3) a(a − 3) (a − 3)2 : (a + 3)(a2 − 3a + 9 = a(a2 − 9) å : (a + 3)(a2 − 3a + 9 = a(a − 3)(a + 3) CE: a − 3 6= 0 ∧ a 6= 0 ∧ a + 3 6= 0 3(a + 3)(a − 3) · a(a − 3) − 3(a − 3) + 3a a2 − 3a + 9 : = 3a(a − 3)2 a(a − 3) 3(a + 3)(a − 3) · a(a − 3) a2 − 3a − 3a + 9 + 3a · 2 = 2 3a(a − 3) a − 3a + 9 3(a + 3)(a − 3) · a2 − 3a + 9 a(a − 3) · 2 = 2 3a(a − 3) a − 3a + 9 a+3 13.12 Frazione di frazioni algebriche Consideriamo una frazione che ha frazioni algebriche al numeratore e al denominatore. Ogni frazione di questo tipo si può scrivere come divisione tra la frazione algebrica al numeratore e la frazione algebrica al denominatore, quindi si segue il metodo visto precedentemente. Esempio 13.12.1. • Semplifichiamo l’espressione 2x3 5ay 2 = 6xy 3 10a2 Scriviamo la frazione come divisione tra il numeratore e il denominatore: 2x3 6xy 3 : 5ay 2 10a2 Scriviamo le condizioni di esistenza CE: a 6= 0 ∧ y 6= 0 ∧ x 6= 0 Moltiplichiamo la prima frazione per l’inversa della seconda: 2x3 10a2 · 5ay 2 6xy 3 Semplifichiamo: 2 2 a2 2x3 10 x2 2a · = · 2 63 xy 3 5ay y 2 3y 3 Effettuiamo i prodotti dei numeratori e dei denominatori: 2ax2 3y 5 168 13.12. FRAZIONE DI FRAZIONI ALGEBRICHE • Semplifichiamo l’espressione x2 − 1 = x2 − 2x + 1 x2 − x Scriviamo la frazione come divisione tra il numeratore e il denominatore: Ä ä x2 − 2x + 1 x2 − 1 : x2 − x Scomponiamo denominatore e numeratore di ogni frazione: (x − 1) (x + 1) : (x − 1)2 x (x − 1) Scriviamo le condizioni di esistenza CE: x 6= 0 ∧ x − 1 6= 0 Moltiplichiamo la prima frazione per l’inversa della seconda: (x − 1) (x + 1) · x (x − 1) (x − 1)2 Semplifichiamo: (x + 1) · (x −1) x (x −1) x 2 = (x + 1) · 1 (x −1) Effettuiamo i prodotti dei numeratori e dei denominatori: x (x + 1) • Semplifichiamo l’espressione x2 − 1 x2 − 2x + 1 = x2 − x Scriviamo la frazione come divisione tra il numeratore e il denominatore: Ä ä x2 − 1 : x2 − x 2 x − 2x + 1 Scomponiamo denominatore e numeratore di ogni frazione: (x + 1) (x − 1) : [x (x − 1)] (x − 1)2 Scriviamo le condizioni di esistenza CE: x − 1 6= 0 ∧ x 6= 0 I fattori ottenuti dalla scomposizione della seconda frazione devono essere racchiusi tra parentesi, per evitare di dividere solo per il primo fattore, commettendo quindi un errore. Moltiplichiamo la prima frazione per l’inversa della seconda: (x + 1) (x − 1) 1 · 2 x (x − 1) (x − 1) Semplifichiamo: 1 (x + 1) (x −1) (x + 1) 1 · · = 2 x (x − 1) (x − 1) (x − 1)2 x Effettuiamo i prodotti dei numeratori e dei denominatori: x+1 x (x − 1)2 Osservazione Dagli ultimi due esempi possiamo notare che è importante individuare la linea di frazione principale perché in base ad essa il risultato cambia. 169 CAPITOLO 13. FRAZIONI ALGEBRICHE 13.13 Elevamento a potenza di frazioni algebriche Definizione 13.13.1 (Potenza con esponente positivo). La potenza con esponente intero positivo di una frazione algebrica è la frazione algebrica che ha come numeratore la potenza del numeratore e come denominatore la potenza del denominatore. In pratica per calcolare la potenza con esponente intero positivo di una frazione algebrica : 1. si scompongono il numeratore e il denominatore della frazione; 2. si scrivono le condizioni di esistenza; 3. si semplifica la frazione; 4. si elevano all’esponente intero positivo tutti i fattori del numeratore e del denominatore. Esempio 13.13.1. • Semplifichiamo l’espressione Ç 5a3 b 3c2 x4 å2 Scriviamo le condizioni di esistenza CE: c 6= 0 ∧ x 6= 0 La frazione non è semplificabile. Eleviamo all’esponente 2 tutti i fattori: 25a6 b2 9c4 x8 • Semplifichiamo l’espressione Ç 4 å3 x − 4x3 + 4x2 x2 − 5x Scomponiamo numeratore e denominatore: Ç 2 å3 x (x − 2)2 x (x − 5) Scriviamo le condizioni di esistenza CE: x 6= 0 ∧ x − 5 6= 0 Semplifichiamo: x2 (x − 2)2 x (x − 5) !3 Ç = x (x − 2)2 x−5 å3 Eleviamo all’esponente 3 tutti i fattori: x3 (x − 2)6 (x − 5)3 Definizione 13.13.2 (Potenza con esponente negativo). La potenza con esponente intero negativo di una frazione algebrica non nulla è la frazione algebrica che si ottiene elevando all’opposto dell’esponente l’inversa della frazione. In pratica per calcolare la potenza con esponente intero negativo di una frazione algebrica : 170 13.13. ELEVAMENTO A POTENZA DI FRAZIONI ALGEBRICHE 1. si scompongono il numeratore e il denominatore della frazione; 2. si scrivono le condizioni di esistenza; 3. si integrano le condizioni di esistenza imponendo che ogni fattore del numeratore sia diverso da zero; 4. si semplifica la frazione; 5. si eleva all’opposto dell’esponente l’inversa della frazione data. Esempio 13.13.2. Semplifichiamo l’espressione Ç å−4 3xy 3 x + 2y Scriviamo le condizioni di esistenza CE: x + 2y 6= 0 ∧ x 6= 0 ∧ y 6= 0 La frazione non è semplificabile. Eleviamo all’esponente 4 l’inversa della frazione: Å x + 2y 3xy 3 ã4 Eleviamo all’esponente 4 tutti i fattori: (x + 2y)4 81x4 y 12 Osservazione La potenza con esponente 0 di ogni frazione algebrica non nulla è uguale a 1. Esempio 13.13.3. Semplifichiamo l’espressione Ç 3 å0 x + 3xy − 2y 4 x5 + 4x2 + y Scriviamo le condizioni di esistenza CE: x5 + 4x2 + y 6= 0 ∧ x3 + 3xy − 2y 4 6= 0 La frazione algebrica non è nulla, quindi: å0 Ç 3 x + 3xy − 2y 4 x5 + 4x2 + y 13.13.1 =1 Precedenza delle operazioni Nelle espressioni con le frazioni algebriche, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza: 1. potenza 2. moltiplicazione, divisione 3. addizione algebrica Esempio 13.13.4. 171 CAPITOLO 13. FRAZIONI ALGEBRICHE • Semplifichiamo l’espressione 3x2 − x x2 − 16 x3 − x x2 + x 31x − 22x2 − 7 · − 2 : 2 − + 5x + 4 x x − 4 x + 5x + 6 x2 − x − 2 x2 Scomponiamo numeratore e denominatore di ogni frazione: x (3x − 1) (x + 4) (x − 4) x (x + 1) (x − 1) x (x + 1) 31x − 22x2 − 7 · − : − (x + 4) (x + 1) x (x + 2) (x − 2) (x + 2) (x + 3) (x − 2) (x + 1) Scriviamo le condizioni di esistenza CE: x + 4 6= 0 ∧ x + 1 6= 0 ∧ x 6= 0 ∧ x + 2 6= 0 ∧ x − 2 6= 0 ∧ x + 3 6= 0 Nessuna frazione è semplificabile. Eseguiamo la prima moltiplicazione e trasformiamo la divisione in moltiplicazione: (3x − 1) (x − 4) x (x + 1) (x − 1) (x + 2) (x + 3) 31x − 22x2 − 7 − · − (x + 1) (x + 2) (x − 2) x (x + 1) (x − 2) (x + 1) Eseguiamo la moltiplicazione (x − 1) (x (3x − 1) (x − 4) 31x − 22x2 − 7 x (x +1) + 2) (x + 3) · − − = (x +2) (x − 2) (x +1) (x + 1) x (x − 2) (x + 1) (3x − 1) (x − 4) (x − 1) (x + 3) 31x − 22x2 − 7 − − (x + 1) (x − 2) (x − 2) (x + 1) Eseguiamo le sottrazioni: 2x3 + 2 (x − 2) (x + 1) Scomponiamo il numeratore e semplifichiamo: x2 − x + 1 (x +1) 2 x2 − x + 1 2 = (x +1) (x − 2) (x − 2) • Semplifichiamo l’espressione Å x+3 2x − 1 x+1 − 2 · 2 x − 1 x + 2x + 1 2 ã Å ã2 Scomponiamo il denominatore di ogni frazione: ñ ô Å 2x − 1 x+1 x+3 − · 2 (x + 1) (x − 1) (x + 1) 2 ã2 Scriviamo le condizioni di esistenza CE: x + 1 6= 0 ∧ x − 1 6= 0 Nessuna frazione è semplificabile. Eseguiamo i calcoli all’interno delle parentesi quadre: −x2 + 7x + 2 x+1 · 2 2 (x + 1) · (x − 1) Å ã2 Elevando a potenza e moltiplicando otteniamo: −x2 + 7x + 2 4 (x − 1) 172 13.13. ELEVAMENTO A POTENZA DI FRAZIONI ALGEBRICHE • Semplifichiamo l’espressione á x2 + 4x + 4 x2 − 1 x2 + 2x xy + y + 3x + 3 ë2 · x3 − x2 xy + 3x + 2y − xy + 3x + 2y + 6 x−1 Scomponiamo numeratore e denominatore di ogni frazione: 2 (x + 2)2 (x + 1) (x − 1) x2 (x − 1) xy + 3x + 2y − · x (x + 2) (x + 2) (y + 3) x−1 (x + 1) (y + 3) Scriviamo le condizioni di esistenza CE: x + 1 6= 0 ∧ x − 1 6= 0 ∧ y + 3 6= 0 ∧ x 6= 0 ∧ x + 2 6= 0 Nessuna frazione è semplificabile. Trasformiamo la frazione di frazione in moltiplicazione: ñ (x + 1) (y + 3) (x + 2)2 · (x + 1) (x − 1) x (x + 2) ô2 · x2 (x − 1) xy + 3x + 2y − (x + 2) (y + 3) x−1 Eseguiamo la moltiplicazione all’interno delle parentesi quadre: 2 (y + 3) 2 (x + 2)2 (x +1) · x (x − 1) − xy + 3x + 2y = · − 1) (x +1)(x (x +2) x (x + 2) (y + 3) x−1 ñ (x + 2) (y + 3) (x − 1) x ô2 · x2 (x − 1) xy + 3x + 2y − (x + 2) (y + 3) x−1 Calcoliamo la potenza xy + 3x + 2y (x + 2)2 (y + 3)2 x2 (x − 1) − · 2 2 (x + 2) (y + 3) x−1 (x − 1) x Eseguiamo la moltiplicazione: (x + 2)2 (y + 3)2 2 (x − 1)2 (x) · (x −1) x2 xy + 3x + 2y − = (x + 2) (y + 3) x−1 xy + 3x + 2y + 6 xy + 3x + 2y − x−1 x−1 Sottraendo le due frazioni otteniamo: 6 x−1 173 Capitolo 14 Assiomi e definizioni della geometria piana 14.1 Introduzione Noi studiamo la geometria euclidea che è basata sugli assiomi di Euclide. Nella geometria euclidea si assumono come termini primitivi il punto, la retta, il piano, lo spazio. Indichiamo i punti con le lettere maiuscole A, B, . . ., le rette con le lettere minuscole a, b, . . ., i piani con le lettere greche minuscole α, β, . . .. Studieremo la geometria piana, quindi, fissato un piano, i punti appartengono ad esso e le rette sono contenute in esso. Se un punto appartiene ad una retta si dice che la retta passa per quel punto. Definizione 14.1.1 (Figura geometrica). Si dice figura geometrica un qualsiasi sottoinsieme del piano Osservazioni 1. la retta e il piano sono figure geometriche 2. Poiché la figura geometrica è un insieme valgono le operazioni e le proprietà viste per gli insiemi: l’unione di figure geometriche è una figura geometria, l’intersezioni di figure geometriche è una figura geometrica Vediamo alcuni assiomi della geometria del piano 14.2 Assiomi di appartenenza Assioma 14.2.1. Per due punti distinti passa una e una sola retta r B A Assioma 14.2.2. La retta è un sottoinsieme proprio del piano Definizione 14.2.1 (Punti allineati). Tre o più punti si dicono allineati se appartengono alla stessa retta 174 14.3. ASSIOMI DI ORDINAMENTO C B r A Figura 14.1: punti allineati Definizione 14.2.2 (Rette incidenti). Due rette si dicono incidenti se la loro intersezione è un punto s P r Figura 14.2: rette incidenti Definizione 14.2.3 (Rette parallele). Due rette si dicono parallele se sono coincidenti o se la loro intersezione è l’insieme vuoto s r Figura 14.3: rette parallele Teorema 14.2.1. La relazione di parallelismo tra rette è una relazione di equivalenza 14.3 Assiomi di ordinamento Definizione 14.3.1 (Retta orientata). Si dice retta orientata una retta su cui si è fissato un verso di percorrenza indicato da una freccia Osservazione In una retta orientata se il punto A viene prima del punto B nel verso di percorrenza si dice che A precede B oppure che B segue A Assioma 14.3.1. Siano A e B due punti di una retta orientata, si verifica uno solo dei seguenti casi 1. A precede B, in simboli A < B 175 CAPITOLO 14. ASSIOMI E DEFINIZIONI DELLA GEOMETRIA PIANA 2. A coincide con B, in simboli A ≡ B 3. A segue B, in simboli A > B r B A Figura 14.4: A < B Assioma 14.3.2. Per ogni coppia di punti A e B di una retta orientata r con A < B esiste un punto M ∈ r che segue A e precede B, un punto N ∈ r che precede A e un punto P ∈ r che segue B r P B M A N Come conseguenza dell’assioma precedente si ha il seguente teorema Teorema 14.3.1. Una retta contiene infiniti punti ed è illimitata Assioma 14.3.3. Dati i punti distinti A, B, C appartenenti a una retta orientata se A < B ∧ B < C allora A < C. Dati i punti distinti A, B, C appartenenti a una retta orientata se A > B ∧ B > C allora A > C. 176 14.4. SEMIRETTA, SEGMENTO, ANGOLO r C B A 14.4 Semiretta, segmento, angolo Definizione 14.4.1 (Semiretta). Data una retta orientata r e un punto O ∈ r, si dice semiretta di origine O l’insieme formato da O e dai punti che lo seguono o da O e dai punti che lo precedono r O Figura 14.5: semiretta Definizione 14.4.2 (Segmento). Data una retta orientata r e due punti A, B ∈ r, si dice segmento di estremi A e B l’insieme formato da A, B e dai punti compresi tra A e B B A Figura 14.6: segmento Osservazioni 1. Se A e B coincidono si ha il segmento nullo 2. Il segmento AB si dice anche distanza tra i punti A e B Definizione 14.4.3 (Segmenti consecutivi). Due segmenti si dicono consecutivi se hanno un solo estremo in comune 177 CAPITOLO 14. ASSIOMI E DEFINIZIONI DELLA GEOMETRIA PIANA C B A Figura 14.7: segmenti consecutivi Definizione 14.4.4 (Segmenti adiacenti). Due segmenti si dicono adiacenti se sono consecutivi e sono contenuti nella stessa retta C B A Figura 14.8: segmenti adiacenti Definizione 14.4.5 (Spezzata). Si dice spezzata l’unione di due o più segmenti consecutivi non adiacenti; i segmenti si dicono lati e gli estremi vertici; se il primo vertice e l’ultimo coincidono la spezzata si dice chiusa altrimenti aperta, se due lati non consecutivi della spezzata si incontrano la spezzata si dice intrecciata. C B A E Figura 14.9: spezzata aperta intrecciata Definizione 14.4.6 (Poligonale). Si dice poligonale una spezzata chiusa non intrecciata 178 14.4. SEMIRETTA, SEGMENTO, ANGOLO E C B A Figura 14.10: poligonale Definizione 14.4.7 (Poligono). Si dice poligono la figura costituita da una poligonale e dalla parte finita di piano che essa delimita E C B A Figura 14.11: poligono I lati e i vertici della poligonale si dicono lati e vertici del poligono. Il segmento che unisce due vertici non appartenenti allo stesso lato si dice diagonale del poligono. La poligonale si dice anche contorno del poligono Osservazione In seguito un poligono verrà rappresentato senza riempimento Definizione 14.4.8 (Semipiano). Data una retta r, si dice semipiano di frontiera r l’insieme formato da r e da una delle parti del piano divise da r Definizione 14.4.9 (Figura convessa e concava). Una figura si dice convessa se presi due punti qualsiasi appartenenti alla figura, il segmento avente per estremi quei punti è contenuto nella figura; altrimenti si dice concava A B F G E C Figura 14.12: figura convessa 179 CAPITOLO 14. ASSIOMI E DEFINIZIONI DELLA GEOMETRIA PIANA A B H C F G E Figura 14.13: figura concava Osservazione Il piano, il semipiano, la retta, la semiretta, il segmento sono figure convesse Definizione 14.4.10 (Angolo). Date due semirette a e b di origine O, si dice angolo di lati a e b e vertice O l’insieme formato dalle semirette e da una delle parti del piano divise dalle semirette Osservazione La parte che contiene i prolungamenti dei lati si dice angolo concavo, l’altra angolo convesso. Se non viene specificato in genere si considera l’angolo convesso A a concavo β O convesso α b B Figura 14.14: angolo Gli angoli li indichiamo in tre modi: 1. con le lettere greche minuscole: α, β “ 2. con un lato il vertice e l’altro lato: aOb “ 3. con un punto di un lato, il vertice e un punto dell’altro lato: AOB Definizione 14.4.11 (Corda). Si dice corda un segmento con gli estremi uno su un lato e l’altro sull’altro lato di un angolo A B α O Figura 14.15: corda 180 14.4. SEMIRETTA, SEGMENTO, ANGOLO Definizione 14.4.12 (Angoli consecutivi). Due angoli si dicono consecutivi se hanno solo il vertice e un lato in comune β α O Figura 14.16: angoli consecutivi Definizione 14.4.13 (Angoli adiacenti). Due angoli si dicono adiacenti se sono consecutivi e i lati non comuni sono contenuti nella stessa retta β α O Figura 14.17: angoli adiacenti Definizione 14.4.14 (Angolo piatto). Un angolo si dice piatto se i suoi lati non sono coincidenti e sono contenuti nella stessa retta. Osservazione Per indicare che un angolo è piatto scriveremo π α O Figura 14.18: angolo piatto Definizione 14.4.15 (Angolo giro). Un angolo si dice giro se i suoi lati sono coincidenti e conincide con l’intero piano Osservazione Per indicare che un angolo è giro scriveremo 2π 181 CAPITOLO 14. ASSIOMI E DEFINIZIONI DELLA GEOMETRIA PIANA α O Figura 14.19: angolo giro Definizione 14.4.16 (Angolo nullo). Un angolo si dice nullo se i suoi lati sono coincidenti e gli unici punti sono quelli dei suoi lati O Figura 14.20: angolo nullo Definizione 14.4.17 (Angoli opposti al vertice). Due angoli si dicono opposti al vertice se i prolungamenti dei lati di uno sono i lati dell’altro. β O α Figura 14.21: angoli opposti al vertice 182 Capitolo 15 Congruenza fra figure 15.1 Relazione di congruenza Definizione 15.1.1 (Figure congruenti). Due figure F e F 0 , si dicono congruenti e si scrive F ∼ = F 0 , se esiste un movimento rigido per cui F si sovrappone a F 0 Figura 15.1: figure congruenti Osservazione La relazione di congruenza è una relazione di equivalenza. 15.2 Confronto di segmenti Per confrontare due segmenti AB e CD si sovrappone con un movimento rigido CD su AB facendo coincidere un estremo: 1. se gli altri estremi di AB e CD coincidono, i segmenti sono congruenti e si scrive CD ∼ = AB 2. se l’altro estremo di CD appartiene ad AB, CD è minore di AB e si scrive CD < AB 3. se l’altro estremo di CD non appartiene ad AB, CD è maggiore di AB e si scrive CD > AB C C C D D D B A AB ∼ = CD B A A AB > CD B AB < CD Figura 15.2: confronto di segmenti 15.2.1 Lunghezza Poiché la relazione di congruenza è una relazione di equivalenza essa determina una partizione dell’insieme dei segmenti di un piano; ogni classe di equivalenza contiene tutti e soli i segmenti congruenti tra loro. 183 CAPITOLO 15. CONGRUENZA FRA FIGURE Definizione 15.2.1 (Lunghezza). Si dice lunghezza ogni classe di equivalenza di segmenti fra loro congruenti. In altre parole due segmenti congruenti hanno la stessa lunghezza e, viceversa, segmenti con la stessa lunghezza sono congruenti. Per indicare la lunghezza del segmento AB invece di utilizzare la notazione tipica delle classi di equivalenza [AB] si utilizza la notazione AB. Il confronto tra segmenti può essere effettuato attraverso le rispettive lunghezze: dette a e b le lunghezze rispettive dei segmenti AB e CD si ha a maggiore, minore o uguale a b se AB è maggiore, minore o congruente a CD. 15.3 Confronto di angoli “ e cV “ d si sovrappone con un movimento rigido l’angolo cV “ d sull’ angolo Per confrontare due angoli aOb “ facendo coincidere i vertici e un lato: aOb “d ∼ “ 1. se gli altri lati coincidono, gli angoli sono congruenti e si scrive cV = aOb “ d è contenuto in aOb, “ cV “ d è minore di aOb “ e si scrive cV “ d < aOb “ 2. se l’altro lato di cV “ d non è contenuto in aOb, “ cV “ d è maggiore di aOb “ e si scrive cV “ d > aOb “ 3. se l’altro lato di cV d d V d V c c a “ ∼ “d aOd = cV c b b O V O b O 0 c0 d “ > cV aOb a “ < cV “d aOb Figura 15.3: confronto di angoli 15.3.1 Ampiezza Poiché la relazione di congruenza è una relazione di equivalenza essa determina una partizione dell’insieme degli angoli di un piano; ogni classe di equivalenza contiene tutti e soli gli angoli congruenti. Definizione 15.3.1 (Ampiezza). Si dice ampiezza ogni classe di equivalenza di angoli fra loro congruenti. In altre parole due angoli congruenti hanno la stessa ampiezza e, viceversa, angoli con la stessa ampiezza sono congruenti tra loro. Per indicare l’ampiezza di un angolo invece di utilizzare la notazione tipica delle classi di equivalenza si utilizza la notazione stessa dell’angolo. Il confronto tra angoli può essere effettuato attraverso le rispettive ampiezze: dette α e β le ampiezze “ e cV “ d si ha α maggiore, minore o uguale a β se aOb “ è maggiore, rispettivamente degli angoli aOb “ minore o congruente a cV d. 184 15.4. ADDIZIONE DI SEGMENTI 15.4 Addizione di segmenti Definizione 15.4.1 (Somma di segmenti adiacenti). Dati due segmenti AB e BC adiacenti, si dice somma di AB e BC il segmento AC e si scrive: AC ∼ = AB + BC C B AC ∼ = AB + BC A Figura 15.4: somma di segmenti adiacenti Assioma 15.4.1. Somme di segmenti congruenti sono congruenti Per sommare due segmenti non adiacenti li si fa diventare adiacenti tramite un movimento rigido. Osservazione L’addizione di segmenti gode delle proprietà commutativa, associativa e di esistenza dell’elemento neutro che è il segmento nullo. Definizione 15.4.2 (Perimetro). Si dice perimetro di un poligono e si indica con p la somma dei suoi lati 15.5 Sottrazione di segmenti Definizione 15.5.1 (Sottrazione). Dati due segmenti AB e AC giacenti sulla semiretta di origine A con AC < AB o AC ∼ = AB si dice differenza di AB e AC il segmento CB e si scrive CB ∼ = AB − AC B C A CB ∼ = AB − AC Figura 15.5: differenza di segmenti Assioma 15.5.1. Differenze di segmenti congruenti sono congruenti Per sottrarre due segmenti che non giacciono sulla stessa semiretta e non hanno un estremo in comune, con il primo maggiore del secondo, si effettua un movimento rigido. Osservazione AB − CD ∼ = EF ⇔ AB ∼ = CD + EF 185 CAPITOLO 15. CONGRUENZA FRA FIGURE 15.6 Multipli e sottomultipli di un segmento Definizione 15.6.1 (Multiplo). Il segmento AB si dice multiplo del segmento CD secondo il numero naturale n > 1 se è congruente alla somma di n segmenti congruenti a CD e si scrive AB ∼ = nCD A D B AB ∼ = 4CD Figura 15.6: multiplo di un segmento Se AB è multiplo secondo n di CD allora CD si dice sottomultiplo secondo n di AB e si scrive 1 CD ∼ = AB n 15.7 Operazioni con le lunghezze Le operazioni tra segmenti possono essere effettuate attraverso le rispettive lunghezze: dette a e b le lunghezze rispettive di AB e CD con AB > CD: 1. a + b è la lunghezza di AB + CD 2. a − b è la lunghezza di AB − CD 3. na è la lunghezza di nAB 4. 15.8 a 1 è la lunghezza di AB n n Punto medio Definizione 15.8.1 (Punto medio). Si dice punto medio di un segmento il punto che lo divide in due segmenti congruenti A M B Figura 15.7: punto medio di un segmento 15.9 Addizione di angoli Definizione 15.9.1 (Somma di angoli consecutivi). “ e bOc “ consecutivi, si dice somma di aOb “ e bOc “ l’angolo aOc “ e si scrive: Dati due angoli aOb “ ∼ “ + bOc “ aOc = aOb 186 15.10. SOTTRAZIONE DI ANGOLI b c a “ ∼ “ + bOc “ aOc = aOb O Figura 15.8: somma di angoli consecutivi Assioma 15.9.1. Somme di angoli congruenti sono congruenti Per sommare due angoli non consecutivi, se è possibile, li si fa diventare consecutivi tramite un movimento rigido. Osservazione In alcuni casi, per esempio se si hanno due angoli concavi, non è possibile renderli consecutivi. In questi casi sarà necessario estendere il concetto di somma. Osservazione L’addizione tra angoli gode delle proprietà commutativa, associativa e di esistenza dell’elemento neutro che è l’angolo nullo. 15.10 Sottrazione di angoli Definizione 15.10.1 (Sottrazione). “ e aOc “ con la semiretta c interna all’angolo aOb “ si dice differenza l’angolo cOb “ e Dati due angoli aOb “ ∼ “ − aOc “ si scrive cOb = aOb c b a “ ∼ “ − aOc “ cOb = aOb O Figura 15.9: differenza di angoli Assioma 15.10.1. Differenze di angoli congruenti sono congruenti Per sottrarre due angoli che non hanno un lato in comune, con il primo maggiore del secondo, si effettua un movimento rigido. Osservazione α−β ∼ =γ⇔α∼ =β+γ 15.11 Multipli e sottomultipli di un angolo Definizione 15.11.1 (Multiplo). “ si dice multiplo dell’angolo cV “ d secondo il numero naturale n > 1 se è congruente alla L’angolo aOb “ “ ∼ “d somma di n angoli congruenti a cV d e si scrive aOb = ncV 187 CAPITOLO 15. CONGRUENZA FRA FIGURE b d a “ ∼ “ cOb = 4cOd O Figura 15.10: multiplo di un angolo “ è multiplo secondo n di cV “ d allora cV “ d si dice sottomultiplo secondo n di aOb “ e si scrive Se aOb 1 “ “d ∼ cV = aOb n 15.12 Operazioni con le ampiezze Le operazioni tra angoli possono essere effettuate attraverso le rispettive ampiezze: dette α e β le “ e cV “ d con aOb “ > cV “ d: ampiezze rispettive di aOb “ + cV “d 1. α + β è l’ampiezza di aOb “ − cV “d 2. α − β è l’ampiezza di aOb “ 3. nα è l’ampiezza di naOb 4. 1 “ α è l’ampiezza di aOb n n 15.13 Bisettrice Definizione 15.13.1 (Bisettrice). Si dice bisettrice di un angolo la semiretta con origine il vertice che lo divide in due angoli congruenti c b a O Figura 15.11: bisettrice di un angolo 15.14 Angolo retto, acuto, ottuso Definizione 15.14.1 (Angolo retto). Si dice angolo retto un angolo congruente alla metà di un angolo piatto Osservazione π Per indicare che un angolo è retto scriveremo 2 188 15.15. RETTE PERPENDICOLARI c a O Figura 15.12: angolo retto Definizione 15.14.2 (Angolo acuto). Si dice angolo acuto un angolo minore di un angolo retto c a O Figura 15.13: angolo acuto Definizione 15.14.3 (Angolo ottuso). Si dice angolo ottuso un angolo maggiore di un angolo retto e minore di un angolo piatto a b O Figura 15.14: angolo ottuso 15.15 Rette perpendicolari Definizione 15.15.1 (Rette perpendicolari). Due rette incidenti si dicono perpendicolari se formano quattro angoli retti s O r Figura 15.15: rette perpendicolari 189 CAPITOLO 15. CONGRUENZA FRA FIGURE 15.16 Retta perpendicolare passante per un punto e distanza Teorema 15.16.1 (Perpendicolare). Dati una retta r e un punto P esiste ed è unica la retta s passante per P perpendicolare a r s P r H Figura 15.16: perpendicolare Osservazioni 1. Il punto H in cui la perpendicolare per P a r interseca r si dice piede della perpendicolare oppure proiezione ortogonale di P su r 2. Il segmento di perpendicolare P H di dice distanza di P da r 15.17 Asse di un segmento Definizione 15.17.1 (Asse di un segmento). Si dice asse del segmento AB la retta perpendicolare ad AB passante per il suo punto medio r B M A Figura 15.17: asse di un segmento 15.18 Angoli complementari, supplementari, esplementari Definizione 15.18.1 (Angoli complementari). Due angoli si dicono complementari se la loro somma è congruente a un angolo retto 190 15.18. ANGOLI COMPLEMENTARI, SUPPLEMENTARI, ESPLEMENTARI b c a O Figura 15.18: angoli complementari Definizione 15.18.2 (Angoli supplementari). Due angoli si dicono supplementari se la loro somma è congruente a un angolo piatto b a O c Figura 15.19: angoli supplementari Definizione 15.18.3 (Angoli esplementari). Due angoli si dicono esplementari se la loro somma è congruente a un angolo giro b a O Figura 15.20: angoli esplementari Teorema 15.18.1 (Angoli complementari). Angoli complementari di angoli congruenti sono congruenti 191 CAPITOLO 15. CONGRUENZA FRA FIGURE β0 β α0 α O0 O Ipotesi π α+β ∼ = 2 π α0 + β 0 ∼ = 2 0 α∼ =α Tesi β∼ = β0 Dimostrazione Poiché π β∼ = − α per ipotesi 2 π β0 ∼ = − α0 per ipotesi 2 α∼ = α0 per ipotesi si ha β∼ = β0 perché differenza di angoli congruenti. Teorema 15.18.2 (Angoli supplementari). Angoli supplementari di angoli congruenti sono congruenti β β0 α O0 O Ipotesi α+β ∼ =π α0 + β 0 ∼ =π α∼ = α0 Tesi β∼ = β0 192 α0 15.19. ANGOLI OPPOSTI AL VERTICE Dimostrazione Poiché β∼ = π − α per ipotesi β0 ∼ = π − α0 per ipotesi α∼ = α0 per ipotesi si ha β∼ = β0 perché differenza di angoli congruenti. Teorema 15.18.3 (Angoli esplementari). Angoli esplementari di angoli congruenti sono congruenti α α0 βO O0 β0 Ipotesi α+β ∼ = 2π α0 + β 0 ∼ = 2π α∼ = α0 Tesi β∼ = β0 Dimostrazione Poiché β∼ = 2π − α per ipotesi β0 ∼ = 2π − α0 per ipotesi α∼ = α0 per ipotesi si ha β∼ = β0 perché differenza di angoli congruenti. 15.19 Angoli opposti al vertice Teorema 15.19.1 (Angoli opposti al vertice). Due angoli opposti al vertice sono congruenti 193 CAPITOLO 15. CONGRUENZA FRA FIGURE γ β α Ipotesi α, β opposti al vertice Tesi α∼ =β Dimostrazione Poiché α+γ ∼ =π β+γ ∼ =π si ha α∼ =β perché supplementari di angoli congruenti. 194 Capitolo 16 Triangoli 16.1 Introduzione Definizione 16.1.1 (Triangolo). Si dice triangolo un poligono di tre lati A C B Figura 16.1: triangolo Definizione 16.1.2 (Angolo interno). Si dice angolo interno ciascuno degli angoli convessi individuato dai lati del triangolo A C α γ β B Figura 16.2: angoli interni Osservazione Un angolo interno verrà chiamato semplicemente angolo Definizione 16.1.3 (Angolo esterno). Si dice angolo esterno l’angolo adiacente a un angolo interno del triangolo 195 CAPITOLO 16. TRIANGOLI γ0 A C α γ α0 β B β0 Figura 16.3: angoli esterni Un triangolo può essere classificato in base ai lati. Definizione 16.1.4 (Triangolo equilatero). Un triangolo si dice equilatero se ha i tre lati congruenti A C B Figura 16.4: triangolo equilatero Definizione 16.1.5 (Triangolo isoscele). Un triangolo si dice isoscele se ha due lati congruenti C B A Figura 16.5: triangolo isoscele Osservazione Se ABC è un triangolo isoscele con AC ∼ = BC allora: 1. AB si dice base 2. C si dice vertice “ si dice angolo al vertice 3. l’angolo ACB “ e ABC “ si dicono angoli alla base 4. gli angoli C AB Definizione 16.1.6 (Triangolo scaleno). Un triangolo si dice scaleno se non ha lati congruenti 196 16.1. INTRODUZIONE A C B Figura 16.6: triangolo scaleno Un triangolo può essere classificato in base agli angoli. Definizione 16.1.7 (Triangolo rettangolo). Un triangolo si dice rettangolo se ha un angolo retto A C B Figura 16.7: triangolo rettangolo Definizione 16.1.8 (Triangolo acutangolo). Un triangolo si dice acutangolo se ha tutti gli angoli acuti A C B Figura 16.8: triangolo acutangolo Definizione 16.1.9 (Triangolo ottusangolo). Un triangolo si dice ottusangolo se ha un angolo ottuso A C B Figura 16.9: triangolo ottusangolo 197 CAPITOLO 16. TRIANGOLI 16.2 Mediane, bisettrici, altezze, assi Definizione 16.2.1 (Mediana). Si dice mediana di un triangolo un segmento che ha come estremi un vertice e il punto medio del lato opposto A F D C B E Figura 16.10: mediane Definizione 16.2.2 (Bisettrice). Si dice bisettrice di un triangolo il segmento di bisettrice di un angolo che ha come estremi un vertice e un punto del lato opposto A F E C D B Figura 16.11: bisettrici Definizione 16.2.3 (Altezze). Si dice altezza di un triangolo il segmento di perpendicolare che ha come estremi un vertice e un punto del lato opposto o del suo prolungamento D A F E B C G L K H I J Figura 16.12: altezze 198 16.3. CRITERI DI CONGRUENZA DEI TRIANGOLI Definizione 16.2.4 (Assi). Si dice asse di un triangolo l’asse di un lato del triangolo A F B D E C Figura 16.13: assi 16.3 Criteri di congruenza dei triangoli I criteri di congruenza dei triangoli sono molto utili per effettuare altre dimostrazioni. Noi non li dimostreremo. Teorema 16.3.1 (Primo criterio di congruenza). Se due triangoli hanno rispettivamente congruenti due lati e l’angolo tra essi compreso allora sono congruenti C0 C A α B A0 α0 B0 Figura 16.14: primo criterio Ipotesi AB ∼ = A0 B 0 AC ∼ = A0 C 0 α∼ = α0 Tesi ABC ∼ = A0 B 0 C 0 Teorema 16.3.2 (Secondo criterio di congruenza). Se due triangoli hanno rispettivamente congruenti due angoli e il lato tra essi compreso allora sono congruenti 199 CAPITOLO 16. TRIANGOLI C0 C A α β B A0 α0 β0 B0 Figura 16.15: secondo criterio Ipotesi AB ∼ = A0 B 0 α∼ = α0 β∼ = β0 Tesi ABC = A0 B 0 C 0 Teorema 16.3.3 (Terzo criterio di congruenza). Se due triangoli hanno rispettivamente congruenti i tre lati allora sono congruenti C0 C A B A0 Figura 16.16: terzo criterio Ipotesi AB ∼ = A0 B 0 AC ∼ = A0 C 0 BC ∼ = B0C 0 Tesi ABC ∼ = A0 B 0 C 0 16.4 Proprietà dei triangoli isosceli Teorema 16.4.1 (Angoli alla base di un triangolo isoscele). Un triangolo isoscele ha gli angoli alla base congruenti 200 B0 16.4. PROPRIETÀ DEI TRIANGOLI ISOSCELI C A M B Ipotesi AC ∼ = BC Tesi α∼ =β Dimostrazione Tracciamo la mediana CM relativa alla base AB. Consideriamo i triangoli ACM e BCM . AM ∼ = M B per costruzione CM in comune AC ∼ = BC per ipotesi quindi ACM ∼ = BCM per il terzo criterio di congruenza In particolare α∼ =β Teorema 16.4.2. Un triangolo con due angoli congruenti è isoscele Teorema 16.4.3. In un triangolo isoscele le mediane relative ai lati obliqui sono congruenti C E A α D β B Ipotesi AC ∼ = BC 1 AE ∼ = AC 2 201 CAPITOLO 16. TRIANGOLI 1 BD ∼ = BC 2 Tesi AE ∼ = BD Dimostrazione Consideriamo i triangoli ABD e ABE. AE ∼ = BD perchè metà di segmenti congruenti AB in comune α∼ = β perché angoli alla base di un triangolo isoscele Quindi ABD ∼ = ABE per il primo criterio di congruenza In particolare AD ∼ = EB Teorema 16.4.4. In un triangolo isoscele le bisettrici degli angoli alla base sono congruenti C D E α00 A αα 0 β0 β 00 β B Ipotesi AC ∼ = BC 1 α0 ∼ = α 2 1 β0 ∼ = β 2 Tesi AD ∼ = EB Dimostrazione Consideriamo i triangoli ABD e ABE α0 ∼ = β 0 perchè metà di angoli congruenti AB in comune α∼ = β perché angoli alla base di un triangolo isoscele Quindi ABD ∼ = ABE per il secondo criterio di congruenza In particolare AD ∼ = EB 202 16.5. DISUGUAGLIANZE NEI TRIANGOLI Teorema 16.4.5. In un triangolo isoscele la mediana relativa alla base è anche bisettrice e altezza Teorema 16.4.6. In un triangolo isoscele la bisettrice dell’angolo al vertice è anche mediana e altezza Osservazione Poiché un triangolo equilatero è anche isoscele, i teoremi precedenti valgono anche per i triangoli equilateri: Teorema 16.4.7. In un triangolo equilatero le tre mediane sono congruenti Teorema 16.4.8. In un triangolo equilatero le tre bisettrici sono congruenti Teorema 16.4.9. In un triangolo equilatero le mediane sono anche bisettrici e altezze Teorema 16.4.10. In un triangolo equilatero le bisettrici sono anche mediane e altezze 16.5 Disuguaglianze nei triangoli Teorema 16.5.1. In un triangolo un lato è minore della somma e maggiore della differenza degli altri due 203 Capitolo 17 Rette parallele 17.1 Assioma di Euclide Assioma 17.1.1 (Assioma di Euclide). Dati una retta r e un punto P , la parallela ad r per P è unica P r Figura 17.1: assioma di Euclide Se si nega questo assioma si costruiscono altre geometrie: la geometria ellittica e iperbolica 17.2 Rette parallele tagliate da una trasversale Consideriamo due rette r e s tagliate in due punti distinti da una retta t detta trasversale. Si generano otto angoli che possono essere classificati a coppie in base alla loro posizione rispetto alle rette date. s t α β δ γ β0 α0 γ0 δ0 r Figura 17.2: angoli formati da due rette tagliate da una trasversale • γ, α0 e δ, β 0 si dicono angoli alterni interni • α, γ 0 e β, δ 0 si dicono angoli alterni esterni • α, α0 e β, β 0 e γ, γ 0 e δ, δ 0 si dicono angoli corrispondenti • γ, β 0 e δ, α0 si dicono angoli coniugati interni • α, δ 0 e β, γ 0 si dicono angoli coniugati esterni 204 17.3. APPLICAZIONI DEL PARALLELISMO AI TRIANGOLI Teorema 17.2.1. Due rette r, s tagliate da una trasversale t sono parallele se e solo se formano angoli alterni interni congruenti Teorema 17.2.2. Due rette r, s tagliate da una trasversale t sono parallele se e solo se formano angoli alterni esterni congruenti Teorema 17.2.3. Due rette r, s tagliate da una trasversale t sono parallele se e solo se formano angoli corrispondenti congruenti Teorema 17.2.4. Due rette r, s tagliate da una trasversale t sono parallele se e solo se formano angoli coniugati interni supplementari Teorema 17.2.5. Due rette r, s tagliate da una trasversale t sono parallele se e solo se formano angoli coniugati esterni supplementari 17.3 Applicazioni del parallelismo ai triangoli Teorema 17.3.1. In un triangolo, ogni angolo esterno è congruente alla somma degli angoli interni non adiacenti C r γ A δ0 δ α δ 00 β B Ipotesi δ+β ∼ =π Tesi δ∼ =α+γ Dimostrazione Tracciamo la retta r passante per B parallela a AC. δ0 ∼ = γ perché angoli alterni interni delle rette parallele r, AC tagliate da CB δ 00 ∼ = α perché angoli corrispondenti delle rette parallele r, AC tagliate da AB Quindi δ 0 + δ 00 ∼ =γ+α δ∼ =γ+α 205 CAPITOLO 17. RETTE PARALLELE Teorema 17.3.2. In un triangolo la somma degli angoli interni è congruente a un angolo piatto C γ δ α A β B Ipotesi ABC triangolo Tesi α+β+γ ∼ =π Dimostrazione Considerando l’angolo esterno δ si ha δ+β ∼ =π δ∼ = α + γ per il teorema dell’angolo esterno Quindi α+γ+β ∼ =π Teorema 17.3.3 (Secondo criterio di congruenza generalizzato). Due triangoli sono congruenti se hanno rispettivamente congruenti due angoli e un lato C0 C γ A α γ0 β B A0 α0 β0 Figura 17.3: secondo criterio generalizzato Ipotesi AC ∼ = A0 C 0 α∼ = α0 β∼ = β0 Tesi ABC ∼ = A0 B 0 C 0 206 B0 17.4. TRIANGOLI RETTANGOLI Teorema 17.3.4. In un triangolo isoscele le altezze relative ai lati congruenti sono congruenti C T S γ A α δ β B Ipotesi AC ∼ = BC π γ∼ =δ∼ = 2 Tesi AS ∼ = TB Dimostrazione Consideriamo i triangoli ABS e ABT . α∼ = β perché angoli alla base di un triangolo isoscele AB in comune γ∼ = δ per ipotesi Quindi ABS ∼ = ABT per il secondo criterio di congruenza generalizzato In particolare AS ∼ = TB Teorema 17.3.5. In un triangolo isoscele l’altezza relativa alla base è anche bisettrice e mediana 17.4 Triangoli rettangoli Teorema 17.4.1 (Criterio di congruenza dei triangoli rettangoli). Due triangoli rettangoli sono congruenti se hanno rispettivamente congruenti l’ipotenusa e un cateto. Teorema 17.4.2. Due triangoli congruenti hanno altezze congruenti. 17.5 Asse di un segmento e bisettrice di un angolo Teorema 17.5.1 (Asse di un segmento). L’asse di un segmento è il luogo dei punti del piano equidistanti dagli estremi del segmento Teorema 17.5.2 (Bisettrice di un angolo). La bisettrice di un angolo è il luogo dei punti del piano equidistanti dai lati dell’angolo 207 Capitolo 18 Quadrilateri 18.1 Introduzione Definizione 18.1.1 (Quadrilatero). Si dice quadrilatero un poligono di quattro lati B C A D Figura 18.1: quadrilatero Teorema 18.1.1. In un quadrilatero la somma degli angoli interni è congruente a un angolo giro Teorema 18.1.2. In un poligono di n lati la somma degli angoli interni è congruente alla somma di n − 2 angoli piatti Teorema 18.1.3. In un quadrilatero la somma degli angoli esterni è congruente a un angolo giro Teorema 18.1.4. In un poligono di n lati la somma degli angoli esterni è congruente a un angolo giro 18.2 Parallelogrammi Definizione 18.2.1 (Parallelogrammo). Si dice parallelogrammo un quadrilatero con i lati opposti paralleli D C A B Figura 18.2: parallelogrammo 208 18.2. PARALLELOGRAMMI Definizione 18.2.2 (Altezza). Si dice altezza di un parallelogrammo il segmento di perpendicolare che ha come estremi un estremo di un lato e un punto del lato opposto. Osservazione Ciascuno dei lati perpendicolari all’altezza si dice base D C A H B Figura 18.3: altezza parallelogrammo Teorema 18.2.1 (Parallelogrammo). Un parallelogrammo ha gli angoli opposti congruenti, i lati opposti congruenti e le diagonali che si dimezzano D C δ 00 δ δ0 α00 α A γ 00 γ ε η0 M ε0 α0 γ0 η β 00 β0 β B Ipotesi AB k CD AD k BC Tesi AB ∼ = CD AD ∼ = BC α∼ =γ β∼ =δ AM ∼ = MC BM ∼ = MD Dimostrazione Consideriamo i triangoli ABC e ACD AC in comune 209 CAPITOLO 18. QUADRILATERI α0 ∼ = γ 00 perchè angoli alterni interni delle rette parallele AB, CD tagliate da AC γ0 ∼ = α00 perchè angoli alterni interni delle rette parallele AD, BC tagliate da AC Quindi ABC ∼ = ACD per il secondo criterio di congruenza In particolare AB ∼ = CD AD ∼ = BC β∼ =δ α∼ = γ perché somma di angoli congruenti Consideriamo i triangoli ABM e CDM . AB ∼ = CD per dimostrazione precedente γ 00 ∼ = α0 perchè angoli alterni interni delle rette parallele AB, CD tagliate da AC ∼ δ 00 perchè angoli alterni interni delle rette parallele AB, CD tagliate da BD β0 = Quindi ABM ∼ = CDM per il secondo criterio di congruenza In particolare AM ∼ = MC BM ∼ = MD Teorema 18.2.2 (Parallelogrammo). Un quadrilatero con i lati opposti congruenti oppure gli angoli opposti congruenti oppure con le diagonali che si dimezzano oppure con due lati congruenti e paralleli è un parallelogrammo D C δ 00 δ δ0 α00 α A γ 00 γ ε η0 M ε0 α0 γ0 η β 00 β0 β B Ipotesi AB ∼ = CD AD ∼ = BC Tesi AB k CD AD k BC 210 18.2. PARALLELOGRAMMI Dimostrazione Consideriamo i triangoli ABC e ACD AC in comune AB ∼ = CD per ipotesi AD ∼ = BC per ipotesi Quindi ABC ∼ = ACD per il terzo criterio di congruenza In particolare α0 ∼ = γ 00 α00 ∼ = γ0 quindi AB k CD perché formano con AC angoli alterni interni congruenti AD k BC perché formano con AC angoli alterni interni congruenti Ipotesi α∼ =γ β∼ =δ Tesi AB k CD AD k BC Dimostrazione Poiché α+β+γ+δ ∼ = 2π α∼ = γ per ipotesi β∼ = δ per ipotesi si ha α+β+α+β ∼ = 2π 2α + 2β ∼ = 2π α+β ∼ =π AD k BC perché formano con AB angoli coniugati interni supplementari Poiché α+β ∼ = π per dimostrazione precedente β∼ = δ per ipotesi si ha α+δ ∼ =π AB k CD perché formano con AD angoli coniugati interni supplementari 211 CAPITOLO 18. QUADRILATERI Ipotesi AM ∼ = MC BM ∼ = MD Tesi AB k CD AD k BC Dimostrazione Consideriamo i triangoli ABM e CM D AM ∼ = M C per ipotesi BM ∼ = M D per ipotesi 0 ∼ = perché angoli opposti al vertice Quindi ABM ∼ = CM D per il primo criterio di congruenza In particolare β0 ∼ = δ 00 quindi AB k CD perché formano con BD angoli alterni interni congruenti Consideriamo i triangoli ADM e BCM AM ∼ = M C per ipotesi BM ∼ = M D per ipotesi η∼ = η 0 perché angoli opposti al vertice Quindi ADM ∼ = BCM per il primo criterio di congruenza In particolare β 00 ∼ = δ0 quindi AD k BC perché formano con BD angoli alterni interni congruenti Ipotesi AB ∼ = CD AB k CD Tesi AD k BC Dimostrazione Consideriamo i triangoli ABC e CDA AB ∼ = CD per ipotesi 212 18.3. RETTANGOLI AC in comune α0 ∼ = γ 00 perché angoli alterni interni delle rette parallele AB, CD tagliate da AC Quindi ABC ∼ = CDA per il primo criterio di congruenza In particolare α00 ∼ = γ0 quindi AD k BC perché formano con AC angoli alterni interni congruenti 18.3 Rettangoli Definizione 18.3.1 (Rettangolo). Si dice rettangolo un quadrilatero con gli angoli congruenti D C A B Figura 18.4: rettangolo Osservazioni 1. Un rettangolo è un parallelogrammo 2. Gli angoli di un rettangolo sono retti Teorema 18.3.1 (Rettangolo). Un rettangolo ha le diagonali congruenti Teorema 18.3.2 (Rettangolo). Un paralellogramma con le diagonali congruenti è un rettangolo 18.4 Rombi Definizione 18.4.1 (Rombo). Si dice rombo un quadrilatero con i lati congruenti D A C B Figura 18.5: rombo 213 CAPITOLO 18. QUADRILATERI Osservazione Un rombo è un parallelogrammo Teorema 18.4.1 (Rombo). Un rombo ha le diagonali perpendicolari e bisettrici degli angoli. Teorema 18.4.2 (Rombo). Un paralellogrammo con le diagonali perpendicolari oppure con le diagonali bisettrici degli angoli è un rombo 18.5 Quadrati Definizione 18.5.1 (Quadrato). Si dice quadrato un quadrilatero con i lati e gli angoli congruenti D A C B Figura 18.6: quadrato Osservazione Un quadrato è un parallelogrammo, un rombo e un rettangolo 18.6 Trapezi Definizione 18.6.1 (Trapezio). Si dice trapezio un quadrilatero con due lati opposti paralleli e gli altri due non paralleli B C A D Figura 18.7: trapezio I lati paralleli si dicono basi, gli altri si dicono lati obliqui. Definizione 18.6.2 (Altezza). Si dice altezza di un trapezio il segmento di perpendicolare che ha come estremi un estremo di una base e un punto dell’altra base. 214 18.6. TRAPEZI B C A H D Figura 18.8: altezza del trapezio Definizione 18.6.3 (Trapezio isoscele). Un trapezio si dice isoscele se ha i lati obliqui congruenti D C A B Figura 18.9: trapezio isoscele Definizione 18.6.4 (Trapezio scaleno). Un trapezio si dice scaleno se ha i lati obliqui non congruenti B C A D Figura 18.10: trapezio scaleno Definizione 18.6.5 (Trapezio rettangolo). Un trapezio si dice rettangolo se ha due angoli retti 215 CAPITOLO 18. QUADRILATERI D C A B Figura 18.11: trapezio rettangolo Teorema 18.6.1. In un trapezio gli angoli adiacenti ai lati obliqui sono supplementari Teorema 18.6.2. In un trapezio isoscele gli angoli adiacenti a ciascuna base sono congruenti Teorema 18.6.3. In un trapezio isoscele le diagonali sono congruenti 216 Parte II CLASSE SECONDA LINGUISTICO 217 Capitolo 1 Circonferenza 1.1 Introduzione Definizione 1.1.1 (Circonferenza). Si dice circonferenza di centro C e raggio r il luogo dei punti P del piano tali che P C ∼ = r. P C r Figura 1.1: circonferenza Una circonferenza divide il piano in tre parti: 1. insieme dei punti che hanno distanza dal centro minore del raggio: punti interni 2. insieme dei punti con distanza dal centro congruente al raggio: punti della circonferenza 3. insieme dei punti con distanza dal centro maggiore del raggio: punti esterni Osservazione Due circonferenze sono congruenti se e solo se hanno raggi congruenti Definizione 1.1.2 (Cerchio). Si dice cerchio di centro C e raggio r il luogo dei punti P del piano tali che P C 6 r. Teorema 1.1.1 (Circonferenza passante per tre punti). Per tre punti non allineati passa una e una sola circonferenza Definizione 1.1.3 (Corda). Si dice corda un segmento che ha per estremi due punti della circonferenza. 218 1.2. PROPRIETÀ DELLA CORDA B A C Figura 1.2: corda Definizione 1.1.4 (Diametro). Si dice diametro una corda passante per il centro Osservazione Poiché un diametro è congruente al doppio di un raggio, tutti i diametri sono congruenti 1.2 Proprietà della corda Teorema 1.2.1. La perpendicolare ad una corda nel suo punto medio passa per il centro della circonferenza r B D A C Teorema 1.2.2. La perpendicolare ad una corda passante per il centro C di una circonferenza passa per il punto medio della corda Teorema 1.2.3. La retta passante per il centro C e per il punto medio della corda AB, è perpendicolare alla corda Teorema 1.2.4. Corde congruenti hanno distanze dal centro congruenti e viceversa 219 CAPITOLO 1. CIRCONFERENZA B F A α C D β G E 1.3 Archi, angoli, segmenti circolari e settori circolari Definizione 1.3.1 (Arco). ¯ ciascuna delle due parti in cui una circonferenza è divisa da due suoi punti A e B Si dice arco AB B A C Figura 1.3: arco Osservazione ¯ si intende il minore dei due archi di estremi A e B. In alternativa, per identificare Normalmente con AB l’arco, si può utilizzare un terzo punto interno all’arco: ˙ ADB 220 1.3. ARCHI, ANGOLI, SEGMENTI CIRCOLARI E SETTORI CIRCOLARI B D A C Figura 1.4: arco Definizione 1.3.2 (Corda sottesa). ¯ la corda AB Si dice corda sottesa all’arco AB B A C Figura 1.5: corda sottesa Definizione 1.3.3 (Semicirconferenza). Si dice semicrconferenza l’arco la cui corda sottesa è un diametro B C A Figura 1.6: semicirconferenza Definizione 1.3.4 (Angolo al centro). Si dice angolo al centro un angolo che ha come vertice il centro della circonferenza 221 CAPITOLO 1. CIRCONFERENZA α C Figura 1.7: angolo al centro Osservazioni ÷ insiste sull’arco AB ¯ 1. Si dice che l’angolo al centro ACB ÷ l’arco AB ¯ e la corda AB si dicono corrispondenti. 2. L’angolo al centro ACB, Teorema 1.3.1. In una circonferenza o in circonferenze congruenti due angoli al centro sono congruenti se e solo se i corrispondenti archi o le corrispondenti corde sono congruenti B A α C D β E Definizione 1.3.5 (Segmento circolare a una base). Si dice segmento circolare a una base ognuna delle due parti di cerchio compresa tra un arco e la corda ad esso sottesa B A C Figura 1.8: segmento circolare a una base 222 1.4. POSIZIONI RECIPROCHE TRA CIRCONFERENZA E RETTA Definizione 1.3.6 (Semicerchio). Si dice semicerchio il segmento circolare a una base con base un diametro B C A Figura 1.9: semicerchio Definizione 1.3.7 (Segmento circolare a due basi). Si dice segmento circolare a due basi la parte di cerchio compresa tra due corde parallele B A C D E Figura 1.10: segmento circolare a due basi Definizione 1.3.8 (Settore circolare). Si dice settore circolare l’intersezione tra il cerchio e un angolo al centro α C Figura 1.11: settore circolare 1.4 Posizioni reciproche tra circonferenza e retta Data una circonferenza di centro C e raggio r e una retta, sia d la distanza della retta da C: 223 CAPITOLO 1. CIRCONFERENZA 1. se d < r, la retta è secante la circonferenza e la interseca in due punti 2. se d ∼ = r, la retta è tangente alla circonferenza e la interseca in un punto 3. se d > r, la retta è esterna alla circonferenza e non la interseca B A r C d C r A Figura 1.12: retta secante la circonferenza Figura 1.13: retta tangente alla circonferenza A C r d B Figura 1.14: retta esterna alla circonferenza Osservazione il raggio passante per il punto di tangenza è perpendicolare alla tangente Teorema 1.4.1 (Tangenti da un punto esterno). I segmenti di tangente da un punto esterno P a una circonferenza sono congruenti 224 1.5. POSIZIONI RECIPROCHE TRA DUE CIRCONFERENZE P A α C β B Ipotesi P A tangente alla circonferenza P B tangente alla circonferenza Tesi PA ∼ = PB Dimostrazione Consideriamo i triangoli P AC e P BC AC ∼ = BC perché raggi P C in comune α∼ = β perché retti Quindi P AC ∼ = P BC per il criterio di congruenza dei triangoli rettangoli In particolare PA ∼ = PB 1.5 Posizioni reciproche tra due circonferenze Date due circonferenze di centro rispettivamente C e C 0 e raggi r e r0 con r > r0 , sia d la distanza tra i centri: 1. se d è nulla, le circonferenze sono concentriche 2. se d < r − r0 , la circonferenza di centro C 0 è interna alla circonferenza di centro C; 3. se d ∼ = r − r0 , le circonferenze sono tangenti internamente in un punto 4. se d > r − r0 ∧ d < r + r0 , le circonferenze sono secanti in due punti 5. se d ∼ = r + r0 , le circonferenze sono tangenti esternamente in un punto 6. se d > r + r0 , le circonferenze sono esterne 225 CAPITOLO 1. CIRCONFERENZA C0 C r0 r r0 C r Figura 1.16: circonferenze concentriche Figura 1.15: circonferenze una interna all’altra C r C A r r0 C0 r0 C0 B Figura 1.18: circonferenze tangenti esternamente Figura 1.17: circonferenze secanti r A C C C0 r r0A r0 C0 Figura 1.20: circonferenze una esterna all’altra Figura 1.19: circonferenze tangenti internamente Osservazione Due circonferenze tangenti in un punto hanno in quel punto la stessa retta tangente 226 1.6. ANGOLI ALLA CIRCONFERENZA C0 A C C A C0 Definizione 1.5.1 (Corona circolare). Date due circonferenze concentriche si dice corona circolare l’insieme dei punti interni alla circonferenza esterna ed esterni alla circonferenza interna C Figura 1.21: corona circolare 1.6 Angoli alla circonferenza Definizione 1.6.1 (Angolo alla circonferenza). Si dice angolo alla circonferenza un angolo che ha il vertice sulla circonferenza e i lati secanti o uno secante e l’altro tangente alla circonferenza C V α Figura 1.22: angolo alla circonferenza Osservazione L’angolo al centro e l’angolo alla circonferenza che insistono sullo stesso arco si dicono corrispondenti Teorema 1.6.1. Un angolo alla circonferenza è congruente alla metà del corrispondente angolo al centro Teorema 1.6.2. Due angoli alla circonferenza che insistono sullo stesso arco sono congruenti 227 CAPITOLO 1. CIRCONFERENZA V α B M γ C β A Osservazione Angoli alla circonferenza che insistono su archi congruenti sono congruenti; viceversa angoli alla circonferenza congruenti insistono su archi congruenti Teorema 1.6.3. Un angolo alla circonferenza che insiste su una semicirconferenza è retto V α C B A β 1.7 Punti notevoli di un triangolo Teorema 1.7.1 (Circocentro). Gli assi dei lati di un triangolo si intersecano in un punto detto circocentro 228 1.7. PUNTI NOTEVOLI DI UN TRIANGOLO r As F B t D H E C Figura 1.23: circocentro Teorema 1.7.2 (Incentro). Le bisettrici degli angoli di un triangolo si intersecano in un punto detto incentro. A G t K s r B I C H Figura 1.24: incentro Teorema 1.7.3 (Ortocentro). Le rette contenenti le altezze di un triangolo si intersecano in un punto detto ortocentro A D F s r B W t E C Figura 1.25: ortocentro Teorema 1.7.4 (Baricentro). Le mediane di un triangolo si incontrano in un punto detto baricentro che divide ogni mediana in due parti: una doppia dell’altra 229 CAPITOLO 1. CIRCONFERENZA A D F B G H r I s E C Figura 1.26: baricentro 1.8 Poligoni inscritti e circoscritti Definizione 1.8.1 (Poligono inscritto). Un poligono si dice inscritto in una circonferenza se i suoi vertici appartengono alla circonferenza A B C D F E Figura 1.27: poligono inscritto Osservazioni 1. se un poligono è inscritto in una circonferenza si dice che la circonferenza è circoscritta al poligono 2. Il raggio della circonferenza è il raggio del poligono 3. I lati del poligono sono corde della circonferenza 4. Gli angoli del poligono sono angoli alla circonferenza Definizione 1.8.2 (Poligono circoscritto). Un poligono si dice circoscritto ad una circonferenza se i suoi lati sono tangenti alla circonferenza G A J F B C K I E H D Figura 1.28: poligono circocritto Osservazioni 1. se un poligono è circoscritto ad una circonferenza si dice che la circonferenza è inscritta nel poligono 2. Il raggio della circonferenza è l’apotema del poligono ed è la distanza di ciascun lato dal centro 230 1.8. POLIGONI INSCRITTI E CIRCOSCRITTI 3. Un triangolo è sempre inscrivibile in una circonferenza il cui centro è il circocentro del triangolo r As B H t C Figura 1.29: triangolo inscritto 4. Un triangolo è sempre circoscrivibile ad una circonferenza il cui centro è l’incentro del triangolo A G I t K s r B C H Figura 1.30: triangolo circoscritto Teorema 1.8.1 (Quadrilatero circoscritto). Un quadrilatero è circoscrivibile a una circonferenza se e solo se la somma di due lati opposti è congruente alla somma degli altri due E F I A C G D H B Figura 1.31: quadrilatero circoscritto Teorema 1.8.2 (Quadrilatero inscritto). Un quadrilatero è inscrivibile in una circonferenza se e solo se la somma di due angoli opposti è congruente alla somma degli altri due 231 CAPITOLO 1. CIRCONFERENZA A ε γ B β C η D δ α E Figura 1.32: quadrilatero inscritto 1.9 Poligoni regolari Definizione 1.9.1 (Poligono regolare). Un poligono si dice regolare se ha tutti i lati e tutti gli angoli congruenti D C E B A Figura 1.33: poligono regolare Osservazione Se un triangolo ha i lati congruenti ha anche gli angoli. Nei quadrilateri questo non è vero: il rombo ha i lati congruenti ma non necessariamente gli angoli. Il quadrilatero regolare è il quadrato. Teorema 1.9.1. Se una circonferenza è suddivisa in n > 3 archi congruenti, allora: 1. congiungendo i punti di suddivisione si ottiene il poligono regolare inscritto di n lati 2. tracciando le tangenti alla circonferenza nei punti di suddivisione si ottiene il poligono regolare circoscritto di n lati 232 1.9. POLIGONI REGOLARI G D F C H E B J I A Teorema 1.9.2. Un poligono regolare è inscrittibile in una circonferenza e circoscrittibile a un’altra circonferenza con lo stesso centro D G C F H O E J B I A 233 Capitolo 2 Equiestensione 2.1 Figure equiestese Assumiamo il concetto di estensione di una figura come termine primitivo. Definizione 2.1.1 (Equiestese). Due figure F1 e F2 con la stessa estensione si dicono equiestese o equivalenti. In simboli . F1 = F2 Osservazioni 1. la relazione di equiestensione è una relazione di equivalenza 2. due figure congruenti sono equiestese 3. esistono figure equiestese che non sono congruenti Osservazione Somme o differenze di figure equiestese a due a due sono equiestese Definizione 2.1.2 (Figure equiscomponibili). Due figure si dicono equiscomponibili se si possono scomporre in n figure a due a due congruenti. Osservazione Figure equiscomponibili sono equiestese Esempio 2.1.1. D C A B G F E H Figura 2.1: figure equiscomponibili Le figure ABCD e EF G sono equiscomponibili 234 2.2. PRIMO TEOREMA DI EUCLIDE Teorema 2.1.1. Se due parallelogrammi hanno ordinatamente congruenti la base e l’altezza, allora sono equiestesi F1 D G H C I F K E B A Figura 2.2: parallelogrammi equiestesi Teorema 2.1.2. Se un parallelogrammo e un rettangolo hanno ordinatamente congruenti la base e l’altezza, allora sono equiestesi Teorema 2.1.3. Un triangolo è equiesteso a un parallelogrammo che ha altezza congruente a quella del triangolo e base congruente alla metà di quella del triangolo I C F β δ G γ α A B E Teorema 2.1.4. Un triangolo è equiesteso a un rettangolo che ha altezza congruente a quella del triangolo e base congruente alla metà di quella del triangolo Teorema 2.1.5. Un trapezio è equiesteso a un triangolo che ha altezza congruente a quella del trapezio e base congruente alla somma delle basi del trapezio I C E β δ G γ α A 2.2 F B Primo teorema di Euclide Teorema 2.2.1 (Primo teorema di Euclide). In un triangolo rettangolo il quadrato costruito su un cateto è equiesteso al rettangolo che ha i lati congruenti alla proiezione del cateto sull’ipotenusa e all’ipotenusa stessa 235 CAPITOLO 2. EQUIESTENSIONE D E C α H B A G I Figura 2.3: primo teorema di Euclide 2.3 Teorema di Pitagora Teorema 2.3.1 (Teorema di Pitagora). In un triangolo rettangolo il quadrato costruito sull’ipotenusa è equiesteso alla somma dei quadrati costruiti sui cateti. D E U C J α B A G F Figura 2.4: teorema di Pitagora 2.4 Secondo teorema di Euclide Teorema 2.4.1 (Secondo teorema di Euclide). In un triangolo rettangolo il quadrato costruito sull’altezza relativa all’ipotenusa è equiesteso al 236 2.5. AREA D rettangolo che i lati congruenti alle proiezioni dei cateti sull’ipotenusa C U α β H B J A F W Figura 2.5: secondo teorema di Euclide 2.5 Area G I Poiché la relazione di equiestensione è una relazione di equivalenza essa determina una partizione dell’insieme delle figure del piano; ogni classe di equivalenza contiene tutte e sole le figure equiestese tra loro. Definizione 2.5.1 (Area). Si dice area ogni classe di equivalenza di figure fra loro equiestese. In altre parole due figure equiestese hanno la stessa area e, viceversa, figure con la stessa area sono equiestese. Per indicare l’area di una figura F invece di utilizzare la notazione tipica delle classi di equivalenza [F ] si utilizza la notazione AF . 2.5.1 Operazioni con le aree L’addizione e la sottrazione tra figure possono essere effettuate attraverso le rispettive aree: dette A e B le aree delle figure F1 e F2 si ha: • A + B l’area della figura F1 + F2 • A − B l’area della figura F1 − F2 • nA l’area della figura nF1 • A 1 l’area della figura F1 n n 237 Capitolo 3 Grandezze geometriche e misure 3.1 Classe di grandezze omogenee Definizione 3.1.1 (Classe di grandezze geometriche omogenee). Si dice classe di grandezze geometriche omogenee un insieme di enti geometrici in cui è sempre possibile confrontare e addizionare due elementi qualsiasi dell’insieme. L’addizione definita in una classe di grandezze geometriche è associativa, commutativa e ammette come elemento neutro la grandezza nulla. Osservazioni 1. L’insieme dei segmenti, l’insieme degli angoli sono esempi di classi di grandezze geometriche omogenee. 2. L’insieme delle lunghezze, l’insieme delle ampiezze, l’insieme delle aree sono esempi di classi di grandezze geometriche omogenee. 3. Due segmenti sono omogenei, un segmento e un angolo no 4. Due lunghezze sono omogenee, una lunghezza e un’area no. 5. Poiché come grandezze omogenee consideriamo sia gli enti sia le classi di equivalenza, in seguito utilizzeremo il simbolo = anche quando sarebbe più corretto utilizzare il simbolo ∼ = o il simbolo . = Definizione 3.1.2 (Multiplo). Si dice multiplo di una grandezza A secondo n ∈ N una grandezza B, omogenea a quella data, tale che: 1. B è la somma di n grandezze uguali ad A, se n > 1; 2. B è uguale ad A, se n = 1; 3. B è la grandezza nulla, se n = 0. e si scrive B = nA Se B è il multiplo di A secondo n 6= 0, allora A si dice sottomultiplo di B secondo n e si scrive 1 A = B. n 3.2 Rapporti fra grandezze Definizione 3.2.1 (Grandezze commensurabili). Due grandezze A e B omogenee si dicono commensurabili se esiste una grandezza, omogenea con esse, che sia loro sottomultipla comune. 238 3.3. PROPORZIONI FRA GRANDEZZE Detta U la grandezza sottomultipla ad A e B secondo i numeri naturali m e n, valgono le seguenti relazioni: U= 1 B n 1 A da cui A = mU m Da queste relazioni si ottiene U= 1 m A = mU = m B = B n n Il numero razionale m è detto rapporto fra A e B e si scrive n A m = B n Quindi se due grandezze A e B omogenee non nulle sono commensurabili il loro rapporto è un numero razionale non nullo, e viceversa. Definizione 3.2.2 (Grandezze incommensurabili). Due grandezze A e B omogenee si dicono incommensurabili se non esiste una grandezza, omogenea con esse, che sia loro sottomultipla comune. Teorema 3.2.1. Il lato di un quadrato e la sua diagonale sono segmenti incommensurabili. Nel caso in cui due grandezze A e B siano incommensurabili, il loro rapporto non si può più esprimere mediante un numero razionale, ma si deve ricorrere ai numeri irrazionali; quindi il rapporto fra due grandezze omogenee A e B è un numero reale, razionale se le grandezze sono commensurabili, irrazionale se le grandezze sono incommensurabili. 3.3 Proporzioni fra grandezze Definizione 3.3.1 (Proporzione). Date due grandezze omogenee non nulle A e B, e altre due grandezze omogenee non nulle C e D, si dice che le grandezze sono in proporzione se il rapporto tra A e B è uguale al rapporto tra C e D. In simboli A C = B D oppure A:B=C:D Osservazioni 1. Non è necessario che le quattro grandezze siano tutte omogenee tra loro; è sufficiente che lo siano le prime due e le seconde due. 2. La terminologia usata per le proporzioni tra grandezze è identica a quella utilizzata per le proporzioni tra numeri 3. Per le proporzioni tra grandezze valgono le proprietà valide in ambito numerico, ovvero le proprietà del comporre, dello scomporre, dell’invertire e, se tutte e quattro le grandezze sono omogenee, del permutare. Non essendo definibile il prodotto tra grandezze geometriche, non è possibile enunciare l’analogo della proprietà fondamentale delle proporzioni numeriche che stabilisce l’uguaglianza tra il prodotto dei medi e il prodotto degli estremi. 239 CAPITOLO 3. GRANDEZZE GEOMETRICHE E MISURE 3.4 La misura delle grandezze Definizione 3.4.1 (Misura). Date due grandezze omogenee A e B, con B diversa dalla grandezza nulla, si dice misura di A rispetto a B il numero reale α tale che A = αB. B si dice unità di misura Osservazioni 1. Di solito la grandezza presa come unità di misura viene indicata con U 2. La misura di una grandezza A si indica con A Una delle unità di misura delle lunghezze è il metro: m Una delle unità di misura delle ampiezze è il grado sessagesimale ◦ , che è la trecentosessantesima parte dell’angolo giro. Una delle unità di misura delle aree è il metro quadrato m2 Osservazione Quando si parla di misure di grandezze le diciture corrette sono “la misura della lunghezza del segmento”, “la misura dell’ampiezza dell’angolo”, “la misura dell’area di un poligono”, “la misura del perimetro di un poligono”. Infatti una grandezza non è un numero, ma ha per misura un numero, che la esprime una volta che si sia scelta l’unità di misura. D’ora in avanti, però, con abuso di linguaggio diremo semplicemente “lunghezza di un segmento”, “ampiezza di un angolo”, “area del poligono”, “perimetro del poligono” anche quando vorremo riferirci alla misura della grandezza. 3.5 Aree dei poligoni Per affrontare il problema delle aree dei poligoni enunciamo senza dimostrare il teorema dell’area del rettangolo Teorema 3.5.1 (Area di un rettangolo). L’area di un rettangolo è uguale al prodotto della base e dell’altezza. D C h A B b A = bh Teorema 3.5.2 (Area di un parallelogrammo). L’area di un parallelogrammo è uguale al prodotto di un suo lato per l’altezza relativa a esso. D C h A H B b 240 3.5. AREE DEI POLIGONI A = bh Infatti un parallelogrammo è equiesteso a un rettangolo con la base e l’altezza rispettivamente congruenti a quelle del parallelogrammo. Teorema 3.5.3 (Area di un quadrato). L’area di un quadrato è uguale al quadrato del suo lato. D C A B l A = l2 Infatti un quadrato è un rettangolo avente base e altezza congruenti. Teorema 3.5.4 (Area di un triangolo). L’area di un triangolo è uguale al semiprodotto della base per l’altezza. A h C B b H 1 A = bh 2 Infatti un triangolo è equiesteso a un parallelogrammo che ha altezza congruente a quella del triangolo e base congruente alla metà di quella del triangolo. Teorema 3.5.5 (Area di un rombo). L’area di un rombo è uguale al semiprodotto della diagonale minore per diagonale maggiore. E d C A D B 241 CAPITOLO 3. GRANDEZZE GEOMETRICHE E MISURE 1 A = dD 2 Infatti un rombo è equiesteso a un rettangolo che ha base congruente alla diagonale maggiore e altezza la metà della diagonale minore. Teorema 3.5.6 (Area di un trapezio). L’area di un trapezio è uguale al semiprodotto della somma delle basi per l’altezza. b E D h C A B H 1 A = (B + b)h 2 Infatti un trapezio è equiesteso a un triangolo che ha altezza congruente a quella del trapezio e base congruente alla somma delle basi del trapezio. Teorema 3.5.7 (Area di un poligono circoscritto a una circonferenza). L’area di un poligono circoscritto a una circonferenza è uguale al prodotto del semiperimetro del poligono per il raggio della circonferenza. F A E G r C B D 1 A = pr 2 Infatti un poligono circoscritto a una circonferenza è equiesteso a un triangolo avente per base il perimetro del poligono e per altezza il raggio della circonferenza. Teorema 3.5.8 (Area di un poligono regolare). L’area di un poligono regolare è uguale al prodotto del semiperimetro del poligono per l’apotema 242 3.6. LUNGHEZZA DELLA CIRCONFERENZA E AREA DEL CERCHIO D C F a E I B A 1 A = pa 2 Infatti un poligono regolare ammette sempre la circonferenza inscritta il cui raggio è l’apotema del poligono. 3.6 3.6.1 Lunghezza della circonferenza e area del cerchio Lunghezza della circonferenza Poiché un arco e un segmento non sono grandezze omogenee non possono essere confrontate. Immaginiamo di deformare l’arco facendolo diventare rettilineo ottendo così un segmento che si dice arco rettificato. L’arco rettificato si può confrontare con i segmenti e quindi si può misurare. In modo analogo avremo la circonferenza rettificata. Con lunghezza della circonferenza si intende la lunghezza della circonferenza rettificata. La lunghezza di una circonferenza si può approssimare tramite il perimetro di poligoni inscritti e circoscritti alla circonferenza stessa. D G C F H O E J B I A Figura 3.1: lunghezza della circonferenza Detto pn il perimetro del poligono regolare inscritto di n lati, Pn il perimetro del poligono regolare circoscritto di n lati e C la lunghezza della circonferenza di raggio r, si ha che pn < C < Pn Aumentando il numero dei lati dei poligoni, la differenza tra Pn e pn diventa sempre più piccola. Se n cresce indefinitamente, pn e Pn individuano uno e un solo numero che è compreso tra essi per ogni n e che si assume come lunghezza della circonferenza: 2πr Il numero π è un numero irrazionale, un’approssimazione di π con 2 cifre decimali è 3, 14. Osservazioni 243 CAPITOLO 3. GRANDEZZE GEOMETRICHE E MISURE 1. Poiché π è un numero irrazionale, la circonferenza rettificata e uno qualsiasi dei suoi diametri sono segmenti incommensurabili. 2. Nel 1882 Ferdinand von Lindemann dimostrò che π è un numero trascendente cioè che non è soluzione di alcuna equazione polinomiale. Poiché i numeri trascendenti non possono essere costruiti con solo riga e compasso, la dimostrazione che π è trascendente, dimostrò l’impossibilità della quadratura del cerchio Radiante Un’altra unità di misura delle ampiezze è il radiante, abbreviato rad, che è l’angolo al centro che insiste su di un arco avente lunghezza pari al raggio della circonferenza. La definizione data è indipendente dal raggio della circonferenza. π Un angolo giro misura 2π rad, un angolo piatto misura π rad e un angolo retto misura rad. 2 In seguito, per gli angoli espressi in radianti, ometteremo rad. Per passare dalla misura in gradi a quella in radianti o viceversa si può utilizzare la seguente proporzione: misura in gradi : misura in radianti = 180◦ : π Esempio 3.6.1. • Dato α = 30◦ , esprimerlo in radianti 30◦ : x = 180◦ : π π 30◦ π = 180◦ 6 π • Dato α = , esprimerlo in gradi 4 π x : = 180◦ : π 4 π 180◦ 4 x= = 45◦ π x= 3.6.2 Lunghezza di un arco B l C A α O Figura 3.2: lunghezza di un arco Poiché in una circonferenza gli archi sono proporzionali agli angoli che insistono su di essi, indicando con l la la lunghezza dell’arco, con α l’ampiezza in gradi dell’angolo che insiste sull’arco e con C la lunghezza della circonferenza si ha l : C = α : 360 244 3.6. LUNGHEZZA DELLA CIRCONFERENZA E AREA DEL CERCHIO da cui l= Cα 360 2πrα 360 πrα l= 180 Se indichiamo con α l’ampiezza in radianti dell’angolo che insiste sull’arco si ha l= l = rα 3.6.3 Area del cerchio Per determinare l’area del cerchio si procede in modo analogo: le aree dei poligoni inscritti e circoscritti tendono ad avvicinarsi all’area del cerchio man mano che il numero dei loro lati aumenta. Poiché 1. l’area di un poligono regolare è uguale al prodotto tra il suo semiperimetro e il suo apotema 2. i perimetri dei poligoni inscritti e circoscritti tendono ad avvicinarsi sempre di più alla lunghezza della circonferenza, quindi il semiperimetro tende a avvicinarsi a πr; 3. l’apotema del poligono inscritto tende ad avvicinarsi sempre di più al raggio della circonferenza, mentre l’apotema del poligono circoscritto coincide sempre con il raggio della circonferenza, quindi l’apotema tende a avvicinarsi a r. si ha che al crescere di n, le misure delle aree dei poligoni inscritti e circoscritti si avvicinano al numero πr · r = πr2 che assumiamo come area di un cerchio di raggio r 3.6.4 Area di un settore circolare B l S A α O Figura 3.3: area settore circolare Poiché in un cerchio le aree dei settori circolari sono proporzionali agli angoli che insistono sugli archi individuati da essi, indicando con AS l’area del settore circolare, con α l’ampiezza in gradi dell’angolo che insiste sull’arco individuato dal settore circolare e con AC l’area del cerchio si ha AS : AC = α : 360 da cui AS = AC α 360 245 CAPITOLO 3. GRANDEZZE GEOMETRICHE E MISURE πr2 α 360 Se indichiamo con α l’ampiezza in radianti dell’angolo che insiste sull’arco individuato dal settore circolare si ha AS = AS = r2 α 2 Indicando con l la lunghezza dell’arco individuato dal settore circolare, poiché l= πrα 180 si ha AS = 3.7 lr 2 Teorema di Talete Teorema 3.7.1 (Teorema di Talete). Dato un fascio di rette parallele tagliato da due trasversali, il rapporto tra due segmenti AB e CD individuati dal fascio sulla prima trasversale è uguale al rapporto tra i loro corrispondenti A0 B 0 e C 0 D0 individuati dal fascio sulla seconda trasversale. s t A0 A d B0 c B C0 C b a D0 D Figura 3.4: teorema di Talete Ipotesi akbkckd Tesi AB A0 B 0 = 0 0 CD CD 246 Capitolo 4 Similitudine fra poligoni 4.1 Poligoni simili Definizione 4.1.1 (Poligoni simili). Due poligoni F e F 0 si dicono simili se hanno gli angoli ordinatamente congruenti e i lati corrispondenti proporzionali e si scrive F ∼ F0 B C C0 A B0 F1 D F2 E D0 A0 E0 Figura 4.1: poligoni simili Osservazioni 1. La relazione di similitudine è una relazione di equivalenza. 2. Il rapporto tra i lati proporzionali si dice rapporto di similitudine Teorema 4.1.1 (Proprietà dei poligoni simili). Due poligoni simili con rapporto di similitudine k > 0 hanno • perimetri con rapporto k • aree con rapporto k 2 4.2 Criteri di similitudine dei triangoli Enunciamo senza dimostrare tre criteri per determinare se due triangoli sono simili. Teorema 4.2.1 (Primo criterio di similitudine). Se due triangoli hanno rispettivamente congruenti due angoli allora sono simili 247 CAPITOLO 4. SIMILITUDINE FRA POLIGONI G C0 C α A β β0 α0 A0 B B0 Figura 4.2: primo criterio Ipotesi α∼ = α0 β∼ = β0 Tesi ABC ∼ A0 B 0 C 0 Teorema 4.2.2 (Secondo criterio di similitudine). Se due triangoli hanno due lati corrispondenti proporzionali e gli angoli tra essi compresi congruenti allora sono simili G C0 C A α B A0 α0 B0 Figura 4.3: secondo criterio Ipotesi AB AC = 0 0 0 0 AB AC 0 ∼ α=α Tesi ABC ∼ A0 B 0 C 0 Teorema 4.2.3 (Terzo criterio di similitudine). Se due triangoli hanno le coppie di lati corrispondenti con lo stesso rapporto allora sono simili G C0 C A B A0 Figura 4.4: terzo criterio 248 B0 4.2. CRITERI DI SIMILITUDINE DEI TRIANGOLI Ipotesi AB AC BC = 0 0 = 0 0 0 0 AB AC BC Tesi ABC ∼ A0 B 0 C 0 Teorema 4.2.4. Se due triangoli sono simili, il rapporto tra le altezze corrispondenti è uguale al rapporto tra le basi G C0 C A β α B A0 0 β0 α B0 H0 H Ipotesi ABC ∼ A0 B 0 C 0 π α∼ = α0 ∼ = 2 Tesi CH AB = 0 0 C 0H 0 AB Dimostrazione Consideriamo i triangoli AHC e A0 H 0 C 0 α∼ = α0 per ipotesi β∼ = β 0 perché angoli corrispondenti di triangoli simili Quindi AHC ∼ A0 H 0 C 0 per il primo criterio di similitudine da cui CH AC = 0 0 0 0 CH AC Poiché ABC ∼ A0 B 0 C 0 si ha AB AC = 0 0 0 0 AB AC e quindi, per la proprietà transitiva dell’uguaglianza CH AB = 0 0 0 0 CH AB 249 CAPITOLO 4. SIMILITUDINE FRA POLIGONI 4.3 La similitudine e i teoremi di Euclide Riformuliamo il primo e secondo teorema di Euclide utilizzando le proporzioni e dimostriamoli utilizzando i criteri di similitudine dei triangoli Teorema 4.3.1 (Primo teorema di Euclide). In un triangolo rettangolo ogni cateto è medio proporzionale tra l’ipotenusa e la sua proiezione sull’ipotenusa C δ α ε γ A β H B Figura 4.5: primo teorema di Euclide Ipotesi α∼ = π 2 π 2 Tesi ε∼ = AH : AC = AC : AB BH : BC = BC : AB Dimostrazione Consideriamo i triangoli ABC e AHC α∼ = ε perchè angoli retti γ in comune Quindi ABC ∼ AHC per il primo criterio di similitudine da cui AH : AC = AC : AB In modo analogo si dimostra BH : BC = BC : AB Osservazione Se consideriamo le misure dei lati si ha AH : AC = AC : AB applicando la proprietà fondamentale delle proporzioni numeriche si ottiene 2 AC = AHAB che è la stessa formula vista precedentemente 250 4.4. LA SIMILITUDINE E LA CIRCONFERENZA Teorema 4.3.2 (Secondo teorema di Euclide). In un triangolo rettangolo l’altezza relativa all’ipotenusa è media proporzionale tra le proiezioni dei cateti sull’ipotenusa C α δ ε ε0β B H γ A Figura 4.6: secondo teorema di Euclide Ipotesi α∼ = π 2 π 2 π ε0 ∼ = 2 Tesi ε∼ = AH : CH = CH : HB Dimostrazione Consideriamo i triangoli AHC e CHB ε∼ = ε0 perchè angoli retti δ∼ = β perché complementari di γ Quindi AHC ∼ CHB per il primo criterio di similitudine da cui AH : CH = CH : HB Osservazione Se consideriamo le misure dei lati si ha AH : CH = CH : HB applicando la proprietà fondamentale delle proporzioni numeriche si ottiene 2 CH = AHHB che è la stessa formula vista precedentemente 4.4 La similitudine e la circonferenza Teorema 4.4.1 (Teorema delle corde). Se in una circonferenza due corde si intersecano, i segmenti che si formano su una corda sono i medi e i segmenti che si formano sull’altra corda sono gli estremi di una stessa proporzione 251 CAPITOLO 4. SIMILITUDINE FRA POLIGONI D α γ F A B δ β E C Figura 4.7: teorema delle corde Ipotesi AB corda DE corda Tesi AF : DF = F E : F B Teorema 4.4.2 (Teorema delle secanti). Se da un punto esterno a una circonferenza si conducono due secanti, una secante e la sua parte esterna sono i medi, l’altra secante e la sua parte esterna sono gli estremi di una stessa proporzione P α D A C γ E β B Figura 4.8: teorema delle secanti Ipotesi P B secante P E secante Tesi PB : PE = PD : PA Teorema 4.4.3 (Teorema della secante e della tangente). Se da un punto esterno a una circonferenza si conducono una secante e una tangente, il segmento di tangente è medio proporzionale tra la secante e la sua parte esterna 252 4.5. LA SEZIONE AUREA P α D γ A C β B Figura 4.9: teorema della secante e della tangente Ipotesi P B secante P D tangente Tesi PB : PD = PD : PA 4.5 La sezione aurea Definizione 4.5.1 (Sezione aurea di un segmento). Si dice sezione aurea di un segmento la parte di segmento che è media proporzionale tra la parte rimanente e il segmento stesso 4.5.1 Costruzione di Erone della sezione aurea di un segmento Dato il segmento AB tracciamo il segmento BO perpendicolare ad AB e congruente alla sua meta. Tracciamo la circonferenza di centro O e raggio OB. Siano H e K i punti di intersezione della circonferenza con la retta AO. Tracciamo la circonferenza di centro A e raggio AH. Sia P il punto di intersezione della circonferenza con AB. Teorema 4.5.1 (Teorema sezione aurea di un segmento). Il segmento AP ottenuto con la costruzione di Erone è la sezione aurea di AB. K O H A P B Figura 4.10: sezione aurea di un segmento Ipotesi BO⊥AB 1 BO ∼ = AB 2 253 CAPITOLO 4. SIMILITUDINE FRA POLIGONI AH ∼ = AP Tesi AB : AP = AP : P B 4.5.2 Numero aureo Dato il segmento AB sia AP la sua sezione aurea cioè: AB : AP = AP : P B Indicando con l la lunghezza di AB e con x la lunghezza della sua sezione aurea si ottiene l :x=x:l−x da cui x2 = l(l − x) x2 = l2 − lx x2 + lx − l2 = 0 Risolvendo l’equazione nell’incognita x otteniamo √ √ −l − l2 + 4l2 −l + l2 + 4l2 ∨x= x= 2 2 √ √ −l − 5l2 −l + 5l2 ∨x= x= 2 2 √ √ −l + 5l2 −l − 5l2 x= ∨x= 2 2 √ −l − 5l2 Poiché x è una misura e quindi è positivo la soluzione non è accettabile, quindi si ha 2 √ −l + 5l2 x= 2 √ −l + l 5 x= 2 √ 5−1 x=l 2 Il numero irrazionale ϕ= √ 2 5−1 si dice numero aureo e si approssima con 1,618 Osservazioni 1. Il numero aureo si può ottenere come somma infinita di frazioni 1 ϕ=1+ 1 1+ 1 1+ 1+ 1 1 + ··· 2. Il numero aureo si può ottenere come somma infinita di radici … ϕ= q 1+ 1+ » 1+ √ 1 + ··· 254 Capitolo 5 Equazioni di primo grado 5.1 Introduzione Definizione 5.1.1 (Equazione). Date due funzioni f e g con dominio A ⊆ R, si dice equazione in A nell’incognita x la scrittura f (x) = g (x) Il dominio delle funzioni viene anche detto dominio dell’equazione. Osservazione Il dominio A può essere assegnato a priori oppure è l’intersezione tra i domini delle due funzioni. Esempio 5.1.1. • Date f (x) = x + 2 e g (x) = 2x − 5, aventi dominio R, la scrittura x + 2 = 2x − 5 è una equazione in R nell’incognita x. • Date f (x) = scrittura x 3x − 1 e g (x) = , aventi dominio rispettivamente R − {−1} e R − {2}, la x+1 x−2 x 3x − 1 = x+1 x−2 è una equazione in R − {−1, 2} nell’incognita x. Osservazioni 1. In seguito, per semplificare la notazione, se il dominio di un’equazione è R può anche non essere specificato, se il dominio non è R lo si può scrivere direttamente o utilizzando le condizioni di esistenza. 2. Data l’equazione f (x) = g (x), f (x) si dice primo membro e g(x) secondo membro. Esempio 5.1.2. Data l’equazione 1 x + 5 = 3x + 2 − 7x 2 il primo membro è 1 x + 5, il secondo membro è 3x + 2 − 7x. 2 255 CAPITOLO 5. EQUAZIONI DI PRIMO GRADO 5.2 Soluzioni di un’equazione Definizione 5.2.1 (Soluzione). Si dice soluzione o radice dell’equazione f (x) = g (x) in A, ogni valore del dominio per il quale le due funzioni assumono lo stesso valore Quindi per stabilire se un elemento del dominio è una soluzione dell’equazione f (x) = g (x), è sufficiente sostituirlo all’incognita e verificare se le due funzioni assumono lo stesso valore. Risolvere un’equazione in A nell’incognita x significa determinare l’insieme S formato da tutte le soluzioni dell’equazione. Esempio 5.2.1. • Data l’equazione x + 5 − 3x = 2x + 9 verifichiamo se x = 2 è soluzione. Sostituiamo 2 all’incognita nel primo membro: 2+5−3·2=1 sostituiamo 2 all’incognita nel secondo membro 2 · 2 + 9 = 13 le due funzioni non assumono lo stesso valore, quindi x = 2 non è soluzione dell’equazione data. Verifichiamo ora se x = −1 è soluzione dell’equazione data. Sostituiamo −1 all’incognita nel primo membro: −1 + 5 − 3 · (−1) = 7 sostituiamo −1 all’incognita nel secondo membro 2 · (−1) + 9 = 7 le due funzioni assumono lo stesso valore, quindi x = −1 è soluzione dell’equazione data. • Data l’equazione x2 − 2x + 5 = 9 + x verifichiamo se x = 4 è soluzione. Sostituiamo 4 all’incognita nel primo membro: 16 − 8 + 5 = 13 sostituiamo 4 all’incognita nel secondo membro 9 + 4 = 13 le due funzioni assumono lo stesso valore, quindi x = 4 è soluzione dell’equazione data. Verifichiamo ora se x = −1 è soluzione dell’equazione data. Sostituiamo −1 all’incognita nel primo membro: 1+2+5=8 sostituiamo −1 all’incognita nel secondo membro: 9−1=8 le due funzioni assumono lo stesso valore, quindi x = −1 è soluzione dell’equazione data. Osservazione A seconda del dominio l’insieme delle soluzioni di un’equazione può variare. Per esempio, per l’equazione x2 = 1, in Z S = {−1; 1}, in N S = {1}. 256 5.3. RISOLUBILITÀ DI UN’EQUAZIONE 5.3 Risolubilità di un’equazione Nella risoluzione di un’equazione in un’incognita in un insieme A si possono presentare i seguenti casi. 5.3.1 Equazione impossibile Definizione 5.3.1 (Equazione impossibile). Un’equazione si dice impossibile se l’insieme delle soluzioni è vuoto Osservazione Un’equazione impossibile non ha soluzioni Esempio 5.3.1. • L’equazione x2 = −1 è impossibile perché S = ∅, infatti nessun numero reale elevato al quadrato è uguale a −1. • L’equazione x + 1 = −5 in N è impossibile perché S = ∅, infatti nessun numero naturale sommato a 1 è uguale a −5. • L’equazione x − 3 = x è impossibile perché S = ∅, infatti nessun numero reale diminuito di 3 è uguale a se stesso. 5.3.2 Equazione determinata Definizione 5.3.2 (Equazione determinata). Un’equazione si dice determinata se l’insieme delle soluzioni è finito e non vuoto Esempio 5.3.2. • L’equazione x + 1 = 3 è determinata perché S = {2} • L’equazione x2 = 4 in Z è determinata perché S = {−2; 2} 5.3.3 Equazione indeterminata Definizione 5.3.3 (Equazione indeterminata). Un’equazione si dice indeterminata se l’insieme delle soluzioni è infinito Esempio 5.3.3. L’equazione | x | = x è indeterminata perché S = {x ∈ R/x > 0} 5.3.4 Identità Definizione 5.3.4 (Identità). Un’equazione si dice identità se l’insieme delle soluzioni coincide con il dominio Esempio 5.3.4. • L’equazione x + x + 3 = 2x + 1 + 2 è un’identità perché S = R. • L’equazione (x + 2) (x − 2) = x2 − 4 è un’identità perché S = R. • L’equazione x+2 x+2 = in R − {0} è un’identità perché S = R − {0}. x x 257 CAPITOLO 5. EQUAZIONI DI PRIMO GRADO 5.4 Tipi di equazioni In questo capitolo analizziamo le equazioni razionali cioè equazioni f (x) = g(x) in cui le funzionif e g sono frazioni algebriche. Un’equazione razionale si dice numerica se, oltre all’incognita, non compaiono altre lettere; si dice letterale se, oltre all’incognita, compaiono altre lettere dette parametri. Un’equazione razionale si dice intera se l’incognita non compare al denominatore; si dice fratta se l’incognita compare al denominatore. Le equazioni razionali quindi si possono suddividere in: • numeriche intere • numeriche fratte • letterali intere • letterali fratte Esempio 5.4.1. • L’equazione 2x + 1 = 5 è numerica intera perché non compaiono altre lettere oltre l’incognita e l’incognita non compare al denominatore; • L’equazione 1 3 x + 3 = + 2x 2 4 è numerica intera perché non compaiono altre lettere oltre l’incognita e l’incognita non compare al denominatore; • L’equazione 2 = 3 + 2x x−1 è numerica fratta perché non compaiono altre lettere oltre l’incognita e l’incognita compare al denominatore; • L’equazione ax = 3 è letterale intera perché, oltre all’incognita x, compare la lettera a che è un parametro e l’incognita non compare al denominatore; • L’equazione x =b a+1 è letterale intera perché, oltre all’incognita x, compaiono le lettere a e b che sono parametri e l’incognita non compare al denominatore; • L’equazione a =2 x è letterale fratta perché, oltre all’incognita x, compare la lettera a che è un parametro e l’incognita compare al denominatore. 258 5.5. PRINCIPI DI EQUIVALENZA DELLE EQUAZIONI 5.5 Principi di equivalenza delle equazioni 5.5.1 Equazioni equivalenti Definizione 5.5.1 (Equazioni equivalenti). Due equazioni si dicono equivalenti se hanno lo stesso insieme delle soluzioni. Esempio 5.5.1. • Le equazioni 2x = 2 2x + 3 = 2 + 3 sono equivalenti perché entrambe hanno S = {1}; • Le equazioni x=3 2x = 6 sono equivalenti perché entrambe hanno S = {3}; • Le equazioni x+1=2 x2 = 1 non sono equivalenti in Z perché la prima ha S1 = {1} e la seconda ha S2 = {−1; 1}; le due equazioni sono invece equivalenti in N perché hanno entrambe S = {1}; • Le equazioni 2x = 4 x+2=5 non sono equivalenti perché la prima ha S1 = {2} e la seconda ha S2 = {3}; Osservazione La definizione di equazioni equivalenti è utile per risolvere un’equazione. Infatti un’equazione può essere risolta trasformandola in una equivalente più semplice. 5.5.2 Primo principio di equivalenza Teorema 5.5.1 (Primo principio di equivalenza). Addizionando ad entrambi i membri di un’equazione la stessa espressione algebrica che non modifica il dominio, si ottiene un’equazione equivalente. Esempio 5.5.2. • Data l’equazione x+2=5 addizionando 1 ad entrambi i membri otteniamo l’equazione equivalente: x+2+1=5+1 x+3=6 259 CAPITOLO 5. EQUAZIONI DI PRIMO GRADO • Data l’equazione 3x − 4 = 2 addizionando −2 ad entrambi i membri ad entrambi i membri otteniamo l’equazione equivalente: 3x − 4 − 2 = 2 − 2 3x − 6 = 0 • Data l’equazione 3x = x + 4 addizionando −x ad entrambi i membri ad entrambi i membri otteniamo l’equazione equivalente: 3x − x = x + 4 − x 2x = 4 Regola del trasporto Teorema 5.5.2 (Regola del trasporto). Se in un’equazione si sposta un termine da un membro all’altro cambiandone il segno, si ottiene un’equazione equivalente. Dimostrazione Spostare un termine da un membro all’altro cambiando il segno equivale ad addizionare ad entrambi i membri l’opposto del termine. Esempio 5.5.3. • Data l’equazione x+1=3 trasportando il termine 1 al secondo membro cambiandone il segno otteniamo l’equazione equivalente: x=3−1 x=2 • Data l’equazione 5x = x + 20 trasportando il termine x al primo membro cambiandone il segno otteniamo l’equazione equivalente: 5x − x = 20 4x = 20 260 5.5. PRINCIPI DI EQUIVALENZA DELLE EQUAZIONI Regola di cancellazione Teorema 5.5.3 (Regola di cancellazione). Se in un’equazione si elimina lo stesso termine da entrambi i membri si ottiene un’equazione equivalente. Dimostrazione Eliminare lo stesso termine da entrambi i membri equivale ad addizionare ad entrambi i membri l’opposto del termine. Esempio 5.5.4. • Data l’equazione 3x + 2 = 5x + 2 eliminando il termine 2 da entrambi i membri otteniamo l’equazione equivalente 3x = 5x • Data l’equazione 7x + 2 − 3x = 2x − 3 − 3x eliminado il termine −3x da entrambi i membri otteniamo l’equazione equivalente 7x + 2 = 2x − 3 5.5.3 Secondo principio di equivalenza Teorema 5.5.4 (Secondo principio di equivalenza). Moltiplicando entrambi i membri di un’equazione per la stessa espressione algebrica, che non modifica il dominio e che in esso non si annulli, si ottiene un’equazione equivalente. Esempio 5.5.5. • Data l’equazione 2x = 8 moltiplicando per 1 entrambi i membri otteniamo l’equazione equivalente: 2 1 1 · 2x = · 8 2 2 x=4 Osservazione 1 Moltiplicare per entrambi i membri equivale a dividere per 2 entrambi i membri 2 • Data l’equazione 1 x=x+1 2 moltiplicando per 2 entrambi i membri otteniamo l’equazione equivalente: 1 2 · x = 2 (x + 1) 2 x = 2x + 2 Osservazione 5 Applicando il secondo principio, l’equazione 2x = 5 è equivalente a x = , non è equivalente a x = 5−2 2 5 oax= −2 261 CAPITOLO 5. EQUAZIONI DI PRIMO GRADO Regola del cambiamento dei segni Teorema 5.5.5 (Regola del cambiamento dei segni). Se in un’equazione si cambiano i segni di tutti i termini, si ottiene un’equazione equivalente. Dimostrazione Cambiare i segni di tutti i termini di un’equazione equivale a moltiplicare entrambi i membri per −1 Esempio 5.5.6. • Data l’equazione −x + 3 = 4 cambiando i segni di tutti i termini otteniamo l’equazione equivalente: x − 3 = −4 • Data l’equazione −x = 5 cambiando i segni di tutti i termini otteniamo l’equazione equivalente: x = −5 Regola di eliminazione dei denominatori Teorema 5.5.6 (Regola di eliminazione dei denominatori). Se in un’equazione avente entrambi i membri costituiti da una sola frazione con lo stesso denominatore si eliminano i denominatori, si ottiene un’equazione equivalente. Dimostrazione Eliminare i denominatori è equivalente a moltiplicare entrambi i membri per il denominatore stesso. Esempio 5.5.7. • Data l’equazione 2x + 5 3x − 2 = 4 4 eliminando i denominatori otteniamo l’equazione equivalente: 2x + 5 = 3x − 2 • Data l’equazione 2x − 1 x = x−2 x−2 in R − {2} eliminando i denominatori otteniamo l’equazione equivalente: 2x − 1 = x in R − {2} Osservazione Poiché la relazione di uguaglianza gode della proprietà simmetrica, in un’equazione si possono scambiare i due membri. Per esempio l’equazione 1 + 3 = 2x − x è equivalente a 2x − x = 1 + 3 262 5.6. FORMA NORMALE DI UN’EQUAZIONE 5.6 Forma normale di un’equazione Definizione 5.6.1 (Forma normale). Un’equazione si dice in forma normale se il primo membro è un polinomio in forma normale e il secondo membro è 0. Esempio 5.6.1. • L’equazione 5x − 1 = 0 è in forma normale perché il primo membro è un polinomio in forma normale e il secondo membro è 0. • l’equazione 3x + 2x − 5 = 0 non è in forma normale perché il primo membro non è un polinomio in forma normale. • l’equazione 5x − 7 = 3 non è in forma normale perché il secondo membro non è 0. Data un’equazione, la si può trasformare in forma normale procedendo nel seguente modo: 1. si determina il dominio dell’equazione scrivendo le condizioni di esistenza 2. si effettuano le operazioni in entrambi i membri 3. se sono presenti delle frazioni, si riducono entrambi i membri ad una sola frazione avente come denominatore il mcm di tutti i denominatori (di entrambi i membri) 4. si eliminano i denominatori applicando la regola di eliminazione dei denominatori 5. si trasportano tutti i termini al primo membro applicando la regola del trasporto 6. si addizionano i termini simili Esempio 5.6.2. • Trasformiamo in forma normale l’equazione (x + 2) · (x − 2) + 3x − 5 = (x − 1)2 + 2 effettuiamo le operazioni in entrambi i membri: x2 − 4 + 3x − 5 = x2 − 2x + 1 + 2 trasportiamo tutti i termini al primo membro: x2 − 4 + 3x − 5 − x2 + 2x − 1 − 2 = 0 addizioniamo i termini simili: 5x − 12 = 0 263 CAPITOLO 5. EQUAZIONI DI PRIMO GRADO • trasformiamo in forma normale l’equazione x+1 1 2x − 1 2 + = − x+3 3 2 4 3 riduciamo entrambi i membri ad una sola frazione avente come denominatore il mcm di tutti i denominatori: 4x + 4 + 6 6x − 3 − 8x + 36 = 12 12 eliminiamo i denominatori: 4x + 4 + 6 = 6x − 3 − 8x + 36 trasportiamo tutti i termini al primo membro: 4x + 4 + 6 − 6x + 3 + 8x − 36 = 0 addizioniamo i termini simili: 6x − 23 = 0 • trasformiamo in forma normale l’equazione x x+3 = 2 x −4 x−2 scomponiamo il denominatore della prima frazione: x+3 x = x−2 (x + 2) (x − 2) scriviamo le condizioni di esistenza: CE : x + 2 6= 0 ∧ x − 2 6= 0 riduciamo entrambi i membri ad una sola frazione avente come denominatore il mcm di tutti i denominatori: x+3 x2 + 2x = (x + 2) (x − 2) (x + 2) (x − 2) eliminiamo i denominatori: x + 3 = x2 + 2x trasportiamo tutti i termini al primo membro: x + 3 − x2 − 2x = 0 addizioniamo i termini simili: −x2 − x + 3 = 0 5.7 Grado di un’equazione Definizione 5.7.1 (Grado). Si dice grado di un’equazione intera il grado rispetto all’incognita del polinomio a primo membro della sua forma normale. Osservazioni 1. Un’equazione di primo grado è detta equazione lineare. 264 5.8. RISOLUZIONE DELLE EQUAZIONI NUMERICHE INTERE DI PRIMO GRADO 2. Dalla definizione si deduce che per determinare il grado di un’equazione occorre prima trasformarla in forma normale Esempio 5.7.1. • Determiniamo il grado dell’equazione 3x + 2 = x − 1 la sua forma normale è: 2x + 3 = 0 l’equazione è di primo grado; • Determiniamo il grado dell’equazione 2x2 + 2 = 3x + 5 la sua forma normale è 2x2 − 3x − 3 = 0 l’equazione è di secondo grado. • Determiniamo il grado dell’equazione x2 + 3x − 1 = x2 + 2 la sua forma normale è 3x − 3 = 0 l’equazione è di primo grado. 5.8 Risoluzione delle equazioni numeriche intere di primo grado Risolviamo le equazioni numeriche intere di primo grado, quindi equazioni in cui l’unica lettera è l’incognita che non compare al denominatore di alcuna frazione. Tradizionalmente, invece di quella precedentemente definita, si assume come forma normale di un’equazione di primo grado nell’incognita x la forma ax = b dove a e b sono numeri reali; il dominio è R. Per risolvere questo tipo di equazioni: 1. si trasforma l’equazione nella forma normale ax = b 2. si analizzano i valori di a e b: (a) se a 6= 0, si dividono entrambi i membri per il coefficiente dell’incognita ottenendo: x= b a l’equazione è determinata e b a ß ™ S= (b) se a = 0 ∧ b = 0 si ha 0x = 0: l’equazione è un’identità perchè qualsiasi numero moltiplicato per 0 dà 0 e S=R 265 CAPITOLO 5. EQUAZIONI DI PRIMO GRADO (c) se a = 0 ∧ b 6= 0 si ha 0x = b: l’equazione è impossibile perché nessun numero moltiplicato per 0 dà un numero diverso da 0 e S=∅ Esempio 5.8.1. • Risolviamo l’equazione 7x + 5 − 2x = x + 7 + 2 trasportiamo tutti i termini con l’incognita al primo membro e i termini senza incognita al secondo membro: 7x − 2x − x = −5 + 7 + 2 addizioniamo i termini simili e otteniamo la forma normale: 4x = 4 il coefficiente dell’incognita è diverso da 0, quindi dividiamo entrambi i membri per il coefficiente dell’incognita: x=1 l’equazione è determinata e S = {1} • Risolviamo l’equazione 1 1 3 1 + 2x + x = x − + 2 − x 2 3 4 2 riduciamo entrambi i membri ad una sola frazione avente come denominatore il mcm tra tutti i denominatori: 6 + 24x + 4x 9x − 6 + 24 − 12x = 12 12 eliminiamo i denominatori: 6 + 24x + 4x = 9x − 6 + 24 − 12x trasportiamo tutti i termini con l’incognita al primo membro e i termini senza incognita al secondo membro: 24x + 4x − 9x + 12x = −6 − 6 + 24 addizioniamo i termini simili e otteniamo la forma normale: 31x = 12 il coefficiente dell’incognita è diverso da 0, quindi dividiamo entrambi i membri per il coefficiente dell’incognita: x= 12 31 l’equazione è determinata e ß S= 12 31 ™ 266 5.8. RISOLUZIONE DELLE EQUAZIONI NUMERICHE INTERE DI PRIMO GRADO • Risolviamo l’equazione x − 3 2x + 5 2 − 4x − − =0 3 2 6 riduciamo entrambi i membri ad una sola frazione avente come denominatore il mcm di tutti i denominatori: 2x − 6 − 6x − 15 − 2 + 4x 0 = 6 6 eliminiamo i denominatori: 2x − 6 − 6x − 15 − 2 + 4x = 0 trasportiamo tutti i termini senza incognita al secondo membro: 2x − 6x + 4x = 6 + 15 + 2 addizioniamo i termini simili e otteniamo la forma normale: 0x = 23 il coefficiente dell’incognita è 0 e il termine noto è diverso da 0, quindi l’equazione è impossibile e S=∅ • Risolviamo l’equazione 3x + 2 − x = 2x + 2 trasportiamo tutti i termini con l’incognita al primo membro e i termini senza incognita al secondo membro: 3x − x − 2x = −2 + 2 addizioniamo i termini simili e otteniamo la forma normale: 0x = 0 il coefficiente dell’incognita è 0 e il termine noto è 0, quindi l’equazione è un’identità e S=R • Risolviamo l’equazione 3x − x (x + 2) − x2 + 5x + 3 = (x + 2)2 − (x + 3) (x − 3) Ä ä effettuiamo le operazioni in entrambi i membri: 3x − x2 − 2x + x2 + 5x + 3 = x2 + 4 + 4x − x2 + 9 trasportiamo tutti i termini con l’incognita al primo membro e i termini senza incognita al secondo membro: 3x − x2 − 2x + x2 + 5x − x2 − 4x + x2 = −3 + 4 + 9 addizioniamo i termini simili e otteniamo la forma normale: 2x = 10 il coefficiente dell’incognita è diverso da 0, quindi dividiamo entrambi i membri per il coefficiente dell’incognita: 10 =5 2 l’equazione è determinata e x= S = {5} 267 CAPITOLO 5. EQUAZIONI DI PRIMO GRADO 5.9 Risoluzione delle equazioni numeriche fratte Consideriamo le equazioni numeriche fratte, cioè le equazioni in cui l’unica lettera è l’incognita che compare al denominatore di almeno una frazione. Per risolvere un’equazione numerica fratta nell’incognita x: 1. si scompongono i denominatori di ogni frazione 2. si scrivono le condizioni di esistenza e si ricava l’incognita per ciascuna di esse 3. si trasforma l’equazione nella forma normale ax = b 4. si analizzano i valori di a e b: b (a) se a 6= 0, si ricava: x = . a b Se soddisfa le condizioni di esistenza, l’equazione è determinata e a b a ß ™ S= se b non soddisfa le condizioni di esistenza, non è accettabile, l’equazione è impossibile e a S=∅ (b) se a = 0 ∧ b = 0, l’equazione è una identità e S=D dove D è il dominio (c) se a = 0 ∧ b 6= 0, l’equazione è impossibile e S=∅ Esempio 5.9.1. • Risolviamo l’equazione 2x2 + 3x − 2 2x = 2 x −1 x+1 scomponiamo il denominatore della prima frazione: 2x2 + 3x − 2 2x = (x + 1) (x − 1) x+1 scriviamo le condizioni di esistenza e ricaviamo l’incognita: x + 1 6= 0 ∧ x − 1 6= 0 cioè CE : x 6= −1 ∧ x 6= 1 riduciamo entrambi i membri ad una sola frazione avente come denominatore il mcm di tutti i denominatori: 2x2 + 3x − 2 2x (x − 1) = (x + 1) (x − 1) (x + 1) (x − 1) effettuiamo le operazioni ai numeratori e eliminiamo i denominatori: 2x2 + 3x − 2 = 2x2 − 2x 268 5.9. RISOLUZIONE DELLE EQUAZIONI NUMERICHE FRATTE trasportiamo tutti i termini con l’incognita al primo membro e i termini senza incognita al secondo membro: 2x2 + 3x − 2x2 + 2x = 2 addizioniamo i termini simili e otteniamo la forma normale: 5x = 2 il coefficiente dell’incognita è diverso da 0 quindi ricaviamo x= 2 5 poiché 2 soddisfa le condizioni di esistenza, l’equazione è determinata e 5 2 5 ß ™ S= • Risolviamo l’equazione x+3 2x + 1 x+7 = 2 − 3 2 x + 2x 2x − x 2x + 3x2 − 2x scomponiamo i denominatori: 2x + 1 x+7 x+3 = − x (x + 2) x (2x − 1) x (2x − 1) (x + 2) scriviamo le condizioni di esistenza e ricaviamo l’incognita: x 6= 0 ∧ x + 2 6= 0 ∧ 2x − 1 6= 0 cioè CE : x 6= 0 ∧ x 6= −2 ∧ x 6= 1 2 riduciamo entrambi i membri ad una sola frazione avente come denominatore il mcm di tutti i denominatori: (x + 3) (2x − 1) (2x + 1) (x + 2) − (x + 7) = x (2x − 1) (x + 2) x (2x − 1) (x + 2) effettuiamo le operazioni ai numeratori e eliminiamo i denominatori: 2x2 − x + 6x − 3 = 2x2 + 4x + x + 2 − x − 7 trasportiamo tutti i termini con l’incognita al primo membro e i termini senza incognita al secondo membro: 2x2 − x + 6x − 2x2 − 4x − x + x = 3 + 2 − 7 addizioniamo i termini simili e otteniamo la forma normale x = −2 poiché −2 non soddisfa le condizioni di esistenza, non è accettabile, l’equazione è impossibile e S=∅ 269 CAPITOLO 5. EQUAZIONI DI PRIMO GRADO • Risolviamo l’equazione 1 − 2x 2x + 1 = x−2 2−x Possiamo notare che compaiono i fattori opposti x − 2 e 2 − x. Raccogliendo −1 nel fattore 2 − x, otteniamo: 2x + 1 1 − 2x = x−2 −(x − 2) che possiamo riscrivere nel seguente modo: 2x − 1 2x + 1 = x−2 x−2 scriviamo le condizioni di esistenza e ricaviamo l’incognita: x − 2 6= 0 cioè CE : x 6= 2 eliminiamo i denominatori: 2x + 1 = 2x − 1 trasportiamo tutti i termini con l’incognita al primo membro e i termini senza incognita al secondo membro: 2x − 2x = −1 − 1 addizioniamo i termini simili e otteniamo la forma normale 0x = −2 il coefficiente dell’incognita è 0 e il termine noto è diverso da 0, quindi l’equazione è impossibile e S=∅ • Risolviamo l’equazione x2 x 1 − =0 −x x−1 scomponiamo il denominatore della prima frazione: x 1 − =0 x(x − 1) x − 1 scriviamo le condizioni di esistenza e ricaviamo l’incognita: x 6= 0 ∧ x − 1 6= 0 cioè CE : x 6= 0 ∧ x 6= 1 Semplifichiamo la prima frazione 1 1 − =0 (x − 1) x − 1 Otteniamo 0x = 0 il coefficiente dell’incognita è 0 e il termine noto è 0, quindi l’equazione è un’identità e S = R − {0, 1} 270 5.9. RISOLUZIONE DELLE EQUAZIONI NUMERICHE FRATTE • Risolviamo l’equazione x+1 2 3x − 2 − 2 = 2 x − 3x x + 9 − 6x x 2 3x − 2 x+1 = − 2 x(x − 3) (x − 3) x CE : x 6= 0 ∧ x 6= 3 (x − 3)(3x − 2) − x(x + 1) 2(x − 3)2 = x(x − 3)2 x(x − 3)2 3x2 − 2x − 9x + 6 − x2 − x = 2x2 − 12x + 18 −11x − x + 12x = 18 − 6 0x = 12 L’equazione è impossibile, S = ∅ • Risolviamo l’equazione 5 x+3 = x − 3 + 2x2 3 + 2x x+3 5 = (2x + 3)(x − 1) 3 + 2x 3 CE : x 6= − ∧ x 6= 1 2 5(x − 1) x+3 = (2x + 3)(x − 1) (3 + 2x)(x − 1) x + 3 = 5x − 5 −4x = −8 x = 2 accettabile L’equazione è determinata S = 2 • Risolviamo l’equazione 12x2 + 20x 5x + 1 x+2 + = 2 4x − 9 3 − 2x 2x + 3 12x2 + 20x 5x + 1 x+2 − = (2x + 3)(2x − 3) 2x − 3 2x + 3 3 3 CE : x 6= − ∧ x 6= 2 2 12x2 + 20x − (2x + 3)(5x + 1) (2x − 3)(x + 2) = (2x + 3)(2x − 3) (2x + 3)(2x − 3) 12x2 + 20x − 10x2 − 2x − 15x − 3 = 2x2 + 4x − 3x − 6 3x − x = 3 − 6 2x = −3 3 non accettabile 2 L’equazione è impossibile S = ∅ x=− 271 CAPITOLO 5. EQUAZIONI DI PRIMO GRADO 5.10 Risoluzione di problemi con equazioni Per risolvere i problemi utilizzando le equazioni: 1. si decide quale variabile è l’incognita e si scrivono le condizioni a cui deve soddisfare 2. si esprimono le altre variabili in funzione dell’incognita e si scrivono le condizioni a cui devono soddisfare 3. si traduce l’enunciato del problema in un’equazione 4. si risolve l’equazione 5. si controlla se la soluzione soddisfa le condizioni poste Esempio 5.10.1. • Determinare le misure della base e dell’altezza di un rettangolo avente il perimetro di 20 cm nei seguenti tre casi: 1. la base supera l’altezza di 2 cm; 2. la somma della base con l’altezza misura 10 cm; 3. la differenza fra la base e l’altezza è di 12 cm. 1. Indichiamo con x la misura dell’altezza x deve essere un numero reale positivo. Poiché la base supera di 2 cm l’altezza, la base è x + 2 Poiché x è un numero reale positivo anche la base lo è. Traduciamo l’enunciato del problema nell’equazione 2 (x + x + 2) = 20 risolviamo l’equazione x=4 il numero 4 soddisfa le condizioni poste, quindi l’altezza è 4 cm e la base (4 + 2)cm = 6cm 2. Indichiamo con x la misura dell’altezza x deve essere un numero reale positivo. Poiché la somma delle base con l’altezza è 10 cm, la base è 10 − x, 10 − x deve essere un numero reale positivo, cioè x < 10, quindi 0 < x < 10. Traduciamo l’enunciato del problema nell’equazione 2 (x + 10 − x) = 20 risolviamo l’equazione 0x = 0 quindi l’equazione è un’identità e L’altezza è un numero compreso tra 0 e 10 cm e la base è 10 meno l’altezza. 3. Indichiamo con x la misura dell’altezza x deve essere un numero reale positivo. Poiché la differenza fra la base e l’altezza è 12 cm, la base è x + 12. Traduciamo l’enunciato del problema nell’equazione 2 (x + x + 12) = 20 risolviamo l’equazione x = −1 il numero −1 non soddisfa le condizioni poste, quindi l’equazione è impossibile e il problema non ha soluzione. 272 5.10. RISOLUZIONE DI PROBLEMI CON EQUAZIONI • Determinare un numero naturale sapendo che, se al suo doppio si aggiunge 5, si ottiene il suo triplo. Indichiamo con x il numero da trovare x deve essere un numero naturale. Traduciamo l’enunciato del problema nell’equazione 2x + 5 = 3x risolviamo l’equazione x=5 Il numero 5 soddisfa le condizioni poste quindi il numero naturale è 5. • Determinare un numero naturale sapendo che sommando ad esso il suo successivo si ottiene 6. Indichiamo con x il numero da trovare x deve essere un numero naturale il successivo di x è x + 1 Traduciamo l’enunciato del problema nell’equazione x+x+1=6 risolviamo l’equazione x= 5 2 Il numero 5 non soddisfa le condizioni poste, quindi il problema non ha soluzione. 2 • In una famiglia la madre ha il triplo degli anni della figlia; fra 10 anni l’età della madre supererà di 12 anni il doppio dell’età della figlia. Determinare l’età della madre Indichiamo con x l’età attuale della figlia, x deve essere un numero reale positivo. Se x è l’età attuale della figlia, allora 3x è l’età attuale della madre. Fra 10 anni l’età della figlia sarà x + 10 e quella della madre sarà 3x + 10. Traduciamo l’enunciato del problema nell’equazione 3x + 10 = 2 (x + 10) + 12 risolviamo l’equazione x = 22 Il numero 22 soddisfa le condizioni poste quindi l’età attuale della madre è 66 anni. • Antonio ha 18 anni più di Luigi e fra tre anni la somma delle loro età sarà 23 anni. Quanti anni ha Luigi? Indichiamo con x l’età attuale di Luigi, x deve essere un numero reale positivo. Se x è l’età attuale di Luigi allora x + 18 è l’età attuale di Antonio. Fra 3 anni l’età di Luigi sarà x + 3 e quella di Antonio sarà x + 18 + 3. Traduciamo l’enunciato del problema nell’equazione x + 3 + x + 18 + 3 = 23 risolviamo l’equazione x=− 1 2 Il numero − 1 non soddisfa le condizioni poste, quindi il problema non ha soluzione. 2 273 Capitolo 6 Disequazioni 6.1 Introduzione Definizione 6.1.1 (Disequazioni). Date due funzioni f e g con dominio A ⊆ R, si dice disequazione in A nell’incognita x una delle seguenti scritture: f (x) < g (x) f (x) 6 g (x) f (x) > g (x) f (x) > g (x) Il dominio delle funzioni viene anche detto dominio della disequazione; f (x) si dice primo membro e g(x) secondo membro. I simboli <, 6, >> vengono detti simboli di disuguaglianza. Osservazione Il dominio A può essere assegnato a priori oppure è l’intersezione tra i domini delle due funzioni. Esempio 6.1.1. • Date f (x) = x + 2 e g (x) = 2x − 5, aventi dominio R, la scrittura x + 2 < 2x − 5 è una disequazione in R nell’incognita x. • Date f (x) = x+1 2x − 1 e g (x) = , aventi dominio rispettivamente R0 e R − {3} la scrittura x x−3 x+1 2x − 1 > x x−3 è una disequazione in R − {0, 3} nell’incognita x. Osservazione In seguito, per semplificare la notazione, se il dominio A di una disequazione è R, esso non verrà specificato; altrimenti verranno scritte solo le condizioni di esistenza. 6.2 Soluzioni di una disequazione Definizione 6.2.1 (Soluzione). Si dice soluzione della disequazione f (x) < g (x) in A, ogni valore del dominio per il quale il valore assunto da f è minore del valore assunto da g. Quindi per stabilire se un elemento del dominio è una soluzione della disequazione f (x) < g(x), è sufficiente sostituirlo all’incognita e verificare se il valore assunto dalla funzione f è minore del valore assunto dalla funzione g. Analogamente per le altre disequazioni. 274 6.3. INTERVALLI Esempio 6.2.1. Data la disequazione x + 5 − 3x < 2x + 9 verifichiamo se x = 2 è soluzione. Sostituiamo 2 all’incognita nel primo membro: 2+5−3·2=1 sostituiamo 2 all’incognita nel secondo membro 2 · 2 + 9 = 13 Il valore assunto dalla prima funzione è minore del valore assunto dalla seconda, quindi x = 2 è soluzione della disequazione data. Verifichiamo ora se x = −1 è soluzione della disequazione data. Sostituiamo −1 all’incognita nel primo membro: −1 + 5 − 3 · (−1) = 7 sostituiamo −1 all’incognita nel secondo membro 2 · (−1) + 9 = 7 le due funzioni assumono lo stesso valore, quindi x = −1 non è soluzione dell’equazione data. Risolvere una disequazione in A nell’incognita x significa determinare l’insieme S formato da tutte le soluzioni della disequazione. L’insieme delle soluzioni di una disequazione normalmente è un sottoinsieme infinito di numeri reali. Osservazione L’insieme delle soluzioni di una disequazione può variare a seconda del dominio. Per esempio, per la disequazione x < 5, in N S = {0; 1; 2; 3; 4}, in R l’insieme delle soluzioni tutti i numeri reali minori di 5. 6.3 Intervalli Per la risoluzione delle disequazioni è utile il concetto di intervallo. Si dice R esteso l’insieme R ∪ {−∞, +∞}. I simboli −∞, +∞ hanno la seguente proprietà: ∀x ∈ R − ∞ < x < +∞. Dati a, b ∈ R, con a 6 b, si dice intervallo ciascuno dei seguenti sottoinsiemi dei numeri reali: ]a, b[ = {x ∈ R/a < x < b} intervallo aperto [a, b[ = {x ∈ R/a 6 x < b} intervallo semiaperto o semichiuso ]a, b] = {x ∈ R/a < x 6 b} intervallo semiaperto o semichiuso [a, b] = {x ∈ R/a 6 x 6 b} intervallo chiuso [a, +∞[ = {x ∈ R/x > a} intervallo chiuso ]a, +∞[ = {x ∈ R/x > a} intervallo aperto ]−∞, a] = {x ∈ R/x 6 a} intervallo chiuso ]−∞, a[ = {x ∈ R/x < a} intervallo aperto Osservazioni 1. I primi 4 intervalli sono limitati, gli altri sono illimitati. 2. L’insieme R è l’intervallo ]−∞, +∞[. 3. [a, a] = {a} 4. ]a, a] = [a, a[=]a, a[= ∅ 275 CAPITOLO 6. DISEQUAZIONI Ogni intervallo si può rappresentare graficamente. a b Figura 6.1: ]a, b[ a b Figura 6.2: [a, b[ a b Figura 6.3: ]a, b] a b Figura 6.4: [a, b] a Figura 6.5: [a, +∞[ Figura 6.6: ]a, +∞[ a Figura 6.7: ]−∞, a] a a Figura 6.8: ]−∞, a[ Dalla definizione data si può notare che ogni intervallo si rappresenta indicando i suoi estremi all’interno di parentesi quadre. La parentesi quadra racchiude l’estremo se esso è compreso, non lo racchiude se esso non è compreso. Negli intervalli illimitati si usano i simboli +∞ e −∞. Nella rappresentazione grafica se un estremo appartiene all’intervallo, lo si rappresenta con un pallino pieno; se non appartiene all’intervallo, lo si rappresenta con una × Esempio 6.3.1. • l’intervallo ] − ∞, −3[={x ∈ R|x < −3}: è il sottoinsieme costituito da tutti i numeri reali minori di −3 −3 276 6.4. RISOLUBILITÀ DI UNA DISEQUAZIONE • l’intervallo ] − ∞, 5]={x ∈ R|x 6 5}: è il sottoinsieme costituito da tutti i numeri reali minori o uguali a 5 5 • l’intervallo ]6, +∞[={x ∈ R|x > 6}: è il sottoinsieme costituito da tutti i numeri reali maggiori di 6 6 • l’intervallo [7, +∞[={x ∈ R|x > −7}: è il sottoinsieme costituito da tutti i numeri reali maggiori o uguali di −7 −7 • l’intervallo ]2, 5[={x ∈ R|2 < x < 5}: è il sottoinsieme costituito da tutti i numeri reali compresi tra 2 e 5 estremi esclusi 2 5 • l’intervallo [1, 7]={x ∈ R|1 6 x 6 7}: è il sottoinsieme costituito da tutti i numeri reali compresi tra 1 e 7 estremi inclusi 1 7 • l’intervallo [3, 10[={x ∈ R|3 6 x < 10}: è il sottoinsieme costituito da tutti i numeri reali compresi tra 3 e 10, 3 incluso, 10 escluso 3 6.4 10 Risolubilità di una disequazione Nella risoluzione di una disequazione in un’incognita in un insieme A si possono presentare i seguenti casi. 6.4.1 Disequazione impossibile Definizione 6.4.1 (Disequazioni impossibile). Una disequazione si dice impossibile se l’insieme delle soluzioni è vuoto Esempio 6.4.1. • La disequazione x2 < −3 in R è impossibile perché nessun numero reale elevato al quadrato è minore di −3. • La disequazione x < −4 in N è impossibile perché nessun numero naturale è minore di −4. 277 CAPITOLO 6. DISEQUAZIONI 6.4.2 Disequazione risolubile Definizione 6.4.2 (Disequazioni risolubili). Una disequazione si dice risolubile se l’insieme delle soluzioni non è vuoto Esempio 6.4.2. • La disequazione x2 6 0 in R è risolubile perché S = {0}. • La disequazione x 6 8 in R è risolubile perché S =] − ∞, 8] 6.4.3 Identità Definizione 6.4.3 (identità). Una disequazione si dice identità se l’insieme delle soluzioni coincide con il dominio Esempio 6.4.3. La disequazione x2 > 0 in R è un’identità perché S = R. 6.5 Tipi di disequazioni Consideriamo le disequazioni razionali numeriche in un’incognita. Una disequazione si dice intera se l’incognita non compare al denominatore; si dice fratta se l’incognita compare al denominatore. Esempio 6.5.1. • la disequazione 1 <5 2 è intera perché l’incognita non compare al denominatore; 3x + • la disequazione x+2 >0 x è fratta perché l’incognita compare al denominatore. 6.6 Principi di equivalenza delle disequazioni 6.6.1 Disequazioni equivalenti Definizione 6.6.1 (Disequazioni equivalenti). Due disequazioni si dicono equivalenti se hanno lo stesso insieme delle soluzioni. Esempio 6.6.1. • le disequazioni x<2 x+1<3 sono equivalenti perché hanno entrambe S =] − ∞, 2[; • le disequazioni x>4 x+2>5 non sono equivalenti perché la prima ha S =]4, +∞[ e la seconda ha S =]3, +∞[; Una disequazione può essere risolta trasformandola in una equivalente più semplice da risolvere. Per trasformare una disequazione in una equivalente utilizzeremo due principi analoghi a quelli delle equazioni. 278 6.6. PRINCIPI DI EQUIVALENZA DELLE DISEQUAZIONI 6.6.2 Primo principio di equivalenza Teorema 6.6.1 (Primo principio di equivalenza). Addizionando ad entrambi i membri di una disequazione la stessa espressione algebrica che non modifica il dominio si ottiene una disequazione equivalente. Esempio 6.6.2. • Data la disequazione x−3>5 addizioniando 3 ad entrambi i membri otteniamo la disequazione equivalente: x−3+3>5+3 x>8 • Data la disequazione 2x < x + 3 addizionando −x ad entrambi i membri otteniamo la disequazione equivalente: 2x − x < x + 3 − x x<3 Regola del trasporto Teorema 6.6.2 (Regola del trasporto). Se in una disequazione si sposta un termine da un membro all’altro cambiandone il segno, si ottiene una disequazione equivalente. Dimostrazione Spostare un termine da un membro all’altro cambiando il segno equivale ad addizionare ad entrambi i membri l’opposto del termine. Esempio 6.6.3. • Data la disequazione x+2>4 trasportando il termine 2 al secondo membro cambiandone il segno otteniamo la disequazione equivalente: x>4−2 x>2 • Data la disequazione 2x < x + 5 trasportando il termine x al primo membro cambiandone il segno otteniamo la disequazione equivalente: 2x − x < 5 x<5 279 CAPITOLO 6. DISEQUAZIONI Regola di cancellazione Teorema 6.6.3 (Regola di cancellazione). Se in una disequazione si elimina lo stesso termine da entrambi i membri si ottiene una disequazione equivalente. Dimostrazione Eliminare lo stesso termine da entrambi i membri equivale ad addizionare ad entrambi i membri l’opposto del termine. Esempio 6.6.4. Data la disequazione 2x + 3 + 5x 6 5x + 5 eliminando il termine 5x da entrambi i membri otteniamo la disequazione equivalente 2x + 3 6 5 6.6.3 Secondo principio di equivalenza Teorema 6.6.4 (Secondo principio di equivalenza). Moltiplicando entrambi i membri di una disequazione per la stessa espressione algebrica, che non modifica il dominio e che in esso sia positiva, si ottiene una disequazione equivalente; moltiplicando entrambi i membri di una disequazione per la stessa espressione algebrica, che non modifica il dominio e che in esso sia negativa e cambiando il verso si ottiene una disequazione equivalente Osservazione Cambiare il verso della disequazione significa sostituire il < con il >, il 6 con il >, il > con il < e il > con il 6 Esempio 6.6.5. • Data la disequazione 3x 6 9 moltiplicando per 1 entrambi i membri otteniamo la disequazione equivalente: 3 1 1 · 3x 6 · 9 3 3 x63 Moltiplicare per 1 entrambi i membri equivale a dividere per 3 entrambi i membri 3 • Data la disequazione −2x 6 6 1 moltiplicando per − entrambi i membri e cambiando il verso otteniamo la disequazione equi2 valente: 1 1 − · (−2x) > − · 6 2 2 x > −3 Osservazione Applicando il secondo principio, la disequazione −2x 6 6 è equivalente a x > −3 e non a x 6 −3 e neanche a x 6 6 + 2 280 6.6. PRINCIPI DI EQUIVALENZA DELLE DISEQUAZIONI Regola del cambiamento dei segni Teorema 6.6.5 (Regola del cambiamento dei segni). Se in una disequazione si cambiano i segni di tutti i termini e il verso, si ottiene una disequazione equivalente. Dimostrazione Cambiare i segni di tutti i termini di una disequazione equivale a moltiplicare entrambi i membri per −1 Esempio 6.6.6. • Data la disequazione −x < 3 cambiando i segni di tutti i termini e il verso otteniamo la disequazione equivalente x > −3 • Data la disequazione −x > −1 cambiando i segni di tutti i termini e il verso otteniamo la disequazione equivalente x61 Regola di eliminazione dei denominatori Teorema 6.6.6 (Regola di eliminazione dei denominatori). Se in una disequazione avente entrambi i membri costituiti da una sola frazione con lo stesso denominatore positivo si eliminano i denominatori, si ottiene una disequazione equivalente. Dimostrazione Eliminare i denominatori è equivalente a moltiplicare entrambi i membri per il denominatore stesso. Osservazione Se al denominatore compare un’incognita che può renderlo anche negativo, il denominatore non può essere eliminato Esempio 6.6.7. • Data la disequazione 3x − 1 5x + 3 > 3 3 eliminando i denominatori otteniamo la disequazione equivalente: 3x − 1 > 5x + 3 • Data la disequazione −x + 5 4x + 1 6 2 2 eliminando i denominatori otteniamo la disequazione equivalente: −x + 5 6 4x + 1 281 CAPITOLO 6. DISEQUAZIONI 6.7 Forma normale di una disequazione Definizione 6.7.1 (Forma normale). Una disequazione si dice in forma normale se il primo membro è un polinomio in forma normale e il secondo membro è 0. Esempio 6.7.1. • la disequazione 3x + 2 > 0 è in forma normale perché il primo membro è un polinomio in forma normale e il secondo membro è 0. • la disequazione 2x + 3 − x < 0 non è in forma normale perché il primo membro non è un polinomio in forma normale. • la disequazione x−162 non è in forma normale perché il secondo membro non è 0. Data una disequazione intera, la si può trasformare in forma normale procedendo nel seguente modo 1. si effettuano le operazioni in entrambi i membri 2. se sono presenti delle frazioni, si riducono entrambi i membri ad una sola frazione avente come denominatore il mcm di tutti i denominatori (di entrambi i membri) 3. si eliminano i denominatori applicando la regola di eliminazione dei denominatori 4. si trasportano tutti i termini al primo membro applicando la regola del trasporto 5. si addizionano i termini simili Esempio 6.7.2. • trasformiamo in forma normale la disequazione (x + 1) · (x − 1) + x < (2x − 1)2 − 1 effettuiamo le operazioni in entrambi i membri: x2 − 1 + x < 4x2 − 4x trasportiamo tutti i termini al primo membro: x2 − 1 + x − 4x2 + 4x < 0 addizioniamo i termini simili: −3x2 + 5x − 1 < 0 • trasformiamo in forma normale la disequazione x−1 2x + 1 −1> +x+2 2 3 282 6.8. GRADO DI UNA DISEQUAZIONE riduciamo entrambi i membri ad una sola frazione avente come denominatore il mcm di tutti i denominatori: 2x − 2 + 6x + 12 6x + 3 − 6 > 6 6 eliminiamo i denominatori: 6x + 3 − 6 > 2x − 2 + 6x + 12 trasportiamo tutti i termini al primo membro: 6x + 3 − 6 − 2x + 2 − 6x − 12 > 0 addizioniamo i termini simili: −2x − 13 > 0 6.8 Grado di una disequazione Definizione 6.8.1 (Grado). Si dice grado di una disequazione numerica intera il grado del polinomio a primo membro della sua forma normale. Osservazioni 1. Una disequazione di primo grado è detta disequazione lineare. 2. Dalla definizione si deduce che per determinare il grado di una disequazione occorre prima trasformarla in forma normale Esempio 6.8.1. • Determiniamo il grado della disequazione 5x − 3 < 2x + 1 la sua forma normale è: 3x − 4 < 0 la disequazione è di primo grado • Determiniamo il grado della disequazione x2 + 5x − 1 > x + 2 la sua forma normale è: x2 + 4x − 3 > 0 la disequazione è di secondo grado. • Determiniamo il grado della disequazione 2x2 + x − 1 6 2x2 + 5 la sua forma normale è x−660 la disequazione è di primo grado. 283 CAPITOLO 6. DISEQUAZIONI 6.9 Disequazioni di primo grado Risolviamo le disequazioni numeriche intere di primo grado, cioè disequazioni in cui l’unica lettera è l’incognita che non compare al denominatore di alcuna frazione. Tradizionalmente, invece di quella precedentemente definita, si assume come forma normale di una disequazione di primo grado nell’incognita x una delle seguenti forme ax > b ax > b ax < b ax 6 b dove a e b sono numeri reali; il dominio di tali disequazioni è R. Per risolvere queste disequazioni: 1. si trasforma la disequazione nella forma normale 2. si analizzano i valori di a e b: (a) se a > 0, la disequazione è risolubile e per ottenere la soluzione si dividono entrambi i membri per il coefficiente dell’incognita (b) se a < 0, la disequazione è risolubile e per ottenere la soluzione si dividono entrambi i membri per il coefficiente dell’incognita e si cambia il verso della disequazione (c) se a = 0 la disequazione è impossibile o identità a seconda del valore di b e del segno di disuguaglianza Esempio 6.9.1. • Risolviamo la disequazione 5x + 5 − 4x > 3x + 1 trasportiamo tutti i termini con l’incognita al primo membro e i termini senza incognita al secondo membro: 5x − 4x − 3x > −5 + 1 addizioniamo i termini simili e otteniamo la forma normale: −2x > −4 il coefficiente dell’incognita è minore di 0, dividiamo entrambi i membri per il coefficiente dell’incognita e cambiamo il verso della disequazione: x<2 la disequazione è risolubile e S =] − ∞, 2[ • Risolviamo la disequazione 1 x+2 x+5> − 3x + 1 3 2 riduciamo entrambi i membri ad una sola frazione avente come denominatore il mcm di tutti i denominatori: 2x + 30 3x + 6 − 18x + 6 > 6 6 284 6.9. DISEQUAZIONI DI PRIMO GRADO eliminiamo i denominatori: 2x + 30 > 3x + 6 − 18x + 6 trasportiamo tutti i termini con l’incognita al primo membro e i termini senza incognita al secondo membro: 2x − 3x + 18x > −30 + 6 + 6 addizioniamo i termini simili e otteniamo la forma normale: 17x > −18 il coefficiente dell’incognita è maggiore di 0, dividiamo entrambi i membri per il coefficiente dell’incognita: x>− 18 17 la disequazione è risolubile e 18 S = − , +∞ 17 ï ï • Risolviamo la disequazione 7x + 3 − 4x < 3x + 5 trasportiamo tutti i termini con l’incognita al primo membro e i termini senza incognita al secondo membro: 7x − 4x − 3x < −3 + 5 addizioniamo i termini simili e otteniamo la forma normale: 0<2 poiché 0 è minore di 2, la disequazione è un’identità e S=R • Risolviamo la disequazione 2x + 5 − 6x > 5 − 4x trasportiamo tutti i termini con l’incognita al primo membro e i termini senza incognita al secondo membro: 2x − 6x + 4x > −5 + 5 addizioniamo i termini simili e otteniamo la forma normale: 0>0 poiché 0 non è maggiore di 0, la disequazione è impossibile e S=∅ 285 CAPITOLO 6. DISEQUAZIONI • Risolviamo la disequazione 4x + 3 − 6x 6 2 − 2x + 1 trasportiamo tutti i termini con l’incognita al primo membro e i termini senza incognita al secondo membro: 4x − 6x + 2x 6 −3 + 2 + 1 addizioniamo i termini simili e otteniamo la forma normale: 060 poiché 0 è uguale a 0, la disequazione è un’identità e S=R Osservazione Come si vede dagli esempi, la soluzione, nel caso in cui il coefficiente dell’incognita è 0, dipende sia dal termine noto sia dal simbolo di disuguaglianza che compare nella disequazione, riassumiamo nella seguente tabella i casi possibili: Simbolo Termine noto Esempio Soluzione > > > > > > < < < 6 6 6 6.10 negativo nullo positivo negativo nullo positivo negativo nullo positivo negativo nullo positivo 0 > −3 0>0 0>3 0 > −3 0>0 0>3 0 < −3 0<0 0<3 0 6 −3 060 063 R ∅ ∅ R R ∅ ∅ ∅ R ∅ R R Studio del segno del polinomio di primo grado Studiare il segno del polinomio di primo grado ax + b significa determinare per quali valori di x il polinomio è negativo, nullo o positivo. Per studiare il segno del polinomio ax + b: 1. si scrive la disequazione ax + b > 0 2. la si risolve 3. l’insieme delle soluzioni della disequazione è l’intervallo su cui il polinomio è positivo, il numero b reale − è il valore per cui il polinomio è nullo, sul rimanente intervallo il polinomio è negativo a 4. si rappresenta graficamente il segno del polinomio tracciando la retta dei numeri reali e scrivendo il simbolo + in corrispondenza dell’intervallo in cui il polinomio è positivo, 0 dove è nullo e il simbolo − dove è negativo. Esempio 6.10.1. • Studiamo il segno del binomio 3x − 2 286 6.11. DISEQUAZIONI DI GRADO SUPERIORE AL PRIMO scriviamo la disequazione: 3x − 2 > 0 risolviamola: x> 2 3 ò S= 2 , +∞ 3 ï Quindi il binomio 3x ï − 2 è: ò 2 , +∞ positivo su 3 2 nullo per x = ò 3 ï 2 negativo su −∞, 3 la rappresentazione grafica del segno di 3x − 2 è: 2 3 0 − + • Studiamo il segno del binomio −2x − 4 scriviamo la disequazione: −2x − 4 > 0 risolviamola: x < −2 S = ]−∞, −2[ Quindi il binomio −2x − 4 è: positivo su ]−∞, −2[ nullo per x = −2 negativo su ]−2, +∞[ la rappresentazione grafica del segno di −2x − 4 è: −2 + 6.11 0 − Disequazioni di grado superiore al primo Consideriamo ora disequazioni di grado superiore al primo. La forma normale di queste disequazioni è una delle seguenti: P (x) > 0 P (x) > 0 P (x) < 0 P (x) 6 0 287 CAPITOLO 6. DISEQUAZIONI dove P (x) è un polinomio di grado superiore al primo in forma normale; il dominio di tali disequazioni è R. Analizziamo le disequazioni per le quali P (x) è scomponibile in fattori di primo grado. Poiché il segno di un prodotto dipende dal segno dei fattori, la scomposizione permette di studiare il segno del polinomio studiando il segno dei singoli fattori. Per risolvere questo tipo di disequazioni: 1. si trasforma la disequazione nella forma normale 2. si scompone P (x) in fattori di primo grado 3. si studia il segno di ogni fattore 4. si rappresentano graficamente i segni dei fattori 5. si applica la regola dei segni per ogni intervallo 6. si evidenzia ciò che è richiesto dalla disequazione 7. l’insieme delle soluzioni della disequazione è l’unione degli intervalli corrispondenti ai segni evidenziati Osservazione In alcune disequazioni di grado superiore al primo possono comparire fattori elevati ad un esponente. Nel caso di esponente pari la potenza non è mai negativa, quindi, per studiarne il segno: 1. si determinano gli zeri della base 2. nella rappresentazione grafica del segno si scrive 0 in corrispondenza degli zeri trovati e + in tutti gli intervalli. Nel caso di esponente dispari il segno della potenza è lo stesso di quello della base, quindi, per studiarne il segno è sufficiente studiare il segno della base. Esempio 6.11.1. • Risolviamo la disequazione x3 < x trasformiamo la disequazione in forma normale: x3 − x < 0 scomponiamo il polinomio a primo membro in fattori di primo grado: x (x + 1) (x − 1) < 0 studiamo il segno del primo fattore: x>0 Studiamo il segno del secondo fattore: x+1>0 x > −1 Studiamo il segno del terzo fattore: x−1>0 x>1 288 6.11. DISEQUAZIONI DI GRADO SUPERIORE AL PRIMO Rappresentiamo graficamente il segno dei tre fattori: −1 x − x+1 − x−1 − − 0 − 0 1 − 0 + + + + + + + + − − − 0 + Applichiamo la regola dei segni per ogni intervallo: −1 0 1 x − x+1 − x−1 − − 0 − − 0 + + + + + + + + − − − 0 + − 0 + 0 − 0 + Poiché nella forma normale della disequazione compare il <, evidenziamo i segni −: x x+1 x−1 −1 0 − 0 − − 0 + + − − 0 + − − − - 0 1 + + − + + + + 0 + - 0 + x < −1 ∨ 0 < x < 1 La disequazione è risolubile e S =] − ∞, −1[∪]0, 1[ • Risolviamo la disequazione 2x3 6 x2 trasformiamo la disequazione in forma normale: 2x3 − x2 6 0 scomponiamo il polinomio a primo membro in fattori di primo e secondo grado: x2 (2x − 1) > 0 Studiamo il segno del primo fattore x2 > 0 x 6= 0 Studiamo il segno del secondo fattore: 2x − 1 > 0 1 2 Rappresentiamo graficamente il segno dei due fattori: x> 1 2 x2 + 0 + + + 2x − 1 − − − 0 + 0 289 CAPITOLO 6. DISEQUAZIONI Applichiamo la regola dei segni per ogni intervallo: 1 2 x2 + 0 + + + 2x − 1 − − − 0 + 0 − − 0 0 + Poiché nella forma normale della disequazione compare il 6, evidenziamo i segni − e gli zeri: 1 2 + 0 0 x2 + 0 + 2x − 1 − − − − 0 − + + 0+ 1 2 La disequazione è risolubile e x6 1 S = −∞, 2 ò 6.12 ò Disequazioni fratte Consideriamo ora le disequazioni fratte, cioè le disequazioni nelle quali l’incognita compare al denominatore di almeno una frazione. Ogni disequazione fratta si può sempre trasformare in una delle seguenti forme: N (x) >0 D (x) N (x) >0 D (x) N (x) <0 D (x) N (x) 60 D (x) dove N (x) e D (x) sono polinomi ridotti a forma normale; il dominio di tali disequazioni è R − {x|x è zero di D (x)} Poiché il segno di un rapporto dipende dai segni del numeratore e del denominatore, trattiamo le disequazioni fratte in modo analogo a quelle di grado superiore al primo. Per risolvere questo tipo di disequazioni: 1. si trasforma la disequazione in una delle forme precedenti 2. si scompongono numeratore e denominatore in fattori di primo grado 3. si scrivono le condizioni di esistenza 4. si studia il segno di ogni fattore del numeratore e del denominatore 5. si rappresentano graficamente le condizioni di esistenza inserendo × in corrispondenza dei punti che non le soddisfano 6. si rappresentano graficamente i segni dei fattori 290 6.12. DISEQUAZIONI FRATTE 7. si applica la regola dei segni per ogni intervallo 8. si evidenzia ciò che è richiesto dalla disequazione 9. l’insieme delle soluzioni della disequazione è l’unione degli intervalli corrispondenti ai segni evidenziati Osservazione Nelle disequazioni fratte si può eliminare il denominatore solo se è positivo sul dominio Esempio 6.12.1. • Risolviamo la disequazione 3x − 1 2 > +2 x+2 x+2 trasportiamo tutti i termini a primo membro: 2 3x − 1 − −2>0 x+2 x+2 effettuiamo le operazioni: x−7 >0 x+2 scriviamo le condizioni di esistenza: CE: x 6= −2 studiamo il segno del fattore al numeratore x−7>0 x>7 Studiamo il segno del fattore al denominatore x+2>0 x > −2 Rappresentiamo graficamente il segno dei due fattori scrivendo × in corrispondenza dei punti non soddisfacenti le condizioni di esistenza: x−7 − x+2 − −2 7 × × − 0 + + + + Applichiamo la regola dei segni per ogni intervallo: −2 7 x−7 − x+2 − × × − 0 + + + + + × − 0 + Poiché nella disequazione compare il >, evidenziamo i segni +: x−7 x+2 − − −2 7 × × − 0 + + + × − 0 + + + x < −2 ∨ x > 7 La disequazione è risolubile e S =] − ∞, −2[∪]7, +∞[ 291 CAPITOLO 6. DISEQUAZIONI • Risolviamo la disequazione x3 − 2x2 60 x2 − 9 scomponiamo numeratore e denominatore in fattori di primo grado: x2 (x − 2) 60 (x + 3) (x − 3) scriviamo le condizioni di esistenza: CE: x 6= −3 ∧ x 6= 3 studiamo il segno del primo fattore al numeratore: x2 > 0 x 6= 0 Studiamo il segno del secondo fattore al numeratore: x−2>0 x>2 Studiamo il segno del primo fattore al denominatore: x+3>0 x > −3 Studiamo il segno del secondo fattore al denominatore: x−3>0 x>3 rappresentiamo graficamente il segno di tutti i fattori scrivendo × in corrispondenza dei punti non soddisfacenti le condizioni di esistenza: −3 x2 + x−2 − x+3 − x−3 − × × × × 0 2 3 + 0 + + − − − 0 + + + + − − − − × × × × + + + − + + + + Applichiamo la regola dei segni per ogni intervallo: −3 x2 0 2 3 + x−2 − x+3 − x−3 − × × × × + 0 + + − − − 0 + + + + − − − − + + + − − × + − × + 0 + 0 × × × × + + + + Poiché nella disequazione compare il 6, evidenziamo i segni − e gli zeri: −3 x2 x−2 x+3 x−3 + − − − × × × × - × + − + − 0 2 0 − + − + + − 0 + + − − + 0 + 0 x < −3 ∨ x = 0 ∨ 2 6 x < 3 3 + + + − × × × × + + + + −× + La disequazione è risolubile e S =] − ∞, −3[∪ {0} ∪ [2, 3[ 292 6.13. SISTEMI DI DISEQUAZIONI 6.13 Sistemi di disequazioni Definizione 6.13.1 (Sistema di disequazioni). Date due o più disequazioni, si dice sistema la congiunzione delle disequazioni. Un sistema di disequazioni si indica scrivendo le disequazioni una sotto l’altra e racchiudendole con una parentesi graffa. Consideriamo solamente sistemi di disequazioni in una incognita. Il dominio del sistema è l’intersezione dei domini delle disequazioni che lo costituiscono. L’insieme delle soluzioni del sistema è l’intersezione degli insiemi delle soluzioni delle singole disequazioni. Per risolvere un sistema di disequazioni in una incognita: 1. si risolvono le singole disequazioni 2. si rappresentano graficamente gli insiemi delle soluzioni delle singole disequazioni 3. si evidenziano gli intervalli che soddisfano tutte le disequazioni 4. l’insieme delle soluzioni del sistema è l’unione degli intervalli evidenziati Esempio 6.13.1. • Risolviamo il sistema di disequazioni ( 3x + 2 > 0 2−x60 Il sistema è formato da due disequazioni intere di primo grado. Risolviamo la prima disequazione: 3x + 2 > 0 3x > −2 2 x>− 3 risolviamo la seconda disequazione: 2−x60 −x 6 −2 x>2 Rappresentiamo graficamente gli insiemi delle soluzioni delle due disequazioni e evidenziamo gli intervalli che soddisfano entrambe le disequazioni: − 2 3 2 x>2 Il sistema è risolubile e S = [2, +∞[ 293 CAPITOLO 6. DISEQUAZIONI • Risolviamo il sistema di disequazioni (x + 1) (x − 3) > x2 − 1 x+5 >0 x−4 3 x − 9x < 0 Il sistema è formato da tre disequazioni: una intera di primo grado, una fratta, una di grado superiore al secondo. Risolviamo la prima disequazione: (x + 1) (x − 3) > x2 − 1 x2 − 3x + x − 3 > x2 − 1 −2x − 2 > 0 −2x > 2 x < −1 Risolviamo la seconda disequazione: x+5 >0 x−4 scriviamo le condizioni di esistenza: CE: x 6= 4 studiamo il segno del fattore al numeratore x+5>0 x > −5 Studiamo il segno del fattore al denominatore x−4>0 x>4 Rappresentiamo graficamente il segno dei due fattori scrivendo × in corrispondenza dei punti non soddisfacenti le condizioni di esistenza: x+5 − x−4 − −5 4 0 − + × + − × + Applichiamo la regola dei segni per ogni intervallo: −5 4 x+5 − x−4 − 0 − + × + − × + + 0 − × + Poiché nella disequazione compare il >, evidenziamo i segni + e gli zeri: x+5 − x−4 − + + −5 4 0 − + × − × + + 0 − × + 0 − × + 294 6.13. SISTEMI DI DISEQUAZIONI x 6 −5 ∨ x > 4 Risolviamo la terza disequazione: x3 − 9x < 0 x (x + 3) (x − 3) < 0 studiamo il segno del primo fattore: x>0 Studiamo il segno del secondo fattore: x+3>0 x > −3 Studiamo il segno del terzo fattore: x−3>0 x>3 Rappresentiamo graficamente il segno dei tre fattori: −3 x − x+3 − x−3 − − 0 − 0 3 − 0 + + + + + + + + − − − 0 + Applichiamo la regola dei segni per ogni intervallo: −3 0 3 x − x+3 − x−3 − − 0 − − 0 + + + + + + + + − − − 0 + − 0 + 0 − 0 + Poiché nella forma normale della disequazione compare il <, evidenziamo i segni −: x x+3 x−3 − − − - −3 0 − 0 − − 0 + + − − 0 + 0 3 + + − + + + + 0 + - 0 + x < −3 ∨ 0 < x < 3 Rappresentiamo graficamente gli insiemi delle soluzioni delle tre disequazioni e evidenziamo gli intervalli che soddisfano tutte le disequazioni: −5 −3−1 0 3 4 x 6 −5 Il sistema è risolubile e S =] − ∞, −5] 295 Capitolo 7 Equazioni in due incognite 7.1 Introduzione Definizione 7.1.1 (Equazione in due incognite). Date due funzioni f (x, y) e g (x, y) con dominio A ⊆ R × R, si dice equazione in A nelle incognite x e y la scrittura f (x, y) = g (x, y) Il dominio delle funzioni viene anche detto dominio dell’equazione. Osservazione Il dominio A può essere assegnato a priori oppure è l’intersezione tra i domini delle due funzioni. Esempio 7.1.1. • Date f (x, y) = 2x+3y e g (x, y) = x+y +2, aventi dominio R×R, la scrittura 2x+3y = x+y +2 è un’equazione in R × R nelle incognite x e y • Date f (x, y) = (x + 1)2 − 2y e g (x) = x (x − 3) + 5y − 2, aventi dominio R × R, la scrittura (x + 1)2 − 2y = x (x − 3) + 5y − 2 è un’equazione in R × R nelle incognite x e y x+y 3x + y + 2 e g (x, y) = , aventi dominio rispettivamente x−2 x−y 3x + y + 2 x+y = è {(x, y) ∈ R × R | x − 2 6= 0 } e {(x, y) ∈ R × R | x − y 6= 0 } la scrittura x−2 x−y un’equazione in A = {(x, y) ∈ R × R | x − 2 6= 0 ∧ x − y 6= 0 } nelle incognite x e y • Date f (x, y) = Osservazione In seguito, per semplificare la notazione, se il dominio A di un’equazione è R × R non verrà specificato, altrimenti verranno scritte solo le condizioni di esistenza. Data l’equazione f (x, y) = g (x, y), f (x, y) si dice primo membro e g(x, y) secondo membro. 7.2 Soluzioni di un’equazione in due incognite Definizione 7.2.1 (Soluzione). Si dice soluzione o radice dell’equazione f (x, y) = g (x, y) in A, ogni coppia ordinata del dominio per la quale le due funzioni assumono lo stesso valore Nella coppia ordinata il primo elemento è il valore assunto da x e il secondo elemento è il valore assunto da y. Quindi per stabilire se una coppia ordinata del dominio è una soluzione dell’equazione f (x, y) = g (x, y) è sufficiente sostituire il primo elemento all’incognita x, il secondo elemento all’incognita y e verificare se le due funzioni assumono lo stesso valore. Risolvere un’equazione in A nelle incognite x e y significa determinare l’insieme S formato da tutte le soluzioni dell’equazione. Esempio 7.2.1. 296 7.3. RISOLUBILITÀ DI UN’EQUAZIONE IN DUE INCOGNITE • Data l’equazione x + y = 2x + 3y verifichiamo se la coppia (0, 0) è soluzione. Sostituiamo 0 all’incognita x e 0 all’incognita y nel primo membro 0+0=0 Sostituiamo 0 all’incognita x e 0 all’incognita y nel secondo membro 2·0+3·0=0 le due funzioni assumono lo ã valore, quindi la coppia (0, 0) è soluzione dell’equazione data. Å stesso 1 è soluzione dell’equazione data. Verifichiamo se la coppia 1, 2 1 Sostituiamo 1 all’incognita x e all’incognita y nel primo membro 2 3 1 1+ = 2 2 1 Sostituiamo 1 all’incognita x e all’incognita y nel secondo membro 2 1 7 2·1+3· = 2 2 Å ã 1 le due funzioni non assumono lo stesso valore, quindi la coppia 1, non è soluzione dell’e2 quazione data. Verifichiamo se la coppia (2, −1) è soluzione dell’equazione data. Sostituiamo 2 all’incognita x e −1 all’incognita y nel primo membro 2−1=1 Sostituiamo 2 all’incognita x e −1 all’incognita y nel secondo membro 4−3=1 le due funzioni assumono lo stesso valore, quindi la coppia (2, −1) è soluzione dell’equazione data. Osservazione A seconda del dominio l’insieme delle soluzioni di un’equazione può variare. Per esempio, per l’equazione x + y = 1, in N × N S = {(0, 1), (1, 0)}, in R × R S = {(a, 1 − a)/a ∈ R}. 7.3 Risolubilità di un’equazione in due incognite Nella risoluzione di un’equazione in due incognite in un insieme A si possono presentare i seguenti casi. 7.3.1 Equazione impossibile Definizione 7.3.1 (Equazione impossibile). Un’equazione si dice impossibile se l’insieme delle soluzioni è l’insieme vuoto Osservazione Un’equazione impossibile non ha soluzioni Esempio 7.3.1. • L’equazione x2 + y 2 = −1 è impossibile perché la somma dei quadrati di due numeri reale non può essere negativa • L’equazione x + y − 1 = x + y è impossibile perché la somma di due numeri reali diminuito di 1 non può essere uguale alla somma dei due numeri reali. 297 CAPITOLO 7. EQUAZIONI IN DUE INCOGNITE 7.3.2 Equazione determinata Definizione 7.3.2 (Equazione determinata). Un’equazione si dice determinata se l’insieme delle soluzioni è finito e non vuoto Esempio 7.3.2. • L’equazione x2 + y 2 = 0 è determinata perché S = {(0, 0)} • L’equazione x + y = 1, in N × N è determinata perché S = {(0, 1), (1, 0)}, 7.3.3 Equazione indeterminata Definizione 7.3.3 (Equazione indeterminata). Un’equazione si dice indeterminata se l’insieme delle soluzioni è infinito Esempio 7.3.3. L’equazione x + y = 2 è indeterminata perché S = {(a, 2 − a)/a ∈ R} 7.3.4 Identità Definizione 7.3.4 (Identità). Un’equazione si dice identità se l’insieme delle soluzioni coincide con il dominio Esempio 7.3.4. • L’equazione x + y + 3 = x + y + 3 è un’identità perché S = R × R. • L’equazione (x + y) (x − y) = x2 − y 2 è un’identità perché S = R × R. 7.4 Tipi di equazioni in due incognite In questo capitolo analizziamo le equazioni razionali cioè equazioni f (x, y) = g(x, y) in cui le funzionif e g sono rapporti di polinomi. Un’equazione razionale si dice numerica se, oltre alle incognite, non compaiono altre lettere; si dice letterale se, oltre alle incognite, compaiono altre lettere dette parametri. Un’equazione razionale si dice intera se le incognite non compaiono al denominatore; si dice fratta se almeno un’incognita compare al denominatore. Le equazioni razionali quindi si possono suddividere in: • numeriche intere • numeriche fratte • letterali intere • letterali fratte Esempio 7.4.1. • L’equazione 1 x+y+1=5 2 è numerica intera perché non compaiono altre lettere oltre le incognite e le incognite non compaiono al denominatore; • L’equazione 2 = 3 + 2y x−1 è numerica fratta perché non compaiono altre lettere oltre le incognite e l’incognita x compare al denominatore; 298 7.5. FORMA NORMALE DI UN’EQUAZIONE IN DUE INCOGNITE • L’equazione x =3+y a è letterale intera perché, oltre alle incognite x, y, compare la lettera a che è un parametro e le incognite non compaiono al denominatore; • L’equazione a =2−y x è letterale fratta perché, oltre alle incognite x, y, compare la lettera a che è un parametro e l’incognita x compare al denominatore. Per le equazioni in due incognite valgono la definizione di equivalenza, i principi di equivalenza e le regole derivanti dai principi visti per le equazioni in una incognita. 7.5 Forma normale di un’equazione in due incognite Definizione 7.5.1 (Forma normale). Un’equazione in due incognite si dice in forma normale se il primo membro è un polinomio in forma normale e il secondo membro è 0. Esempio 7.5.1. • l’equazione 5x + 3y − 5 = 0 è in forma normale perché il primo membro è un polinomio in forma normale e il secondo membro è0 • l’equazione 5x − 7 = y non è in forma normale perché il secondo membro non è 0 Ogni equazione in due incognite si può trasformare in forma normale, procedendo come per le equazioni in una incognita. Esempio 7.5.2. Trasformiamo in forma normale l’equazione x + y 2x − 3y 2x + 3 2 + = − y + 3y + 2 3 2 4 3 riduciamo entrambi i membri ad una sola frazione avente come denominatore il mcm di tutti i denominatori 4x + 4y + 12x − 18y 6x + 9 − 8y + 36y + 24 = 12 12 eliminiamo i denominatori 4x + 4y + 12x − 18y = 6x + 9 − 8y + 36y + 24 trasportiamo tutti i termini al primo membro: 4x + 4y + 12x − 18y − 6x − 9 + 8y − 36y − 24 = 0 addizioniamo i termini simili: 10x − 42y − 33 = 0 299 CAPITOLO 7. EQUAZIONI IN DUE INCOGNITE 7.6 Grado di un’equazione in due incognite Definizione 7.6.1 (Grado). Si dice grado di un’equazione numerica intera in due incognite il grado del polinomio a primo membro della sua forma normale. Osservazione Se l’equazione è letterale per determinare il grado non si tiene conto dei parametri. Esempio 7.6.1. • Determiniamo il grado dell’equazione 3 + x = 5x + 2y − 2 la sua forma normale è: −4x − 2y + 5 = 0 quindi è un’equazione di primo grado. • Determiniamo il grado dell’equazione 3x2 + 2x + 3y = 2y + 1 la sua forma normale è: 3x2 + 2x + y − 1 = 0 quindi è un’equazione di secondo grado • Determiniamo il grado dell’equazione x + y + 3xy = 2 la sua forma normale è: 3xy + x + y − 2 = 0 quindi è un’equazione di secondo grado. • Determiniamo il grado dell’equazione a2 x + 3by 3 + y = 2 + y nelle incognite x e y. La sua forma normale è: a2 x + 3by 3 − 2 = 0 quindi è un’equazione di terzo grado. Un’equazione di primo grado in due incognite in R×R, se non è impossibile, ammette infinite soluzioni che si ottengono assegnando un valore a una incognita e ricavando il valore dell’altra incognita. Esempio 7.6.2. • Determiniamo alcune soluzioni dell’equazione 3x − y − 6 = 0 Se assegniamo a x il valore 1, sostituendolo nell’equazione, ricaviamo y = −3 perciò la coppia (1, −3) è una soluzione dell’equazione; se assegniamo a y il valore 0, sostituendolo nell’equazione, ricaviamo x = 2 perciò anche la coppia (2, 0) è una soluzione dell’equazione. Å ã 1 Sono pure soluzioni dell’equazione assegnata le coppie (3, 3) , (−1, −9) , , −5 e infinite altre. 3 300 7.7. COMBINAZIONE LINEARE DI DUE EQUAZIONI IN DUE INCOGNITE 7.7 Combinazione lineare di due equazioni in due incognite Definizione 7.7.1 (Combinazione lineare). Date due equazioni in forma normale f (x, y) = 0 e g (x, y) = 0, si dice combinazione lineare delle due equazioni l’equazione h · f (x, y) + k · g (x, y) = 0 dove h, k sono numeri reali non entrambi nulli Esempio 7.7.1. Date le equazioni 3x + 2y − 1 = 0 e x + 5y − 3 = 0, scriviamo alcune combinazioni lineari di esse. • se h = 3 e k = 2, la combinazione lineare è: 3 (3x + 2y − 1) + 2 (x + 5y − 3) = 0 effettuando i calcoli si ottiene: 11x + 16y − 9 = 0 • se h = −2 e k = 1, la combinazione lineare è: −2 (3x + 2y − 1) + 1 (x + 5y − 3) = 0 effettuando i calcoli si ottiene: −5x + y − 1 = 0 • se h = 1 e k = −3, la combinazione lineare è: 1 (3x + 2y − 1) − 3 (x + 5y − 3) = 0 effettuando i calcoli si ottiene: −13y + 8 = 0 301 Capitolo 8 Sistemi di primo grado 8.1 Introduzione Consideriamo l’equazione di primo grado in due incognite x+2y = 1; essa ha infinite soluzioni, tra cui: Å ã 1 , (1, 0) , (3, −1) , (5, −2) , . . ., che si ottengono assegnando un valore a una incognita e ricavando 2 il valore dell’altra incognita. Consideriamo un’altra Å ãequazioneÅ di primo ã Ågrado in ã due incognite 4x + 3y = 4, anch’essa ha infinite 4 8 16 , (1, 0) , 3, − , 5, − ... soluzioni tra cui: 0, 3 3 3 La coppia (1, 0) è soluzione di entrambe le equazioni; si dice che (1, 0) è soluzione del sistema formato dalle due equazioni: 0, ( x + 2y = 1 4x + 3y = 4 Definizione 8.1.1 (Sistema). Date due equazioni in due incognite, si dice sistema la congiunzione delle due equazioni. Un sistema di due equazioni in due incognite si indica scrivendo le equazioni una sotto l’altra e racchiudendole con una parentesi graffa. Il dominio del sistema è dato dall’intersezione dei domini delle due equazioni. Esempio 8.1.1. • il sistema ( 3x + 5y + x2 = 3y − 2 x2 + 2xy + 3x = 2 + y è formato dalle equazioni 3x + 5y + x2 = 3y − 2 con dominio R × R e x2 + 2xy + 3x = 2 + y con dominio R × R; poiché entrambe le equazioni hanno come dominio R × R, anche il sistema ha dominio R × R • il sistema x+2 = 3x + 2y y x + 1 + 3y = x2 2x x+2 x+1 = 3x+2y con dominio {(x, y) ∈ R × R |y 6= 0 } e +3y = x2 y 2x con dominio {(x, y) ∈ R × R |x 6= 0 }; il sistema ha come dominio l’intersezione dei domini, cioè {(x, y) ∈ R × R |x 6= 0 ∧ y 6= 0 } è formato dalle equazioni 302 8.2. SOLUZIONI DI UN SISTEMA • il sistema x + a = 2y + x − 2a 2 3 x − 3y = 2a − x è letterale e ha come dominio R × R, poiché ognuna delle equazioni che lo formano ha dominio R × R. In seguito, per semplificare la notazione, se il dominio A di un sistema è R × R non verrà specificato, altrimenti verranno scritte solo le condizioni di esistenza. 8.2 Soluzioni di un sistema Definizione 8.2.1 (Soluzione). Si dice soluzione di un sistema ogni coppia del dominio che è soluzione di entrambe le equazioni del sistema Risolvere un sistema in A ⊆ R × R nelle incognite x e y significa determinare l’insieme S formato da tutte le soluzioni del sistema. L’insieme S è dato dall’intersezione degli insiemi delle soluzioni delle due equazioni. Esempio 8.2.1. Dato il sistema ( 2x + 5y − 3 = 6 − 3x + 4y + 2 = 0 9 , 0 è soluzione. 2 9 Sostituiamo x = e y = 0 nella prima equazione: 2 9 2· +5·0−3=6 2 6=6 Å ã 9 quindi , 0 è soluzione della prima equazione. 2 9 Sostituiamo x = e y = 0 nella seconda equazione: 2 9 −3 · + 4 · 0 + 2 = 0 2 23 − =0 2 Å ã 9 quindi , 0 non è soluzione della seconda equazione. 2Å ã 9 Pertanto , 0 non è è soluzione del sistema. 2 Verifichiamo se (2, 1) è soluzione del sistema. Sostituiamo x = 2 e y = 1 nella prima equazione: Å ã verifichiamo se 2·2+5·1−3=6 6=6 quindi (2, 1) è soluzione della prima equazione. Sostituiamo x = 2 e y = 1 nella seconda equazione: −3 · 2 + 4 · 1 + 2 = 0 0=0 quindi (2, 1) è soluzione della seconda equazione. Pertanto (2, 1) è soluzione del sistema. 303 CAPITOLO 8. SISTEMI DI PRIMO GRADO 8.3 Risolubilità di un sistema Nella risoluzione di un sistema di due equazioni in due incognite in un insieme A ⊆ R × R si possono presentare i seguenti casi. 8.3.1 Sistema impossibile Definizione 8.3.1 (Sistema impossibile). Un sistema si dice impossibile se l’insieme delle soluzioni è l’insieme vuoto Osservazione Un sistema è impossibile, se almeno una delle equazioni è impossibile oppure se non ci sono soluzioni comuni alle due equazioni Esempio 8.3.1. • il sistema ( 2 x + y 2 = −1 x+y =2 è impossibile perché la prima equazione è impossibile • il sistema ( x + 2y = 3 x + 2y = 5 è impossibile perché non ci sono soluzioni comuni alle due equazioni 8.3.2 Sistema determinato Definizione 8.3.2 (Sistema determinato). Un sistema si dice determinato se l’insieme delle soluzioni è finito e non vuoto Esempio 8.3.2. il sistema ( x+y =4 2x + y = 6 è determinato perché S = {(2, 2)} 8.3.3 Sistema indeterminato Definizione 8.3.3 (Sistema indeterminato). Un sistema si dice indeterminato se l’insieme delle soluzioni è infinito Osservazione Un sistema è indeterminato, se una delle equazioni è un’identità indeterminata e l’altra equazione è indeterminata oppure se le due equazioni sono equivalenti e indeterminate Esempio 8.3.3. • il sistema ( 2 x + y 2 + 2xy = (x + y)2 x + 3y = 1 è indeterminato perché la prima equazione è un’identità e la seconda è indeterminata • il sistema ( 2x + 3y = 1 4x + 6y = 2 è indeterminato perché le due equazioni sono equivalenti 304 8.4. PRINCIPI DI EQUIVALENZA DEI SISTEMI 8.3.4 Sistema identico Definizione 8.3.4 (Sistema identico). Un sistema si dice identico se l’insieme delle soluzioni coincide con il dominio Osservazione Un sistema è identico, se entrambe le equazioni sono identità. Esempio 8.3.4. il sistema ( 2 x − y 2 = (x + y) (x − y) x + 2y = x + 2y è identico perché le due equazioni sono entrambe identità. 8.4 Principi di equivalenza dei sistemi Definizione 8.4.1 (Sistemi equivalenti). Due sistemi si dicono equivalenti se hanno lo stesso insieme delle soluzioni La definizione di sistemi equivalenti è utile per la risoluzione di un sistema. Infatti un sistema può essere risolto trasformandolo in uno, ad esso equivalente, più semplice. Per compiere questa operazione, utilizzeremo i seguenti principi di equivalenza. Teorema 8.4.1 (Primo principio di equivalenza). Se in un sistema a una equazione si sostituisce un’equazione ad essa equivalente, si ottiene un sistema equivalente a quello dato. Esempio 8.4.1. Trasformiamo il seguente sistema in un sistema equivalente applicando il primo principio di equivalenza x+2 y−1 + 2y = −1 2 3 x +x+y =x+ y 2 2 Applichiamo i principi di equivalenza a ciascuna delle due equazioni ( 3x + 10y + 14 = 0 x+y =0 Il sistema ottenuto è equivalente a quello dato. Teorema 8.4.2 (Secondo principio di equivalenza: principio di sostituzione). Se in un sistema si ricava un’incognita da un’equazione e si sostituisce l’espressione ottenuta nell’altra equazione, si ottiene un sistema equivalente a quello dato. Esempio 8.4.2. Trasformiamo il seguente sistema in un sistema equivalente applicando il principio di sostituzione ( 3x + 2y = 14 x − 5y + 18 = 0 ricaviamo l’incognita x dalla prima equazione: x = 14 − 2y 3 x − 5y + 18 = 0 Sostituiamo l’espressione ottenuta per l’incognita x nella seconda equazione: 14 − 2y x = 3 14 − 2y − 5y + 18 = 0 3 Il sistema ottenuto è equivalente a quello dato. 305 CAPITOLO 8. SISTEMI DI PRIMO GRADO Teorema 8.4.3 (Terzo principio di equivalenza: principio di combinazione lineare). Se in un sistema si sostituisce un’equazione con una combinazione lineare delle due equazioni che lo costituiscono, si ottiene un sistema equivalente a quello dato. Esempio 8.4.3. Trasformiamo il seguente sistema in un sistema equivalente applicando il principio di combinazione lineare ( 3x + 5y − 12 = 0 4x − 3y + 13 = 0 sostituiamo la prima equazione con la combinazione lineare: 3 (3x + 5y − 12) + 5 (4x − 3y + 13) = 0 29x + 29 = 0 ( 29x + 29 = 0 4x − 3y + 13 = 0 Il sistema ottenuto è equivalente a quello dato. 8.5 Forma normale di un sistema Definizione 8.5.1 (Forma normale). Un sistema si dice in forma normale se è composto da equazioni in forma normale. Esempio 8.5.1. • Il sistema ( 5x − 3y + 2 = 0 2x − 7y + 1 = 0 è in forma normale perché è formato da due equazioni in forma normale • Il sistema ( 3x + 2y − 7x = 2x + y + 1 2x − 7y + 1 = 0 non è in forma normale perché la prima equazione non è in forma normale Un sistema si può trasformare in forma normale, applicando il primo principio di equivalenza dei sistemi. Esempio 8.5.2. Trasformiamo il seguente sistema in forma normale ( 3x + 5 (x + y) + 2y = 2 (x − y) − 1 2x + 3y = 2 + x − y Sostituiamo entrambe le equazioni con equazioni in forma normale ad esse equivalenti: ( 6x + 9y + 1 = 0 x + 4y − 2 = 0 il sistema ottenuto è in forma normale 306 8.6. GRADO DI UN SISTEMA 8.6 Grado di un sistema Definizione 8.6.1 (Grado). Si dice grado di un sistema intero il prodotto dei gradi delle equazioni che lo compongono. Osservazione Per determinarne il grado, è prima necessario trasformare il sistema in forma normale Esempio 8.6.1. • Determiniamo il grado del sistema ( 2 x + 2x − 3y = x2 − 5 2x + 3y = x − 1 la sua forma normale è: ( 2x − 3y + 5 = 0 x + 3y + 1 = 0 le equazioni sono entrambe di primo grado, quindi il sistema è di primo grado • Determiniamo il grado del sistema ( 2 x + xy + 2x + y − 5 = 0 x+y+2=0 il sistema è in forma normale, la prima equazione è di secondo grado, la seconda di primo grado, quindi il sistema è di secondo grado • Determiniamo il grado del sistema ( 3x2 + 2y + 1 = 0 2xy 2 + 3x − y + 2 = 0 il sistema è in forma normale, la prima equazione è di secondo grado, la seconda di terzo grado, quindi il sistema è di sesto grado 8.7 Metodi di risoluzione dei sistemi di primo grado Risolviamo i sistemi numerici interi di primo grado, detti anche sistemi lineari. Tali sistemi sono formati da due equazioni di primo grado in due incognite. Tradizionalmente, invece di quella precedentemente definita, si assume come forma normale di un sistema di primo grado la seguente: ( ax + by = c a0 x + b0 y = c0 con a, b, c, a0 , b0 , c0 ∈ R Per risolvere un sistema di primo grado, lo si trasforma nella forma normale e si analizzano le due equazioni: • se almeno un’equazione è impossibile, il sistema è impossibile • se un’equazione è un’identità e l’altra è indeterminata, il sistema è indeterminato; • se entrambe le equazioni sono identità, il sistema è identico; • in tutti gli altri casi si procede utilizzando uno dei seguenti metodi: sostituzione, riduzione, Cramer. Esempio 8.7.1. 307 CAPITOLO 8. SISTEMI DI PRIMO GRADO • Analizziamo il sistema ( 3x + 2y = 3 + 3x + 2y x + 5y = −x + 1 trasformiamo il sistema nella forma normale: ( 0x + 0y = 3 2x + 5y = 1 la prima equazione è impossibile, quindi il sistema è impossibile e S=∅ • Analizziamo il sistema ( (x + 1)2 + 3y = x2 + 2x + 1 + 3y 2x = 3 + y trasformiamo il sistema nella forma normale: ( 0x + 0y = 0 2x − y = 3 la prima equazione è un’identità e la seconda non è impossibile, quindi il sistema è indeterminato e S = {(x, 2x − 3)} • Analizziamo il sistema 3x + 5y + 3 = 3x + 5y + 3 2x + 1 + 3y = 2x + 1 + 3y 3 3 trasformiamo il sistema nella forma normale: ( 0x + 0y = 0 0x + 0y = 0 entrambe le equazioni sono identità, quindi il sistema è identico e S =R×R • Analizziamo il sistema ( 5x + 2y = x − 3y + 3 2x + y = 3x + 4y + 1 trasformiamo il sistema nella forma normale: ( 4x + 5y = 3 − x − 3y = 1 le equazioni non sono impossibili e non sono identità, quindi il sistema può essere risolto con uno dei metodi presentati in seguito. 308 8.7. METODI DI RISOLUZIONE DEI SISTEMI DI PRIMO GRADO 8.7.1 Metodo di sostituzione Il metodo di sostituzione si basa sul principio di sostituzione e si può utilizzare anche nella risoluzione di sistemi di grado superiore al primo. Per risolvere un sistema in forma normale con il metodo di sostituzione: 1. si ricava un’incognita da un’equazione 2. si sostituisce l’espressione ottenuta nell’altra equazione e la si risolve 3. si sostituisce il valore ricavato al punto 2 nell’espressione dell’altra incognita e la si determina. Osservazione se un’incognita in un’equazione ha come coefficiente 1 o −1, è conveniente ricavare questa incognita Esempio 8.7.2. • Risolviamo con il metodo di sostituzione il sistema ( 2x + y = 7 3x + 2y = 10 Ricaviamo l’incognita y dalla prima equazione: ( y = 7 − 2x 3x + 2y = 10 Sostituiamo l’espressione ottenuta nella seconda equazione e risolviamola: ( y = 7 − 2x 3x + 2(7 − 2x) = 10 ( y = 7 − 2x x=4 Sostituiamo x = 4 nell’espressione dell’altra incognita ed effettuiamo i calcoli: ( y = −1 x=4 Il sistema è determinato e S = {(4, −1)} • Risolviamo con il metodo di sostituzione il sistema ( (x + 2) (x − 3) + 5 (x + 2y) = x2 + 3 2x + 3y = x + 7y − 1 trasformiamo il sistema nella forma normale: ( 4x + 10y = 9 x − 4y = −1 ricaviamo l’incognita x dalla seconda equazione: ( 4x + 10y = 9 x = 4y − 1 sostituiamo l’espressione ottenuta nella prima equazione e risolviamola: ( 4 (4y − 1) + 10y = 9 x = 4y − 1 309 CAPITOLO 8. SISTEMI DI PRIMO GRADO y = 1 2 x = 4y − 1 sostituiamo y = 1 nell’espressione dell’altra incognita ed effettuiamo i calcoli: 2 1 y = 2 1 x = 4 − 1 2 y = 1 2 x=1 il sistema è determinato e ßÅ S= 1, 1 2 ã™ • Risolviamo con il metodo di sostituzione il sistema ( 5x + 3 (x + y) = 2x − 5 2x + 4x + y = −2y + 1 trasformiamo il sistema nella forma normale: ( 6x + 3y = −5 6x + 3y = 1 ricaviamo l’incognita y dalla prima equazione: y = −6x − 5 3 6x + 3y = 1 sostituiamo l’espressione ottenuta nella seconda equazione e risolviamola: −6x − 5 y = 3 −6x − 5 6x + 3 =1 3 y = −6x − 5 3 0x = 6 la seconda equazione è impossibile, quindi il sistema è impossibile e S=∅ Osservazione Analizzando la forma normale del sistema, si può dedurre immediatamente che il sistema è impossibile poiché i due primi membri sono uguali, mentre i secondi membri sono diversi. • Risolviamo con il metodo di sostituzione il sistema ( 2x − 2 (2x − y) = 5y − 1 4x + 2y + 4y = 2 trasformiamo il sistema nella forma normale: ( 2x + 3y = 1 4x + 6y = 2 310 8.7. METODI DI RISOLUZIONE DEI SISTEMI DI PRIMO GRADO ricaviamo l’incognita x dalla prima equazione: x = −3y + 1 2 4x + 6y = 2 sostituiamo l’espressione ottenuta nella seconda equazione e risolviamola: −3y + 1 x = 2 −3y + 1 4 + 6y = 2 2 x = −3y + 1 2 0y = 0 la seconda equazione è un’identità e la prima non è impossibile, quindi il sistema è indeterminato e ßÅ S= −3y + 1 ,y 2 ã™ Osservazione Analizzando il sistema nella forma normale risulta che la seconda equazione si può ottenere dalla prima moltiplicando per 2 ambo i membri e quindi è equivalente alla prima pertanto il sistema è indeterminato. 8.7.2 Metodo di riduzione o della combinazione lineare Il metodo di riduzione è detto anche metodo della combinazione lineare e si basa sul principio di combinazione lineare. Per risolvere un sistema in forma normale con il metodo di riduzione: 1. si moltiplicano entrambi i membri di ciascuna equazione per numeri opportuni, non entrambi nulli, che rendano opposti i coefficienti di un’incognita nelle due equazioni 2. si addizionano membro a membro le due equazioni e si risolve l’equazione ottenuta 3. si ripete il procedimento per determinare l’altra incognita Osservazioni 1. I punti 1 e 2 equivalgono a sostituire un’equazione con una combinazione lineare delle due equazioni assegnate. 2. Per determinare i numeri opportuni, è sufficiente trovare il minimo comune multiplo dei coefficienti dell’incognita, dividerlo per ogni coefficiente e cambiare il segno a uno di essi. 3. Ottenuta una delle due incognite, si può sostituire il suo valore in una delle equazioni e ricavare l’altra incognita Esempio 8.7.3. • Risolviamo con il metodo di riduzione il sistema ( 3x + 2y = 4 3x + y = −1 Nelle due equazioni, l’incognita x ha lo stesso coefficiente, perciò moltiplichiamo per −1 entrambi i membri della seconda equazione: ( 3x + 2y = 4 − 3x − y = 1 311 CAPITOLO 8. SISTEMI DI PRIMO GRADO Addizioniamo membro a membro le due equazioni e risolviamo l’equazione ottenuta ( 3x + 2y = 4 − 3x − y = 1 y =5 Poiché il mcm dei coefficienti della y è 2, moltiplichiamo per 1 la prima equazione e per −2 la seconda: ( 3x + 2y = 4 − 6x − 2y = 2 Addizioniamo membro a membro le due equazioni e risolviamo l’equazione ottenuta: ( 3x + 2y = 4 − 6x − 2y = 2 −3x =6 x = −2 Il sistema è determinato e S = {(−2, 5)} Notiamo che, dopo aver ricavato la y, sostituendo il suo valore nell’altra equazione, si può ottenere il valore della x. • Risolviamo con il metodo di riduzione il sistema 2x + y + x − 4y = 9 3 2 2 (x − 3)2 − x (x − 2) = 3y + 11 Trasformiamo il sistema nella forma normale: ( 7x − 10y = 27 − 4x − 3y = 2 moltiplichiamo entrambi i membri della prima equazione per 4 ed entrambi i membri della seconda per 7: ( 28x − 40y = 108 − 28x − 21y = 14 Addizioniamo membro a membro le due equazioni e risolviamo l’equazione ottenuta: ( 28x − 40y = 108 − 28x − 21y = 14 −61y = 122 y = −2 moltiplichiamo entrambi i membri della prima equazione per −3 ed entrambi i membri della seconda per 10: ( − 21x + 30y = −81 − 40x − 30y = +20 Addizioniamo membro a membro le due equazioni e risolviamo l’equazione ottenuta: ( − 21x + 30y = −81 − 40x − 30y = +20 −61x = −61 x=1 il sistema è determinato e S = {(1, −2)} 312 8.7. METODI DI RISOLUZIONE DEI SISTEMI DI PRIMO GRADO 8.7.3 Matrici e determinanti Prima di esaminare il metodo di Cramer, introduciamo i concetti di matrice quadrata e di determinante. Definizione 8.7.1 (Matrice quadrata). Si dice matrice quadrata n per n o di ordine n una tabella di n2 elementi disposti su n righe e n colonne. Esempio 8.7.4. • Se n = 1, si ha una matrice quadrata del primo ordine costituita da 1 elemento: Ä ä a con a ∈ R • Se n = 2, si ha una matrice quadrata del secondo ordine costituita da 4 elementi: Ç a b c d å con a, b, c, d ∈ R • Se n = 3, si ha una matrice quadrata del terzo ordine costituita da 9 elementi: Ö a b c d e f g h i è con a, b, c, d, e, f, g, h, i ∈ R A ogni matrice quadrata si può associare un numero reale detto determinante. Definizione 8.7.2 (Determinante matrice 1 per 1). Data la matrice Ä ä a il determinante è D = a = a Esempio 8.7.5. Data la matrice Ä −3 ä il determinante è D = −3 = −3 Definizione 8.7.3 (Determinante matrice 2 per 2). Data la matrice Ç a b c d å il determinante è a b D= = ad − bc c d Esempio 8.7.6. Date la matrice Ç 3 5 −2 1 å il determinante è 3 5 D= = 3 + 10 = 13 −2 1 313 CAPITOLO 8. SISTEMI DI PRIMO GRADO Definizione 8.7.4 (Determinante matrice 3 per 3). Data la matrice Ö a b c d e f g h i è il determinante è a D = d g b c e f d f d e e f = a − b + c h i g i g h h i Esempio 8.7.7. Data la matrice è Ö 3 5 0 −2 1 1 −3 0 1 il determinante è 3 5 0 1 1 −2 1 −2 1 D = −2 1 1 = 3 − 5 + 0 = 3 · 1 − 5 · 1 + 0 · 3 = −2 0 1 −3 1 −3 0 −3 0 1 8.7.4 Metodo di Cramer Ad ogni sistema nella forma normale ( ax + by = c a0 x + b0 y = c0 con a, b, c, a0 , b0 , c0 ∈ R, (a, b) 6= (0, 0) ∧ (a0 , b0 ) 6= (0, 0) si associano i determinanti a D= 0 a Dx Dy b = ab0 − a0 b b0 c b = 0 0 = b0 c − bc0 c b a c = 0 0 = ac0 − a0 c a c D è il determinante della matrice dei coefficienti delle incognite; Dx è il determinante della matrice che si ottiene sostituendo, nella matrice dei coefficienti, la colonna dei coefficienti dell’incognita x con la colonna dei termini noti; Dy è il determinante della matrice che si ottiene sostituendo, nella matrice dei coefficienti, la colonna dei coefficienti dell’incognita y con la colonna dei termini noti. Nell’insieme delle soluzioni ottenuto con il metodo di riduzione, possiamo notare che il denominatore del valore di ciascuna incognita è D, il numeratore del valore dell’incognita x è Dx e il numeratore del valore dell’incognita y è Dy . Per risolvere un sistema nella forma normale ( ax + by = c a0 x + b0 y = c0 con a, b, c, a0 , b0 , c0 ∈ R, (a, b) 6= (0, 0) ∧ (a0 , b0 ) 6= (0, 0) con il metodo di Cramer: 1. si calcolano i determinanti D, Dx , Dy 314 8.7. METODI DI RISOLUZIONE DEI SISTEMI DI PRIMO GRADO 2. si analizzano i valori dei determinanti D, Dx , Dy : (a) se D 6= 0, il sistema è determinato e ßÅ S= Dx Dy , D D ã™ (b) se D = 0 ∧ (Dx 6= 0 ∨ Dy 6= 0), il sistema è impossibile e S = ∅ (c) se D = 0 ∧ Dx = 0 ∧ Dy = 0, il sistema è indeterminato Esempio 8.7.8. • Risolviamo con il metodo di Cramer il sistema ( 4x − 3y = 5 − 2x + y = −2 Calcoliamo i determinanti D, Dx , Dy : 4 −3 D= = 4 − 6 = −2 −2 1 5 −3 Dx = = 5 − 6 = −1 −2 1 4 5 Dy = = −8 + 10 = 2 −2 −2 Poiché D 6= 0, si ha −1 1 Dx = = x = −2 D 2 D 2 y = y = = −1 −2 D Il sistema è determinato e ßÅ S= 1 , −1 2 ã™ . • Risolviamo con il metodo di Cramer il sistema 5x + y (2x + 3) = (x + 1) (2y − 3) + 7 3 x + 2y + 5 (x + 2) = y + 25 2 2 Trasformiamo il sistema nella forma normale: ( 8x + y = 4 13x + 2y = 5 Calcoliamo i determinanti D, Dx , Dy : 8 1 D= = 16 − 13 = 3 13 2 4 Dx = 5 8 Dy = 13 1 =8−5=3 2 4 = 40 − 52 = −12 5 315 CAPITOLO 8. SISTEMI DI PRIMO GRADO Poiché D 6= 0, si ha Dx 3 = =1 x = D 3 D −12 y = y = = −4 D 3 Il sistema è determinato e S = {(1, −4)} • Risolviamo con il metodo di Cramer il sistema ( 5x + 3 (x + y) = 2x − 5 2x + 4x + y = −2y + 1 Trasformiamo il sistema nella forma normale: ( 6x + 3y = −5 6x + 3y = 1 Calcoliamo i determinanti D, Dx , Dy : 6 3 D= = 18 − 18 = 0 6 3 −5 3 Dx = = −15 − 3 = −18 1 3 6 −5 Dy = = 6 + 30 = 36 6 1 Poiché D = 0 ∧ Dx 6= 0 il sistema è impossibile e S=∅ • Risolviamo con il metodo di Cramer il sistema ( 2x − 2 (2x − y) = 5y − 1 4x + 2y + 4y = 2 Trasformiamo il sistema nella forma normale: ( 2x + 3y = 1 4x + 6y = 2 Calcoliamo i determinanti D, Dx , Dy : 2 D= 4 1 Dx = 2 2 Dy = 4 3 = 12 − 12 = 0 6 3 =6−6=0 6 1 =4−4=0 2 Poiché D = 0 ∧ Dx = 0 ∧ Dy = 0 il il sistema è indeterminato. Ricaviamo l’incognita x dalla prima equazione 1 − 3y 2 ß ™ 1 − 3y S= ,y 2 Osservazione La seconda equazione del sistema in forma normale si può ottenere dalla prima moltiplicando i due membri per 2, quindi le due equazioni sono equivalenti x= 316 8.8. SISTEMI NUMERICI FRATTI 8.8 Sistemi numerici fratti Consideriamo i sistemi numerici fratti, cioè sistemi in cui almeno una delle equazioni è numerica fratta e l’altra è numerica. Per risolvere questo tipo di sistemi: 1. si scompongono i denominatori di ogni frazione 2. si scrivono le condizioni di esistenza 3. si trasforma il sistema nella forma normale e lo si risolve 4. se la coppia di valori ottenuta non soddisfa le condizioni di esistenza, non è accettabile e il sistema è impossibile Esempio 8.8.1. • Risolviamo il sistema x+3+y 4 = xy + 2y 2y x−1 y =3 scomponiamo il denominatore della prima frazione: x+3+y 4 = y (x + 2) 2y x−1 y =3 scriviamo le condizioni di esistenza: CE: y 6= 0 ∧ x 6= −2 ∧ x 6= 1 trasformiamo il sistema nella forma normale e risolviamolo: ( − 3x + y = 5 − 3x + 2y = −3 x = − 13 3 y = −8 Poiché la coppia di valori soddisfa le condizioni di esistenza, il sistema è determinato ßÅ S= − 13 , −8 3 ã™ • Risolviamo il sistema 2 x + 2 + 5y = 5 y2 − y 2x + 9y + 5 = 0 scomponiamo il denominatore della frazione: 2 x + 2 + 5y = 5 y (y − 1) 2x + 9y + 5 = 0 scriviamo le condizioni di esistenza: CE: y 6= 0 ∧ y 6= 1 317 CAPITOLO 8. SISTEMI DI PRIMO GRADO trasformiamo il sistema nella forma normale e risolviamolo: ( x + 5y = −2 2x + 9y = −5 ( x = −7 y=1 Poiché la coppia di valori non soddisfa le condizioni di esistenza, non è accettabile e il sistema è impossibile e S=∅ 8.9 Sistemi di tre equazioni in tre incognite Ciò che abbiamo visto per le equazioni con due incognite si può estendere alle equazioni con tre o più incognite e i principi di equivalenza, visti per i sistemi con due equazioni, valgono anche per i sistemi con più di due equazioni. La forma normale di un sistema di tre equazioni di primo grado in tre incognite è: ax + by + cz = d a0 x + b0 y + c0 z = d0 con a, b, c, d, a0 , b0 , c0 , d0 , a00 , b00 , c00 , d00 ∈ R a00 x + b00 y + c00 z = d00 Per risolvere questi sistemi si trasformano nella forma normale e si analizzano le tre equazioni: • se almeno un’equazione è impossibile, il sistema è impossibile • se un’equazione è un’identità e il sistema formato dalle altre due è indeterminato, il sistema è indeterminato • se tutte le equazioni sono identità, il sistema è identico. • In tutti gli altri casi si procede utilizzando i metodi visti per i sistemi con due equazioni. Esempio 8.9.1. • Analizziamo il sistema 2x − 5y + z = z + x − 5y + x + 2 2x − y = 3x + z x + 2y = 1 Trasformiamo il sistema nella forma normale: 0x + 0y + 0z = 2 −x−y−z =0 x + 2y = 1 La prima equazione è impossibile, quindi il sistema è impossibile • Analizziamo il sistema 2 2 2 2 (x + y + z) = x + y + z + 2xy + 2xz + 2yz x+y+z =3 2x + z = 1 Trasformiamo il sistema nella forma normale: 0x + 0y + 0z = 0 x+y+z =3 2x + z = 1 La prima equazione è un’identità e il sistema formato dalle altre due è indeterminato, quindi il sistema è indeterminato 318 8.9. SISTEMI DI TRE EQUAZIONI IN TRE INCOGNITE • Analizziamo il sistema 2x + y = 2x + y z+x+2=z+x+2 3y − x + z + 1 = 3y − x + z + 1 Trasformiamo il sistema nella forma normale: 0 = 0 0=0 0 = 0 Tutte le equazioni sono identità, quindi il sistema è identico. • Analizziamo il sistema x + y = 2 2x + 3z = y + 1 x + y = 2z − 4 Trasformiamo il sistema nella forma normale: x + y = 2 2x − y + 3z = 1 x + y − 2z = −4 le equazioni non sono impossibili e non sono identità, quindi il sistema può essere risolto generalizzando i metodi visti per i sistemi con due equazioni. Tra i vari metodi analizziamo il metodo di sostituzione e il metodo di Cramer 8.9.1 Metodo di sostituzione Per risolvere un sistema di tre equazioni in tre incognite nella forma normale con il metodo di sostituzione: 1. si ricava un’incognita da un’equazione 2. si sostituisce l’espressione ottenuta nelle altre equazioni trasformandole in due equazioni in due incognite 3. si risolve il sistema formato dalle due equazioni in due incognite con il metodo desiderato 4. si sostituisce, nell’espressione dell’incognita ricavata, la coppia ottenuta al punto 3 e si ricava l’ulteriore incognita. Esempio 8.9.2. Risolviamo con il metodo di sostituzione il sistema 3x + 2y + 2 (x − z) = 5 2x + y − 3 (x − z) = 3x + z 2z + 2y + 1 = x Trasformiamo il sistema nella forma normale: 5x + 2y − 2z = 5 − 4x + y + 2z = 0 − x + 2y + 2z = −1 319 CAPITOLO 8. SISTEMI DI PRIMO GRADO Ricaviamo l’incognita x dalla terza equazione: 5x + 2y − 2z = 5 − 4x + y + 2z = 0 x = 2y + 2z + 1 Sostituiamo l’espressione ottenuta nelle altre equazioni: 5 (2y + 2z + 1) + 2y − 2z = 5 − 4 (2y + 2z + 1) + y + 2z = 0 x = 2y + 2z + 1 Risolviamo il sistema formato dalle prime due equazioni con il metodo di sostituzione: 12y + 8z = 0 − 7y − 6z = 4 x = 2y + 2z + 1 2z y=− Å 3 ã 2 − 7 − z − 6z = 4 3 x = 2y + 2z + 1 2 y = − 3 · (−3) z = −3 x = 2y + 2z + 1 y = 2 z = −3 x = 2y + 2z + 1 Sostituiamo y = 2 e z = −3 nell’espressione dell’incognita x: y = 2 z = −3 x = 2 · 2 + 2 · (−3) + 1 y = 2 z = −3 x = −1 Il sistema è determinato e S = {(−1, 2, −3)} 8.9.2 Metodo di Cramer Ad ogni sistema nella forma normale ax + by + cz = d a0 x + b0 y + c0 z = d0 a00 x + b00 y + c00 z = d00 si possono associare i determinanti a D = a0 00 a b c b0 c0 b00 c00 320 8.9. SISTEMI DI TRE EQUAZIONI IN TRE INCOGNITE Dx Dy Dz d = d0 00 d a = a0 00 a a = a0 00 a b c b0 c0 b00 c00 d c d0 c0 00 00 d c b d b0 d0 b00 d00 D è il determinante della matrice dei coefficienti delle incognite; Dx , Dy , Dz , sono i determinanti delle matrici che si ottengono sostituendo, nella matrice dei coefficienti, la colonna dei coefficienti dell’incognita con la colonna dei termini noti. Per risolvere un sistema di tre equazioni in tre incognite nella forma normale con il metodo di Cramer: 1. si calcolano i determinanti D, Dx , Dy , Dz 2. si analizzano i valori dei determinanti D, Dx , Dy , Dz : (a) se D 6= 0, il sistema è determinato e ßÅ S= Dx Dy Dz , , D D D ã™ (b) se D = 0 ∧ (Dx 6= 0 ∨ Dy 6= 0 ∨ Dz 6= 0), il sistema è impossibile e S = ∅ (c) se D = 0 ∧ Dx = 0 ∧ Dy = 0 ∧ Dz = 0, il sistema è indeterminato Esempio 8.9.3. Risolviamo, con il metodo di Cramer, il sistema − (x + y) − 5 (2x − z) = 3 − 3x − 2 (x + y − 3z) = 2 + y − 4x + 2y + 1 = 3z Trasformiamo il sistema nella forma normale: − 11x − y + 5z = 3 − 5x − 3y + 6z = 2 − 4x + 2y − 3z = −1 Calcoliamo D, Dx , Dy , Dz : −11 D = −5 −4 Dx Dy Dz 3 = 2 −1 −11 = −5 −4 −11 = −5 −4 −1 5 −3 6 = −38 2 −3 −1 5 −3 6 = −4 2 −3 3 5 2 6 = −52 −1 −3 −1 3 −3 2 = −42 2 −1 321 CAPITOLO 8. SISTEMI DI PRIMO GRADO Poiché D 6= 0, si ha −4 2 Dx = = x= D −38 19 D −52 26 y y= = = D −38 19 D −42 21 z z = = = D −38 19 Il sistema è determinato e ßÅ S= 8.10 2 26 21 , , 19 19 19 ã™ Risoluzione di problemi con sistemi Per risolvere i problemi utilizzando i sistemi di equazioni: 1. si determinano le incognite e le condizioni che devono soddisfare 2. si scrivono i dati e si esprimono in funzione delle incognite 3. si traduce l’enunciato del problema in un sistema 4. si risolve il sistema 5. si controlla se la soluzione soddisfa le condizioni poste Esempio 8.10.1. • Determinare due numeri sapendo che, se al doppio del primo si addiziona il triplo del secondo, si ottiene 33 e, se si moltiplica la differenza tra il primo e il secondo numero per 3, si ottiene 12. Indichiamo con x il primo numero e con y il secondo numero. Traduciamo l’enunciato del problema nel sistema ( 2x + 3y = 33 3 (x − y) = 12 . ( x=9 y=5 . I due numeri pertanto sono 9 e 5. • Il perimetro di un rettangolo è di 60 cm e una dimensione supera l’altra di 6 cm. Determinare le dimensioni del rettangolo. Indichiamo con x la dimensione maggiore e con y l’altra. x e y devono essere numeri reali positivi. Traduciamo l’enunciato del problema nel sistema: ( 2x + 2y = 60 x=y+6 ( x = 18 y = 12 I numeri 18 e 12 soddisfano le condizioni poste, le dimensioni del rettangolo sono 18 cm, 12 cm 322 8.10. RISOLUZIONE DI PROBLEMI CON SISTEMI • Si acquistano quaderni e penne spendendo complessivamente 11 e. Sapendo che il costo di una penna è di 0, 5ee il costo di un quaderno è di 1e, determinare quanti quaderni e quante penne si sono acquistati sapendo che in tutto gli oggetti acquistati sono 14. Indichiamo con x il numero delle penne e con y il numero dei quaderni. x e y devono essere numeri naturali. Traduciamo l’enunciato del problema nel sistema ( 0, 5x + 1y = 11 x + y = 14 ( x=6 y=8 I numeri 6 e 8 soddisfano le condizioni poste, quindi sono stati acquistati 6 penne e 8 quaderni. • In un trapezio isoscele, il cui perimetro è di 24 cm, la base maggiore supera di 1 cm la somma della base minore e del lato obliquo. Il triplo del lato obliquo supera di 1 cm la somma delle due basi. Determinare la misura delle basi e del lato obliquo del trapezio. Indichiamo con x la misura della base maggiore, con y la misura della base minore, con z la misura del lato obliquo. x, y, z devono essere numeri reali positivi. Traduciamo l’enunciato del problema nel sistema x + y + 2z = 24 x=y+z+1 3z = x + y + 1 x = 10 y=4 z = 5 I numeri 10, 4, 5 soddisfano le condizioni poste, quindi la base maggiore è 10 cm, la base minore è 4 cm e il lato obliquo è 5 cm. 323 Capitolo 9 Radicali 9.1 Radice ennesima aritmetica Definizione 9.1.1 (Radice ennesima aritmetica ). Dato un numero naturale n > 0, si dice radice ennesima aritmetica di un numero reale non negativo √ a e si indica con n a quel numero reale non negativo b tale che bn = a. In simboli √ n a = b ⇔ bn = a, con n ∈ N0 , a, b > 0 Il numero n è detto indice, il numero a radicando Osservazioni 1. Dalla definizione data si deduce che la radice aritmetica con indice 1 di a è uguale ad a: quindi in questo caso si omette il simbolo di radice. √ 1 a = a, 2. La radice aritmetica con indice 2 di a è detta radice quadrata e generalmente si scrive senza √ √ indice: 2 a = a. Esempio 9.1.1. √ • 0=0 infatti 02 = 0 • √ n 0=0 infatti 0n = 0 • √ 1=1 infatti 12 = 1 • √ n 1=1 infatti 1n = 1 … • 16 4 = 25 5 infatti Å ã2 4 5 = 16 25 324 9.2. ESTENSIONE IN R DEI RADICALI CON INDICE DISPARI • √ 32 = 3 infatti 32 = 32 • √ 3 125 = 5 infatti 53 = 125 9.2 Estensione in R dei radicali con indice dispari Finora abbiamo considerato i radicali aritmetici: il radicando e la radice ennesima sono numeri reali non negativi. Nel caso di indice dispari si può considerare il caso in cui il radicando è negativo. √ Infatti, mentre non ha√significato −4 perché non esiste nessun numero reale che elevato al quadrato dia −4, si può porre 3 −8 = −2 perché (−2)3 = −8 Definizione 9.2.1 (Radice ennesima). √ Dato un numero naturale n dispari, si dice radice ennesima di un numero reale a e si indica con n a quel numero reale b tale che bn = a. In simboli √ n a = b ⇔ bn = a con n ∈ N0 , dispari Osservazione Per correttezza, per la radice ennesima, sarebbe necessario utilizzare un altro simbolo al fine di non confonderlo con la radice ennesima aritmetica. Utilizziamo lo stesso simbolo considerando la radice ennesima aritmetica se n è pari, e la radice ennesima se n è dispari. Esempio 9.2.1. √ • 3 −64 = −4 infatti (−4)3 = −64 • se n è dispari, √ n −1 = −1 infatti (−1)n = −1 … • 3 − 125 5 =− 27 3 infatti 5 − 3 Å ã3 =− 125 27 Osservazione Se n è dispari, √ √ n −a = − n a Si usa dire che si può trasportare fuori dal simbolo di radice il segno − Il segno − non si può trasportare fuori dal simbolo di radice se l’indice è pari. 325 CAPITOLO 9. RADICALI 9.3 Condizioni di esistenza dei radicali Poiché, se n pari, il radicando non deve essere negativo, se sono presenti delle lettere è necessario scrivere le condizioni di esistenza imponendo che esso sia maggiore o uguale a 0. Esempio 9.3.1. • Determiniamo le condizioni di esistenza del radicale √ a CE: a > 0 • Determiniamo le condizioni di esistenza del radicale √ 3 a+1 Non si scrivono condizioni di esistenza perché l’indice è dispari • Determiniamo le condizioni di esistenza del radicale √ ab CE: ab > 0 • Determiniamo le condizioni di esistenza del radicale √ 4 ab2 CE: a > 0 non si considera il fattore b2 perché b2 > 0 per qualunque valore di b • Determiniamo le condizioni di esistenza del radicale 1 √ a CE: a > 0 infatti deve essere: a > 0 affinché esista il radicale e √ a 6= 0 affinché esista la frazione. • Determiniamo le condizioni di esistenza del radicale p 4 x2 + 2x + 1 = » 4 (x + 1)2 non si scrivono condizioni di esistenza perché (x + 1)2 è > 0 per qualunque valore di x Osservazione In seguito vedremo proprietà e operazioni riguardanti le radici ennesime aritmetiche. Per applicarle alle radici ennesime si deve porre attenzione al segno del radicale e del radicando 9.4 Proprietà invariantiva dei radicali Teorema 9.4.1 (Proprietà invariantiva ). Il valore di un radicale aritmetico non cambia, se il suo indice e l’esponente del radicando si moltiplicano per uno stesso numero naturale diverso da 0. In simboli: √ √ ∀a > 0, ∀m, n, p ∈ N0 , n am = np amp Osservazioni 1. Se l’indice è dispari e il radicando è negativo, si possono moltiplicare indice e esponente del radicando per un numero dispari 326 9.4. PROPRIETÀ INVARIANTIVA DEI RADICALI 2. Se l’indice è dispari e il radicando è negativo, per applicare la proprietà invariantiva con un numero pari, si deve trasportare fuori dal simbolo di radice il segno −. Esempio 9.4.1. • Dato il radicale √ 2 applichiamo la proprietà invariantiva, moltiplicando indice ed esponente per 2 e otteniamo √ √ √ 2·2 4 2= 21·2 = 4 • Dato il radicale √ 3 52 applichiamo la proprietà invariantiva, moltiplicando indice ed esponente per 4 e otteniamo √ √ √ 3·4 12 3 52 = 52·4 = 58 • Dato il radicale √ 4 a scriviamo le condizioni di esistenza CE:a > 0 applichiamo la proprietà invariantiva, moltiplicando indice ed esponente per 3 e otteniamo √ √ √ 4·3 12 4 a= a1·3 = a3 • Dato il radicale √ 5 −3 applichiamo la proprietà invariantiva, moltiplicando indice ed esponente per 3 e otteniamo » √ √ 5 −3 = 5·3 (−3)3 = 15 −27 • Dato il radicale √ 5 −3 traportiamo fuuori dal simbolo di radice il segno − √ 5 − 3 applichiamo la proprietà invariantiva, moltiplicando indice ed esponente per 2 e otteniamo √ √ √ √ 5·2 5 10 5 −3 = − 3 = − 32 = − 9 • Dato il radicale √ a+b scriviamo le condizioni di esistenza CE:a + b > 0 applichiamo la proprietà invariantiva, moltiplicando indice ed esponente per 3 e otteniamo » » √ 2·3 6 a+b= (a + b)1·3 = (a + b)3 Osservazioni √ √ 1. a + b 6= 6 a3 + b3 2. Se il radicando è costituito da più fattori, per applicare la proprietà invariantiva è sufficiente moltiplicare indice ed esponente di ogni fattore per lo stesso numero. 327 CAPITOLO 9. RADICALI 9.5 Riduzione di più radicali allo stesso indice Utilizzando la proprietà invariantiva, è possibile ridurre più radicali allo stesso indice. Ciò è utile per ordinare i radicali e per eseguire le operazioni con essi. Per ridurre due o più radicali allo stesso indice: 1. si scompongono i radicandi 2. si scrivono le eventuali condizioni di esistenza 3. si calcola il mcm degli indici 4. si applica la proprietà invariantiva a ciascun radicale moltiplicando il suo indice e l’esponente del radicando per il quoziente tra il mcm e l’indice. Esempio 9.5.1. • Riduciamo i seguenti radicali allo stesso indice √ √ 3 2, 3 il mcm degli indici è 6; per il primo radicale il quoziente tra 6 e 2 è 3, quindi moltiplichiamo indice ed esponente per 3: √ √ √ 6 6 2 = 23 = 8 per il secondo radicale il quoziente tra 6 e 3 è 2, quindi moltiplichiamo indice ed esponente per 2: √ √ √ 6 3 6 3 = 32 = 9 • Riduciamo i seguenti radicali allo stesso indice √ √ √ 6 10 5 32 , 25 , 53 il mcm degli indici è 30; per il primo radicale il quoziente tra 30 e 5 è 6, quindi moltiplichiamo indice ed esponente per 6: √ √ 5 30 32 = 312 per il secondo radicale il quoziente tra 30 e 6 è 5, quindi moltiplichiamo indice ed esponente per 5: √ √ 6 30 25 = 225 per il terzo radicale il quoziente tra 30 e 10 è 3, quindi moltiplichiamo indice ed esponente per 3: √ √ 10 30 53 = 59 • Riduciamo i seguenti radicali allo stesso indice √ √ 2, 5 −3 il mcm degli indici è 10; per il primo radicale il quoziente tra 10 e 2 è 5, quindi moltiplichiamo indice ed esponente per 5: √ √ √ 10 10 2= 25 = 32 per il secondo radicale il quoziente tra 10 e 5 è 2, quindi prima di applicare la proprietà invariantiva si deve portare fuori il − e poi moltiplicare indice ed esponente per 2: √ √ √ √ 10 10 5 5 −3 = − 3 = − 32 = − 9 328 9.5. RIDUZIONE DI PIÙ RADICALI ALLO STESSO INDICE • Riduciamo i seguenti radicali allo stesso indice √ √ 3 a2 , 5 a il mcm degli indici è 15; per il primo radicale il quoziente tra 15 e 3 è 5, quindi moltiplichiamo indice ed esponente per 5: √ √ 3 15 a2 = a10 per il secondo radicale il quoziente tra 15 e 5 è 3, quindi moltiplichiamo indice ed esponente per 3: √ √ 15 5 a= a3 • Riduciamo i seguenti radicali allo stesso indice √ √ 4 6 a3 b2 , a2 b4 Scriviamo le condizioni di esistenza CE:a > 0 il mcm degli indici è 12; per il primo radicale il quoziente tra 12 e 4 è 3, quindi moltiplichiamo il suo indice e l’esponente di ogni fattore del radicando per 3: √ √ 12 4 a3 b2 = a9 b6 per il secondo radicale il quoziente tra 12 e 6 è 2, quindi moltiplichiamo il suo indice e l’esponente di ogni fattore del radicando per 2: √ √ 6 12 a2 b4 = a4 b8 • Riduciamo i seguenti radicali allo stesso indice p 8 a3 + 3a2 b + 3ab2 + b3 , p 4 a4 + a2 b2 scomponiamo i radicandi: » 8 (a + b)3 ; » 4 a2 (a2 + b2 ) Scriviamo le condizioni di esistenza CE:a + b > 0 il mcm degli indici è 8; per il primo radicale il quoziente tra 8 e 8 è 1, quindi moltiplichiamo indice ed esponente per 1: » 8 (a + b)3 = » 8 (a + b)3 per il secondo radicale il quoziente tra 8 e 4 è 2, quindi moltiplichiamo il suo indice e l’esponente di ogni fattore del radicando per 2: » 4 a2 (a2 + b2 ) = » 8 a4 (a2 + b2 )2 329 CAPITOLO 9. RADICALI 9.6 Ordinamento di radicali numerici Per ordinare più radicali numerici: 1. si riducono i radicali allo stesso indice 2. si confrontano i radicandi Esempio 9.6.1. Disponiamo in ordine crescente i seguenti radicali: √ √ √ √ 4 3 3 2, 5, 2, 4 riduciamo i radicali allo stesso indice: √ √ 12 12 26 = 64 √ √ 12 12 53 = 125 √ √ 12 12 24 = 16 √ √ 12 12 44 = 256 disponiamo i radicali ridotti allo stesso indice in ordine crescente confrontando i radicandi: √ √ √ √ 12 12 12 12 16, 64, 125, 256 quindi i radicali dati in ordine crescente sono: √ √ √ √ 3 4 3 2, 2, 5, 4 Osservazione Se sono presenti dei radicali con indice dispari e radicando negativo, si porta fuori il segno − e si possono confrontare separatemente i radicali positivi e quelli negativi Esempio 9.6.2. Disponiamo in ordine crescente i seguenti radicali: √ √ √ √ 3 2, 3 −5, 2, 5 −7 portiamo fuori il segno − dai radicali con radicando negativo √ √ √ √ 3 3 5 2, − 5, 2, − 7 riduciamo i radicali positivi allo stesso indice: √ √ 6 6 23 = 8 √ √ 6 6 22 = 4 riduciamo i radicali negativi allo stesso indice: √ √ 15 15 − 55 = − 3125 √ √ 15 15 − 73 = − 343 disponiamo i radicali ridotti allo stesso indice in ordine crescente confrontando i radicandi e scrivendo prima quelli negativi: √ √ √ √ 15 15 6 6 − 3125, − 343, 4, 8 quindi i radicali dati in ordine crescente sono: √ √ √ √ 3 3 −5, 5 −7, 2, 2 330 9.7. SEMPLIFICAZIONE DI RADICALI 9.7 Semplificazione di radicali Dalla proprietà invariantiva si deduce che il valore di un radicale aritmetico non cambia, se il suo indice e l’esponente del radicando si dividono per un loro divisore comune. Se il radicando è letterale, nell’eseguire la semplificazione, è necessario mantenere la sua non negatività inserendo eventualmente il valore assoluto. Esempio 9.7.1. √ • x2 = |x| • se n è pari si ha √ n n a = |a| • √ 6 x2 = » 3 |x| Riassumendo, per semplificare un radicale aritmetico: 1. si scompone il radicando 2. si scrivono le eventuali condizioni di esistenza 3. si dividono l’indice e gli esponenti di ogni fattore per un divisore comune 4. si inseriscono eventuali valori assoluti per mantenere la non negatività del radicando Osservazioni √ √ 1. a2 + b2 6= a + b, a2 + b2 non si può semplificare 2. Se l’indice del radicale è dispari non si devono scrivere condizioni di esistenza e inserire valori assoluti Esempio 9.7.2. • Semplifichiamo √ 6 52 dividiamo indice e esponente per 2: √ √ 6 3 52 = 5 • Semplifichiamo √ 12 81 scomponiamo il radicando e dividiamo indice ed esponente per 4: √ √ √ 12 12 3 81 = 34 = 3 • Semplifichiamo √ 14 a2 non scriviamo le condizioni di esistenza perchè a2 non è mai negativo; dividiamo indice e esponente per 2 e inseriamo il valore assoluto perché a può essere negativo: » √ 14 a2 = 7 |a| 331 CAPITOLO 9. RADICALI • Semplifichiamo √ 10 a4 b2 non scriviamo le condizioni di esistenza perchè a4 b2 non è mai negativo; dividiamo l’indice e gli esponenti di ogni fattore per 2, inseriamo il valore assoluto sul fattore b perché b può essere negativo, non inseriamo il valore assoluto sul fattore a perché a2 non è mai negativo: » √ 10 a4 b2 = 5 a2 |b| • Semplifichiamo p a2 + 2ab + b2 scomponiamo il radicando » (a + b)2 non scriviamo le condizioni di esistenza perché (a + b)2 non è mai negativo dividiamo indice ed esponente per 2 e inseriamo il valore assoluto perché a + b può essere negativo:: p a2 + 2ab + b2 = » (a + b)2 = |a + b| • Semplifichiamo p a2 + 1 non scriviamo le condizioni di esistenza perchè a2 + 1 nonè mai negativo il radicale non si può semplificare perché il fattore a2 + 1 ha come esponente 1. • Semplifichiamo √ a4 b3 Scriviamo le condizioni di esistenza CE:b > 0 il radicale non si può semplificare perché non ci sono divisori comuni all’indice e agli esponenti di ogni fattore • Semplifichiamo √ 9 −8 portiamo fuori il segno − √ 9 − 8 scomponiamo il radicando: √ 9 − 23 dividiamo indice e esponente per 3: √ √ 3 9 −8 = − 2 • Semplifichiamo √ 15 a5 non scriviamo le condizioni di esistenza perché l’indice è dispari; dividiamo indice ed esponente per 5: √ √ 15 a5 = 3 a 332 9.8. MOLTIPLICAZIONE DI RADICALI 9.8 Moltiplicazione di radicali Teorema 9.8.1 (Prodotto). Il prodotto di due radicali aritmetici aventi lo stesso indice è il radicale con lo stesso indice che ha come radicando il prodotto dei radicandi. In simboli: √ √ √ n n n a · b = ab con a, b > 0, n ∈ N0 Osservazioni 1. Se gli indici non sono uguali, si riducono i radicali allo stesso indice e si effettua la moltiplicazione. 2. Prima di effettuare la moltiplicazione, se è possibile, può essere utile semplificare i singoli radicali. 3. Se uno degli indici è dispari si deve porre attenzione al segno del prodotto Esempio 9.8.1. • Calcoliamo √ √ √ √ 2· 3= 2·3= 6 • Calcoliamo √ √ a · ab Scriviamo le condizioni di esistenza CE : a > 0 ∧ b > 0 effettuiamo la moltiplicazione: » √ a · (ab) = a2 b • Calcoliamo √ √ √ 3 4 a2 · 3a3 · a2 b Scriviamo le condizioni di esistenza CE : a > 0 ∧ b > 0 riduciamo i radicali allo stesso indice: √ √ √ 12 12 12 a8 · 36 a18 · a6 b3 effettuiamo la moltiplicazione: » √ 12 12 a8 (36 a18 ) (a6 b3 ) = 36 a32 b3 • Calcoliamo √ √ 6 3 a2 b2 · ab3 semplifichiamo il primo radicale: » √ 3 3 |a||b| · ab3 effettuiamo la moltiplicazione: » 3 (|a||b|) (ab3 ) = » 3 a|a||b|b3 333 CAPITOLO 9. RADICALI • Calcoliamo 6 a2 + 2ab + b2 · a3 + a 4 a4 a+b scomponiamo il primo radicando: s 6 (a + b)2 · a (a2 + 1) 4 a4 a+b Scriviamo le condizioni di esistenza CE : a > 0 ∧ a + b > 0 riduciamo i radicali allo stesso indice: à 12 (a + b)4 · a2 (a2 + 1)2 s 12 a12 (a + b)3 effettuiamo la moltiplicazione: à 12 (a + b)4 a12 · = 2 a2 (a2 + 1) (a + b)3 s 12 (a + b) a10 (a2 + 1)2 • Calcoliamo √ √ 3 −2 · 3 trasportiamo fuori il segno −: √ √ 3 − 2· 3 riduciamo i radicali allo stesso indice: √ √ 6 6 − 22 · 33 effettuiamo la moltiplicazione: √ √ 6 6 − 4 · 27 = − 108 9.9 Divisione di radicali Teorema 9.9.1 (Quoziente). Il quoziente di due radicali aritmetici aventi lo stesso indice, con il secondo radicale non nullo, è il radicale con lo stesso indice che ha come radicando il quoziente dei radicandi. In simboli: √ √ √ n n n a : b = a : b con a > 0, b > 0, n ∈ N0 Osservazioni 1. Se gli indici non sono uguali, si riducono i radicali allo stesso indice e si effettua la divisione. 2. Prima di effettuare la divisione, se è possibile, può essere utile semplificare i singoli radicali. 3. Nel caso di divisioni tra più di due radicali, poiché la divisione non gode della proprietà associativa, si devono effettuare le divisioni nell’ordine con cui sono scritte. 4. Molte volte la divisione viene scritta sotto forma di frazione: √ … n a a n √ = n b b 334 9.9. DIVISIONE DI RADICALI 5. Se uno degli indici è dispari si deve porre attenzione al segno del rapporto Esempio 9.9.1. • Calcoliamo √ √ √ √ 8: 2= 8:2= 4=2 • Calcoliamo √ √ a3 : ab2 Scriviamo le condizioni di esistenza CE : a > 0 ∧ b 6= 0 effettuiamo la divisione e semplifichiamo il radicale: a3 = ab2 a a2 = b2 |b| • Calcoliamo √ √ √ 3 6 3a2 : a : 3ab2 Scriviamo le condizioni di esistenza CE : a > 0 ∧ b 6= 0 riduciamo i radicali allo stesso indice: √ √ √ 6 6 6 9a4 : a3 : 3ab2 effettuiamo la divisione tra i primi due radicali: 6 √ √ 9a4 √ 6 2 = 6 9a : 6 3ab2 3ab : a3 effettuiamo la divisione: 6 3 b2 = 6 3 b2 • Calcoliamo √ √ 12 8 a3 b6 : a2 b4 Scriviamo le condizioni di esistenza CE : a > 0 ∧ b 6= 0 semplifichiamo i radicali: √ √ 4 4 ab2 : ab2 effettuiamo la divisione: 4 √ ab2 4 = 1=1 ab2 335 CAPITOLO 9. RADICALI • Calcoliamo 3 a2 + 2a + 1 : a3 4 a2 − 1 : a2 6 a2 − a a+1 scomponiamo i radicandi: s 3 (a + 1)2 : a3 4 (a + 1) (a − 1) : a2 6 a (a − 1) a+1 Scriviamo le condizioni di esistenza CE : a > 0 ∧ (a + 1) (a − 1) > 0 ( a>0 (a + 1)(a − 1) > 0 ( a>0 a < −1 ∨ a > 1 CE : a > 1 riduciamo i radicali allo stesso indice: s 12 (a + 1)8 : a12 s 12 à (a + 1)3 (a − 1)3 : a6 12 a2 (a − 1)2 (a + 1)2 effettuiamo la prima divisione s 12 s 12 3 (a + 1) (a + 1) (a − 1) : : a12 a6 (a + 1)8 a6 · : a12 (a − 1)3 (a + 1)3 à 12 3 8 5 (a + 1) : 6 a (a − 1)3 à 12 à 12 à 12 a2 (a − 1)2 = (a + 1)2 a2 (a − 1)2 = (a + 1)2 a2 (a − 1)2 (a + 1)2 effettuiamo la divisione: à 12 à 12 à 12 (a + 1)5 a2 (a − 1)2 : = a6 (a − 1)3 (a + 1)2 (a + 1)5 (a + 1)2 · = a6 (a − 1)3 a2 (a − 1)2 (a + 1)7 a8 (a − 1)5 • Calcoliamo √ √ 6 5 −3 : 3 trasportiamo fuori il segno −: √ √ 5 6 − 3: 3 riduciamo i radicali allo stesso indice: √ √ 30 30 − 36 : 35 effettuiamo la divisione: √ √ 30 30 − 36 : 35 = − 3 336 9.10. TRASPORTO DI UN FATTORE DENTRO IL SEGNO DI RADICE • Calcoliamo » 7 x5 y 6 : » 3 xy 2 Scriviamo le condizioni di esistenza CE : x 6= 0 ∧ y 6= 0 riduciamo i radicali allo stesso indice: » 21 x15 y 18 : » 21 x7 y 14 effettuiamo la divisione: » 21 9.10 x8 y 4 Trasporto di un fattore dentro il segno di radice Per trasportare un fattore non negativo dentro il segno di radice lo si eleva all’indice della radice. Osservazioni 1. Se l’indice è pari e il fattore da trasportare dentro è negativo, si trasporta dentro il suo opposto, mantenendo il segno − davanti al radicale. 2. Se l’indice è dispari ai possono trasportare dentro fattori positivi e negativi. 3. Si possono trasportare dentro solo i fattori e non i termini Esempio 9.10.1. • Dato il radicale √ 2 3 trasportiamo dentro il segno di radice il fattore 2 elevandolo al quadrato: √ √ √ 2 3 = 22 · 3 = 12 • Dato il radicale √ 3 3 2 trasportiamo dentro il segno di radice il fattore 3 elevandolo al cubo: √ √ √ 3 3 3 3 2 = 33 · 2 = 54 • Dato il radicale √ −5 7 poiché l’indice è pari e il fattore è negativo, trasportiamo dentro il segno di radice il suo opposto, cioè 5, elevandolo al quadrato e mantenendo il segno − davanti al radicale: √ √ √ −5 7 = − 52 · 7 = − 175 • Dato il radicale √ a2 3 poiché il fattore a2 è positivo o nullo, trasportiamolo dentro il segno di radice elevandolo al quadrato: √ √ a2 3 = 3a4 337 CAPITOLO 9. RADICALI • Dato il radicale √ b b Scriviamo le condizioni di esistenza CE : b > 0 poiché la non negatività del fattore b è garantita dalla condizioni di esistenza, trasportiamolo dentro il segno di radice elevandolo al quadrato: √ √ √ b b = b2 b = b3 • Dato il radicale √ 3 −2 2 il fattore è negativo, ma, poiché l’indice dispari, può essere trasportato dentro il segno di radice; trasportiamolo dentro elevandolo al cubo: » 3 (−2)3 2 = √ 3 √ 3 −16 = − 16 • Dato il radicale √ x5a non scriviamo le condizioni di esistenza perché l’indice è dispari; trasportiamo dentro il segno di radice il fattore x elevandolo alla quinta (non si devono considerare i due casi perché essendo l’indice dispari si possono trasportare sotto radice anche fattori negativi: √ √ 5 x 5 a = ax5 • Dato il radicale x+ √ y Scriviamo le condizioni di esistenza CE : y > 0 x non si può trasportare dentro il segno di radice perché non è un fattore ma un termine. 9.11 Trasporto di un fattore fuori dal segno di radice Abbiamo visto che è sempre possibile trasportare un fattore dentro il segno di radice aritmetica; in alcuni casi è possibile effettuare l’operazione inversa, cioè trasportare un fattore fuori dal segno di radice. Per effettuare questa operazione, l’esponente del fattore da trasportare fuori dal segno di radice aritmetica deve essere maggiore o uguale dell’indice della radice. Consideriamo due casi: 1. Se l’esponente è multiplo dell’indice di radice cioè m = np, si ha √ √ √ √ √ n m n n n a b = apn b = n apn · b = ap · b, con a, b > 0, n, p, m ∈ N0 , m multiplo di n Quindi per trasportare fuori dal segno di radice aritmetica un fattore con esponente multiplo dell’indice, si divide l’esponente per l’indice. 338 9.11. TRASPORTO DI UN FATTORE FUORI DAL SEGNO DI RADICE 2. Se l’esponente è maggiore, ma non multiplo dell’indice, si divide l’esponente per l’indice ottenendo un quoziente e un resto cioè m = qn + r con r < n, dove m è l’esponente del radicando, q è il quoziente, n è l’indice della radice ed r è il resto. √ √ √ √ √ √ n n m n n n a b = aqn+r b = aqn ar b = n aqn · ar b = aq · ar b con a, b > 0, m, n, q, r ∈ N0 , m > n In questo caso, dopo il trasporto, il fattore compare fuori e dentro la radice. Quindi per trasportare fuori dal segno di radice aritmetica un fattore con esponente non multiplo dell’indice, si divide l’esponente per l’indice: il quoziente è l’esponente del fattore esterno, il resto è l’esponente del fattore interno. Osservazioni 1. Prima di trasportare un fattore fuori dal segno di radice si deve scomporre il radicando 2. Nel caso di indice pari, prima di trasportare un fattore fuori dal segno di radice si devono scrivere le opportune condizioni di esistenza e, dopo il trasporto, si devono inserire eventuali valori assoluti per mantenere la non negatività del radicale. 3. Nel caso di indice dispari non si devono scrivere condizioni di esistenza e non si devono inserire valori assoluti 4. Nel caso di indice dispari si può trasportare fuori il segno − 5. Si possono trasportare fuori solo i fattori e non i termini Esempio 9.11.1. • Dato il radicale √ 18 scomponiamo il radicando √ 2 · 32 trasportiamo fuori dal segno di radice il fattore 3, il suo esponente è multiplo dell’indice, quindi dividiamo 2 per 2 ottenendo quoziente 1: √ √ √ 18 = 2 · 32 = 3 2 • Dato il radicale √ 128 scomponiamo il radicando: √ 27 essendo l’esponente maggiore dell’indice dividiamo l’esponente 7 per l’indice 2 ottenendo quoziente 3 e resto 1: √ √ √ √ 128 = 27 = 23 2 = 8 2 • Dato il radicale √ 3 81 scomponiamo il radicando: √ 3 34 trasportiamo fuori il fattore 3: dividiamo l’esponente 4 per l’indice 3 ottenendo quoziente 1 e resto 1: √ √ √ 3 3 3 81 = 34 = 3 3 339 CAPITOLO 9. RADICALI • Dato il radicale √ 3 a5 b8 c12 Poiché l’indice è dispari non scriviamo condizioni di esistenza. Trasportiamo fuori il fattore a: dividiamo l’esponente 5 per l’indice 3 ottenendo quoziente 1 e resto 2: √ 3 a a2 b8 c12 trasportiamo fuori il fattore b: dividiamo l’esponente 8 per l’indice 3 ottenendo quoziente 2 e resto 2: √ 3 ab2 a2 b2 c12 trasportiamo fuori il fattore c: il suo esponente è multiplo dell’indice, quindi dividiamo 12 per 3 ottenendo quoziente 4: √ √ √ √ 3 3 3 3 a5 b8 c12 = a a2 b8 c12 = ab2 a2 b2 c12 = ab2 c4 a2 b2 Poiché l’indice è dispari non inseriamo valori assoluti . • Dato il radicale √ 4 a12 b9 Scriviamo le condizioni di esistenza CE : b > 0 trasportiamo fuori il fattore a: il suo esponente è multiplo dell’indice, quindi dividiamo 12 per 4 ottenendo quoziente 3 e per mantenere la positività inseriamo il valore assoluto √ 4 |a|3 b9 trasportiamo fuori il fattore b: dividiamo l’esponente 9 per l’indice 4 ottenendo quoziente 2 e resto 1 (la positività di b è assicurata dalla condizioni di esistenza): √ 4 √ 4 a12 b9 = |a|3 b2 b • Dato il radicale p a3 + 3a2 + 3a + 1 scomponiamo il radicando: » (a + 1)3 Scriviamo le condizioni di esistenza CE : a + 1 > 0 CE : a > −1 trasportiamo fuori il fattore a + 1: dividiamo l’esponente 3 per l’indice 2 ottenendo quoziente 1 e resto 1: p a3 + 3a2 + 3a + 1 = » (a + 1)3 = (a + 1) √ a+1 340 9.12. ELEVAMENTO A POTENZA • Dato il radicale √ 3 −625 scomponiamo il radicando: p 3 −54 trasportiamo fuori il −: √ 3 − 54 trasportiamo fuori il fattore 5: √ √ 3 3 −625 = −5 5 • Dato il radicale √ 5 a6 b9 Poiché l’indice è dispari non scriviamo condizioni di esistenza. Trasportiamo fuori dal segno di radice i fattori a e b √ √ 5 5 a6 b9 = ab ab4 Poiché l’indice è dispari non inseriamo valori assoluti . • Dato il radicale p a2 + b Scriviamo le condizioni di esistenza CE : a2 + b > 0 a2 non si può trasportare fuori perché non è un fattore ma un termine. 9.12 Elevamento a potenza Teorema 9.12.1 (Potenza). La potenza di un radicale aritmetico è un radicale con lo stesso indice che ha come radicando il radicando elevato all’esponente. In simboli: Ä √ äm √ n a = n am con a > 0, m, n ∈ N0 Osservazioni 1. a > 0 allora: Ä √ ä0 n a = 1; 2. Se a > 0, allora: √ Ä √ ä−m n n a = a−m 3. Se l’indice è dispari non si devono porre condizioni di esistenza per la radice Esempio 9.12.1. • Calcoliamo √ ä3 Ä√ √ 5 5 5 2 = 23 = 8 341 CAPITOLO 9. RADICALI • Calcoliamo Ä√ ä3 a3 b2 Scriviamo le condizioni di esistenza CE : a > 0 calcoliamo la potenza: » (a3 b2 )3 = √ a9 b6 trasportiamo fuori i fattori: a4 |b|3 √ a • Calcoliamo Ä√ ä3 8 a2 b16 semplifichiamo il radicale: » 4 |a| b8 3 calcoliamo la potenza: » 4 (|a| b8 )3 = » 4 |a|3 b24 trasportiamo fuori il fattore b: b6 » 4 |a|3 • Calcoliamo 6 x2 − x a2 !2 scomponiamo il radicando: 6 x (x − 1) a2 !2 Scriviamo le condizioni di esistenza CE : x (x − 1) > 0 ∧ a 6= 0 CE : (x 6 0 ∨ x > 1) ∧ a 6= 0 calcoliamo la potenza: à 6 Ç x (x − 1) a2 å2 semplifichiamo il radicale: 3 x (x − 1) a2 342 9.13. RADICE DI RADICE • Calcoliamo s 5 x4 y 3 (x + 1)2 !−3 Scriviamo le condizioni di esistenza CE : y 6= 0 ∧ x 6= −1 ∧ x 6= 0 Poiché l’indice è dispari non scriviamo condizioni di esistenza per la radice calcoliamo la potenza: Ã Ç 5 à ñ å−3 x4 y 3 = (x + 1)2 5 (x + 1)2 x4 y 3 ô3 s = 5 (x + 1)6 x12 y 9 trasportiamo fuori i fattori: (x + 1) x2 y 5 x+1 x2 y 4 • Calcoliamo » Ä√ ä3 √ √ 7 7 7 −2 = (−2)3 = 7 −8 = − 8 • Calcoliamo Ä√ ä4 5 a2 x3 non scriviamo le condizioni di esistenza perché l’indice è dispari; calcoliamo la potenza: » 5 (a2 x3 )4 = √ 5 a8 x12 trasportiamo fuori dal segno di radice i fattori a e x2 : Ä√ 5 a2 x3 9.13 ä4 √ 5 = ax2 a3 x2 Radice di radice Teorema 9.13.1 (Radice). La radice aritmetica di un radicale aritmetico è un radicale che ha come indice il prodotto degli indici e come radicando lo stesso radicando. In simboli: »√ √ p n a = np a con a > 0, n, p ∈ N0 Osservazioni 1. Se è presente un fattore fuori dalla radice interna, lo si trasporta dentro. 2. Se entrambi gli indici sono dispari non si devono porre condizioni di esistenza per la radice Esempio 9.13.1. • Calcoliamo »√ 2 moltiplichiamo gli indici: »√ 2= √ 4 2 343 CAPITOLO 9. RADICALI • Calcoliamo q» 3 √ 4 5 moltiplichiamo gli indici: q» 3 √ 4 5= √ 24 5 • Calcoliamo »√ 6 3 a Scriviamo le condizioni di esistenza CE : a > 0 moltiplichiamo gli indici: »√ √ 6 3 a = 18 a • Calcoliamo » √ 3 3 2 trasportiamo il fattore 3 dentro la radice interna e moltiplichiamo gli indici: » √ »√ √ 3 3 6 3 2= 54 = 54 • Calcoliamo » √ 5 3 a4 b Poiché entrambi gli indici sono dispari non scriviamo le condizioni di esistenza trasportiamo il fattore a4 dentro la radice interna e moltiplichiamo gli indici »√ » √ √ 5 3 5 15 3 a4 b = a12 b = a12 b • Calcoliamo »√ 3 5 −3 moltiplichiamo gli indici: »√ √ √ 3 5 15 −3 = 15 −3 = − 3 • Calcoliamo q 5 x2 » 7 y3 non scriviamo le condizioni di esistenza perché entrambi gli indici sono dispari, trasportiamo il fattore x2 dentro il radicale interno: q» 5 7 x14 y 3 moltiplichiamo gli indici: q 5 x2 » 7 y3 = » 35 x14 y 3 • Calcoliamo » √ x+ y Scriviamo le condizioni di esistenza √ CE : y > 0 ∧ x + y > 0 x non si può trasportare dentro perché non è un fattore ma un termine, quindi non si può applicare la regola della radice di radice. 344 9.14. RADICALI SIMILI 9.14 Radicali simili Vediamo ora il concetto di radicali simili che è utile per l’addizione di radicali. Definizione 9.14.1 (Radicali simili). Due radicali aritmetici si dicono simili se hanno lo stesso indice e lo stesso radicando. Dalla definizione data segue che due radicali simili sono uguali o differiscono per un fattore esterno dopo avere eventualmente trasportato fuori dal segno di radice i fattori possibili. Il fattore esterno si dice anche coefficiente del radicale Esempio 9.14.1. • I radicali √ √ 2 3, 5 3 sono simili perché hanno lo stesso indice e lo stesso radicando • I radicali √ √ 3ab, 2 3ab CE : ab > 0 sono simili perché hanno lo stesso indice e lo stesso radicando • I radicali √ √ 3 3 a2 , a8 √ 3 sono simili perché nel secondo radicale, trasportando fuori il fattore a, si ottiene a2 a2 che ha lo stesso indice e lo stesso radicando del primo radicale • I radicali √ √ 2, 3 non sono simili perché non hanno lo stesso radicando • I radicali √ √ 3 2, 2 non sono simili perché non hanno lo stesso indice. 9.15 Addizione algebrica di radicali Consideriamo ora l’addizione algebrica, cioè l’addizione o la sottrazione di radicali. Il risultato dell’addizione algebrica si dice somma algebrica. Teorema 9.15.1 (Somma algebrica). La somma algebrica di due radicali aritmetici simili è il radicale simile ai radicali dati che ha come coefficiente la somma algebrica dei coefficienti. Osservazioni 1. Se i radicali non sono simili, la loro somma algebrica si indica scrivendo i radicali uno accanto all’altro, separati dai segni + o −. 2. Se, in una somma algebrica di radicali, alcuni sono simili e altri no, quelli simili si addizionano tra di loro. 345 CAPITOLO 9. RADICALI 3. Se l’indice è dispari non si devono porre condizioni di esistenza per la radice Esempio 9.15.1. • Calcoliamo √ √ 2+3 2 i radicali sono simili, sommiamo i coefficienti: √ √ √ √ 2 + 3 2 = (1 + 3) 2 = 4 2 • Calcoliamo √ √ 12 − 3 scomponiamo il primo radicando e trasportiamo fuori i fattori possibili: √ √ 2 3− 3 i radicali sono simili, sottraiamo i coefficienti: √ √ √ 12 − 3 = 3 • Calcoliamo √ √ √ 3 3 3 a a2 − 5a a2 + 8a a2 i radicali sono simili, sommiamo i coefficienti: √ √ √ √ 3 3 3 3 a a2 − 5a a2 + 8a a2 = 4a a2 • Calcoliamo √ √ √ √ 12 + 18 + 2 − 3 scomponiamo i radicandi e trasportiamo fuori i fattori possibili: √ √ √ √ 2 3+3 2+ 2− 3 sommiamo tra loro i radicali simili: √ √ √ √ √ √ 12 + 18 + 2 − 3 = 3 + 4 2 • Calcoliamo √ √ √ √ 3 3 3 16 + 3 −16 + 2 − 3 2 scomponiamo i radicandi e trasportiamo fuori dal segno di radice eventuali fattori: √ √ √ √ 3 3 3 3 2 2−2 2+ 2−3 2 sommiamo tra loro i radicali simili: √ √ √ √ √ 3 3 3 3 16 + 3 −16 + 2 − 3 2 = −2 2 • Calcoliamo p √ √ √ 3 −2 3 a + 3 −a4 + a 3 a − 5 3 −8a non scriviamo le condizioni di esistenza perché gli indici sono dispari e trasportiamo fuori dal segno di radice eventuali fattori: √ √ √ √ −2 3 a − 3a 3 a + a 3 a + 10 3 a sommiamo tra loro i radicali simili: p √ √ √ √ √ √ 3 −2 3 a + 3 −a4 + a 3 a − 5 3 −8a = 8 3 a − 2a 3 a = 2 (4 − a) 3 a 346 9.16. RAZIONALIZZAZIONE DEI DENOMINATORI Osservazione √ √ a+ b 6= √ a+b Infatti √ √ 64 + 36 = 8 + 6 = 14 √ √ 64 + 36 = 100 = 10 quindi √ √ √ 64 + 36 6= 64 + 36 9.16 Razionalizzazione dei denominatori Le frazioni con radicali si possono trasformare in frazioni in cui i radicali compaiono solo al denominatore o solo al numeratore. Questa operazione si dice razionalizzazione. Effettueremo la razionalizzazione del denominatore. Per ottenere frazioni senza radicali al denominatore, si applica la proprietà invariantiva delle frazioni. Consideriamo alcuni casi. 9.16.1 Primo caso: il denominatore è una radice quadrata In questo caso per razionalizzare il denominatore si moltiplicano numeratore e denominatore per la radice stessa. In simboli: √ √ √ a a b a b a b √ = √ · √ = Ä√ ä2 = b b b b b con b > 0 Osservazione Se al denominatore è presente un fattore esterno, nella razionalizzazione si moltiplica solo per la radice Esempio 9.16.1. • Razionalizziamo il denominatore della frazione 2 √ 2 moltiplichiamo numeratore e denominatore per √ √ √ 2 2 2 2 √ · √ = Ä√ ä2 = 2 2 2 2 √ 2 ed effettuiamo i calcoli: • Razionalizziamo il denominatore della frazione 3 √ a Scriviamo le condizioni di esistenza CE : a > 0 moltiplichiamo numeratore e denominatore per √ √ √ 3 a 3 a 3 a √ ·√ = √ 2 = a a a ( a) • Razionalizziamo il denominatore della frazione 5 √ 2 3 moltiplichiamo numeratore e denominatore per √ √ √ 5 3 5 3 5 3 √ · √ = Ä√ ä2 = 6 2 3 3 2 3 347 √ √ a ed effettuiamo i calcoli: 3 ed effettuiamo i calcoli: CAPITOLO 9. RADICALI 9.16.2 Secondo caso: il denominatore è una radice ennesima In questo caso, se l’esponente del radicando è minore dell’indice, si moltiplicano numeratore e denominatore per un radicale con lo stesso indice e con esponente uguale alla differenza tra l’indice e l’esponente; se l’esponente è maggiore dell’indice si trasporta un fattore fuori dal segno di radice. In simboli: √ √ √ √ n n−m n n n a a b a bn−m a bn−m a bn−m √ √ √ √ √ = · = = = n n−m n m+n−m n m n m n n b b b b b b con b > 0, m, n ∈ N0 , m < n Osservazioni 1. In questo caso non si deve moltiplicare per la radice stessa 2. Se l’indice è dispari non si scrivono le condizioni di esistenza per la radice Esempio 9.16.2. • Razionalizziamo il denominatore della frazione 2 √ 3 2 moltiplichiamo numeratore e denominatore per √ √ √ 3 2 3 3 √ 2 2 2 22 2 22 3 √ √ √ · = 4 = = 3 2 3 3 3 2 2 2 2 √ 3 22 ed effettuiamo i calcoli: • Razionalizziamo il denominatore della frazione 3 √ 4 32 essendo 32 = 25 trasportiamo 2 fuori dal segno di radice: 3 √ 4 2 2 moltiplichiamo numeratore e denominatore per √ √ √ 4 4 3 2 3 3 23 348 √ ·√ = √ = 4 4 2 4 2 4 23 2 24 √ 4 23 ed effettuiamo i calcoli: • Razionalizziamo il denominatore della frazione x √ 5 x3 Scriviamo le condizioni di esistenza CE : x 6= 0 moltiplichiamo numeratore e denominatore per √ √ √ 5 5 5 √ x x2 x x2 x x2 5 √ √ √ · = = = x2 5 5 5 3 2 5 x x x x √ 5 x2 ed effettuiamo i calcoli: • Razionalizziamo il denominatore della frazione 1 √ 3 x2 Scriviamo le condizioni di esistenza CE: x 6= 0 moltiplichiamo numeratore e denominatore per √ √ √ 3 3 3 1 1 x x x √ √ √ √ = · = = 3 3 3 3 x x x2 x2 x3 348 √ 3 x ed effettuiamo i calcoli: 9.16. RAZIONALIZZAZIONE DEI DENOMINATORI 9.16.3 Terzo caso: il denominatore è una somma o differenza di due radicali quadratici In questo caso, se al denominatore compare la somma di radicali quadratici, si moltiplicano numeratore e denominatore per la differenza dei due radicali; se compare la differenza di radicali quadratici, si moltiplica per la loro somma. In questo modo, al denominatore si ottiene il prodotto notevole somma per differenza. Ä√ Ä√ √ ä √ ä √ √ a b− c a b− c a b− c a √ √ =√ √ ·√ √ = Ä√ ä2 √ 2 = b−c b+ c b+ c b− c b − ( c) con b > 0 ∧ c > 0 ∧ b 6= c Ä√ Ä√ √ ä √ ä √ √ a b+ c a b+ c a a b+ c √ √ =√ √ ·√ √ = Ä√ ä2 √ 2 = b−c b− c b− c b+ c b − ( c) con b > 0 ∧ c > 0 ∧ b 6= c Osservazioni 1. In questo caso non si deve moltiplicare per il denominatore stesso 2. Il procedimento si può applicare anche quando uno dei due termini al denominatore non è un radicale; inoltre se compaiono coefficienti davanti ai radicali occorre tenerne conto. Esempio 9.16.3. • Razionalizziamo il denominatore della frazione 5 √ √ 2+ 3 √ √ moltiplichiamo numeratore e denominatore per 2 − 3 ed effettuiamo i calcoli: Ä√ Ä√ √ ä √ ä √ √ Ä√ √ ä 5 2− 3 5 2− 3 5 2− 3 √ √ ·√ √ = Ä√ ä2 Ä√ ä2 = = −5 2 − 3 2−3 2+ 3 2− 3 2 − 3 • Razionalizziamo il denominatore della frazione 1 √ 2− 3 √ moltiplichiamo numeratore e denominatore per 2 + 3 ed effettuiamo i calcoli: √ √ √ √ 2+ 3 2+ 3 1 2+ 3 √ · √ = =2+ 3 Ä√ ä2 = 4−3 2− 3 2+ 3 22 − 3 • Razionalizziamo il denominatore della frazione 3 √ √ 2 3+ 5 √ √ moltiplichiamo numeratore e denominatore per 2 3 − 5 ed effettuiamo i calcoli: Ä √ Ä √ Ä √ √ ä √ ä √ ä √ √ 3 2 3− 5 3 2 3− 5 3 2 3− 5 3 2 3− 5 √ √ · √ √ = Ä √ ä2 Ä√ ä2 = = 12 − 5 7 2 3+ 5 2 3− 5 2 3 − 5 • Razionalizziamo il denominatore della frazione a √ √ 2 a − 5b Scriviamo le condizioni di esistenza CE : a > 0 ∧ b > 0 ∧ 4a 6= 5b √ √ moltiplichiamo numeratore e denominatore per 2 a + 5b ed effettuiamo i calcoli: Ä √ Ä √ √ ä √ ä √ √ a 2 a + 5b a 2 a + 5b a 2 a + 5b √ · √ √ = √ √ Ä√ ä2 = 2 4a − 5b 2 a − 5b 2 a + 5b (2 a) − 5b 349 CAPITOLO 9. RADICALI 9.17 Espressioni con i radicali Per semplificare un’espressione contenente radicali: 1. si scompongono i radicandi 2. si scrivono le condizioni di esistenza di ogni radicale; 3. si semplifica ogni radicale; 4. si calcolano le potenze; 5. si calcolano le radici di radici; 6. si effettuano le moltiplicazioni e le divisioni; 7. si trasportano fuori dal segno di radice i fattori possibili; 8. si effettuano le addizioni e le sottrazioni; 9. si razionalizza il denominatore. Esempio 9.17.1. • Semplifichiamo l’espressione Å» √ ã2 » √ » √ √ 6 12 4 x 2x : x4 + x x18 − x 4 x6 Scriviamo le condizioni di esistenza CE : x > 0 semplifichiamo i radicali: Å» √ ã2 »√ » √ √ 3 x 2x : x2 + x x3 − x 22 x3 √ trasportiamo il fattore x dentro la radice 2x nella parentesi, calcoliamo la radice di radice del secondo termine e, nel terzo, trasportiamo dentro la radice il fattore 22 : Å»√ ã2 »√ √ √ 3 4 3 2 3 2x : x +x x −x 24 x3 eseguiamo la divisione nella parentesi e la radice di radice nel terzo termine: Å» √ ã2 √ √ 6 4 4 3 5 2 x + x x3 − x 24 x3 calcoliamo la radice di radice nella parentesi e trasportiamo fuori il fattore 2 dal terzo radicale: √ √ √ Ä 12 ä2 4 4 23 x5 + x x3 − 2x x3 calcoliamo la potenza: √ √ √ 4 4 12 26 x10 + x x3 − 2x x3 semplifichiamo il primo radicale: √ √ √ 6 4 4 23 x5 + x x3 − 2x x3 addizioniamo i radicali simili e otteniamo: √ √ 6 4 8x5 − x x3 • Semplifichiamo l’espressione √ √ √ √ √ √ √ √ √ ( 2 + 3)2 + ( 2 + 5)( 2 − 5) − 3( 2 + 12) √ √ 2+3+2 6+2−5− 6−6 √ 6−4 350 9.18. SCOMPOSIZIONE DEI POLINOMI CON I RADICALI 9.18 Scomposizione dei polinomi con i radicali Esempio 9.18.1. • Scomponiamo il polinomio x2 − 5 x2 − 5 = (x + √ 5)(x − √ 5) • Scomponiamo il polinomio 2x2 − 9 √ √ 2x2 − 9 = ( 2x − 3)( 2x + 3) √ • Scomponiamo il polinomio x2 − 2 3x + 3 √ √ x2 − 2 3x + 3 = (x − 3)2 • Scomponiamo il polinomio 2x + 2x + √ 2= √ 2 √ √ 2( 2x + 1) Osservazione Nell’ultimo esempio non si è effettuata una scomposizione, ma si sono utilizzate le proprietà dei radicali per scrivere in un altro modo il polinomio. 9.19 Equazioni con coefficienti irrazionali Esempio 9.19.1. • Risolviamo l’equazione √ √ 2(x + 1) = 6 √ √ √ x 2+ 2= 6 √ √ √ x 2= 6− 2 √ √ √ √ 6− 2 2( 3 − 1) √ √ √ x= = = 3−1 2 2 L’equazione è determinata S= ¶√ © 3−1 • Risolviamo l’equazione √ (x − 1) 2 + x − 3 = 0 √ √ x 2− 2+x−3=0 √ √ x( 2 + 1) = 2 + 3 √ √ √ √ √ √ 2+3 2+3 2−1 2− 2+3 2−3 √ x= √ =√ = =2 2−1 2−1 2+1 2+1 2−1 L’equazione è determinata © ¶ √ S = 2 2−1 351 CAPITOLO 9. RADICALI 9.20 Sistemi con coefficienti irrazionali Esempio 9.20.1. Risolviamo il sistema √ √ ( x+y = 5− 2 √ √ 5x + 2y = 0 Calcoliamo i determinanti D, Dx , Dy : √ 1 √ 1 √ √ = 2 − 5 D= 5 2 √ 5 − √2 1 √ √ √ √ = 2( 5 − 2) Dx = 0 2 √ √ 1 √ √ √ 5 − 2 √ Dy = = − 5( 5 − 2) 5 0 Poiché D 6= 0, si ha √ √ √ √ Dx 2( 5 − 2) √ √ =− 2 x = D = 2− 5 √ √ √ D − 5( 5 − 2) √ y = y = √ √ = 5 D 2− 5 Il sistema è determinato e ¶Ä √ √ ä© S = − 2, 5 . 9.21 Radicali doppi Si dice radicale doppio l’espressione » a± √ b Se si riesce a scomporre il radicando della radice esterna come quadrato di binomio, è possibile semplicare il radicale doppio. Esempio 9.21.1. » √ √ 11 + 6 2 = 9 + 2 + 6 2 = » 9.22 … Ä 3+ √ ä2 √ 2 =3+ 2 I radicali come potenze con esponente razionale Definizione 9.22.1 (Potenza con esponente razionale). La potenza di un numero reale non negativo con esponente razionale positivo è uguale a un radicale che ha come indice il denominatore dell’esponente e come radicando il numero reale elevato al numeratore dell’esponente. In simboli: √ m a n = n am , con a > 0, m, n ∈ N0 Nella definizione di potenza abbiamo supposto l’esponente razionale positivo. Se l’esponente è razionale negativo e se la base è positiva, si ha per definizione: m a− n = 1 1 , con a > 0, m, n ∈ N0 m = √ n m a an Utilizzando la definizione, si possono trasformare le potenze con esponente razionale in radicali e successivamente applicare le proprietà dei radicali. 352 9.22. I RADICALI COME POTENZE CON ESPONENTE RAZIONALE Esempio 9.22.1. • Data la potenza 2 33 Trasformiamo in radicale √ √ 2 3 3 3 3 = 32 = 9 • Data la potenza 3 a2 Scriviamo le condizioni di esistenza CE : a > 0 trasformiamo in radicale: √ a3 trasportiamo fuori il fattore a: √ 3 a2 = a a • Data l’espressione 5 1 1 22 + 22 − 82 trasformiamo le potenze in radicali: √ √ √ 25 + 2 − 8 scomponiamo il terzo radicando: √ √ √ 25 + 2 − 23 trasportiamo fuori dal segno di radice i fattori possibili: √ √ √ 22 2 + 2 − 2 2 addizioniamo i radicali simili: √ 3 2 • Data l’espressione 2 3 1 x3 · x2 : x2 2 5 Scriviamo le condizioni di esistenza CE : x > 0 trasformiamo le potenze in radicali: … 5 Ä√ 3 x2 · √ x3 : √ ä2 x eseguiamo i calcoli sui radicali e otteniamo: √ 30 x20 semplifichiamo: √ 3 x2 353 CAPITOLO 9. RADICALI Anche per le potenze con esponente razionale valgono le proprietà viste per le potenze con esponente intero. Queste proprietà si possono dimostrare applicando la definizione di potenza con esponente razionale e utilizzando le proprietà dei radicali. Applicando le proprietà delle potenze si possono semplificare le espressioni contenenti potenze con esponente razionale. Esempio 9.22.2. • Semplifichiamo l’espressione 1 2 1 2 1 1 1 1 3 1 1 23 + 35 · 23 − 35 − 23 · 23 + 33 + 35 · 35 − 35 + 63 effettuiamo le moltiplicazioni: 2 4 2 1 4 2 1 23 − 35 − 23 − 63 + 35 − 35 + 63 effettuiamo le addizioni algebriche: 2 −3 5 • Semplifichiamo l’espressione 3 2 1 1 5 1 3 a 2 · a 3 + a 2 + 2a 3 · −a 3 + a + a 2 + a 2 2 1 − a · 1 + a2 + a 2 Scriviamo le condizioni di esistenza CE : a > 0 effettuiamo le moltiplicazioni e le potenze: 13 13 3 4 3 a 6 − a 6 + a 2 − 2a2 + 2a 3 + a + a3 + 2a2 − a − a3 − a 2 effettuiamo le addizioni algebriche: 4 2a 3 Dalla definizione di potenza con esponente razionale: √ m a n = n am , con a > 0, m, n ∈ N0 per la proprietà simmetrica dell’uguaglianza, si può scrivere: √ m n m a = a n con a > 0, m, n ∈ N0 quindi è possibile trasformare i radicali aritmetici in potenze con esponente razionale e applicare le proprietà delle potenze per semplificare le espressioni con i radicali. Osservazione Per trasformare radicali con indice dispari e radicando negativo in potenza con esponente razionale, si deve prima portare fuori il segno − Esempio 9.22.3. • Semplifichiamo l’espressione » √ 2 2· Ä√ 3 2: √ ä2 5 23 trasformiamo i radicali in potenze con esponente razionale: 1 2 · 22 1 2 1 3 · 23 : 25 2 354 9.23. PROBLEMI DI GEOMETRIA APPLICATA ALL’ALGEBRA effettuiamo i calcoli all’interno delle parentesi: 1 3 2 22 4 · 2− 15 2 calcoliamo le potenze: 3 8 2 4 · 2− 15 effettuiamo la moltiplicazione: 13 2 60 • Semplifichiamo l’espressione √ ä2 √ Ä√ √ »√ 4 x − x3 + 2 x · x − 2 x3 Scriviamo le condizioni di esistenza CE : x > 0 trasformiamo i radicali in potenze con esponente razionale: 1 3 x2 − x2 2 1 1 + 2x 2 · x 2 1 2 3 − 2x 4 calcoliamo le potenze: 1 1 3 x + x3 − 2x2 + 2x 2 · x 4 − 2x 4 effettuiamo le moltiplicazioni: 3 3 x + x3 − 2x2 + 2x 4 − 2x 4 effettuiamo le addizioni algebriche: x − 2x2 + x3 9.23 Problemi di geometria applicata all’algebra Scriviamo i teoremi di Euclide e Pitagora utilizzando le misure dei lati del triangolo rettangolo C a A α h mc b H n Primo teorema di Euclide a2 = mc b2 = nc Secondo teorema di Euclide h2 = mn Teorema di pitagora c2 = a2 + b2 Inoltre, utilizzando la formula dell’area di un triangolo si ha 1 1 ab = ch 2 2 da cui ab = ch 355 B CAPITOLO 9. RADICALI 9.23.1 Relazione tra lato e diagonale di un quadrato D C d A B l Applichiamo il teorema di Pitagora al triangolo rettangolo ABC: d2 = l2 + l2 = 2l2 da cui √ d=l 2 d l= √ 2 9.23.2 Relazione tra lato e altezza di un triangolo equilatero A l h C B l 2 H Applichiamo il teorema di Pitagora al triangolo rettangolo AHC: h2 = l2 − Å ã2 l 2 3 = l2 4 da cui h= l√ 3 2 2h l= √ 3 356 9.23. PROBLEMI DI GEOMETRIA APPLICATA ALL’ALGEBRA 9.23.3 Relazione tra i lati in un triangolo con gli angoli di 30, 60, 90 gradi A l√ 3 2 30◦ l 90◦60◦ B l 2 C Poiché il triangolo è metà di un triangolo equilatero si ha AC = l 1 BC = l 2 1 √ AB = l 3 2 9.23.4 Relazione tra i lati in un triangolo con gli angoli di 45, 45, 90 gradi C √ l 2 l A B l Poiché il triangolo è metà di un quadrato si ha AB = BC = l √ AC = 2 357 Capitolo 10 Piano cartesiano 10.1 Coordinate cartesiane Assegnate due rette orientate perpendicolari (normalmente una orizzontale e una verticale), incidenti in un punto O, e fissata una unità di misura, si stabilisce un sistema di riferimento cartesiano ortogonale del piano. Le rette sono dette assi cartesiani, O è detto origine, la retta orizzontale asse delle ascisse o asse delle x, la retta verticale asse delle ordinate o asse delle y. Dato un punto P del piano, siano H la proiezione di P sull’asse x e K la proiezione di P sull’asse y; al punto P è associata la coppia di numeri reali (a, b) dove: • a è la misura del segmento OH se H segue O, il suo opposto se H precede O, 0 se H coincide con O • b è la misura del segmento OK se K segue O, il suo opposto se K precede O, 0 se K coincide con O I numeri a e b si dicono coordinate cartesiane di P ; in particolare a si dice ascissa di P , b si dice ordinata di P . Dati un sistema di riferimento cartesiano e una coppia di numeri reali (a, b), siano H il punto dell’asse x e K il punto dell’asse y tali che: • la lunghezza di OH è |a|, H segue O se a > 0, lo precede se a < 0, coincide con O se a = 0 • la lunghezza di OK è |b|, K segue O se b > 0, lo precede se b < 0, coincide con O se b = 0 Alla coppia (a, b) è associato il punto P dato dall’intersezione delle rette parallele agli assi passanti per H e K. Abbiamo quindi stabilito una biezione tra i punti del piano e le coppie ordinate di numeri reali. Per indicare che P ha coordinate a e b si scrive P (a, b). Un punto P appartiene all’asse delle ascisse se ha ordinata 0, cioè P (a, 0); un punto Q appartiene all’asse delle ordinate se ha ascissa 0, cioè Q(0, b); l’origine O, ha ascissa e ordinata 0, cioè O(0, 0). Gli assi cartesiani dividono il piano in quattro parti chiamate quadranti: nel primo quadrante i punti hanno ascissa e ordinata positiva, nel secondo quadrante i punti hanno ascissa negativa e ordinata positiva, nel terzo quadrante i punti hanno ascissa e ordinata negativa, nel quarto quadrante i punti hanno ascissa positiva e ordinata negativa. Esempio 10.1.1. • Determinare le coordinate dei punti in figura 358 10.1. COORDINATE CARTESIANE 6 y A 5 4 3 C 2 1 x B −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 5 6 7 8 −1 D −2 −3 E Figura 10.1: punti Il punto A è nel primo quadrante, quindi ha ascissa positiva e ordinata positiva. L’ascissa di A è 3; l’ordinata di A vale 5: A(3, 5). Il punto B appartiene all’asse delle ascisse, quindi ha ordinata 0. L’ascissa di B è 4: B(4, 0). Il punto C è nel secondo quadrante, quindi ha ascissa negativa e ordinata positiva. L’ascissa di C è −3; l’ordinata di C è 2: C(−3, 2). Il punto D è nel terzo quadrante, quindi ha ascissa negativa e ordinata negativa. L’ascissa di D è −4; l’ordinata di D è −2: D(−4, −2). Il punto E è nel quarto quadrante, quindi ha ascissa positiva e ordinata negativa. L’ascissa di E è 1; l’ordinata di E è −3: E(1, −3). • Rappresentare graficamente i seguenti punti: A(2, 3), B(0, 4), C(−3, 0), D(−4, −3), E(1, −2) Il Il Il Il Il punto punto punto punto punto A ha ascissa e ordinata positive, quindi è nel primo quadrante. B ha ascissa 0 e ordinata 4, quindi è il punto dell’asse y di ordinata 4. C ha ascissa −3 e ordinata 0, quindi è il punto dell’asse x di ascissa −3. D ha ascissa e ordinata negative, quindi è nel terzo quadrante. E ha ascissa positiva e ordinata negativa, quindi è nel quarto quadrante. 359 CAPITOLO 10. PIANO CARTESIANO y B 4 A 3 2 1 x C −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 5 −1 E −2 D −3 −4 Figura 10.2: punti 10.2 Vettori del piano Definizione 10.2.1 (Vettore). Un vettore del piano è una grandezza caratterizzata da tre elementi: • direzione • verso • modulo Un vettore si può rappresentare sul piano con un segmento orientato: • la direzione del vettore è la retta su cui giace il segmento orientato • il verso del vettore è quello indicato dal segmento orientato • il modulo del vettore è la lunghezza del segmento orientato 4 y B 3 2 A 1 x −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 5 −1 Figura 10.3: vettore Tutti i segmenti orientati con direzioni parallele, con lo stesso verso e la stessa lunghezza rappresentano lo stesso vettore. −−→ Un vettore si indica con ~u, ~v , . . . oppure con AB, dove A e B sono gli estremi di un segmento orientato 360 10.3. COMPONENTI DI UN VETTORE che lo rappresenta. Il modulo di un vettore ~v si indica con |~v |. Un vettore di modulo 1 si dice versore. Un vettore di modulo 0 si dice vettore nullo e si rappresenta con un punto (in questo caso direzione e verso non hanno significato) e si indica con ~0. 10.3 Componenti di un vettore Ogni vettore ~v è individuato da due numeri reali vx e vy detti componenti di ~v : Ç ~v = vx vy å Dato un sistema di riferimento cartesiano Oxy e due punti A(xA , yA ) e B(xB , yB ) le componenti di −−→ AB sono i numeri reali xB − xA e yB − yA : −−→ AB = Ç xB − xA yB − yA å Esempio 10.3.1. −−→ • Dati i punti A(1, 4) e B(2, −1) le componenti di AB sono −−→ AB = Ç 1 −5 å y 4 A 3 2 1 x −1 O 1 2 3 B −1 −2 −−→ Figura 10.4: AB • Dato il vettore −−→ AB = Ç å 2 3 −−→ esso è rappresentato dal segmento orientato OP di estremi O(0, 0) e P (2, 3) oppure dal segmento −−→ orientato AB di estremi A(−1, 1) e B(1, 4) oppure dagli altri infiniti segmenti orientati paralleli, con lo stesso verso e la stessa lunghezza. 361 CAPITOLO 10. PIANO CARTESIANO 6 y 5 4 B P 3 2 A 1 x −4 −3 −2 −1 O 1 2 −1 −−→ Figura 10.5: AB Osservazione ~0 = Ç å 0 0 10.4 Vettori uguali Due vettori sono uguali se e solo se hanno le stesse componenti. 10.5 Modulo di un vettore Il modulo del vettore Ç ~v = vx vy å è |~v | = » vx2 + vy2 Esempio 10.5.1. Dato Ç ~v = å −2 3 si ha |~v | = » (−2)2 + 32 = √ 4+9= √ 13 362 3 10.6. SOMMA DI VETTORI y 5 4 3 ~v 2 1 x −3 −2 O −1 1 2 −1 Figura 10.6: ~v 10.6 Somma di vettori Dati i vettori Ç ~u = å ux , ~v = uy Ç vx vy å si dice somma di ~u e ~v il vettore Ç ~u + ~v = ux + vx uy + vy å Esempio 10.6.1. Dati i vettori Ç ~u = å 1 , ~v = −6 Ç å 3 1 la somma di ~u e ~v è Ç ~u + ~v = 4 −5 å y 1 ~v x −2 −1 O 1 2 3 4 −1 −2 −3 ~u + ~v ~u −4 −5 −6 Figura 10.7: somma di vettori 363 5 6 CAPITOLO 10. PIANO CARTESIANO Notazione 10.6.1 (Opposto di un vettore). L’opposto del vettore ~v si indica con −~v Osservazione Se Ç ~v = vx vy å allora Ç −~v = −vx −vy å Esempio 10.6.2. Dato Ç ~v = å 1 −6 l’opposto è Ç −~v = å −1 6 6 y 4 −~v 2 x −2 O 2 ~v −2 −4 −6 Figura 10.8: opposto di un vettore 364 10.7. DIFFERENZA DI VETTORI 10.7 Differenza di vettori Dati i vettori ~u e ~v si dice differenza di ~u e ~v il vettore ~u − ~v = ~u + (−~v ) Osservazione Se Ç ~u = ux uy å Ç e ~v = vx vy å allora Ç ux − vx uy − vy ~u − ~v = å Esempio 10.7.1. Dati i vettori Ç ~u = å 3 , ~v = −2 Ç −1 4 å la differenza di ~u e ~v è Ç ~u − ~v = 4 −6 å y 4 2 ~v x −4 −2 O 2 4 ~u −2 ~u − ~v −4 −6 Figura 10.9: differenza di vettori 10.8 Prodotto di un numero reale per un vettore Dati il numero reale λ e il vettore Ç ~u = ux uy å 365 CAPITOLO 10. PIANO CARTESIANO si dice prodotto di λ per ~u il vettore Ç λux λuy λ~u = å Esempio 10.8.1. Dati il numero reale λ = 3 e il vettore Ç ~u = 1 −2 å il prodotto di λ per ~u è Ç λ~u = 3 −6 å y 1 x −1 O −1 1 2 3 4 5 ~u −2 −3 3~u −4 −5 −6 Figura 10.10: prodotto di un numero reale per un vettore 10.9 Versori fondamentali I vettori ~i = Ç å 1 0 e ~j = Ç å 0 1 hanno modulo 1 e si dicono versori fondamentali. Teorema 10.9.1. Dato il vettore Ç ~u = ux uy å si ha ~u = ux~i + uy~j 10.10 Prodotto scalare di vettori Dati i vettori Ç ~u = å ux , ~v = uy Ç vx vy å si dice prodotto scalare di ~u e ~v il numero reale ~u · ~v = ux vx + uy vy 366 10.11. DETERMINANTE DI DUE VETTORI Esempio 10.10.1. Dati i vettori Ç ~u = å Ç −1 , ~v = −3 2 −4 å il prodotto scalare di ~u e ~v è ~u · ~v = −1 · 2 + (−3) · (−4) = 10 10.10.1 Vettori ortogonali Teorema 10.10.1 (Vettori ortogonali). Due vettori non nulli sono ortogonali se e solo se il loro prodotto scalare è 0. Esempio 10.10.2. Dati i vettori Ç ~u = å Ç å 2 1 1 , ~v = −2 il prodotto scalare di ~u e ~v è ~u · ~v = 0 Quindi i vettori sono ortogonali. 1 y ~v x −3 −2 O −1 −1 1 2 3 ~u −2 Figura 10.11: vettori ortogonali 10.11 Determinante di due vettori Dati i vettori Ç ~u = å ux , ~v = uy Ç vx vy å si dice determinante di ~u e ~v il numero reale u det(~u, ~v ) = x uy vx = ux vy − vx uy vy Esempio 10.11.1. Dati i vettori Ç å ~u = 1 , ~v = 4 Ç 2 −1 å il determinante di ~u e ~v è 1 det(~u, ~v ) = 4 2 = −1 − 8 = −9 −1 367 4 CAPITOLO 10. PIANO CARTESIANO 10.11.1 Vettori paralleli Teorema 10.11.1 (Vettori paralleli). Due vettori non nulli sono paralleli se e solo se il loro determinante è 0. Esempio 10.11.2. Dati i vettori Ç å ~u = 1 , ~v = 3 Ç å 2 6 il determinante di ~u e ~v è 1 2 det(~u, ~v ) = =6−6=0 3 6 Quindi i vettori sono paralleli. 6 y 5 ~u 4 3 2 ~v 1 x −3 −2 −1 O 1 2 3 4 5 6 Figura 10.12: vettori paralleli 10.12 Distanza tra due punti −−→ La distanza tra i punti A e B è la lunghezza del segmento AB ed è il modulo del vettore AB e si indica con AB. Dati i punti A(xA , yA ) e B(xB , yB ), si ha AB = » (xB − xA )2 + (yB − yA )2 Esempio 10.12.1. • Dati i punti A(2, 4) e B(−3, 1) la distanza tra A e B è: » √ √ AB = (−3 − 2)2 + (1 − 4)2 = 25 + 9 = 34 4 √ 34 A y 3 2 B 1 x −3 −2 −1 O 1 2 3 Figura 10.13: distanza tra due punti 368 4 10.12. DISTANZA TRA DUE PUNTI • Determinare il perimetro del triangolo di vertici A(1, 2), B(4, 6) e C(4, 5). Calcoliamo le lunghezze dei lati del triangolo AB = » AC = » BC = » (4 − 1)2 + (6 − 2)2 = (4 − 1)2 + (5 − 2)2 = (4 − 4)2 + (5 − 6)2 = √ √ 9 + 16 = 9+9= √ 0+1= √ 25 = 5 √ √ 18 = 3 2 √ 1=1 Il perimetro del triangolo è: √ √ p = AB + AC + BC = 5 + 3 2 + 1 = 6 + 3 2 y B 6 1 5 C 5 4 √ 3 2 3 A 2 1 x −3 −2 −1 O 1 2 3 4 5 6 7 Figura 10.14: perimetro di un triangolo • Verificare che il triangolo di vertici A(2, 3), B(0, 1) e C(1, 0) è rettangolo e calcolarne l’area. −−→ −→ −−→ Determiniamo i vettori AB, AC e BC −−→ AB = Ç å −2 −→ , AC = −2 Ç å −1 −−→ , BC = −3 Ç 1 −1 å Calcoliamo il prodotto scalare tra le possibili coppie di vettori −−→ −→ AB · AC = −2(−1) + (−2)(−3) = 8 −−→ −−→ AB · BC = −2 · 1 + (−2)(−1) = 0 −→ −−→ AC · BC = −1 · 1 + (−3)(−1) = 2 −−→ −−→ Poichè AB · BC = 0 i vettori sono ortogonali e il triangolo è rettangolo in B. Calcoliamo le lunghezze dei cateti AB = BC = √ 4+4= √ 1+1= √ √ 8=2 2 √ 2 L’area del triangolo è 1 1 √ √ A = ABBC = 2 2 2 = 2 2 2 369 CAPITOLO 10. PIANO CARTESIANO 4 y A 3 √ 2 2 2 B √ 1 2 x C −3 −2 O −1 1 2 3 4 5 Figura 10.15: area triangolo rettangolo 10.13 Punto medio di un segmento Dati i punti A(xA , yA ) e B(xB , yB ), sia M (xM , yM ) il punto medio del segmento AB. Dalla definizione di punto medio si ha −−→ −−→ AM = M B Ç å Ç å xM − xA xB − xM = yM − yA yB − yM ( xM − xA = xB − xM yM − yA = yB − yM da cui si ricava x + xB xM = A 2 y + yB A y = M 2 Esempio 10.13.1. • Dati i punti A(1, 3) e B(−2, 5) si ha 1−2 1 =− xM = 2 2 3+5 yM = =4 2 1 Quindi il punto medio del segmento AB è M − , 4 . 2 Å ã y 6 B 5 M 4 3 A 2 1 x −3 −2 −1 O 1 2 3 Figura 10.16: punto medio 370 4 5 10.14. BARICENTRO DI UN TRIANGOLO • Verificare che il triangolo di vertici A(2, 1), B(3, 0) e C(5, 3) è isoscele e calcolarne l’area. Calcoliamo le lunghezze dei lati del triangolo » √ √ AB = (3 − 2)2 + (0 − 1)2 = 1 + 1 = 2 » √ √ AC = (5 − 2)2 + (3 − 1)2 = 9 + 4 = 13 » √ √ BC = (5 − 3)2 + (3 − 0)2 = 4 + 9 = 13 Poichè AC = BC il triangolo è iscoscele di base AB. Poiché in un triangolo isoscele l’altezza relativa alla base coincide con la mediana, il piede H dell’altezza è il punto medio della base: 5 2+3 = xH = 2 2 1+0 1 yH = = 2 2 Calcoliamo la lunghezza dell’altezza s Å CH = 5 −5 2 ã2 ã2 1 + −3 2 Å = 25 25 + = 4 4 25 5 =√ 2 2 L’area del triangolo è 1 1√ 5 5 A = ABCH = 2√ = 2 2 2 2 y C 3 √ 13 2 A √ 1 O −1 1 2 2 √ 5 √ 2 H B3 13 x 4 5 6 7 Figura 10.17: area triangolo isoscele 10.14 Baricentro di un triangolo Il baricentro di un triangolo è il punto di incontro delle mediane e ogni mediana è divisa dal baricentro in due parti di cui una è doppia dell’altra. Dati i punti A(xA , yA ),B(xB , yB ) e C(xC , yC ), sia G(xG , yG ) il baricentro del triangolo di vertici A, B, C. Detta AM la mediana relativa al lato BC, dalla proprietà precedente si ha −→ −−→ AG = 2GM Ç xG − xA yG − yA ( å Ç x − xG =2 M yM − yG å xG − xA = 2xM − 2xG yG − yA = 2yM − 2yG xA + 2xM xG = 3 y + 2yM yG = A 3 x + xB + xC A xG = 3 y + yB + yC yG = A 3 371 CAPITOLO 10. PIANO CARTESIANO Esempio 10.14.1. Dati i punti A(−2, 4), B(2, 2) e C(3, −3) si ha −2 + 2 + 3 =1 xG = 3 4+2−3 yG = =1 3 Quindi il baricentro del triangolo ABC è G (1, 1). 5 A y 4 3 B 2 1 G x −2 −1 O 1 2 3 4 −1 −2 −3 C Figura 10.18: baricentro di un triangolo 372 5 Capitolo 11 Retta 11.1 Equazione in forma implicita della retta Una retta è individuata da un punto e da un vettore non nullo. y ~v 4 r P0 3 2 1 x −3 −2 −1 O 1 2 3 4 5 6 Figura 11.1: retta passante per un punto parallela a un vettore Ç Dati un punto P0 (x0 , y0 ) e un vettore non nullo ~v = å vx , consideriamo la retta r passante per P0 vy parallela a ~v . −−→ −−→ Un punto P (x, y) ∈ r ⇔ P0 P //~v ⇔ det(P0 P , ~v ) = 0. Calcolando il determinante si ha: x − x 0 y − y0 vx =0 vy da cui (x − x0 )vy − (y − y0 )vx = 0 v y x − v x y − v y x 0 + v x y0 = 0 Ponendo vy = a, −vx = b, −vy x0 + vx y0 = c si ha ax + by + c = 0 con a, b, c ∈ R e (a, b) 6= (0, 0) (poiché il vettore non è nullo). L’equazione ottenuta si dice equazione in forma implicita della retta. Dalle relazioni vy = a, −vx = b 373 CAPITOLO 11. RETTA si ricava vx = −b, vy = a Quindi data l’equazione in forma implicita di una retta ax + by + c = 0, un vettore parallelo ad essa è Ç ~v = å −b a Data l’equazione in forma implicita di una retta, un punto P appartiene ad essa se e solo se le sue coordinate soddisfano l’equazione Esempio 11.1.1. Ç å 1 , determinare l’equazione in forma implicita della 2 • Dati il punto A(2, −3) e il vettore ~v = retta passante per A parallela a ~v . 3 r y 2 ~v 1 x −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 5 6 −1 −2 A −3 Ç å Figura 11.2: retta passante per A(2, −3) parallela a ~v = 1 2 Dato P (x, y) si ha Ç −→ AP = x−2 y+3 å Quindi x − 2 1 =0 y + 3 2 (x − 2)2 − (y + 3)1 = 0 2x − 4 − y − 3 = 0 2x − y − 7 = 0 • Data la retta r di equazione 3x + 2y − 5 = 0 un vettore parallelo ad essa è Ç ~v = −2 3 å • Data la retta r di equazione 5x − y + 3 = 0 il punto A(1, 8) appartiene ad r infatti 5·1−8+3=0 0=0 Data l’equazione in forma implicita ax + by + c = 0 della retta r, consideriamo alcuni casi particolari. 374 11.1. EQUAZIONE IN FORMA IMPLICITA DELLA RETTA Rette parallele all’asse x 11.1.1 Se a = 0 l’equazione diventa by + c = 0 con b 6= 0. Poiché un vettore parallelo alla retta è Ç å −b 0 ~v = la retta è parallela all’asse x. Ricavando y si ha y=− c b c ponendo − = k si ottiene b y=k Quindi le rette parallele all’asse x hanno equazione y=k In particolare, l’asse x ha equazione y=0 Esempio 11.1.2. La retta r di equazione 2y + 3 = 0 è parallela all’asse x. Ricavando y si ottiene y=− 3 2 Å Il punto A 0, − 3 2 ã appartiene alla retta, quindi la sua rappresentazione grafica è 2 y 1 x −3 −2 −1 O −1 r 1 2 3 A −2 Figura 11.3: retta parallela asse x 11.1.2 Rette parallele all’asse y Se b = 0 l’equazione diventa ax + c = 0 con a 6= 0. Poiché un vettore parallelo alla retta è Ç å ~v = 0 a 375 4 5 CAPITOLO 11. RETTA la retta è parallela all’asse y. Ricavando x si ha x=− c a ponendo − c = h si ottiene a x=h Quindi le rette parallele all’asse y hanno equazione x=h In particolare, l’asse y ha equazione x=0 Esempio 11.1.3. La retta r di equazione 2x − 4 = 0 è parallela all’asse y. Ricavando x si ottiene x=2 Il punto A (2, 0) appartiene alla retta, quindi la sua rappresentazione grafica è 3 y 2 r 1 x A −2 −1 O 1 2 3 4 5 6 7 8 −1 −2 −3 Figura 11.4: retta parallela asse y 11.1.3 Rette passanti per l’origine Se c = 0 l’equazione diventa ax + by = 0 con (a, b) 6= (0, 0). Poiché le coordinate (0, 0) soddisfano l’equazione, la retta passa per l’origine O. Esempio 11.1.4. La retta r di equazione 2x − y = 0 passa per l’origine. Un vettore parallelo ad essa è Ç å ~v = 1 2 La rappresentazione grafica della retta è 376 11.2. EQUAZIONE IN FORMA ESPLICITA DELLA RETTA y 2 r 1 x −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 −1 −2 Figura 11.5: retta passante per l’origine 11.2 Equazione in forma esplicita della retta Se nell’equazione in forma implicita ax + by + c = 0 della retta r si ha b 6= 0, allora si può ricavare la variabile y: by = −ax − c c a y =− x− b b a c Ponendo − = m, − = q si ottiene b b y = mx + q L’equazione ottenuta si dice equazione in forma esplicita della retta; m si dice coefficiente angolare e q termine noto. Il coefficiente angolare m rappresenta l’inclinazione della retta rispetto all’asse x; il termine noto q è l’ordinata del punto di intersezione della retta con l’asse y. Se q = 0 si ottiene y = mx il cui grafico è una retta passante per l’origine. Osservazione L’equazione in forma implicita rappresenta tutte le rette del piano, mentre quella in forma esplicita rappresenta tutte le rette del piano escluse quelle parellele all’asse y. Esempio 11.2.1. Data la retta r : 3x + 2y − 1 = 0 ricaviamo l’equazione in forma esplicita. 2y = −3x + 1 3 1 y =− x+ 2 2 3 1 Il coefficiente angolare è − , il termine noto è 2 2 Data l’equazione in forma esplicita y = mx + q della retta r si può ottenere l’equazione in forma implicita: mx − y + q = 0 Esempio 11.2.2. Data la retta r : y = 3x + 4 ricaviamo l’equazione in forma implicita. 3x − y + 4 = 0 377 CAPITOLO 11. RETTA 11.3 Rappresentazione grafica della retta Abbiamo visto come rappresentare graficamente le rette parallele agli assi, consideriamo ora le rette non parallele agli assi. Per rappresentare graficamente una retta non parallela agli assi: 1. si determina l’equazione in forma esplicita 2. si determinano le coordinate di due punti della retta attribuendo valori alla variabile x e ricavando i corrispondenti valori di y 3. si rappresentano graficamente i due punti e si disegna la retta passante per essi Esempio 11.3.1. Data la retta r : 2x + 3y − 5 = 0 rappresentiamola graficamente. Determiniamo l’equazione in forma esplicita: 2 5 y =− x+ 3 3 Determiniamo le coordinate di due punti della retta: x y 1 1 −2 3 Rappresentiamo graficamente i due punti e disegnamo la retta passante per essi y 4 r B 2 A x −4 −2 O 2 4 Figura 11.6: rappresentazione grafica della retta 11.4 Retta passante per due punti Consideriamo la retta r passante per i punti A(xA , yA ) e B(xB , yB ). Un punto −→ −−→ −→ −−→ P (x, y) ∈ r ⇔ AP //AB ⇔ det(AP , AB) = 0 x − x A y − yA xB − xA =0 yB − yA (x − xA )(yB − yA ) − (y − yA )(xB − xA ) = 0 (x − xA )(yB − yA ) = (y − yA )(xB − xA ) Esempio 11.4.1. 378 6 11.4. RETTA PASSANTE PER DUE PUNTI • Determinare l’equazione della retta passante per i punti A(1, 2), B(−2, 4). Preso P (x, y), si ha −→ AP = Ç å x − 1 −−→ , AB = y−2 Ç å −3 2 −→ −−→ det(AP , AB) = 0 x − 1 −3 =0 y − 2 2 2(x − 1) + 3(y − 2) = 0 2x − 2 + 3y − 6 = 0 2x + 3y − 8 = 0 Rappresentiamo graficamente i due punti e disegnamo la retta passante per essi B 4 r y 3 2 A 1 x −3 −2 −1 O 1 2 3 4 5 6 7 −1 Figura 11.7: retta passante per due punti • Determinare l’equazione della retta passante per i punti A(2, 3), B(2, 4). Preso P (x, y), si ha −→ AP = Ç å x − 2 −−→ , AB = y−3 Ç å 0 1 −→ −−→ det(AP , AB) = 0 x − 2 0 =0 y − 3 1 x−2=0 x=2 Rappresentiamo graficamente i due punti e disegnamo la retta passante per essi 379 CAPITOLO 11. RETTA y B 4 r A 3 2 1 x −3 −2 −1 O 1 2 3 4 5 6 7 −1 −2 Figura 11.8: retta passante per due punti 11.4.1 Coefficiente angolare della retta passante per due punti Consideriamo la retta r : y = mx + q passante per i punti A(xA , yA ) e B(xB , yB ) con xA 6= xB . Poiché A, B ∈ r si ha ( yA = mxA + q yB = mxB + q Sottraendo membro a membro si ottiene yB − yA = mxB − mxA m(xB − xA ) = yB − yA m= yB − yA xB − xA Esempio 11.4.2. Determinare il coefficiente angolare della retta passante per i punti A(2, 5), B(−3, 1). m= 1−5 4 = −3 − 2 5 11.4.2 Punti allineati Consideriamo i punti A(xA , yA ), B(xB , yB ), C(xC , yC ). I tre punti sono allineati se e solo se −−→ −→ −−→ −→ AB//AC ⇔ det(AB, AC) = 0 x − x B A yB − yA xC − xA =0 yC − yA Esempio 11.4.3. Determinare se i punti A(0, 1), B(2, 3), C(4, 5) sono allineati. Dati i punti A(0, 1), B(2, 3), C(4, 5), si ha −−→ AB = Ç å 2 −→ , AC = 2 Ç å 4 4 2 4 =8−8=0 2 4 380 11.4. RETTA PASSANTE PER DUE PUNTI Poiché il determinante è nullo, i tre punti sono allineati. Rappresentiamo graficamente i tre punti e disegnamo la retta passante per essi 6 y C 5 4 B 3 2 1 A x −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 5 6 7 8 −1 −2 −3 r Figura 11.9: Punti allineati Osservazione Per verificare se tre punti sono allineati si può anche procedere nel seguente modo: 1. si determina l’equazione della retta passante per due di essi 2. si verifica se il terzo punto appartiene alla retta Esempio 11.4.4. Determinare se i punti A(0, 1), B(2, 3), C(4, 5) sono allineati. Determiniamo l’equazione della retta r passante per A(0, 1), B(2, 3): preso P (x, y), si ha −→ AP = Ç å −−→ x , AB = y−1 Ç å 2 2 −→ −−→ det(AP , AB) = 0 x 2 =0 y − 1 2 2x − 2y + 2 = 0 x−y+1=0 Verifichiamo se C(4, 5) ∈ r: 4−5+1=0 0=0 Poichè C(4, 5) ∈ r, i tre punti sono allineati. 381 CAPITOLO 11. RETTA 11.5 Retta passante per un punto con dato coefficiente angolare Consideriamo la retta r passante per il punto P0 (x0 , y0 ) e con coefficiente angolare m. L’equazione in forma esplicita di r è: y = mx + q Poiché P0 ∈ r si ha y0 = mx0 + q Sottraendo membro a membro si ottiene y − y0 = mx − mx0 da cui y − y0 = m(x − x0 ) Esempio 11.5.1. Determinare l’equazione della retta passante per il punto A(1, −2) e con coefficiente angolare 3. L’equazione della retta è: y + 2 = 3(x − 1) y = 3x − 5 4 y 3 2 1 x −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 5 6 7 −1 −2 A −3 −4 −5 Figura 11.10: retta passante per un punto con dato coefficiente angolare 11.6 Rette parallele Due rette sono parallele se lo sono i vettori paralleli ad esse. Quindi, per verificare se due rette sono parallele si calcola il determinante dei vettori paralleli ad esse: se è 0 le rette sono parallele, in caso contrario non lo sono. 382 11.6. RETTE PARALLELE Esempio 11.6.1. Verificare se le rette r : 3x + 2y − 5 = 0, s : 6x + 4y + 1 = 0 sono parallele. Un vettore parallelo alla retta r è Ç ~u = å −2 3 Un vettore parallelo alla retta s è Ç ~v = −4 6 å Il determinante di ~u e ~v è −2 −4 det(~u, ~v ) = = −12 + 12 = 0 3 6 Poiché il determinante è 0 le rette sono parallele. y 6 r 5 s 4 3 2 1 x −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 5 6 7 8 −1 −2 −3 Figura 11.11: rette parallele Teorema 11.6.1 (Rette parallele). Due rette rappresentate da equazioni in forma esplicita sono parallele se e solo se hanno lo stesso coefficiente angolare. Dimostrazione Consideriamo l’equazione in forma esplicita di due rette r : y = mx + q s : y = m0 x + q 0 Determiniamo la forma implicita r : mx − y + q = 0 s : m0 x − y + q 0 = 0 383 CAPITOLO 11. RETTA Determiniamo i vettori paralleli a ciascuna di esse Ç å 1 m ~u = Ç ~v = 1 m0 å Il determinante di ~u e ~v è 1 1 det(~u, ~v ) = = m0 − m m m 0 Il determinante è uguale a 0 se e solo se m = m0 . Osservazione Il teorema precedente vale per le rette non parellele all’asse y. Due rette parellele all’asse y sono parallele tra loro. Esempio 11.6.2. Verificare se le rette r : x − 2y + 3 = 0, s : 2x − 4y + 1 = 0 sono parallele. Determiniamo l’equazione in forma esplicita della retta r: 3 1 y = x+ 2 2 Determiniamo l’equazione in forma esplicita della retta s: 2 y = x+ 4 1 y = x+ 2 1 4 1 4 Poiché entrambe le rette hanno coefficiente angolare m = 4 1 sono parallele. 2 y 3 2 1 x −4 r −3 s −2 −1 O 1 2 3 4 5 −1 −2 Figura 11.12: rette parallele 11.6.1 Retta passante per un punto parallela a una retta data Consideriamo la retta r passante per il punto P0 (x0 , y0 ) parallela alla retta s : ax + by + c = 0. Ç å −b Poiché il vettore ~v = è parallelo alla retta s, un punto a −−→ −−→ P (x, y) ∈ r ⇔ P0 P //~v ⇔ det(P0 P , ~v ) = 0 384 6 11.6. RETTE PARALLELE x − x 0 y − y0 −b =0 a a(x − x0 ) + b(y − y0 ) = 0 Esempio 11.6.3. Determinare l’equazione della retta r passante per il punto A(1, 4) parallela alla retta s : x − 2y + 5 = 0. Un vettore parallelo alla retta s è Ç å ~v = 2 1 Preso P (x, y), si ha −→ AP = Ç å x−1 y−4 −→ det(AP , ~v ) = 0 x − 1 2 =0 y − 4 1 x − 1 − 2(y − 4) = 0 x − 1 − 2y + 8 = 0 r : x − 2y + 7 = 0 5 y 4 A 3 2 s r 1 x −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 5 6 Figura 11.13: retta passante per un punto parallela a una retta Osservazione Per determinare l’equazione della retta passante per P0 (x0 , y0 ) parallela a una retta s non parallela all’asse y, si può anche procedere nel seguente modo: 1. si determina il coefficiente angolare m di s 2. si utilizza la formula y − y0 = m(x − x0 ) Esempio 11.6.4. Determinare l’equazione della retta r passante per il punto A(1, 4) parallela alla retta s : x−2y+5 = 0. Scriviamo l’equazione della retta s in forma esplicita: 1 5 y = x+ 2 2 385 CAPITOLO 11. RETTA 1 . 2 1 Determiniamo l’equazione della retta r passante per il punto A(1, 4) con coefficiente angolare : 2 Il coefficiente angolare di s è 1 y − 4 = (x − 1) 2 1 1 y−4= x− 2 2 2y − 8 = x − 1 r : x − 2y + 7 = 0 11.7 Rette perpendicolari Due rette sono perpendicolari se lo sono i vettori paralleli ad esse. Quindi, per verificare se due rette sono perpendicolari, si calcola il prodotto scalare dei vettori paralleli ad esse: se è 0 le rette sono perpendicolari, in caso contrario non lo sono. Esempio 11.7.1. Verificare se le rette r : 9x + 3y − 2 = 0, s : 2x − 6y + 1 = 0 sono perpendicolari. Un vettore parallelo alla retta r è Ç ~u = −3 9 å Un vettore parallelo alla retta s è Ç å ~v = 6 2 il prodotto scalare di ~u e ~v è ~u · ~v = −3 · 6 + 9 · 2 = −18 + 18 = 0 Poiché il prodotto scalare è 0, le rette sono perpendicolari. 386 11.7. RETTE PERPENDICOLARI 6 r y 5 4 3 s 2 1 x −4 −3 −2 O −1 1 2 3 4 5 6 7 8 9 −1 −2 −3 −4 −5 Figura 11.14: rette perpendicolari Teorema 11.7.1 (Rette perpendicolari). Due rette rappresentate da equazioni in forma esplicita sono perpendicolari se e solo se il prodotto dei coefficienti angolari è −1 Dimostrazione Consideriamo l’equazione in forma esplicita di due rette r : y = mx + q s : y = m0 x + q 0 Determiniamo la forma implicita r : mx − y + q = 0 s : m0 x − y + q 0 = 0 Determiniamo i vettori paralleli a ciascuna di esse Ç å 1 m ~u = Ç ~v = 1 m0 å il prodotto scalare di ~u e ~v è ~u · ~v = 1 · 1 + m · m0 = 1 + mm0 Il prodotto scalare è uguale a 0 se e solo se mm0 + 1 = 0 cioè mm0 = −1. Osservazioni 1. Il prodotto dei coefficienti angolari è −1 se il coefficiente angolare di una retta è l’inverso e l’opposto del coefficiente angolare dell’altra. 387 CAPITOLO 11. RETTA 2. Il teorema precedente vale per le rette non parallele all’asse y. Se una retta è parallela all’asse y l’altra è perpendicolare solo se è parallela all’asse x. Esempio 11.7.2. Verificare se le rette r : 2x + 3y − 1 = 0, s : 3x − 2y + 4 = 0 sono perpendicolari. Determiniamo l’equazione in forma esplicita della retta r: 2 1 y =− x+ 3 3 Determiniamo l’equazione in forma esplicita della retta s: 3 y = x+2 2 Determiniamo il prodotto dei coefficienti angolari 2 3 − · = −1 3 2 Poiché il prodotto dei coefficienti angolari è −1, le rette sono perpendicolari. 5 y s 4 3 2 r 1 x −2 −1 O 1 2 3 4 5 6 7 −1 Figura 11.15: rette perpendicolari 11.7.1 Retta passante per un punto perpendicolare a una retta data Consideriamo la retta r passante per il punto P0 (x0 , y0 ) perpendicolare alla retta s : ax + by + c = 0. Ç å −b Poiché il vettore ~v = è parallelo alla retta s, un punto a −−→ −−→ P (x, y) ∈ r ⇔ P0 P ⊥~v ⇔ P0 P · ~v = 0 (x − x0 )(−b) + (y − y0 )a = 0 −b(x − x0 ) + a(y − y0 ) = 0 Esempio 11.7.3. Determinare l’equazione della retta r passante per il punto A(2, 3) perpendicolare alla retta s : 2x − y + 7 = 0 Un vettore parallelo alla retta s è Ç å ~v = 1 2 388 11.7. RETTE PERPENDICOLARI Preso P (x, y), si ha −→ AP = Ç å x−2 y−3 −→ AP · ~v = 0 (x − 2)1 + (y − 3)2 = 0 x − 2 + 2y − 6 = 0 r : x + 2y − 8 = 0 5 r 4 y s A 3 2 1 x −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 5 6 Figura 11.16: retta passante per un punto perpendicolare a una retta Osservazione Per determinare la retta passante per P0 (x0 , y0 ) perpendicolare a una retta s, nel caso in cui s non sia parallela agli assi, si può anche procedere nel seguente modo: 1. si determina il coefficiente angolare m di s 2. si utilizza la formula y − y0 = − 1 (x − x0 ) m Esempio 11.7.4. Determinare l’equazione della retta r passante per il punto A(2, 3) perpendicolare alla retta s : 2x − y + 7 = 0 Scriviamo l’equazione della retta s in forma esplicita: s : y = 2x + 7 1 Il coefficiente angolare di s è 2, quello di r è − . 2 1 Determiniamo l’equazione della retta r passante per il punto A(2, 3) con coefficiente angolare − : 2 1 y − 3 = − (x − 2) 2 1 y−3=− x+1 2 2y − 6 = −x + 2 r : x + 2y − 8 = 0 389 CAPITOLO 11. RETTA 11.7.2 Asse di un segmento Per determinare l’equazione dell’asse del segmento AB: 1. si determina il punto medio M del segmento AB 2. si determina l’equazione della retta passante per M perpendicolare ad AB Esempio 11.7.5. Determinare l’equazione dell’asse del segmento di estremi A(2, 6), B(−2, 4). Il punto medio del segmento AB è M (0, 5) −−→ AB = Ç −4 −2 å Preso P (x, y), si ha −−→ MP = Ç x y−5 å −−→ −−→ M P · AB = 0 x(−4) + (y − 5)(−2) = 0 −4x − 2y + 10 = 0 r : 2x + y − 5 = 0 y 8 r 7 A 6 5 B M 4 3 2 1 x −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 5 6 7 Figura 11.17: asse di un segmento L’equazione dell’asse di un segmento si può anche ricavare utilizzando il seguente teorema Teorema 11.7.2 (Asse di un segmento). L’asse di un segmento è il luogo dei punti equidistanti dagli estremi del segmento 390 11.8. INTERSEZIONE TRA DUE RETTE Esempio 11.7.6. Determinare l’equazione dell’asse del segmento di estremi A(2, 6), B(−2, 4). Preso P (x, y) imponiamo che AP = BP » (x − 2)2 + (y − 6)2 = » (x + 2)2 + (y − 4)2 x2 − 4x + 4 + y 2 − 12y + 36 = x2 + 4x + 4 + y 2 − 8y + 16 −8x − 4y + 20 = 0 2x + y − 5 = 0 11.8 Intersezione tra due rette Per determinare l’intersezione tra due rette è sufficiente risolvere il sistema formato dalle equazioni delle due rette. Si possono verificare tre casi: 1. il sistema è determinato: le rette sono incidenti e si intersecano nel punto le cui coordinate sono la soluzione del sistema 2. il sistema è impossibile: le rette sono parallele e distinte 3. il sistema è indeterminato: le rette sono coincidenti Esempio 11.8.1. • Determinare l’intersezione tra la retta r : y = 3x + 1 e la retta s : 2x + 5y − 22 = 0. Scriviamo il sistema formato dalle equazioni delle due rette: ( y = 3x + 1 2x + 5y − 22 = 0 Risolvendo il sistema, si ottiene ( x=1 y=4 Le rette sono incidenti nel punto P (1, 4). y s 5 r P 4 3 2 1 x −3 −2 −1 O 1 2 3 4 5 Figura 11.18: intersezione tra due rette 391 6 7 CAPITOLO 11. RETTA • Determinare l’intersezione tra la retta r : y = 3x + 1 e la retta s : y = 3x + 5. Scriviamo il sistema formato dalle equazioni delle due rette: ( y = 3x + 1 y = 3x + 5 Risolvendo il sistema, si ottiene ( y = 3x + 1 1=5 il sistema è impossibile: le rette sono parallele e distinte 5 y s r 4 3 2 1 x −3 −2 O −1 1 2 3 4 5 6 7 −1 −2 Figura 11.19: intersezione tra due rette parallele • Determinare l’intersezione tra la retta r : 2x + 3y + 1 = 0 e la retta s : 4x + 6y + 2 = 0. Scriviamo il sistema formato dalle equazioni delle due rette: ( 2x + 3y + 1 = 0 4x + 6y + 2 = 0 Risolvendo il sistema, si ottiene ( 2x + 3y + 1 = 0 0=0 il sistema è indeterminato: le rette sono coincidenti 392 11.9. DISTANZA DI UN PUNTO DA UNA RETTA 4 y 3 s r 2 1 x −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 5 6 −1 −2 Figura 11.20: intersezione tra due rette coincidenti 11.9 Distanza di un punto da una retta Per determinare la distanza di un punto P da una retta r: 1. si determina l’equazione della retta s passante per P perpendicolare ad r 2. si determina il punto H di intersezione tra r e s 3. si calcola la distanza tra P e H che è la distanza del punto P dalla retta r Esempio 11.9.1. Determinare la distanza del punto A(3, −2) dalla retta r : y = 2x + 3. Determiniamo l’equazione della retta s passante per A perpendicolare ad r 1 s : y + 2 = − (x − 3) 2 1 1 s:y =− x− 2 2 Determiniamo il punto H di intersezione tra r e s risolvendo il sistema y = 2x + 3 y = −1x − 1 2 2 7 x = − 5 1 y = 5 7 1 H − , 5 5 Å ã Calcoliamo la distanza tra A e H: s Å AH = ã2 7 − −3 5 Å + 1 +2 5 ã2 = 11 √ 5 5 La distanza del punto A(3, −2) dalla retta r : y = 2x + 3 è: d(A, r) = 11 √ 5 5 393 7 CAPITOLO 11. RETTA 6 y r 5 4 3 2 1 H −4 −3 −2 x O −1 1 2 3 4 5 6 7 8 −1 A −2 −3 −4 −5 Figura 11.21: distanza di un punto da una retta Teorema 11.9.1 (Distanza di un punto da una retta). Dati il punto P0 (x0 , y0 ) e la retta r : ax + by + c = 0 d(P0 , r) = |ax0 + by0 + c| √ a2 + b2 Osservazione Per applicare la formula, l’equazione della retta deve essere in forma implicita Esempio 11.9.2. • Determinare la distanza del punto A(3, −2) dalla retta r : y = 2x + 3. Scriviamo l’equazione della retta in forma implicita: r : 2x − y + 3 = 0 d(A, r) = 11 11 √ |2 · 3 − 1 · (−2) + 3| √ =√ = 5 5 4+1 5 • Determinare l’area del triangolo di vertici A(3, −2), B(0, 5), C(−1, −3) Se consideriamo AB come base, l’altezza ad essa relativa è la distanza del punto C dalla retta passante per i punti A e B. Determiniamo la lunghezza della base AB AB = » (−3)2 + 72 = √ 58 Determiniamo l’equazione della retta r passante per i punti A e B. Preso P (x, y), si ha −→ AP = Ç å x − 3 −−→ , AB = y+2 Ç −3 7 å 394 11.10. FASCI DI RETTE −→ −−→ det(AP , AB) = 0 x − 3 −3 =0 y + 2 7 7(x − 3) + 3(y + 2) = 0 7x − 21 + 3y + 6 = 0 7x + 3y − 15 = 0 Determiniamo la distanza del punto C dalla retta r |7 · (−1) + 3 · (−3) − 15| 31 √ =√ 49 + 9 58 CH = d(C, r) = Calcoliamo l’area √ AB · CH A= = 2 31 58 · √ 31 58 = 2 2 5B y 4 3 √ 2 58 1 x −4 −3 −2 −1 O −1 1 2 17 √ 58 −2 C 3 4 5 6 7 H A −3 Figura 11.22: area triangolo 11.10 Fasci di rette 11.10.1 Fascio improprio di rette Definizione 11.10.1 (Fascio improprio di rette). Si dice fascio impropio di rette l’insieme di tutte le rette parallele a una retta data, detta base del fascio. Teorema 11.10.1 (Fascio improprio di rette). Data la retta r : ax + by + c = 0, l’equazione del fascio improprio di base r è ax + by + k = 0 con k ∈ R. Esempio 11.10.1. 395 CAPITOLO 11. RETTA • Determinare l’equazione del fascio improprio di rette di base r : 3x − y + 5 = 0. L’equazione del fascio improprio di rette di base r è 3x − y + k = 0 con k ∈ R. 6 y r 5 4 3 2 1 x −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 5 6 7 8 −1 −2 −3 Figura 11.23: fascio improprio di rette • Determinare l’equazione della retta s passante per A(1, 2) parallela alla retta r : 2x + 4y − 1 = 0. L’equazione del fascio improprio di rette di base r è 2x + 4y + k = 0 con k ∈ R. Imponendo il passaggio per A si ottiene 2+8+k =0 k = −10 Quindi l’equazione della retta s è 2x + 4y − 10 = 0 s : x + 2y − 5 = 0 y 4 s 3 2 r A 1 x −3 −2 −1 O 1 2 3 4 5 6 7 −1 Figura 11.24: retta passante per un punto parallela a una retta data 396 11.10. FASCI DI RETTE Osservazione Se la base del fascio è data in forma esplicita r : y = mx + q l’equazione del fascio improprio di rette di base r è y = mx + k con k ∈ R. Esempio 11.10.2. Determinare l’equazione del fascio improprio di rette di base r : y = 2x + 5. L’equazione del fascio improprio di rette di base r è y = 2x + k con k ∈ R. 4 y r 3 2 1 x −4 −3 −2 O −1 1 2 3 4 5 6 7 8 −1 Figura 11.25: fascio improprio 11.10.2 Fascio proprio di rette Definizione 11.10.2 (Fascio proprio di rette). Si dice fascio proprio di rette di centro C l’insieme di tutte le rette passanti per C. Definizione 11.10.3 (Combinazione lineare dell’equazione di due rette). Date le rette r : ax+by +c = 0, s : a0 x+b0 y +c0 = 0 e λ, µ ∈ R non entrambi nulli, si dice combinazione lineare delle equazioni delle rette r e s l’equazione λ(ax + by + c) + µ(a0 x + b0 y + c0 ) = 0 Esempio 11.10.3. Date le rette r : 2x + y − 1 = 0 e s : x + 5y − 4 = 0 una loro combinazione lineare è 3(2x + y − 1) + 2(x + 5y − 4) = 0 6x + 3y − 3 + 2x + 10y − 8 = 0 8x + 13y − 11 = 0 Teorema 11.10.2 (Fascio proprio di rette). Date le rette r : ax + by + c = 0, s : a0 x + b0 y + c0 = 0 incidenti nel punto C(x0 , y0 ), l’equazione λ(ax + by + c) + µ(a0 x + b0 y + c0 ) = 0 con λ, µ ∈ R non entrambi nulli è l’equazione del fascio proprio di rette di centro C. Osservazioni 1. Se nell’equazione del fascio di rette λ(ax + by + c) + µ(a0 x + b0 y + c0 ) = 0 si pone λ = 0 si ottiene la retta s, se si pone µ = 0 si ottiene la retta r. Spesso l’equazione del fascio proprio di rette di centro C è data con un solo parametro. Se λ 6= 0, dividendo tutti i termini per λ, si ottiene: ax + by + c + ponendo µ 0 (a x + b0 y + c0 ) = 0 λ µ = k, si ha λ ax + by + c + k(a0 x + b0 y + c0 ) = 0 397 CAPITOLO 11. RETTA In questo caso la retta s non si ottiene per alcun valore di k. Per questo motivo l’equazione del fascio è: ax + by + c + k(a0 x + b0 y + c0 ) = 0 ∨ a0 x + b0 y + c0 = 0 2. Nella risoluzione degli esercizi si tralascia l’equazione a0 x + b0 y + c0 = 0, verificando di volta in volta se tale equazione soddisfa le richieste. Se invece di due rette del fascio viene dato il centro C(x0 , y0 ), per ottenere l’equazione del fascio proprio di rette è sufficiente determinare due rette passanti per C(x0 , y0 ), per esempio quelle parallele agli assi: y = y0 , x = x0 y − y0 = 0, x − x0 = 0 l’equazione del fascio è: y − y0 + k(x − x0 ) = 0 ∨ x = x0 y − y0 = −k(x − x0 ) ∨ x = x0 ponendo −k = m si ha y − y0 = m(x − x0 ) ∨ x = x0 Osservazione Date le rette r, s incidenti nel punto C, il fascio di centro C si dice anche fascio generato dalle rette res Esempio 11.10.4. • Date le rette incidenti r : y = x + 2 e s : y = 2x − 3 determinare l’equazione del fascio proprio generato dalle rette r e s L’equazione del fascio proprio generato dalle rette r e s è x − y + 2 + k(2x − y − 3) = 0 ∨ 2x − y − 3 = 0 • Determinare l’equazione del fascio proprio di rette di centro C(3, 1). L’equazione del fascio proprio di rette di centro C(3, 1) è y − 1 = m(x − 3) ∨ x = 3 4 y 3 2 C 1 x −2 −1 O 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 −1 Figura 11.26: fascio proprio di rette • Dato il fascio generato dalle rette incidenti r : x + 2y − 3 = 0 e s : 3x + 2y + 1 = 0, determinare: 398 11.10. FASCI DI RETTE 1. il centro C del fascio 2. la retta t del fascio parallela alla retta t0 : 5x + y + 1 = 0 3. la retta u del fascio perpendicolare alla retta u0 : −2x − 4y + 1 = 0 1. Il centro del fascio è il punto di intersezione tra le rette r e s. Scriviamo il sistema formato dalle equazioni delle due rette: ( x + 2y − 3 = 0 3x + 2y + 1 = 0 Risolvendo il sistema, si ottiene x = −2 y = 5 2 Å Il centro del fascio è C −2, 5 . 2 ã 2. L’equazione del fascio è x + 2y − 3 + k(3x + 2y + 1) = 0 ∨ 3x + 2y + 1 = 0 Tralasciamo l’equazione 3x + 2y + 1 = 0 (1 + 3k)x + (2 + 2k)y − 3 + k = 0 La retta generica del fascio è parallela al vettore Ç ~v = −2 − 2k 1 + 3k å La retta t è parallela al vettore Ç −1 5 w ~= å Le rette sono parallele se il determinante dei due vettori è nullo: det(~v , w) ~ =0 −2 − 2k 1 + 3k −1 =0 5 −10 − 10k + 1 + 3k = 0 −7k = 9 9 7 Sostituendo nell’equazione (1 + 3k)x + (2 + 2k)y − 3 + k = 0 si ottiene k=− (1 − 27 18 9 )x + (2 − )y − 3 − = 0 7 7 7 −20x − 4y − 30 = 0 t : 10x + 2y + 15 = 0 Osservazione L’esercizio può anche essere risolto determinando il coefficiente angolare della retta generica 399 CAPITOLO 11. RETTA del fascio e imponendo la condizione di parallelismo. L’equazione del fascio è x + 2y − 3 + k(3x + 2y + 1) = 0 ∨ 3x + 2y + 1 = 0 Tralasciamo l’equazione 3x + 2y + 1 = 0 (1 + 3k)x + (2 + 2k)y − 3 + k = 0 Il coefficiente angolare della retta generica del fascio è m=− 1 + 3k con k 6= −1 2 + 2k Il coefficiente angolare della retta t0 è m0 = −5 Le rette sono parallele se i coefficienti angolari sono uguali − 1 + 3k = −5 2 + 2k 1 + 3k =5 2 + 2k 1 + 3k = 10 + 10k 7k = −9 9 k=− 7 Sostituendo nell’equazione (1 + 3k)x + (2 + 2k)y − 3 + k = 0 si ottiene (1 − 27 18 9 )x + (2 − )y − 3 − = 0 7 7 7 −20x − 4y − 30 = 0 t : 10x + 2y + 15 = 0 Osservazione L’esercizio può anche essere risolto determinando la retta passante per il centro del fascio parallela a t0 3. La retta generica del fascio è parallela al vettore Ç ~v = −2 − 2k 1 + 3k å La retta u è parallela al vettore Ç w ~= å 4 −2 Le rette sono perpendicolari se il prodotto scalare dei due vettori è nullo: ~u · w ~ =0 (−2 − 2k)4 + (1 + 3k) · (−2) = 0 −8 − 8k − 2 − 6k = 0 −14k = 10 5 k=− 7 400 11.10. FASCI DI RETTE Sostituendo nell’equazione (1 + 3k)x + (2 + 2k)y − 3 + k = 0 si ottiene 15 10 5 )x + (2 − )y − 3 − = 0 7 7 7 −8x + 4y − 26 = 0 (1 − u : 4x − 2y + 13 = 0 Osservazione L’esercizio può anche essere risolto determinando il coefficiente angolare della retta generica del fascio e imponendo la condizione di perpendicolarità. Il coefficiente angolare della retta generica del fascio è m=− 1 + 3k con k 6= −1 2 + 2k Il coefficiente angolare della retta u0 è 1 2 Il suo inverso e opposto è m=− m0 = 2 Le rette sono perpendicolari se il coefficiente angolari di una è l’inverso e opposto dell’altra 1 + 3k =2 2 + 2k −1 − 3k = 4 + 4k − 7k = −5 5 k=− 7 Sostituendo nell’equazione (1 + 3k)x + (2 + 2k)y − 3 + k = 0 si ottiene 15 10 5 )x + (2 − )y − 3 − = 0 7 7 7 −8x + 4y − 26 = 0 (1 − u : 4x − 2y + 13 = 0 Osservazione L’esercizio può anche essere risolto determinando la retta passante per il centro del fascio perpendicolare a u0 t0 t 6 u y s 5 4 r 3 C u0 2 1 x −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 5 −1 Figura 11.27: fascio proprio di rette 401 6 7 8 9 Capitolo 12 Statistica 12.1 Indagine statistica La statistica studia i fenomeni collettivi: cioè quei fenomeni che si possono determinare solo attraverso molte osservazioni. Dato un fenomeno collettivo la statistica aiuta a descriverlo sinteticamente e a trarre da esso conclusioni rispetto a fenomeni più ampi. Per ottenere i dati si effettua un’indagine statistica che è formata dalle seguenti fasi: 1. individuazione dell’obiettivo dell’indagine 2. individuazione del tipo di indagine (su tutta la popolazione o su un campione), dei mezzi (persone, questionari,...) e dei tempi da utilizzare per la raccolta dati. 3. effettiva rilevazione dei dati 4. spoglio dei dati e sistemazione in forme di facile lettura come tabelle o grafici 5. sintetizzazione dei dati (valore medio) 6. misure di variabilità o dispersione 7. se l’indagine è stata fatta su un campione, generalizzazione sull’intera popolazione Se si considera l’intera popolazione, il fenomeno è univocamente determinato e si devono solo analizzare i dati per descriverlo sinteticamente: questa è la statistica descrittiva. Se si considera solo un campione, il fenomeno non è univocamente determinato e, sulla base dei dati del campione, si possono trarre indicazioni su tutta la popolazione: questa è la statistica inferenziale. L’uso del campione è opportuno o necessario se: • è antieconomico considerare tutta la popolazione • è intempestivo considerare tutta la popolazione • l’indagine è distruttiva • la popolazione è infinita La scelta del campione e della sua grandezza è un’operazione difficile. I dati statistici che si ottengono nelle rilevazioni sono tutti soggetti a errori di osservazione che dipendono da: • tipo di fenomeno investigato • mezzi di indagine e strumenti di misura • osservatore Noi considereremo la statistica descrittiva. 402 12.2. POPOLAZIONE E UNITÀ STATISTICA 12.2 Popolazione e unità statistica Definizione 12.2.1 (Popolazione statistica). Si dice popolazione statistica l’insieme su cui si studia il fenomeno Esempio 12.2.1. Sono esempi di popolazione statistica: • insieme delle persone che vivono in Italia • le aziende agricole del Piemonte • i lanci di una moneta in un certo intervallo di tempo Definizione 12.2.2 (Unità statistica). Si dice unità statistica ogni elemento della popolazione statistica 12.3 Caratteri statistici e modalità Definizione 12.3.1 (Carattere statistico). Si dice carattere una caratteristica che una unità statistica può avere Esempio 12.3.1. Uno studente può avere i seguenti caratteri: • nazionalità • età • luogo di nascita • altezza • peso • scuola a cui è iscritto • classe Definizione 12.3.2 (Modalità). Si dice modalità il modo in cui un carattere si può presentare Esempio 12.3.2. Il carattere nazionalità di uno studente può avere le seguenti modalità: • italiana • francese • inglese 12.3.1 Caratteri qualitativi o quantitativi Definizione 12.3.3 (Carattere qualitativo). Un carattere si dice qualitativo quando le sue modalità non sono dei numeri. Esempio 12.3.3. Sono caratteri qualitativi • colore occhi • nazionalità • religione 403 CAPITOLO 12. STATISTICA • stato civile • sesso Osservazione Consideriamo qualitativi anche i caratteri giorni, mesi e anni. Definizione 12.3.4 (Carattere qualitativo sconnesso). Un carattere qualitativo si dice sconnesso quando le sue modalità non hanno un ordine Esempio 12.3.4. Sono caratteri qualitativi sconnessi • nazionalità • religione • stato civile • sesso Definizione 12.3.5 (Carattere qualitativo ordinato). Un carattere qualitativo si dice ordinato quando le sue modalità hanno un ordine Esempio 12.3.5. Sono caratteri qualitativi ordinati • titolo di studio • giorno della settimana • anno Definizione 12.3.6 (Carattere quantitativo). Un carattere si dice quantitativo quando le sue modalità sono dei numeri. Esempio 12.3.6. Sono caratteri quantitativi • numero figli di una famiglia • peso • lunghezza Definizione 12.3.7 (Carattere quantitativo discreto). Un carattere quantitativo si dice discreto se le sue modalità sono in numero finito o infinito numerabile Esempio 12.3.7. Sono caratteri quantitativi discreti • numero figli di una famiglia • numero stanze di un appartamento • numero di persone in coda a uno sportello Definizione 12.3.8 (Carattere quantitativo continuo). Un carattere quantitativo si dice continuo se le sue modalità appartengono a un intervallo Esempio 12.3.8. Sono caratteri quantitativi continui • peso • temperatura • lunghezza 404 12.4. SERIE E SERIAZIONI 12.4 Serie e seriazioni Definizione 12.4.1 (Serie statistica). Si dice serie statistica l’insieme dei dati di un’indagine su un carattere quantitativo Esempio 12.4.1. I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono una serie statistica Definizione 12.4.2 (Seriazione statistica). Si dice seriazione statistica l’insieme dei dati di un’indagine su un carattere qualitativo Esempio 12.4.2. Le nazionalità di un insieme di 15 persone sono una seriazione statistica 12.5 Variabili e mutabili statistiche Definizione 12.5.1 (Variabile statistica). Si dice variabile statistica una funzione che a ciascuna unità statistica associa una modalità di un determinato carattere quantitativo Definizione 12.5.2 (Mutabile statistica). Si dice mutabile statistica una funzione che a ciascuna unità statistica associa una modalità di un determinato carattere qualitativo Le variabili e le mutabili statistiche verranno indicate con le lettere X, Y, Z Esempio 12.5.1. Consideriamo una popolazione di 10 studenti e come carattere la classe di appartenenza. Un esempio di mutabile statistica X è il seguente: ® X= 12.6 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 3A 3E 3E 3E 3G 3A 3A 3G 3G 3G ´ Distribuzioni di frequenze Definizione 12.6.1 (Frequenza (assoluta)). Si dice frequenza (assoluta) di una modalità il numero di volte in cui tale modalità si presenta Esempio 12.6.1. Se in gruppo di 32 persone ci sono 15 italiani, 10 francesi e 7 inglesi le frequenze assolute sono rispettivamente 15, 10, 7 Definizione 12.6.2 (Frequenza relativa). Si dice frequenza relativa di una modalità il rapporto tra la frequenza assoluta e il numero di elementi della popolazione Esempio 12.6.2. Se in gruppo di 32 persone ci sono 15 italiani, 10 francesi e 7 inglesi le frequenze relative sono 15 10 7 rispettivamente , , cioè 0, 46875; 0, 3125; 0, 21875 32 32 32 Definizione 12.6.3 (Frequenza relativa percentuale). Si dice frequenza relativa percentuale di una modalità la frequenza relativa moltiplicata per 100 Esempio 12.6.3. Se in gruppo di 32 persone ci sono 15 italiani, 10 francesi e 7 inglesi le frequenze relative percentuali sono rispettivamente 46, 875%; 31, 25%; 21, 875% Definizione 12.6.4 (Distribuzione di frequenze (assolute)). Si dice distribuzione di frequenze (assolute) di una variabile o mutabile statistica X l’insieme delle coppie formate dalle modalità e dalle frequenze assolute di quelle modalità 405 CAPITOLO 12. STATISTICA Con abuso di linguaggio confonderemo la variabile o mutabile statistica con la sua distribuzione di frequenze assolute ® x1 x2 . . . x k X= f1 f2 . . . fk ´ Definizione 12.6.5 (Distribuzione di frequenze relative). Si dice distribuzione di frequenze relative di una variabile o mutabile statistica X l’insieme delle coppie formate dalle modalità e dalle frequenze relative di quelle modalità Con abuso di linguaggio confonderemo la variabile o mutabile statistica con la sua distribuzione di frequenze relative ® x1 x2 . . . x k X= f1 f2 . . . fk ´ Osservazione La somma delle frequenze relative di una variabile o mutabile statistica è uguale a 1. Esempio 12.6.4. Se in gruppo di 32 persone ci sono 15 italiani, 10 francesi e 7 inglesi la distribuzione di frequenze assolute della mutabile statistica X= “nazionalità” è: ® ´ italiana francese inglese X= 15 10 7 la distribuzione di frequenze relative della mutabile statistica X= “nazionalità” è: X= italiana francese inglese 12.7 15 32 10 32 7 32 Distribuzioni di frequenze in classi Nel caso di variabili statistiche continue molte osservazioni hanno valori diversi e quindi le frequenze assolute hanno valori vicini a 1. Con le variabili statistiche continue oppure con variabili statistiche discrete con valori molto dispersi, è quindi opportuno raggruppare le osservazioni in classi. Ogni classe ha un limite inferiore e un limite superiore. L’ampiezza della classe è la differenza tra il limite superiore e il limite inferiore. Il valore centrale della classe è la semisomma dei limiti e ad esso vengono riferite tutte le osservazioni sulla classe. Per determinare l’ampiezza delle classi: 1. si calcola il campo di variazione delle osservazioni, cioè la differenza tra il valore maggiore e il valore minore. 2. si determina il numero di classi desiderate: normalmente compreso tra 5 e 10 3. l’ampiezza di ogni classe è il rapporto tra il campo di variazione e il numero di classi In alcuni casi, le classi estreme possono avere ampiezza diversa dalle altre. Definizione 12.7.1 (Frequenza (assoluta) di una classe). Si dice frequenza (assoluta) di una classe il numero di elementi della classe. Definizione 12.7.2 (Frequenza relativa di una classe). Si dice frequenza relativa di una classe il rapporto tra la frequenza assoluta e il numero di elementi della popolazione Definizione 12.7.3 (Frequenza relativa percentuale di una classe). Si dice frequenza relativa percentuale di una classe la frequenza relativa moltiplicata per 100 Definizione 12.7.4 (Distribuzione di frequenze (assolute) in classi). Si dice distribuzione di frequenze (assolute) in classi di una variabile statistica X l’insieme delle coppie formate dalle classi e dalle frequenze assolute di quelle classi 406 12.8. TABELLE Definizione 12.7.5 (Distribuzione di frequenze relative in classi). Si dice distribuzione di frequenze relative in classi di una variabile statistica X l’insieme delle coppie formate dalle classi e dalle frequenze relative di quelle classi Esempio 12.7.1. In un indagine su 40 persone si sono rilevati i seguenti pesi: 64,5 56,7 58,9 65,5 70,5 85,4 70,0 72,5 57,7 63,5 43,5 45,7 74,5 46,5 52,4 68,3 70,5 77,3 60,0 82,5 67,4 67,8 47,5 55,7 52,8 56,2 57,5 55,2 49,9 75,6 70,5 72,5 87,6 53,5 73,5 65,7 77,2 80,0 87,5 57,7 Il valore minore è 43,5 e quello maggiore è 87,6 Possiamo considerare come valore minore 40 e valore maggiore 90. 50 Il campo di variazione è: 90 − 40 = 50, se utilizziamo 5 classi, la loro ampiezza è = 5. 10 Le classi sono ]40, 50] ]50, 60] ]60, 70] ]70, 80] ]80, 90] La distribuzione di frequenze assolute in classi della variabile statistica X= “peso” è: ® ´ ]40, 50] ]50, 60] ]60, 70] ]70, 80] ]80, 90] X= 5 12 8 11 4 La distribuzione di frequenze relative in classi della variabile statistica X= “peso” è: X= ]40, 50] ]50, 60] ]60, 70] ]70, 80] ]80, 90] 12.8 5 40 12 40 8 40 11 40 4 40 Tabelle La distribuzione di frequenze molte volte viene rappresentata mediante una tabella. Spesso si rappresentano contemporaneamente le frequenze assolute e quelle relative. Esempio 12.8.1. Se in gruppo di 32 persone ci sono 15 italiani, 10 francesi e 7 inglesi la tabella delle distribuzione di frequenze assolute e relative della mutabile statistica X= “nazionalità” è: Nazionalità Frequenza assoluta Frequenza relativa Italiana 15 Francese 10 Inglese 7 12.9 15 32 10 32 7 32 Grafici Le distribuzioni di frequenze possono anche essere visualizzate attraverso un grafico. La rappresentazione grafica perde in precisione ma si possono cogliere alcuni aspetti caratteristici in modo immediato. Vedremo alcuni tipi di rappresentazioni grafiche. 12.9.1 Grafico a canne d’organo o ortogramma Definizione 12.9.1 (Ortogramma). Un grafico si dice a canne d’organo o ortogramma se è formato da k rettangoli non contigui ciascuno con la stessa base e altezza pari alle frequenze assolute o relative delle k modalità della variabile o mutabile statistica. 407 CAPITOLO 12. STATISTICA I rettangoli possono essere verticali o orizzontali e, se ci sono più variabili, si possono utilizzare diversi colori e affiancare o impilare i rettangoli. Esempio 12.9.1. Rappresentiamo con un ortogramma la distribuzione di frequenze assolute della mutabile statistica X= “nazionalità” vista precedentemente. DISTRIBUZIONE FREQUENZE NAZIONALITA’ 14 12 10 8 6 4 2 0 Italiana Francese Inglese Figura 12.1: Ortogramma 12.9.2 Diagrammi cartesiani I diagrammi cartesiani si possono utilizzare per le variabili statistiche. Il diagramma è costituito da punti che hanno per ascissa le modalità e per ordinata la corrispondente frequenza. Le unità di misura degli assi sono generalmente diverse. Esempio 12.9.2. Rappresentiamo con un diagramma cartesiano la distribuzione di frequenze assolute della variabile statistica X= “numero componenti di una famiglia”: ® ´ 1 2 3 4 5 6 X= 5.230.120 6.013.451 4.321.012 4.112.234 1.122.335 432.501 COMPONENTI FAMIGLIE 7000000 Famiglie 6000000 5000000 4000000 3000000 2000000 1000000 0 1 2 3 4 5 6 Componenti Figura 12.2: Diagramma cartesiano 408 7 12.9. GRAFICI 12.9.3 Diagramma a torta Definizione 12.9.2 (Diagramma a torta). Un grafico si dice diagramma a torta o a settori circolari se è formato da un cerchio suddiviso da raggi che formano angoli di ampiezza pari al prodotto della frequenza relativa per 360, quindi l’area di ogni spicchio è proporzionale alla frequenza relativa della modalità corrispondente. Questo tipo di grafico si utilizza per rappresentare frequenze relative e frequenze relative percentuali Esempio 12.9.3. Rappresentiamo con un diagramma a torta la distribuzione di frequenze relative percentuali della mutabile statistica X= “nazionalità” vista precedentemente. NAZIONALITA Italiana 47% Francese Inglese 22% 31% Figura 12.3: Diagramma a Torta 12.9.4 Istogrammi Definizione 12.9.3 (Istogramma). Un grafico si dice istogramma se è formato da k rettangoli contigui ciascuno con base coincidente con una classe e area proporzionale alla frequenza assoluta della classe. Gli istogrammi si utilizzano per rappresentare distribuzioni di frequenza in classi. Le altezze si trovano dividendo la frequenza per l’ampiezza della classe. Se le classi hanno la stessa ampiezza l’altezza è proporzionale alla frequenza. Definizione 12.9.4 (Poligono di frequenza). Si dice poligono di frequenza la spezzata che unisce i punti medi delle basi superiori dei rettangoli di un istogramma Osservazione Il poligono di frequenza si può anche estendere alle classi estreme aventi frequenza nulla. Esempio 12.9.4. Rappresentiamo con un istogramma e con il poligono di frequenza la distribuzione di frequenze assolute della variabile statistica X= “peso” vista precedentemente. 409 CAPITOLO 12. STATISTICA 18 PESO 16 14 12 10 8 6 4 2 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 Figura 12.4: Istogramma 12.10 Funzione di ripartizione cumulativa delle frequenze Definizione 12.10.1 (Funzione di ripartizione). Si dice funzione di ripartizione (cumulativa delle frequenze) di una variabile statistica X la funzione che associa a ogni x appartenente a R la somma delle frequenze relative associate ai valori minori o uguali di x e si indica con F (x). In simboli F (x) = X fxi xi 6x Esempio 12.10.1. I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono: 5,7,6,6,5,7,8,9,7,8,8,7,5,4,3,7,3,8,9,6 La distribuzione di frequenze relative della variabile statistica X =“voto” è: X= 3 4 1 20 2 20 5 3 20 6 3 20 7 5 20 8 4 20 9 2 20 Determiniamo alcuni valori della funzione di ripartizione F F (−5) = 0 F (2, 9) = 0 F (3) = 2 20 F (3, 5) = 2 20 6 20 18 F (8) = 20 F (5) = F (9) = 1 F (35) = 1 Rappresentiamo graficamente la funzione di ripartizione F 410 12.11. FREQUENZA CUMULATA DAL BASSO 1.4 y 1.2 1 0.8 0.6 0.4 0.2 x −2 −1 O 1 2 3 4 5 6 7 8 9 Figura 12.5: funzione di ripartizione 12.11 Frequenza cumulata dal basso Definizione 12.11.1 (Frequenza cumulata dal basso). Data una variabile statistica X si dice frequenza cumulata dal basso di un valore o di una classe la somma delle frequenze assolute associate ai valori minori o uguali di quel valore o di quella classe Esempio 12.11.1. I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono: 5,7,6,6,5,7,8,9,7,8,8,7,5,4,3,7,3,8,9,6 La tabella con le frequenze assolute e le frequenze cumulate è Voto Frequenza assoluta Frequenza cumulata 3 4 5 6 7 8 9 2 1 3 3 5 4 2 2 3 6 9 14 18 20 411 Capitolo 13 Valori medi statistici 13.1 Introduzione I valori medi servono per sintetizzare un fenomeno statistico. Ci sono diversi valori medi, che si possono suddividere in valori medi algebrici e valori medi laschi. Ne vedremo alcuni. 13.2 Medie algebriche Le medie algebriche si possono utilizzare solo per le variabili statistiche. Definizione 13.2.1 (Valore medio). Si dice valore medio di una successione di n dati x1 , . . . , xn rispetto a una funzione f (x1 , . . . , xn ) la costante M che soddisfa la seguente condizione: f (x1 , . . . , xn ) = f (M, . . . , M ) Questa definizione è data da Chisini. Per applicare questa definizione si individua la funzione f e si determina il valore di M , cioè quel valore costante che sostituito a tutti i dati mantiene invariato il valore della funzione. A seconda della funzione scelta si avranno medie diverse. 13.2.1 Media aritmetica Se come funzione consideriamo la somma dei dati otteniamo la media aritmetica. Definizione 13.2.2 (Media aritmetica). Si dice media aritmetica di una successione di n dati x1 , . . . , xn quel valore M che sostituito a tutti i dati lascia invariata la somma: M + . . . + M = x1 + . . . + xn nM = x1 + . . . + xn x1 + . . . + xn M= n M= n 1X xi n i=1 Data la variabile statistica X con distribuzione ® x1 . . . xk X= f1 . . . fk ´ la media aritmetica è M= x1 f1 + . . . + xk fk f1 + . . . + fk 412 13.2. MEDIE ALGEBRICHE e, indicando con n = f1 + . . . + fk , si ha M= k 1X xi fi n i=1 Se f1 , . . . , fk sono le frequenze relative, poiché f1 + . . . + fk = 1 si ha M= k X xi fi i=1 Osservazione Le frequenze fi si chiamano pesi e la media si dice ponderata Esempio 13.2.1. I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono: 5,7,6,6,5,7,8,9,7,8,8,7,5,4,3,7,3,8,9,6 La media aritmetica è M= 5+7+6+6+5+7+8+9+7+8+8+7+5+4+3+7+3+8+9+6 = 20 128 = 6, 4 20 La distribuzione di frequenze assolute della variabile statistica X =“voto” è: ® 3 4 5 6 7 8 9 X= 2 1 3 3 5 4 2 ´ La media aritmetica della variabile statistica X è: M= 3·2+4·1+5·3+6·3+7·5+8·4+9·2 128 = = 6, 4 20 20 Osservazione Se i dati sono distribuiti in classi per calcolare la media aritmetica si prendono come valori i valori centrali delle classi e come frequenze le frequenze delle classi. Esempio 13.2.2. Data la distribuzione di frequenze assolute in classi della variabile statistica X= “peso”: ® ´ ]40, 50] ]50, 60] ]60, 70] ]70, 80] ]80, 90] X= 5 12 8 11 4 La media aritmetica della variabile statistica X è: M= 45 · 5 + 55 · 12 + 65 · 8 + 75 · 11 + 85 · 4 2570 = = 64, 25 40 40 Osservazione La media aritmetica è il valor medio più usato e si dice semplicemente media. Definizione 13.2.3 (Scarto). Si dice scarto la differenza tra un valore e la media aritmetica Teorema 13.2.1 (Scarto). La somma degli scarti è 0 Dimostrazione n X n X i=1 i=1 (xi − M ) = xi − n X M = nM − nM = 0 i=1 413 CAPITOLO 13. VALORI MEDI STATISTICI 13.2.2 Media geometrica Se come funzione consideriamo il prodotto dei dati otteniamo la media geometrica. Definizione 13.2.4 (Media geometrica). Si dice media geometrica di una successione di n dati positivi x1 , . . . , xn quel valore MG che sostituito a tutti i dati lascia invariato il prodotto: MG · . . . · M G = x 1 · . . . · x n MGn = x1 · . . . · xn √ MG = n x1 · . . . · xn à MG = n n Y xi i=1 Data la variabile statistica X con distribuzione ® x1 . . . xk X= f1 . . . fk ´ la media geometrica è MG = q f1 +...+fk xf11 · . . . · xfkk e, indicando con n = f1 + . . . + fk , si ha à MG = n k Y fi xi i=1 Se f1 , . . . , fk sono le frequenze relative, poiché f1 + . . . + fk = 1 si ha MG = k Y fi xi i=1 Esempio 13.2.3. I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono: 5,7,6,6,5,7,8,9,7,8,8,7,5,4,3,7,3,8,9,6 La media geometrica è √ 20 MG = 5 · 7 · 6 · 6 · 5 · 7 · 8 · 9 · 7 · 8 · 8 · 7 · 5 · 4 · 3 · 7 · 3 · 8 · 9 · 6 = 6, 12 La distribuzione di frequenze assolute della variabile statistica X =“voto” è: ® 3 4 5 6 7 8 9 X= 2 1 3 3 5 4 2 ´ La media geometrica della variabile statistica X è: √ 20 MG = 32 · 41 · 53 · 63 · 7 · 5 · 84 · 92 = 6, 12 Osservazione Se i dati sono distribuiti in classi per calcolare la media geometrica si prendono come valori i valori centrali delle classi e come frequenze le frequenze delle classi. Esempio 13.2.4. Data la distribuzione di frequenze assolute in classi della variabile statistica X= “peso”: ® ´ ]40, 50] ]50, 60] ]60, 70] ]70, 80] ]80, 90] X= 5 12 8 11 4 La media geometrica della variabile statistica X è: √ 40 M= 455 · 5512 · 658 · 7511 · 854 = 63, 08 Osservazione La media geometrica si utilizza per esempio per calcolare il tasso medio di rendimento di un capitale impiegato a vari tassi. 414 13.2. MEDIE ALGEBRICHE 13.2.3 Media armonica Se come funzione consideriamo la somma dei reciproci dei dati otteniamo la media armonica. Definizione 13.2.5 (Media armonica). Si dice media armonica di una successione di n dati positivi x1 , . . . , xn quel valore MA che sostituito a tutti i dati lascia invariata la somma dei reciproci: 1 1 1 1 + ... + = + ... + MA MA x1 xn n 1 1 = + ... + MA x1 xn n MA = 1 1 + ... + x1 xn n MA = n X 1 x i=1 i Data la variabile statistica X con distribuzione ® x1 . . . xk X= f1 . . . fk ´ la media armonica è MA = f1 + . . . + fk f1 fk + ... + x1 xk e, indicando con n = f1 + . . . + fk , si ha MA = n k X i=1 fi xi Se f1 , . . . , fk sono le frequenze relative, poiché f1 + . . . + fk = 1 si ha MA = 1 k X fi i=1 xi Esempio 13.2.5. I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono: 5,7,6,6,5,7,8,9,7,8,8,7,5,4,3,7,3,8,9,6 La media armonica è MA = 20 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 + + + + + + + + + + + + + + + + + + + 5 7 6 6 5 7 8 9 7 8 8 7 5 4 3 7 3 8 9 6 5, 79 La distribuzione di frequenze assolute della variabile statistica X =“voto” è: ® 3 4 5 6 7 8 9 X= 2 1 3 3 5 4 2 ´ La media armonica della variabile statistica X è: MA = 20 = 5, 79 2 1 3 3 5 4 2 + + + + + + 3 4 5 6 7 8 9 415 = CAPITOLO 13. VALORI MEDI STATISTICI Osservazione Se i dati sono distribuiti in classi per calcolare la media armonica si prendono come valori i valori centrali delle classi e come frequenze le frequenze delle classi. Esempio 13.2.6. Data la distribuzione di frequenze assolute in classi della variabile statistica X= “peso”: ® X= ´ ]40, 50] ]50, 60] ]60, 70] ]70, 80] ]80, 90] 5 12 8 11 4 La media armonica della variabile statistica X è: M= 40 = 61, 91 5 12 8 11 4 + + + + 45 55 65 75 85 13.2.4 Media quadratica Se come funzione consideriamo la somma dei quadrati dei dati otteniamo la media quadratica. Definizione 13.2.6 (Media quadratica). Si dice media quadratica di una successione di n dati x1 , . . . , xn quel valore MQ che sostituito a tutti i dati lascia invariata la somma dei quadrati: 2 2 MQ + . . . + MQ = x21 + . . . + x2n 2 nMQ = x21 + . . . + x2n x21 + . . . + x2n n Œ n X MQ = x2i i=1 MQ = n Data la variabile statistica X con distribuzione ® x1 . . . xk X= f1 . . . fk ´ la media quadratica è s MQ = x21 f1 + . . . + x2k fk f1 + . . . + fk e, indicando con n = f1 + . . . + fk , si ha Œ k X x2i fi i=1 MQ = n Se f1 , . . . , fk sono le frequenze relative, poiché f1 + . . . + fk = 1 si ha à MQ = k X x2i fi i=1 Esempio 13.2.7. I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono: 5,7,6,6,5,7,8,9,7,8,8,7,5,4,3,7,3,8,9,6 La media quadratica è MQ = 416 13.3. MEDIE LASCHE 52 + 7 2 + 6 2 + 6 2 + 5 2 + 7 2 + 8 2 + 9 2 + 7 2 + 8 2 + 8 2 + 7 2 + 5 2 + 4 2 + 3 2 + 7 2 + 3 2 + 8 2 + 9 2 + 6 2 = 20 1136 = 7, 54 20 La distribuzione di frequenze assolute della variabile statistica X =“voto” è: ® 3 4 5 6 7 8 9 X= 2 1 3 3 5 4 2 ´ La media quadratica della variabile statistica X è: 32 · 2 + 42 · 1 + 52 · 3 + 62 · 3 + 72 · 5 + 82 · 4 + 92 · 2 1136 MQ = = = 7, 54 20 20 Osservazione Se i dati sono distribuiti in classi per calcolare la media quadratica si prendono come valori i valori centrali delle classi e come frequenze le frequenze delle classi. Esempio 13.2.8. Data la distribuzione di frequenze assolute in classi della variabile statistica X= “peso”: ® ´ ]40, 50] ]50, 60] ]60, 70] ]70, 80] ]80, 90] X= 5 12 8 11 4 La media quadratica della variabile statistica X è: 452 · 5 + 552 · 12 + 652 · 8 + 752 · 11 + 852 · 4 171000 = = 65, 38 MQ = 40 40 Osservazione La media quadratica si utilizza quando si devono ignorare i segni dei singoli valori Teorema 13.2.2 (Medie algebriche). Data una successione di n dati positivi x1 , . . . , xn si ha MA 6 MG 6 M 6 M Q Osservazione Tutte le medie tranne quella quadratica hanno la proprietà che sono comprese tra il minimo e il massimo dei valori della successione di dati. 13.3 13.3.1 Medie lasche Moda Le medie algebriche dipendono dai valori della distribuzione, la moda dipende solo dalla frequenza dei dati e non dai dati stessi. Definizione 13.3.1 (Moda). Si dice moda di una successione di n dati x1 , . . . , xn il dato M o che ha frequenza maggiore Osservazione Se tutte le frequenze sono uguali la moda non esiste, se più dati hanno la frequenza maggiore ci sono più mode Esempio 13.3.1. I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono: 5,7,6,6,5,7,8,9,7,8,8,7,5,4,3,7,3,8,9,6. La distribuzione di frequenze assolute della variabile statistica X =“voto” è: ® 3 4 5 6 7 8 9 X= 2 1 3 3 5 4 2 ´ La frequenza maggiore è 5 e si ha per il valore 7 quindi la moda della variabile statistica X è: Mo = 7 417 CAPITOLO 13. VALORI MEDI STATISTICI Osservazione Se i dati sono distribuiti in classi con la stessa ampiezza si determina la classe modale cioè quella che ha la massima frequenza. Esempio 13.3.2. Data la distribuzione di frequenze assolute in classi della variabile statistica X= “peso”: ® X= ´ ]40, 50] ]50, 60] ]60, 70] ]70, 80] ]80, 90] 5 12 8 11 4 La classe modale è la classe ]50, 60] Osservazione La moda può essere usata anche per caratteri qualitativi e non è influenzata da valori estremi. 13.3.2 Mediana Definizione 13.3.2 (Mediana). Si dice mediana M e di una successione ordinata di n dati x1 , . . . , xn il dato che occupa la posizione n+1 centrale, cioè la posizione se n è dispari, la media aritmetica dei 2 dati centrali, cioè di posizione 2 n n e + 1 se n è pari. 2 2 Esempio 13.3.3. I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono: 5,7,6,6,5,7,8,9,7,8,8,7,5,4,3,7,3,8,9,6 Scriviamo i dati in ordine crescente 3,3,4,5,5,5,6,6,6,7,7,7,7,7,8,8,8,8,9,9 poiché 20 è pari la mediana è la media aritmetica dei dati occupanti la decima e undicesima posizione: 7+7 Me = =7 2 Data la variabile statistica X con distribuzione ® ´ x1 . . . xk X= f1 . . . fk con x1 , . . . , xk ordinati in modo crescente, per calcolare la mediana 1. si calcolano le frequenze cumulate 2. si calcola n = f1 + . . . + fk 3. se n è dispari la mediana è il dato corrispondente alla prima frequenza cumulata maggiore o n+1 ; se n è pari la mediana è la media aritmetica dei 2 dati corrispondenti rispettiuguale a 2 n vamente alla prima frequenza cumulata maggiore o uguale a e alla prima frequenza cumulata 2 n maggiore o uguale a + 1 2 Esempio 13.3.4. La distribuzione di frequenze assolute della variabile statistica X =“voto” è: ® 3 4 5 6 7 8 9 X= 2 1 3 3 5 4 2 ´ Determiniamo le frequenze cumulate voto Frequenza assoluta Frequenza cumulata 3 4 5 6 7 8 9 2 1 3 3 5 4 2 2 3 6 9 14 18 20 418 13.3. MEDIE LASCHE n = 20 poiché n è pari le frequenze cumulate da considerare sono quelle rispettivamente maggiori o 20 uguali a = 10 e 11 i dati corrispondenti sono 7 e 7, quindi la mediana è 2 Me = 7+7 =7 2 Osservazioni 1. Non consideriamo il calcolo della mediana per i dati distribuiti in classi 2. La mediana non è influenzata da valori estremi. 419 Capitolo 14 Variabilità 14.1 Introduzione Nello studio di un fenomeno statistico ai valori medi è bene associare dei valori che indichino la dispersione dei dati. Questi valori si chiamano indici di dispersione o di variabilità e sono dei numeri non negativi; valgono 0 se i dati sono tutti uguali; più i dati sono dispersi più gli indici sono maggiori. Vediamo alcuni di questi indici di variabilità. 14.2 Campo di variazione Definizione 14.2.1 (Campo di variazione). Si dice campo di variazione di una successione di n dati x1 , . . . , xn la differenza tra il valore maggiore e il valore minore Esempio 14.2.1. I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono: 5,7,6,6,5,7,8,9,7,8,8,7,5,4,3,7,3,8,9,6 Il voto maggiore è 9, il voto minore è 3 il campo di variazione è 9−3=6 Osservazione Il campo di variazione è semplice da calcolare ma è influenzato dai valori anomali o troppo grandi o troppo piccoli dovuti magari a errori di osservazione o misura o trascrizione. 14.3 Varianza e deviazione standard Definizione 14.3.1 (Varianza). Si dice varianza di una successione di n dati x1 , . . . , xn la media del quadrato degli scarti. In simboli σ2 = n 1X (xi − M )2 n i=1 dove M è la media aritmetica. Data la variabile statistica X con distribuzione ® x1 . . . xk X= f1 . . . fk ´ indicando con n = f1 + . . . + fk , la varianza è σ2 = k 1X (xi − M )2 fi n i=1 420 14.3. VARIANZA E DEVIAZIONE STANDARD Se f1 , . . . , fk sono le frequenze relative, poiché f1 + . . . + fk = 1 si ha σ2 = k X (xi − M )2 fi i=1 Esempio 14.3.1. I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono: 5,7,6,6,5,7,8,9,7,8,8,7,5,4,3,7,3,8,9,6 La media è M = 6, 4, la varianza è σ2 = (5 − 6, 4)2 + (7 − 6, 4)2 + (6 − 6, 4)2 + (6 − 6, 4)2 + 20 (5 − 6, 4)2 + (7 − 6, 4)2 + (8 − 6, 4)2 + (9 − 6, 4)2 + (7 − 6, 4)2 + 20 (8 − 6, 4)2 + (8 − 6, 4)2 + (7 − 6, 4)2 + (5 − 6, 4)2 + (4 − 6, 4)2 + (3 − 6, 4)2 + 20 (7 − 6, 4)2 + (3 − 6, 4)2 + (8 − 6, 4)2 + (9 − 6, 4)2 + (6 − 6, 4)2 = 3, 04 20 La distribuzione di frequenze assolute della variabile statistica X =“voto” è: ® X= 3 4 5 6 7 8 9 2 1 3 3 5 4 2 ´ La media della variabile statistica X è M = 6, 4, la varianza è σ2 = (3 − 6, 4)2 · 2 + (4 − 6, 4)2 · 1 + (5 − 6, 4)2 · 3 + 20 (6 − 6, 4)2 · 3 + (7 − 6, 4)2 · 5 + (8 − 6, 4)2 · 4 + (9 − 6, 4)2 · 2 = 3, 04 20 Osservazione Se i dati sono distribuiti in classi per calcolare la varianza si prendono come valori i valori centrali delle classi e come frequenze le frequenze delle classi. Esempio 14.3.2. Data la distribuzione di frequenze assolute in classi della variabile statistica X= “peso”: ® ´ ]40, 50] ]50, 60] ]60, 70] ]70, 80] ]80, 90] X= 5 12 8 11 4 La media della variabile statistica X è M = 64, 25, la varianza è σ2 = (45 − 64, 25)2 · 5 + (55 − 64, 25)2 · 12 + (65 − 64, 25)2 · 8 + (75 − 64, 25)2 · 11 + (85 − 64, 25)2 · 4 = 40 5877, 5 = 146, 9375 40 Teorema 14.3.1 (Varianza). La varianza di una successione di n dati x1 , . . . , xn è la differenza tra la media dei quadrati dei dati e il quadrato della media dei dati. In simboli σ2 = n 1X x2 − M 2 n i=1 i 421 CAPITOLO 14. VARIABILITÀ Dimostrazione n n Ä ä 1X 1X 2 σ = (xi − M ) = x2i − 2M xi + M 2 = n i=1 n i=1 2 n n n 1X 1X 1X 2 x − 2M xi + M2 = n i=1 i n i=1 n i=1 n n n n 1X 1X 1 1X 1X x2i − 2M xi + nM 2 = x2i − 2M 2 + M 2 = x2 − M 2 n i=1 n i=1 n n i=1 n i=1 i Esempio 14.3.3. I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono: 5,7,6,6,5,7,8,9,7,8,8,7,5,4,3,7,3,8,9,6 La media è M = 6, 4, la media dei quadrati è 52 + 7 2 + 6 2 + 6 2 + 5 2 + 7 2 + 8 2 + 9 2 + 7 2 + 8 2 + 8 2 + 7 2 + 5 2 + 4 2 + 3 2 + 7 2 + 3 2 + 8 2 + 9 2 + 6 2 = 20 880 = 44 20 La varianza è σ 2 = 44 − M 2 = 44 − 40, 96 = 3, 04 Definizione 14.3.2 (Deviazione standard). Si dice deviazione standard o scarto quadratico medio di una successione di n dati x1 , . . . , xn la radice quadrata della varianza. In simboli à n 1X (xi − M )2 n i=1 σ= Esempio 14.3.4. I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono: 5,7,6,6,5,7,8,9,7,8,8,7,5,4,3,7,3,8,9,6 La varianza è σ 2 = 3, 04, la deviazione standard è σ= p 3, 04 = 1, 74 14.4 Scarto semplice medio Definizione 14.4.1 (Scarto semplice medio). Si dice scarto semplice medio di una successione di n dati x1 , . . . , xn la media dei valori assoluti degli scarti. In simboli S= n 1X |xi − M | n i=1 dove M è la media aritmetica. Data la variabile statistica X con distribuzione ® x1 . . . xk X= f1 . . . fk ´ indicando con n = f1 + . . . + fk , lo scarto semplice medio è S= k 1X |xi − M | fi n i=1 Se f1 , . . . , fk sono le frequenze relative, poiché f1 + . . . + fk = 1 si ha S= k X |xi − M | fi i=1 422 14.5. INDICI DI VARIABILITÀ RELATIVA Esempio 14.4.1. I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono: 5,7,6,6,5,7,8,9,7,8,8,7,5,4,3,7,3,8,9,6 La media è M = 6, 4, lo scarto semplice medio è S= |5 − 6, 4| + |7 − 6, 4| + |6 − 6, 4| + |6 − 6, 4| + |5 − 6, 4| + |7 − 6, 4| + |8 − 6, 4| + 20 |9 − 6, 4| + |7 − 6, 4| + |8 − 6, 4| + |8 − 6, 4| + |7 − 6, 4| + |5 − 6, 4| + |4 − 6, 4| + 20 |3 − 6, 4| + |7 − 6, 4| + |3 − 6, 4| + |8 − 6, 4| + |9 − 6, 4| + |6 − 6, 4| = 1, 46 20 La distribuzione di frequenze assolute della variabile statistica X =“voto” è: ® 3 4 5 6 7 8 9 X= 2 1 3 3 5 4 2 ´ La media della variabile statistica X è M = 6, 4, lo scarto semplice medio è S= |3 − 6, 4| · 2 + |4 − 6, 4| · 1 + |5 − 6, 4| · 3 + |6 − 6, 4| · 3 + |7 − 6, 4| · 5 + |8 − 6, 4| · 4 + |9 − 6, 4| · 2 = 20 1, 46 Se i dati sono distribuiti in classi per calcolare lo scarto semplice medio si prendono come valori i valori centrali delle classi e come frequenze le frequenze delle classi. Esempio 14.4.2. Data la distribuzione di frequenze assolute in classi della variabile statistica X= “peso”: ´ ® ]40, 50] ]50, 60] ]60, 70] ]70, 80] ]80, 90] X= 5 12 8 11 4 La media della variabile statistica X è M = 64, 25, lo scarto semplice medio è S= |45 − 64, 25| · 5 + |55 − 64, 25| · 12 + |65 − 64, 25| · 8 + |75 − 64, 25| · 11 + |85 − 64, 25| · 4 = 40 414, 5 = 10, 3625 40 14.5 Indici di variabilità relativa Finora abbiamo considerato indici di variabilità assoluta. Consideriamo ora indici di variabilità relativa dati dal rapporto tra un indice di variabilità assoluta e un valore medio. L’indice di variabilità relativa più utilizzato è il coefficiente di variazione. Definizione 14.5.1 (Coefficiente di variazione). Si dice coefficiente di variazione di una successione di n dati x1 , . . . , xn il rapporto tra la deviazione standard e la media aritmetica. In simboli cv = σ M Esempio 14.5.1. I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono: 5,7,6,6,5,7,8,9,7,8,8,7,5,4,3,7,3,8,9,6 La media è M= 5+7+6+6+5+7+8+9+7+8+8+7+5+4+3+7+3+8+9+6 = 6, 4 20 423 CAPITOLO 14. VARIABILITÀ La media dei quadrati è 52 + 7 2 + 6 2 + 6 2 + 5 2 + 7 2 + 8 2 + 9 2 + 7 2 + 8 2 + 8 2 + 7 2 + 5 2 + 4 2 + 3 2 + 7 2 + 3 2 + 8 2 + 9 2 + 6 2 = 44 20 La varianza è σ 2 = 44 − M 2 = 44 − 40, 96 = 3, 04 Lo scarto quadratico medio è σ= p 3, 04 = 1, 74 Il coefficiente di variazione è cv = 1, 74 = 0, 27 6, 4 14.6 Standardizzazione Definizione 14.6.1 (dati standardizzati). Una successione di n dati x1 , . . . , xn di dice standardizzata se ha media nulla e deviazione standard 1 Teorema 14.6.1 (dati standardizzati). Data una successione di n dati x1 , . . . , xn , con media M e deviazione standard σ, la successione xn − M x1 − M ,..., σ σ è standardizzata Dimostrazione Data la successione x1 − M xn − M ,..., σ σ Calcoliamo la media aritmetica M1 : M1 = n n 1X xi − M 1 X 1 = (xi − M ) = 0=0 n i=1 σ nσ i=1 nσ Calcoliamo la deviazione standard σ1 : à n 1X xi − M −0 n i=1 σ σ1 = à n 1 X (xi − M )2 = nσ 2 i=1 à ã2 Å Ã n 1X xi − M n i=1 σ Å = n 1 1X (xi − M )2 = σ 2 n i=1 ã2 = 1 2 σ =1 σ2 Poiché la media aritmetica è nulla e la deviazione standard è 1, la successione x1 − M xn − M ,..., σ σ è standardizzata. Esempio 14.6.1. I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono: 5,7,6,6,5,7,8,9,7,8,8,7,5,4,3,7,3,8,9,6 La media è M= 5+7+6+6+5+7+8+9+7+8+8+7+5+4+3+7+3+8+9+6 = 6, 4 20 424 14.6. STANDARDIZZAZIONE La media dei quadrati è 52 + 7 2 + 6 2 + 6 2 + 5 2 + 7 2 + 8 2 + 9 2 + 7 2 + 8 2 + 8 2 + 7 2 + 5 2 + 4 2 + 3 2 + 7 2 + 3 2 + 8 2 + 9 2 + 6 2 = 44 20 La varianza è σ 2 = 44 − M 2 = 44 − 40, 96 = 3, 04 Lo scarto quadratico medio è σ= p 3, 04 = 1, 74 la successione 5 − 6, 4 7 − 6, 4 6 − 6, 4 6 − 6, 4 5 − 6, 4 7 − 6, 4 ; ; ; ; ; ; 1, 74 1, 74 1, 74 1, 74 1, 74 1, 74 8 − 6, 4 9 − 6, 4 7 − 6, 4 8 − 6, 4 8 − 6, 4 7 − 6, 4 5 − 6, 4 ; ; ; ; ; ; ; 1, 74 1, 74 1, 74 1, 74 1, 74 1, 74 1, 74 4 − 6, 4 3 − 6, 4 7 − 6, 4 3 − 6, 4 8 − 6, 4 9 − 6, 4 6 − 6, 4 ; ; ; ; ; ; 1, 74 1, 74 1, 74 1, 74 1, 74 1, 74 1, 74 cioè −0, 80; 0, 34; −0, 23; −0, 23; −0, 80; 0, 34; 0, 92; 1, 49; 0, 34; 0, 92; 0, 92; 0, 34; −0, 80; −1, 38; −1, 95; 0, 92; 1, 49; −0, 23 è standardizzata Definizione 14.6.2 (variabile statistica standardizzata). Una variabile statistica X di dice standardizzata se ha media nulla e deviazione standard 1 Teorema 14.6.2 (variabile statistica standardizzata). Data una variabile statistica ® X= x1 . . . xk f1 . . . fk ´ con media M e deviazione standard σ, la variabile statistica Z= x1 − M ... ... σ f1 xk − M σ fk è standardizzata Dimostrazione Data la variabile statistica Z: Z= x1 − M ... ... σ f1 xk − M σ fk Indicando con n = f1 + . . . + fk , calcoliamo la media MZ : k k 1X xi − M 1 X 1 MZ = fi = (xi − M )fi = 0=0 n i=1 σ nσ i=1 nσ Calcoliamo la deviazione standard σZ : à k 1X xi − M −0 n i=1 σ Å σZ = à ã2 k 1X xi − M n i=1 σ Å fi = ã2 425 fi = CAPITOLO 14. VARIABILITÀ à k 1 X nσ 2 à 2 (xi − M ) fi = i=1 k 1 1X (xi − M )2 fi = σ 2 n i=1 1 2 σ =1 σ2 Poiché la media aritmetica è nulla e la deviazione standard è 1, la variabile statistica Z= x1 − M ... ... σ f1 xk − M σ fk è standardizzata Esempio 14.6.2. I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono: 5,7,6,6,5,7,8,9,7,8,8,7,5,4,3,7,3,8,9,6 La distribuzione di frequenze assolute della variabile statistica X =“voto” è: ® X= 3 4 5 6 7 8 9 2 1 3 3 5 4 2 ´ La media della variabile statistica X è: M= 3·2+4·1+5·3+6·3+7·5+8·4+9·2 = 6, 4 20 La varianza è σ2 = (3 − 6, 4)2 · 2 + (4 − 6, 4)2 · 1 + (5 − 6, 4)2 · 3 + 20 (6 − 6, 4)2 · 3 + (7 − 6, 4)2 · 5 + (8 − 6, 4)2 · 4 + (9 − 6, 4)2 · 2 = 3, 04 20 Lo scarto quadratico medio è σ= p 3, 04 = 1, 74 La variabile statistica: Y = 3 − 6, 4 1, 74 4 − 6, 4 1, 74 5 − 6, 4 1, 74 6 − 6, 4 1, 74 7 − 6, 4 1, 74 8 − 6, 4 1, 74 2 1 3 3 5 4 9 − 6, 4 1, 74 2 cioè ® ´ −1, 95 −1, 38 −0, 80 −0, 23 0, 34 0, 92 , 49 Y = 2 1 3 3 5 4 2 è standardizzata. Osservazione La standardizzazione è utile per confrontare distribuzioni statistiche differenti. 14.7 Rapporti statistici Definizione 14.7.1 (Rapporto statistico). Si dice rapporto statistico il rapporto tra due dati di cui almeno uno statistico. Esempio 14.7.1. sono rapporti statistici: • il rapporto tra popolazione di un territorio e estensione del territorio • il rapporto tra il numero delle lavoratrici e il numero dei lavoratori in un territorio 426 14.7. RAPPORTI STATISTICI 14.7.1 Rapporti di composizione Definizione 14.7.2 (Rapporti di composizione). Si dice rapporto di composizione il rapporto tra una parte e il tutto. Esempio 14.7.2. sono rapporti di composizione: • le frequenze relative • la composizione di un cibo • la composizione della spesa di una famiglia 14.7.2 Rapporti di densità Definizione 14.7.3 (Rapporti di densità). Si dice rapporto di densità il rapporto tra la frequenza di una modalità statistica e una grandezza presa come unità di misura (superficie, intervallo di tempo, ect) Esempio 14.7.3. La densità di popolazione, data dal rapporto tra il numero di abitanti e la superficie del territorio, è un rapporto di densità. 14.7.3 Rapporti di derivazione Definizione 14.7.4 (Rapporti di derivazione). Si dice rapporto di derivazione il rapporto tra due grandezze statistiche tali che una deriva dall’altra. Esempio 14.7.4. Il rapporto tra il numero di divorzi e il numero di matrimoni è un rapporto di derivazione. 14.7.4 Rapporto di coesistenza Definizione 14.7.5 (Rapporto di coesistenza). Si dice rapporto di coesistenza il rapporto tra due grandezze statistiche non legate da un nesso di causalità ma che è lo stesso utile confrontare Esempio 14.7.5. Il rapporto tra importazioni e esportazioni è un rapporto di coesistenza. 14.7.5 Numeri indici I numeri indici sono rapporti statistici molto importanti. Definizione 14.7.6 (Numeri indici). ® ´ x1 . . . x k Data una variabile o mutabile statistica X = si dicono numeri indici i rapporti, f1 . . . fk moltiplicati per 100, tra ogni frequenza fi e una di esse assunta come base Osservazione La base può essere fissa o mobile, in particolare se ogni numero indice è calcolato usando come denominatore la frequenza della modalità precedente, i numeri indici sono detti a catena. Esempio 14.7.6. Data la mutabile statistica X =“numero occupati in agricoltura in migliaia di unità dal 1975 al 1980”: ® 1975 1976 1977 1978 1979 1980 X= 3274 3244 3149 3090 3012 2924 ´ Calcoliamo gli indici a base fissa prendendo come base il 1975: ® 1975 1976 1977 1978 1979 1980 Y = 100 99 96 94 92 89 ´ 427 CAPITOLO 14. VARIABILITÀ Calcoliamo gli indici a catena: ® 1976 1977 1978 1979 1980 Z= 99 97 98 97 97 ´ 428 Parte III CLASSE TERZA LINGUISTICO 429 Capitolo 1 Equazioni di secondo grado 1.1 Introduzione La forma normale di un’equazione di secondo grado è ax2 + bx + c = 0 con a, b, c ∈ R ∧ a 6= 0 • la lettera x si dice incognita • a è il coefficiente del termine di secondo grado • b è il coefficiente del termine di primo grado • c è il termine noto. Osservazione Abbiamo imposto a 6= 0 perché, in caso contrario, l’equazione diventa bx + c = 0, che è di primo grado. Consideriamo ora alcuni casi particolari di equazioni di secondo grado. 1.2 Equazioni di secondo grado spurie Definizione 1.2.1 (Equazione spuria). Un’equazione di secondo grado si dice spuria se la sua forma normale è ax2 + bx = 0 con a, b ∈ R0 Osservazione In un’equazione di secondo grado spuria il termine noto è uguale a 0 Per risolvere le equazioni spurie: 1. si trasforma l’equazione nella forma normale ax2 + bx = 0 2. si scompone il primo membro raccogliendo il fattore x e si ottiene: x (ax + b) = 0 3. si applica la legge dell’annullamento del prodotto uguagliando a 0 i due fattori: x = 0 ∨ ax + b = 0 4. una soluzione è x = 0, l’altra soluzione si ottiene risolvendo l’equazione di primo grado ax+b = 0 x=− b a l’equazione è determinata e ß S = 0; − b a ™ 430 1.3. EQUAZIONI DI SECONDO GRADO PURE Osservazioni 1. La legge dell’annullamento del prodotto si può applicare solo se il secondo membro è 0 2. Ogni equazione di secondo grado spuria ammette due soluzioni reali distinte di cui una nulla. Esempio 1.2.1. Risolviamo l’equazione 3x (x + 2) = (x − 1)2 + 4x − 1 trasformiamo l’equazione in forma normale: 2x2 + 4x = 0 raccogliamo il fattore x: x (2x + 4) = 0 applichiamo la legge dell’annullamento del prodotto: x = 0 ∨ 2x + 4 = 0 risolviamo le equazioni ottenute x = 0 ∨ x = −2 l’equazione è determinata e S = {0; −2} 1.3 Equazioni di secondo grado pure Definizione 1.3.1 (Equazione pura). Un’equazione di secondo grado si dice pura se la sua forma normale è ax2 + c = 0 con a, c ∈ R0 Osservazione In un’equazione di secondo grado pura il coefficiente del termine di primo grado è uguale a 0. Per risolvere le equazioni pure: 1. si trasforma l’equazione nella forma normale ax2 + c = 0 2. si ricava l’incognita al quadrato: x2 = − c a c 3. se − < 0, cioè a, c sono concordi, poiché nessun numero reale elevato al quadrato è negativo, a l’equazione non ha soluzioni reali, quindi è impossibile in R e S = ∅ c 4. se − > 0, cioè a, c sono discordi, poiché sia a … c si ha x = ± − . a L’equazione è determinata e c S= − − , a ß … … − c a c c c − che − − , elevati al quadrato, danno − a a a … … ™ Osservazione Un’equazione di secondo grado pura è impossibile in R oppure ammette due soluzioni reali distinte opposte 431 CAPITOLO 1. EQUAZIONI DI SECONDO GRADO Esempio 1.3.1. • Risolviamo l’equazione (x + 2)2 + x (x − 3) + 5 + 2x = 3x + 10 trasformiamo l’equazione in forma normale: 2x2 − 1 = 0 ricaviamo l’incognita al quadrato: x2 = 1 2 1 è positivo ricaviamo l’incognita: 2 √ 1 1 2 = ±√ = ± x=± 2 2 2 poiché l’equazione è determinata e ® √ √ ´ 2 2 S= − , 2 2 • Risolviamo l’equazione (3x + 2) (x − 5) + x + 3 = −6 (2x + 3) trasformiamo l’equazione in forma normale: 3x2 + 11 = 0 ricaviamo l’incognita al quadrato: x2 = − 11 3 poiché − 1.4 11 è negativo, l’equazione è impossibile in R e S = ∅ 3 Equazioni di secondo grado monomie Definizione 1.4.1 (Equazione monomia). Un’equazione di secondo grado si dice monomia se la sua forma normale è ax2 = 0 con a ∈ R0 Per risolvere le equazioni monomie: 1. si trasforma l’equazione nella forma normale ax2 = 0 2. si ricava l’incognita al quadrato: x2 = 0 3. si ricava l’incognita x = 0 doppia L’equazione è determinata e S = {0} Osservazione Un’equazione di secondo grado monomia ammette due soluzioni reali coincidenti nulle 432 1.5. EQUAZIONI DI SECONDO GRADO COMPLETE Esempio 1.4.1. Risolviamo l’equazione 3x2 + 2x = x + x trasformiamo l’equazione in forma normale: 3x2 = 0 ricaviamo l’incognita al quadrato: x2 = 0 ricaviamo l’incognita: x = 0 doppia l’equazione è determinata e S = {0} 1.5 Equazioni di secondo grado complete Definizione 1.5.1 (Equazione completa). Un’equazione di secondo grado si dice completa se la sua forma normale è ax2 + bx + c = 0 con a, b, c ∈ R0 Per risolvere le equazioni complete: 1. si trasforma l’equazione nella forma normale ax2 + bx + c = 0 2. si calcola il discriminante ∆ = b2 − 4ac: 3. Se ∆ < 0, l’equazione è impossibile in R e S = ∅ b doppia. 4. Se ∆ = 0, si ha x = − 2a L’equazione è determinata e b S= − 2a ß ™ √ −b ± ∆ . 5. Se ∆ > 0, si ha x = 2a L’equazione è determinata e √ √ ´ ® −b − ∆ −b + ∆ S= , 2a 2a Osservazione La formula risolutiva delle equazioni di secondo grado complete si può anche applicare alle equazioni pure e spurie Esempio 1.5.1. • Risolviamo l’equazione (2x + 1) (2x − 1) + (x + 2) (x − 3) = 4x − 4 + 3x2 trasformiamo l’equazione in forma normale: 2x2 − 5x − 3 = 0 433 CAPITOLO 1. EQUAZIONI DI SECONDO GRADO calcoliamo il discriminante: ∆ = (−5)2 − 4 · 2 (−3) = 25 + 24 = 49 il discriminante è maggiore di 0, ricaviamo l’incognita: x= x= 5− √ 49 4 ∨x= 5+ √ 49 4 5−7 5+7 ∨x= 4 4 1 x=− ∨x=3 2 l’equazione è determinata e 1 S = − ,3 2 ß ™ • Risolviamo l’equazione x2 + 3x (x − 1) + 3 = 2 − 7x trasformiamo l’equazione in forma normale: 4x2 + 4x + 1 = 0 calcoliamo il discriminante: ∆ = 42 − 4 · 4 · 1 = 16 − 16 = 0 il discriminante è uguale a 0; ricaviamo l’incognita: x= −4 1 = − doppia 8 2 l’equazione è determinata e ß S= − 1 2 ™ • Risolviamo l’equazione x (x + 2) − (2x − 1) (x + 2) = x + 11 trasformiamo l’equazione in forma normale: x2 + 2x + 9 = 0 calcoliamo il discriminante: ∆ = 22 − 4 · 1 · 9 = 4 − 36 = −32 il discriminante è minore di 0; l’equazione è impossibile in R e S = ∅ 434 1.5. EQUAZIONI DI SECONDO GRADO COMPLETE 1.5.1 Formula ridotta La formula ridotta è utile applicarla se il coefficiente del termine di primo grado è pari. Per risolvere un’equazione di secondo grado utilizzando la formula ridotta: 1. si trasforma l’equazione nella forma normale ax2 + bx + c = 0 Å ã2 b ∆ = 2. si calcola il discriminante 4 2 3. Se − ac: ∆ < 0, allora l’equazione è impossibile in R e S = ∅ 4 b ∆ = 0, si ha x = − 2 doppia. 4. Se 4 a L’equazione è determinata e b 2 S= − a b ∆ − ± ∆ 2 4 5. Se > 0, si ha x = . 4 a L’equazione è determinata e S= b ∆ − − b − + 4 2 , a 2 a ∆ 4 Esempio 1.5.2. Risolviamo l’equazione (x − 3) (x + 4) + 2x (x − 1) = 7x + x2 − 5 trasformiamo l’equazione in forma normale: 2x2 − 8x − 7 = 0 calcoliamo il discriminante: ∆ = 42 − 2 · (−7) = 16 + 14 = 30 4 il discriminante è maggiore di 0, ricaviamo l’incognita: x= 4− √ 30 2 ∨x= 4+ √ 30 2 l’equazione è determinata e ® S= 4− √ 2 30 4 + , √ 30 ´ 2 435 CAPITOLO 1. EQUAZIONI DI SECONDO GRADO 1.6 Equazioni numeriche fratte Consideriamo ora le equazioni numeriche fratte, cioè le equazioni in cui l’unica lettera è l’incognita che compare al denominatore di almeno una frazione. Per risolvere un’equazione numerica fratta nell’incognita x: 1. si scompongono i denominatori di ogni frazione 2. si scrivono le condizioni di esistenza ricavando l’incognita per ciascuna di esse 3. si trasforma l’equazione nella forma normale ax2 + bx + c = 0 4. si risolve l’equazione 5. se una soluzione non soddisfa le condizioni di esistenza, si scrive non accettabile 6. se entrambe le soluzioni non soddisfano le condizioni di esistenza, l’equazione è impossibile Esempio 1.6.1. • Risolviamo l’equazione x 3 1−x − = x+2 x x+2 Scriviamo le condizioni di esistenza CE: x 6= −2 ∧ x 6= 0 trasformiamo l’equazione in forma normale: 2x2 − 4x − 6 = 0 dividiamo tutti i termini per 2: x2 − 2x − 3 = 0 calcoliamo il discriminante: ∆ =1+3=4 4 ricaviamo l’incognita: √ √ x = 1 − 4 = −1 ∨ x = 1 + 4 = 3 entrambe le soluzioni soddisfano le condizioni di esistenza, quindi sono accettabili, l’equazione è determinata e S = {−1, 3} • Risolviamo l’equazione 2x x+1 2x + 3 + = −1 x−1 x+1 x2 scomponiamo il denominatore della prima frazione: 2x x+1 2x + 3 + = (x + 1) (x − 1) x − 1 x+1 Scriviamo le condizioni di esistenza CE: x 6= −1 ∧ x 6= 1 436 1.7. SCOMPOSIZIONE DEL TRINOMIO DI SECONDO GRADO trasformiamo l’equazione in forma normale: −x2 + 3x + 4 = 0 calcoliamo il discriminante: ∆ = 9 + 16 = 25 ricaviamo l’incognita: √ √ −3 − 25 −3 + 25 x= ∨x= −2 −2 −8 2 ∨x= −2 −2 x = 4 ∨ x = −1 x= −1 non soddisfa le condizioni di esistenza, quindi non è accettabile; 4 le soddisfa quindi è accettabile; l’equazione è determinata e S = {4} • Risolviamo l’equazione x2 2x + 5 x+1 1 + − =0 + 5x + 6 x + 2 x + 3 scomponiamo il denominatore della prima frazione: 2x + 5 x+1 1 + − =0 (x + 2) (x + 3) x + 2 x + 3 Scriviamo le condizioni di esistenza CE: x 6= −2 ∧ x 6= −3 trasformiamo l’equazione in forma normale: x2 + 5x + 6 = 0 calcoliamo il discriminante: ∆ = 25 − 24 = 1 ricaviamo l’incognita: √ √ −5 − 1 −5 + 1 x= ∨x= 2 2 x = −3 ∨ x = −2 entrambe le soluzioni non soddisfano le condizioni di esistenza, quindi non sono accettabili; l’equazione è impossibile e S = ∅ 1.7 Scomposizione del trinomio di secondo grado Abbiamo visto che alcuni trinomi di secondo grado si possono scomporre come quadrati di binomio o come trinomi particolari. Tali metodi non ci permettono di scomporre tutti i trinomi di secondo grado né di decidere se siano scomponibili. Ora vedremo un metodo che risolve questi problemi. Per scomporre il trinomio di secondo grado ax2 + bx + c: 1. lo si uguaglia a 0 437 CAPITOLO 1. EQUAZIONI DI SECONDO GRADO 2. si calcola il discriminante 3. se il discriminante è negativo, il trinomio è irriducibile in R 4. se il discriminante è nullo, il trinomio si scompone in ax2 + bx + c = a (x − x1 )2 dove x1 è la soluzione doppia dell’equazione ax2 + bx + c = 0 5. se il discriminante è positivo, il trinomio si scompone in ax2 + bx + c = a (x − x1 ) (x − x2 ) dove x1 e x2 sono le soluzioni dell’equazione ax2 + bx + c = 0 Esempio 1.7.1. • Scomponiamo il trinomio 2x2 + 3x + 1 uguagliamo il trinomio a 0: 2x2 + 3x + 1 = 0 calcoliamo il discriminante: ∆=9−8=1 determiniamo le soluzioni dell’equazione: √ √ −3 − 1 −3 + 1 x= ∨x= 4 4 1 x = −1 ∨ x = − 2 il trinomio si scompone in: 1 2 x+ (x + 1) 2 effettuando alcuni calcoli otteniamo: Å ã 2x + 1 2 (x + 1) = (2x + 1) (x + 1) 2 quindi: Å ã 2x2 + 3x + 1 = (2x + 1) (x + 1) • Scomponiamo il trinomio 2x2 + 4x + 2 uguagliamo il trinomio a 0: 2x2 + 4x + 2 = 0 calcoliamo il discriminante: ∆ =4−4=0 4 determiniamo le soluzioni dell’equazione: −2 = −1 doppia 2 il trinomio si scompone in: x= 2 (x + 1)2 quindi: 2x2 + 4x + 2 = 2 (x + 1)2 438 1.7. SCOMPOSIZIONE DEL TRINOMIO DI SECONDO GRADO • Scomponiamo il trinomio 3x2 − 5x + 4 uguagliamo il trinomio a 0: 3x2 − 5x + 4 = 0 calcoliamo il discriminante: ∆ = 25 − 48 = −23 il discriminante è negativo, quindi il trinomio è irriducibile • Scomponiamo il trinomio 2x2 + 5ax + 2a2 uguagliamo il trinomio a 0: 2x2 + 5ax + 2a2 = 0 calcoliamo il discriminante: ∆ = 25a2 − 16a2 = 9a2 determiniamo le soluzioni dell’equazione: √ √ −5a + 9a2 −5a − 9a2 ∨x= x= 4 4 −5a − 3a −5a + 3a ∨x= 4 4 1 x = −2a ∨ x = − a 2 il trinomio si scompone in: x= 1 2 x + a (x + 2a) 2 Å ã effettuando alcuni calcoli otteniamo: 2x + a (x + 2a) = (2x + a) (x + 2a) 2 2 Å ã quindi: 2x2 + 5ax + 2a2 = (2x + a) (x + 2a) Esempio 1.7.2. Semplifichiamo la frazione algebrica 2x2 + 5x − 3 2x2 − 5x + 2 Scomponiamo il trinomio 2x2 + 5x − 3 uguagliamo il trinomio a 0: 2x2 + 5x − 3 = 0 439 CAPITOLO 1. EQUAZIONI DI SECONDO GRADO calcoliamo il discriminante: ∆ = 49 determiniamo le soluzioni dell’equazione: x = −3 ∨ x = 1 2 il trinomio si scompone in: Å 2 x− 1 (x + 3) 2 ã effettuando alcuni calcoli otteniamo: 2x − 1 2 (x + 3) = (2x − 1) (x + 3) 2 Å ã Scomponiamo il trinomio 2x2 − 5x + 2 uguagliamo il trinomio a 0: 2x2 − 5x + 2 = 0 calcoliamo il discriminante: ∆=9 determiniamo le soluzioni dell’equazione: x=2∨x= 1 2 il trinomio si scompone in: Å 2 x− 1 (x − 2) 2 ã effettuando alcuni calcoli otteniamo: Å 2 2x − 1 (x − 2) = (2x − 1) (x − 2) 2 ã quindi: 2x2 + 5x − 3 (2x − 1)(x + 3) = 2 2x − 5x + 2 (2x − 1)(x − 2) CE: x 6= 1 ∧ x 6= 2 2 x+3 x−2 440 Capitolo 2 Equazioni di grado superiore al secondo 2.1 Introduzione Esistono formule per risolvere equazioni di terzo e quarto grado. È stato invece dimostrato che non esistono formule per risolvere equazioni di quinto grado o di grado superiore. Noi non risolveremo tutte le equazioni di grado superiore al secondo, ma solo alcuni tipi. 2.2 Equazioni risolvibili con la legge dell’annullamento del prodotto Consideriamo equazioni che, ridotte a forma normale, hanno il primo membro scomponibile in fattori di primo e secondo grado. Per risolvere questo tipo di equazioni: 1. si trasforma l’equazione in forma normale 2. si scompone il polinomio a primo membro in fattori di primo e secondo grado 3. si applica la legge dell’annullamento del prodotto uguagliando a 0 tutti i fattori 4. si risolvono le equazioni ottenute Esempio 2.2.1. • Risolviamo l’equazione x3 = x trasformiamo l’equazione in forma normale: x3 − x = 0 scomponiamo il primo membro: x (x + 1) (x − 1) = 0 applichiamo la legge dell’annullamento del prodotto: x=0∨x+1=0∨x−1=0 risolviamo le equazioni ottenute: x = 0 ∨ x = −1 ∨ x = 1 l’equazione è determinata e S = {−1; 0; 1} 441 CAPITOLO 2. EQUAZIONI DI GRADO SUPERIORE AL SECONDO • Risolviamo l’equazione 6x3 = 13x2 + 5x trasformiamo l’equazione in forma normale: 6x3 − 13x2 − 5x = 0 scomponiamo il primo membro: Ä ä x 6x2 − 13x − 5 = 0 applichiamo la legge dell’annullamento del prodotto: x = 0 ∨ 6x2 − 13x − 5 = 0 risolviamo le equazioni ottenute: 5 1 x=0∨x=− ∨x= 3 2 l’equazione è determinata e 1 5 S = − ; 0; 3 2 ß ™ • Risolviamo l’equazione x3 − 3x2 = 8x − 24 trasformiamo l’equazione in forma normale: x3 − 3x2 − 8x + 24 = 0 scomponiamo il primo membro: x2 (x − 3) − 8(x − 3) = 0 (x − 3)(x2 − 8) = 0 applichiamo la legge dell’annullamento del prodotto: x − 3 = 0 ∨ x2 − 8 = 0 risolviamo le equazioni ottenute: √ √ x = 3 ∨ x = −2 2 ∨ x = 2 2 l’equazione è determinata e ¶ √ √ © S = 3; −2 2; 2 2 2.3 Equazioni binomie Definizione 2.3.1 (Equazione binomia). Un’equazione si dice binomia se la sua forma normale è axn + b = 0 con a, b ∈ R0 ∧ n ∈ N0 Per risolvere questo tipo di equazioni: 1. si ricava xn = − b a 442 2.3. EQUAZIONI BINOMIE 2. se n è dispari, si ha x= n b a − l’equazione è determinata e ( n S= b − a ) b < 0, l’equazione non ha soluzioni reali quindi è impossibile in R e S = ∅ a b 4. se n è pari e − > 0 si ha a 3. se n è pari e − n x=± − b a l’equazione è determinata e ( n S= b b n − ,− − a a ) Osservazione Se nell’equazione axn + b = 0 il termine noto b è nullo, otteniamo l’equazione axn = 0 che si dice monomia. Un’equazione monomia di grado n ammette n soluzioni reali coincidenti nulle e quindi S = {0} Esempio 2.3.1. • Risolviamo l’equazione 3x5 = −2 trasformiamo l’equazione in forma normale: 3x5 + 2 = 0 ricaviamo x5 : 2 x5 = − 3 poiché 5 è dispari si ha 5 x=− 2 3 l’equazione è determinata e ( ) S= − 5 2 3 • Risolviamo l’equazione x4 − 1 = 0 ricaviamo x4 : x4 = 1 poiché 4 è pari e 1 > 0 si ha x = ±1 l’equazione è determinata e S = {−1; 1} 443 CAPITOLO 2. EQUAZIONI DI GRADO SUPERIORE AL SECONDO • Risolviamo l’equazione x6 + 2 = 0 ricaviamo x6 : x6 = −2 poiché 6 è pari e −2 < 0 l’equazione è impossibile in R e S = ∅ 2.4 Equazioni trinomie Definizione 2.4.1 (Equazione trinomia). Un’equazione si dice trinomia se la sua forma normale è ax2n + bxn + c = 0 con a, b, c ∈ R0 ∧ n ∈ N0 In particolare, se n = 2, l’equazione si dice biquadratica: ax4 + bx2 + c = 0 Per risolvere questo tipo di equazioni: 1. si pone xn = y e si ottiene l’equazione: ay 2 + by + c = 0 2. si risolve l’equazione di secondo grado: (a) se essa è impossibile in R, allora lo è anche l’equazione trinomia (b) se essa ha come soluzioni y1 , y2 , si risolvono le equazioni binomie xn = y1 e xn = y2 Esempio 2.4.1. • Risolviamo l’equazione x4 − x2 − 12 = 0 poniamo x2 = y: y 2 − y − 12 = 0 risolviamo l’equazione: y = 4 ∨ y = −3 Scriviamo l’equazione binomia x2 = 4 risolviamola x = ±2 Scriviamo l’equazione binomia x2 = −3 risolviamola l’equazione è impossibile in R. L’equazione data è determinata e S = {−2; 2} 444 2.4. EQUAZIONI TRINOMIE • Risolviamo l’equazione 8x6 + 17x3 + 2 = 0 poniamo x3 = y: 8y 2 + 17y + 2 = 0 risolviamo l’equazione: 1 y = − ∨ y = −2 8 Scriviamo l’equazione binomia x3 = − 1 8 risolviamola x=− 1 2 Scriviamo l’equazione binomia x3 = −2 risolviamola √ 3 x=− 2 L’equazione data è determinata e 1 √ 3 S = − ;− 2 2 ß ™ 445 Capitolo 3 Sistemi di secondo grado 3.1 Introduzione Poiché il grado di un sistema è dato dal prodotto dei gradi delle singole equazioni, un sistema di secondo grado è formato da un’equazione di secondo grado e da un’equazione di primo grado. Esempio 3.1.1. il sistema ® x + 2y − 6 = 0 x2 + x + y − 1 = 0 è di secondo grado 3.2 Risoluzione di un sistema di secondo grado Per risolvere un sistema di secondo grado lo si trasforma nella forma normale e lo si risolve con il metodo di sostituzione: 1. si ricava un’incognita che non compare al quadrato 2. si sostituisce l’espressione ottenuta nell’altra equazione e la si risolve 3. si sostituiscono i valori ricavati al punto 2 nell’espressione dell’altra incognita e la si determina. Osservazione Nella risoluzione di un sistema di secondo grado non si può utilizzare il metodo di Cramer Esempio 3.2.1. • Risolviamo il sistema ® 3x + y + 4 = 2x − y (x − 1) (x − 2) = −y − 3 trasformiamo il sistema nella forma normale: ® x + 2y + 4 = 0 x2 − 3x + y + 5 = 0 ricaviamo l’incognita y dalla seconda equazione: ® x + 2y + 4 = 0 y = −x2 + 3x − 5 sostituiamo l’espressione ottenuta nell’altra equazione: ® x + 2(−x2 + 3x − 5) + 4 = 0 y = −x2 + 3x − 5 446 3.2. RISOLUZIONE DI UN SISTEMA DI SECONDO GRADO trasformiamo la prima equazione in forma normale: ® 2x2 − 7x + 6 = 0 y = −x2 + 3x − 5 risolviamo l’equazione 2x2 − 7x + 6 = 0 calcoliamo il discriminante: ∆=1 l’equazione ha due soluzioni reali distinte: x= 3 ∨x=2 2 sostituiamo x = 3 nell’espressione dell’altra incognita ed effettuiamo i calcoli: 2 3 x= 2 y = − 11 4 sostituiamo x = 2 nell’espressione dell’altra incognita ed effettuiamo i calcoli: ® x=2 y = −3 Il sistema è determinato e ß S = (2, −3) , Å 3 11 ,− 2 4 ã™ • Risolviamo il sistema ® x+y−3=0 x2 + 2y − 5 = 0 ricaviamo l’incognita y dalla prima equazione: ® y =3−x x2 + 2y − 5 = 0 sostituiamo l’espressione ottenuta nella seconda equazione: ® y =3−x x2 + 2 (3 − x) − 5 = 0 trasformiamo la seconda equazione in forma normale: ® y =3−x x2 − 2x + 1 = 0 risolviamo l’equazione x2 − 2x + 1 = 0 calcoliamo il discriminante: ∆=0 447 CAPITOLO 3. SISTEMI DI SECONDO GRADO l’equazione ha due soluzioni reali coincidenti: x = 1 doppia sostituiamo x = 1 nella prima equazione e ricaviamo il valore di y: ® y=2 x=1 doppia Il sistema è determinato e S = {(1, 2)} • Risolviamo il sistema ® 2x + 5 (x + y) = 4y + 10 y + x (x + 1) = 0 trasformiamo il sistema nella forma normale: ® 7x + y − 10 = 0 x2 + x + y = 0 ricaviamo l’incognita y dalla prima equazione: ® y = −7x + 10 x2 + x + y = 0 sostituiamo l’espressione ottenuta nell’altra equazione: ® y = −7x + 10 x2 + x − 7x + 10 = 0 trasformiamo la seconda equazione in forma normale: ® y = −7x + 10 x2 − 6x + 10 = 0 Risolviamo l’equazione x2 − 6x + 10 = 0 calcoliamo il discriminante: ∆ = −1 4 l’equazione è impossibile in R, quindi il sistema è impossibile in R × R e S = ∅ 448 Capitolo 4 Sistemi di grado superiore al secondo 4.1 Introduzione Non esiste un metodo che permetta di risolvere qualsiasi sistema di grado superiore al secondo. Se il sistema contiene un’equazione di primo grado, allora si può utilizzare il metodo di sostituzione. 4.2 Sistemi con un’equazione di primo grado Per risolvere un sistema di grado superiore al secondo contenente un’equazione di primo grado: 1. si ricava un’incognita di grado 1 2. si sostituisce l’espressione ottenuta nell’altra equazione e la si risolve 3. si sostituiscono i valori ricavati al punto 2 nell’espressione dell’altra incognita e la si determina. Esempio 4.2.1. • Risolviamo il sistema ® x−y =0 x3 − y = 0 il sistema è di terzo grado, ricaviamo l’incognita x dalla prima equazione: ® x=y x3 − y = 0 sostituiamo l’espressione ottenuta nella seconda equazione: ® x=y y3 − y = 0 risolviamo l’equazione y3 − y = 0 y = 0 ∨ y = 1 ∨ y = −1 sostituiamo y = 0 nell’espressione dell’altra incognita: ® x=0 y=0 sostituiamo y = 1 nell’espressione dell’altra incognita: ® x=1 y=1 449 CAPITOLO 4. SISTEMI DI GRADO SUPERIORE AL SECONDO sostituiamo y = −1 nell’espressione dell’altra incognita: ® x = −1 y = −1 Il sistema è determinato e S = {(0, 0) , (1, 1) , (−1, −1)} • Risolviamo il sistema ® x+y+2=0 x4 + y = −2 il sistema è di quarto grado, ricaviamo l’incognita y dalla prima equazione: ® y = −x − 2 x4 + y = −2 sostituiamo l’espressione ottenuta nell’altra equazione: ® y = −x − 2 x4 − x − 2 = −2 trasformiamo la seconda equazione in forma normale: ® y = −x − 2 x4 − x = 0 risolviamo l’equazione x4 − x = 0 x=0∨x=1 sostituiamo x = 0 nell’espressione dell’altra incognita ed effettuiamo i calcoli: ® y = −2 x=0 sostituiamo x = 1 nell’espressione dell’altra incognita ed effettuiamo i calcoli: ® y = −3 x=1 Il sistema è determinato e S = {(0, −2) , (1, −3)} • Risolviamo il sistema ® x+y+1=0 x4 + y 2 = 2x il sistema è di quarto grado, ricaviamo l’incognita y dalla prima equazione: ® y = −x − 1 x4 + y 2 = 2x sostituiamo l’espressione ottenuta nell’altra equazione: ® y = −x − 1 x4 + (−x − 1)2 = 2x trasformiamo la seconda equazioni in forma normale: ® y = −x − 1 x4 + x2 + 1 = 0 Risolviamo l’equazione x4 + x2 + 1 = 0 impossibile in R. Il sistema è impossibile in R × R e S = ∅ 450 Capitolo 5 Disequazioni di secondo grado 5.1 Risoluzione delle disequazioni di secondo grado Consideriamo ora le disequazioni di secondo grado. La forma normale di queste disequazioni è una delle seguenti: ax2 + bx + c > 0 ax2 + bx + c > 0 ax2 + bx + c < 0 ax2 + bx + c 6 0 dove a, b, c sono numeri reali con a 6= 0; il dominio di tali disequazioni è R. Per risolvere questo tipo di disequazioni: 1. si trasforma la disequazione nella forma normale 2. si scrive l’equazione ax2 + bx + c = 0, detta equazione associata 3. la si risolve 4. si disegna la parabola tenendo conto delle soluzioni e del coefficiente a del termine di secondo grado: (a) se le soluzioni sono reali distinte, la parabola interseca la retta dei numeri reali in corrispondenza delle due soluzioni; (b) se le soluzioni sono reali coincidenti, la parabola interseca la retta dei numeri reali in corrispondenza della soluzione; (c) se non ci sono soluzioni reali, la parabola non interseca la retta dei numeri reali; (d) se a > 0, la parabola ha la concavità rivolta verso l’alto; (e) se a < 0, la parabola ha la concavità rivolta verso il basso; 5. si scrive + in corrispondenza degli intervalli per i quali la parabola è sopra la retta reale, 0 dove la parabola interseca la retta reale, − in corrispondenza degli intervalli per i quali la parabola è sotto la retta reale. 6. si evidenzia ciò che è richiesto dalla disequazione 7. l’insieme delle soluzioni della disequazione è l’unione degli intervalli corrispondenti ai segni evidenziati Esempio 5.1.1. 451 CAPITOLO 5. DISEQUAZIONI DI SECONDO GRADO • Risolviamo la disequazione (x + 2)2 + 3x (x − 1) > 7 trasformiamo la disequazione in forma normale: 4x2 + x − 3 > 0 scriviamo l’equazione associata: 4x2 + x − 3 = 0 risolviamola: x = −1 ∨ x = 3 4 Poiché abbiamo due soluzioni reali distinte e a > 0, la parabola interseca la retta dei numeri 3 reali in corrispondenza di −1 e , e ha la concavità rivolta verso l’alto. Disegnamo la parabola, 4 ò ï 3 3 scriviamo − in corrispondenza dell’intervallo −1, , 0 in corrispondenza di −1 e , + in cor4 ï 4 ò 3 rispondenza degli intervalli ]−∞, −1[ e , +∞ . Poiché nella forma normale della disequazione 4 compare il >, evidenziamo i segni +: + x < −1 ∨ x > −1 0 − 3 4 0 + 3 4 La disequazione è risolubile e 3 S = ]−∞ − 1[ ∪ , +∞ 4 ò ï • Risolviamo la disequazione (2x − 1) (x + 2) > 11 + (x + 3) (x − 3) trasformiamo la disequazione in forma normale: x2 + 3x − 4 > 0 scriviamo l’equazione associata: x2 + 3x − 4 = 0 risolviamola: x = −4 ∨ x = 1 Poiché abbiamo due soluzioni reali distinte e a > 0, la parabola interseca la retta dei numeri reali in corrispondenza di −4 e 1, e ha la concavità rivolta verso l’alto. Disegnamo la parabola, 452 5.1. RISOLUZIONE DELLE DISEQUAZIONI DI SECONDO GRADO scriviamo − in corrispondenza dell’intervallo ]−4, 1[, 0 in corrispondenza di −4 e 1, + in corrispondenza degli intervalli ]−∞, −4[ e ]1, +∞[. Poiché nella forma normale della disequazione compare il >, evidenziamo i segni + e gli zeri: + −4 0 1 − 0 + x 6 −4 ∨ x > 1 La disequazione è risolubile e S =] − ∞, −4] ∪ [1, +∞[ • Risolviamo la disequazione −x (x + 2) − (x − 3) (x + 5) 6 −1 − (x − 1) (x + 4) trasformiamo la disequazione in forma normale: −x2 − x + 12 6 0 scriviamo l’equazione associata: −x2 − x + 12 = 0 risolviamola: x = −4 ∨ x = 3 Poiché abbiamo due soluzioni reali distinte e a < 0, la parabola interseca la retta dei numeri reali in corrispondenza di −4 e 3, e ha la concavità rivolta verso il basso. Disegnamo la parabola, scriviamo + in corrispondenza dell’intervallo ]−4, 3[, 0 in corrispondenza di −4 e 3, − in corrispondenza degli intervalli ]−∞, −4[ e ]3, +∞[. Poiché nella forma normale della disequazione compare il 6, evidenziamo i segni − e gli zeri: −4 - 0 + x 6 −4 ∨ x > 3 La disequazione è risolubile e S =] − ∞, −4] ∪ [3, +∞[ 453 3 0 - CAPITOLO 5. DISEQUAZIONI DI SECONDO GRADO • Risolviamo la disequazione 3x + 2 + (x − 2) (x + 7) + 2x (x − 6) > 2x − 6x2 − 13 trasformiamo la disequazione in forma normale: 9x2 − 6x + 1 > 0 scriviamo l’equazione associata: 9x2 − 6x + 1 = 0 risolviamola: 1 x= 3 Poiché abbiamo due soluzioni reali coincidenti e a > 0, la parabola interseca la retta dei numeri 1 reali in corrispondenza di , e ha la concavità rivolta verso l’alto. Disegnamo la parabola, 3 ò ï ò ï 1 1 1 scriviamo 0 in corrispondenza di , + in corrispondenza degli intervalli −∞, e , +∞ . 3 3 3 Poiché nella forma normale della disequazione compare il >, evidenziamo i segni +: + x 6= 1 3 0 + 1 3 La disequazione è risolubile e ò S = −∞, 1 1 ∪ , +∞ 3 3 ï ò ï • Risolviamo la disequazione (3x − 1)2 − 2 (x + 1) (x − 3) > (x + 2) (x + 13) − 12x − 21 trasformiamo la disequazione in forma normale: 6x2 − 5x + 2 > 0 scriviamo l’equazione associata: 6x2 − 5x + 2 = 0 risolviamola: l’equazione è impossibile Poiché non ci sono soluzioni reali e a > 0, la parabola non interseca la retta dei numeri reali, e ha la concavità rivolta verso l’alto. Disegnamo la parabola, scriviamo + in corrispondenza dell’intervallo ]−∞, +∞[. Poiché nella forma normale della disequazione compare il >, evidenziamo il segno +: + 454 5.1. RISOLUZIONE DELLE DISEQUAZIONI DI SECONDO GRADO ∀x ∈ R La disequazione è un’identità e S=R Osservazione Anche se l’equazione associata è impossibile la disequazione non è detto che sia impossibile Osservazione Per non dimenticare di volgere la concavità della parabola verso il basso, è possibile lavorare sempre con a positivo. Per far questo è sufficiente cambiare i segni di tutti i termini, ricordandosi di cambiare anche il verso della disequazione. Esempio 5.1.2. Risolviamo la disequazione −x (x + 2) − (x − 3) (x + 5) 6 −1 − (x − 1) (x + 4) trasformiamo la disequazione in forma normale: −x2 − x + 12 6 0 cambiamo i segni di tutti i termini e il verso della disequazione: x2 + x − 12 > 0 scriviamo l’equazione associata: x2 + x − 12 = 0 risolviamola: x = −4 ∨ x = 3 Poiché abbiamo due soluzioni reali distinte e a > 0, la parabola interseca la retta dei numeri reali in corrispondenza di −4 e 3, e ha la concavità rivolta verso l’alto. Disegnamo la parabola, scriviamo − in corrispondenza dell’intervallo ]−4, 3[, 0 in corrispondenza di −4 e 3, + in corrispondenza degli intervalli ]−∞, −4[ e ]3, +∞[. Poiché nella forma normale della disequazione compare il >, evidenziamo i segni + e gli zeri: + −4 0 3 − 0 x 6 −4 ∨ x > 3 La disequazione è risolubile e S =] − ∞, −4] ∪ [3, +∞[ 455 + CAPITOLO 5. DISEQUAZIONI DI SECONDO GRADO 5.2 Studio del segno del polinomio di secondo grado Studiare il segno del polinomio di secondo grado ax2 + bx + c significa determinare per quali valori di x il polinomio è negativo, nullo o positivo. Per studiare il segno del polinomio ax2 + bx + c: 1. si scrive la disequazione ax2 + bx + c > 0 2. la si risolve 3. l’insieme delle soluzioni della disequazione sono gli intervalli su cui il polinomio è positivo, le soluzioni dell’equazione associata sono i valori per cui il polinomio è nullo, sui rimanenti intervalli il polinomio è negativo 4. si rappresenta graficamente il segno del polinomio tracciando la retta dei numeri reali e scrivendo + in corrispondenza degli intervalli in cui il polinomio è positivo, 0 dove è nullo e − dove è negativo. Esempio 5.2.1. • Studiamo il segno del trinomio x2 + 3x + 2 scriviamo la disequazione: x2 + 3x + 2 > 0 scriviamo l’equazione associata: x2 + 3x + 2 = 0 risolviamola: x = −2 ∨ x = −1 Disegnamo la parabola e scriviamo i −, 0, + + −2 0 − −1 0 + x < −2 ∨ x > −1 quindi il trinomio x2 + 3x + 2 è: positivo su ] − ∞, −2[∪] − 1, +∞[ nullo per x = −2 ∨ x − 1 negativo su ] − 2, −1[ La rappresentazione grafica del segno di x2 + 3x + 2 è + −2 0 − −1 0 456 + 5.2. STUDIO DEL SEGNO DEL POLINOMIO DI SECONDO GRADO • Studiamo il segno del binomio x2 − 4 scriviamo la disequazione: x2 − 4 > 0 scriviamo l’equazione associata: x2 − 4 = 0 risolviamola: x = −2 ∨ x = 2 Disegnamo la parabola e scriviamo i −, 0, + + −2 0 2 0 − + x < −2 ∨ x > 2 quindi il binomio x2 − 4 è: positivo su ] − ∞, −2[∪]2, +∞[ nullo per x = −2 ∨ x = 2 negativo su ] − 2, 2[ La rappresentazione grafica del segno di x2 − 4 è + −2 0 2 0 − • Studiamo il segno del trinomio −4x2 + 4x − 1 scriviamo la disequazione: −4x2 + 4x − 1 > 0 scriviamo l’equazione associata: −4x2 + 4x − 1 = 0 risolviamola: x= 1 2 457 + CAPITOLO 5. DISEQUAZIONI DI SECONDO GRADO Disegnamo la parabola e scriviamo i −, 0, + − 1 2 0 − ∃x ∈ R quindi il trinomio −4x2 + 4x − 1 è: positivo per nessun valore di x ∈ R 1 nullo per x = 2 ò ï ò ï 1 1 negativo su −∞, ∪ , +∞ 2 2 La rappresentazione grafica del segno di −4x2 + 4x − 1 è − 1 2 0 − • Studiamo il segno del trinomio 2x2 + 5x + 7 scriviamo la disequazione: 2x2 + 5x + 7 > 0 scriviamo l’equazione associata: 2x2 + 5x + 7 = 0 risolviamola: l’equazione è impossibile Disegnamo la parabola e scriviamo i −, 0, + + ∀x ∈ R quindi il trinomio 2x2 + 5x + 7 è: positivo per ogni valore di x ∈ R La rappresentazione grafica del segno di 2x2 + 5x + 7 è + 458 5.3. DISEQUAZIONI DI GRADO SUPERIORE AL SECONDO In sintesi si può dedurre che 1. se le soluzioni sono reali distinte, il polinomio è concorde con a per i valori di x esterni all’intervallo delle radici, discorde da a per valori interni all’intervallo delle radici; 2. se le soluzioni sono reali coincidenti, il polinomio è concorde con a per ogni x diverso dalla radice 3. se non ci sono soluzioni reali, il polinomio è concorde con a per ogni x reale 5.3 Disequazioni di grado superiore al secondo Consideriamo ora disequazioni di grado superiore al secondo. La forma normale di queste disequazioni è una delle seguenti: P (x) > 0 P (x) > 0 P (x) < 0 P (x) 6 0 dove P (x) è un polinomio di grado superiore al secondo in forma normale; il dominio di tali disequazioni è R. Analizziamo le disequazioni per le quali P (x) è scomponibile in fattori di primo e secondo grado. Poiché il segno di un prodotto dipende dal segno dei fattori, la scomposizione permette di studiare il segno del polinomio studiando il segno dei singoli fattori. Per risolvere questo tipo di disequazioni: 1. si trasforma la disequazione nella forma normale 2. si scompone P (x) in fattori di primo e secondo grado 3. si studia il segno di ogni fattore 4. si rappresentano graficamente i segni dei fattori 5. si applica la regola dei segni per ogni intervallo 6. si evidenzia ciò che è richiesto dalla disequazione 7. l’insieme delle soluzioni della disequazione è l’unione degli intervalli corrispondenti ai segni evidenziati Osservazione In alcune disequazioni di grado superiore al secondo possono comparire fattori elevati ad un esponente. Nel caso di esponente pari la potenza non è mai negativa, quindi, per studiarne il segno: 1. si determinano gli zeri della base 2. nella rappresentazione grafica del segno si scrive 0 in corrispondenza degli zeri trovati e + in tutti gli intervalli. Nel caso di esponente dispari il segno della potenza è lo stesso di quello della base, quindi, per studiarne il segno è sufficiente studiare il segno della base. Esempio 5.3.1. 459 CAPITOLO 5. DISEQUAZIONI DI SECONDO GRADO • Risolviamo la disequazione x4 + 2x3 − x2 > 8x + 12 trasformiamo la disequazione in forma normale: x4 + 2x3 − x2 − 8x − 12 > 0 scomponiamo il polinomio a primo membro in fattori di primo e secondo grado: Ä ä x2 + 2x + 3 (x + 2) (x − 2) > 0 studiamo il segno del primo fattore: x2 + 2x + 3 > 0 scriviamo l’equazione associata: x2 + 2x + 3 = 0 l’equazione è impossibile + ∀x ∈ R Studiamo il segno del secondo fattore: x+2>0 x > −2 Studiamo il segno del terzo fattore: x−2>0 x>2 Rappresentiamo graficamente il segno dei tre fattori: x2 + 2x + 3 + x+2 − x−2 − −2 2 + 0 − + + + + + + − 0 + Applichiamo la regola dei segni per ogni intervallo: −2 2 x2 + 2x + 3 + x+2 − x−2 − + 0 − + + + + + + − 0 + + 0 − 0 + 460 5.3. DISEQUAZIONI DI GRADO SUPERIORE AL SECONDO Poiché nella forma normale della disequazione compare il >, evidenziamo i segni +: x2 + 2x + 3 x+2 x−2 + − − + −2 2 + 0 − + + + + − 0 0 − 0 + + + + x < −2 ∨ x > 2 La disequazione è risolubile e S =] − ∞, −2[∪]2, +∞[ • Risolviamo la disequazione 6x3 − x2 > 12x + 5 trasformiamo la disequazione in forma normale: 6x3 − x2 − 12x − 5 > 0 scomponiamo il polinomio a primo membro in fattori di primo e secondo grado: Ä ä 6x2 − 7x − 5 (x + 1) > 0 studiamo il segno del primo fattore: 6x2 − 7x − 5 > 0 scriviamo l’equazione associata: 6x2 − 7x − 5 = 0 5 1 x=− ∨x= 2 3 − + 1 2 0 5 3 0 − 1 5 x<− ∨x> 2 3 Studiamo il segno del secondo fattore: x+1>0 x > −1 Rappresentiamo graficamente il segno dei due fattori: −1 6x2 − 7x − 5 + x+1 − + 0 1 2 0 + − + + 5 3 − 0 + + + + 461 + CAPITOLO 5. DISEQUAZIONI DI SECONDO GRADO Applichiamo la regola dei segni per ogni intervallo: 6x2 − 7x − 5 + x+1 − + 0 + + 1 2 0 + − 0 + 0 −1 − 5 3 − 0 + + + + − 0 + Poiché nella forma normale della disequazione compare il >, evidenziamo i segni + e gli zeri: 1 2 0 + −1 6x2 − 7x − 5 + x+1 − − − + 0 + + 0 5 3 − 0 + + + + 0 − 0 + + 1 5 −1 6 x 6 − ∨ x > 2 3 La disequazione è risolubile e 1 5 S = −1, − ∪ , +∞ 2 3 ï ò ï ï • Risolviamo la disequazione (x − 1)(−2x2 − 5x + 3) 6 0 studiamo il segno del primo fattore: x−1>0 x>1 studiamo il segno del secondo fattore: −2x2 − 5x + 3 > 0 cambiamo il segno di tutti i termini e il verso della disequazione 2x2 + 5x − 3 < 0 scriviamo l’equazione associata: 2x2 + 5x − 3 = 0 x = −3 ∨ x = 1 2 −3 + −3 < x < 0 1 2 - 0 1 2 462 + 5.3. DISEQUAZIONI DI GRADO SUPERIORE AL SECONDO Rappresentiamo graficamente il segno dei due fattori: −3 x−1 − − 5x + 3 − −2x2 − 0 1 1 2 − − − 0 + + 0 − − − Applichiamo la regola dei segni per ogni intervallo: x−1 − −2x2 − 5x + 3 − − 0 1 1 2 − − − 0 + + 0 − − − + 0 − −3 0 + − 0 Poiché nella forma normale della disequazione compare il 6, evidenziamo i segni − e gli zeri: 1 2 − 0 −3 x−1 − −2x2 − 5x + 3 − − 0 − + + 0 − 1 − 0 − − + − 0 + 0 − 1 ∨x>1 2 La disequazione è risolubile e −3 6 x 6 1 ∪ [1, +∞[ S = −3, 2 ï ò • Risolviamo la disequazione √ x4 − 3 5x2 + 10 < 0 poniamo x2 = t √ t2 − 3 5t + 10 < 0 scriviamo l’equazione associata: √ t2 − 3 5t + 10 = 0 √ √ t= 5∨t=2 5 √ + √ √ 2 5 5 0 0 - √ 5<t<2 5 sostituiamo t con x2 √ √ 5 < x2 < 2 5 463 + CAPITOLO 5. DISEQUAZIONI DI SECONDO GRADO Scriviamo il sistema √ ( 2 x > 5 √ x2 < 2 5 Il sistema è formato da due disequazioni intere di secondo grado. Risolviamo la prima disequazione: √ x2 > 5 √ x2 − 5 > 0 scriviamo l’equazione associata: √ x2 − 5 = 0 √ √ 4 4 x=− 5∨x= 5 √ −45 + 0 √ 4 5 − 0 + √ √ 4 4 x<− 5∨x> 5 Risolviamo la seconda disequazione: √ x2 < 2 5 √ x2 − 2 5 < 0 scriviamo l’equazione associata: √ x2 − 2 5 = 0 √ √ 4 4 x = − 20 ∨ x = 20 √ − 4 20 + 0 √ 4 20 0 - + √ √ 4 4 − 20 < x < 20 Rappresentiamo graficamente gli insiemi delle soluzioni delle due disequazioni e evidenziamo gli intervalli che soddisfano entrambe le disequazioni: 464 5.4. DISEQUAZIONI FRATTE √ − 4 20 √ −45 √ 4 5 √ 4 20 √ √ √ √ 4 4 4 4 − 20 < x < − 5 ∨ 5 < x < 20 La disequazione è risolubile e ó √ î ó√ î √ √ 4 4 4 4 S = − 20, − 5 ∪ 5, 20 5.4 Disequazioni fratte Consideriamo ora le disequazioni fratte, cioè le disequazioni nelle quali l’incognita compare al denominatore di almeno una frazione. Ogni disequazione fratta si può sempre trasformare in una delle seguenti forme: N (x) >0 D (x) N (x) >0 D (x) N (x) <0 D (x) N (x) 60 D (x) dove N (x) e D (x) sono polinomi ridotti a forma normale; il dominio di tali disequazioni è R − {x|x è zero di D (x)} Poiché il segno di un rapporto dipende dai segni del numeratore e del denominatore, trattiamo le disequazioni fratte in modo analogo a quelle di grado superiore al secondo. Per risolvere questo tipo di disequazioni: 1. si trasforma la disequazione in una delle forme precedenti 2. si scompongono numeratore e denominatore in fattori di primo e secondo grado 3. si scrivono le condizioni di esistenza 4. si studia il segno di ogni fattore del numeratore e del denominatore 5. si rappresentano graficamente le condizioni di esistenza inserendo × in corrispondenza dei punti che non le soddisfano 6. si rappresentano graficamente i segni dei fattori 7. si applica la regola dei segni per ogni intervallo 8. si evidenzia ciò che è richiesto dalla disequazione 9. l’insieme delle soluzioni della disequazione è l’unione degli intervalli corrispondenti ai segni evidenziati Osservazione Nelle disequazioni fratte si può eliminare il denominatore solo se è positivo sul dominio 465 CAPITOLO 5. DISEQUAZIONI DI SECONDO GRADO Esempio 5.4.1. • Risolviamo la disequazione √ x4 − 5 3x2 + 12 >0 x3 + 8 scriviamo le condizioni di esistenza: CE: x 6= −2 studiamo il segno del fattore al numeratore √ x4 − 5 3x2 + 12 > 0 poniamo x2 = t √ t2 − 5 3t + 12 > 0 scriviamo l’equazione associata: √ t2 − 5 3t + 12 = 0 √ √ t= 3∨t=4 3 √ 0 + t< √ √ 4 3 3 − 0 + √ 3∨t>4 3 sostituiamo t con x2 √ √ x2 < 3 ∨ x2 > 4 3 Risolviamo la prima disequazione: √ x2 < 3 √ x2 − 3 < 0 scriviamo l’equazione associata: √ x2 − 3 = 0 √ √ 4 4 x=− 3∨x= 3 √ −43 + 0 √ 4 3 0 - 466 + 5.4. DISEQUAZIONI FRATTE √ √ 4 4 − 3<x< 3 Risolviamo la seconda disequazione: √ x2 > 4 3 √ x2 − 4 3 > 0 scriviamo l’equazione associata: √ x2 − 4 3 = 0 √ √ 4 4 x = −2 3 ∨ x = 2 3 Disegnamo la parabola e scriviamo i −, 0, + √ −2 4 3 0 + √ 243 − 0 + √ √ 4 4 x < −2 3 ∨ x > 2 3 Rappresentiamo graficamente gli insiemi delle soluzioni delle due disequazioni sulla stessa riga √ −2 4 3 √ −43 √ 4 3 √ 243 √ √ √ √ 4 4 4 4 x < −2 3 ∨ − 3 < x < 3 ∨ x > 2 3 Studiamo il segno del fattore al denominatore: x3 + 8 > 0 x3 > −8 x > −2 rappresentiamo graficamente il segno dei due fattori scrivendo × in corrispondenza dei punti non soddisfacenti le condizioni di esistenza: √ √ √ √ 4 −2 4 3 −2 −43 3 243 √ x4 − 5 3x2 + 12 + 0 − × − 0 + 0 − 0 + x3 + 8 − − − × + + + + + + + Applichiamo la regola dei segni per ogni intervallo: √ √ √ √ 4 −2 4 3 −2 −43 3 243 √ x4 − 5 3x2 + 12 + 0 − × − 0 + 0 − 0 + x3 + 8 − − − × + + + + + + + − 0 + × − 0 467 + 0 − 0 + CAPITOLO 5. DISEQUAZIONI DI SECONDO GRADO Poiché nella disequazione compare il √ −2 4 3 √ x4 − 5 3x2 + 12 + 0 − 3 x +8 − − − − 0 >, evidenziamo i segni +: √ √ 4 −2 −43 3 × × + × − + 0 + − 0 + + + √ 243 0 + − + 0 + 0 − 0 + + + √ √ √ √ 4 4 4 4 −2 3 < x < −2 ∨ − 3 < x < 3 ∨ x > 2 3 La disequazione è risolubile e √ √ √ √ 4 4 4 4 S =] − 2 3, −2[∪] − 3, 3[∪]2 3, +∞[ 5.5 Sistemi di disequazioni Un sistema di disequazioni è formato da due o più disequazioni. Consideriamo solamente sistemi di disequazioni in una incognita. Il dominio del sistema è l’intersezione dei domini delle disequazioni che lo costituiscono. L’insieme delle soluzioni del sistema è l’intersezione degli insiemi delle soluzioni delle singole disequazioni. Per risolvere un sistema di disequazioni in una incognita: 1. si risolvono le singole disequazioni 2. si rappresentano graficamente gli insiemi delle soluzioni delle singole disequazioni 3. si evidenziano gli intervalli che soddisfano tutte le disequazioni 4. l’insieme delle soluzioni del sistema è l’unione degli intervalli evidenziati Esempio 5.5.1. Risolviamo il sistema di disequazioni 3x + 1 6 x + 2 2 2 2x + 5x + 2 > 0 Il sistema è formato da due disequazioni intere: una di primo grado e una di secondo grado. Risolviamo la prima disequazione: 3x + 1 6x+2 2 6x + 1 2x + 4 6 2 2 6x + 1 6 2x + 4 4x − 3 6 0 4x 6 3 3 x6 4 Risolviamo la seconda disequazione: 2x2 + 5x + 2 > 0 scriviamo l’equazione associata: 2x2 + 5x + 2 = 0 468 5.5. SISTEMI DI DISEQUAZIONI x = −2 ∨ x = − 1 2 + x 6 −2 ∨ x > − −2 0 − 1 2 − 0 + 1 2 Rappresentiamo graficamente gli insiemi delle soluzioni delle due disequazioni e evidenziamo gli intervalli che soddisfano entrambe le disequazioni: −2 − 1 2 1 3 x > −2 ∨ − 6 x 6 2 4 Il sistema è risolubile e 1 3 S = ]−∞, −2] ∪ − , 2 4 ï ò 469 3 4 Capitolo 6 Equazioni e disequazioni con valori assoluti 6.1 Valore assoluto Definizione 6.1.1 (Valore assoluto). Il valore assoluto di un numero reale è il numero stesso se il numero è maggiore o uguale di 0, il suo opposto se il numero è minore di 0. In simboli: ( |x| = x se x > 0 −x se x < 0 Esempio 6.1.1. • |5| = 5 • | − 5| = 5 • |0| = 0 La definizione data si può generalizzare nel caso di valore assoluto di una funzione: ( |f (x)| = f (x) se f (x) > 0 −f (x) se f (x) < 0 Esempio 6.1.2. ( |x + 2| = 6.2 x+2 se x > −2 −x − 2 se x < −2 Equazioni con valori assoluti Definizione 6.2.1. Un’equazione si dice con valore assoluto se l’incognita compare come argomento di un valore assoluto. Esempio 6.2.1. • l’equazione |x + 2| − x + 1 = 2 è con valore assoluto • l’equazione 3x + | − 5| − x2 = 3 non è con valore assoluto Esaminiamo ora alcuni casi di equazioni con valori assoluti. 470 6.2. EQUAZIONI CON VALORI ASSOLUTI 6.2.1 Equazioni con un valore assoluto Per risolvere un’equazione con un valore assoluto la si trasforma nella disgiunzione di due sistemi misti, applicando la definizione di valore assoluto. L’equazione |f (x)| = g(x) è equivalente a ( ( f (x) > 0 f (x) = g(x) ∨ f (x) < 0 − f (x) = g(x) Esempio 6.2.2. • Risolviamo l’equazione |x − 2| + 3x = 5 |x − 2| = 5 − 3x ( ( x−2>0 x − 2 = 5 − 3x ∨ x > 2 x < 2 4 2 x−2<0 − x + 2 = 5 − 3x ∨ x = 7 x = 3 ∃x ∈ R ∨ x = 3 2 L’equazione è determinata e 3 2 ß ™ S= • Risolviamo l’equazione 2|2x − 1| − 5 + x = 7x − 8 ( ( 2x − 1 > 0 2(2x − 1) − 5 + x = 7x − 8 x > 1 2 4x − 2 − 5 + x = 7x − 8 1 x > 1 x < 1 x = 1 x = 2 ∨ 2 x= ∨ 2x − 1 < 0 2(−2x + 1) − 5 + x = 7x − 8 x < 1 2 ∨ − 4x + 2 − 5 + x = 7x − 8 2 2 1 ∨ ∃x ∈ R 2 L’equazione è determinata e 1 2 ß ™ S= 471 CAPITOLO 6. EQUAZIONI E DISEQUAZIONI CON VALORI ASSOLUTI 6.2.2 Casi particolari di equazioni con valori assoluti Consideriamo ora quattro casi particolari di equazioni con valori assoluti: il primo membro è un valore assoluto e il secondo membro è un numero reale o un valore assoluto. 1. |f (x)| = k con k ∈ R+ ⇔ f (x) = k ∨ f (x) = −k Infatti il valore assoluto di una funzione è uguale a un numero positivo se e solo se la funzione è uguale a quel numero oppure se l’opposto della funzione è uguale a quel numero. Esempio 6.2.3. Risolviamo l’equazione |2x − 2| = 3 2x − 2 = 3 ∨ 2x − 2 = −3 5 1 x= ∨x=− 2 2 L’equazione è determinata e ß S= 5 1 ,− 2 2 ™ 2. |f (x)| = k con k ∈ R− ⇔ ∃x ∈ R Infatti,poiché il valore assoluto di una funzione non è mai negativo, l’equazione è impossibile. Esempio 6.2.4. Risolviamo l’equazione |5x − 7| = −1 ∃x ∈ R L’equazione è impossibile e S=∅ 3. |f (x)| = 0 ⇔ f (x) = 0 Infatti il valore assoluto di una funzione è uguale a 0 se e solo se la funzione è uguale a 0. Esempio 6.2.5. Risolviamo l’equazione |4x + 2| = 0 4x + 2 = 0 1 x=− 2 L’equazione è determinata e ß S= − 1 2 ™ 4. |f (x)| = |g(x)| ⇔ f (x) = g(x) ∨ f (x) = −g(x) Infatti due valori assoluti sono uguali se e solo se hanno lo stesso argomento o argomenti opposti. Esempio 6.2.6. Risolviamo l’equazione |3x − 1| = |x + 5| 3x − 1 = x + 5 ∨ 3x − 1 = −x − 5 x = 3 ∨ x = −1 L’equazione è determinata e S = {3, −1} 472 6.3. DISEQUAZIONI CON VALORI ASSOLUTI 6.3 Disequazioni con valori assoluti Definizione 6.3.1. Una disequazione si dice con valore assoluto se l’incognita compare come argomento di un valore assoluto. Esempio 6.3.1. • la disequazione |x + 2| > −x + 1 è con valore assoluto. • la disequazione x + | − 3| − 4x > 2 non è con valore assoluto. Esaminiamo alcuni casi di disequazioni con valori assoluti. 6.3.1 Disequazioni con un valore assoluto Per risolvere una disequazione con un valore assoluto: 1. si trasforma la disequazione nella disgiunzione di due sistemi di disequazioni applicando la definizione di valore assoluto. 2. si risolvono i due sistemi ottenuti 3. si uniscono gli insiemi delle soluzioni dei due sistemi La disequazione |f (x)| < g(x) è equivalente a ( f (x) > 0 f (x) < g(x) ( ∨ f (x) < 0 − f (x) < g(x) Analogamente si risolvono le disequazioni con gli altri simboli di disuguaglianza. Esempio 6.3.2. • Risolviamo la disequazione |2x − 1| − 4x < 3 ( ( 2x − 1 > 0 2x − 1 − 4x < 3 x > 1 2 x > −2 ∨ ∨ 2x − 1 < 0 − 2x + 1 − 4x < 3 1 x < 2 1 x > − 3 1 1 1 x> ∨− <x< 2 3 2 1 x>− 3 La disequazione è risolubile e 1 S = − , +∞ 3 ò ï 473 CAPITOLO 6. EQUAZIONI E DISEQUAZIONI CON VALORI ASSOLUTI • Risolviamo la disequazione |x − 2| + 3x > x + 1 ( ( x−2>0 x − 2 + 3x > x + 1 ( x>2 x>1 ( ∨ ∨ x−2<0 − x + 2 + 3x > x + 1 x<2 x > −1 x > 2 ∨ −1 < x < 2 x > −1 La disequazione è risolubile e S = ]−1, +∞[ 6.3.2 Casi particolari di disequazioni con valori assoluti Consideriamo ora casi particolari di disequazioni con valori assoluti: il primo membro è un valore assoluto e il secondo membro è un numero reale o un valore assoluto 1. |f (x)| < k con k ∈ R+ ⇔ −k < f (x) < k 2. |f (x)| 6 k con k ∈ R+ ⇔ −k 6 f (x) 6 k 3. |f (x)| > k con k ∈ R+ ⇔ f (x) < −k ∨ f (x) > k 4. |f (x)| > k con k ∈ R+ ⇔ f (x) 6 −k ∨ f (x) > k 5. |f (x)| < k con k ∈ R− ⇔ ∃x ∈ R 6. |f (x)| 6 k con k ∈ R− ⇔ ∃x ∈ R 7. |f (x)| > k con k ∈ R− ⇔ ∀x ∈ Df 8. |f (x)| > k con k ∈ R− ⇔ ∀x ∈ Df 9. |f (x)| < 0 ⇔ ∃x ∈ R 10. |f (x)| 6 0 ⇔ f (x) = 0 11. |f (x)| > 0 ⇔ f (x) 6= 0 12. |f (x)| > 0 ⇔ ∀x ∈ Df 13. |f (x)| < |g(x)| ⇔ (f (x))2 < (g(x))2 Analogamente per gli altri simboli di disuguaglianza Esempio 6.3.3. 474 6.3. DISEQUAZIONI CON VALORI ASSOLUTI • Risolviamo la disequazione |3x − 1| < 2 −2 < 3x − 1 < 2 −1 < 3x < 3 1 − <x<1 3 La disequazione è risolubile e 1 S = − ,1 3 ò ï • Risolviamo la disequazione |x2 − 3| < 6 −3 < x2 < 9 Poiché x2 > −3 ∀x ∈ R si ha x2 < 9 −3 < x < 3 La disequazione è risolubile e S = ]−3, 3[ • Risolviamo la disequazione |x2 − 12| < 6 −6 < x2 − 12 < 6 6 < x2 < 18 ( 2 x >6 x2 < 18 √ √ ( x<− 6∨x> 6 √ √ −3 2<x<3 2 √ √ √ √ −3 2 < x < − 6 ∨ 6 < x < 3 2 La disequazione è risolubile e ó √ √ î ó√ √ î S = −3 2, 6 ∪ 6, 3 2 • Risolviamo la disequazione |2x − 3| > 5 2x − 3 6 −5 ∨ 2x − 3 > 5 x 6 −1 ∨ x > 4 La disequazione è risolubile e S = ]−∞, −1] ∪ [4, +∞[ 475 CAPITOLO 6. EQUAZIONI E DISEQUAZIONI CON VALORI ASSOLUTI • Risolviamo la disequazione |x2 + 2x − 1| 6 −2 ∃x ∈ R La disequazione è impossibile e S=∅ • Risolviamo la disequazione |x + 3| > −7 ∀x ∈ R La disequazione è un’identità e S=R • Risolviamo la disequazione |5x + 7| 6 0 5x + 7 = 0 7 x=− 5 La disequazione è risolubile e ß S= − 7 5 ™ • Risolviamo la disequazione |3 − 2x| > 0 3 − 2x 6= 0 3 2 La disequazione è risolubile e x 6= ò S = −∞, 3 3 ∪ , +∞ 2 2 ï ò ï • Risolviamo la disequazione |3 − 2x| > |x − 2| (3 − 2x)2 > (x − 2)2 9 − 12x + 4x2 > x2 − 4x + 4 3x2 − 8x + 5 > 0 5 x<1∨x> 3 La disequazione è risolubile e S = ]−∞, 1[ ∪ ò 5 , +∞ 3 ï 476 Capitolo 7 Equazioni e disequazioni irrazionali 7.1 Equazioni irrazionali Definizione 7.1.1. Un’equazione si dice irrazionale se l’incognita compare come argomento di una radice. Esempio 7.1.1. • l’equazione √ x + 1 + 3 + x = 5x è irrazionale. • l’equazione 2x + √ 2x − 5 = 0 non è irrazionale. Un’equazione irrazionale si risolve trasformandola in un’altra equivalente senza radici, elevando entrambi i membri ad un opportuno esponente. Per far questo si utilizzano le seguenti proprietà: 1. dato n ∈ N dispari a = b ⇔ an = bn ∀a, b ∈ R 2. dato n ∈ N0 pari a = b ⇔ an = bn ∀a, b ∈ [0, +∞[ La seconda proprietà è valida solo se le basi sono positive o nulle. Infatti, se a = b allora an = bn , ma se an = bn , con n pari, non necessariamente a = b; per esempio (−3)2 = 32 ma −3 6= 3. Osservazione La seconda proprietà è valida anche se le basi sono entrambe negative. Quindi, quando si eleva ad un esponente pari, si ottiene un’equazione il cui insieme delle soluzioni include quello dell’equazione data; è perciò necessario stabilire se le soluzioni ottenute verificano l’equazione data. In alternativa, prima di elevare ad un esponente pari, si deve determinare il dominio dell’equazione. Esso è dato dall’intersezione tra: 1. condizioni di esistenza dei radicali 2. insieme costituito dai numeri che rendono concordi o nulli entrambi i membri dell’equazione Ottenute le soluzioni della nuova equazione è necessario stabilire se appartengono al dominio. Quando si eleva ad un esponente dispari si ottiene un’equazione il cui insieme delle soluzioni è quello dell’equazione data; non è quindi necessaria alcuna verifica. Consideriamo ora alcuni casi particolari. 477 CAPITOLO 7. EQUAZIONI E DISEQUAZIONI IRRAZIONALI 7.1.1 Equazioni con una radice di indice pari Per risolvere equazioni irrazionali aventi una radice di indice n pari: 1. si isola il radicale, trasformando l’equazione nella forma » n f (x) = g(x) 2. si trasforma l’equazione nel sistema misto formato da: (a) condizioni di esistenza del radicale: f (x) > 0 (b) condizioni di non negatività del secondo membro (poiché una radice di indice pari non è mai negativa, anche il secondo membro deve essere non negativo): g(x) > 0 (c) equazione ottenuta elevando all’esponente n entrambi i membri: f (x) = (g(x))n 3. si risolve il sistema ottenuto Pertanto l’equazione » n f (x) = g(x) con n pari è equivalente al sistema f (x) > 0 g(x) > 0 f (x) = (g(x))n Osservazione Poiché con n pari (g(x))n > 0, la terza equazione implica che f (x) > 0: la prima disequazione è pertanto superflua. » L’equazione n f (x) = g(x) con n pari è quindi equivalente al sistema ( g(x) > 0 f (x) = (g(x))n Esempio 7.1.2. • Risolviamo l’equazione √ x − 3 − x = −5 Isoliamo il radicale √ x−3=x−5 L’equazione è equivalente al sistema formato dalle condizioni di non negatività del secondo membro e dall’equazione ottenuta elevando entrambi i membri al quadrato: ( x−5>0 x − 3 = (x − 5)2 Risolviamo il sistema ( x>5 − x2 + 11x − 28 = 0 ( x>5 x=4∨x=7 x=7 L’equazione è determinata e S = {7} 478 7.1. EQUAZIONI IRRAZIONALI • Risolviamo l’equazione p 4 16x4 + x2 − x − 2 = 2x L’equazione è equivalente al sistema formato dalle condizioni di non negatività del secondo membro e dall’equazione ottenuta elevando alla quarta entrambi i membri: ( 2x > 0 16x4 + x2 − x − 2 = 16x4 Risolviamo il sistema ( x>0 x2 − x − 2 = 0 ( x>0 x = −1 ∨ x = 2 x=2 L’equazione è determinata e S = {2} 7.1.2 Equazioni con una radice di indice dispari Per risolvere equazioni irrazionali aventi una radice di indice n dispari: 1. si isola il radicale, trasformando l’equazione nella forma » n f (x) = g(x) 2. si elevano all’esponente n entrambi i membri 3. si risolve l’equazione ottenuta L’equazione » n f (x) = g(x) con n dispari è equivalente all’equazione f (x) = (g(x))n Esempio 7.1.3. Risolviamo l’equazione p 3 x3 + x − 3 = x − 2 Eleviamo entrambi i membri alla terza e risolviamo l’equazione ottenuta: x3 + x − 3 = x3 − 6x2 + 12x − 8 6x2 − 11x + 5 = 0 x=1∨x= 5 6 L’equazione è determinata e ß S = 1, 5 6 ™ 479 CAPITOLO 7. EQUAZIONI E DISEQUAZIONI IRRAZIONALI 7.1.3 Altri tipi di equazioni irrazionali Per risolvere altri tipi di equazioni irrazionali si procede in modo analogo a quanto visto in precedenza. Se gli indici delle radici sono diversi, si elevano entrambi i membri al mcm degli indici. Se, nel caso di indice pari, le condizioni di esistenza e di non negatività sono complicate, si possono omettere; in questo caso, trovate le soluzioni è necessario controllare se sono accettabili sostituendole nell’equazione data. Esempio 7.1.4. • Risolviamo l’equazione √ √ 5x − 2 − 2x + 1 = 0 Separiamo i radicali √ √ 5x − 2 = 2x + 1 L’equazione è equivalente al sistema formato dalle condizioni di esistenza dei radicali e dall’equazione ottenuta elevando entrambi i membri al quadrato 5x − 2 > 0 2x + 1 > 0 5x − 2 = 2x + 1 Risolviamo il sistema 2 x> 5 1 x>− 2 x=1 x=1 L’equazione è determinata e S = {1} • Risolviamo l’equazione p √ x2 + 5 − 6x + 4 = x + 3 Poiché la condizione di non negatività del primo membro richiede la risoluzione di una disequazione irrazionale, eleviamo entrambi i membri al quadrato senza porre condizioni, controllando poi se le soluzioni trovate sono accettabili p √ ( x2 + 5 − 6x + 4)2 = (x + 3)2 » x2 + 5 + 6x + 4 − 2 (x2 + 5)(6x + 4) = x2 + 9 + 6x Isoliamo il radicale » (x2 + 5)(6x + 4) = 0 Eleviamo entrambi i membri al quadrato (x2 + 5)(6x + 4) = 0 Risolviamo l’equazione ottenuta x=− 2 3 480 7.2. DISEQUAZIONI IRRAZIONALI Sostituiamo x = − 2 nell’equazione data 3 ã 4 +5− 9 Å 6 − 2 2 +4=− +3 3 3 7 7 = 3 3 2 Poiché la soluzione x = − soddisfa l’equazione data, è accettabile. 3 L’equazione è determinata e 2 S= − 3 ß ™ • Risolviamo l’equazione √ √ 3 3x + 11 = x + 5 L’equazione è equivalente al sistema formato dalla condizione di esistenza del radicale quadratico, dalla condizione di non negatività del primo membro e dall’equazione ottenuta elevando entrambi i membri alla sesta x+5>0 3x + 11 > 0 9x2 + 66x + 121 = x3 + 15x2 + 75x + 125 x > −5 11 x>− 3 3 x + 6x2 + 9x + 4 = 0 x > − 11 3 x = −1 ∨ x = −4 x = −1 L’equazione è determinata e S = {−1} 7.2 Disequazioni irrazionali Definizione 7.2.1. Una disequazione si dice irrazionale se l’incognita compare come argomento di una radice. Esempio 7.2.1. • la disequazione √ 2x + 1 > x + 1 è irrazionale. • la disequazione √ 2 + x + 3 < 3x + 2 non è irrazionale. Una disequazione irrazionale si risolve trasformandola in un’altra equivalente senza radici, elevando entrambi i membri ad un opportuno esponente, tenendo conto delle osservazioni fatte per le equazioni irrazionali. Consideriamo alcuni casi particolari. 481 CAPITOLO 7. EQUAZIONI E DISEQUAZIONI IRRAZIONALI 7.2.1 Disequazioni della forma » n f (x) < g(x) con n pari Il primo membro è definito quando il radicando è maggiore o uguale di 0; il secondo membro, poiché è maggiore di una radice con indice pari che è positiva o nulla, deve essere positivo: con queste condizioni si possono elevare all’esponente n entrambi i membri. Per risolvere questo tipo di disequazioni: 1. si trasforma la disequazione in un sistema di disequazioni formato da: (a) condizioni di esistenza del radicale: f (x) > 0 (b) condizioni di non negatività del secondo membro: g(x) > 0 (c) disequazione ottenuta elevando ad n entrambi i membri: f (x) < (g(x))n 2. si risolve il sistema ottenuto La disequazione » n f (x) < g(x) con n pari è equivalente al sistema f (x) > 0 g(x) > 0 f (x) < (g(x))n Analogamente, la disequazione » n f (x) 6 g(x) con n pari è equivalente al sistema f (x) > 0 g(x) > 0 f (x) 6 (g(x))n Esempio 7.2.2. • Risolviamo la disequazione √ x + 1 − 2x + 1 < 0 Trasformiamo la disequazione nella forma √ x + 1 < 2x − 1 » f (x) < g(x) La disequazione è equivalente al sistema formato dalle condizioni di esistenza del radicale, dalle condizioni di positività del secondo membro e dalla disequazione ottenuta elevando entrambi i membri al quadrato x + 1 > 0 2x − 1 > 0 x + 1 < (2x − 1)2 Risolviamo il sistema x > −1 1 x> 2 2 − 4x + 5x < 0 x > −1 1 x> 2 5 x < 0 ∨ x > 4 5 x> 4 La disequazione è risolubile e ò S= 5 , +∞ 4 ï 482 7.2. DISEQUAZIONI IRRAZIONALI • Risolviamo la disequazione p 4 x4 − 1 6 x La disequazione è equivalente al sistema formato dalle condizioni di esistenza del radicale, dalle condizioni di non negatività del secondo membro e dalla disequazione ottenuta elevando entrambi i membri alla quarta 4 x −1>0 x>0 4 x − 1 6 x4 Risolviamo il sistema 2 (x + 1)(x + 1)(x − 1) > 0 x>0 −160 x 6 −1 ∨ x > 1 x>0 ∀x ∈ R x>1 La disequazione è risolubile e S = [1, +∞[ 7.2.2 Disequazioni della forma » n f (x) > g(x) con n pari Il secondo membro può essere minore di 0 oppure maggiore o uguale di 0. Nel primo caso, poiché una radice con indice pari è positiva o nulla, è sufficiente che essa sia definita. Nel secondo caso, poiché entrambi i membri sono positivi o nulli, si possono elevare all’esponente n ottenendo f (x) > (g(x))n ; in questo caso non sono necessarie le condizioni di esistenza del radicale perché la disequazione f (x) > (g(x))n implica che f (x) > 0 Per risolvere questo tipo di disequazioni: 1. si trasforma la disequazione nella disgiunzione di due sistemi di disequazioni: il primo formato da (a) condizione di negatività del secondo membro: g(x) < 0 (b) condizioni di esistenza del radicale: f (x) > 0 il secondo formato da (a) condizione di non negatività del secondo membro: g(x) > 0 (b) disequazione ottenuta elevando ad n entrambi i membri: f (x) > (g(x))n 2. si risolvono i due sistemi ottenuti 3. si uniscono gli insiemi delle soluzioni dei due sistemi La disequazione ( g(x) < 0 f (x) > 0 ( ∨ » n f (x) > g(x) con n pari è equivalente a: g(x) > 0 f (x) > (g(x))n Analogamente la disequazione ( g(x) < 0 f (x) > 0 ( ∨ » n f (x) > g(x) con n pari è equivalente a: g(x) > 0 f (x) > (g(x))n 483 CAPITOLO 7. EQUAZIONI E DISEQUAZIONI IRRAZIONALI Esempio 7.2.3. • Risolviamo la disequazione p x2 − 1 − 3x − 1 > −2x Trasformiamo la disequazione nella forma p » f (x) > g(x) x2 − 1 > x + 1 Trasformiamo la disequazione nella disgiunzione di due sistemi: il primo formato dalle condizioni di negatività del secondo membro e dalle condizioni di esistenza del radicale, il secondo formato dalle condizioni di non negatività del secondo membro e dalla disequazione ottenuta elevando entrambi i membri al quadrato: ( ( x+1<0 2 x −1>0 ∨ x+1>0 x2 − 1 > (x + 1)2 Risolviamo i sistemi ( ( x < −1 x 6 −1 ∨ x > 1 ∨ x > −1 x < −1 x < −1 ∨ ∃x ∈ R x < −1 La disequazione è risolubile e S = ]−∞, −1[ • Risolviamo la disequazione p 4 81x4 + x3 + x2 > 3x Trasformiamo la disequazione nella disgiunzione di due sistemi: il primo formato dalle condizioni di negatività del secondo membro e dalle condizioni di esistenza del radicale, il secondo formato dalle condizioni di non negatività del secondo membro e dalla disequazione ottenuta elevando entrambi i membri alla quarta: ( ( 3x < 0 81x4 + x3 + x2 > 0 ∨ 3x > 0 81x4 + x3 + x2 > (3x)4 Risolviamo i sistemi ( ( x<0 2 2 x (81x + x + 1) > 0 ( x<0 ∀x ∈ R ( ∨ ∨ x>0 x3 + x2 > 0 x>0 x > −1 x<0∨x>0 ∀x ∈ R La disequazione è un’identità e S=R 484 7.2. DISEQUAZIONI IRRAZIONALI 7.2.3 Disequazioni della forma » n f (x) < g(x) con n dispari Poiché l’indice è dispari, non sono necessarie condizioni di esistenza e di non negatività. Per risolvere questo tipo di disequazioni si trasforma la disequazione » nella disequazione ottenuta n elevando ad n entrambi i membri: f (x) < (g(x)) La disequazione n f (x) < g(x) con n dispari è equivalente alla disequazione f (x) < (g(x))n La disequazione » n f (x) 6 g(x) con n dispari è equivalente alla disequazione f (x) 6 (g(x))n La disequazione » n f (x) > g(x) con n dispari è equivalente alla disequazione f (x) > (g(x))n La disequazione » n f (x) > g(x) con n dispari è equivalente alla disequazione f (x) > (g(x))n Esempio 7.2.4. Risolviamo la disequazione p 3 8x3 − 1 − 2x + 1 < 0 Isoliamo il radicale p 3 8x3 − 1 < 2x − 1 Eleviamo entrambi i membri al cubo: 8x3 − 1 < 8x3 − 12x2 + 6x − 1 Risolviamo la disequazione 12x2 − 6x < 0 2x2 − x < 0 1 0<x< 2 La disequazione è risolubile e ò S = 0, 1 2 ï 485 Capitolo 8 Parabola 8.1 Introduzione Definizione 8.1.1 (Parabola). Dati una retta r e un punto F 6∈ r, si dice parabola di fuoco F e direttrice r il luogo dei punti equidistanti da F e da r. H P F r Figura 8.1: parabola Definizione 8.1.2 (Asse della parabola). Si dice asse della parabola la retta passante per il fuoco perpendicolare alla direttrice. Definizione 8.1.3 (Vertice della parabola). Si dice vertice della parabola il punto di intersezione tra la parabola e il suo asse. 486 8.2. EQUAZIONE DELLA PARABOLA CON ASSE PARALLELO ALL’ASSE DELLE ORDINATE r H P V F Figura 8.2: asse e vertice della parabola 8.2 Equazione della parabola con asse parallelo all’asse delle ordinate La parabola con asse parallelo a quello delle ordinate ha direttice parallela all’asse delle ascisse. 6 y 5 4 3 P 2 F 1 x −4 −3 −2 −1 O 1 2 −1 r 3 4 5 6 7 V H −2 Figura 8.3: parabola con asse parallelo all’asse y Applicando la definizione di parabola ed effettuando i calcoli si ottiene che l’equazione della parabola con asse parallelo a quello delle ordinate è y = ax2 + bx + c con a 6= 0 Data l’equazione della parabola y = ax2 + bx + c, si ha: Å • fuoco: F − b 1−∆ , 2a 4a • direttrice: r : y = − ã 1+∆ 4a 487 CAPITOLO 8. PARABOLA • asse: s : x = − b 2a b ∆ • vertice: V − , − 2a 4a Å ã • se a > 0 la parabola rivolge la concavità verso l’alto, se a < 0 la parabola rivolge la concavità verso il basso. 8.2.1 Intersezione con gli assi cartesiani Per determinare le coordinate dei punti di intersezione della parabola γ : y = ax2 + bx + c con l’asse x, si risolve il sistema ( y = ax2 + bx + c y=0 Per determinare le coordinate dei punti di intersezione della parabola γ : y = ax2 + bx + c con l’asse y, si risolve il sistema ( y = ax2 + bx + c x=0 Esempio 8.2.1. Determinare concavità, fuoco, direttrice, asse, vertice e punti di intersezione con gli assi della parabola di equazione y = 2x2 − x + 1. Poiché 2 > 0 la concavità è rivolta verso l’alto. ∆ = 1 − 8 = −7 Fuoco Å F 1 ,1 4 ã Direttrice y= 3 4 Asse x= 1 4 Vertice Å V 1 7 , 4 8 ã Intersezione con l’asse x ( y = 2x2 − x + 1 y=0 2x2 − x + 1 = 0 Impossibile. Non ci sono intersezioni con l’asse x. Intersezione con l’asse y ( y = 2x2 − x + 1 x=0 488 8.3. RAPPRESENTAZIONE GRAFICA DELLA PARABOLA ( y=1 x=0 La parabola interseca l’asse y nel punto A(0, 1). 4 y 3 2 A 1 r F V −2 −1 O x 1 2 Figura 8.4: parabola di equazione y = 2x2 − x + 1 8.2.2 Casi particolari Equazione della parabola con vertice nell’origine L’equazione della parabola con vertice nell’origine è y = ax2 Equazione della parabola passante per l’origine L’equazione della parabola passante per l’origine è y = ax2 + bx Equazione della parabola avente come asse l’asse y L’equazione della parabola avente come asse l’asse y è y = ax2 + c 8.3 Rappresentazione grafica della parabola Per rappresentare graficamente una parabola si può procedere nel seguente modo 1. si determina la concavità 2. si determina il vertice 3. si determinano le intersezioni con gli assi cartesiani 4. si rappresentano graficamente i punti trovati e si disegna la parabola passante per essi Esempio 8.3.1. Data la parabola γ : y = x2 − 3x + 4, rappresentiamola graficamente. 1. La concavità è rivolta verso l’alto. 2. Determiniamo il vertice: b 3 xV = − = 2a 2 ∆ 9 − 16 7 =− = yV = − 4a 4 4 il vertice è Å ã 3 7 V , 2 4 489 CAPITOLO 8. PARABOLA 3. Determiniamo l’intersezione con l’asse x ( y = x2 − 3x + 4 y=0 x2 − 3x + 4 = 0 Impossibile. Non ci sono intersezioni con l’asse x. Determiniamo l’intersezione con l’asse y: ( y = x2 − 3x + 4 x=0 ( y=4 x=0 La parabola interseca l’asse y nel punto A(0, 4). Rappresentiamo graficamente i punti trovati e la parabola passante per essi. 6 y 5 4 A γ 3 2 V 1 x −4 −2 O 2 4 6 8 Figura 8.5: rappresentazione grafica della parabola 8.4 Intersezione retta parabola Per determinare le coordinate dei punti di intersezione tra una retta e una parabola si risolve il sistema formato dalle equazioni della retta e della parabola. Si possono verificare 4 casi: 1. il sistema ammette due soluzioni reali distinte: la retta è secante la parabola 2. il sistema ammette due soluzioni reali coincidenti: la retta è tangente alla parabola 3. il sistema non ammette soluzioni reali: la retta è esterna alla parabola 4. il sistema ammette una soluzione reale: la retta è secante la parabola ed è parallela all’asse della parabola 490 8.4. INTERSEZIONE RETTA PARABOLA 4 B s y 3 2 1 x −3 −2 O −1 1 2 3 4 5 6 7 C −1 Figura 8.6: retta secante la parabola y 3 A t 2 1 x −3 −2 O −1 1 2 3 4 5 6 7 −1 Figura 8.7: retta tangente alla parabola y 2 1 x −3 −2 −1 O 1 2 3 4 5 −1 e −2 −3 Figura 8.8: retta esterna alla parabola 491 6 7 CAPITOLO 8. PARABOLA 3 a y 2 1 x −3 −2 −1 O 1 D 2 3 4 5 6 7 −1 Figura 8.9: retta parallela all’asse della parabola Esempio 8.4.1. Determinare l’intersezione tra la parabola γ : y = x2 − 3x + 1 e le rette 1 1. s : y = x + 1 2 2. t : x + y = 0 3. e : x + 2y + 5 = 0 4. a : x = 2 1. Scriviamo il sistema formato dalle equazioni della parabola γ e della retta s: 2 y = x − 3x + 1 y = 1x + 1 2 Risolvendo il sistema si ottiene: ( x=0 y=1 ∨ 7 x = 2 11 y = 4 Å La retta s è secante la parabola γ nei punti A(0, 1) e B( 7 11 , . 2 4 ã 2. Scriviamo il sistema formato dalle equazioni della parabola γ e della retta t: ( y = x2 − 3x + 1 x+y =0 Risolvendo il sistema si ottiene: ( x=1 y = −1 doppia La retta t è tangente alla parabola γ nel punto C(1, −1). 3. Scriviamo il sistema formato dalle equazioni della parabola γ e della retta e: ( y = x2 − 3x + 1 x + 2y + 5 = 0 Risolvendo il sistema si ottiene che è impossibile. La retta e è esterna alla parabola γ. 492 8.5. TANGENTI A UNA PARABOLA 4. Scriviamo il sistema formato dalle equazioni della parabola γ e della retta a: ( y = x2 − 3x + 1 x=2 Risolvendo il sistema si ottiene: ( x=2 y = −1 La retta a è secante la parabola γ nel punto D(2, −1). a y B t 2 A x −4 s −2 c O C 2 4 6 8 D −2 e Figura 8.10: intersezioni retta parabola 8.5 8.5.1 Tangenti a una parabola Polare Definizione 8.5.1 (Polare). Dati la parabola γ : y = ax2 + bx + c e un punto P0 (x0 , y0 ) si dice polare di P0 rispetto a γ la retta r la cui equazione si ottiene con la regola degli sdoppiamenti y + y0 x + x0 = axx0 + b +c 2 2 Esempio 8.5.1. 1 1 Dati la parabola γ : y = x2 − 4x − 1 e il punto A , −4 , determiniamo la polare r di A rispetto a 2 2 γ: Å 1 x+ y−4 11 2 = x−4 −1 2 22 2 y−4 1 = x − 2x − 1 − 1 2 4 2y − 8 = x − 8x − 4 − 4 r : 7x + 2y = 0 493 ã CAPITOLO 8. PARABOLA r y 4 2 x O −2 2 4 6 8 10 −2 −4 A −6 γ −8 Figura 8.11: polare 8.5.2 Tangente alla parabola in un punto appartenente alla parabola Dati la parabola γ e il punto P0 appartenente alla parabola, poiché la polare di P0 rispetto a γ è la tangente alla parabola in P0 , per trovare la tangente è sufficiente determinare la polare. Esempio 8.5.2. Dati la parabola γ : y = x2 + x − 5 e il punto A (2, 1), determiniamo la tangente a γ passante per A. Verifichiamo che A ∈ γ: 1=4+2−5 1=1 A∈γ Determiniamo la polare t di A rispetto a γ: x+2 y+1 = 2x + −5 2 2 y + 1 = 4x + x + 2 − 10 5x − y − 9 = 0 La tangente è t : 5x − y − 9 = 0 494 8.6. PROBLEMI SULLA PARABOLA 3 y t 2 1 A x −5 −4 −3 −2 O −1 1 2 3 4 5 6 −1 −2 −3 −4 γ −5 Figura 8.12: tangente Osservazione Non determiniamo le tangenti alla parabola passanti per punti esterni alla parabola 8.6 Problemi sulla parabola Per determinare l’equazione di una parabola si devono determinare i valori di a, b, c nell’equazione y = ax2 + bx + c Per far questo è necessario risolvere un sistema formato da tre equazioni in tre incognite. Per scrivere le equazioni: • si possono utilizzare le formule delle coordinate del fuoco xF = − b 1−∆ , yF = 2a 4a • si possono utilizzare le formule delle coordinate del vertice xV = − b ∆ , yV = − 2a 4a • si può utilizzare l’equazione dell’asse x=− b 2a • si può utilizzare l’equazione della direttrice y=− 1+∆ 4a • si possono sostituire le coordinate di un punto nell’equazione della parabola affinché essa passi per quel punto. 495 CAPITOLO 8. PARABOLA 8.6.1 Equazione della parabola passante per tre punti Esempio 8.6.1. Determinare l’equazione della parabola γ con asse parallelo all’asse y passante per i punti A(1, 2), B(3, 5), C(−1 Sostituiamo le coordinate dei punti nell’equazione y = ax2 + bx + c: 2 = a + b + c 5 = 9a + 3b + c 3 = a − b + c 2 = a + b + c 5 = 9a + 3b + c − 1 = 2b 1 2=a− +c 2 5 = 9a − 3 +c 2 1 b = − 2 4 = 2a − 1 + 2c 10 = 18a − 3 + 2c b = −1 2 4 = 2a − 1 + 2c − 6 = −16a + 2 b = −1 2 4 = 1 − 1 + 2c 1 a= b = c= 2 − 1 2 2 1 a= 2 1 b = − 2 La parabola è 1 1 γ : y = x2 − x + 2 2 2 y B 5 γ 4 C 3 2 A 1 x −4 −3 −2 −1 O 1 496 2 3 4 5 6 8.6. PROBLEMI SULLA PARABOLA 8.6.2 Equazione della parabola passante per un punto e noto il fuoco Esempio 8.6.2. Determinare l’equazione della parabola γ con asse parallelo all’asse y, passante per il punto A(3, 1) e con fuoco F (1, 2). Scriviamo il sistema formato dalle formule delle coordinate del fuoco e dall’equazione ottenuta sostituento le coordinate del punto A nell’equazione y = ax2 + bx + c: b 1=− 2a 1 − (b2 − 4ac) 4a 1 = 9a + 3b + c 2= b = −2a 1 − (4a2 − 4ac) 4a 1 = 9a − 6a + c 2 = b = −2a 1 − (4a2 − 4ac) 4a c = 1 − 3a 2 = b = −2a 1 − (4a2 − 4a + 12a2 ) 4a c = 1 − 3a 2 = b = −2a 8a = 1 − 4a2 + 4a − 12a2 c = 1 − 3a b = −2a 16a2 + 4a − 1 = 0 c = 1 − 3a √ −1 + 5 b=− 4 √ −1 + 5 a= 8 √ √ −3 +3 5 11 − 3 5 c = 1 − = 8 8 ∨ √ 5 −1 − b=− 4 √ −1 − 5 a= 8 √ √ −3 −3 5 11 + 3 5 c = 1 − = 8 Le parabole sono −1 + γ:y= 8 √ −1 − γ :y= 8 0 5 √ −1 + x − 4 5 √ 2 −1 − x − 4 2 5 √ √ 11 − 3 5 x+ 8 5 √ 11 + 3 5 x+ 8 497 8 CAPITOLO 8. PARABOLA y 3 2 F A 1 x −4 −3 −2 −1 γ0 8.6.3 O 1 2 3 4 5 6 −1 Equazione della parabola noti il vertice e il fuoco Esempio 8.6.3. Determinare l’equazione della parabola γ con vertice V (1, 2) e fuoco F (1, 4). Scriviamo il sistema formato dalle formule delle coordinate del fuoco e del vertice: b 1=− 2a 2=− ∆ 4a 1 − ∆ 4 = 4a b = −2a ∆ = −8a 1 − ∆ = 16a b = −2a ∆ = −8a 1 + 8a = 16a 1 b=− 4 ∆ = −1 1 a = 8 ∆ = b2 − 4ac −1 = c= 1 1 − c 16 2 17 8 La parabola è 1 1 17 γ : y = x2 − x + 8 4 8 498 7 8.6. PROBLEMI SULLA PARABOLA 6 y 5 4 F 3 2 V 1 x −4 8.6.4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 5 6 Equazione della parabola noti il vertice e la direttrice Esempio 8.6.4. Determinare l’equazione della parabola γ con vertice V (2, −1) e direttrice r : y = 1. Scriviamo il sistema formato dalle formule delle coordinate del fuoco e dell’equazione della direttrice: b 2=− 2a −1=− ∆ 4a 1 + ∆ 1 = − 4a b = −4a ∆ = 4a 1 + ∆ = −4a b = −4a ∆ = 4a 1 + 4a = −4a 1 b= 2 ∆=− 1 2 1 a = − 8 ∆ = b2 − 4ac 1 1 1 − = + c 2 4 2 c=− 3 2 La parabola è 1 1 3 γ : y = − x2 + x − 8 2 2 499 CAPITOLO 8. PARABOLA y 1 r x −4 −3 −2 −1 O 1 2 V −1 −2 −3 γ 500 3 4 5 6 7 Capitolo 9 Circonferenza 9.1 Introduzione Definizione 9.1.1 (Circonferenza). Dati il numero reale non negativo r e il punto C, si dice circonferenza di centro C e raggio r il luogo dei punti aventi distanza r da C. C r Figura 9.1: circonferenza 9.2 Equazione della circonferenza y 6 5 c 4 C 3 r P 2 1 x −5 −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 5 Figura 9.2: circonferenza Dati il numero reale non negativo r e il punto C(α, β), il punto P (x, y) appartiene alla circonferenza di centro C e raggio r se » (x − α)2 + (y − β)2 = r (x − α)2 + (y − β)2 = r2 501 CAPITOLO 9. CIRCONFERENZA x2 − 2αx + α2 + y 2 − 2βy + β 2 = r2 x2 + y 2 − 2αx − 2βy + α2 + β 2 − r2 = 0 Ponendo a = −2α, b = −2β, c = α2 + β 2 − r2 si ottiene x2 + y 2 + ax + by + c = 0 Esempio 9.2.1. Determinare l’equazione della circonferenza di centro C(1, 3) e raggio r = 2 » (x − 1)2 + (y − 3)2 = 2 x2 − 2x + 1 + y 2 − 6y + 9 = 4 x2 + y 2 − 2x − 6y + 6 = 0 y 6 5 c 4 C 3 r P 2 1 x −5 −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 5 Figura 9.3: circonferenza di equazione x2 + y 2 − 2x − 6y + 6 = 0 Data l’equazione x2 + y 2 + ax + by + c = 0, dalle relazioni a = −2α b = −2β c = α2 + β 2 − r 2 si ricavano α, β, r: a α=− 2 b 2 2 a b2 r2 = + −c 4 4 β=− Si possono verificare tre casi: • se a2 b2 + − c < 0 l’equazione non rappresenta una circonferenza reale 4 4 • se a2 b2 a b + − c = 0 l’equazione rappresenta la circonferenza ridotta al punto C − , − 4 4 2 2 Å 502 ã 9.2. EQUAZIONE DELLA CIRCONFERENZA a2 b2 a b + − c > 0 l’equazione rappresenta la circonferenza di centro C − , − 4 4 2 2 a2 b2 + −c r= 4 4 Å • se ã e raggio Esempio 9.2.2. Determinare centro e raggio della circonferenza di equazione x2 + y 2 + 2x − 4y − 5 = 0. Poiché a2 b2 + − c = 1 + 4 + 5 = 10 > 0 4 4 l’equazione rappresenta la circonferenza di centro C(−1, 2) e raggio r = √ 10. y 6 5 4 3 C 2 r 1 x −5 −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 5 −1 Figura 9.4: circonferenza di equazione x2 + y 2 + 2x − 4y − 5 = 0 Osservazione Nell’equazione di una circonferenza i termini al quadrato possono avere uno stesso coefficiente diverso da 0. In questo caso per determinare il centro e il raggio è necessario dividere tutti i termini per tale coefficiente. Esempio 9.2.3. Determinare centro e raggio della circonferenza di equazione 4x2 + 4y 2 + x − 8y − 16 = 0. Dividiamo tutti i termini per 4: 1 x2 + y 2 + x − 2y − 4 = 0 4 Poiché a2 b2 1 321 + −c= +1+4= >0 4 4 64 64 1 l’equazione rappresenta la circonferenza di centro C − , 1 e raggio r = 8 Å 503 ã √ 321 . 8 CAPITOLO 9. CIRCONFERENZA y 4 3 2 r C 1 x −3 −2 −1 O 1 2 3 −1 −2 Figura 9.5: circonferenza di equazione 4x2 + 4y 2 + x − 8y − 16 = 0 9.2.1 Casi particolari Equazione della circonferenza con centro nell’origine Se il centro è O(0, 0), sostituendo le coordinate nell’equazione » (x − α)2 + (y − β)2 = r si ottiene x2 + y 2 = r2 Equazione della circonferenza passante per l’origine Se la circonferenza γ : x2 + y 2 + ax + by + c = 0 passa per l’origine, le coordinate del punto O(0, 0) soddisfano l’equazione. Sostituendo, si ottiene c=0 Quindi l’equazione della circonferenza passante per l’origine è x2 + y 2 + ax + by = 0 9.3 Rappresentazione grafica della circonferenza Per rappresentare graficamente una circonferenza si può procedere nel seguente modo 1. si determina il centro 2. si determina il raggio 3. si rappresentano graficamente il centro e si disegna la circonferenza con quel centro e quel raggio Esempio 9.3.1. Data la circonferenza γ : x2 + y 2 + 6x − 4y + 1 = 0, rappresentiamola graficamente. 1. Determiniamo il centro: xC = −3 yC = 2 C (−3, 2) 504 9.4. INTERSEZIONE RETTA CIRCONFERENZA 2. Determiniamo il raggio: r= √ √ 9+4−1=2 3 Rappresentiamo graficamente il centro e la circonferenza con quel centro e quel raggio. 7 y 6 5 γ 4 3 C 2 r 1 x −6 −5 −4 −3 −2 O −1 1 −1 Figura 9.6: rappresentazione grafica della circonferenza 9.4 Intersezione retta circonferenza Per determinare le coordinate dei punti di intersezione tra una retta e una circonferenza si risolve il sistema formato dalle equazioni della retta e della circonferenza. Si possono verificare 3 casi: 1. il sistema ammette due soluzioni reali distinte: la retta è secante la circonferenza 2. il sistema ammette due soluzioni reali coincidenti: la retta è tangente alla circonferenza 3. il sistema non ammette soluzioni reali: la retta è esterna alla circonferenza 4 y y A A 2 2 C B C x x O O 2 4 2 Figura 9.8: retta tangente alla circonferenza Figura 9.7: retta secante la circonferenza 505 CAPITOLO 9. CIRCONFERENZA y A 4 2 C x O 2 4 6 B Figura 9.9: retta esterna alla circonferenza Esempio 9.4.1. Determinare l’intersezione tra la circonferenza γ : x2 + y 2 + x − 4y + 1 = 0 e le rette 1 1. s : y = x + 2 2 2. t : 3x + 2y − 9 = 0 3. e : x + 2y + 5 = 0 1. Scriviamo il sistema formato dalle equazioni della circonferenza γ e della retta s: 2 2 x + y + x − 4y + 1 = 0 y = 1x + 2 2 Risolvendo il sistema si ottiene ( x = −2 y=1 ∨ 6 x = 5 13 y = 5 Å La retta s è secante la circonferenza γ nei punti A(−2, 1) e B 6 13 , 5 5 ã 2. Scriviamo il sistema formato dalle equazioni della circonferenza γ e della retta t: ( 2 x + y 2 + x − 4y + 1 = 0 3x + 2y − 9 = 0 Risolvendo il sistema si ottiene ( x=1 y=3 doppia La retta t è tangente alla circonferenza γ nel punto D(1, 3). 3. Scriviamo il sistema formato dalle equazioni della circonferenza γ e della retta e: ( 2 x + y 2 + x − 4y + 1 = 0 x + 2y + 5 = 0 Risolvendo il sistema si ottiene che è impossibile. La retta e è esterna alla circonferenza γ. 506 9.5. TANGENTI A UNA CIRCONFERENZA 6 y t 5 4 γ D 3 C 2 B 1 A −5 −4 s −3 −2 −1 e x O 1 2 3 4 5 6 −1 Figura 9.10: intersezioni retta circonferenza 9.5 9.5.1 Tangenti a una circonferenza Polare Definizione 9.5.1 (Polare). Dati la circonferenza γ : x2 + y 2 + ax + by + c = 0 e un punto P0 (x0 , y0 ) distinto dal centro della circonferenza, si dice polare di P0 rispetto a γ la retta r la cui equazione si ottiene con la regola degli sdoppiamenti: xx0 + yy0 + a x + x0 y + y0 +b +c=0 2 2 Esempio 9.5.1. Dati la circonferenza γ : x2 + y 2 + 4x − 6y + 1 = 0 e il punto A (1, −4), determiniamo la polare r di A rispetto a γ: x − 4y + 4 x+1 y−4 −6 +1=0 2 2 x − 4y + 2x + 2 − 3y + 12 + 1 = 0 r : 3x − 7y + 15 = 0 507 CAPITOLO 9. CIRCONFERENZA 6 y γ 4 C 2 x −6 r −4 O −2 2 4 −2 A −4 Figura 9.11: polare 9.5.2 Tangente alla circonferenza in un punto appartenente alla circonferenza Dati la circonferenza γ e il punto P0 appartenente alla circonferenza, la polare di P0 rispetto a γ è la tangente alla circonferenza in P0 , qundi per trovare la tangente è sufficiente determinare la polare. Esempio 9.5.2. Dati la circonferenza γ : x2 + y 2 + 6x − 3y − 14 = 0 e il punto A (2, 1), determiniamo la tangente a γ passante per A. Verifichiamo che A ∈ γ: 4 + 1 + 12 − 3 − 14 = 0 0=0 A∈γ Determiniamo la polare t di A rispetto a γ: 2x + y + 6 x+2 y+1 −3 − 14 = 0 2 2 2x + y + 3x + 6 − 3y + 3 − 14 = 0 2 4x + 2y + 6x + 12 − 3y − 3 − 28 = 0 10x − y − 19 = 0 La tangente è t : 10x − y − 19 = 0 508 9.6. PROBLEMI SULLA CIRCONFERENZA t 6 y γ 4 2 A −8 −6 −4 O −2 x 2 −2 Figura 9.12: tangente Osservazione Non determiniamo le tangenti alla circonfenza passanti per punti esterni alla circonferenza 9.6 Problemi sulla circonferenza Per determinare l’equazione di una circonferenza si può utilizzare la definizione di circonferenza oppure determinare i valori di a, b, c nell’equazione x2 + y 2 + ax + by + c = 0. Nel secondo caso è necessario risolvere un sistema formato da tre equazioni in tre incognite. Per scrivere le equazioni: • si possono utilizzare le formule delle coordinate del centro a b xC = − , yC = − 2 2 • si può utilizzare la formula del raggio r= a2 b2 + −c 4 4 • si possono sostituire le coordinate di un punto nell’equazione della circonferenza affinché essa passi per quel punto. 9.6.1 Equazione della circonferenza passante per tre punti Esempio 9.6.1. Determinare l’equazione della circonferenza γ passante per i punti A(1, 2), B(3, 5), C(−1, 3). Sostituiamo le coordinate dei punti nell’equazione x2 + y 2 + ax + by + c = 0: 1 + 4 + a + 2b + c = 0 9 + 25 + 3a + 5b + c = 0 1 + 9 − a + 3b + c = 0 509 CAPITOLO 9. CIRCONFERENZA a = −2b − c − 5 34 − 6b − 3c − 15 + 5b + c = 0 10 + 2b + c + 5 + 3b + c = 0 a = −2b − c − 5 b = −2c + 19 10 − 4c + 38 + c + 5 − 6c + 57 + c = 0 a = −2b − c − 5 b = −2c + 19 8c = 110 7 a=− 4 b=− 17 2 55 c = 4 La circonferenza è: 7 17 55 γ : x2 + y 2 − x − y + =0 4 2 4 7 y 6 γ B 5 4 C 3 A 2 1 x −4 9.6.2 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 5 Equazione della circonferenza passante per un punto e noto il centro Esempio 9.6.2. Determinare l’equazione della circonferenza γ passante per il punto A(3, 1) e con centro C(1, 2). Determiniamo il raggio della circonferenza: r = AC = » (3 − 1)2 + (1 − 2)2 = √ 5 Scriviamo l’equazione della circonferenza applicando la definizione: (x − 1)2 + (y − 2)2 = 5 x2 + 1 − 2x + y 2 + 4 − 4y − 5 = 0 x2 + y 2 − 2x − 4y = 0 510 9.6. PROBLEMI SULLA CIRCONFERENZA La circonferenza è: γ : x2 + y 2 − 2x − 4y = 0 5 y 4 γ 3 2 C A 1 x −3 −2 −1 O 1 511 2 3 4 5 Capitolo 10 Ellisse 10.1 Introduzione Definizione 10.1.1 (Ellisse). Dati due punti F1 e F2 , si dice ellisse di fuochi F1 e F2 il luogo dei punti per cui è costante la somma delle distanze da F1 e F2 . F2 F1 Figura 10.1: ellisse 10.2 Equazione dell’ellisse con i fuochi sull’asse delle ascisse, simmetrici rispetto all’origine y P 1 F2 −4 x F1 −2 O 2 4 −1 Figura 10.2: ellisse Dati il numero reale positivo a, il numero reale non negativo c e i punti F1 (c, 0) e F2 (−c, 0) il punto P (x, y) appartiene all’ellisse di fuochi F1 e F2 e somma costante 2a se P F1 + P F2 = 2a con 2a > 2c » (x − c)2 + y 2 + » (x + c)2 + y 2 = 2a effettuando i calcoli e ponendo a2 − c2 = b2 si ottiene x2 y 2 + 2 = 1 con a > b a2 b 512 10.3. EQUAZIONE DELL’ELLISSE CON I FUOCHI SULL’ASSE DELLE ORDINATE, SIMMETRICI RISPETTO ALL’ORIGINE 10.3 Equazione dell’ellisse con i fuochi sull’asse delle ordinate, simmetrici rispetto all’origine Dati il numero reale positivo b, il numero reale non negativo c e i punti F1 (0, c) e F2 (0, −c) il punto P (x, y) appartiene all’ellisse di fuochi F1 e F2 e somma costante 2b se P F1 + P F2 = 2b con 2b > 2c » x2 + (y − c)2 + » x2 + (y + c)2 = 2b effettuando i calcoli e ponendo b2 − c2 = a2 si ottiene x2 y 2 + 2 = 1 con a 6 b a2 b 10.4 Proprietà dell’ellisse 10.4.1 Intersezione con gli assi cartesiani y2 x2 Per determinare le coordinate dei punti di intersezione dell’ellisse γ : 2 + 2 = 1 con l’asse x, si a b risolve il sistema 2 2 x +y =1 a2 b2 y = 0 ( x = −a y=0 ( ∨ x=a y=0 x2 y2 Per determinare le coordinate dei punti di intersezione dell’ellisse γ : 2 + 2 = 1 con l’asse y, si a b risolve il sistema 2 2 x +y =1 2 2 a b x = 0 ( y = −b x=0 ( ∨ y=b x=0 L’ellisse incontra gli assi cartesiani nei punti A1 (a, 0), A2 (−a, 0), B1 (0, b), B2 (0, −b) detti vertici dell’ellisse. Se a > b, i fuochi appartengo all’asse x, il segmento A1 A2 si dice asse maggiore o asse focale e A1 A2 = 2a, il segmento B1 B2 si dice asse minore e B1 B2 = 2b. Se a < b, i fuochi appartengo all’asse y, il segmento B1 B2 si dice asse maggiore o asse focale e B1 B2 = 2b il segmento A1 A2 si dice asse minore e A1 A2 = 2a. 10.4.2 Fuochi Data l’ellisse γ : x2 y 2 + 2 =1 a2 b 513 CAPITOLO 10. ELLISSE • se a > b, i fuochi sono F1 (c, 0), F2 (−c, 0) con c2 = a2 − b2 • se a < b, i fuochi sono F1 (0, c), F2 (0, −c) con c2 = b2 − a2 10.4.3 Eccentricità Data l’ellisse γ : x2 y 2 + 2 =1 a2 b • se a > b, si dice eccentricità il rapporto e= c a Poiché c > 0 e a > c si ha: 06e<1 • se a < b, si dice eccentricità il rapporto e= c b Poiché c > 0 e b > c si ha: 06e<1 In particolare se e = 0 si ha c = 0 e a2 = b2 quindi l’equazione dell’ellisse diventa: x2 y 2 + 2 =1 a2 a x2 + y 2 = a2 che è l’equazione della circonferenza di centro O e raggio a. All’aumentare dell’eccentricità l’ellisse è sempre più “schiacciata”. 10.4.4 Area L’area della regione delimitata dall’ellisse γ : x2 y 2 + 2 = 1 è πab a2 b Esempio 10.4.1. • Dopo aver determinato l’equazione dell’ellisse di fuochi F1 (3, 0) e F2 (−3, 0) e asse maggiore 8, determinare vertici, eccentricità e area della regione delimitata dall’ellisse. Poiché l’asse maggiore è 8, a = 4. Poiché a = 4 e c = 3 si ha b2 = a2 − c2 = 16 − 9 = 7 514 10.4. PROPRIETÀ DELL’ELLISSE L’equazione dell’ellisse è: x2 y 2 + =1 16 7 I vertici sono: √ √ A1 (4, 0), A2 (−4, 0), B1 (0, 7), B2 (0, − 7) L’eccentricità è: e= 3 4 L’area è: √ A = 4 7π y B1 3 2 1 A2 −5 −4 F2 −3 F1 −2 −1 O 1 2 3 x A1 4 5 −1 −2 −3 B2 Figura 10.3: ellisse di equazione x2 y 2 + =1 16 7 • Dopo aver determinato l’equazione dell’ellisse di fuochi F1 (0, 4) e F2 (0, −4) e asse maggiore 14, determinare vertici, eccentricità e area della regione delimitata dall’ellisse. Poiché l’asse maggiore è 14, b = 7. Poiché b = 7 e c = 4 si ha a2 = b2 − c2 = 49 − 16 = 33 L’equazione dell’ellisse è: y2 x2 + =1 33 49 I vertici sono: √ √ A1 ( 33, 0), A2 (− 33, 0), B1 (0, 7), B2 (0, −7) L’eccentricità è: e= 4 7 L’area è: √ A = 7 33π 515 CAPITOLO 10. ELLISSE 8 y B1 6 F1 4 2 A2 −6 −4 −2 x A1 O 2 4 6 8 10 −2 F2 −4 −6 −8 B2 −10 Figura 10.4: ellisse di equazione 10.5 x2 y2 + =1 33 49 Rappresentazione grafica dell’ellisse Per rappresentare graficamente un’ellisse si può procedere nel seguente modo: 1. si determinano i 4 vertici 2. si rappresentano graficamente i 4 vertici e si disegna l’ellisse passante per essi Esempio 10.5.1. x2 y 2 Data l’ellisse γ : + = 1 rappresentiamola graficamente. 16 4 1. Determiniamo i vertici: A1 (4, 0), A2 (−4, 0), B1 (0, 2), B2 (0, −2) 2. Rappresentiamo graficamente graficamente i 4 vertici e disegnamo l’ellisse passante per essi 3 2 y B1 γ 1 A2 −4 x A1 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 −1 −2 B2 Figura 10.5: rappresentazione grafica dell’ellisse 516 5 10.6. INTERSEZIONE RETTA ELLISSE 10.6 Intersezione retta ellisse Per determinare le coordinate dei punti di intersezione tra una retta e un’ellisse si risolve il sistema formato dalle equazioni della retta e dell’ellisse. Si possono verificare 3 casi: 1. il sistema ammette due soluzioni reali distinte: la retta è secante l’ellisse 2. il sistema ammette due soluzioni reali coincidenti: la retta è tangente all’ellisse 3. il sistema non ammette soluzioni reali: la retta è esterna all’ellisse s A y 3 2 B 1 F2 −5 −4 −3 x F1 −2 −1 O 1 2 3 4 5 6 −1 −2 −3 Figura 10.6: retta secante l’ellisse 4 y t 3 A 2 1 F2 −6 −5 −4 −3 x F1 −2 −1 O 1 2 −1 −2 −3 Figura 10.7: retta tangente all’ellisse 517 3 4 5 CAPITOLO 10. ELLISSE 3 y 2 e 1 F2 −7 −6 −5 −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 −1 −2 −3 Figura 10.8: retta esterna all’ellisse Esempio 10.6.1. Determinare l’intersezione tra l’ellisse γ : x F1 x2 y 2 + = 1 e le rette 8 5 1. s : y = x + 2 … 5 y − 20 = 0 2 3. e : x + 2y + 8 = 0 2. t : 5x + 4 1. Scriviamo il sistema formato dalle equazioni dell’ellisse γ e della retta s: 2 2 x +y =1 8 5 y =x+2 Risolvendo il sistema si ottiene: √ √ −16 − 6 −16 + 6 10 10 x = x = 13√ 13√ ∨ 10 10 − 6 10 + 6 10 y = y = 13 13 La retta s è secante l’ellisse γ nei punti √ √ å Ç −16 − 6 10 10 − 6 10 A , 13 13 √ √ å Ç −16 + 6 10 10 + 6 10 B , 13 13 2. Scriviamo il sistema formato dalle equazioni dell’ellisse γ e della retta t: 2 x y2 + =1 8 5 5 5x + 4 y − 20 = 0 2 Risolvendo il sistema si ottiene: 2 x = 5 doppia y = 2 518 4 10.7. TANGENTI A UN’ELLISSE Ç … å La retta t è tangente all’ellisse γ nel punto C 2, 5 . 2 3. Scriviamo il sistema formato dalle equazioni dell’ellisse γ e della retta e: 2 2 x +y =1 8 5 x + 2y + 8 = 0 Risolvendo il sistema si ottiene che è impossibile. La retta e è esterna all’ellisse γ. t 4 y 3 B 2 γ C 1 x −6 −5 −4 −3 −2 A e −1 O 1 2 3 4 5 −1 −2 s −3 Figura 10.9: intersezioni retta ellisse 10.7 10.7.1 Tangenti a un’ellisse Polare Definizione 10.7.1 (Polare). x2 y 2 Dati l’ellisse γ : 2 + 2 = 1 e un punto P0 (x0 , y0 ) diverso dall’origine, si dice polare di P0 rispetto a a b γ la retta r la cui equazione si ottiene con la regola degli sdoppiamenti: xx0 yy0 + 2 =1 a2 b Esempio 10.7.1. x2 y 2 Dati l’ellisse γ : + = 1 e il punto A (1, 2), determiniamo la polare r di A rispetto a γ: 4 3 x 2y + =1 4 3 r : 3x + 8y − 12 = 0 519 CAPITOLO 10. ELLISSE r 2 y A γ1 x C −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 −1 Figura 10.10: polare 10.7.2 Tangente all’ellisse in un punto appartenente all’ellisse Dati l’ellisse γ e il punto P0 appartenente all’ellisse, la polare di P0 rispetto a γ è la tangente all’ellisse in P0 , quindi per trovare la tangente è sufficiente determinare la polare. Esempio 10.7.2. x2 4y 2 Dati l’ellisse γ : + = 1 e il punto A(1, 1), determiniamo la tangente a γ passante per A. 5 5 Verifichiamo che A ∈ γ: 1 4 + =1 5 5 1=1 A∈γ Determiniamo la polare t di A rispetto a γ: x 4y + =1 5 5 x + 4y − 5 = 0 La tangente è t : x + 4y − 5 = 0 3 t y 2 A γ 1 x −3 −2 −1 O 1 2 3 4 5 −1 Figura 10.11: tangente Osservazione Non determiniamo le tangenti all’ellisse passanti per punti esterni all’ellisse 520 6 10.8. PROBLEMI SULL’ELLISSE 10.8 Problemi sull’ellisse Per determinare l’equazione di un’ellisse è necessario determinare i valori di a, b nell’equazione x2 y 2 + 2 =1 a2 b È quindi necessario risolvere un sistema formato da due equazioni in due incognite. Per scrivere le equazioni: • si possono utilizzare le formule riguardanti i vertici A1 (a, 0), A2 (−a, 0), B1 (0, b), B2 (0, −b) • si possono utilizzare le formule riguardanti il fuoco c2 = a2 − b2 oppure c2 = b2 − a2 • si possono utilizzare le formule dell’eccentricità e= c a oppure e= c b • si possono sostituire le coordinate di un punto nell’equazione dell’ellisse affinché essa passi per quel punto. 10.8.1 Equazione dell’ellisse passante per due punti Esempio 10.8.1. √ √ Determinare l’equazione dell’ellisse γ passante per i punti A(4, − 3), B(2 2, 3). x2 y 2 Sostituiamo le coordinate dei punti nell’equazione 2 + 2 = 1: a b 16 3 2 + 2 =1 a b 8 9 + 2 =1 2 a b Ponendo 1 2 =u a 1 =v 2 b si ha ( 16u + 3v = 1 8u + 9v = 1 1 v = 15 1 u = 20 521 CAPITOLO 10. ELLISSE Quindi 1 1 2 = b 15 1 1 = 2 a 20 L’ellisse è γ: x2 y2 + =1 20 15 y 4 γ B 3 2 1 x −5 −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 5 6 −1 A −2 −3 −4 10.8.2 Equazione dell’ellisse passante per un punto e noto un fuoco Esempio 10.8.2. Determinare l’equazione dell’ellisse γ passante per il punto A(3, 1) e con fuoco F (1, 0). x2 y2 Sostituiamo le coordinate del punto nell’equazione 2 + 2 = 1 e utilizziamo la formula riguardante a b il fuoco 9 + 1 =1 a2 b2 2 2 1=a −b 9 1 + 2 =1 2 1+b b a2 = 1 + b2 ( 9b2 + 1 + b2 = b4 + b2 a2 = 1 + b2 ( 4 b − 9b2 − 1 = 0 a2 = 1 + b2 √ √ b2 = 9 + 85 ∨ 9 − 85 2 2 2 2 a =1+b 522 10.8. PROBLEMI SULL’ELLISSE √ 85 9 + 2 b = 2√ 11 + a2 = 85 2 L’ellisse è γ: y2 x2 √ + √ =1 11 + 85 9 + 85 2 2 y 3 γ 2 A 1 x F −4 −3 −2 O −1 1 2 3 4 5 −1 −2 −3 10.8.3 Equazione dell’ellisse noto un fuoco e l’eccentricità Esempio 10.8.3. 1 Determinare l’equazione dell’ellisse γ con fuoco F (1, 0) e eccentricità √ . 2 2 2 1 = a − b 1 1 √ = a 2 ( 2 b = a2 − 1 a= √ 2 ( 2 b =1 a= √ 2 L’ellisse è γ: x2 + y2 = 1 2 y 1 γ x F −2 −1 O 1 −1 523 2 3 4 6 Parte IV CLASSE QUARTA LINGUISTICO 524 Capitolo 1 Iperbole 1.1 Introduzione Definizione 1.1.1 (Iperbole). Dati due punti F1 e F2 , si dice iperbole di fuochi F1 e F2 il luogo dei punti per cui è costante il valore assoluto della differenza delle distanze da F1 e F2 . F2 F1 Figura 1.1: iperbole 525 CAPITOLO 1. IPERBOLE 1.2 Equazione dell’iperbole con i fuochi sull’asse delle ascisse, simmetrici rispetto all’origine 4 y P 2 F2 −4 −2 F1 O 2 x 4 −2 Figura 1.2: iperbole Dati i numeri reali positivi a, c e i punti F1 (c, 0) e F2 (−c, 0) il punto P (x, y) appartiene all’iperbole di fuochi F1 e F2 e differenza costante 2a se P F1 − P F2 = 2a » » (x − c)2 + y 2 − (x + c)2 + y 2 = 2a effettuando i calcoli e ponendo c2 − a2 = b2 si ottiene x2 y 2 − 2 =1 a2 b 1.3 Equazione dell’iperbole con i fuochi sull’asse delle ordinate, simmetrici rispetti all’origine Dati i numeri reali positivi b, c e i punti F1 (0, c) e F2 (0, −c) il punto P (x, y) appartiene all’iperbole di fuochi F1 e F2 e differenza costante 2b se P F1 − P F2 = 2b effettuando i calcoli e ponendo c2 − b2 = a2 si ottiene x2 y 2 − 2 = −1 a2 b 526 1.4. PROPRIETÀ DELL’IPERBOLE 1.4 Proprietà dell’iperbole 1.4.1 Intersezione con gli assi cartesiani x2 y2 Per determinare le coordinate dei punti di intersezione dell’iperbole γ : 2 − 2 = 1 con l’asse x, si a b risolve il sistema 2 2 x −y =1 2 2 a b y = 0 ( x = −a y=0 ( ∨ x=a y=0 x2 y2 Per determinare le coordinate dei punti di intersezione dell’iperbole γ : 2 − 2 = 1 con l’asse y, si a b risolve il sistema 2 2 x −y =1 a2 b2 x = 0 impossibile L’iperbole γ : x2 y 2 − 2 = 1 non interseca l’asse y e incontra l’asse x nei punti a2 b A1 (a, 0), A2 (−a, 0) detti vertici dell’iperbole. L’asse x si chiama asse traverso, l’asse y si chiama asse non traverso. x2 y 2 Per determinare le coordinate dei punti di intersezione dell’iperbole γ : 2 − 2 = −1 con l’asse x, si a b risolve il sistema 2 2 x − y = −1 a2 b2 y = 0 impossibile x2 y 2 Per determinare le coordinate dei punti di intersezione dell’iperbole γ : 2 − 2 = −1 con l’asse y, si a b risolve il sistema 2 2 x − y = −1 a2 b2 x = 0 ( y = −b x=0 ( ∨ L’iperbole γ : y=b x=0 x2 y 2 − 2 = −1 non interseca l’asse x e incontra l’asse y nei punti a2 b B1 (0, b), B2 (0, −b) detti vertici dell’iperbole. L’asse y si chiama asse traverso, l’asse x si chiama asse non traverso. 527 CAPITOLO 1. IPERBOLE 1.4.2 Fuochi Data l’iperbole γ : x2 y 2 − 2 = 1, i fuochi sono a2 b F1 (c, 0), F2 (−c, 0) con c2 = a2 + b2 Data l’iperbole γ : x2 y 2 − 2 = −1, i fuochi sono a2 b F1 (0, c), F2 (0, −c) con c2 = a2 + b2 1.4.3 Eccentricità Data l’iperbole γ : e= x2 y 2 − 2 = 1, si dice eccentricità il rapporto a2 b c a Poiché 0 < a < c si ha: e>1 Data l’iperbole γ : e= x2 y 2 − 2 = −1, si dice eccentricità il rapporto a2 b c b Poiché 0 < b < c si ha: e>1 1.4.4 Asintoti Le equazioni degli asintoti dell’iperbole γ : x2 y 2 − 2 = 1 sono a2 b b b y =− x∨y = x a a 2 y 1 x −4 −3 −2 −1 O 1 2 −1 −2 Figura 1.3: asintoti 528 3 4 5 1.4. PROPRIETÀ DELL’IPERBOLE le equazioni degli asintoti dell’iperbole γ : x2 y 2 − 2 = −1 sono a2 b b b y =− x∨y = x a a 5 y 4 3 2 1 x −6 −5 −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 5 −1 −2 −3 −4 −5 Figura 1.4: asintoti Gli asintoti sono delle rette con la seguente proprietà: la distanza di un punto P dell’iperbole dall’asintoto tende a 0 man mano che P si allontana dai vertici. Esempio 1.4.1. • Dopo aver determinato l’equazione dell’iperbole di fuochi F1 (3, 0) e F2 (−3, 0) e vertice A1 (2, 0), determinare l’altro vertice, eccentricità e asintoti. Poiché un vertice è A1 (2, 0), a = 2. Poiché a = 2 e c = 3 si ha b2 = c2 − a2 = 9 − 4 = 5 L’equazione dell’iperbole è: x2 y 2 − =1 4 5 I vertici sono: A1 (2, 0), A2 (−2, 0) L’eccentricità è: e= 3 2 Le equazione degli asintoti sono √ √ 5 5 y=− x∨y = x 2 2 529 CAPITOLO 1. IPERBOLE 5 y 4 3 2 1 A2 −6 −5 −4 −3 −2 x A1 −1 O 1 2 3 4 5 −1 −2 −3 −4 −5 Figura 1.5: iperbole di equazione x2 y 2 − =1 4 5 • Dopo aver determinato l’equazione dell’iperbole di fuochi F1 (0, 4) e F2 (0, −4) e vertice B1 (0, 3), determinare l’altro vertice, eccentricità e asintoti. Poiché un vertice è B1 (0, 3), b = 3. Poiché b = 3 e c = 4 si ha a2 = c2 − b2 = 16 − 9 = 7 L’equazione dell’iperbole è: x2 y 2 − = −1 7 9 I vertici sono: B1 (0, 3), B2 (0, −3) L’eccentricità è: e= 4 3 Le equazione degli asintoti sono 3 3 y = −√ x ∨ y = √ x 7 7 530 1.5. IPERBOLE EQUILATERA 5 y 4 3 B1 2 1 x −6 −5 −4 −3 −2 O −1 1 2 3 4 5 −1 −2 −3 B2 −4 −5 Figura 1.6: iperbole di equazione 1.5 x2 y 2 − = −1 7 9 Iperbole equilatera Data l’iperbole x2 y 2 − 2 = 1, se b = a si ottiene a2 b γ : x2 − y 2 = a2 γ si dice iperbole equilatera. x2 y 2 Data l’iperbole 2 − 2 = −1, se b = a si ottiene a b γ1 : x2 − y 2 = −a2 γ1 si dice iperbole equilatera. 1.6 1.6.1 Proprietà dell’iperbole equilatera Intersezione con gli assi cartesiani L’iperbole equilatera γ : x2 − y 2 = a2 , non interseca l’asse y e incontra l’asse x nei vertici A1 (a, 0), A2 (−a, 0) L’iperbole equilatera γ1 : x2 − y 2 = −a2 , non interseca l’asse x e incontra l’asse y nei vertici B1 (0, a), B2 (0, −a) 1.6.2 Fuochi Data l’iperbole γ : x2 − y 2 = a2 , i fuochi sono F1 (c, 0), F2 (−c, 0) 531 CAPITOLO 1. IPERBOLE con c= √ 2a Data l’iperbole γ : x2 − y 2 = −a2 , i fuochi sono F1 (0, c), F2 (0, −c) con c= √ 1.6.3 2a Eccentricità Data l’iperbole γ : x2 − y 2 = a2 , l’eccentricità è e= c √ = 2 a Data l’iperbole γ : x2 − y 2 = −a2 , l’eccentricità è e= c √ = 2 a 1.6.4 Asintoti Data l’iperbole γ : x2 − y 2 = a2 , le equazioni degli asintoti sono y = −x ∨ y = x 3 y 2 1 x −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 −1 −2 −3 Figura 1.7: asintoti Data l’iperbole γ : x2 − y 2 = −a2 , le equazioni degli asintoti sono y = −x ∨ y = x 532 4 5 1.6. PROPRIETÀ DELL’IPERBOLE EQUILATERA 4 y 3 2 1 x −6 −5 −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 5 6 7 −1 −2 −3 −4 Figura 1.8: asintoti Esempio 1.6.1. Dopo aver determinato l’equazione dell’iperbole equilatera di fuochi F1 (3, 0) e F2 (−3, 0), determinare vertici eccentricità e asintoti. Poiché c = 3 si ha c 3 a= √ = √ 2 2 L’equazione dell’iperbole è: x2 − y 2 = 9 2 I vertici sono: Ç A1 å Ç 3 3 √ , 0 , A2 − √ , 0 2 2 å L’eccentricità è: e= √ 2 Le equazione degli asintoti sono y = −x ∨ y = x 533 CAPITOLO 1. IPERBOLE y 3 2 1 A2 −5 −4 −3 x A1 −2 O −1 1 2 3 4 5 6 −1 −2 −3 Figura 1.9: iperbole di equazione x2 − y 2 = 1.7 9 2 Iperbole equilatera riferita agli asintoti Dato il sistema di riferimento Oxy e l’iperbole equilatera di equazione x2 − y 2 = −a2 oppure x2 − y 2 = a2 , consideriamo il sistema di riferimento OXY avente come assi cartesiani gli asintoti (gli asintoti dell’iperbole equilatera sono perpendicolari). Si può dimostrare che, rispetto al nuovo sistema a2 di riferimento, l’equazione x2 − y 2 = a2 diventa XY = − e l’equazione x2 − y 2 = −a2 diventa 2 a2 XY = . 2 Quindi un’iperbole equilatera riferita agli asintoti ha equazione xy = k con k 6= 0. Se k > 0, il grafico è nel primo e terzo quadrante; se k < 0, il grafico è nel secondo e quarto quadrante. Y 3 y X 2 1 F2 A2 −5 −4 −3 −2 −1 x A1 F 1 O 1 2 3 4 5 −1 −2 −3 Figura 1.10: iperbole equilatera riferita agli asintoti 1.7.1 Vertici Data l’iperbole γ : xy = k con k > 0, i vertici sono l’intersezione dell’iperbole con la bisettrice del primo e terzo quadrante: √ √ √ √ V1 ( k, k), V2 (− k, − k) Data l’iperbole γ : xy = k con k < 0 i vertici sono l’intersezione dell’iperbole con la bisettrice del secondo e quarto quadrante: √ √ √ √ V1 ( −k, − −k), V2 (− −k, −k) 534 1.8. RAPPRESENTAZIONE GRAFICA DELL’IPERBOLE 1.7.2 Fuochi Nell’iperbole di equazione xy = k con k > 0, i fuochi sono √ √ √ √ F1 ( 2k, 2k), F2 (− 2k, − 2k) Nell’iperbole di equazione xy = k con k < 0, i fuochi sono √ √ √ √ F1 ( −2k, − −2k), F2 (− −2k, −2k) Esempio 1.7.1. Determinare fuochi e vertici dell’iperbole equilatera riferita agli asintoti xy = 2. I vertici sono: Ä √ Ä√ √ ä √ ä 2, 2 , A2 − 2, − 2 A1 I fuochi sono: F1 (2, 2) , F2 (−2, −2) 6 y 5 4 3 F1 2 A1 1 x −6 −5 −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 5 6 7 A2 −1 F2 −2 −3 −4 −5 Figura 1.11: iperbole di equazione xy = 2 1.8 Rappresentazione grafica dell’iperbole Per rappresentare graficamente un’iperbole si può procedere nel seguente modo: 1. si determinano i 2 vertici 2. si determinano i 2 asintoti 3. si rappresentano graficamente i 2 vertici e i 2 asintoti e si disegna l’iperbole passante per i vertici e avente gli asintoti trovati 535 CAPITOLO 1. IPERBOLE Esempio 1.8.1. Data l’iperbole γ : x2 y 2 − = 1 rappresentiamola graficamente. 16 4 1. Determiniamo i vertici: A1 (4, 0), A2 (−4, 0) 2. Determiniamo gli asintoti: 1 1 y = − x, y = x 2 2 3. Rappresentiamo graficamente graficamente i 2 vertici e i 2 asintoti e disegnamo l’iperbole passante per i vertici e avente gli asintoti trovati. γ y 3 2 1 A2 −6 −5 −4 x A1 −3 −2 O −1 1 2 3 4 5 6 −1 −2 −3 Figura 1.12: rappresentazione grafica dell’iperbole 1.9 Intersezione retta iperbole Per determinare le coordinate dei punti di intersezione tra una retta e un’iperbole si risolve il sistema formato dalle equazioni della retta e dell’iperbole. Si possono verificare 5 casi: 1. il sistema ammette due soluzioni reali distinte: la retta è secante l’iperbole 2. il sistema ammette due soluzioni reali coincidenti: la retta è tangente all’iperbole 3. il sistema non ammette soluzioni reali: la retta è esterna all’iperbole 4. il sistema ammette una soluzione reale: la retta è secante l’iperbole ed è parallela a un asintoto 5. il sistema è impossibile: la retta è un asintoto 536 1.9. INTERSEZIONE RETTA IPERBOLE y 4 3 2 1 x −6 −5 −4 −3 −2 O −1 1 2 3 4 5 −1 −2 Figura 1.13: retta secante l’iperbole 3 y 2 1 x −6 −5 −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 5 −1 −2 Figura 1.14: retta tangente all’iperbole 3 y 2 1 x −6 −5 −4 −3 −2 −1 O 1 2 −1 −2 Figura 1.15: retta esterna all’iperbole 537 3 4 5 CAPITOLO 1. IPERBOLE 3 y 2 1 x −5 −4 −3 −2 O −1 1 2 3 4 5 −1 −2 −3 Figura 1.16: retta parallela agli asintoti 2 y 1 x −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 5 −1 −2 Figura 1.17: asintoto Esempio 1.9.1. Determinare l’intersezione tra l’iperbole γ : x2 y 2 − = 1 e le rette 4 2 1. s : y = x + 2 √ 6 2. t : x − y=1 2 3. e : y = 3x − 2 √ 2 4. p : y = x+3 2 √ 2 5. a : y = x 2 1. Scriviamo il sistema formato dalle equazioni dell’iperbole γ e della retta s: 2 2 x −y =1 4 2 y =x+2 Risolvendo il sistema si ottiene: ( x = −2 y=0 ( ∨ x = −6 y = −4 538 1.9. INTERSEZIONE RETTA IPERBOLE La retta s è secante l’iperbole γ nei punti A (−2, 0) e B (−6, −4) 2. Scriviamo il sistema formato dalle equazioni dell’iperbole γ e della retta t: x2 y 2 − =1 4 x − √2 6 y=1 2 Risolvendo il sistema si ottiene: ( x=4 √ doppia y= 6 Ä √ ä La retta t è tangente all’iperbole γ nel punto C 4, 6 . 3. Scriviamo il sistema formato dalle equazioni dell’iperbole γ e della retta e: 2 2 x −y =1 4 2 y = 3x − 2 Risolvendo il sistema si ottiene che non ha soluzioni reali. La retta e è esterna all’iperbole γ. 4. Scriviamo il sistema formato dalle equazioni dell’iperbole γ e della retta p: x2 y 2 − =1 4 y = √2 2 x+3 2 Risolvendo il sistema si ottiene: √ 11 2 x = − 6 y = 7 6 √ å 11 2 7 La retta p è secante l’iperbole γ nel punto D − , . 6 6 Ç 5. Scriviamo il sistema formato dalle equazioni dell’iperbole γ e della retta a: x2 y 2 − =1 4 y = √2 2 x 2 Risolvendo il sistema si ottiene che è impossibile: La retta a è un asintoto dell’iperbole γ. 539 CAPITOLO 1. IPERBOLE 3 e y C 2 D 1 x A −6 −5 −4 −3 −2 p −1 O 1 2 3 5 −1 −2 s B 4 γ −3 a −4 t Figura 1.18: intersezioni retta iperbole 1.10 Tangenti a un’iperbole 1.10.1 Polare Definizione 1.10.1 (Polare). x2 y 2 Dati l’iperbole γ : 2 − 2 = 1 e un punto P0 (x0 , y0 ) diverso dall’origine, si dice polare di P0 rispetto a b a γ la retta r la cui equazione si ottiene con la regola degli sdoppiamenti: xx0 yy0 − 2 =1 a2 b x2 y 2 Dati l’iperbole γ : 2 − 2 = −1 e un punto P0 (x0 , y0 ) diverso dall’origine, si dice polare di P0 rispetto a b a γ la retta r la cui equazione si ottiene con la regola degli sdoppiamenti: xx0 yy0 − 2 = −1 a2 b Dati l’iperbole equilatera riferita agli asintoti γ : xy = k e un punto P0 (x0 , y0 ) diverso dall’origine, la polare di P0 rispetto a γ è la retta r di equazione: xy0 + x0 y =k 2 Esempio 1.10.1. • Dati l’iperbole γ : x2 y 2 − = 1 e il punto A (1, 4), determiniamo la polare r di A rispetto a γ: 4 3 x 4y − =1 4 3 r : 3x − 16y − 12 = 0 540 1.10. TANGENTI A UN’IPERBOLE 5 y A 4 3 γ 2 1 x −6 −5 −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 5 6 7 −1 r −2 −3 Figura 1.19: polare • Dati l’iperbole γ : xy = 2 e il punto A (−2, 5), determiniamo la polare r di A rispetto a γ: 5x − 2y =2 2 r : 5x − 2y − 4 = 0 1.10.2 Tangente all’iperbole in un punto appartenente all’iperbole Dati l’iperbole γ e il punto P0 appartenente all’iperbole, la polare di P0 rispetto a γ è la tangente all’iperbole in P0 , quindi per trovare la tangente è sufficiente determinare la polare. Esempio 1.10.2. x2 4y 2 Dati l’iperbole γ : − = 1 e il punto A(3, 1), determiniamo la tangente a γ passante per A. 5 5 Verifichiamo che A ∈ γ: 9 4 − =1 5 5 1=1 A∈γ Determiniamo la polare t di A rispetto a γ: 3x 4y − =1 5 5 3x − 4y − 5 = 0 La tangente è t : 3x − 4y − 5 = 0 541 CAPITOLO 1. IPERBOLE y 2 γ A 1 x −5 −4 −3 −2 O −1 1 2 3 4 5 6 −1 −2 t Figura 1.20: tangente Osservazione Non determiniamo le tangenti all’iperbole passanti per punti esterni all’iperbole 1.11 Problemi sull’iperbole Per determinare l’equazione di un’iperbole è necessario determinare: 1. i valori di a, b nell’equazione x2 y 2 x2 y 2 − = 1 o nell’equazione − 2 = −1 a2 b2 a2 b 2. il valore di a nell’equazione x2 − y 2 = a2 o nell’equazione x2 − y 2 = −a2 3. il valore di k nell’equazione xy = k È quindi necessario risolvere un sistema formato da due equazioni in due incognite oppure risolvere un’equazione. Per scrivere le equazioni: • si possono utilizzare le formule riguardanti i vertici A1 (a, 0), A2 (−a, 0) oppure B1 (0, b), B2 (0, −b) oppure √ √ √ √ V1 ( k, k), V2 (− k, − k) oppure √ √ √ √ V1 ( −k, − −k), V2 (− −k, −k) • si possono utilizzare le formule riguardanti il fuoco c2 = a2 + b2 oppure c2 = 2a2 oppure √ √ √ √ F1 ( 2k, 2k), F2 (− 2k, − 2k) oppure √ √ √ √ F1 ( −2k, − −2k), F2 (− −2k, −2k) 542 1.11. PROBLEMI SULL’IPERBOLE • si possono utilizzare le formule dell’eccentricità c a e= oppure c b e= • si possono utilizzare le equazioni degli asintoti b b y = − x, y = x a a • si possono sostituire le coordinate di un punto nell’equazione dell’iperbole affinché essa passi per quel punto. 1.11.1 Equazione dell’iperbole passante per due punti Esempio 1.11.1. √ Ç √ å 15 Determinare l’equazione dell’iperbole con i fuochi sull’asse delle x passante per i punti A(6, 2 3), B −5, . 2 x2 y 2 Sostituiamo le coordinate dei punti nell’equazione 2 − 2 = 1: a b 36 12 2 − 2 =1 a b 25 15 − =1 a2 4b2 Ponendo 1 2 =u a 1 =v 2 b si ha 36u − 12v = 1 25u − 15 v = 1 4 1 v = 15 1 u = 20 Quindi 1 1 2 = b 15 1 1 = 2 a 20 L’iperbole è γ: x2 y2 − =1 20 15 543 CAPITOLO 1. IPERBOLE A y 3 B 2 1 x −6 −5 −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 5 6 −1 −2 −3 1.11.2 Equazione dell’iperbole equilatera passante per un punto Esempio 1.11.2. Determinare l’equazione dell’iperbole equilatera con i fuochi sull’asse delle y passante per il punto A(2, −3) Sostituiamo le coordinate del punto nell’equazione x2 − y 2 = −a2 : 4 − 9 = −a2 a2 = 5 L’iperbole è γ : x2 − y 2 = −5 1.11.3 Equazione dell’iperbole passante per un punto e noto un fuoco Esempio 1.11.3. Determinare l’equazione dell’iperbole γ passante per il punto A(3, 1) e con fuoco F (4, 0). x2 y2 Sostituiamo le coordinate del punto nell’equazione 2 − 2 = 1 e utilizziamo la formula riguardante a b il fuoco 9 − 1 =1 a2 b2 16 = a2 + b2 9 1 − 2 =1 2 16 − b b a2 = 16 − b2 ( 9b2 − 16 + b2 = 16b2 − b4 a2 = 16 − b2 ( 4 b − 6b2 − 16 = 0 a2 = 16 − b2 ( 2 b =8 a2 = 8 L’iperbole è γ: x2 y 2 − =1 8 8 544 1.11. PROBLEMI SULL’IPERBOLE γ y 4 3 2 A 1 F2 −5 −4 x F1 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 5 6 −1 −2 1.11.4 Equazione dell’iperbole riferita agli asintoti noto un fuoco Esempio 1.11.4. Determinare l’equazione dell’iperbole riferita agli asintoti con fuoco F (5, −5) √ −2k = 5 −2k = 25 k=− 25 2 L’iperbole è γ : xy = − 1.11.5 25 2 Equazione dell’iperbole noto un fuoco e l’eccentricità Esempio 1.11.5. √ Determinare l’equazione dell’iperbole γ con fuoco F (1, 0) e eccentricità 2. 2 2 1 = a + b √ 2= 1 a 2 2 b = 1 − a 1 2 a = √ 1 2 b = 2 1 a = √ 2 L’iperbole è γ : 2x2 − 2y 2 = 1 545 CAPITOLO 1. IPERBOLE 3 y 2 γ 1 F2 −5 −4 −3 −2 −1 F1 O x 1 2 3 4 5 6 −1 −2 1.11.6 Equazione dell’iperbole passante per un punto e noto un asintoto Esempio 1.11.6. x2 y2 Determinare l’equazione dell’iperbole γ : 2 − 2 = 1 passante per il punto A(3, 1) e con asintoto a b r : y = 2x. x2 y 2 Sostituiamo le coordinate del punto nell’equazione 2 − 2 = 1 e utilizziamo l’equazione dell’asintoto a b 9 1 2 − 2 =1 a b b =2 a 9 − 1 =1 a2 4a2 b = 2a ( 36 − 1 = 4a2 b = 2a a2 = 35 4 2 b = 35 L’iperbole è γ: 4x2 y2 − =1 35 35 γ r y 6 4 2 A x −6 −4 −2 O 2 −2 −4 −6 546 4 6 8 1.12. FUNZIONE OMOGRAFICA 1.12 Funzione omografica Si dice funzione omografica la curva di equazione: y= ax + b cx + d con c 6= 0 e ad − bc 6= 0. d Si può dimostrare che la funzione omografica rappresenta un’iperbole equilatera con asintoti x = − c a ey= . c Per rappresentare graficamente la funzione omografica si determinano gli asintoti e le intersezioni della curva con gli assi. Per determinare l’equazione di una funzione omografica è necessario determinare i valori di a, b, c, d ax + b nell’equazione y = . cx + d Poiché c 6= 0 si possono dividere numeratore e denominatore per c ottenendo b a x+ c y= c d x+ c y= hx + k x+l In questo caso le equazioni degli asintoti sono x = −l, y = h È quindi necessario risolvere un sistema formato da tre equazioni in tre incognite. Per scrivere le equazioni si possono utilizzare le equazioni degli asintoti. Si possono sostituire le coordinate di un punto nell’equazione della funzione omografica affinché essa passi per quel punto. Esempio 1.12.1. Determinare l’equazione della funzione omografica γ passante per i punti A(0, −3), B(6, 6) avente come asintoto la retta a : y = 3. ax + b Data l’equazione y = dividiamo numeratore e denominatore per c: cx + d a b x+ c y= c d x+ c y= hx + k x+l Scriviamo il sistema formato dalle equazioni ottenute sostituento le coordinate del punto A e del punto hx + k B nell’equazione y = e dall’equazione dell’asintoto: x+l k −3= l 6h + k 6= 6+l h=3 k = −3l 36 + 6l = 18 − 3l h = 3 547 CAPITOLO 1. IPERBOLE k = 6 l = −2 h = 3 La funzione omografica è γ:y= 3x + 6 x−2 Gli asintoti sono x = 2, y = 3 L’intersezione tra la curva e l’asse x è y = 3x + 6 x−2 y=0 ( x = −2 y=0 L’intersezione tra la curva e l’asse y è y = 3x + 6 x−2 x=0 ( y = −3 x=0 Il grafico della funzione omografica interseca gli assi nei punti C(−2, 0) e A(0, −3). y 8 b B 6 4 a γ 2 C −12 −10 −8 −6 −4 −2 x O −2 2 4 6 A −4 Figura 1.21: funzione omografica 548 8 10 12 Capitolo 2 Coniche 2.1 Introduzione La parabola, la circonferenza, l’ellisse e l’iperbole si chiamano coniche: esse si possono ottenere come intersezione tra un cono di rotazione e un piano non passante per il vertice del cono. Un cono di rotazione è una superficie generata da una retta, detta generatrice, che ruota intorno ad un asse formando un angolo costante α. Se indichiamo con β l’angolo formato dalla perpendicolare al piano con l’asse del cono, si possono verificare i seguenti casi: 1. se β = 0, cioè il piano è perpendicolare all’asse, si ha una circonferenza 2. se 0 6 β < π − α, si ha un’ellisse 2 π − α, si ha una parabola 2 π 4. se β > − α, si ha un’iperbole 2 3. se β = Figura 2.1: coniche 2.2 Equazione generale di una conica L’equazione di una conica è un’equazione di secondo grado in due incognite: ax2 + bxy + cy 2 + dx + ey + f = 0 con a, b, c non contemporaneamente nulli. Per classificare la conica di equazione ax2 + bxy + cy 2 + dx + ey + f = 0 549 CAPITOLO 2. CONICHE 1. si scrive la matrice Ü A= a b 2 b 2 c ê 2. si calcola det(A) 3. si analizza il valore di det(A): • se det(A) > 0, la conica è un’ellisse • se det(A) = 0, la conica è una parabola • se det(A) < 0, la conica è un’iperbole Esempio 2.2.1. • Classificare la conica di equazione x2 + 2y 2 − 4x + 4y − 3 = 0 1 0 det(A) = =2 0 2 Poiché det(A) > 0, la conica è un’ellisse. • Classificare la conica di equazione x2 − y 2 − 2y − 1 = 0 1 0 det(A) = = −1 0 −1 Poiché det(A) < 0, la conica è un’iperbole. 550 Capitolo 3 Funzioni goniometriche 3.1 Misura degli angoli Per gli angoli si utilizzano due unità di misura: il grado (sessagesimale) e il radiante. Definizione 3.1.1 (Grado). Si dice grado (sessagesimale) e si indica con ◦ la trecentosesantesima parte di una angolo giro. Quindi un angolo giro misura 360◦ , un angolo piatto misura 180◦ e un angolo retto misura 90◦ . Definizione 3.1.2 (Radiante). Data una circonferenza con centro nel vertice di un angolo, si dice radiante e si indica con rad l’angolo che stacca sulla circonferenza un arco uguale al raggio. Osservazioni 1. La definizione data è indipendente dal raggio della circonferenza 2. Un angolo giro misura 2π rad, un angolo piatto misura π rad e un angolo retto misura π rad. 2 3. In seguito, per gli angoli espressi in radianti, ometteremo rad. Per passare dalla misura in gradi a quella in radianti o viceversa si può utilizzare la seguente proporzione: misura in gradi : misura in radianti = 180◦ : π Esempio 3.1.1. • Dato α = 30◦ , esprimerlo in radianti 30◦ : x = 180◦ : π x= 30◦ π π = ◦ 180 6 • Dato α = x: π , esprimerlo in gradi 4 π = 180◦ : π 4 π 180◦ 4 x= = 45◦ π 551 CAPITOLO 3. FUNZIONI GONIOMETRICHE 3.2 Circonferenza goniometrica Definizione 3.2.1 (Circonferenza goniometrica). Dato un sistema di riferimento cartesiano OXY si dice circonferenza goniometrica la circonferenza con centro nell’origine e raggio 1. La misura di un angolo α con vertice nell’origine e un lato coincidente con il semiasse positivo delle ascisse, si considera positiva se il semiasse positivo delle ascisse si sovrappone all’altro lato mediante una rotazione antioraria, negativa se la sovvrapposizione avviene con una rotazione oraria. Y 1 α X −1 1 O −1 Figura 3.1: circonferenza goniometrica 3.3 Funzioni seno e coseno Definizione 3.3.1 (Seno). Dato l’angolo α con vertice nell’origine e un lato coincidente con il semiasse positivo delle ascisse, si dice seno dell’angolo α e si indica con sin(α) l’ordinata del punto P di intersezione tra l’altro lato e la circonferenza goniometrica. Definizione 3.3.2 (Coseno). Dato l’angolo α con vertice nell’origine e un lato coincidente con il semiasse positivo delle ascisse, si dice coseno dell’angolo α e si indica con cos(α) l’ascissa del punto P di intersezione tra l’altro lato e la circonferenza goniometrica. 1 Y P α X −1 O −1 Figura 3.2: seno e coseno 552 1 3.3. FUNZIONI SENO E COSENO Definizione 3.3.3 (funzione seno). Si dice funzione seno la funzione: f :R→R f (x) = sin(x) Definizione 3.3.4 (funzione coseno). Si dice funzione coseno la funzione: f :R→R f (x) = cos(x) Osservazioni 1. Se un angolo α individua il punto P sulla circonferenza goniometrica, allora l’angolo α + 2kπ con k ∈ Z individua lo stesso punto P . Quindi, in base alle definizioni date: ∀ α ∈ R, k ∈ Z sin(α + 2kπ) = sin(α) cos(α + 2kπ) = cos(α) Si dice che le funzioni seno e coseno sono periodiche di periodo 2π. 2. Dalle definizioni date segue che −1 6 sin(α) 6 1 ∀α ∈ R −1 6 cos(α) 6 1 ∀α ∈ R π 3. Se 0 < α < , P è nel primo quadrante e quindi il seno è positivo e il coseno è positivo. 2 π Se < α < π, P è nel secondo quadrante e quindi il seno è positivo e il coseno è negativo. 2 3 Se π < α < π, P è nel terzo quadrante e quindi il seno è negativo e il coseno è negativo. 2 3 Se π < α < 2π, P è nel quarto quadrante e quindi il seno è negativo e il coseno è positivo. 2 3.3.1 Relazione fondamentale della goniometria Dato l’angolo α con vertice nell’origine e un lato coincidente con il semiasse positivo delle ascisse, sia P il punto di intersezione tra l’altro lato e la circonferenza goniometrica. Per le definizioni di seno e coseno, si ha: P (cos(α), sin(α)) Poiché la circonferenza goniometrica ha equazione: γ : X2 + Y 2 = 1 e P ∈ γ si ha: cos2 (α) + sin2 (α) = 1 ∀α ∈ R 553 CAPITOLO 3. FUNZIONI GONIOMETRICHE Y 1 P (cos(α), sin(α)) α X −1 1 O −1 Figura 3.3: relazione fondamentale Dalla relazione fondamentale si ricava: » cos(α) = ± 1 − sin2 (α) e » sin(α) = ± 1 − cos2 (α) La scelta del segno dipende dal valore dell’angolo α 3.3.2 Seno e coseno di angoli particolari α = 0 = 0◦ 1 Y P −1 1 O −1 Figura 3.4: angolo di 0 Poiché l’ordinata di P è 0 e l’ascissa di P è 1, si ha sin (0) = 0 cos (0) = 1 554 X 3.3. FUNZIONI SENO E COSENO α= π = 30◦ 6 Y 1 P −1 π 6 O X H 1 −1 Figura 3.5: angolo di π 6 Poiché il triangolo P HO è metà di un triangolo equilatero di lato OP e altezza OH si ha: OP = 1 PH = 1 2 √ OH = 3 2 Poiché P H è l’ordinata di P e OH è l’ascissa di P . si ha 1 2 √ Å ã π 3 cos = 6 2 sin π 6 α= π = 45◦ 4 Å ã = 1 Y P −1 O π 4 X H 1 −1 Figura 3.6: angolo di π 4 Poiché il triangolo P HO è metà di un quadrato di lato OH si ha: OP = 1 555 CAPITOLO 3. FUNZIONI GONIOMETRICHE √ 2 2 PH = √ 2 2 OH = Poiché P H è l’ordinata di P e OH è l’ascissa di P . si ha √ π sin 4 Å ã = √ π cos 4 Å ã α= 2 2 = 2 2 π = 60◦ 3 1 −1 Y O P π 3 H X 1 −1 Figura 3.7: angolo di π 3 Poiché il triangolo P HO è metà di un triangolo equilatero di lato OP e altezza P H si ha: OP = 1 OH = 1 2 √ PH = 3 2 Poiché P H è l’ordinata di P e OH è l’ascissa di P . si ha √ π sin 3 = π 3 = Å ã Å ã cos 3 2 1 2 556 3.3. FUNZIONI SENO E COSENO α= π = 90◦ 2 1 Y P π 2 −1 X 1 O −1 Figura 3.8: angolo di π 2 Poiché l’ordinata di P è 1 e l’ascissa di P è 0, si ha π 2 =1 π 2 =0 Å ã sin Å ã cos α = π = 180◦ 1 Y π X P −1 1 O −1 Figura 3.9: angolo di π Poiché l’ordinata di P è 0 e l’ascissa di P è −1, si ha sin (π) = 0 cos (π) = −1 557 CAPITOLO 3. FUNZIONI GONIOMETRICHE 3 π = 270◦ 2 α= 1 Y 3 π 2 −1 X 1 O P −1 Figura 3.10: angolo di 3 π 2 Poiché l’ordinata di P è −1 e l’ascissa di P è 0, si ha Å sin 3 π = −1 2 ã 3 cos π = 0 2 Å ã α = 2π = 360◦ 1 Y 2π P −1 X 1 O −1 Figura 3.11: angolo di 2π Poiché l’ordinata di P è 0 e l’ascissa di P è 1, si ha sin (2π) = 0 cos (2π) = 1 3.3.3 Grafico della funzione seno Poiché la funzione seno è periodica di periodo 2π, la rappresentiamo graficamente in [0, 2π] e successivamente estendiamo il grafico. x 0 sin(x) 0 π 6 1 2 π 4 √ 2 2 π 3 √ 3 2 π 2 π 3 π 2π 2 1 0 −1 0 558 3.3. FUNZIONI SENO E COSENO y 1 x π 2 O 3 2π π 2π −1 Figura 3.12: sin(x) y 1 x − 32 π −2π − π2 −π π 2 O 3 2π π 2π 5 2π −1 Figura 3.13: sin(x) 3.3.4 Grafico della funzione coseno Poiché la funzione coseno è periodica di periodo 2π, la rappresentiamo graficamente in [0, 2π] e successivamente estendiamo il grafico. x 0 cos(x) 1 π 6 √ 3 2 π 4 √ 2 2 π 3 1 2 π 2 π 0 −1 3 π 2π 2 0 1 y 1 x π 2 O 3 2π π 2π −1 Figura 3.14: cos(x) y 1 x −2π − 32 π −π − π2 π 2 O −1 Figura 3.15: cos(x) 559 π 3 2π 2π CAPITOLO 3. FUNZIONI GONIOMETRICHE 3.4 Funzioni tangente e cotangente Definizione 3.4.1 (Tangente). Si dice tangente di un angolo α e si indica con tan(α) il rapporto tra il seno e il coseno dell’angolo. In simboli tan(α) = sin(α) cos(α) Definizione 3.4.2 (Cotangente). Si dice cotangente di un angolo α e si indica con cot(α) il rapporto tra il coseno e il seno dell’angolo. In simboli cot(α) = cos(α) sin(α) Osservazioni π 1. Se α = + kπ, k ∈ Z, cos(α) = 0, quindi tan(α) non esiste. 2 2. Se α = kπ, k ∈ Z, sin(α) = 0, quindi cot(α) non esiste. Definizione 3.4.3 (funzione tangente). Indicando con ´ ® π D = x ∈ R/x 6= + kπ, k ∈ Z 2 si dice funzione tangente la funzione: f :D→R f (x) = tan(x) Definizione 3.4.4 (funzione cotangente). Indicando con ® ´ D = x ∈ R/x 6= kπ, k ∈ Z si dice funzione cotangente la funzione: f :D→R f (x) = cot(x) Osservazioni 1. La funzione tangente è periodica di periodo π 2. La funzione cotangente è periodica di periodo π π 3. Se 0 < α < , la tangente è positiva e la cotangente è positiva. 2 π Se < α < π, la tangente è negativa e la cotangente è negativa. 2 3 Se π < α < π, la tangente è positiva e la cotangente è positiva. 2 3 Se π < α < 2π, la tangente è negativa e la cotangente è negativa. 2 4. Il coefficiente angolare di una retta è la tangente dell’angolo che la retta forma con il semiasse positivo delle ascisse. 560 3.4. FUNZIONI TANGENTE E COTANGENTE 3.4.1 Relazioni della goniometria Dalla definizione di tangente e dalla relazione fondamentale possiamo esprimere il seno e coseno in funzione della tangente. π 1 ∀α 6= + kπ cos(α) = ± » 2 2 1 + tan (α) tan(α) sin(α) = ± » 2 ∀α 6= 1 + tan (α) π + kπ 2 La scelta del segno dipende dal valore dell’angolo α π Se α 6= k si ha 2 cot(α) = 3.4.2 cos(α) 1 = sin(α) tan(α) Tangente e cotangente di angoli particolari α = 0 = 0◦ 0 sin (0) = =0 tan (0) = cos (0) 1 In 0 la cotangente non è definita α= π = 30◦ 6 π 1 √ 1 3 6 2 Å ã = √ = √ = = π 3 3 3 cos 6 2 √ Å ã π 3 Å ã cos √ π Å 6ã = 2 = 3 cot = π 1 6 sin 6 2 Å ã π tan 6 Å ã α= sin π = 45◦ 4 √ π 2 sin π 4 Å ã = √2 = 1 tan = π 4 2 cos 4 2 √ Å ã π 4 Å ã cos π 4 Å ã = √2 = 1 cot = π 4 2 sin 4 2 Å ã Å ã α= π = 60◦ 3 π sin π Å3 ã = tan = π 3 cos 3 Å ã π Å ã cos π Å 3ã = cot = π 3 sin 3 Å ã Å ã √ 3 2 = √3 1 2 1 √ 1 3 2 √ =√ = 3 3 3 2 561 CAPITOLO 3. FUNZIONI GONIOMETRICHE α= In π = 90◦ 2 π la tangente non è definita 2 π 0 Å 2ã = = 0 = π 1 sin 2 Å ã π cot 2 Å ã cos α = π = 180◦ tan (π) = sin (π) 0 = =0 cos (π) −1 In π la cotangente non è definita α= In 3 π = 270◦ 2 3 π la tangente non è definita 2 3 π 3 0 Å2 ã = cot π = =0 3 2 −1 sin π 2 Å Å ã cos ã α = 2π = 360◦ tan (2π) = 0 sin (2π) = =0 cos (2π) 1 In 2π la cotangente non è definita 3.4.3 Grafico della funzione tangente π π Poiché la funzione tangente è periodica di periodo π, la rappresentiamo graficamente in − , e 2 2 successivamente estendiamo il grafico. ò x 0 tan(x) 0 π 6 √ 3 3 π 4 1 π 3 √ 3 562 ï 3.4. FUNZIONI TANGENTE E COTANGENTE 4 y 3 2 1 x − π2 π 2 O −1 −2 −3 Figura 3.16: tan(x) y 3 2 1 x − 32 π −π − π2 O π 2 π 3 2π −1 −2 −3 Figura 3.17: tan(x) 3.4.4 Grafico della funzione cotangente Poiché la funzione cotangente è periodica di periodo π, la rappresentiamo graficamente in ]0, π[ e successivamente estendiamo il grafico. π 6 √ cot(x) 3 x π 4 1 π 3 √ 3 3 π 2 0 563 CAPITOLO 3. FUNZIONI GONIOMETRICHE y 4 3 2 1 x π 2 O π −1 −2 −3 −4 Figura 3.18: cot(x) y 3 2 1 x − 32 π −π − π2 O π 2 π 3 2π −1 −2 −3 Figura 3.19: cot(x) 3.5 Funzioni secante e cosecante Definizione 3.5.1 (Secante). Si dice secante di un angolo α e si indica con sec(α) il reciproco del coseno. In simboli sec(α) = 1 cos(α) Definizione 3.5.2 (Cosecante). Si dice cosecante di un angolo α e si indica con cosec(α) il reciproco del seno. In simboli cosec(α) = 3.6 1 sin(α) Dominio, codominio periodo e zeri delle funzioni goniometriche Per ciascuna delle funzioni goniometriche studiate, evidenziamo dominio, codominio e zeri. Osservazione 564 3.6. DOMINIO, CODOMINIO PERIODO E ZERI DELLE FUNZIONI GONIOMETRICHE Per zero di una funzione si intende ogni valore del dominio che la annulla. Funzione Dominio Codominio Periodo Zeri sin(x) cos(x) [−1, 1] [−1, 1] 2π 2π R π R π R R ´ ® tan(x) cot(x) π x ∈ R/x 6= + kπ, k ∈ Z 2 ® ´ x ∈ R/x 6= kπ, k ∈ Z 565 kπ π + kπ 2 kπ π + kπ 2 Capitolo 4 Formule goniometriche 4.1 Angoli associati Determiniamo le funzioni goniometriche degli angoli associati ad un angolo α conoscendo le funzioni goniometriche di α. 4.1.1 Angoli opposti: α, −α 1 Y P α −1 X 1 O −α Q −1 Figura 4.1: −α sin (−α) = − sin (α) cos (−α) = cos (α) tan (−α) = sin (−α) − sin (α) π = = − tan (α) con α 6= + kπ, k ∈ Z cos (−α) cos (α) 2 cot (−α) = cos (−α) cos (α) = = − cot (α) con α 6= kπ, k ∈ Z sin (−α) − sin (α) 566 4.1. ANGOLI ASSOCIATI 4.1.2 Angoli complementari: α, π −α 2 1 Y Q P π α2 −α −1 X 1 O −1 Figura 4.2: π −α 2 π sin − α = cos (α) 2 Å ã Å cos π − α = sin (α) 2 ã π sin −α π cos (α) ã = Å2 tan −α = = cot (α) con α 6= kπ, k ∈ Z π 2 sin (α) −α cos 2 Å Å ã ã π −α π π sin (α) 2 Å ã = cot −α = = tan (α) con α 6= + kπ, k ∈ Z π 2 cos (α) 2 sin −α 2 Å Å ã 4.1.3 ã cos Angoli che differiscono di un angolo retto: α, Q 1 Y π −α 2 P α −1 O Figura 4.3: Å π + α = cos (α) 2 Å cos ã π + α = − sin (α) 2 ã 567 X 1 −1 sin π +α 2 π +α 2 CAPITOLO 4. FORMULE GONIOMETRICHE π +α sin cos (α) π Å2 ã = tan +α = = − cot (α) con α 6= kπ, k ∈ Z π 2 − sin (α) cos +α 2 Å ã π Å ã cos +α π − sin (α) π Å2 ã = cot +α = = − tan (α) con α 6= + kπ, k ∈ Z π 2 cos (α) 2 sin +α 2 Å Å 4.1.4 ã ã Angoli supplementari: α, π − α 1 Y Q P π−α α −1 X 1 O −1 Figura 4.4: π − α sin (π − α) = sin (α) cos (π − α) = − cos (α) tan (π − α) = sin (α) π sin (π − α) = = − tan (α) con α 6= + kπ, k ∈ Z cos (π − α) − cos (α) 2 cot (π − α) = cos (π − α) − cos (α) = = − cot (α) con α 6= kπ, k ∈ Z sin (π − α) sin (α) 4.1.5 Angoli che differiscono di un angolo piatto: α, π + α 1 Y π+α P α −1 X 1 O Q −1 Figura 4.5: π + α sin (π + α) = − sin (α) cos (π + α) = − cos (α) 568 4.1. ANGOLI ASSOCIATI − sin (α) π sin (π + α) = = tan (α) con α 6= + kπ, k ∈ Z cos (π + α) − cos (α) 2 cos (π + α) − cos (α) cot (π + α) = = = cot (α) con α 6= kπ, k ∈ Z sin (π + α) − sin (α) tan (π + α) = 4.1.6 3 Angoli la cui somma è il triplo di un angolo retto: α, π − α 2 Y 1 3 π−α P 2 α −1 X 1 O Q −1 Figura 4.6: 3 π−α 2 3 sin π − α = − cos (α) 2 Å ã 3 cos π − α = − sin (α) 2 Å ã 3 Å ã sin π − α 3 − cos (α) ã = Å2 tan π − α = = cot (α) con α 6= kπ, k ∈ Z 3 2 − sin (α) cos π − α 2 Å ã 3 Å ã cos π − α 3 − sin (α) π Å2 ã = cot π − α = = tan (α) con α 6= + kπ, k ∈ Z 3 2 − cos (α) 2 sin π − α 2 Å 4.1.7 ã 3 Angoli che differiscono del triplo di un angolo retto: α, π + α 2 1 Y 3 π+α P 2 α −1 X 1 O Q −1 Figura 4.7: 569 3 π+α 2 CAPITOLO 4. FORMULE GONIOMETRICHE 3 sin π + α = − cos (α) 2 ã Å 3 cos π + α = sin (α) 2 ã Å 3 Å ã sin π + α 3 − cos (α) Å2 ã = tan π + α = = − cot (α) con α 6= kπ, k ∈ Z 3 2 sin (α) cos π + α 2 ã Å 3 Å ã cos π + α sin (α) 3 π Å2 ã = cot π + α = = − tan (α) con α 6= + kπ, k ∈ Z 3 2 − cos (α) 2 sin π + α 2 Å 4.2 4.2.1 ã Formule di addizione e sottrazione Sottrazione del coseno cos(α − β) = cos(α) cos(β) + sin(α) sin(β) 4.2.2 Addizione del coseno cos(α + β) = cos(α) cos(β) − sin(α) sin(β) 4.2.3 Sottrazione del seno sin (α − β) = sin (α) cos (β) − cos (α) sin (β) 4.2.4 Addizione del seno sin(α + β) = sin(α) cos(β) + cos(α) sin(β) 4.2.5 Funzioni goniometriche degli angoli 5 π = 15◦ , π = 75◦ 12 12 π Calcoliamo le funzioni goniometriche di α = = 15◦ utilizzando le formule di sottrazione 12 Poiché π π π = − 12 3 4 si ha π π π π π π π sin = sin − = sin cos − cos sin = 12 3 4 3 4 3 4 √ √ √ √ √ 3 2 1 2 6− 2 − = 2 2 2 2 4 Å ã Å ã Å ã Å ã Å ã Å ã π π π π π π π cos = cos − = cos cos + sin sin = 12 3 4 3 4 3 4 √ √ √ √ √ 1 2 3 2 2+ 6 + = 2 2 2 2 4 Å ã π Å ã sin π Å 12 ã = tan = π 12 cos 12 √ √ 6− 2 √ √ √ 6− 2 4 √ √ =√ √ =2− 3 6+ 2 6+ 2 4 Å ã Å ã Å ã Å ã Å ã 570 Å ã 4.3. FORMULE DI DUPLICAZIONE π cos π 12 Å ã = cot = π 12 sin 12 √ √ 6+ 2 √ √ √ 6+ 2 4 √ √ =√ √ =2+ 3 6− 2 6− 2 4 Å Å ã ã 5 Calcoliamo le funzioni goniometriche di α = π = 75◦ utilizzando le formule di addizione 12 Poiché π π 5 π= + 12 6 4 si ha Å ã Å ã Å ã Å ã Å ã Å ã 5 π π π π π π sin π = sin + = sin cos + cos sin = 12 6 4 6 4 6 4 √ √ √ √ √ 1 2 3 2 6+ 2 + = 2 2Å 2 2 Å 4 ã ã Å ã Å ã Å ã Å ã 5 π π π π π π cos π = cos + = cos cos − sin sin = 12 6 4 6 4 6 4 √ √ √ √ √ 3 2 1 2 6− 2 − = 2 2 2 2 Å 4ã 5 ã Å sin π 5 Å 12 ã = π = tan 5 12 cos π 12 √ √ 6+ 2 √ √ √ 6+ 2 4 √ =√ √ =2+ 3 √ 6− 2 6− 2 4 Å ã 5 Å ã cos π 5 Å 12 ã = cot π = 5 12 sin π 12 √ √ 6− 2 √ √ √ 6− 2 4 √ √ =√ √ =2− 3 6+ 2 6+ 2 4 4.3 Formule di duplicazione Le formule di duplicazione si ricavano da quelle di addizione. 4.3.1 Duplicazione del seno sin (2α) = 2 sin (α) cos (α) 4.3.2 Duplicazione del coseno cos (2α) = cos2 (α) − sin2 (α) Poiché cos2 (α) = 1 − sin2 (α) si ha: cos (2α) = 1 − 2 sin2 (α) Poiché sin2 (α) = 1 − cos2 (α) si ha: cos (2α) = 2 cos2 (α) − 1 571 Capitolo 5 Equazioni goniometriche 5.1 Introduzione Definizione 5.1.1 (Equazione goniometrica). Un’equazione si dice goniometrica se contiene almeno una funzione goniometrica dell’incognita Esempio 5.1.1. • L’equazione 3 sin(x) = 2 è goniometrica • L’equazione π 3 Å ã 3 cos =x+2 non è goniometrica Definizione 5.1.2 (Identità goniometrica). Si dice identità goniometrica un’equazione goniometrica verificata per ogni valore appartenente al dominio Esempio 5.1.2. L’equazione sin4 (x) + sin2 (x) cos2 (x) = sin2 (x) Ä ä sin2 (x) sin2 (x) + cos2 (x) = sin2 (x) sin2 (x)1 = sin2 (x) sin2 (x) = sin2 (x) è un’identità goniometrica Per risolvere alcune equazioni goniometriche si devono utilizzare le funzioni inverse delle funzioni goniometriche. 5.2 5.2.1 Funzioni inverse Arcoseno Determiniamo la funzione inversa di g:R→R 572 5.2. FUNZIONI INVERSE g (x) = sin (x) La funzione g non è biiettiva. ñ g: ô π π − , → [−1, 1] 2 2 g (x) = sin (x) La funzione g è biiettiva, quindi esiste la funzione inversa g −1 = f : ñ f : [−1, 1] → π π − , 2 2 ô f (x) = arcsin (x) D = [−1, 1] ñ f (D) = 5.2.2 π π − , 2 2 ô Arcocoseno Determiniamo la funzione inversa di g:R→R g (x) = cos (x) La funzione g non è biiettiva. g : [0, π] → [−1, 1] g (x) = cos (x) La funzione g è biiettiva, quindi esiste la funzione inversa g −1 = f : f : [−1, 1] → [0, π] f (x) = arccos (x) D = [−1, 1] f (D) = [0, π] 5.2.3 Arcotangente Determiniamo la funzione inversa di g : Dg → R g (x) = tan (x) ® ´ π Dg = x ∈ R/x 6= + kπ, k ∈ Z 2 La funzione g non è biiettiva. ñ ô π π →R g: − , 2 2 g (x) = tan (x) La funzione g è biiettiva, quindi esiste la funzione inversa g −1 = f : ô π π f :R→ − , 2 2 ñ f (x) = arctan (x) D=R ô π π f (D) = − , 2 2 ñ 573 CAPITOLO 5. EQUAZIONI GONIOMETRICHE 5.2.4 Arcocotangente Determiniamo la funzione inversa di g : Dg → R g (x) = cot (x) Dg = {x ∈ R/x 6= kπ, k ∈ Z} La funzione g non è biiettiva. g : ]0, π[ → R g (x) = cot (x) La funzione g è biiettiva, quindi esiste la funzione inversa g −1 = f : f : R → ]0, π[ f (x) = arccot (x) D=R f (D) = ]0, π[ 5.3 Equazioni goniometriche elementari Definizione 5.3.1 (Equazioni goniometriche elementari). Dato a ∈ R si dicono elementari le seguenti equazioni goniometriche: sin(x) = a, cos(x) = a, tan(x) = a, cot(x) = a 5.3.1 sin (x) = a Per risolvere l’equazione sin(x) = a si analizza il valore di a: • Se a < −1 ∨ a > 1 l’equazione è impossibile e S = ∅ • Se −1 6 a 6 1 si determina un angolo α tale che sin(α) = a; le soluzioni sono x = α + 2kπ ∨ x = π − α + 2kπ, k ∈ Z l’equazione è indeterminata e S = {α + 2kπ, π − α + 2kπ/k ∈ Z} Osservazione Osservazione Se −1 6 a < 0 l’angolo α è l’opposto di quello che si ottiene con |a| Esempio 5.3.1. • Risolvere l’equazione sin(x) = 1 2 Poiché −1 < α= 1 π < 1 e sin 2 6 Å ã = 1 si ha 2 π 6 574 5.3. EQUAZIONI GONIOMETRICHE ELEMENTARI π 5 = π 6 6 le soluzioni sono π− x= Å ã π 5 + 2kπ ∨ x = π + 2kπ, k ∈ Z 6 6 l’equazione è indeterminata e ß S= 5 π + 2kπ, π + 2kπ/k ∈ Z 6 6 ™ • Risolvere l’equazione sin(x) = − 1 2 1 π Poiché −1 < − < 1 e sin 2 6 1 si ha 2 Å ã α=− = π 6 π π 7 =π+ = π 6 6 6 le soluzioni sono Å π− − x=− ã 7 π + 2kπ ∨ x = π + 2kπ, k ∈ Z 6 6 l’equazione è indeterminata e π 7 S = − + 2kπ, π + 2kπ/k ∈ Z 6 6 ß ™ • Risolvere l’equazione sin(x) = 0 Poiché −1 < 0 < 1 e sin (0) = 0 si ha α=0 π−0=π le soluzioni sono x = 2kπ ∨ x = π + 2kπ, k ∈ Z cioè x = kπ, k ∈ Z l’equazione è indeterminata e S = {kπ/k ∈ Z} • Risolvere l’equazione sin(x) = 1 3 Poiché −1 < 1 < 1 si ha 3 1 3 Å ã α = arcsin 575 CAPITOLO 5. EQUAZIONI GONIOMETRICHE π − α = π − arcsin 1 3 Å ã le soluzioni sono 1 1 x = arcsin + 2kπ ∨ x = π − arcsin + 2kπ, k ∈ Z 3 3 Å ã Å ã l’equazione è indeterminata e 1 1 S = arcsin + 2kπ, pi − arcsin + 2kπ/k ∈ Z 3 3 ß Å ã Å ã ™ • Risolvere l’equazione Å sin 2x + π 3 ã Poiché −1 < 1 2 1 π < 1 e sin 2 6 Å ã = 1 si ha 2 π 6 α= π− = π 6 Å ã 5 = π 6 quindi 2x + π π π 5 = + 2kπ ∨ 2x + = π + 2kπ 3 6 3 6 2x = − π π + 2kπ ∨ 2x = + 2kπ 6 2 le soluzioni sono x=− π π + kπ ∨ x = + kπ, k ∈ Z 12 4 l’equazione è indeterminata e π π S = − + kπ, + kπ/k ∈ Z 12 4 ß 5.3.2 ™ cos (x) = a Per risolvere l’equazione cos(x) = a si analizza il valore di a: • Se a < −1 ∨ a > 1 l’equazione è impossibile e S = ∅. • Se −1 6 a 6 1 si determina un angolo α tale che cos(α) = a; le soluzioni sono x = α + 2kπ ∨ x = −α + 2kπ, k ∈ Z l’equazione è indeterminata e S = {α + 2kπ, −α + 2kπ/k ∈ Z} Osservazione Se −1 6 a < 0 l’angolo α è il supplementare di quello che si ottiene con |a| Esempio 5.3.2. 576 5.3. EQUAZIONI GONIOMETRICHE ELEMENTARI • Risolvere l’equazione cos(x) = 1 2 1 π Poiché −1 < < 1 e cos 2 3 1 si ha 2 Å ã α= = π 3 le soluzioni sono x= π π + 2kπ ∨ x = − + 2kπ, k ∈ Z 3 3 l’equazione è indeterminata e ß S= π π + 2kπ, − + 2kπ/k ∈ Z 3 3 ™ • Risolvere l’equazione cos(x) = − 1 2 1 π Poiché −1 < − < 1 e cos 2 3 Å ã = 1 si ha 2 2 α= π 3 le soluzioni sono 2 2 x = π + 2kπ ∨ x = − π + 2kπ, k ∈ Z 3 3 l’equazione è indeterminata e ß S= 2 2 π + 2kπ, − π + 2kπ/k ∈ Z 3 3 ™ • Risolvere l’equazione cos(x) = 0 Poiché −1 < 0 < 1 e cos α= π 2 Å ã = 0 si ha π 2 le soluzioni sono x= π π + 2kπ ∨ x = − + 2kπ, k ∈ Z 2 2 cioè x= π + kπ, k ∈ Z 2 l’equazione è indeterminata e ß S= π + kπ/k ∈ Z 2 ™ 577 CAPITOLO 5. EQUAZIONI GONIOMETRICHE • Risolvere l’equazione cos(x) = − 1 5 1 Poiché −1 < − < 1 si ha 5 Å α = arccos − 1 5 ã le soluzioni sono 1 1 + 2kπ ∨ x = − arccos − + 2kπ, k ∈ Z x = arccos − 5 5 ã Å Å ã l’equazione è indeterminata e ß Å S = arccos − 1 1 + 2kπ, − arccos − + 2kπ/k ∈ Z 5 5 ã Å ã ™ • Risolvere l’equazione Å cos 1 π x− 2 6 ã Poiché −1 < α= = 1 2 1 π < 1 e cos 2 3 Å ã = 1 si ha 2 π 3 quindi 1 π π 1 π π x − = + 2kπ ∨ x − = − + 2kπ 2 6 3 2 6 3 1 π 1 π x = + 2kπ ∨ x = − + 2kπ 2 2 2 6 le soluzioni sono x = π + 4kπ ∨ x = − π + 4kπ, k ∈ Z 3 l’equazione è indeterminata e π S = π + 4kπ, − + 4kπ/k ∈ Z 3 ß 5.3.3 ™ tan (x) = a Per risolvere l’equazione tan(x) = a, si scrivono le condizioni di esistenza x 6= determina un angolo α tale che tan(α) = a; le soluzioni sono x = α + kπ, k ∈ Z l’equazione è indeterminata e S = {α + kπ/k ∈ Z} Osservazione Se a < 0 l’angolo α è l’opposto di quello che si ottiene con |a| Esempio 5.3.3. 578 π + kπ, k ∈ Z e si 2 5.3. EQUAZIONI GONIOMETRICHE ELEMENTARI • Risolvere l’equazione √ tan(x) = 3 Le condizioni di esistenza sono π x 6= + kπ, k ∈ Z 2 Å ã √ π = 3 si ha Poiché tan 3 π 3 α= le soluzioni sono π x = + kπ, k ∈ Z 3 l’equazione è indeterminata e ß S= π + kπ/k ∈ Z 3 ™ • Risolvere l’equazione √ tan(x) = − 3 Le condizioni di esistenza sono π x 6= + kπ, k ∈ Z 2 Å ã √ π Poiché tan = 3 si ha 3 α=− π 3 le soluzioni sono π x = − + kπ, k ∈ Z 3 l’equazione è indeterminata e π S = − + kπ/k ∈ Z 3 ß ™ • Risolvere l’equazione tan(x) = 2 Le condizioni di esistenza sono π x 6= + kπ, k ∈ Z 2 si ha α = arctan (2) le soluzioni sono x = arctan (2) + kπ, k ∈ Z l’equazione è indeterminata e S = {arctan (2) + kπ/k ∈ Z} 579 CAPITOLO 5. EQUAZIONI GONIOMETRICHE • Risolvere l’equazione ã √ Å π = 3 tan 3x + 4 Le condizioni di esistenza sono π π 3x + 6= + kπ 4 2 cioè π π x 6= + k ,k ∈ Z 12 3 Å ã √ π = 3 si ha Poiché tan 3 π α= 3 quindi π π 3x + = + kπ 4 3 π + kπ 3x = 12 le soluzioni sono π π x= + k ,k ∈ Z 36 3 l’equazione è indeterminata e ß S= 5.3.4 π π + k /k ∈ Z 36 3 ™ cot (x) = a Per risolvere l’equazione cot(x) = a si scrivono le condizioni di esistenza x 6= kπ, k ∈ Z e si determina un angolo α tale che cot(α) = a; le soluzioni sono x = α + kπ, k ∈ Z l’equazione è indeterminata e S = {α + kπ/k ∈ Z} Osservazione Se a < 0 l’angolo α è l’opposto di quello che si ottiene con |a| Esempio 5.3.4. • Risolvere l’equazione √ cot(x) = 3 Le condizioni di esistenza sono x 6= kπ, k ∈ Z π 6 Å ã Poiché cot = √ 3 si ha π 6 le soluzioni sono π x = + kπ, k ∈ Z 6 l’equazione è indeterminata e α= ß S= π + kπ/k ∈ Z 6 ™ 580 5.3. EQUAZIONI GONIOMETRICHE ELEMENTARI • Risolvere l’equazione √ cot(x) = − 3 Le condizioni di esistenza sono x 6= kπ, k ∈ Z Å ã √ π Poiché cot = 3 si ha 6 π α=− 6 le soluzioni sono π x = − + kπ, k ∈ Z 6 l’equazione è indeterminata e ß ™ π S = − + kπ/k ∈ Z 6 • Risolvere l’equazione cot(x) = −5 Le condizioni di esistenza sono x 6= kπ, k ∈ Z si ha α = arccot (−5) le soluzioni sono x = arccot (−5) + kπ, k ∈ Z l’equazione è indeterminata e S = {arccot (−5) + kπ/k ∈ Z} • Risolvere l’equazione Å ã π cot 4x + = −1 6 Le condizioni di esistenza sono π 4x + 6= kπ 6 cioè π π x 6= − + k , k ∈ Z 24 4 Å ã π Poiché cot = 1 si ha 4 π α=− 4 quindi π π 4x + = − + kπ 6 4 5 4x = − π + kπ 12 le soluzioni sono 5 π x = − π + k ,k ∈ Z 48 4 l’equazione è indeterminata e ß ™ 5 π S = − π + k /k ∈ Z 48 4 581 CAPITOLO 5. EQUAZIONI GONIOMETRICHE 5.4 Equazioni riconducibili a quelle elementari Esempio 5.4.1. • Risolvere l’equazione π sin 3x + 3 Å ã = sin(2x) Poiché sin(α) = sin(β) ⇔ α = β + 2kπ ∨ α = π − β + 2kπ si ha 3x + π π = 2x + 2kπ ∨ 3x + = π − 2x + 2kπ 3 3 π 2 2 + 2kπ ∨ x = π + kπ, k ∈ Z 3 15 5 l’equazione è indeterminata e x=− ß S= − π 2 2 + 2kπ, π + kπ/k ∈ Z 3 15 5 ™ • Risolvere l’equazione Å cos π π − 2x = cos x − 4 3 ã Å ã Poiché cos(α) = cos(β) ⇔ α = β + 2kπ ∨ α = −β + 2kπ si ha π π π π − 2x = x − + 2kπ ∨ − 2x = −x + + 2kπ 4 3 4 3 7 2 π π − kπ ∨ x = − − 2kπ 36 3 12 Poiché k ∈ Z si può scrivere x= x= 7 2 π π + kπ ∨ x = − + 2kπ 36 3 12 l’equazione è indeterminata e ß S= 7 2 π π + kπ, − + 2kπ/k ∈ Z 36 3 12 ™ • Risolvere l’equazione Å tan x − π 4 ã = tan(2x) Le condizioni di esistenza sono x− π π π 6= + kπ ∧ 2x 6= + kπ 4 2 2 cioè 3 π π x 6= π + kπ ∧ x 6= + k 4 4 2 582 5.4. EQUAZIONI RICONDUCIBILI A QUELLE ELEMENTARI cioè x 6= π π + k ,k ∈ Z 4 2 Poiché tan(α) = tan(β) ⇔ α = β + kπ si ha π x − = 2x + kπ 4 π x = − + kπ, k ∈ Z 4 Poiché non soddisfa le condizioni di esistenza, non è accettabile, l’equazione è impossibile e S=∅ • Risolvere l’equazione π cot 2x + 4 Å ã = cot(3x) Le condizioni di esistenza sono π 2x + 6= kπ ∧ 3x 6= kπ 4 cioè x 6= − π π π + k ∧ x 6= k , k ∈ Z 8 2 3 Poiché cot(α) = cot(β) ⇔ α = β + kπ si ha π = 3x + kπ 4 π x = + kπ 4 l’equazione è indeterminata e 2x + ß S= π + kπ/k ∈ Z 4 ™ • Risolvere l’equazione −2 cos2 (x) + sin(x) + 2 = 0 −2(1 − sin2 (x)) + sin(x) + 2 = 0 −2 + 2 sin2 (x) + sin(x) + 2 = 0 2 sin2 (x) + sin(x) = 0 sin(x)(2 sin(x) + 1 = 0 sin(x) = 0 ∨ sin(x) = − 1 2 7 π + 2kπ ∨ x = π + 2kπ, k ∈ Z 6 6 l’equazione è indeterminata e x = kπ ∨ x = − ß S = kπ, − π 7 + 2kπ, π + 2kπ/k ∈ Z 6 6 ™ 583 CAPITOLO 5. EQUAZIONI GONIOMETRICHE • Risolvere l’equazione √ √ cot2 (x) + (1 − 3) cot(x) − 3 = 0 Le condizioni di esistenza sono x 6= kπ, k ∈ Z √ √ √ ∆ = (1 − 3)2 + 4 3 = (1 + 3)2 √ cot(x) = −1 ∨ cot(x) = 3 π π x = − + kπ ∨ x = + kπ 4 6 l’equazione è indeterminata e ß S= − π π + kπ, + kπ/k ∈ Z 4 6 ™ • Risolvere l’equazione tan(x) =0 cos(x) − 1 Le condizioni di esistenza sono x 6= π + kπ ∧ cos(x) − 1 6= 0 2 cioè x 6= π + kπ ∧ x 6= 2kπ, k ∈ Z 2 tan(x) = 0 x = kπ, k ∈ Z poiché per le condizioni di esistenza x 6= 2kπ, x = π + 2kπ, k ∈ Z l’equazione è indeterminata e S = {π + 2kπ/k ∈ Z} 584 Capitolo 6 Disequazioni goniometriche 6.1 Introduzione Definizione 6.1.1 (Disequazione goniometrica). Una disequazione si dice goniometrica se contiene almeno una funzione goniometrica dell’incognita Esempio 6.1.1. • La disequazione 3 sin(x) < 1 2 è goniometrica • la disequazione π 3 Å ã 3 cos <x+2 non è goniometrica 6.2 Disequazioni elementari Definizione 6.2.1 (Disequazioni goniometriche elementari). Dato a ∈ R si dicono elementari le seguenti disequazioni goniometriche: sin(x) > a, sin(x) > a, sin(x) < a, sin(x) 6 a cos(x) > a, cos(x) > a, cos(x) < a, cos(x) 6 a tan(x) > a, tan(x) > a, tan(x) < a, tan(x) 6 a cot(x) > a, cot(x) > a, cot(x) < a, cot(x) 6 a 6.2.1 Disequazioni elementari in seno Per risolvere la disequazione sin(x) > a o la disequazione sin(x) > a si analizza il valore di a • Se a < −1 la disequazione è un’identità e S = R • Se a > 1 la disequazione è impossibile e S = ∅ • Se −1 6 a 6 1 1. si risolve l’equazione associata sin(x) = a 2. si rappresentano le soluzioni sulla circonferenza goniometrica 585 CAPITOLO 6. DISEQUAZIONI GONIOMETRICHE 3. Le soluzioni sono gli angoli individuati dai punti dell’arco superiore estremi esclusi nel caso di >, estremi compresi nel caso di > Per risolvere la disequazione sin(x) < a o la disequazione sin(x) 6 a si analizza il valore di a • Se a < −1 la disequazione è impossibile e S = ∅ • Se a > 1 la disequazione è un’identità e S = R • Se −1 6 a 6 1 1. si risolve l’equazione associata sin(x) = a 2. si rappresentano le soluzioni sulla circonferenza goniometrica 3. Le soluzioni sono gli angoli individuati dai punti dell’arco inferiore estremi esclusi nel caso di <, estremi compresi nel caso di 6 Esempio 6.2.1. Risolvere la disequazione Y 1 X −1 7 π 6 π − 6 O 1 −1 Figura 6.1: sin(x) = − 1 2 Le soluzioni sono gli angoli individuati dai punti della circonferenza dell’arco superiore estremi esclusi Y 1 X −1 7 π 6 π − 6 O × 1 × −1 Figura 6.2: sin(x) > − − π 7 + 2kπ < x < π + 2kπ, k ∈ Z 6 6 586 1 2 6.2. DISEQUAZIONI ELEMENTARI la disequazione è risolubile e S= [ ò π − k∈Z 7 + 2kπ, π + 2kπ 6 6 ï Osservazione La soluzione non si può scrivere − π 5 + 2kπ < x < − π + 2kπ 6 6 perché − 6.2.2 5 π > − π, quindi, in alcuni casi, è necessario sommare o sottrarre 2π a uno dei due angoli. 6 6 Disequazioni elementari in coseno Per risolvere la disequazione cos(x) > a o la disequazione cos(x) > a si analizza il valore di a • Se a < −1 la disequazione è un’identità e S = R • Se a > 1 la disequazione è impossibile e S = ∅ • Se −1 6 a 6 1 1. si risolve l’equazione associata cos(x) = a 2. si rappresentano le soluzioni sulla circonferenza goniometrica 3. Le soluzioni sono gli angoli individuati dai punti dell’arco destro estremi esclusi nel caso di >, estremi compresi nel caso di > Per risolvere la disequazione cos(x) < a o la disequazione cos(x) 6 a si analizza il valore di a • Se a < −1 la disequazione è impossibile e S = ∅ • Se a > 1 la disequazione è un’identità e S = R • Se −1 6 a 6 1 1. si risolve l’equazione associata cos(x) = a 2. si rappresentano le soluzioni sulla circonferenza goniometrica 3. Le soluzioni sono gli angoli individuati dai punti dell’arco sinistro estremi esclusi nel caso di <, estremi compresi nel caso di 6 Esempio 6.2.2. Risolvere la disequazione cos(x) > − 1 2 Risolviamo l’equazione associata cos(x) = − 1 2 2 2 x = π + 2kπ ∨ x = − π + 2kπ 3 3 Rappresentiamo le soluzioni sulla circonferenza goniometrica. 587 CAPITOLO 6. DISEQUAZIONI GONIOMETRICHE Y 1 2 π 3 X −1 1 O 2 − π 3 −1 Figura 6.3: cos(x) = − 1 2 Le soluzioni sono gli angoli individuati dai punti della circonferenza dell’arco destro estremi esclusi Y × 1 2 π 3 X −1 1 O × 2 − π 3 −1 Figura 6.4: cos(x) > − 1 2 2 2 − π + 2kπ < x < π + 2kπ 3 3 la disequazione è risolubile e S= [ ò 2 k∈Z 6.2.3 2 − π + 2kπ, π + 2kπ 3 3 ï Disequazioni elementari in tangente Per risolvere la disequazione tan(x) > a o la disequazione tan(x) > a 1. si risolve l’equazione associata tan(x) = a 2. si rappresentano le soluzioni e le condizioni di esistenza sulla semicirconferenza goniometrica destra 3. Le soluzioni sono gli angoli individuati dai punti dell’arco superiore estremi esclusi nel caso di >, estremo che soddisfa le condizioni di esistenza compreso nel caso di > 588 6.2. DISEQUAZIONI ELEMENTARI Per risolvere la disequazione tan(x) < a o la disequazione tan(x) 6 a 1. si risolve l’equazione associata tan(x) = a 2. si rappresentano le soluzioni e le condizioni di esistenza sulla semicirconferenza goniometrica destra 3. Le soluzioni sono gli angoli individuati dai punti dell’arco inferiore estremi esclusi nel caso di <, estremo che soddisfa le condizioni di esistenza compreso nel caso di 6 Esempio 6.2.3. Risolvere la disequazione √ tan(x) > − 3 Risolviamo l’equazione associata √ tan(x) = − 3 CE: x 6= x=− π + kπ 2 π + kπ 3 Rappresentiamo le soluzioni sulla semicirconferenza goniometrica destra. 1 Y X −1 1 O − π 3 −1 √ Figura 6.5: tan(x) = − 3 Le soluzioni sono gli angoli individuati dai punti dell’arco superiore esclusi gli estremi 589 CAPITOLO 6. DISEQUAZIONI GONIOMETRICHE Y × 1 π 2 X −1 1 O − −1 × π 3 × √ Figura 6.6: tan(x) > − 3 − π π + kπ < x < + kπ 3 2 la disequazione è risolubile e S= [ ò π k∈Z 6.2.4 π − + kπ, + kπ 3 2 ï Disequazioni elementari in cotangente Per risolvere la disequazione cot(x) > a o la disequazione cot(x) > a 1. si risolve l’equazione associata cot(x) = a 2. si rappresentano le soluzioni e le condizioni di esistenza sulla semicirconferenza goniometrica superiore 3. Le soluzioni sono gli angoli individuati dai punti dell’arco destro estremi esclusi nel caso di >, estremo che soddisfa le condizioni di esistenza compreso nel caso di > Per risolvere la disequazione cot(x) < a o la disequazione cot(x) 6 a 1. si risolve l’equazione associata cot(x) = a 2. si rappresentano le soluzioni e le condizioni di esistenza sulla semicirconferenza goniometrica superiore 3. Le soluzioni sono gli angoli individuati dai punti dell’arco sinistro estremi esclusi nel caso di <, estremo che soddisfa le condizioni di esistenza compreso nel caso di 6 Esempio 6.2.4. Risolvere la disequazione √ cot(x) > − 3 Risolviamo l’equazione associata √ cot(x) = − 3 590 6.3. DISEQUAZIONI SCOMPONIBILI IN FATTORI E FRATTE CE: x 6= kπ π x = − + kπ 6 Rappresentiamo le soluzioni sulla semicirconferenza goniometrica superiore. Y 1 5 π 6 X −1 1 O −1 √ Figura 6.7: cot(x) = − 3 Le soluzioni sono gli angoli individuati dai punti dell’arco destro esclusi gli estremi Y 1 × ×−1 5 π 6 0 O 1 × −1 √ Figura 6.8: cot(x) > − 3 5 kπ < x < π + kπ 6 la disequazione è risolubile e S= [ ò k∈Z 6.3 5 kπ, π + kπ 6 ï Disequazioni scomponibili in fattori e fratte Per risolvere questi tipo di disequazioni: 1. si trasforma la disequazione in forma normale 591 X CAPITOLO 6. DISEQUAZIONI GONIOMETRICHE 2. si scompone in fattori il primo membro 3. si scrivono le condizioni di esistenza 4. si rappresentano le condizioni di esistenza su circonferenze concentriche scrivendo × dove non sono soddisfatte 5. si studia il segno di ogni fattore ponendolo maggiore di 0 6. si rappresenta il segno di ogni fattore su circonferenze concentriche tracciando una linea continua dove il fattore è positivo, una linea tratteggiata dove è negativo, scrivendo 0 dove è nullo 7. si applica la regola dei segni 8. si evidenzia ciò che è richiesto dalla disequazione 9. si scrive la soluzione Esempio 6.3.1. • Risolvere la disequazione √ √ 2 2 1 2 2 sin (x) < sin(x) cos(x) + sin(x) sin (x) cos(x) + 2 2 4 Trasformiamo la disequazioni in forma normale √ √ 1 2 2 2 3 sin (x) − sin(x) cos(x) − sin(x) < 0 sin (x) cos(x) + 2 2 4 Scomponiamo in fattori di primo grado √ åÅ Ç ã 1 2 sin(x) cos(x) + sin(x) − <0 2 2 Studiamo il segno del primo fattore: sin(x) > 0 0 π 0 O Studiamo il segno del secondo fattore √ 2 cos(x) > − 2 592 0 6.3. DISEQUAZIONI SCOMPONIBILI IN FATTORI E FRATTE 0 3 π 4 π 0 0 0 O 5 π 4 0 Studiamo il segno del terzo fattore sin(x) > 1 2 0 0 0 3 π 4 π 6 5 π π6 0 0 O 0 5 π 4 0 applichiamo la regola dei segni e evidenziamo i segni meno 593 CAPITOLO 6. DISEQUAZIONI GONIOMETRICHE + 0 − 0 0 0 0 0 3 π 4 + 0 π 6 5 π π6 0 − 0 0 O 0 5 π 4 − 0 0 + π 3 5 5 + 2kπ ∨ π + 2kπ < x < π + 2kπ ∨ π + 2kπ < x < π + 2kπ 6 4 6 4 2kπ < x < la disequazione è risolubile e S= [ Åò 2kπ, k∈Z 3 5 5 π + 2kπ ∪ π + 2kπ, π + 2kπ ∪ π + 2kπ, π + 2kπ 6 4 6 4 ï ò ï ò • Risolvere la disequazione √ tan(x) + 3 60 4 cos2 (x) − 1 Scomponiamo il denominatore √ tan(x) + 3 60 (2 cos(x) − 1)(2 cos(x) + 1) Scriviamo le condizioni di esistenza x 6= π 1 1 + kπ ∧ cos(x) 6= ∧ cos(x) 6= − 2 2 2 cioè CE : x 6= π 2 π + kπ ∧ x 6= ± + 2kπ ∧ x 6= ± π + 2kπ 2 3 3 Rappresentiamo graficamente le CE 594 ïã 6.3. DISEQUAZIONI SCOMPONIBILI IN FATTORI E FRATTE × × × × × × π 2 2 π 3 × × × π 3 O 4 π 3 3 π 2 × × × 5 π 3 × × × × × × Studiamo il segno del numeratore √ tan(x) + 3 > 0 √ tan(x) > − 3 × × × × × × π 2 2 π 3 × × × π 3 O 4 π 3 × × × 3 π 2 × × × 5 π 3 × × × Studiamo il segno del primo fattore del denominatore 2 cos(x) − 1 > 0 cos(x) > 1 2 595 CAPITOLO 6. DISEQUAZIONI GONIOMETRICHE × × × × × × π 2 π 2 3 × × × π 3 O 4 π 3 × × × 5 π 3 3 π 2 × × × × × × Studiamo il segno del secondo fattore del denominatore 2 cos(x) + 1 > 0 cos(x) > − 1 2 × × × × × × π 2 π 2 3 × × × π 3 O 4 π 3 × × × 3 π 2 × × × 5 π 3 × × × applichiamo la regola dei segni e evidenziamo i segni meno e gli zeri 596 6.3. DISEQUAZIONI SCOMPONIBILI IN FATTORI E FRATTE - + × × × × × × π 2 2 π 3 + × × × π 3 + O 4 π 3 × × × 3 π 2 × × × - 5 π 3 × × × + π π 4 3 + 2kπ < x < + 2kπ ∨ π + 2kπ < x < π + 2kπ 3 2 3 2 la disequazione è risolubile e S= [ Åò π k∈Z 3 + kπ, π + kπ 2 ïã 597 Capitolo 7 Trigonometria 7.1 Introduzione La trigonometria studia le relazioni tra i lati e gli angoli dei triangoli. Dato il triangolo ABC, indicheremo con α, β, γ rispettivamente gli angoli di vertici A, B, C e con a, b, c le lunghezze dei lati opposti rispettivamente a α, β, γ. A α c B b β γ a C Figura 7.1: triangolo Se il triangolo è rettangolo, indichiamo con α l’angolo retto 7.2 Teoremi sui triangoli rettangoli Teorema 7.2.1 (Teoremi sui triangoli rettangoli). In un triangolo rettangolo: • la misura di un cateto è uguale al prodotto di quella dell’ipotenusa per il coseno dell’angolo acuto adiacente al cateto • la misura di un cateto è uguale al prodotto di quella dell’ipotenusa per il seno dell’angolo opposto al cateto • la misura di un cateto è uguale al prodotto di quella dell’altro cateto per la tangente dell’angolo opposto al primo cateto Dimostrazione Consideriamo un triangolo rettangolo OAB con angolo retto in A e il sistema di riferimento OXY con il semiasse positivo delle ascisse contenente OA. Prendiamo ora un punto P sull’ipotenusa in modo che OP = 1 e tracciamo una circonferenza con centro O e raggio OP . Sia H la proiezione del punto P sull’asse delle ascisse. 598 7.2. TEOREMI SUI TRIANGOLI RETTANGOLI Y B P γ H A X O Figura 7.2: triangolo rettangolo Poiché OP = 1, la misura di P H è il seno dell’angolo γ e la misura di OH è il coseno dell’angolo γ. I triangoli OHP e OAB sono simili, quindi possiamo scrivere la proporzione: OB : OP = OA : OH da cui OA · 1 = OB · OH OA = OB · cos(γ) I triangoli OHP e OAB sono simili, quindi possiamo scrivere la proporzione: OB : OP = AB : HP da cui AB · 1 = OB · HP AB = OB · sin(γ) Dalle formule AB = OB · sin(γ) e OA = OB · cos(γ) dividendo membro a membro si ottiene: AB = tan(γ) OA da cui AB = OA · tan(γ) Riassumendo, nel triangolo rettangolo ABC: • b = a sin(β) • b = a cos(γ) 599 CAPITOLO 7. TRIGONOMETRIA • b = c tan(β) • c = a cos(β) • c = a sin(γ) • c = b tan(γ) B β a C c α γ A b Figura 7.3: triangolo rettangolo 7.3 Risoluzione dei triangoli rettangoli Risolvere un triangolo significa determinare le misure dei lati e degli angoli. A volte non si determina la misura dell’angolo, ma solo le sue funzioni goniometriche. Per risolvere un triangolo rettangolo si utilizzano: • i teoremi sui triangoli rettangoli • i teoremi di Pitagora e di Euclide • le formule goniometriche Esempio 7.3.1. π • Risolvere il triangolo rettangolo di ipotenusa a = 3 e angolo β = . 3 π Poiché β + γ = si ha: 2 π π π γ= − = 2 3 6 Applicando i teoremi sui triangoli rettangoli si ha: √ Å ã π 3 3√ b = 3 sin =3 = 3 3 2 2 Å ã π 1 3 c = 3 cos =3 = 3 2 2 • Risolvere il triangolo rettangolo di ipotenusa a = 3 e cateto b = 2 Applicando i teoremi sui triangoli rettangoli si ha: 2 sin (β) = 3 √ » 4 5 2 cos (β) = 1 − sin (β) = 1 − = 9 3 √ 5 sin (γ) = cos (β) = 3 2 cos (γ) = sin (β) = 3 Applicando il teorema di Pitagora si ha: p √ √ c = a2 − b2 = 9 − 4 = 5 600 7.4. AREA DI UN TRIANGOLO 7.4 Area di un triangolo Teorema 7.4.1 (Area di un triangolo). L’area di un triangolo è uguale al semiprodotto delle misure di due lati per il seno dell’angolo fra essi compreso. Dimostrazione Consideriamo un triangolo acutangolo ABC. Tracciando l’altezza AH si ottengono due triangoli rettangoli: ABH e ACH. A α c b h β B γ C H a Figura 7.4: Area triangolo acutangolo Detta h la misura dell’altezza AH, applicando i teoremi sui triangoli rettangoli si ha h = b sin(γ) Quindi l’area è 1 1 A = ah = ab sin(γ) 2 2 Consideriamo un triangolo ottusangolo ABC. Tracciando l’altezza AH si ottengono due triangoli rettangoli: ABH e ACH. A α c b B h γ β a C H Figura 7.5: Area triangolo ottusangolo Detta h la misura dell’altezza AH, applicando i teoremi sui triangoli rettangoli si ha h = b sin(π − γ) = b sin(γ) Quindi l’area è 1 1 A = ah = ab sin(γ) 2 2 Esempio 7.4.1. Determinare l’area del triangolo ABC sapendo che due lati misurano rispettivamente 3 e 5 e l’angolo π fra essi compreso misura . 3 L’area è √ Å ã 1 π 15 3 15 √ A = 3 · 5 · sin = = 3 2 3 2 2 4 601 CAPITOLO 7. TRIGONOMETRIA 7.5 Teorema dei seni Teorema 7.5.1 (Teorema dei seni). In un triangolo il rapporto tra la misura di un lato e il seno dell’angolo opposto è costante ed è pari al diametro della circonferenza circoscritta A α c B b β a r a b c = = = 2r sin(α) sin(β) sin(γ) Esempio 7.5.1. π π Risolvere il triangolo di lato b = 5 e angoli α = , β = . 3 4 Poiché α + β + γ = π si ha: γ=π− π π 5 − = π 3 4 12 Applicando il teorema dei seni si ha: a b = sin(α) sin(β) a 5 √ = √ 3 2 2 2 √ √ 10 3 5 6 = a= √ 2 2 2 c b = sin(γ) sin(β) c 5 √ = √ 2+ 6 2 4 2 √ √ √ 10 2 + 6 5(1 + 3) c= √ = 4 4 2 √ 602 γ C 7.6. TEOREMA DEL COSENO 7.6 Teorema del coseno Teorema 7.6.1 (Teorema del coseno o di Carnot). In un triangolo il quadrato della misura di un lato è uguale alla somma dei quadrati delle misure degli altri lati diminuita del doppio prodotto delle misure di questi lati per il coseno dell’angolo fra essi compreso. A α c B b β γ a C Figura 7.6: teorema di Carnot a2 = b2 + c2 − 2bc cos(α) Osservazione π Se α = , cioè se il triangolo ABC è rettangolo si ha: 2 a2 = b2 + c2 − 2bc cos π 2 Å ã a2 = b2 + c2 Abbiamo ottenuto il teorema di Pitagora Esempio 7.6.1. π Risolvere il triangolo di lati b = 4, a = 3 e angolo γ = . 3 Applicando il teorema dei Carnot si ha: c2 = a2 + b2 − 2ab cos (γ) = 9 + 16 − 24 cos c= √ π 3 Å ã = 9 + 16 − 12 = 13 13 Non determiniamo l’angolo α ma solo le sue funzioni goniometriche. Applicando il teorema dei Carnot si ha: a2 = b2 + c2 − 2bc cos (α) da cui cos (α) = b2 + c2 − a2 2bc √ 16 + 13 − 9 20 5 5 13 √ cos (α) = = √ = √ = 26 8 13 8 13 2 13 à √ Ç √ å2 5 13 325 351 3 39 sin(α) = 1 − = 1− = = 26 676 676 26 Applicando il teorema dei Carnot si ha: b2 = a2 + c2 − 2ac cos (β) 603 CAPITOLO 7. TRIGONOMETRIA da cui cos (β) = a2 + c2 − b2 2ac √ 6 1 13 9 + 13 − 16 √ = √ =√ = cos (β) = 13 6 13 6 13 13 à √ Ç √ å2 13 13 156 2 39 = 1− = = sin(β) = 1 − 13 169 169 13 604 Capitolo 8 Esponenziali e logaritmi 8.1 Potenze con esponente reale Definizione 8.1.1 (Potenza con esponente naturale). Si dice potenza avente per base un numero reale a ed esponente un numero naturale n > 1 il prodotto di n fattori uguali ad a: an = |a · .{z . . · a}, n > 1 n La condizione n > 1 è dovuta al fatto che per eseguire un prodotto occorrono due fattori, perciò, secondo la definizione data, non si può parlare di potenza con esponente zero o 1. Si pone per convenzione: a1 = a e, per a 6= 0, a0 = 1 Esempio 8.1.1. • 23 = 2 · 2 · 2 = 8 • 21 = 2 • 20 = 1 Estendiamo la definizione di potenza al caso in cui l’esponente è intero negativo Definizione 8.1.2 (Potenza con esponente intero negativo). Dati il numero reale a 6= 0 e il numero naturale n si pone a−n = Å ãn 1 a Esempio 8.1.2. Å ã−3 2 3 Å ã3 = 3 2 = 27 8 Estendiamo la definizione di potenza al caso in cui l’esponente è razionale Definizione 8.1.3 (Potenza con esponente razionale). m Dati il numero reale a > 0 e il numero razionale con n > 0, si pone n √ m a n = n am Esempio 8.1.3. 605 CAPITOLO 8. ESPONENZIALI E LOGARITMI 2 • 35 = • √ 5 32 = Å ã− 2 3 4 5 √ 5 9 Å ã −2 = 5 3 4 … = 5 16 9 La definizione di potenza con base reale positiva si può estendere al caso in cui l’esponente è un numero irrazionale. Esempio 8.1.4. Si può scrivere √ 3 2 Quindi le potenze con base reale positiva possono avere come esponente un qualunque numero reale. Osservazioni 1. se α ∈ R+ si pone 0α = 0 2. 1α = 1 8.1.1 Proprietà delle potenze con esponente reale Per le potenze con base reale positiva e esponente reale valgono le seguenti proprietà: 1. aα · aβ = aα+β aα = aα−β aβ 2. 3. (aα )β = aα·β 4. (a · b)α = aα · bα Å ãα 5. a b = 6. a−α = aα bα Å ãα 1 a con a, b ∈ R+ , α, β ∈ R 8.2 Funzione esponenziale Definizione 8.2.1 (funzione esponenziale). Si dice funzione esponenziale la funzione f :R→R f (x) = ax con a ∈ R+ − {1} Osservazione Nella funzione esponenziale si pone a 6= 1 perché se a = 1 si ottiene la funzione costante f (x) = 1. 8.2.1 Grafico della funzione esponenziale Il grafico della funzione esponenziale varia a seconda che 0 < a < 1 o a > 1. Esempio 8.2.1. 606 8.2. FUNZIONE ESPONENZIALE • Rappresentiamo graficamente la funzione Å ãx f (x) = 1 2 −3 −2 −1 0 x Å ãx 1 2 8 4 2 1 1 2 3 1 2 1 4 1 8 8 y 7 6 5 4 3 2 1 x −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 5 −1 Å ãx Figura 8.1: grafico di f (x) = • Rappresentiamo graficamente la funzione f (x) = 2x x 2x −3 −2 −1 0 1 2 3 1 8 1 4 1 2 1 2 4 8 607 1 2 6 7 8 CAPITOLO 8. ESPONENZIALI E LOGARITMI y 8 7 6 5 4 3 2 1 x −7 −6 −5 −4 −3 −2 O −1 1 2 3 Figura 8.2: grafico di f (x) = 2x Una funzione esponenziale di particolare importanza è f (x) = ex , dove e è un numero irrazionale detto numero di Nepero. Un valore approssimato di e è 2, 718 Esempio 8.2.2. Rappresentiamo graficamente la funzione f (x) = ex x −3 −2 −1 ex e−3 e−2 e−1 0 1 2 3 1 e e2 e3 8 y 7 6 5 4 3 2 1 x −7 −6 −5 −4 −3 −2 −1 O 1 Figura 8.3: grafico di f (x) = ex 608 2 3 4 5 8.3. LOGARITMO 8.2.2 Caratteristiche della funzione esponenziale La funzione esponenziale f :R→R f (x) = ax con a ∈ R+ − {1} ha le seguenti carattetistiche: 1. dominio D=R 2. codominio poiché ax > 0 ∀x ∈ R si ha f (D) = R+ 3. il grafico interseca l’asse y nel punto (0, 1) e non interseca l’asse x 4. la funzione è iniettiva 5. se 0 < a < 1 la funzione è decrescente in senso stretto, cioè ∀x1 , x2 ∈ R, x1 < x2 ⇒ ax1 > ax2 6. se a > 1 la funzione è crescente in senso stretto, cioè ∀x1 , x2 ∈ R, x1 < x2 ⇒ ax1 < ax2 8.3 Logaritmo Definizione 8.3.1 (Logaritmo). Dati a ∈ R+ − {1} e b ∈ R+ si dice logaritmo in base a di b l’esponente da dare a a per ottenere b. In simboli: x = loga (b) ⇔ ax = b Il numero b si dice argomento del logaritmo. Dalla definizione si ha loga (1) = 0 e loga (a) = 1 Esempio 8.3.1. • log2 (8) = 3 perché 23 = 8 609 CAPITOLO 8. ESPONENZIALI E LOGARITMI • log5 (1) = 0 perché 50 = 1 • log5 (5) = 1 perché 51 = 5 • log10 Å 1 = −2 100 ã perché 10−2 = 1 100 Osservazione Si pone loge (x) = ln(x) e log10 (x) = log(x) 8.3.1 Proprietà dei logaritmi Per i logaritmi valgono le seguenti proprietà. 1. Logaritmo di un prodotto loga (bc) = loga (b) + loga (c) con a ∈ R+ − {1}, b, c ∈ R+ 2. Logaritmo di una potenza loga (bc ) = c loga (b) con a ∈ R+ − {1}, b ∈ R+ , c ∈ R 3. Logaritmo di un quoziente b = loga (b) − loga (c) c Å ã loga con a ∈ R+ − {1}, b, c ∈ R+ 4. Cambiamento di base logc (b) loga (b) = logc (a) con a, c ∈ R+ − {1}, b ∈ R+ Esempio 8.3.2. • ln Ç 3 2å a c x4 = 3 ln(a) + 2 ln(c) − 4 ln(x) con a, c, x ∈ R+ • log5 (3) = ln(3) ln(5) 610 8.4. FUNZIONE LOGARITMICA 8.4 Funzione logaritmica Definizione 8.4.1 (funzione logaritmica). Si dice funzione logaritmica la funzione f : R+ → R f (x) = loga (x) con a ∈ R+ − {1} 8.4.1 Grafico della funzione logaritmica Esempio 8.4.1. • Rappresentiamo graficamente la funzione f (x) = log 1 (x) 2 x log 1 (x) 1 8 3 1 4 2 1 2 1 1 2 4 8 0 −1 −2 −3 2 y 5 4 3 2 1 x −2 −1 O 1 2 3 4 5 6 7 8 −1 −2 −3 −4 −5 Figura 8.4: grafico di f (x) = log 1 (x) 2 • Rappresentiamo graficamente la funzione f (x) = log2 (x) 1 1 1 1 2 4 8 8 4 2 log2 (x) −3 −2 −1 0 1 2 3 x 611 9 10 11 12 CAPITOLO 8. ESPONENZIALI E LOGARITMI y 5 4 3 2 1 x −2 O −1 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 −1 −2 −3 −4 −5 Figura 8.5: grafico di f (x) = log2 (x) Due funzioni logaritmiche di particolare importanza sono f (x) = log(x) e f (x) = ln(x) Esempio 8.4.2. • Rappresentiamo graficamente la funzione f (x) = log(x) x log(x) 1 1000 −3 1 100 −2 1 1 4 8 10 10 −1 0 log(4) log(8) 1 612 12 8.4. FUNZIONE LOGARITMICA 2 y 1 x O 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 −1 −2 −3 −4 −5 Figura 8.6: grafico di f (x) = log(x) • Rappresentiamo graficamente la funzione f (x) = ln(x) x e−3 e−2 e−1 1 e e2 e3 ex −3 −2 3 −1 0 1 2 3 y 2 1 x −1 O 1 2 3 4 5 6 7 8 −1 −2 −3 −4 −5 Figura 8.7: grafico di f (x) = ln(x) 8.4.2 Caratteristiche della funzione logaritmica La funzione logaritmica f : R+ → R f (x) = loga (x) con a ∈ R+ − {1} ha le seguenti carattetistiche: 613 9 10 11 12 CAPITOLO 8. ESPONENZIALI E LOGARITMI 1. dominio D =]0, +∞[ 2. codominio f (D) = R 3. il grafico interseca l’asse x nel punto (1, 0) e non interseca l’asse y 4. la funzione è biiettiva 5. se 0 < a < 1 la funzione è decrescente in senso stretto cioè ∀x1 , x2 ∈ R+ , x1 < x2 ⇒ loga (x1 ) > loga (x2 ) 6. se a > 1 la funzione è crescente in senso stretto cioè ∀x1 , x2 ∈ R+ , x1 < x2 ⇒ loga (x1 ) < loga (x2 ) 8.5 Equazioni esponenziali Definizione 8.5.1 (Equazione esponenziale). Un’equazione si dice esponenziale se l’incognita compare come esponente di una potenza Esempio 8.5.1. • l’equazione 2x = 4 è esponenziale • l’equazione x2 = 4 non è esponenziale 8.5.1 Equazioni esponenziali elementari Definizione 8.5.2 (Equazione esponenziale elementare). Dati a ∈ R+ − {1}, b ∈ R si dice elementare l’equazione esponenziale: ax = b Per risolvere questo tipo di equazione si analizza il valore di b: • Se b 6 0, l’equazione è impossibile e S = ∅ • Se b > 0, l’equazione ammette un’unica soluzione x = loga (b) l’equazione è determinata e S = {loga (b)} Esempio 8.5.2. 614 8.5. EQUAZIONI ESPONENZIALI • Risolviamo l’equazione 2x = −5 L’equazione è impossibile e S = ∅ • Risolviamo l’equazione 3x = 2 x = log3 (2) l’equazione è determinata e S = {log3 (2)} • Risolviamo l’equazione 3x = 9 x = log3 (9) = 2 l’equazione è determinata e S = {2} Osservazione La soluzione si può anche scrivere utilizzando il logaritmo naturale: x= ln(9) ln(3) 8.5.2 Altri tipi di equazioni esponenziali Se l’equazione si può scrivere nella forma af (x) = ag(x) l’equazione è equivalente a f (x) = g(x) Esempio 8.5.3. • Risolviamo l’equazione 2x = 4 2x = 22 L’equazione è equivalente a x=2 l’equazione è determinata e S = {2} 615 CAPITOLO 8. ESPONENZIALI E LOGARITMI • Risolviamo l’equazione 23x+1 · 8x = 4 23x+1 · 23x = 22 23x+1+3x = 22 26x+1 = 22 L’equazione è equivalente a 6x + 1 = 2 6x = 1 1 x= 6 l’equazione è determinata e 1 6 ß ™ S= Per risolvere alcuni tipi di equazioni esponenziali può essere utile effettuare una sostituzione per ottenere un’equazione algebrica. Esempio 8.5.4. Risolviamo l’equazione 9x − 3x+1 − 4 = 0 (3x )2 − 3 · 3x − 4 = 0 Ponendo 3x = y si ottiene y 2 − 3y − 4 = 0 y = −1 ∨ y = 4 3x = −1 ⇒ impossibile 3x = 4 ⇒ x = log3 (4) l’equazione è determinata e S = {log3 (4)} 8.6 Disequazioni esponenziali Definizione 8.6.1 (Disequazione esponenziale). Una disequazione si dice esponenziale se l’incognita compare come esponente di una potenza Esempio 8.6.1. • la disequazione 2x > 4 è esponenziale • la disequazione x2 < 4 non è esponenziale 616 8.6. DISEQUAZIONI ESPONENZIALI 8.6.1 Disequazioni esponenziali elementari Definizione 8.6.2 (Disequazioni esponenziali elementari). Dati a ∈ R+ − {1}, b ∈ R si dicono elementari le disequazioni esponenziali: ax > b ax > b ax < b ax 6 b Per risolvere la disequazione ax > b si analizza il valore di b: • Se b 6 0, la disequazione è un’identità e S = R • Se b > 0 ∧ 0 < a < 1, la soluzione è x < loga (b) la disequazione è risolubile e S =] − ∞, loga (b)[ • Se b > 0 ∧ a > 1, la soluzione è x > loga (b) la disequazione è risolubile e S =] loga (b), +∞[ Per risolvere la disequazione ax > b si procede in modo analogo Per risolvere la disequazione ax < b si analizza il valore di b: • Se b 6 0, la disequazione è impossibile e S = ∅ • Se b > 0 ∧ 0 < a < 1, la soluzione è x > loga (b) la disequazione è risolubile e S =] loga (b), +∞[ • Se b > 0 ∧ a > 1, la soluzione è x < loga (b) la disequazione è risolubile e S =] − ∞, loga (b)[ Per risolvere la disequazione ax 6 b si procede in modo analogo. Esempio 8.6.2. • Risolviamo la disequazione 2x > −5 La disequazione è un’identità e S = R • Risolviamo la disequazione 2x < 0 La disequazione è impossibile e S = ∅ 617 CAPITOLO 8. ESPONENZIALI E LOGARITMI • Risolviamo la disequazione 2x > 3 La soluzione è x > log2 (3) la disequazione è risolubile e S =] log2 (3), +∞[ • Risolviamo la disequazione Å ãx 1 <9 2 La soluzione è x > log 1 (9) 2 i h la disequazione è risolubile e S = log 1 (9), +∞ 2 8.6.2 Altri tipi di disequazioni esponenziali Se la disequazione si può scrivere nella forma af (x) > ag(x) la disequazione è equivalente a f (x) < g(x) se 0 < a < 1 f (x) > g(x) se a > 1 Analogamente per la disequazione che si può scrivere nella forma af (x) > ag(x) Se la disequazione si può scrivere nella forma af (x) < ag(x) la disequazione è equivalente a f (x) > g(x) se 0 < a < 1 f (x) < g(x) se a > 1 Analogamente per la disequazione che si può scrivere nella forma af (x) 6 ag(x) Esempio 8.6.3. • Risolviamo la disequazione 23x+1 · 8x > 4 23x+1 · 23x > 22 23x+1+3x > 22 26x+1 > 22 La disequazione è equivalente a 6x + 1 > 2 6x > 1 1 x> 6 La disequazione è risolubile e ò S= 1 , +∞ 6 ï 618 8.7. EQUAZIONI LOGARITMICHE • Risolviamo la disequazione Å ã2x−1 1 3 Å ãx+2 < 1 3 La disequazione è equivalente a 2x − 1 > x + 2 x>3 La disequazione è risolubile e S = ]3, +∞[ Per risolvere alcuni tipi di disequazioni esponenziali può essere utile effettuare una sostituzione per ottenere una disequazione algebrica. Esempio 8.6.4. Risolviamo la disequazione 23x − 2 · 22x − 11 · 2x + 12 > 0 Ponendo 2x = y si ottiene y 3 − 2y 2 − 11y + 12 > 0 (y − 1)(y 2 − y + 12) > 0 y−1>0⇒y >1 y 2 − y − 12 > 0 ⇒ y < −3 ∨ y > 4 −3 1 4 − + − 0 − − 0 − + − + 0 + + − 0 + 0 − 0 + −3 < y < 1 ∨ y > 4 −3 < 2x < 1 ∨ 2x > 4 2x < 1 ∨ 2x > 4 x<0∨x>2 La disequazione è risolubile e S = ]−∞, 0[ ∪]2, +∞[ 8.7 Equazioni logaritmiche Definizione 8.7.1 (Equazione logaritmica). Un’equazione si dice logaritmica se l’incognita compare come argomento di un logaritmo Esempio 8.7.1. • L’equazione ln(x + 2) = 4 è logaritmica • L’equazione x2 = ln(2) non è logaritmica 619 CAPITOLO 8. ESPONENZIALI E LOGARITMI 8.7.1 Equazioni logaritmiche elementari Definizione 8.7.2 (Equazione logaritmica elementare). Dati a ∈ R+ − {1}, b ∈ R si dice elementare l’equazione logaritmica: loga (x) = b L’equazione è risolubile qualunque sia il valore di b. L’equazione loga (x) = b è equivalente a ( x>0 x = ab Dove la disequazione è la condizione di esistenza. Poiché ab > 0, la soluzione è x = ab L’equazione è determinata e S = {ab } Osservazione Nelle equazioni logaritmiche elementari la condizione di esistenza si può omettere Esempio 8.7.2. Risolviamo l’equazione log2 (x) = −3 L’equazione è equivalente a ( x>0 x = 2−3 1 8 L’equazione è determinata e x = 2−3 = 1 8 ß ™ S= 8.7.2 Altri tipi di equazioni logaritmiche L’equazione loga (f (x)) = loga (g(x)) è equivalente a f (x) > 0 g(x) > 0 f (x) = g(x) Osservazione Le due disequazioni sono le condizioni di esistenza. 620 8.7. EQUAZIONI LOGARITMICHE Esempio 8.7.3. Risolviamo l’equazione log2 (x + 1) = log2 (3x − 2) L’equazione è equivalente a x + 1 > 0 3x − 2 > 0 x + 1 = 3x − 2 x > −1 2 x> 3 3 x = 2 3 x= 2 l’equazione è determinata e 3 2 ß ™ S= Osservazione Se l’equazione è riconducibile al tipo precedente, per risolverla: 1. si scrivono le condizioni di esistenza 2. si trasforma l’equazione nella forma loga (f (x)) = loga (g(x)) 3. si uguagliano gli argomenti dei logaritmi f (x) = g(x) 4. si risolve l’equazione ottenuta 5. si controlla se le soluzioni soddisfano le condizioni di esistenza Esempio 8.7.4. Risolviamo l’equazione log2 (3x + 1) + log2 (x) = 4 Le condizioni di esistenza sono ( 3x + 1 > 0 x>0 x > −1 3 x>0 x>0 Applichiamo le proprietà dei logartmi log2 ((3x + 1)x) = log2 (16) Ä ä log2 3x2 + x = log2 (16) 621 CAPITOLO 8. ESPONENZIALI E LOGARITMI Uguagliamo gli argomenti 3x2 + x = 16 3x2 + x − 16 = 0 √ √ −1 − 193 −1 + 193 x= ∨x= 6 6 √ −1 − 193 x= non soddisfa le condizioni di esistenza, quindi 6 √ −1 + 193 x= 6 L’equazione è determinata e √ ® ´ −1 + 193 S= 6 Per risolvere alcuni tipi di equazioni logaritmiche può essere utile effettuare una sostituzione per ottenere un’equazione algebrica. Esempio 8.7.5. Risolviamo l’equazione ln2 (x) − 3 ln(x) − 4 = 0 La condizione di esistenza è x>0 Ponendo ln(x) = y si ottiene y 2 − 3y − 4 = 0 y = −1 ∨ y = 4 ln(x) = −1 ⇒ x = 1 e ln(x) = 4 ⇒ x = e4 L’equazione è determinata e ß S= 8.8 1 4 ,e e ™ Disequazioni logaritmiche Definizione 8.8.1 (Disequazione logaritmica). Una disequazione si dice logaritmica se l’incognita compare come argomento di un logaritmo Esempio 8.8.1. • la disequazione log2 (x) > 4 è logaritmica • la disequazione x2 < ln(4) non è logaritmica 622 8.8. DISEQUAZIONI LOGARITMICHE 8.8.1 Disequazioni logaritmiche elementari Definizione 8.8.2 (Disequazioni logaritmiche elementari). Dati a ∈ R+ − {1}, b ∈ R si dicono elementari le disequazioni logaritmiche: loga (x) > b loga (x) > b loga (x) < b loga (x) 6 b La disequazione loga (x) > b • se 0 < a < 1, è equivalente a ( x>0 x < ab 0 < x < ab La disequazione è risolubile e ó S = 0, ab î • Se a > 1, è equivalente a ( x>0 x > ab x > ab La disequazione è risolubile e ó î S = ab , +∞ Per la disequazione loga (x) > b si procede in modo analogo La disequazione loga (x) < b • se 0 < a < 1, è equivalente a ( x>0 x > ab x > ab La disequazione è risolubile e ó î S = ab , +∞ • Se a > 1, è equivalente a ( x>0 x < ab 0 < x < ab La disequazione è risolubile e ó S = 0, ab î 623 CAPITOLO 8. ESPONENZIALI E LOGARITMI Per la disequazione loga (x) 6 b si procede in modo analogo Esempio 8.8.2. • Risolviamo la disequazione log2 (x) > −5 La disequazione è equivalente a ( x>0 x > 2−5 1 32 La disequazione è risolubile e x> ò S= 1 , +∞ 32 ï • Risolviamo la disequazione log 1 (x) > −5 2 La disequazione è equivalente a x > 0 Å ã−5 1 x < 2 0 < x < 32 La disequazione è risolubile e S = ]0, 32[ 8.8.2 Altri tipi di disequazioni logaritmiche 1. La disequazione loga (f (x)) > loga (g(x)) è equivalente a f (x) > 0 g(x) > 0 f (x) < g(x) f (x) > 0 g(x) > 0 se 0 < a < 1 se a > 1 f (x) > g(x) 2. La disequazione loga (f (x)) > loga (g(x)) è equivalente a f (x) > 0 g(x) > 0 f (x) 6 g(x) f (x) > 0 g(x) > 0 se 0 < a < 1 se a > 1 f (x) > g(x) 624 8.8. DISEQUAZIONI LOGARITMICHE 3. La disequazione loga (f (x)) < loga (g(x)) è equivalente a f (x) > 0 g(x) > 0 se 0 < a < 1 f (x) > g(x) f (x) > 0 g(x) > 0 se a > 1 f (x) < g(x) 4. La disequazione loga (f (x)) 6 loga (g(x)) è equivalente a f (x) > 0 g(x) > 0 se 0 < a < 1 f (x) > g(x) f (x) > 0 g(x) > 0 se a > 1 f (x) 6 g(x) Esempio 8.8.3. Risolviamo la disequazione log 1 (2x − 1) < log 1 (x + 2) 3 3 La disequazione è equivalente a 2x − 1 > 0 x+2>0 2x − 1 > x + 2 1 x > 2 x > −2 x>3 x>3 La disequazione è risolubile e S = ]3, +∞[ Osservazione Se la disequazione è riconducibile al primo caso dei precedenti, per risolverla: 1. si scrivono le condizioni di esistenza 2. si trasforma nella forma loga (f (x)) > loga (g(x)) 625 CAPITOLO 8. ESPONENZIALI E LOGARITMI 3. si scrive il sistema formato dalle condizioni di esistenza e da • f (x) < g(x) se 0 < a < 1 • f (x) > g(x) se a > 1 4. si risolve il sistema ottenuto Si procede analogamente per le disequazioni riconducibili alle altre forme. Esempio 8.8.4. Risolviamo la disequazione log2 (3x + 1) + log2 (x) > 4 Le condizioni di esistenza sono ( 3x + 1 > 0 x>0 x > −1 3 x>0 x>0 Applichiamo le proprietà dei logartmi log2 ((3x + 1)x) > log2 (16) Ä ä log2 3x2 + x > log2 (16) Scriviamo il sistema ( x>0 3x2 + x > 16 ( x>0 3x2 + x − 16 > 0 x > 0 −1 − x < √ 193 √ −1 + 193 ∨x> 6 6 √ −1 + 193 x> 6 La disequazione è risolubile e √ ô ñ −1 + 193 S= , +∞ 6 Per risolvere alcuni tipi di disequazioni logaritmiche può essere utile, dopo aver scritto le condizioni di esistenza, effettuare una sostituzione per ottenere una disequazione algebrica. Esempio 8.8.5. Risolviamo la disequazione ln3 (x) − 2 ln2 (x) − 11 ln(x) + 12 > 0 La condizione di esistenza è x>0 626 8.8. DISEQUAZIONI LOGARITMICHE Ponendo ln(x) = y si ottiene y 3 − 2y 2 − 11y + 12 > 0 (y − 1)(y 2 − y − 12) > 0 y−1>0⇒y >1 y 2 − y − 12 > 0 ⇒ y < −3 ∨ y > 4 −3 2 4 − + − 0 − − 0 − + − + 0 + + − 0 + 0 − 0 + −3 < y < 1 ∨ y > 4 −3 < ln(x) < 1 ∨ ln(x) > 4 La disequazione ottenuta è equivalente a x > 0 1 < x < e ∨ x > e4 3 e 1 < x < e ∨ x > e4 e3 La disequazione è risolubile e 1 S = 3 , e ∪]e4 , +∞[ e ò ï 627 Capitolo 9 Calcolo combinatorio 9.1 Prodotto Cartesiano Definizione 9.1.1 (Prodotto Cartesiano). Si dice prodotto cartesiano di due insiemi A e B l’insieme A × B delle coppie ordinate con il primo elemento appartenente ad A e il secondo appartenente a B. In simboli: A × B = {(a, b)/a ∈ A ∧ b ∈ B} Esempio 9.1.1. Dati A = {a, b, c} B = {1, 2} Il prodotto cartesiano è A × B = {(a, 1), (a, 2), (b, 1), (b, 2), (c, 1), (c, 2)} Osservazione Se uno dei due insiemi è vuoto, il prodotto cartesiano è l’insieme vuoto: A×∅=∅×A=∅×∅=∅ Nel prodotto cartesiano i due insiemi possono anche coincidere; in questo caso A × A viene anche indicato con A2 . La definizione di prodotto cartesiano si può estendere a più di due insiemi. Nel caso di tre insiemi, gli elementi di A × B × C sono delle triple ordinate il cui primo elemento appartiene ad A, il secondo a B e il terzo a C. Il prodotto cartesiano di n insiemi coincidenti si dice potenza n-esima cartesiana di A, si indica con An ed è formato dalle ennuple ordinate di elementi di A. Per determinare tutte le ennuple di un prodotto cartesiano si può utilizzare un diagramma ad albero. L’albero si costriusce dall’alto verso il basso. Dal primo nodo si disegna un ramo per ogni elemento del primo insieme; dai nodi ottenuti si disegna un ramo per ogni elemento del secondo insieme e così via. Per determinare le ennuple è sufficiente seguire i rami. Esempio 9.1.2. Dati A = {a, b, c} B = {T, C} C = {1, 2} 628 9.1. PRODOTTO CARTESIANO Determinare A×B×C Costruiamo il diagramma ad albero: a T C T 1 2 c b 1 2 1 T C 2 1 2 1 C 2 1 2 Figura 9.1: diagramma a albero Quindi A × B × C = {(a, T, 1), (a, T, 2), (a, C, 1), (a, C, 2), (b, T, 1), (b, T, 2), (b, C, 1), (b, C, 2), (c, T, 1), (c, T, 2), (c, C, 1), (c, C, 2) Dato un insieme A, indichiamo con |A| il numero di elementi di A. Esempio 9.1.3. Dato A = {1, 2, 3} si ha |A| = 3 Teorema 9.1.1. Se |A| = m e |B| = n, allora |A × B| = m · n Esempio 9.1.4. In un ristorante c’è un menu composto da 3 antipasti, 4 primi, 2 secondi, 3 dolci. Quanti diversi pranzi completi si possono effettuare? Il numero di pranzi completi è dato dal numero di elementi del prodotto cartesiano dei 4 insiemi: 3 · 4 · 2 · 3 = 72 Si possono effettuare 72 pranzi completi diversi. Teorema 9.1.2. Se A ha m elementi, allora An ha mn elementi. Esempio 9.1.5. 629 CAPITOLO 9. CALCOLO COMBINATORIO • Cinque strade collegano le città A e B e quattro collegano B e C. In quanti modi si può andare da A a C? Il numero di modi è dato dal numero di elementi del prodotto cartesiano dei 2 insiemi: 5 · 4 = 20 Si può andare da A a C in 20 modi diversi. • Un uomo ha 2 paia di scarpe, 3 pantaloni, 5 camicie. In quanti modi può vestirsi al completo? Il numero di modi è dato dal numero di elementi del prodotto cartesiano dei 3 insiemi: 2 · 3 · 5 = 30 L’uomo si può vestire in 30 modi diversi. • Ci sono 5 libri gialli, 7 romanzi, 10 libri di storia. In quanti modi si possono leggere due libri di tematiche diverse? Il numero di modi è dato dalla somma dal numero di elementi dei possibili prodotti cartesiani di due dei 3 insiemi: 5 · 7 + 5 · 10 + 7 · 10 = 155 Si possono leggere due libri di tematiche diverse in 155 modi. • Un numero naturale n si può scrivere come prodotto di potenze dei suoi fattori primi: n = pn1 1 · . . . · pnr r . Quanti sono i divisori di n? In ogni divisore di n = pn1 1 · . . . · pnr r il fattore primo pi può comparire 0, 1, . . . ni volte. Qundi i divisori di n sono: (n1 + 1) · · · · · (nr + 1) • Quanti sono i divisori di 1400? 1400 = 23 · 52 · 7 I divisori di 1400 sono: 4 · 3 · 2 = 24 • Quanti numeri di tre cifre dispari tutte diverse si possono formare? La prima cifra si può scegliere in un insieme di 5 elementi, la seconda in un insieme di 4 elementi, la terza in un insieme di 3 elementi. Quindi, i numeri di tre cifre dispari tutte diverse sono: 5 · 4 · 3 = 60 • Quanti sono i numeri di sei cifre tutte diverse che non contengono né lo zero né il 3? La prima cifra si può scegliere in un insieme di 8 elementi, la seconda in un insieme di 7 elementi, la terza in un insieme di 6 elementi e così via. Quindi, i numeri di sei cifre tutte diverse che non contengono né lo zero né il 3 sono: 8 · 7 · 6 · 5 · 4 · 3 = 20160 • Dati gli insiemi A, B, C determinare |A ∪ B| e |A ∪ B ∪ C|. |A ∪ B| = |A| + |B| − |A ∩ B| perché gli elementi comuni ad A e B si devono contare una volta sola. |A ∪ B ∪ C| = |(A ∪ B) ∪ C| = |A ∪ B| + |C| − |(A ∪ B) ∩ C| = |A| + |B| − |A ∩ B| − |(A ∩ C) ∪ (B ∩ C)| = |A| + |B| − |A ∩ B| + |C| − |A ∩ C| − |B ∩ C| + |(A ∩ C) ∩ (B ∩ C)| = |A| + |B| + |C| − |A ∩ B| − |A ∩ C| − |B ∩ C| + |A ∩ B ∩ C| 630 9.1. PRODOTTO CARTESIANO • Quanti numeri dispari ci sono tra 1000 e 9999 con cifre tutte diverse? La quarta cifra si può scegliere in un insieme di 5 elementi (quelli dispari), la prima in un insieme di 8 elementi (non si può prendere lo 0), la seconda in un insieme di 8 elementi, la terza in un insieme di 7 elementi. Quindi, i numeri dispari tra 1000 e 9999 con cifre tutte diverse sono: 5 · 8 · 8 · 7 = 2240 • Consideriamo la mappa: 1 2 3 4 Avendo a disposizione n colori, in quanti modi si possono colorare le quattro regioni della mappa in modo che quelle confinanti non siano dello stesso colore? La prima regione si può colorare con n colori, la seconda con n − 1, la terza con n − 1 e la quarta con n − 1. Quindi, le quattro regioni della mappa si possono colorare in n(n − 1)3 modi diversi. • Quattro stazioni televisive A, B, C, D si disturbano, quando trasmettono con la stessa frequenza, secondo il seguente schema D C B A Avendo a disposizione n frequenze, in quanti modi possono essere assegnate alle 4 stazioni in modo che non si disturbino a vicenda? Alla stazione C possono essere assegnate n frequenze, alla stazione D n − 1, alla stazione A n − 1 e alla stazione B n − 2. Quindi, alle quattro stazioni si possono assegnare le frequenze in n(n − 1)2 (n − 2) modi diversi. • Avendo n colori in quanti modi si possono colorare i vertici dei seguenti grafi con la condizione che vertici dello stesso lato abbiano colori diversi? 631 CAPITOLO 9. CALCOLO COMBINATORIO a b c grafo a Il vertice in alto a sinistra si può colorare in n modi, quello in alto a destra in n − 1 modi, quello in basso a destra in n − 2 modi, quello in basso a sinistra in n − 2 modi. Quindi, i quattro vertici si possono colorare in n(n − 1)(n − 2)2 modi. grafo b Il vertice in alto a sinistra si può colorare in n modi, quello in basso a sinistra in n − 1 modi, quello in basso a destra in n − 1 modi, quello in alto a destra in n − 1 modi. Quindi, i quattro vertici si possono colorare in n(n − 1)3 modi. grafo c Il vertice in alto si può colorare in n modi, quello in basso a sinistra in n − 1 modi, quello in basso a destra in n − 2 modi. Quindi, i tre vertici si possono colorare in n(n − 1)(n − 2) modi. 9.2 Disposizioni semplici Definizione 9.2.1 (Disposizioni semplici). Si dicono disposizioni semplici o disposizioni i gruppi ordinati di k elementi distinti che si possono formare con n elementi distinti (1 ≤ k ≤ n), in modo che ogni gruppo differisca o per l’ordine o per almeno un elemento. Il numero delle disposizioni semplici di n elementi a gruppi di k si indica con Dn,k . Teorema 9.2.1 (Numero disposizione semplici). Il numero delle disposizioni semplici di n elementi a gruppi di k è uguale al prodotto di k numeri naturali consecutivi decrescenti, il primo dei quali è n: Dn,k = n(n − 1) · . . . · (n − k + 1) Esempio 9.2.1. • D5,3 = 5 · 4 · 3 = 60 • Dn,2 + Dn,1 con n ≥ 2 = n(n − 1) + n = n2 − n + n = n2 • Risolviamo l’equazione Dx,4 = 5Dx,3 632 9.2. DISPOSIZIONI SEMPLICI x∈N∧x≥4 Dx,4 = 5Dx,3 x(x − 1)(x − 2)(x − 3) = 5x(x − 1)(x − 2) x(x − 1)(x − 2)(x − 3) − 5x(x − 1)(x − 2) = 0 x(x − 1)(x − 2)(x − 3 − 5) = 0 x(x − 1)(x − 2)(x − 8) = 0 x=0∨x=1∨x=2∨x=8 x=8 L’equazione è determinata e S = {8} • Dimostrare che n! Dn,k = (n − k)! Dn,k = n(n − 1) · . . . · (n − k + 1) = n(n − 1) · . . . · (n − k + 1)(n − k)! = (n − k)! n! (n − k)! • Venti corridori partecipano a una corsa, il primo vince la medaglia d’oro, il secondo d’argento, il terzo di bronzo. In quanti modi possono essere assegnate le medaglie? I modi in cui possono essere assegnate le medaglie sono le disposizioni semplici di 20 elementi a gruppi di 3. Il numero dei modi è D20,3 = 20 · 19 · 18 = 6840 • Un circolo di 25 soci deve eleggere presidente, vice presidente, segretario, tesoriere. Se le cariche non sono cumulabili, quanti sono i possibili risultati di questa elezione? I modi in cui possono essere assegnate le cariche sono le disposizioni semplici di 25 elementi a gruppi di 4. Il numero dei modi è D25,4 = 25 · 24 · 23 · 22 = 303600 • Nel calendario ci sono circa 300 nomi, in quanti modi si può battezzare un neonato a cui si vogliono imporre 1,2 oppure 3 di questi nomi? D300,1 + D300,2 + D300,3 = 300 + 300 · 299 + 300 · 299 · 298 = 26820600 • Semplifichiamo Dn+1,k+2 con k ≤ n − 1 Dn+1,k+1 Dn+1,k+2 (n + 1)n · . . . · (n + 1 − k − 2 + 1) = = Dn+1,k+1 (n + 1)n · . . . · (n + 1 − k − 1 + 1) (n + 1)n · . . . · (n − k) (n + 1)n · . . . · (n − k + 1)(n − k) = =n−k (n + 1)n · . . . · (n + 1 − k) (n + 1)n · . . . · (n + 1 − k) • Semplifichiamo Dn+1,2 − n2 + Dn+1,3 con n ≥ 2 Dn+1,2 − n2 + Dn+1,3 = (n + 1)n − n2 + (n + 1)n(n − 1) = n2 + n − n2 + n3 − n = n3 • Due passeggeri salgono sullo stesso scompartimento del treno che ha 6 posti vuoti, in quanti modi possono accomodarsi? D6,2 = 6 · 5 = 30 633 CAPITOLO 9. CALCOLO COMBINATORIO 9.3 Disposizioni con ripetizione Definizione 9.3.1 (Disposizioni con ripetizione). Si dicono disposizioni con ripetizione i gruppi ordinati di k elementi, non necessariamente distinti, che si possono formare con n elementi distinti, in modo che ogni gruppo differisca o per l’ordine o per almeno un elemento o per il numero di volte che uno stesso elemento è ripetuto. r . Il numero delle disposizioni con ripetizione di n elementi gruppi di k si indica con Dn,k Teorema 9.3.1 (Numero disposizione con ripetizione). Il numero delle disposizioni con ripetizione di n elementi a gruppi di k è uguale a nk , cioè: r Dn,k = nk Esempio 9.3.1. • Quante colonne si devono giocare per essere sicuri di vincere al totocalcio? Si devono disporre i tre elementi 1,2,X su una colonna di 14 caselle. Ogni colonna è una disposizione con ripetizione di 3 elementi presi a gruppi di 14. Il numero di colonne possibili è r D3,14 = 314 = 4782969 • Quanti sono i numeri binari con 4 cifre? Ogni numero binario con 4 cifre è una disposizione con ripetizione degli elementi 0,1 presi a gruppi di 4. Il numero di numeri binari è r D2,4 = 24 = 16 • Una cassaforte ha la combinazione formata con 5 delle lettere dell’alfabeto italiano. Quante sono le possibili combinazioni? Ogni combinazione della cassaforte è una disposizione con ripetizione di 21 elementi presi a gruppi di 5. Il numero delle combinazioni della cassaforte è r D21,5 = 215 = 4084101 • Vengono lanciate in aria n monete. In quanti modi possono ricadere mostrando testa o croce? r D2,n = 2n • Quanti sono i numeri binari di n cifre con un numero dispari di 0? Il numero di numeri binari di n cifre è r D2,n = 2n I numeri binari con un numero dispari di 0 sono la metà. Quindi r D2,n 2n = = 2n−1 2 2 • Il gioco della torre di Hanoi. Si hanno tre pioli e n dischi di diametro decrescente infilati uno sull’altro nel primo piolo. Il gioco consiste nel costruire la torre di dischi su un altro piolo rispettando le seguenti regole: 1. si sposta un disco alla volta 2. un disco non deve mai poggiare su un altro di diametro inferiore 634 9.4. PERMUTAZIONI Quant’è il numero minimo di mosse necessario per costruire la torre di n dischi? (Questo gioco si chiama così perché la leggenda narra che in Hanoi c’era un tempio buddista con 64 anelli d’oro infilati in un piolo. Ogni giorno i monaci ne spostavano uno con le regole suddette e quando avessero terminato la torre su un altro piolo sarebbe avvenuta la fine del mondo. Dopo quanti giorni sarebbe avvenuta la fine del mondo? In realtà questa è una trovata pubblicitaria di chi ha inventato il gioco) Se n = 1 è necessaria una mossa, cioè 21 − 1 mosse. Se n = 2 sono necessarie tre mosse, cioè 22 − 1 mosse. Se n = 3 sono necessarie sette mosse, cioè 23 − 1 mosse. In generale sono necessarie 2n − 1 mosse. Dimostriamo questo risultato con il principio di induzione. Se n = 1 è necessaria una mossa, cioè 21 − 1 mosse. Supponendo che la formula sia vera per n dischi, dimostriamo che è vera per n + 1 dischi. Nel caso di n + 1 dischi, incominciamo a spostare gli n dischi superiori dalla prima alla seconda colonna: sono necessarie 2n − 1 mosse. Spostiamo poi il disco più grande dalla prima colonna alla terza, con una mossa. Infine, spostiamo gli n dischi dalla seconda alla terza colonna sul disco più grande: sono necessarie 2n − 1 mosse. Per spostare gli n + 1 dischi, sono necessarie 2n − 1 + 1 + 2n − 1 = 2 · 2n − 1 = 2(n+1) − 1 mosse. Se n = 64, sono necessarie 264 − 1 = 18446744073709551615 mosse. Supponendo di fare una mossa al secondo, ci vorrebbero 584.942.417.355 anni. 9.4 Permutazioni Definizione 9.4.1 (Permutazioni). Si dicono permutazioni i gruppi ordinati che si possono formare con n elementi distinti, in modo che ogni gruppo differisca per l’ordine. Le permutazioni di n elementi sono le disposizioni semplici di n elementi a gruppi di n. Il numero delle permutazioni di n elementi si indica con Pn . Teorema 9.4.1 (Numero Permutazioni). Il numero delle permutazioni di n elementi è n fattoriale, cioè: Pn = n! Esempio 9.4.1. • Quanti anagrammi (anche privi di senso) si possono fare con la parola amore? Ogni anagramma è una permutazione di 5 elementi (a,m,o,r,e), quindi il numero di anagrammi è: P5 = 5! = 120 • Sulla scacchiera in quanti modi si possono disporre 8 torri in modo che non si catturino a vicenda (non ci devono essere due torri sulla stessa riga o colonna)? Il numero dei modi in cui si possono disporre le 8 torri è P8 = 8! = 40320 • Risolvere le seguenti equazioni: 1. Pn − 3Pn−1 = 3Pn−2 2. P2n+1 = 2P2n + 6P2n−1 635 CAPITOLO 9. CALCOLO COMBINATORIO 3. Pn+2 = 4Pn+1 + 4Pn 1. n ∈ N ∧ n ≥ 2 n≥2 n! − 3(n − 1)! = 3(n − 2)! n(n − 1)(n − 2)! − 3(n − 1)(n − 2)! − 3(n − 2)! = 0 (n − 2)! (n(n − 1) − 3(n − 1) − 3) = 0 Ä ä (n − 2)! n2 − n − 3n + 3 − 3 = 0 Ä ä (n − 2)! n2 − 4n = 0 Poiché (n − 2)! 6= 0 si ha n2 − 4n = 0 n=0∨n=4 L’unica soluzione accettabile è n = 4 2. n ∈ N ∧ n ≥ 1 (2n + 1)! = 2(2n)! + 6(2n − 1)! (2n + 1)2n(2n − 1)! − 2(2n)(2n − 1)! − 6(2n − 1)! = 0 (2n − 1)! ((2n + 1)2n − 2(2n) − 6) = 0 Ä ä (2n − 1)! 4n2 + 2n − 4n − 6 = 0 Poiché (2n − 1)! 6= 0 si ha 4n2 − 2n − 6 = 0 √ 1±5 1 ± 1 + 24 = n= 4 4 3 n = ∨ n = −1 2 Entrambe le soluzioni non sono accettabili e quindi l’equazione è impossibile. 3. n ∈ N (n + 2)! = 4(n + 1)! + 4n! (n + 2)(n + 1)n! − 4(n + 1)n! − 4n! = 0 n! ((n + 2)(n + 1) − 4(n + 1) − 4) = 0 Ä ä n! n2 + 3n + 2 − 4n − 4 − 4 = 0 Poiché n! 6= 0 si ha n2 − n − 6 = 0 √ 1 ± 1 + 24 1±5 n= = 2 2 n = 3 ∨ n = −2 L’unica soluzione accettabile è n = 3. 636 9.5. PERMUTAZIONI CON ELEMENTI RIPETUTI • Semplificare le seguenti espressioni: Pn+2 − 3n − 2 Pn 2. P8 + P7 − P6 4(n + 2)nPn−1 3. con n ≥ 1 Pn + Pn+1 1. (n + 2)! (n + 2)(n + 1)n! − 3n − 2 = − 3n − 2 = (n + 2)(n + 1) − 3n − 2 = n2 n! n! 2. 8! + 7! − 6! = 8 · 7 · 6! + 7 · 6! − 6! = 6!(56 + 7 − 1) = 62 · 6! = 44640 4(n + 2)(n − 1)!n 4(n + 2)(n − 1)!n 4(n + 2)(n − 1)!n 4(n + 2)(n − 1)!n = = = =4 3. n! + (n + 1)! n!(1 + (n + 1)) n!(n + 2) n(n − 1)!(n + 2) 1. 9.5 Permutazioni con elementi ripetuti Definizione 9.5.1 (Permutazioni con elementi ripetuti). Si dicono permutazioni con elementi ripetuti i gruppi ordinati che si possono formare con n elementi con almeno due uguali in modo che ogni gruppo differisca per l’ordine. Il numero delle permutazioni con elementi ripetuti di n elementi di cui n1 uguali, . . ., nr uguali, si r indica con Pn,n . 1 ,...,nr Teorema 9.5.1 (Numero delle permutazioni con elementi ripetuti). Il numero delle permutazioni di n elementi di cui n1 uguali, . . ., nr uguali è dato dal rapporto tra tutte le permutazioni possibili e il prodotto delle possibili permutazioni degli oggetti che si ripetono: r Pn,n = 1 ,...,nr n! n1 ! · . . . · nr ! Esempio 9.5.1. Quanti anagrammi (anche privi di senso) si possono fare con la parola casa? Poiché si hanno 4 elementi (c,a,s,a) di cui uno ripeturo due volte, il numero di anagrammi è: r P4,2 = 4! = 12 2! 9.6 Combinazioni semplici Definizione 9.6.1 (Combinazioni semplici). Si dicono combinazioni semplici o combinazioni i gruppi di k elementi distinti, che si possono formare con n elementi distinti (1 ≤ k ≤ n) in modo che ogni gruppo differisca per almeno un elemento. Il numero delle combinazioni semplici di n elementi a gruppi di k si indica con Cn,k . Teorema 9.6.1 (Numero combinazioni semplici). Il numero delle combinazioni semplici di n elementi a gruppi di k è uguale al rapporto tra le disposizioni semplici di n elementi a gruppi di k e le permutazioni di k elementi: Cn,k = Dn,k n(n − 1) · . . . · (n − k + 1) = Pk k! 9.7 Coefficienti binomiali Definizione 9.7.1 (Coefficiente binomiale). Dati n.k ∈ N con k ≤ n, si dice coefficiente binomiale il numero Ç å n k = n! k!(n − k)! 637 CAPITOLO 9. CALCOLO COMBINATORIO Ç å n k si legge n su k. Teorema 9.7.1 (Proprietà del coefficiente binomiale). se 1 ≤ k ≤ n, allora Ç å Cn,k = n k Esempio 9.7.1. • Un barman ha venti qualità di liquore. Usandone quattro alla volta, quanti generi di cocktail può preparare? Ogni cocktail è una combinazione semplice di 20 elementi a gruppi di 4. Il numero di cocktail che può preparare è C20,4 = 20! 20 · 19 · 18 · 17 = = 5 · 19 · 3 · 17 = 4845 4!16! 4·3·2 • Il gioco del lotto premia chi indovina almeno uno dei cinque numeri estratti (senza rimessa) da un’urna con 90 numeri. Le estrazioni avvengono in 10 città, quindi bisogna specificare su quale città (o ruota) si gioca. 1. Determinare il numero delle possibili cinquine 2. Determinare quante sono le estrazioni in cui esce un numero giocato 3. Determinare quante sono le estrazioni in cui esce un ambo (due numeri) giocato 4. Determinare quante sono le estrazioni in cui esce un terno (tre numeri) giocato 5. Determinare quante sono le estrazioni in cui esce una quaterna (quattro numeri) giocata 6. Determinare quante sono le estrazioni in cui esce una cinquina (cinque numeri) giocata 1. Le cinquine possibili sono le combinazioni semplici di 90 elementi a gruppi di 5: Ç C90,5 = å 90 5 = 43949268 2. Le estrazioni in cui esce un numero giocato sono le possibili quaterne costruibili utilizzando gli 89 numeri rimanenti: Ç C89,4 = å 89 4 = 2441626 3. Le estrazioni in cui esce un ambo giocato sono le possibili terne costruibili utilizzando gli 88 numeri rimanenti: Ç C88,3 = å 88 3 = 109736 4. Le estrazioni in cui esce un terno giocato sono le possibili coppie costruibili utilizzando gli 87 numeri rimanenti: Ç C87,2 = å 87 2 = 3741 5. Le estrazioni in cui esce una quaterna giocata sono gli 86 numeri rimanenti: Ç C86,5 = å 86 1 = 86 6. Si ha una sola estrazione in cui esce la cinquina giocata: Ç å 85 0 =1 638 9.8. ESERCIZI SUL CALCOLO COMBINATORIO 9.8 Esercizi sul calcolo combinatorio Esempio 9.8.1. • Quante bandiere tricolori si possono formare con i sette colori dell’arcobaleno? Ogni bandiera è una disposizione semplice di 7 elementi a gruppi di 3. Le bandiere tricolori che si possono formare con i sette colori dell’arcobaleno sono: D7,3 = 7 · 6 · 5 = 210 • Quante diagonali ha un poligono di n lati? Un poligono di n lati ha n vertici. Ogni segmento che ha per estremi due vertici del poligono è una combinazione di n elementi a gruppi di 2. Poiché ogni segmento è un lato o una diagonale, il numero di diagonali è Cn,2 − n = n! n(n − 1) n2 − n − 2n n(n − 3) −n= −n= = 2!(n − 2)! 2 2 2 • In quanti modi si possono sistemare 7 persone in una file di 10 poltrone? Ogni sistemazione è una disposizione semplice di 10 elementi a gruppi di 7. Il numero di modi in cui si possono sistemare le persone è D10,7 = 10 · 9 · 8 · 7 · 6 · 5 · 4 = 604800 • Nel gioco del lotto, quante cinquine contengono il 90? Ogni cinquina che contiene il 90 è una combinazione semplice degli 89 numeri rimanenti a gruppi di 4. Le cinquine che contengono il 90 sono: Ç C89,4 = å 89 4 = 2441626 • Dati 10 punti di un piano, tre dei quali non sono mai allineati, quante rette si possono tracciare congiungendo i punti a due a due? Poiché una retta è individuata da due punti distinti, ogni retta è una combinazione semplice di 10 elementi a gruppi di 2. Il numero delle rette che uniscono due punti è C10,2 = 10! 10 · 9 = = 45 2!8! 2 • Quanti triangoli si possono formare con 5 punti del piano tre dei quali non sono mai allineati? Poiché ogni triangolo è individuato da tre punti distinti, ogni triangolo è una combinazione semplice di 5 elementi a gruppi di 3. Il numero di triangoli che si possono formare è: C5,3 = 5·4 5! = = 10 3!2! 2 • In un’urna ci sono 20 palline numerate da 1 a 20. Cinque sono bianche, le altre sono di un altro colore. Quante quaterne distinte si possono estrarre in modo che in ognuna di esse ci sia almeno una pallina bianca? Ogni quaterna è una combinazione semplice di 20 elementi a gruppi di 4. Ogni quaterna che non ha palline bianche è una combinazione semplice di 15 elementi a gruppi di 4. Il numero di quaterne che hanno almeno una pallina bianca è: C20,4 − C15,4 = 20! 15! 20 · 19 · 18 · 17 15 · 14 · 13 · 12 − = − = 4!16! 4!11! 24 24 5 · 19 · 3 · 17 − 15 · 7 · 13 = 3480 639 CAPITOLO 9. CALCOLO COMBINATORIO • In un’urna ci sono 20 palline numerate da 1 a 20. Cinque sono bianche, le altre sono di un altro colore. Quante quaterne distinte si possono estrarre in modo che in ognuna di esse ci sia una pallina bianca? Ogni quaterna deve essere costituita da una pallina bianca e da 3 di altro colore. Per ogni pallina bianca, il numero di quaterne possibili è il numero di combinazioni semplici di 15 elementi a gruppi di 3. Poiché le palline bianche sono 5, il numero di quaterne che hanno una pallina bianca è: 5C15,3 = 5 15! 15 · 14 · 13 =5 = 5 · 5 · 7 · 13 = 2275 3!12! 6 • Determinare 1. In quanti modi 3 ragazzi e 2 ragazze possono mettersi in fila? 2. In quanti modi possono mettersi in fila se i ragazzi vogliono essere vicini e le ragazze vogliono essere vicine? 1. Ogni sistemazione è una permutazione di 5 elementi. Il numero delle possibili sistemazioni è: P5 = 5! = 120 2. Il numero dei modi in cui si possono disporre in fila i 3 ragazzi è il numero di permutazioni di 3 elementi. Il numero dei modi in cui si possono disporre in fila le 2 ragazze è il numero di permutazioni di 2 elementi. Il numero di modi in cui si possono disporre i due gruppi è il numero di permutazioni di due eleenti. Il numero delle possibili sistemazioni è: P2 P3 P2 = 2! · 3! · 2! = 24 • In quanti modi si possono mettere in fila 3 italiani, 4 francesi, 4 inglesi e 2 olandesi se le persone di ogni nazione vogliono stare vicini? Il numero dei modi in cui si possono disporre in fila i 3 italiani è il numero di permutazioni di 3 elementi. Il numero dei modi in cui si possono disporre in fila i 4 francesi è il numero di permutazioni di 4 elementi. Il numero dei modi in cui si possono disporre in fila i 4 inglesi è il numero di permutazioni di 4 elementi. Il numero dei modi in cui si possono disporre in fila i 2 olandesi è il numero di permutazioni di 2 elementi. Il numero di modi in cui si possono disporre i quattro gruppi è il numero di permutazioni di 4 eleenti. Il numero delle possibili sistemazioni è: P4 P3 P4 P4 P2 = 4!3!4!4!2! = 165888 • Quanti anagrammi (anche privi di senso) si possono fare con la parola notte? Poiché la lettera t compare 2 volte, ogni anagramma è una permutazione di 5 elementi con 2 elementi ripetuti. Il numero di anagrammi è: r P5,2 = 5! = 60 2! • Sapendo che il numero delle combinazioni di n oggetti a gruppi di 4 è sestuplo delle combinazioni degli stessi oggetti a gruppi di 2, trovare n. n≥4 640 9.8. ESERCIZI SUL CALCOLO COMBINATORIO Cn,4 = 6Cn,2 n! n! =6 4!(n − 4)! 2!(n − 2)! 6n! n! = 24(n − 4)! 2(n − 2)(n − 3)(n − 4)! n!(n − 2)(n − 3) 72n! = 24(n − 2)(n − 3)(n − 4)! 24(n − 4)(n − 3)(n − 2)! n!(n − 2)(n − 3) = 72n! n2 − 5n + 6 = 72 n2 − 5n − 66 = 0 5 ± 17 n1,2 = 2 n1 = 11 n2 = −6 Poiché n ≥ 4, la soluzione è 11. 641 Capitolo 10 Probabilità 10.1 Introduzione La teoria della probabilità nacque poco più di 300 anni fa. Lo spunto fu il gioco d’azzardo (carte, dadi, ect.). Alcuni giocatori chiesero a Galileo perché gettando tre dadi la somma dei numeri è più spesso 10 che 9. Nel 1654 un giocatore d’azzardo, il Cavaliere di Méré, pose al matematico Blaise Pascal il seguente interrogativo: perché si è avvantaggiati se si scommette che su quattro lanci di un dado esce almeno un 6 (aveva constatato che in tante partite in cui scommetteva che usciva almeno un 6 con 4 lanci in media vinceva, con 3 lanci in media perdeva) mentre si è svantaggiati se si scommette che su ventiquattro lanci di una coppia di dadi esce una coppia di 6 (aveva constatato che in tante partite in cui scommetteva che usciva almeno una coppia di 6 con 24 lanci in media perdeva, con 25 lanci in media vinceva). Méré pensava che le possibilità di vincita dovevano essere uguali perché 4 sta a 6 come 24 sta a 36 (4 lanci con 6 possibilità per ogni lancio, 24 lanci con 36 possibilità per ogni lancio). La risposta di Pascal, elaborata dopo una corrispondenza con Pierre de Fermat, è l’inizio del calcolo delle probabilità. Il primo che fece di questo argomento un vero e proprio ramo della ricerca matematica fu lo svizzero Giacomo Bernoulli nel 1713 e la prima sistemazione rigorosa fu fatta dal francese Laplace nel 1812. Oggi le nozioni di probabilità e di statistica sono presenti in tutte le scienze, le usano i politici, i medici, i fisici, gli ingegneri ect. Ci sono varie definizioni di probabilità, ognuna con pregi e difetti quindi di per se non ha tanto senso definire la probabilità. Non ci preoccuperemo molto nel definire le probabilità degli eventi elementari (per esempio determinare la probabilità che esca testa nel lancio di una moneta) ma supponendo nota la probabilità dell’evento elementare cercheremo di determinare 1 la probabilità di eventi composti (supponendo che la probabilità che esca testa in un lancio sia 2 determiniamo la probabilità che escano 5 teste in 20 lanci). Per risolvere un esercizio di probabilità si possono utilizzare più metodi: il calcolo combinatorio, i teoremi delle probabilità, le distribuzioni di probabilità fondamentali. A seconda dei casi, un metodo può essere più semplice di un altro. Studieremo quattro definizioni di probabilità: classica, statistica, soggettiva, assiomatica. Le quattro definizioni utilizzano il concetto di evento. 10.2 Eventi Definizione 10.2.1 (Fenomeni casuali). Un fenomeno si dice casuale se è non deterministico, cioè se il suo esito non è determinabile a priori. Esempio 10.2.1. Il lancio di un dado, l’estrazione di una carta, il lancio di una moneta, ecc. sono fenomeni casuali. Si dice prova o esperimento la singola esecuzione di un fenomeno casuale Definizione 10.2.2 (Spazio degli eventi). Si dice spazio degli eventi o spazio campione di un fenomeno casuale l’insieme di tutti i possibili esiti 642 10.2. EVENTI del fenomeno casuale. Lo spazio degli eventi si indica in genere con S o con Ω. Esempio 10.2.2. Se si considera come fenomeno casuale il numero che esce nel lancio di un dado, allora S = {1, 2, 3, 4, 5, 6} Definizione 10.2.3 (Evento). Si dice evento un sottoinsieme dello spazio degli eventi. Esempio 10.2.3. Se si considera come fenomeno casuale il numero che esce nel lancio di un dado, allora A = {2, 4, 6} ⊆ S è un evento (esce un numero pari nel lancio di un dado). Definizione 10.2.4 (Evento elementare). Si dice evento elementare un evento costituito da un un solo elemento. Esempio 10.2.4. Se si considera come fenomeno casuale il numero che esce nel lancio di un dado, allora A = {1} è un evento elementare. Definizione 10.2.5 (Evento certo). Si dice evento certo lo spazio campione. Esempio 10.2.5. Se si considera come fenomeno casuale il numero che esce nel lancio di un dado, allora l’evento “esce un numero minore di 7” è un evento certo. Definizione 10.2.6 (Evento impossibile). Si dice evento impossibile l’insieme vuoto Esempio 10.2.6. Se si considera come fenomeno casuale il numero che esce nel lancio di un dado, allora l’evento “esce un numero maggiore di 7” è un evento impossibile. Si dice che in una prova si è verificato l’evento A se l’esito della prova appartiene ad A, altrimenti si dice che l’evento non si è verificato. Gli esiti che verificano un evento si dicono favorevoli all’evento. Poiché gli eventi sono insiemi, si possono utilizzare le operazioni tra insiemi. Siano A e B due eventi legati allo stesso fenomeno casuale. Definizione 10.2.7 (Evento somma). Si dice evento somma di A e B l’evento che risulta dal verificarsi di almeno uno degli eventi A o B e si indica con A ∪ B. Esempio 10.2.7. Se si considera come fenomeno casuale il numero che esce nel lancio di un dado, allora l’evento “esce un numero pari o un numero minore di 4” è la somma degli eventi A=“esce un numero pari” e B=“esce un numero minore di 4”: A ∪ B = {1, 2, 3, 4, 6}. Definizione 10.2.8 (Evento prodotto). Si dice evento prodotto di A e B l’evento che risulta dal verificarsi di entrambi gli eventi A e B e si indica con A ∩ B. Esempio 10.2.8. Se si considera come fenomeno casuale il numero che esce nel lancio di un dado, allora l’evento “esce un numero pari e un numero minore di 4” è il prodotto degli eventi A=“esce un numero pari” e B=“esce un numero minore di 4”: A ∩ B = {2} Definizione 10.2.9 (Evento complementare). Si dice evento complementare di A l’evento che si verifica quando non si verifica A e si indica con A. 643 CAPITOLO 10. PROBABILITÀ Esempio 10.2.9. Se si considera come fenomeno casuale il numero che esce nel lancio di un dado, allora l’evento “esce un numero pari” è il complementare dell’evento A=“esce un numero dispari”: A = {2, 4, 6} Vediamo alcune proprietà degli eventi che derivano direttamente dalle definizioni e dalle proprietà delle operazioni tra insiemi. 1. S = ∅ 2. ∅ = S 3. A ∪ A = S 4. A ∩ A = ∅ Definizione 10.2.10 (Eventi incompatibili). Gli eventi A e B si dicono incompatibili se sono disgiunti, cioè se A ∩ B = ∅ Due eventi incompatibili non possono verificarsi simultaneamente. Esempio 10.2.10. Se si considera come fenomeno casuale il numero che esce nel lancio di un dado, allora l’evento A=“esce un numero pari” e l’evento B=“esce il 5” sono incompatibili. Definizione 10.2.11 (Eventi compatibili). Gli eventi A e B si dicono compatibili se non sono disgiunti, cioè se A ∩ B 6= ∅ Due eventi compatibili possono verificarsi simultaneamente. Esempio 10.2.11. Se si considera come fenomeno casuale il numero che esce nel lancio di un dado, allora l’evento A=“esce un numero pari” e l’evento B=“esce un numero primo” sono due eventi compatibili. Definizione 10.2.12 (Sistema completo di eventi). Più eventi formano un sistema completo di eventi se la loro unione è lo spazio degli eventi. Esempio 10.2.12. Se si considera come fenomeno casuale il numero che esce nel lancio di un dado, allora l’evento A=“esce un numero pari” e l’evento B=“esce un numero dispari” formano un sistema completo di eventi. 10.3 Definizione classica di probabilità Definizione 10.3.1 (Probabilità). Se un fenomeno casuale ha n esiti equiprobabili, si dice probabilità di un evento A associato al fenomeno il rapporto tra il numero di esiti favorevoli ad A e il numero n di esiti possibili e si indica con P (A). Questa definizione, dovuta a Laplace, è intuitiva e si basa su giudizi di simmetria. Esempio 10.3.1. Se si considera come fenomeno casuale il numero che esce nel lancio di un dado e come evento A=“esce 1 il 5”, allora P (A) = . 6 Infatti ci sono 6 risultati possibili e uno favorevole. 10.3.1 Proprietà della probabilità classica Teorema 10.3.1 (Proprietà della probabilità classica). Siano A e B due eventi associati allo stesso fenomeno casuale e S lo spazio degli eventi. 1. P (A) ≥ 0 per ogni evento A 2. P (S) = 1 644 10.3. DEFINIZIONE CLASSICA DI PROBABILITÀ 3. Se A e B sono eventi incompatibili, allora P (A ∪ B) = P (A) + P (B) 4. P (A) = 1 − P (A) 5. P (∅) = 0 6. Se A ⊆ B, allora P (A) ≤ P (B) 7. 0 ≤ P (A) ≤ 1 per ogni evento A 10.3.2 Critiche alla definizione classica La definizione classica di probabilità presenta alcuni problemi: 1. non sempre gli eventi sono equiprobabili (dado truccato) 2. non sempre i casi possibili sono in numero finito 3. la definizione è circolare: si usa la parola “equiprobabili” ( stessa probabilità) per definire la probabilità 10.3.3 Esempi sulla definizione classica Esempio 10.3.2. • Un’urna contiene 7 palline bianche e 5 rosse. Calcolare la probabilità che estraendo una pallina a caso si verifichino i seguenti eventi: 1. A=“la pallina è bianca” 2. B=“la pallina è rossa“ 3. C=”la pallina è bianca o rossa“ I casi possibili sono 7 + 5 = 12 1. Poiché per l’vento A ci sono 7 casi favorevoli, P (A) = 7 12 2. Poiché per l’evento B ci sono 5 casi favorevoli, P (B) = 5 12 3. Poiché per l’evento C ci sono 12 casi favorevoli, P (C) = 12 =1 12 • Gioco del lotto. Calcolare la probabilità di vincita nel caso che si sia giocato 1. un numero 2. un ambo 3. un terno 4. una quaterna 5. una cinquina I casi possibili sono C90,5 . 645 CAPITOLO 10. PROBABILITÀ 1. Poiché i casi favorevoli all’evento che esca il numero giocato sono C89,4 , la probabilità di vincita è: C89,4 1 = C90,5 18 2. Poiché i casi favorevoli all’evento che esca l’ambo giocato sono C88,3 , la probabilità di vincita è: 2 C88,3 = C90,5 801 3. Poiché i casi favorevoli all’evento che esca il terno giocato sono C87,2 , la probabilità di vincita è: C87,2 1 = C90,5 11748 4. Poiché i casi favorevoli all’evento che esca la quaterna giocata sono C86,1 , la probabilità di vincita è: 1 C86,1 = C90,5 511038 5. Poiché i casi favorevoli all’evento che esca la cinquina giocata sono C85,0 = 1, la probabilità di vincita è: C85,0 1 = C90,5 43949268 • Qual’è la probabilità che, nel lancio di due dadi, il totale dei punti sia almeno 10? L’evento ”totale almeno 10“ è la somma degli eventi: ”totale 10“, ”totale 11“, ”totale 12“. Poiché i tre eventi sono incompatibili, la probabilità che il totale sia almeno 10 è uguale alla somma delle probabilità: 3 2 1 6 1 + + = = 36 36 36 36 6 10.4 Definizione frequentistica di probabilità Consideriamo un fenomeno casuale, come ad esempio il lancio di un dado. Eseguiamo n prove di quel fenomeno in condizioni identiche, sia v il numero di prove in cui si verifica l’evento A. Definizione 10.4.1 (Frequenza relativa). Se, nell’esecuzione di n prove di un fenomeno casuale, l’evento A si è verificato v volte, si dice frequenza relativa f dell’evento A il rapporto tra il numero delle prove favorevoli all’evento e il numero delle prove totali. In simboli: v f= n Se n è piccolo, la frequenza ha un carattere aleatorio, cioè può cambiare notevolmente se si ripete lo stesso numero di prove. Esempio 10.4.1. Consideriamo come fenomeno casuale il lancio di una moneta. Eseguiamo 10 prove e calcoliamo la frequenza dell’evento A =“esce testa”. Eseguendo altre 10 prove e ricalcolando la frequenza di A, molto probabilmente si ottengono due numeri diversi. Se n è grande, la frequenza perde sempre di più il carattere aleatorio e diventa quasi costante al ripetersi dei gruppi di prove. Questo si è visto in molti casi sperimentali. Definizione 10.4.2 (Probabilità). Si dice probabilità frequentistica dell’evento A la frequenza relativa dell’evento A per n molto grande e si indica con P (A). La probabilità frequentistica gode delle stesse proprietà della probabilità classica. 646 10.5. DEFINIZIONE ASSIOMATICA DI PROBABILITÀ 10.4.1 Critiche alla definizione frequentistica Nella definizione di probabilità frequentistica non è specificato quanto deve essere grande n, inoltre è difficile effettuare molte prove nelle stesse condizioni. 10.5 Definizione assiomatica di probabilità La definizione assiomatica di probabilità è dovuta a Kolmogorov. Definizione 10.5.1 (Probabilità ). Dato lo spazio degli eventi S, a ogni evento A incluso in S è associato un numero reale P (A) detto probabilità di A che soddisfa i seguenti assiomi: 1. P (A) ≥ 0 2. P (S) = 1 3. se A e B sono sono eventi incompatibili, allora P (A ∪ B) = P (A) + P (B) 10.5.1 Proprietà della probabilità assiomatica Teorema 10.5.1 (Proprietà della probabilità assiomatica). 1. Per ogni evento A, P (A) = 1 − P (A) 2. P (∅) = 0 3. Se A e B sono due eventi tali che A ⊆ B, allora P (A) ≤ P (B) 4. Per ogni evento A, 0 ≤ P (A) ≤ 1 5. Per ogni coppia di eventi A, B P (A ∪ B) = P (A) + P (B) − P (A ∩ B) 6. Se A1 , . . . , An sono eventi a due a due incompatibili, allora P (A1 ∪ . . . ∪ An ) = P (A1 ) + . . . + P (An ) 7. Se A1 , . . . , An sono eventi a due a due incompatibili e A1 ∪ . . . ∪ An = S, allora P (A1 ) + . . . + P (An ) = 1 Osservazione Se S è formato dagli eventi elementari A1 , . . . , An , allora P (A1 ) + . . . + P (An ) = 1 Quindi, come probabilità per gli eventi elementari possiamo scegliere qualsiasi numero positivo purché la somma sia 1. In particolare, se supponiamo che gli eventi elementari siano equiprobabili, possiamo prendere come 1 probabilità per ogni evento il numero ; se A è un evento composto formato da m di questi eventi n m elementari, la sua probabilità è . n In questo modo abbiamo ottenuto la definizione di probabilità classica: quelli che per la definizione assiomatica sono assiomi, per la definizione classica sono teoremi. Se, nella definizione assiomatica, lo spazio degli eventi è finito e le probabilità degli eventi elementari sono tutte uguali otteniamo la definizione classica; quindi la definizione classica è un caso particolare di quella assiomatica. Osservazione In generale sarà l’esperienza a suggerire in quale modo deve essere assegnata la probabilità agli eventi elementari: si possono fare considerazioni di tipo geometrico nelle monete e nei dadi, di uniformità nel caso di estrazioni di palline o di carte, soggettivo nelle scommesse, statistico nelle assicurazioni. 647 CAPITOLO 10. PROBABILITÀ 10.5.2 Esempi sulla definizione assiomatica Esempio 10.5.1. • Un dado è truccato in modo che la probabilità che si presenti un numero sia proporzionale al numero stesso. In un lancio, determinare: 1. la probabilità di ogni evento elementare 2. la probabilità che esca un numero pari 3. la probabilità che esca un numero primo 4. la probabilità che esca un numero dispari 5. la probabilità che esca un numero pari o primo 6. la probabilità che esca un numero primo dispari 7. la probabilità che esca un numero pari non primo 1. Indicando con P (n) la probabilità che esca il numero n, si ha: P (1) = x, P (2) = 2x, P (3) = 3x, P (4) = 4x, P (5) = 5x, P (6) = 6x Poiché la somma delle probabilità è 1, si ha: x + 2x + 3x + 4x + 5x + 6x = 1 da cui x= 1 21 Quindi P (1) = 2 3 4 5 6 1 , P (2) = , P (3) = , P (4) = , P (5) = , P (6) = 21 21 21 21 21 21 2. La probabilità che esca un numero pari è P (2) + P (4) + P (6) = 4 7 3. La probabilità che esca un numero primo è P (2) + P (3) + P (5) = 10 21 4. Poiché l’evento che esca un numero dispari è il complementare dell’evento che esca un numero pari, la probabilità che esca un numero dispari è 1− 4 3 = 7 7 5. Poiché gli eventi “esce un numero pari” e “esce un numero primo” sono compatibili non si può applicare il terzo assioma. La probabilità che esca un numero pari o primo è P (2) + P (4) + P (6) + P (3) + P (5) = 20 21 6. La probabilità che esca un numero primo dispari è P (3) + P (5) = 8 21 7. La probabilità che esca un numero pari non primo è P (4) + P (6) = 10 21 648 10.6. PROBABILITÀ CONDIZIONATA 10.6 Probabilità condizionata Definizione 10.6.1 (Probabilità condizionata). Si dice probabilità dell’evento A condizionato all’evento B la probabilità del verificarsi dell’evento A sapendo che si è verificato l’evento B e si indica con P (A/B). Esempio 10.6.1. Nel lancio di due dadi, qual è la probabilità di ottenere 8 (evento A) sapendo che esce un numero pari (evento B)? I casi favorevoli all’evento A sono 5: 2+6,3+5,4+4,5+3,6+2. Sapendo che la somma è pari i casi possibili sono 18, quindi P (A/B) = 5 18 La formula della probabilità condizionata, nel caso di definizione classica di probabilità è un teorema; nel caso di definizione assiomatica di probabilità, è una definizione. Definizione 10.6.2 (Probabilità condizionata). Si dice probabilità dell’evento A condizionato all’evento B, con P (B) > 0, il rapporto tra P (A ∩ B) e P (B). In simboli: P (A/B) = 10.7 P (A ∩ B) P (B) Teorema del prodotto Teorema 10.7.1 (Teorema del prodotto). Dati due eventi A e B, si ha P (A ∩ B) = P (A)P (B/A) Esempio 10.7.1. Un’urna contiene b palline bianche e n palline nere. Qual è la probabilità di estrarre (senza rimessa) due palline di colore diverso? Consideriamo i seguenti eventi: A= prima estratta bianca B= seconda estratta nera C= prima estratta nera D= seconda estratta bianca Siamo interessati agli eventi bianca-nera e nera-bianca: P ((A ∩ B) ∪ (C ∩ D)) = P (A ∩ B) + P (C ∩ D) = P (A)P (B/A) + P (C)P (D/C) = b n n b 2bn + = b+nb+n−1 b+nb+n−1 (b + n)(b + n − 1) 10.8 Eventi indipendenti Definizione 10.8.1 (Eventi indipendenti). Due eventi si dicono indipendenti se il verificarsi di uno non modifica la probabilità dell’altro. Se A e B sono due eventi indipendenti, P (A/B) = P (A) e P (B/A) = P (B). Teorema 10.8.1 (Teorema del prodotto di eventi indipendenti). Se A e B sono due eventi indipendenti, allora P (A ∩ B) = P (A)P (B) 649 CAPITOLO 10. PROBABILITÀ Teorema 10.8.2 (Teorema della somma di eventi indipendenti). Se A e B sono due eventi indipendenti, allora P (A ∪ B) = P (A) + P (B) − P (A)P (B) Esempio 10.8.1. • Un’urna contiene 2 palline bianche e 10 palline nere; in un’altra urna ci sono 8 palline bianche e 4 palline nere. Si estrae una pallina da ciascuna urna. Qual è la probabilità che le due palline estratte siano bianche? Consideriamo i seguenti eventi: A= estrazione di una pallina bianca dalla prima urna B= estrazione di una pallina bianca dalla seconda urna Poiché A e B sono eventi indipendenti P (A ∩ B) = P (A)P (B) = 2 8 1 = 12 12 9 • Tre tiratori tirano al bersaglio. Le probabilità di un centro sono rispettivamente 0, 75, 0, 80 e 0, 90. Determinare: 1. la probabilità che tutti e tre facciano centro 2. la probabilità che almeno un tiratore faccia centro Consideriamo i seguenti eventi: A= primo tiratore fa centro B= secondo tiratore fa centro C= terzo tiratore fa centro Gli eventi A, B e C sono indipendenti. 1. La probabilità che tutti e 3 i tiratori facciano centro è P (A ∩ B ∩ C) = P (A)P (B)P (C) = 0, 75 · 0, 80 · 0, 90 = 0, 54 2. Poiché la probabilità che nessun tiratore faccia centro è: P (A ∩ B ∩ C) = P (A)P (B)P (C) = 0, 25 · 0, 20 · 0, 10 = 0, 005 la probabilità che almeno uno faccia centro è: 1 − P (A ∩ B ∩ C) = 1 − 0, 005 = 0, 995 • Un tiratore tira successivamente 3 colpi su un bersaglio. Dati i seguenti eventi A =colpire il bersaglio con il primo colpo, B =colpire il bersaglio con il secondo colpo, C =colpire il bersaglio con il terzo colpo, siano P (A) = 0, 4 P (B) = 0, 5 e P (C) = 0, 7. Determinare la probabilità dell’evento D =il bersaglio sia colpito da un solo colpo. D = (A ∩ B ∩ C) ∪ (A ∩ B ∩ C) ∪ (A ∩ B ∩ C) P (D) = P (A)P (B)P (C) + P (A)P (B)P (C) + P (A)P (B)P (C) = 0, 4 · 0, 5 · 0, 3 + 0, 6 · 0, 5 · 0, 3 + 0, 6 · 0, 5 · 0, 7 = 0, 36 650 10.9. TEOREMA DELLE PROBABILITÀ TOTALI 10.9 Teorema delle probabilità totali Teorema 10.9.1 (Teorema delle probabilità totali). Dati n eventi H1 , . . . , Hn che formano una partizione dello spazio degli eventi S e l’evento A ⊆ S, si ha: P (A) = P (H1 )P (A/H1 ) + . . . + P (Hn )P (A/Hn ) Esempio 10.9.1. Si hanno 3 urne: la prima contiene 2 palline bianche e 1 nera, la seconda contiene 10 palline nere, la terza contiene 3 palline bianche e 1 nera. Si sceglie a caso un’urna e si estrae una pallina. Calcolare la probabilità dell’evento A =la pallina estratta è bianca. Consideriamo i seguenti eventi: H1 =estrazione dalla prima urna H2 =estrazione dalla seconda urna H3 =estrazione dalla terza urna P (A) = P (H1 )P (A/H1 ) + P (H2 )P (A/H2 ) + P (H3 )P (A/H3 ) = 12 1 0 13 17 + + = 3 3 3 10 3 4 36 Osservazione Per risolvere problemi che utilizzano il teorema delle probabilità totali può essere conveniente costruire un diagramma ad albero con le probabilità su ogni ramo. Il diagramma ad albero dell’esempio precedente è il seguente: 1 3 1 3 1 2 3 2 1 3 n b 1 3 3 1 n 3 4 b 1 4 n Figura 10.1: probabilità totali Per determinare la probabilità richiesta: 1. Si considerano i rami che portano alll’evento desiderato (nell’esempio il primo, e il quarto) 2. Si moltiplicano le probabilità lungo ogni ramo considerato e si sommano i prodotti ottenuti. 10.10 Teorema di Bayes Teorema 10.10.1 (Teorema di Bayes). Dati n eventi H1 , . . . , Hn che formano una partizione dello spazio degli eventi S e l’evento A ⊆ S, si ha: P (Hi /A) = P (Hi )P (A/Hi ) P (H1 )P (A/H1 ) + . . . + P (Hn )P (A/Hn ) 651 CAPITOLO 10. PROBABILITÀ Osservazione Il teorema di Bayes si chiama anche teorema delle probabilità delle cause, poiché permette di determinare la probabilità secondo la quale un evento, che si suppone già realizzato, sia dovuto a una certa causa piuttosto che a un’altra. Osservazione Per risolvere problemi che utilizzano il teorema di Bayes può essere convenientee costruire il diagramma ad albero delle probabilità totali. La probabilità della causa che ci interessa è data dal rapporto tra il prodotto delle probabilità del ramo con la causa e l’evento considerato e la somma dei prodotti delle probabilità dei rami che portano all’evento considerato. Esempio 10.10.1. • Si hanno 3 urne: la prima contiene 2 palline bianche e 1 nera, la seconda contiene 10 palline nere, la terza contiene 3 palline bianche e 1 nera. Si sceglie a caso un’urna e si estrae una pallina. La pallina estratta è bianca: calcolare la probabilità che sia stata estratta dalla prima urna. Consideriamo i seguenti eventi: H1 =estrazione di una pallina dalla prima urna H2 =estrazione di una pallina dalla seconda urna H3 =estrazione di una pallina dalla terza urna A =estrazione di una pallina bianca P (H1 /A) = P (H1 )P (A/H1 ) = P (H1 )P (A/H1 ) + P (H2 )P (A/H2 ) + P (H3 )P (A/H3 ) 12 8 33 = 13 12 1 0 17 + + 3 3 3 10 3 4 • Tre macchine forniscono rispettivamente il 50%, 40%, 10% dei pezzi prodotti da una fabbrica. La prima produce il 2% di pezzi difettosi, la seconda il 3%, la terza il 5%. Si estrae un pezzo a caso tra quelli prodotti: è difettoso. Qual è la probabilità che il pezzo sia stato prodotto dalla prima macchina? Consideriamo i seguenti eventi: H1 =estrazione di un pezzo prodotto dalla prima macchina H2 =estrazione di un pezzo prodotto dalla seconda macchina H3 =estrazione di un pezzo prodotto dalla terza macchina A =estrazione di un pezzo difettoso P (H1 /A) = P (H1 )P (A/H1 ) = P (H1 )P (A/H1 ) + P (H2 )P (A/H2 ) + P (H3 )P (A/H3 ) 50 2 10 100 100 = 50 2 40 3 10 5 27 + + 100 100 100 100 100 100 • Il montaggio del 30% di apparecchi è fatto da uno specialista altamente qualificato e il 70% da uno specialista di qualifica media. L’affidabilità del funzionamento dell’apparecchio è del 90% nel primo caso e del 80% nel secondo. Si sceglie a caso un apparecchio e si vede che funziona: determinare la probabilità che sia stato montato dallo specialista altamente qualificato. Consideriamo i seguenti eventi: H1 =estrazione di un pezzo montato da uno specialista altamente qualificato H2 =estrazione di un pezzo montato da uno specialista di qualifica media A =estrazione di un pezzo funzionante P (H1 /A) = P (H1 )P (A/H1 ) = P (H1 )P (A/H1 ) + P (H2 )P (A/H2 ) 652 10.11. PROBABILITÀ E CALCOLO COMBINATORIO 30 90 325 100 100 = 30 90 70 80 1000 + 100 100 100 100 10.11 Probabilità e calcolo combinatorio In molti problemi di probabilità si parla di estrazioni (da un’urna, da un mazzo di carte, ect..) Si possono avere tre casi. 1. Estrazione con reinserimento: dopo un’estrazione l’oggetto estratto viene reinserito e quindi può essere di nuovo estratto. Da un punto di vista combinatorio si avranno disposizioni con ripetizione. 2. Estrazione senza reinserimento: dopo un’estrazione l’oggetto non viene reinserito e quindi non può essere di nuovo estratto. Da un punto di vista combinatorio si avranno disposizioni senza ripetizione 3. Estrazioni simultanee: si estraggono contemporaneamente più oggetti. Da un punto di vista combinatorio si avranno combinazioni semplici Da un punto di vista di calcolo delle probabilità, l’estrazione senza reinserimento e l’estrazione simultanea danno gli stessi risultati. 10.12 Esercizi che possono indurre in errore 10.12.1 Il tesoro dietro la porta Esempio 10.12.1. Ci sono tre porte chiuse e dietro una di esse è nascosto un tesoro. Ci viene chiesto di scommettere su una di esse. Ipotizziamo di aver scommesso sulla porta 1. Supponiamo che successivamente venga aperta la porta 3 e che dietro di questa non ci sia nulla. Potendo cambiare scelta, conviene puntare sulla porta 2, conviene insistere nella scelta iniziale o è indifferente? Sembrerebbe indifferente ma la risposta è errata. 1 2 La probabilità che il tesoro sia dietro la porta 1 è , che sia dietro la porta 2 o 3 è . 3 3 2 Poiché il tesoro non è dietro la porta 3, la probabilità che sia dietro la porta 2 è . 3 Quindi, conviene scommettere sulla porta 2. 10.12.2 I cartoncini Esempio 10.12.2. In un cassetto ci sono 3 cartoncini: uno con due facce bianche, uno con due facce rosse, uno con una faccia bianca e una rossa. Apro il cassetto e, con gli occhi chiusi, prendo un cartoncino e lo poso sul tavolo. Guardo e vedo che è rosso. Qual è la probabilità che l’altra faccia sia bianca? Poiché una faccia è rossa il cartoncino non è quello con due facce bianche. Quindi, è come se ci fossero solo due cartoncini: uno con due facce rosse e rosso e uno con una faccia rossa e una bianca. 1 La risposta sembrerebbe . 2 La risposta è errata. Infatti, poiché un cartoncino ha due facce rosse (chiamiamole R1 e R2) la faccia nascosta può essere 1 bianca o rossa R1 o rossa R2, la probabilità che sia bianca è 3 653 CAPITOLO 10. PROBABILITÀ 10.12.3 Le targhe Esempio 10.12.3. Le targhe di uno stato sono numerate in ordine progressivo a partire da 1 (senza gli 0 davanti). Sappiamo che ci sono 3.000.000 di automobili, qual è la probabilità che la prima cifra sulla targa di un’automobile, scelta a caso, sia 1? La prima cifra della targa è uno dei seguenti numeri: 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9 quindi sembrerebbe che la 1 risposta sia . 9 La riposta è errata. Infatti le targhe che hanno come prima cifra 1 sono: 1 nell’intervallo 1-9 10 nell’intervallo 10-19 100 nell’intervallo 100-199 1.000 nell’intervallo 1.000-1.999 10.000 nell’intervallo 10.000-19.999 100.000 nell’intervallo 100.000-199.999 1.000.000 nell’intervallo 1.000.000-1.999.999 1.111.111 Le targhe che hanno come prima cifra 1 sono 1.111.111 e la probabilità è = 0, 37 3.000.000 10.12.4 Le bottiglie di latte Esempio 10.12.4. In un supermercato ci sono 150 bottiglie di latte di cui solo 100 sono fresche. Se ogni bottiglia ha la 2 stessa probabilità di essere scelta, la probabilità di prendere una bottiglia fresca è . Se scegliamo, 3 dopo la scelta di altre 50 persone, la probabilità di prendere una bottiglia fresca cambiata o no? Sembrerebbe che la probabilità sia cambiata in realtà la probabilità è la stessa. 100 La prima persona che prende una bottiglia ha probabilità di avere una bottiglia fresca. 150 La probabilità che la seconda persona prenda una bottiglia fresca è: 50 100 99 · 100 + 50 · 100 149 · 100 100 100 99 + = = = 150 149 150 149 150 · 149 150 · 149 150 Quindi la probabilità non è cambiata e non cambierà neanche dopo la 50-esima persona. 10.12.5 Biglietti della lotteria Esempio 10.12.5. Una lotteria è formata da 1000 biglietti di cui 10 vincenti. È meglio estrarre un biglietto tra i primi o tra gli ultimi? Sembrerebbe che la probabilità cambi, in realtà la probabilità è la stessa. 10 1 La prima persona che estrae il biglietto ha probabilità = di estrarre un biglietto vincente. 1000 100 La probabilità che la seconda persona estragga un biglietto vincente è: 10 9 990 10 90 + 9900 9990 10 1 + = = = = 1000 999 1000 999 1000 · 999 1000 · 999 1000 100 quindi la probabilità non è cambiata e non cambierà neanche per la terza persona, ecc. 10.12.6 I compleanni Esempio 10.12.6. In un gruppo di 40 persone conviene scommettere che almeno due festeggiano il compleanno lo stesso giorno? La risposta sembrerebbe no, invece è si, vediamo il perché. Consideriamo il caso più generale: calcoliamo la probabilità che, in un gruppo di n persone, due persone festeggiano il compleanno lo stesso giorno. Per far questo calcoliamo la probabilità che non ci siano due persone che festeggiano il compleanno 654 10.12. ESERCIZI CHE POSSONO INDURRE IN ERRORE nello stesso giorno. Utilizziamo il teorema del prodotto. La prima persona può festeggiare il compleanno in qualsiasi giorno, la seconda in uno in meno e così via: P (n) = 365 364 365 − n + 1 D365,n · ... · = r 365 365 365 D365,n La probabilità che vi siano almeno due persone che festeggiano il compleanno nello stesso giorno è Q(n) = 1 − P (n) per n = 20 si ha Q(20) = 0, 4, per n = 40 si ha Q(40) = 0, 9. 10.12.7 Le due fidanzate Esempio 10.12.7. Giorgio è un ragazzo che vive a Monte Nevoso ed ha due fidanzate, una che vive a Colle Fiorito e l’altra che vive a Poggio Ameno. Giorgio vuol bene a entrambe e non sa decidersi tanto che, quando deve andarle a trovare, non sa scegliere da chi andare e lascia decidere al caso. Infatti, quando arriva alla stazione per prendere il treno, prende il primo treno che passa. Sia il treno per Poggio Ameno che quello per Colle Fiorito passano ogni 10 minuti. Il treno per Poggio Ameno passa sempre 1 minuto dopo quello per Colle fiorito. Con quale probabilità andrà a Poggio Ameno e con quale a Colle Fiorito? Sembrerebbe che le due probabilità siano uguali, ma è errato. Se Giorgio arriva alla stazione nel minuto che intercorre tra il passaggio del treno per Colle Fiorito e quello per Poggio Ameno, prende il treno per Poggio Ameno; se arriva alla stazione negli altri 9 minuti, prende il treno per Poggio Fiorito. 1 9 Quindi la probabilità di andare a Poggio Ameno è e quella di andare a Poggio Fiorito è 10 10 655 Capitolo 11 Variabili aleatorie discrete 11.1 Introduzione Finora abbiamo lavorato con gli eventi che sono la base della teoria classica della probabilità. Attualmente si preferisce lavorare, dove è possibile, con le variabili aleatorie. In molti fenomeni casuali il risultato di una prova si può tradurre in una grandezza matematica. Consideriamo il lancio di due dadi; lo spazio degli eventi S è formato da 36 eventi elementari possibili (tutte le possibili coppie che si possono formare). Possiamo determinare una funzione che a ogni coppia (a, b) associa un numero, per esempio la somma a + b. Inoltre, è possibile determinare la probabilità con cui questi numeri escono. Una tale funzione si chiama variabile aleatoria o casuale (si chiama variabile e non funzione per motivi di tradizione). Una variabile aleatoria si dice discreta se può assumere un numero finito o un’infinità numerabile di valori, si dice continua se può assumere tutti i valori di un intervallo. 11.2 Distribuzione di probabilità Definizione 11.2.1 (Variabile aleatoria discreta). Si dice variabile aleatoria discreta una funzione che a ogni evento elementare di uno spazio degli eventi S associa uno e un solo numero reale appartenente a un’insieme finito o infinitamente numerabile. Esempio 11.2.1. Sono esempi di variabili aleatorie discrete: 1. il numero di teste uscite nel lancio di una moneta; 2. il punto uscito nel lancio di un dado; 3. il numero di chiamate giornaliere in una centrale telefonica; Normalmente le variabili aleatorie si indicano con le lettere maiuscole X, Y ecc. A ogni variabile aleatoria si associa la sua distribuzione di probabilità. Definizione 11.2.2 (Distribuzione di probabilità). Si dice distribuzione di probabilità di una variabile aleatoria discreta l’insieme formato dai valori assunti dalla variabile con le rispettive probabilità. La distribuzione di probabilità di una variabile aleatoria X si può rappresentare nel seguente modo: ® x1 . . . xn p1 . . . pn ´ con 0 ≤ pi ≤ 1 e ni=1 pi = 1. Con abuso di linguaggio identificheremo la variabile aleatoria con la sua distribuzione di probabilità e scriveremo P ® x1 . . . xn X= p1 . . . pn ´ 656 11.2. DISTRIBUZIONE DI PROBABILITÀ La distribuzione di probabilità può anche essere rappresentata graficamente riportando sull’asse delle ascisse i valori e su quello delle ordinate le probabilità. La distribuzione di probabilità può anche essere data in forma analitica, utilizzando la funzione di probabilità: P (X = xi ) = f (xi ) con i = 1, . . . , n dove la funzione di probabilità f (xi ) deve soddisfare le seguenti condizioni: f (xi ) ≥ 0 con i = 1, . . . , n n X f (xi ) = 1 i=1 Si possono determinare più variabili aleatorie associate allo stesso fenomeno casuale. Esempio 11.2.2. Consideriamo il lancio di due dadi. Sia X la variabile aleatoria che a ogni coppia associa la somma dei numeri che escono sulle facce superiori. Sia Y la variabile aleatoria che a ogni coppia associa il massimo dei numeri che escono sulle facce superiori. Determinare le distribuzioni di probabilità di X e di Y e rappresentare graficamente la distribuzione di probabilità di X. X= 2 Y = 4 3 36 5 4 36 6 5 36 7 6 36 2 3 36 3 5 36 4 7 36 5 9 36 6 11 36 1 2 3 1 36 1 3 2 36 1 36 8 5 36 9 4 36 10 3 36 11 2 36 12 1 36 P (x) 0.2 0.18 0.16 0.14 0.12 0.1 0.08 0.06 0.04 0.02 O 4 5 6 7 8 9 10 11 12 x Figura 11.1: distribuzione di probabilità di X Se un fenomeno casuale non ha esito numerico, a ogni risultato non numerico si può associare un numero. Per esempio, se una variabile può assumere solo due valori (testa o croce nel lancio di una moneta), un valore si considera successo e si associa 1 e l’altro non successo e si associa 0. Quindi la variabile X rappresenta il numero di successi. 657 CAPITOLO 11. VARIABILI ALEATORIE DISCRETE Definizione 11.2.3 (Variabili aleatorie equidistribuite). Due variabili aleatorie di dicono equidistribuite se hanno la stessa distribuzione di probabilità. Esempio 11.2.3. • Le variabili aleatorie numero di teste nel lancio di una moneta e numero di maschi nella nascita di un figlio sono equidistribuite. • Scrivere le seguenti variabili aleatorie: 1. il minore tra i punti delle facce di due dadi 2. il numero di teste nel lancio di 4 monete 3. numero di pezzi difettosi estratti con due estrazioni da un gruppo di 5 pezzi di cui 2 difettosi 1. Considerando i casi favorevoli e i casi possibili, si ottiene X= 1 2 9 36 11 36 3 7 36 4 5 36 5 3 36 6 1 36 2. Costruendo il diagramma ad albero, si ottiene Y = 0 1 4 16 1 16 2 6 16 3 4 16 4 1 16 3. Costruendo il diagramma ad albero, si ottiene Z= 0 1 6 10 3 10 2 1 10 • In un quadrato ABCD di lato 1 si traccino gli archi di circonferenza DB di raggio 1 e centri in A e in C. Un giocatore sceglie a caso un punto interno al quadrato. Se il punto si trova nello spicchio vince p altrimenti perde p. Scrivere la variabile aleatoria associata. La probabilità è il rapporto tra l’area interessata e l’area del quadrato. L’area del quadrato è 1. L’area al di fuori dello spicchio è 1 4−π 2 1− π = 4 2 Å ã L’area dello spicchio è 1− 4−π π−2 = 2 2 La variabile aleatoria è: −p X= 4−π 2 p π−2 2 • Sia X la variabile aleatoria “punto del dado in un lancio” e A =esce un numero pari. Determinare P (A). X= 1 1 6 2 1 6 3 1 6 4 1 6 5 1 6 6 1 6 A = {2, 4, 6} P (A) = P (X = 2) + P (X = 4) + P (X = 6) = 658 3 1 1 1 1 + + = = 6 6 6 6 2 11.3. FUNZIONE DI RIPARTIZIONE • Sia X la variabile aleatoria “numero di femmine in una famiglia con tre figli” e A =c’è almeno una femmina. Determinare P (A). X= 0 1 8 1 3 8 2 3 8 3 1 8 A = {1, 2, 3} P (A) = 1 − P (X = 0) = 1 − 11.3 7 1 = 8 8 Funzione di ripartizione Definizione 11.3.1 (Funzione di ripartizione). Si dice funzione di ripartizione di una variabile aleatoria X, la funzione F : R → R che a ogni x ∈ R associa la probabilità che la variabile aleatoria assuma un valore minore o uguale a x, cioè F (x) = P (X ≤ x). Anche la funzione di ripartizione si può rappresentare graficamente e, nel caso di una variabile aleatoria discreta, è una funzione costante a tratti. Teorema 11.3.1. Se X è una variabile aleatoria e F è la sua funzione di ripartizione, allora 1. P (X > x) = 1 − F (x) 2. P (a < X ≤ b) = F (b) − F (a) Dimostrazione 1. Poiché l’evento X > x è il complementare dell’evento X ≤ x, si ha P (X > x) = 1 − P (X ≤ x) = 1 − F (x) 2. P (a < X ≤ b) = P (X ≤ b) − P (X ≤ a) = F (b) − F (a) Esempio 11.3.1. • Consideriamo il lancio di due dadi. Sia X la variabile aleatoria che a ogni coppia associa la somma dei numeri che escono sulle facce superiori. Determinare la funzione di ripartizione di X per x < 2, x = 2, x = 5, x > 12 e costruire il grafico della funzione di ripartizione. X= 2 1 36 3 2 36 4 3 36 5 4 36 6 5 36 7 6 36 8 5 36 9 4 36 Quindi: per x < 2 F (x) = P (X ≤ x) = 0 1 F (2) = P (X ≤ 2) = 36 10 F (5) = P (X ≤ 5) = 36 per x > 12 F (x) = 1 659 10 3 36 11 2 36 12 1 36 CAPITOLO 11. VARIABILI ALEATORIE DISCRETE F (x) 1.1 1 × × 0.9 × 0.8 × 0.7 0.6 × 0.5 × 0.4 0.3 × 0.2 × 0.1 O × × × 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 x Figura 11.2: funzione di ripartizione di X • Sia X la variabile aleatoria “punto del dado in un lancio”. Determinare: 1. la distribuzione di probabilità di X 2. P (X = 3) 3. P (X 6= 3) 4. P (X ≤ 4) 5. P (X > 4) 1 2 1. X = 1 1 6 6 1 2. P (X = 3) = 6 3 1 6 4 1 6 5 1 6 6 1 6 3. P (X 6= 3) = 1 − P (X = 3) = 1 − 1 5 = 6 6 4. P (X ≤ 4) = P (X = 1) + P (X = 2) + P (X = 3) + P (X = 4) = 5. P (X > 4) = 1 − P (X ≤ 4) = 1 − 11.4 1 1 1 1 4 + + + = 6 6 6 6 6 4 2 = 6 6 Funzione di una variabile aleatoria Siano X una variabile aleatoria e u una funzione definita sull’insieme dei valori assunti da X. La variabile aleatoria u(X) è la variabile aleatoria che ha come valori u(xi ) e come probabilità quelle 660 11.4. FUNZIONE DI UNA VARIABILE ALEATORIA di X. Se alcuni valori si ripetono si scrivono una volta sola e si sommano le probabilità. Esempio 11.4.1. • Data la variabile aleatoria X con distribuzione di probabilità X= −2 1 5 −1 2 5 0 1 5 1 1 10 2 1 10 determinare la distribuzione di probabilità della variabile aleatoria Y = X 2 − 1 Y = X2 − 1 = 3 1 5 −1 1 5 0 2 5 3 −1 = 1 1 10 5 0 1 10 0 1 2 3 3 10 • Sia X la variabile aleatoria “punto nel lancio di un dado”. Determinare la distribuzione di probabilità della variabile aleatoria Y = X 2 X= 1 X2 = 1 6 1 1 6 2 1 6 3 1 6 4 1 6 4 1 6 9 1 6 16 1 6 5 1 6 6 1 6 25 1 6 36 1 6 • Data la variabile aleatoria X con distribuzione di probabilità X= −1 1 4 0 1 4 1 1 2 determinare la distribuzione di probabilità della variabile aleatoria Y = X 2 X2 = 1 1 4 0 1 4 1 0 = 1 1 2 4 1 3 4 661 Capitolo 12 Speranza matematica e varianza 12.1 Speranza matematica In molte applicazioni pratiche non serve oppure non è possibile determinare la distribuzione di probabilità di una variabile aleatoria. Spesso sono sufficienti alcuni parametri numerici che caratterizzano in qualche modo la variabile. I due parametri più importanti sono la speranza matematica e la varianza. Definizione 12.1.1 (Speranza matematica). Data una variabile aleatoria X con distribuzione di probabilità: ® x 1 . . . xn X= p1 . . . pn ´ si dice media o speranza matematica o valore atteso o valor medio la somma dei prodotti dei valori per le rispettive probabilità e si indica con E[X]. in simboli: E[X] = x1 p1 + . . . + xn pn Esempio 12.1.1. • Data la variabile aleatoria X con distribuzione di probabilità: −2 −1 0 1 2 X= 1 2 1 1 1 5 5 5 10 10 determinare E[X]. 1 2 1 1 1 1 E[X] = −2 − 1 + 0 + 1 + 2 = − 5 5 5 10 10 2 • Nel lancio di due dadi, sia X la variabile aleatoria che associa a ogni coppia il massimo. Calcolare E[X]. 1 2 3 36 −6 5 1 2 3 5 36 4 5 6 X= 1 7 9 11 36 36 36 36 1 3 5 7 9 11 161 E[X] = 1 + 2 + 3 + 4 + 5 + 6 = 36 36 36 36 36 36 36 • Un gioco consiste nel lancio di due monete. Se escono due croci si vincono 10 euro, se esce una sola croce si vincono 5 euro, se non esce nessuna croce si perdono 6 euro. Trovare la vincita media. Sia X la variabile aleatoria ”vincita“. La sua distribuzione di probabilità è: 10 X= 1 1 4 4 1 1 7 1 E[X] = −6 + 5 + 10 = 4 2 4 2 662 12.1. SPERANZA MATEMATICA 12.1.1 Giochi equi Definizione 12.1.2 (Gioco equo). Sia X una variabile aletoria associata a un gioco. Il gioco si dice equo se E[X] = 0 I giochi d’azzardo non sono equi perché sono sempre a favore del banco. Esempio 12.1.2. • Nella roulette europea ci sono 37 numeri, 18 sono rossi, altri 18 sono neri e poi c’è lo 0. Se si punta sul rosso o sul nero si vince quanto si è giocato, se si punta su un numero si vince 35 volte quanto si è giocato. La roulette americana è analoga ma c’è un numero in più: il doppio 0. Determinare se la roulette europea e americana sono giochi equi. Consideriamo la variabile aleatoria X ”vincita puntanto b euro sul rosso nella roulette europea“. X= −b 19 37 b 18 37 19 18 1 + b = −b 6= 0 37 37 37 Il gioco non è equo, è a favore del banco. 1 di quello che si gioca. In media, a ogni giocata, si perde 37 Consideriamo la variabile aleatoria X ”vincita puntanto b euro sul rosso nella roulette americana“. E[X] = −b X= −b 20 38 b 18 38 20 18 1 + b = −b 6= 0 38 38 19 Il gioco non è equo, è a favore del banco. 1 di quello che si gioca. In media, a ogni giocata, si perde 19 Consideriamo la variabile aleatoria X ”vincita puntanto b euro su un numero nella roulette europea“. E[X] = −b X= −b 36 37 35b 1 37 36 1 1 + 35b = −b 6= 0 37 37 37 Il gioco non è equo, è a favore del banco. 1 In media a ogni giocata si perde di quello che si gioca. 37 Consideriamo la variabile aleatoria X ”vincita puntanto b euro su un numero nella roulette americana“. E[X] = −b X= −b 37 38 35b 1 38 37 1 1 + 35b = −b 6= 0 38 38 19 Il gioco non è equo, è a favore del banco. 1 In media, a ogni giocata, si perde di quello che si gioca. 19 E[X] = −b 663 CAPITOLO 12. SPERANZA MATEMATICA E VARIANZA • Gioco del lotto. Nel gioco del lotto, se si punta un euro, le vincite lorde (da esse si sottrae una ritenuta del 6%) sono le seguenti: 1. un numero: 11, 32 euro 2. un ambo: 250 euro 3. un terno: 4500 euro 4. una quaterna: 120000 euro 5. una cinquina: 6000000 euro Determinare se il gioco è equo, e in caso contrario quanto dovrebbero essere le vincite. 1. Sia X la variabile aleatoria ”vincita puntanto 1 euro su un numero nel gioco del lotto“. −1 11, 232 X= 17 1 18 18 17 1 5, 68 E[X] = − + 11, 32 = − 6= 0 18 18 18 Il gioco non è equo, è a favore del banco. Indichiamo con x la vincita nel caso di gioco equo E[X] = − 1 17 +x =0 18 18 x = 17 Perché il gioco sia equo la vincita dovrebbe essere di 17 + 1 = 18 euro invece si 11, 32 euro. 2. Sia X la variabile aleatoria ”vincita puntanto 1 euro su un ambo nel gioco del lotto“. −1 250 X= 799 2 801 801 799 2 299 E[X] = − + 250 =− 6= 0 801 801 801 Il gioco non è equo, è a favore del banco. Indichiamo con x la vincita nel caso di gioco equo E[X] = − 799 2 + =0 801 801 799 2 Perché il gioco sia equo la vincita dovrebbe essere di 399, 50 + 1 = 401, 50 euro invece di 250 euro. x= 3. Sia X la variabile aleatoria ”vincita puntanto 1 euro su un terno nel gioco del lotto“. −1 4500 X= 1 11747 11748 11748 11747 1 7247 + 4500 =− 6= 0 E[X] = − 11748 11748 11748 Il gioco non è equo, è a favore del banco. Indichiamo con x la vincita nel caso di gioco equo E[X] = − 11747 1 +x =0 11748 11748 x = 11747 Perché il gioco sia equo la vincita dovrebbe essere di 11747 + 1 = 11748 euro invece di 4500 euro. 664 12.1. SPERANZA MATEMATICA 4. Sia X la variabile aleatoria ”vincita puntanto 1 euro su una quaterna nel gioco del lotto“. −1 X= 511037 511038 E[X] = − 120000 1 511038 511037 1 391037 + 120000 =− 6= 0 511038 511038 511038 Il gioco non è equo, è a favore del banco. Indichiamo con x la vincita nel caso di gioco equo E[X] = − 511037 1 +x =0 511038 511038 x = 511037 Perché il gioco sia equo la vincita dovrebbe essere di 511037 + 1 = 511038 euro invece di 120000 euro. 5. Sia X la variabile aleatoria ”vincita puntanto 1 euro su una cinquina nel gioco del lotto“. −1 X= 43949267 43949268 E[X] = − 6000000 1 43949268 43949267 1 37949268 + 6000000 =− 6= 0 43949268 43949268 43949268 Il gioco non è equo, è a favore del banco. Indichiamo con x la vincita nel caso di gioco equo E[X] = − 1 43949267 +x =0 43949268 43949268 x = 43949267 Perché il gioco sia equo la vincita dovrebbe essere di 43949267 + 1 = 43949268 euro invece di 6000000 euro. 12.1.2 Proprietà della speranza matematica Teorema 12.1.1 (Proprietà della speranza matematica). 1. La speranza matematica di una variabile aleatoria costante è la costante stessa 2. Se X è una variabile aleatoria e a, b sono due costanti, allora E[aX + b] = aE[X] + b 3. La speranza matematica della somma di due variabili aleatorie è uguale alla somma delle speranze matematiche, cioè E[X + Y ] = E[X] + E[Y ] 4. E[aX + bY ] = aE[X] + bE[Y ] 5. La speranza matematica del prodotto di due variabili aleatorie indipendenti è uguale al prodotto delle speranze matematiche, cioè E[XY ] = E[X]E[Y ] 6. La speranza matematica della variabile aleatoria Y = X − E[X], detta variabile scarto, è 0; quindi la variabile scarto è equa 665 CAPITOLO 12. SPERANZA MATEMATICA E VARIANZA 12.2 Varianza Definizione 12.2.1 (Varianza). Data una variabile aleatoria X con distribuzione di probabilità: ® x 1 . . . xn X= p1 . . . pn ´ si dice varianza la media del quadrato dello scarto e si indica con V ar[X]. In simboli: î ó V ar[X] = E (X − E[X])2 = (x1 − E[X])2 p1 + . . . + (xn − E[X])2 pn La varianza si indica anche con σ 2 [X]. Osserviamo che la varianza è positiva o nulla. Definizione 12.2.2 (Deviazione standard). Data una variabile aleatoria X con distribuzione di probabilità: ® x 1 . . . xn X= p1 . . . pn ´ si dice scarto quadratico medio o deviazione standard la radice quadrata della varianza e si indica con σ[X]. In simboli: σ[X] = » V ar[X] = » E [(X − E[X])2 ] = » (x1 − E[X])2 p1 + . . . + (xn − E[X])2 pn 12.2.1 Proprietà della varianza Teorema 12.2.1 (Proprietà della varianza). 1. V ar[X] = E[X 2 ] − (E[X])2 2. Se X è una variabile aleatoria e a, b sono costanti, allora V ar[aX + b] = a2 V ar[X] 3. La varianza della somma di due variabili aleatorie indipendenti è uguale alla somma delle varianze cioè V ar[X + Y ] = V ar[X] + V ar[Y ] Esempio 12.2.1. • Nel lancio di due dadi sia X la variabile aleatoria che associa a ogni coppia il massimo. Determinare la varianza e la deviazione standard di X. X= 1 1 36 E[X] = 1 2 3 36 3 5 36 4 7 36 5 9 36 6 11 36 1 3 5 7 9 11 161 +2 +3 +4 +5 +6 = 36 36 36 36 36 36 36 1 4 3 36 9 5 36 16 25 36 X2 = 1 7 9 911 36 36 36 36 1 3 5 7 9 11 791 E[X 2 ] = 1 + 4 + 9 + 16 + 25 + 36 = 36 36 36 36 36 36 36 Å ã2 791 161 2555 V ar[X] = E[X 2 ] − (E[X])2 = − = 36 36 1296 σ[X] = » V ar[X] = 2555 1296 666 12.3. VARIABILE ALEATORIA STANDARDARDIZZATA 1 1 1 • Siano A e B due eventi tali che P (A) = , P (B/A) = , P (A/B) = . Sia X una variabile 4 2 4 aleatoria che assume valore 0 se A non si verifica, 1 se si verifica e Y una variabile aleatoria che assume valore 0 se B non si verifica, 1 se si verifica. Determinare E[X], E[Y ], V ar[X], V ar[Y ]. Poiché P (A)P (B/A) = P (B)P (A/B) si ha 11 1 P (A)P (B/A) = 42 = P (B) = 1 P (A/B) 2 4 X= 0 Y = 1 1 4 3 4 0 1 2 1 E[X] = 4 1 E[Y ] = 2 0 X2 = 3 4 Y2 = 0 1 1 2 1 1 4 1 2 1 E[X 2 ] = 4 1 E[Y 2 ] = 2 1 1 2 1 1 3 − = 4 16 16 1 1 1 V ar[Y ] = − = 2 4 4 V ar[X] = 12.3 Variabile aleatoria standardardizzata Definizione 12.3.1 (Variabile aleatoria standardizzata). Una variabile aleatoria si dice standardizzata se ha media 0 e deviazione standard 1 Teorema 12.3.1. Data una variabile aleatoria X, la variabile aleatoria X − E[X] σ[X] è standardizzata. Dimostrazione ñ ô X − E[X] 1 E = (E[X] − E[X]) = 0 σ[X] σ[X] ñ ô 1 X − E[X] V ar = V ar[X] = 1 σ[X] (σ[X])2 667 CAPITOLO 12. SPERANZA MATEMATICA E VARIANZA 12.4 Coefficiente di variazione Definizione 12.4.1 (Coefficiente di variazione). Si dice coefficiente di variazione di una variabile aleatoria X con media non nulla, il rapporto tra la deviazione standard e la media e si indica con CV . In simboli: CV = σ[X] E[X] 668 Capitolo 13 Distribuzioni discrete fondamentali 13.1 Distribuzione simmetrica Definizione 13.1.1 (Variabile aleatoria simmetrica). Una variabile aleatoria S si dice simmetrica se ha la seguente distribuzione di probabilità: S= x1 ... ... 1 n xn 1 n Un caso particolare di variabile aleatoria simmetrica è quella i cui valori sono 1, . . . , n. Esempio 13.1.1. Sono esempi di variabili aleatorie simmetriche: • numero di teste nel lancio di una moneta • punto nel lancio di un dado • estrazione di un numero del lotto 13.1.1 Media e varianza Teorema 13.1.1. Data una variabile aleatoria simmetrica S= 1 ... ... 1 n n 1 n si ha 1. E[X] = n+1 2 2. V ar[X] = n2 − 1 12 Dimostrazione 1 1 1 n(n + 1) n+1 1 1. E[X] = 1 + . . . + n = (1 + . . . + n) = = n n n n 2 2 1 1 1 2. E[X 2 ] = 1 + . . . + n2 = (1 + . . . + n2 ) = n n n 1 n Ç 3 n n2 n + + 3 2 6 å = n2 n 1 + + 3 2 6 n2 n 1 n+1 + + − V ar[X] = E[X ] − (E[X]) = 3 2 6 2 2 2 Å ã2 = n2 n 1 n2 + 2n + 1 4n2 + 6n + 2 − 3n2 − 6n − 3 n2 − 1 + + − = = 3 2 6 4 12 12 669 CAPITOLO 13. DISTRIBUZIONI DISCRETE FONDAMENTALI 13.2 Indicatore o variabile aleatoria di Bernoulli Definizione 13.2.1 (Variabile aleatoria di Bernoulli). Una variabile aleatoria I si dice di Bernoulli se ha la seguente distribuzione di probabilità: ® I= 0 1−p 1 p ´ A volte, al posto di 1 − p, si scrive q. 13.2.1 Media e varianza Teorema 13.2.1. Data una variabile aleatoria di Bernoulli ® I= 0 q 1 p ´ si ha 1. E[I] = p 2. V ar[I] = pq Dimostrazione 1. E[I] = 0q + 1p = p 2. Poiché I2 = ® 0 q 1 p ´ si ha E[I 2 ] = 0q + 1p = p V ar[I] = E[I 2 ] − (E[I])2 = p − p2 = p(1 − p) = pq 13.3 Distribuzione binomiale Definizione 13.3.1 (Variabile aleatoria binomiale). Consideriamo n prove indipendenti effettuate nelle stesse condizioni. In ogni prova si può verificare un evento (successo) con probabilità p o il suo complementare (insuccesso) con probabilità q = 1 − p. La variabile aleatoria B che rappresenta il numero di successi si dice variabile binomiale di ordine n e parametro p. Teorema 13.3.1. La funzione di probabilità della variabile aleatoria binomiale B di ordine n e parametro p è: Ç å P (B = k) = n k p (1 − p)n−k k Esempio 13.3.1. Si lanci 6 volte una moneta. Determinare 1. la probabilità che escano 2 teste 2. la probabilità di ottenere almeno 4 teste 3. la probabilità che non escano teste 670 13.3. DISTRIBUZIONE BINOMIALE Sia X la variabile aleatoria ”numero di teste in 6 lanci di una moneta“. 1 X è una variabile aleatoria binomiale con n = 6 e p = . 2 Ç å Å ã2 Å ã4 6 2 1. P (X = 2) = 1 2 1 2 = 15 64 2. P (X = 4) + P (X = 5) + P (X = 6) = Ç å Å ã4 Å ã2 6 4 1 2 1 2 Ç å Å ã5 Å ã1 6 + 5 1 2 1 2 Ç å Å ã6 Å ã0 + 6 6 1 2 1 2 = 15 6 1 11 + + = 64 64 64 32 Ç å Å ã0 Å ã6 6 0 3. P (X = 0) = 13.3.1 1 2 1 2 = 1 64 Media e varianza Teorema 13.3.2. Data una variabile aleatoria binomiale B di ordine n e parametro p, si ha 1. E[B] = np 2. V ar[B] = npq Esempio 13.3.2. • Si lanci 720 volte un dado. Determinare la media e la deviazione standard della variabile aleatoria X =”numero di uscite del 6“. 1 La variabile aleatoria X ha una distribuzione binomiale con n = 720 e p = . 6 E[X] = np = σ[X] = √ 720 = 120 6 npq = 720 15 = 10 66 • Si lanci 5 volte una moneta. Determinare la distribuzione di probabilità, la media e la deviazione standard della variabile aleatoria X =”numero di teste“. Rappresentare graficamente la distribuzione di probabilità. 1 La variabile aleatoria X ha una distribuzione binomiale con n = 5 e p = ; la sua distribuzione 2 di probabilità è: X= 0 1 32 E[X] = np = σ[X] = √ 1 5 32 2 10 32 3 10 32 4 5 32 5 1 32 5 2 npq = 11 5 = 22 5 4 671 CAPITOLO 13. DISTRIBUZIONI DISCRETE FONDAMENTALI P (x) 0.3 0.26 0.22 0.18 0.14 0.1 0.06 0.02 O 1 2 3 4 5 6 x Figura 13.1: distribuzione di probabilità di X Osservazione 1 Nel caso in cui p = , la distribuzione binomiale è simmetrica rispetto alla retta x = E[X]. 2 13.3.2 Esercizi sulla distribuzione binomiale Esempio 13.3.3. • In un’urna ci sono 4 palline numerate da 1 a 4. Si fanno 5 estrazioni con reinserimento. Determinare la distribuzione della variabile aleatoria X =” numero di estrazioni del 3“. Calcolare la speranza matematica, la varianza e rappresentare graficamente la distribuzione di probabilità. 1 La variabile aleatoria X ha una distribuzione binomiale con n = 5 e p = , la sua distribuzione 4 di probabilità è: ® X= 0 0, 237 E[X] = np = 1 0, 395 2 0, 264 3 0, 088 4 0, 015 5 4 V ar[X] = npq = 5 13 15 = 44 16 672 5 0, 001 ´ 13.3. DISTRIBUZIONE BINOMIALE P (x) 0.38 0.34 0.3 0.26 0.22 0.18 0.14 0.1 0.06 0.02 O 1 2 3 4 5 6 x Figura 13.2: distribuzione di probabilità di X 1 • Una coppia decide di avere 4 figli. Supponendo che sia la probabilità di nascita di un maschio, 2 con quale probabilità ci saranno due maschi e due femmine? 1 La variabile aleatoria X =”numero maschi“ ha una distribuzione binomiale con n = 4 e p = . 2 Ç å Å ã2 Å ã2 1 2 4 2 P (X = 2) = 1 2 = 3 8 • Si lanciano per 6 volte due dadi. Trovare la probabilità che almeno 3 volte esca 7. 1 La variabile aleatoria X =”numero di 7“ ha una distribuzione binomiale con n = 6 e p = . 6 P (X = 3) + P (X = 4) + P (X = 5) + P (X = 6) = Ç å Å ã3 Å ã3 6 3 1 6 5 6 Ç å Å ã4 Å ã2 + Ç å Å ã5 Å ã 1 6 6 5 6 4 1 6 5 6 + Ç å Å ã6 Å ã0 1 6 5 6 + 6 6 5 6 = 0, 062 1 • Quante volte bisogna lanciare in aria una coppia di dadi affinché sia maggiore di la probabilità 2 che esca almeno una volta 12? La variabile aleatoria X =”numero di 12“ ha una distribuzione binomiale di ordine n e parametro 1 p= . 36 Ç åÅ n 1 − P (X = 0) = 1 − 0 1− Å 35 36 Å ãn > ãn < Å n ln 35 36 1 36 ã0 Å 35 36 ãn 35 =1− 36 Å 1 2 1 2 35 1 < ln 36 2 ã Å ã 673 ãn CAPITOLO 13. DISTRIBUZIONI DISCRETE FONDAMENTALI 1 n> Å2ã 35 ln 36 n > 24, 6 Å ã ln n = 25 13.4 Distribuzione ipergeometrica Definizione 13.4.1 (Variabile aleatoria ipergeometrica). Da un urna con r palline rosse e b palline bianche, si effettuano n estrazioni senza reinserimento. La variabile aleatoria X che rappresenta il numero di palline rosse estratte si dice variabile ipergeometrica di ordine n e parametri r, b. Teorema 13.4.1. La funzione di probabilità della variabile aleatoria ipergeometrica X ordine n e parametri r, b è: Ç åÇ P (X = k) = r k b n−k Ç å r+b n å Esempio 13.4.1. • In un’urna ci sono 6 palline bianche e 4 palline nere. Si effettuano ripetute estrazioni senza reinserimento. Determinare la probabilità di ottenere 3 palline bianche su 5 estrazioni. La variabile aleatoria X =”numero di palline bianche estratte“ ha una distribuzione ipergeometrica di ordine 5 e parametri 6, 4: Ç åÇ å P (X = 3) = 6 3 4 2 Ç å = 10 5 10 21 • Una cassetta contiene 30 mele di cui 4 guaste. Il negoziante ne vende 10 prendendole a caso dalla cassetta. Qual è la probabilità che due siano guaste? La variabile aleatoria X =”numero di mele guaste“ ha una distribuzione ipergeometrica di ordine 10 e parametri 4, 26: Ç åÇ P (X = 2) = 13.4.1 4 2 å 26 8 Ç å 30 10 = 0, 312 Media e varianza Teorema 13.4.2. Data una variabile aleatoria X, con distribuzione ipergeometrica di ordine n e parametri r, b, si ha r 1. E[X] = n r+b 2. V ar[X] = n r b r+b−n r+b−n = npq r+br+br+b−1 r+b−1 Osservazione La media di una variabile aleatoria ipergeometrica è uguale a quella di una variabile binomiale, infatti r = p. r+b La varianza di una variabile aleatoria ipergeometrica differisce da quella di una variabile binomiale r+b−n r b per il fattore , infatti =pe = q. r+b−1 r+b r+b r+b−n Il fattore tende a 1 per r + b grande. r+b−1 674 13.5. DISTRIBUZIONE DI POISSON 13.4.2 Approssimazione della distribuzione ipergeometrica con la distribuzione binomiale La distribuzione ipergeometrica, con r + b grande, si può approssimare con la distribuzione binomiale r con p = . r+b 13.5 Distribuzione di Poisson Definizione 13.5.1 (Variabile aleatoria di Poisson). Si dice variabile aleatoria di Poisson di parametro λ, la variabile aleatoria X che assume i valori λk −λ e dove λ è una costante positiva. 0, 1, 2, 3, . . . con probabilità P (X = k) = k! Questa distribuzione si presenta in molti fenomeni casuali, per esempio il numero di chiamate telefoniche al minuto di un centralino, il numero di errori di stampa per pagina di un testo voluminoso, il numero di incidenti, ecc. 13.5.1 Media e varianza Teorema 13.5.1. Data una variabile aleatoria di Poisson X di parametro λ, si ha 1. E[X] = λ 2. V ar[X] = λ Esempio 13.5.1. Un libro di 1000 pagine contiene 100 errori di stampa. Qual è la probabilità di trovare almeno 4 errori su una pagina presa a caso? 100 In media su una pagina ci saranno = 0, 1 errori. 1000 Utilizziamo la distribuzione di Poisson con parametro 0, 1: P (X = k) = 0, 1k −0,1 e k! La probabilità di avere al massimo 3 errori è: P (X = 0) + P (X = 1) + P (X = 2) + P (X = 3) = 0, 999996 La probabilità di avere almeno 4 errori è: 1 − 0, 999996 = 0, 000004 13.5.2 Approssimazione della distribuzione binomiale con la distribuzione di Poisson La distribuzione binomiale, con p piccolo e n grande, si può approssimare con la distribuzione di Poisson di parametro λ = np. Esempio 13.5.2. La probabilità di centrare un bersaglio è 0, 001 per ogni colpo. Determinare la probabilità di centrare un bersaglio con due o più pallottole se il numero di colpi sparati è 5000. La variabile aleatoria X =”numero di centri“ ha una distribuzione binomiale di ordine n = 5000 e parametro p = 0, 001. Poiché p è piccolo e n è grande, approssimiamo X con una distribuzione di Poisson di parametro λ = np = 5 P (X ≥ 2) = 1 − P (X = 0) − P (X = 1) = 1 − e−5 − 5e−5 = 0, 9596 675 Capitolo 14 Variabili aleatorie continue 14.1 Densità di probabilità Definizione 14.1.1 (Variabile aleatoria continua). Una variabile aleatoria X si dice continua se assume tutti i valori di un intervallo. Definizione 14.1.2 (Densità di probabilità). Una funzione f : R → R si dice densità di probabilità se soddisfa le seguenti proprietà: 1. f (x) ≥ 0 ∀x ∈ R Z +∞ f (x)dx = 1 2. −∞ La seconda proprietà afferma che l’area compresa tra il grafico di f e l’asse delle x deve essere uguale 1. La densità di probabilità è la corrispondente della funzione di probabilità delle variabili aleatorie discrete. Esempio 14.1.1. Determinare se le seguenti funzioni sono densità di probabilità: ® 4x − 2x2 − 1 0 ® 4x − 2x2 0 1. f (x) = 2. f (x) = 3. f (x) = 3 8 per se (4x − 2x2 ) 0 se se 0≤x≤2 x<0∨x>2 0≤x≤2 x<0∨x>2 per 0≤x≤2 se x<0∨x>2 1. Poiché f (0) = −1 < 0, f non è una densità di probabilità. 2. Poiché f (x) ≥ 0 ∀x ∈ R ma Z +∞ Z 2 f (x)dx = −∞ (4x − 2x2 )dx = 0 8 3 f non è una densità di probabilità. 3. Poiché f (x) ≥ 0 ∀x ∈ R Z +∞ Z 2 3 (4x − 2x2 )dx = 1 8 −∞ 0 f è una densità di probabilità. f (x)dx = 676 14.2. FUNZIONE DI RIPARTIZIONE Come a ciascun valore assunto da una variabile aleatoria discreta è associata la probabilità che la variabile assuma quel valore, così, per una variabile aleatoria continua, a ciascun intervallo ]a, b[ è associata la probabilità che la variabile assuma un valore appartenente all’intervallo. Indicando questa probabilità con con P (a < X < b), si ha: Z b P (a < X < b) = f (x)dx a Se X è una variabile aleatorie continue, la probabilità che assuma un determinato valore è nulla; quindi P (a < X < b) = P (a ≤ X ≤ b) Esempio 14.1.2. Data una variabile aleatoria continua X con densità di probabilità 1 2 x f (x) = 90 se 0≤x≤3 se x<0∨x>3 calcolare P (1 < X < 2). Verifichiamo che f è una densità di probabilità. Poiché 1. f (x) ≥ 0 ∀x ∈ R Z +∞ f (x)dx = 2. Z 3 1 2 x dx = 1 −∞ 0 9 f è una densità di probabilità. P (1 < X < 2) = Z 2 1 2 7 x dx = 1 14.2 9 27 Funzione di ripartizione Definizione 14.2.1 (Funzione di ripartizione). Si dice funzione di ripartizione di una variabile aleatoria X, la funzione F : R → R che ad ogni x ∈ R associa la probabilità che la variabile aleatoria assuma un valore minore o uguale a x, cioè F (x) = P (X ≤ x). Se f è densità di probabilità, allora la funzione di ripartizione è Z x f (y)dy F (x) = −∞ Se F è la funzione di ripartizione, allora la densità di probabilità è f (x) = F 0 (x) La funzione di ripartizione F è non descrescente e lim F (x) = 1 x→+∞ Infatti Z x lim F (x) = lim x→+∞ x→+∞ −∞ Z +∞ f (y)dy = f (y)dy = 1 −∞ Teorema 14.2.1. Data una variabile aleatoria continua X, con funzione di ripartizione F , si ha P (a < X < b) = F (b) − F (a) 677 CAPITOLO 14. VARIABILI ALEATORIE CONTINUE Esempio 14.2.1. Data una variabile aleatoria continua X con funzione di ripartizione F (x) = 0 (x − 2)2 1 per per per x<2 2≤x≤3 x>3 calcolare P 1 < X < 5 . 2 5 =F P 1<X< 2 5 1 − F (1) = 2 4 Å ã ã Å 14.3 Å ã Speranza matematica Definizione 14.3.1 (Speranza matematica). Data una variabile aleatoria continua X con densità di probabilità f , si dice media o speranza matematica o valore atteso e si indica con E[X] l’integrale Z +∞ xf (x)dx −∞ Questa espressione è una generalizzazione per le variabili aleatorie continue dell’espressione data per le variabili aleatorie discrete ed ha le stesse proprietà della speranza matematica delle variabili aleatorie discrete. Se la densità di probabilità di una variabile aleatoria continua X è una funzione pari, allora E[X] = 0; infatti xf (x) è una funzione dispari e quindi l’integrale è 0. 14.4 Varianza Definizione 14.4.1 (Varianza). Data una variabile aleatoria continua X con densità di probabilità f (x), si dice varianza e si indica con V ar[X] la speranza matematica del quadrato dello scarto, in simboli: Z +∞ V ar[X] = (x − E[X])2 f (x)dx −∞ La varianza delle variabili aleatorie continue ha le stesse proprietà della varianza delle variabili aleatorie discrete, in particolare V ar[X] = E[X 2 ] − (E[X])2 Definizione 14.4.2 (Deviazione standard). Data una variabile aleatoria continua X con densità di probabilità f (x), si dice deviazione standard o scarto quadratico medio la radice quadrata della varianza, e si indica con σ[X]. In simboli: sZ +∞ σ[X] = (x − E[X])2 f (x)dx −∞ Esempio 14.4.1. Data una variabile aleatoria continua X con densità di probabilità: f (x) = 1 x 20 per 0≤x≤2 per x<0∨x>2 calcolare E[X], V ar[X], σ[X]. Poiché 1. f (x) ≥ 0 ∀x ∈ R 678 14.4. VARIANZA Z +∞ f (x)dx = 2. Z 2 1 −∞ 0 2 xdx = 1 f è una densità di probabilità. E[X] = Z +∞ 1 −∞ 2 x xdx = 2 Z +∞ E[X ] = x −∞ 21 2 Z 2 1 2 4 x dx = 0 2 3 Z 2 1 3 xdx = x dx = 2 0 2 V ar[X] = E[X 2 ] − (E[X])2 = 2 − σ[X] = » V ar[X] = √ 2 2 = 9 3 2 16 = 9 9 679 Capitolo 15 Distribuzioni continue fondamentali 15.1 Distribuzione uniforme La più semplice variabile aleatoria continua è la distribuzione uniforme su un intervallo [a, b]. Definizione 15.1.1 (Distribuzione uniforme). Una variabile aleatoria continua ha distribuzione uniforme su un intervallo [a, b], se la probabilità che assuma un valore appartenente ad un intervallo I incluso in [a, b] è data dal rapporto tra l’ampiezza di I e l’ampiezza di [a, b]. La funzione di ripartizione della distribuzione uniforme su un intervallo [a, b] è 0 x−a F (x) = b−a 1 per x<a per a≤x≤b per x>b Effetuando la derivata si ricava che la densità di probabilità della distribuzione uniforme su un intervallo [a, b] è 0 1 f (x) = b−a 0 15.1.1 per x<a per a≤x≤b per x>b Media e varianza Teorema 15.1.1. Data una variabile aleatoria X, con distribuzione uniforme sull’intervallo [a, b], si ha 1. E[X] = a+b 2 2. V ar[X] = (b − a)2 12 Esempio 15.1.1. Il tempo misurato in minuti necessario a una certa persona per spostarsi da casa alla stazione è una variabile aleatoria con distribuzione uniforme sull’intervallo da 20 a 25 minuiti. Se la persona esce di casa alle 7.05 che probabilità ha di prendere il treno che parte alle 7.28? La persona arriva in stazione tra le 7.25 e le 7.30. Poiché il treno parte alle 7.28, la probabilità di prenderlo è F (7.28) F (7.28) = 7.28 − 7.25 3 = 7.30 − 7.25 5 680 15.2. DISTRIBUZIONE NORMALE O DI GAUSS 15.2 Distribuzione normale o di Gauss Definizione 15.2.1 (Distribuzione normale). Una variabile aleatoria continua ha distribuzione normale di parametri µ e σ 2 se la densità di probabilità è: f (x) = √ 1 2πσ 2 e− (x−µ)2 2σ 2 La distribuzione normale è la più importante tra tutte le distribuzioni per i seguenti motivi: 1. alcuni fenomeni obbediscono rigorosamente a una distribuzione normale, come per esempio la direzione di una molecola in un gas 2. molti fenomeni si possono approssimare con una distribuzione normale, come per esempio l’altezza di un essere umano 3. con la distribuzione normale si possono approssimare molte altre distribuzioni di probabilità La distribuzione normale di parametri µ e σ 2 si indica con N (µ, σ 2 ): µ è la speranza matematica e σ 2 è la varianza. Il suo grafico, simmetrico rispetto alla retta x = µ, ha la forma di una campana, ha il massimo per x = µ, due punti di flesso per x = µ ± σ e tende a 0 per x tendente a ±∞. 15.2.1 Distribuzione normale standardizzata Definizione 15.2.2 (Distribuzione normale standardizzata). Una variabile aleatoria normale di parametri µ = 0 e σ 2 = 1 si dice standardizzata e la sua densità di probabilità è: x2 1 f (x) = √ e− 2 2π Se si ha una variabile aleatoria con distribuzione normale, per trovare la probabilità che la variabile aleatoria assuma un valore compreso tra a e b si deve calcolare l’integrale Z b √ a 1 2πσ 2 e− (x−µ)2 2σ 2 dx Poiché i valori dell’integrale sopra scritto si possono ottonere solo con metodi numerici, per calcolare la probabilità si utilizzano delle tavole che danno i valori della funzione di ripartizione per la normale standardizzata. Se la distribuzione normale X = N (µ, σ 2 ) non è standardizzata, la si standardizza ponendo: Z= X −µ σ Se si deve calcolare P (X ≤ x1 ), si possono utilizzare le tavole della normale standardizzata ricordando che Å P (X ≤ x1 ) = P Z ≤ x1 − µ σ ã e che, poiché Z è simmetrica, P (Z ≤ −k) = P (Z ≥ k) = 1 − P (Z ≤ k) 681 CAPITOLO 15. DISTRIBUZIONI CONTINUE FONDAMENTALI Figura 15.1: funzione di ripartizione della variabile aleatoria normale standardizzata Esempio 15.2.1. Sia X un variabile aleatoria con distribuzione normale di media 2 e deviazione standard 2. Determinare la probabilità che X sia compresa tra 0 e 3. P (0 ≤ X ≤ 3) = P (X ≤ 3) − P (X ≤ 0) = 3−2 0−2 P Z≤ −P Z ≤ = 2 2 Å ã Å ã 1 1 − P (Z ≤ −1) = P Z ≤ − P (Z ≥ 1) = P Z≤ 2 2 Å ã 1 P Z≤ − (1 − P (Z ≤ 1)) = 0, 6915 − (1 − 0, 8413) = 0, 5328 2 Å 15.2.2 ã Å ã Approssimazione della distribuzione binomiale con la normale Teorema 15.2.1. Una variabile binomiale X di parametri n e p, per n tendente a +∞, tende a una distribuzione normale X − np standardizzata Z = √ . npq La variabile binomiale si può approssimare se npq > 10. Questa approssimazione è utile quando n è molto grande per semplificare i calcoli. Esempio 15.2.2. Calcolare, approssimando la distribuzione binomiale con quella normale, la probabilità che il numero di successi su 300 prove, con p = 0, 4, sia compreso tra 100 e 140. P (100 ≤ X ≤ 140) = P (X ≤ 140) − P (X ≤ 100) 682 15.2. DISTRIBUZIONE NORMALE O DI GAUSS Ç ≈P Ç P Ç P 140 − 120 √ Z≤ 72 20 Z≤√ 72 å 20 Z≤√ 72 å å Ç −P Ç −P 100 − 120 √ Z≤ 72 20 Z ≤ −√ 72 Ç −1+P å 20 Z≤√ 72 Ç =P å = 20 Z≤√ 72 å å Ç = 2P Ç −P 20 Z≤√ 72 20 Z≥√ 72 å = å −1= 2P (Z ≤ 2, 357) − 1 = 0, 9816 15.2.3 Approssimazione della distribuzione di Poisson con la normale Teorema 15.2.2. Una variabile di Poisson X di parametro λ, per λ tendente a +∞, tende a una distribuzione normale X −λ standardizzata Z = √ . λ 683 Capitolo 16 Esercizi sulla probabilità Esempio 16.0.1. • In un’urna ci sono 5 palline rosse, 12 verdi e 8 bianche. Determinare la probabilità che con un’unica estrazione di 2 palline queste abbiano lo stesso colore. L’esercizio può essere risolto in due modi. 1. Primo metodo: utilizzo del calcolo combinatorio I casi possibili sono C25,2 . I casi favorevoli per avere due palline rosse sono C5,2 , i casi favorevoli per avere due palline verdi sono C12,2 , i casi favorevoli per avere due palline bianche sono C8,2 . Quindi: C5,2 + C12,2 + C8,2 26 = C25,2 75 2. Secondo metodo: utilizzo del teorema delle probabilità totali. Consideriamo gli eventi: A = prima pallina rossa B = seconda pallina rossa C = prima pallina verde D = seconda pallina verde E = prima pallina bianca F = seconda pallina bianca P ((A ∩ B) ∪ (C ∩ D) ∪ (E ∩ F )) = P (A)P (B/A) + P (C)P (D/C) + P (E)P (F/E) = 5 4 12 11 8 7 26 + + = 25 24 25 24 25 24 75 Per esemplificare questo metodo si può utilizzare il diagramma ad albero. • Qual è la probabilità che, estraendo una carta da un mazzo di 40, si tratti di un 5 o di una carta di fiori? Consideriamo gli eventi: A = esce un carta di fiori B = esce un 5 4 1 13 10 P (A ∪ B) = P (A) + P (B) − P (A ∩ B) = + − = 40 40 40 40 • Nel lancio di un dado qual è la probabilità che esca un numero pari o un numero divisibile per 3? Consideriamo gli eventi: A = esce un numero pari B = esce un numero divisibile per 3 P (A ∪ B) = P (A) + P (B) − P (A ∩ B) = 3 2 1 4 2 + − = = 6 6 6 6 3 684 • Da un mazzo di 40 carte si estraggono successivamente 2 carte senza reinserimento. Qual è la probabilità che si tratti di due donne? L’esercizio può essere risolto in due modi. 1. Primo metodo: utilizzo del calcolo combinatorio. I casi possibili sono D40,2 . I casi favorevoli per avere due donne sono D4,2 . Quindi: D4,2 1 = D40,2 130 2. Secondo metodo: utilizzo del teorema delle probabilità totali. Consideriamo gli eventi: A = prima donna estratta B = seconda donna estratta P (A ∩ B) = 4 3 1 = 40 29 130 Per esemplificare questo metodo si può utilizzare il diagramma ad albero. • Da un mazzo di 40 carte si estraggono successivamente 2 carte con reinserimento. Qual è la probabilità che si tratti di due donne? L’esercizio può essere risolto in due modi. 1. Primo metodo: utilizzo del calcolo combinatorio. r . I casi possibili sono D40,2 r . I casi favorevoli per avere due donne sono D4,2 Quindi: r D4,2 1 = r D40,2 100 2. Secondo metodo: utilizzo del teorema delle probabilità totali. Consideriamo gli eventi: A = prima donna estratta B = seconda donna estratta P (A ∩ B) = 4 4 1 = 40 40 100 Per esemplificare questo metodo si può utilizzare il diagramma ad albero. • In un’urna ci sono 1 pallina rossa, 2 verdi e 3 bianche. Vengono estratte successivamente due palline senza reinserimento. Determinare 1. la probabilità di estrarre una pallina bianca e una verde 2. la probabilità di estrarre due palline con lo stesso colore Consideriamo gli eventi: A = prima pallina rossa B = prima pallina verde C = seconda pallina verde D = prima pallina bianca F = seconda pallina bianca 1. P ((B ∩ F ) ∪ (D ∩ C)) = P (B)P (F/B) + P (D)P (C/D) = 2 23 32 + = 65 65 5 685 CAPITOLO 16. ESERCIZI SULLA PROBABILITÀ 2. P ((B ∩ C) ∪ (D ∩ F )) = P (B)P (C/B) + P (D)P (F/D) = 21 32 4 + = 65 65 15 Per esemplificare questo metodo si può utilizzare il diagramma ad albero. • Tre scatole contengono rispettivamente 5 camicie rosse e 2 bianche, 7 rosse e 5 verdi, 6 verdi e 3 bianche. Scelta a caso una scatola, qual è la probabilità di estrarre una camicia bianca? Consideriamo gli eventi: S1 = prima scatola S2 = seconda scatola S3 = prima scatola A = camicia bianca P ((S1 ∩ A) ∪ (S2 ∩ A) ∪ (S3 ∩ A)) = P (S1 )P (A/S1 ) + P (S2 )P (A/S2 ) + P (S3 )P (A/S3 ) = 12 1 13 5 + 0+ = 37 3 39 27 Per esemplificare questo metodo si può utilizzare il diagramma ad albero. • Si effettuano 10 tiri al bersaglio. La probabilità di centrare il bersaglio ad ogni colpo è 0, 6. Determinare: 1. la probabilità di fare 8 centri 2. la probabilità di fare da 5 a 7 centri 3. la probabilità di fare almeno 5 centri 4. la probabilità di fare al massimo 5 centri Il numero di centri è una variabile aleatoria X con distribuzione binomiale di parametri n = 10 e p = 0, 6. Ç 1. P (X = 8) = å 10 0, 68 0, 42 = 0, 12 8 2. P (5 ≤ X ≤ 7) = P (X = 5) + P (X = 6) + P (X = 7) = Ç å Ç å Ç 3. P (5 ≤ X ≤ 10) = Ç Ç å 10 10 10 0, 65 0, 45 + 0, 66 0, 44 + 0, 67 0, 43 = 0, 93 5 6 7 å Ç å Ç å Ç å 10 10 10 0, 65 0, 45 + 0, 66 0, 44 + 0, 67 0, 43 + 5 6 7 å Ç å 10 10 10 0, 68 0, 42 + 0, 69 0, 4 + 0, 610 = 0, 83 8 9 10 4. P (0 ≤ X ≤ 5) = 1 − P (5 ≤ X ≤ 10) + P (X = 5) = 1 − 0, 83 + 0, 2 = 0, 37 • Il 4% delle lampadine contenute in una scatola è difettoso. Calcolare: 1. la probabilità che in una scatola con 50 lampadine ne esistano 2 difettose 2. la probabilità che in una scatola con 50 lampadine ne esistano al massimo 2 difettose Il numero di lampadine difettose è una variabile aleatoria X con distribuzione binomiale di parametri n = 50 e p = 0, 04. Si può approssimare con una distribuzione di Poisson con parametro λ = 50 · 0, 04 = 2. 1. P (X = 2) = 22 −2 e = 0, 27 2! 686 2. P (X ≤ 2) = P (X = 0) + P (X = 1) + P (X = 2) = 20 −2 21 −2 22 −2 e + e + e = 0, 68 0! 1! 2! • La probabilità di ottenere almeno un 6 in quattro lanci di un dado è uguale a quella di ottenere almeno un doppio 6 nel lancio di due dati per 24 volte? (Problema posto dal Cavaliere di Méré) Il numero di 6 in 4 lanci è una variabile aleatoria X con distribuzione binomiale di parametri 1 n = 4, p = . 6 Å ã4 5 6 P (X ≥ 1) = 1 − P (X = 0) = 1 − = 0, 5177 Il numero di doppi 6 in 24 lanci è una variabile aleatoria Y con distribuzione binomiale di 1 parametri n = 24, p = . 36 P (Y ≥ 1) = 1 − P (Y = 0) = 1 − Å 35 36 ã24 = 0, 4914 Quindi le probabilità sono diverse. • Da un mazzo di 36 carte se ne estraggono tre a caso senza reinserimento. Determinare la probabilità che fra esse vi sia almeno un asso. Consideriamo l’evento A = nessun asso. P (A) = C32,3 C36,3 1 − P (A) = 1 − C32,3 = 0, 30532 C36,3 • Un’urna contiene 90 palline numerate da 1 a 90. 1. Si estraggono due palline senza reinserimento: qual è la probabilità che i due numeri estratti siano multipli di 5? 2. Si estraggono due palline con reinserimento: qual è la probabilità che i due numeri estratti siano multipli di 5? 1. Il numero di multipli di 5 è una variabile aleatoria X con distribuzione ipergeometrica di parametri n = 2, r = 18, b = 72. Ç P (X = 2) = åÇ 18 2 Ç å 72 0 å 90 2 = 17 445 2. Il numero di multipli di 5 è una variabile aleatoria Y con distribuzione binomiale di 18 1 parametri n = 2 e p = = . 90 5 Ç å Å ã2 P (Y = 2) = 2 2 1 5 = 1 25 • In una corsa corrono 10 cavalli; uno scommettitore ne sceglie 3 a caso e li mette in un certo ordine a caso. Qual è la probabilità che i 3 cavalli scelti arrivino nell’ordine scelto? Consideriamo l’evento A = i tre cavalli arrivano nell’ordine scelto P (A) = 1 D10,3 = 1 720 687 CAPITOLO 16. ESERCIZI SULLA PROBABILITÀ • Si prendono a caso 3 lampadine fra 15 lampadine di cui 5 difettose. Determinare la probabilità che: 1. nessuna sia difettosa 2. una sola sia difettosa 3. almeno una sia difettosa Il numero di lampadine difettose è una variabile aleatoria X con distribuzione ipergeometrica di parametri n = 3, r = 5, b = 10. Ç åÇ 1. P (X = 0) = 5 0 å 10 3 Ç å 15 3 Ç åÇ 5 1 = 24 91 å 10 45 2 2. P (X = 1) = Ç å = 15 91 3 24 67 3. 1 − P (X = 0) = 1 − = 91 91 • Tre cavalli A, B, C sono in gara tra di loro. La probabilità di vittoria di A è il doppio di quella di B che è il doppio di quella di C. Determinare le 3 probabilità di vittoria. Se x la probabilità di vittoria di C, allora 2x è la probabilità di vittoria di B e 4x quella di A. x + 2x + 4x = 1 7x = 1 1 x= 7 Quindi la probabilità di vittoria di C è 1 2 4 , quella di B è e quella di A è . 7 7 7 • Siano A e B due eventi. Sapendo che P (A ∪ B) = P (A), P (B). Poiché 7 1 5 , P (A ∩ B) = , P (A) = determinare 8 4 8 P (A) = 1 − P (A) si ha P (A) = 1 − P (A) = 1 − 5 3 = 8 8 Poiché P (A ∪ B) = P (A) + P (B) − P (A ∩ B) si ha P (B) = P (A ∪ B) − P (A) + P (A ∩ B) = 7 3 2 6 3 − + = = 8 8 8 8 4 • Un’urna contiene 6 palline bianche e 8 nere. Si estraggono successivamente due palline senza reinserimento. Trovare la probabilità di estrarre due palline bianche Consideriamo gli eventi: A = prima pallina bianca B = seconda pallina bianca P (A ∩ B) = P (A)P (B/A) = 6 5 15 = 14 13 91 688 • A un uomo vengono distribuite 5 carte una dopo l’altra da un mazzo di 52 carte. Qual è la probabilità che siano tutte cuori? D13,5 33 = D52,5 66640 • In una classe il 25% degli allievi è insufficiente in matematica, il 15% in italiano, il 10% sia in italiano sia in matematica. Si sceglie a caso un allievo: 1. se è insufficiente in italiano qual è la probabilità che lo sia anche in matematica? 2. se è insufficiente in matematica qual è la probabilità che lo sia anche in italiano? 3. qual è la probabilità che sia insufficiente in matematica o in italiano? Consideriamo gli eventi. A = insufficiente in italiano B = insufficiente in matematica 1. P (B/A) = P (A ∩ B) 2 = P (A) 3 2. P (A/B) = 2 P (B ∩ A) = P (B) 5 3. P (A ∪ B) = P (A) + P (B) − P (A ∩ B) = 3 10 2 1 • La probabilità che A colpisca un bersaglio è , la probabilità che lo colpisca B è . Qual è la 4 5 probabilità che il bersaglio venga colpito se A e B sparano entrambi? Consideriamo gli eventi: A = A colpisce il bersaglio B = B colpisce il bersaglio P (A ∪ B) = P (A) + P (B) − P (A ∩ B) = P (A) + P (B) − P (A)P (B) = 1 2 12 11 + − = 4 5 45 20 Per esemplificare questo metodo si può utilizzare il diagramma ad albero. • Quattro urne contengono rispettivamente, 1 pallina bianca e 1 nera, 2 palline bianche e 3 nere, 3 palline bianche e 5 nere, 4 palline bianche e 7 nere. 1 1 3 2 Si sceglie a caso un’urna con le seguenti probabilità: la prima, la seconda, la terza, 10 5 10 5 la quarta. Si estrae una pallina, trovare la probabilità che sia bianca Consideriamo gli eventi: A = estrazione dalla prima urna B = estrazione dalla seconda urna C = estrazione dalla terza urna D = estrazione dalla quarta urna E = estrazione pallina bianca P (E) = P (A ∩ E) + P (B ∩ E) + P (C ∩ E) + P (D ∩ E) = P (A)P (E/A) + P (B)P (E/B) + P (C)P (E/C) + P (D)P (E/D) = 3 3 2 4 1707 1 1 12 + + + = 10 2 5 5 10 8 5 11 4400 Per esemplificare questo metodo si può utilizzare il diagramma ad albero. 689 CAPITOLO 16. ESERCIZI SULLA PROBABILITÀ • Consideriamo 12 apparecchi: 3 sono fabbricati nello stabilimento S1 , 4 in S2 , 5 in S3 . Gli apparecchi costruiti in S1 passano il collaudo con probabilità 0, 9, quelli di S2 con probabilità 0, 8 quelli di S3 con probabilità 0, 75. Trovare la probabilità che un apparecchio scelto a caso passi il collaudo. Consideriamo gli eventi: A = apparecchio prodotto dal primo stabilimento B = apparecchio prodotto dal secondo stabilimento C = apparecchio prodotto dal terzo stabilimento D = apparecchio che passa il collaudo P (D) = P (A ∩ D) + P (B ∩ D) + P (C ∩ D) = P (A)P (D/A) + P (B)P (D/B) + P (C)P (D/C) = 3 9 4 8 5 75 + + = 0, 804 12 10 12 10 12 100 Per esemplificare questo metodo si può utilizzare il diagramma ad albero. • Vengono lanciati 3 colpi di seguito su un bersaglio. La probabilità di colpire il bersaglio è rispettivamente 0, 3 al primo colpo, 0, 6 al secondo, 0, 8 al terzo. La probabilità di distruzione del bersaglio è 0, 4 se è colpito una volta, 0, 7 se è colpito due volte, 1 se è colpito 3 volte. Determinare la probabilità di distruzione del bersaglio al lancio dei 3 colpi. Consideriamo gli eventi: A = bersaglio colpito una volta B = bersaglio colpito due volte C = bersaglio colpito tre volte D = bersaglio distrutto P (A) = 0, 3 · 0, 4 · 0, 2 + 0, 7 · 0, 6 · 0, 2 + 0, 7 · 0, 4 · 0, 8 = 0, 332 P (B) = 0, 3 · 0, 6 · 0, 2 + 0, 3 · 0, 4 · 0, 8 + 0, 7 · 0, 6 · 0, 8 = 0, 468 P (C) = 0, 3 · 0, 6 · 0, 8 = 0, 144 P (D) = P (A ∩ D) + P (B ∩ D) + P (C ∩ D) = P (A)P (D/A) + P (B)P (D/B) + P (C)P (D/C) = 0, 332 · 0, 4 + 0, 468 · 0, 7 + 0, 144 · 1 = 0, 6044 Per esemplificare questo metodo si può utilizzare il diagramma ad albero. • Si hanno due urne: la prima contiene 5 palline bianche e 10 nere, nella seconda ci sono 3 palline bianche e 7 nere. Si estrae una pallina dalla seconda urna e si inserisce nella prima. Successivamente si estra una pallina dalla prima urna, determinare la probabilità che sia bianca. Consideriamo gli eventi: A = pallina estratta dalla seconda urna bianca B = pallina estratta dalla prima urna bianca P (B) = P (A ∩ B) + P (A ∩ B) = P (A)P (B/A) + P (A)P (B/A) = 3 6 7 5 53 + = 10 16 10 16 160 Per esemplificare questo metodo si può utilizzare il diagramma ad albero. • La variabile aleatoria X assume i valori 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10 con probabilità P (X = k) = ak. Determinare la legge di probabilità. a + 2a + 3a + 4a + 5a + 6a + 7a + 8a + 9a + 10a = 1 55a = 1 1 a= 55 P (X = k) = 1 k 55 690 • Determinare la funzione di ripartizione della variabile aleatoria X con distribuzione di probabilità: ® X= F (x) = 1 0, 1 2 0, 4 0 0, 1 3 0, 3 per per per per per 0, 5 0, 8 1 4 0, 2 ´ x<1 1≤x<2 2≤x<3 3≤x<4 x≥4 • Determinare la distribuzione di probabilità della variabile aleatoria X avente la seguente funzione di ripartizione: F (x) = 0 0, 4 per per per per per 0, 5 0, 7 1 x<0 0≤x<1 1≤x<2 2≤x<3 x≥3 Poiché P (X = xi ) = F (xi ) − F (xi−1 ) si ha ® X= 0 0, 4 1 0, 1 2 0, 2 3 0, 3 ´ • Sia X la variabile aleatoria numero di teste in due lanci di una moneta. Determinare la distribuzione di probabilità e la funzione di ripartizione di X. X= 0 1 1 2 1 4 2 1 4 0 0, 25 F (x) = 0, 75 per per per per 1 x<0 0≤x<1 1≤x<2 x≥2 • Un’urna contiene 7 gettoni rossi e 3 verdi, una seconda urna contiene 6 gettoni rossi e 3 verdi. Si estrae un gettone dalla prima urna e si mette nella seconda. Successivamente si estrae un gettone dalla seconda urna. Determinare la distribuzione di probabilità della variabile aleatoria X numero di gettoni rossi estratti dalle due urne. X= 0 1 2 3 4 10 10 7 3 3 6 + 10 10 10 10 0 = 7 7 12 10 10 100 1 39 100 2 49 100 • Determinare speranza matematica, varianza e deviazione standard della variabile aleatoria X con distribuzione di probabilità: −5 −4 1 8 2 X= 1 1 4 8 1 1 1 1 E(X) = −5 − 4 + 1 + 2 = −1 4 8 2 8 1 1 1 1 E(X 2 ) = 25 + 16 + 1 + 4 = 9, 25 4 8 2 8 2 2 V ar[X] = E(X ) − (E[X]) = 9, 25 − 1 = 8, 25 σ(X) = p 1 1 2 8, 25 = 2, 9 691 CAPITOLO 16. ESERCIZI SULLA PROBABILITÀ 1 • Un evento ha probabilità costante p = . Calcolare la probabilità che esso si verifichi: 3 1. 1 volta su 3 2. 2 volte su 6 3. 5 volte su 5 4. almeno 2 volte su 7 5. al massimo 2 volte su 6 Il numero di volte in cui si verifica l’evento è una variabile aleatoria Xn con distribuzione 1 binomiale di parametri n e p = . 3 Ç å Å ã1 Å ã2 1. P (X3 = 1) = 3 1 1 3 2 3 = 4 9 = 80 243 Ç å Å ã2 Å ã4 2. P (X6 = 2) = 6 2 2 3 1 3 Ç å Å ã5 Å ã0 1 5 2 1 = 3 3 243 5 4. P (XÇ7 ≥ = 1 − P (X < 2) = 1 − P (X = 0) − P (X7 = 1) = å 2) Å ã0 Å ã7 7Ç å Å ã1 Å ã6 7 1 1 2 7 2 1611 7 − = 1− 1 0 3 3 3 3 2187 5. P = P (X6Ç=å0) + P (X6 = 1)Ç +P = 2) = Ç (X å6Å≤ã2) å(X Å ã1 Å ã5 Å 6ã2 Å ã4 Å ã 1 0 2 6 1 1 6 6 2 6 2 496 + + = 0 3 3 1 3 3 2 3 3 729 3. P (X5 = 5) = • Nel lancio di una moneta determinare la probabilità dei seguenti eventi: 1. 2 croci su 5 lanci 2. 5 croci su 5 lanci 3. almeno 2 teste su 6 lanci Il numero di croci è una variabile aleatoria X5 con distribuzione binomiale di parametri n = 5 e 1 p = . Il numero di teste è una variabile aleatoria Y6 con distribuzione binomiale di parametri 2 1 n=6ep= . 2 Ç å Å ã2 Å ã3 1. P (X5 = 2) = 5 2 1 2 1 2 = 5 16 Ç å Å ã5 Å ã0 5 1 1 1 = 5 2 2 32 3. P (YÇ 2) = 1 − P (Y = 0) − P (Y6 = 1) = 6 ≥å2) = 1 − P (Y6 < Å ã0 Å ã6 Ç å Å ã1 Å ã56 6 1 1 6 1 1 57 1− − = 0 2 2 1 2 2 64 2. P (X5 = 5) = • Una famiglia ha 6 figli. Supponendo uguale la probabilità che nasca maschio o femmina, determinare la probabilità che 1. ci siano 3 maschi e 3 femmine 2. meno femmine che maschi Il numero di maschi è una variabile aleatoria X con distribuzione binomiale di parametri n = 6 1 ep= . 2 Ç å Å ã3 Å ã3 1. P (X = 3) = 6 3 1 2 1 2 = 5 16 692 2. P = P (X =Ç 4)å+ P (X = 5) + Ç P (X 6) = Ç (X å Å≥ 4) å Å= ã ã Å ã Å ã5 Å ã1 Å ã 6 6 6 1 4 1 2 1 1 1 6 1 0 11 + + = 4 2 2 5 2 2 6 2 2 32 • La probabilità che in una data località si abbia in un giorno un temporale a partire dal primo luglio è costante e pari a 0, 1. Calcolare la probabilità che si abbia il primo temporale: 1. il 7 luglio 2. nella prima decade di luglio 3. dopo il 5 luglio Il giorno del primo temporale è una variabile aleatoria X con distribuzione geometrica di parametro p = 0, 1. 1. P (X = 7) = pq 6 = 0, 1 · 0, 96 = 0, 05 2. P (X ≤ 10) = 10 X pq i−1 = p i=1 1 − q 10 = 1 − q 10 = 1 − 0, 91 0 = 0, 65 1−q 3. P (X > 5) = 1 − P (X ≤ 5) = 1 − (1 − q 5 ) = q 5 = 0, 95 = 0, 59 • Un mazzo di fiori ne contiene 5 rossi e 10 bianchi. Estraendone a caso 8 determinare la probabilità che: 1. 4 siano rossi 2. siano tutti bianchi 3. almeno uno sia rosso Il numero di fiori rossi è una variabile aleatoria X con distribuzione ipergeometrica di parametri n = 8, r = 5, b = 10. Ç åÇ 1. P (X = 4) = 10 4 Ç å 15 8 Ç åÇ 2. P (X = 0) = å 5 4 5 0 = 70 429 = 1 143 å 10 8 Ç å 15 8 3. P (X ≥ 1) = 1 − P (X = 0) = 1 − 1 142 = 143 143 • La probabilità di centrare un bersaglio è 0, 001 per ogni colpo. Determinare la probabilità di centrare un bersaglio con due o più pallottole se il numero di colpi sparati è 5000. Il numero di centri è una variabile aleatoria X con distribuzione binomiale di parametri n = 5000 ep = 0, 001. Poiché p è piccolo e n grande, si può approssimare con una distribuzione di Poisson di parametro λ = np = 5. P (X ≥ 2) = 1 − P (X = 0) − P (X = 1) = 1 − 50 −5 51 −5 e − e = 0, 9596 0! 1! • Nella produzione di pezzi fabbricati da una macchina la percentuale dei pezzi difettosi è 0, 4%. Determinare la probabilità di trovare 5 pezzi difettosi su 5000 scelti a caso. Il numero di pezzi difettosi è una variabile aleatoria X con distribuzione binomiale di parametri n = 5000 e , p = 0, 004. Poiché p è piccolo e n grande si può approssimare con una distribuzione di Poisson di parametro λ = np = 20. P (X = 5) = 205 −20 e = 0, 000055 5! 693 CAPITOLO 16. ESERCIZI SULLA PROBABILITÀ • La probabilità che una persona sia allergica a un vaccino è 0, 002. determinare la probabilità che su 1000 individui 3 individui siano allergici. Il numero di persone allergiche è una variabile aleatoria X con distribuzione binomiale di parametri n = 1000 e p = 0, 002. Poiché p è piccolo e n grande, si può approssimare con una distribuzione di Poisson di parametro λ = np = 2. P (X = 3) = 23 −2 e = 0, 18 3! • La variabile aleatoria X ha una distribuzione normale con media 30 e varianza 100. Trovare la probabilità che il valore della variabile aleatoria appartenga all’intervallo ]10, 50[. X − 30 Sia Z = 10 P (10 < X < 50) = P (X ≤ 50) − P (X ≤ 10) = Å P Z≤ 50 − 30 10 − 30 −P Z ≤ = 10 10 ã Å ã P (Z ≤ 2) − P (Z ≤ −2) = P (Z ≤ 2) − P (Z ≥ 2) = P (Z ≤ 2) − (1 − P (Z ≤ 2)) = 2P (Z ≤ 2) − 1 = 2 · 0, 9772 − 1 = 0, 9544 • L’errore di fabbricazione di un pezzo di 20 cm di lunghezza è una variabile aleatoria continua con distribuzione normale con deviazione standard 0, 2. Determinare la probabilità che la lunghezza del pezzo fabbricato differisca dal valore dato meno di 0, 3 cm. X − 20 Sia Z = 0, 2 P (19, 7 < X < 20, 3) = P (X ≤ 20, 3) − P (X ≤ 19, 7) = Å P Z≤ 20, 3 − 20 19, 7 − 20 −P Z ≤ = 0, 2 0, 2 ã Å ã P (Z ≤ 1, 5) − P (Z ≤ −1, 5) = P (Z ≤ 1, 5) − P (Z ≥ 1, 5) = P (Z ≤ 1, 5) − (1 − P (Z ≤ 1, 5)) = 2P (Z ≤ 1, 5) − 1 = 2 · 0, 9332 − 1 = 0, 8664 694 Parte V CLASSE QUINTA LINGUISTICO 695 Capitolo 1 Numeri reali 1.1 Introduzione L’insieme R dei numeri reali, dotato delle operazioni di addizione e moltiplicazione, ha la struttura di campo: per tali operazioni valgono le proprietà commutativa, associativa, di esistenza dell’elemento neutro, di esistenza dell’inverso, vale inoltre la proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto all’addizione. L’insieme dei numeri reali è ordinato, cioè su R è definita una relazione chiamata minore o uguale, che si indica con 6, che gode delle proprietà riflessiva, antisimmetrica e transitiva. Due numeri reali sono sempre confrontabili, quindi la relazione 6 è una relazione di ordine totale. Vale inoltre il principio di Archimede: per ogni numero reale esiste un numero naturale maggiore o uguale di esso. Utilizzeremo i simboli −∞ e +∞ che hanno la seguente proprietà: ∀x ∈ R − ∞ < x < +∞ 1.2 Intervalli Gli intervalli sono particolari sottoinsiemi dei numeri reali. Dati a, b ∈ R, con a 6 b si dice intervallo ciascuno dei seguenti insiemi: ]a, b[ = {x ∈ R/a < x < b} intervallo aperto [a, b[ = {x ∈ R/a 6 x < b} intervallo semiaperto o semichiuso ]a, b] = {x ∈ R/a < x 6 b} intervallo semiaperto o semichiuso [a, b] = {x ∈ R/a 6 x 6 b} intervallo chiuso [a, +∞[ = {x ∈ R/x > a} intervallo chiuso ]a, +∞[ = {x ∈ R/x > a} intervallo aperto ]−∞, a] = {x ∈ R/x 6 a} intervallo chiuso ]−∞, a[ = {x ∈ R/x < a} intervallo aperto Osservazioni 1. I primi 4 intervalli sono limitati, gli altri sono illimitati. 2. L’insieme R è l’intervallo ]−∞, +∞[. 3. [a, a] = {a} 4. ]a, a] = [a, a[=]a, a[= ∅ Ogni intervallo si può rappresentare graficamente. a b Figura 1.1: ]a, b[ 696 1.3. ESTREMO SUPERIORE, ESTREMO INFERIORE, MASSIMO E MINIMO DI UN INSIEME a b Figura 1.2: [a, b[ a b Figura 1.3: ]a, b] a b Figura 1.4: [a, b] a Figura 1.5: [a, +∞[ Figura 1.6: ]a, +∞[ a Figura 1.7: ]−∞, a] a a Figura 1.8: ]−∞, a[ 1.3 Estremo superiore, estremo inferiore, massimo e minimo di un insieme Sia A un sottoinsieme non vuoto di R. Definizione 1.3.1 (Maggiorante). Si dice che z ∈ R è un maggiorante di A, se e solo se ∀x ∈ A x 6 z Definizione 1.3.2 (Insieme superiormente limitato). Si dice che A è superiormente limitato, se e solo se ammette un maggiorante Esempio 1.3.1. Dato A = [0, 1[, 1 è un maggiorante di A, quindi A è superiormente limitato; si può notare che anche 2, 2.4, ecc. sono maggioranti di A: quindi, se esiste un maggiorante, ne esistono infiniti. Dato A = N, non esiste alcun maggiorante di A, quindi A non è superiormente limitato. Dato A = [2, +∞[, non esiste alcun maggiorante di A, quindi A non è superiormente limitato. Definizione 1.3.3 (Estremo superiore). Si dice estremo superiore di A il più piccolo dei maggioranti e si indica con sup (A). 697 CAPITOLO 1. NUMERI REALI Se l’estremo superiore esiste, è unico. Esempio 1.3.2. Dato A = [0, 1], sup (A) = 1 ∈ A. Dato A = [0, 1[, sup (A) = 1 6∈ A. Dato A = [0, +∞[, sup (A) non esiste. Definizione 1.3.4 (Massimo). Si dice che M è il massimo di A, se e solo se M ∈ A ∧ ∀x ∈ A x 6 M e si indica con max (A). Se il massimo esiste, è unico e coincide con l’estremo superiore. Esempio 1.3.3. Dato A = [0, 1], max (A) = 1. Dato A = [0, 1[, max (A) non esiste. Definizione 1.3.5 (Minorante). Si dice che z ∈ R è un minorante di A, se e solo se ∀x ∈ A x > z. Definizione 1.3.6 (Insieme inferiormente limitato). Si dice che A è inferiormente limitato, se e solo se ammette un minorante Esempio 1.3.4. Dato A = [0, 1[, 0 è un minorante di A, quindi A è inferiormente limitato; si può notare che anche −1, −1.4, ecc. sono minoranti di A: quindi se esiste un minorante, ne esistono infiniti. Dato A = N, 0 è un minorante di A, quindi A è inferiormente limitato. Dato A =] − ∞, 5[, non esiste alcun minorante di A, quindi A non è inferiormente limitato. Definizione 1.3.7 (Estremo inferiore). Si dice estremo inferiore di A il più grande dei minoranti e si indica con inf (A). Se l’estremo inferiore esiste, è unico. Esempio 1.3.5. Dato A = [0, 1], inf (A) = 0 ∈ A. Dato A = ]0, 1], inf (A) = 0 6∈ A. Dato A = ]−∞, 2[, inf (A) non esiste. Definizione 1.3.8 (Minimo). Si dice che m è il minimo di A, se e solo se m ∈ A ∧ ∀x ∈ A x > m e si indica con min (A). Se il minimo esiste, è unico e coincide con l’estremo inferiore. Esempio 1.3.6. Dato A = [0, 1], min (A) = 0. Dato A =]0, 1], min (A) non esiste. Definizione 1.3.9 (Insieme limitato). Si dice che A è limitato, se e solo se è superiormente e inferiormente limitato 698 Capitolo 2 Funzioni 2.1 Introduzione Definizione 2.1.1 (Funzione). Dati due insiemi D ed E non vuoti, si dice funzione da D in E una relazione che a ogni elemento di D associa un solo elemento di E. Osservazioni 1. Le funzioni normalmente si indicano con f ,g,h. 2. Per indicare che una funzione f va da D in E si scrive f :D→E L’insieme D si dice dominio, l’insieme E si dice insieme di arrivo. 3. Se in una funzione f : D → E, x ∈ D è in relazione con y ∈ E, si dice che y è immagine di x, x è controimmagine di y e si scrive y = f (x) 4. Data f :D→E l’insieme delle immagini degli elementi di D si dice codominio e si indica con f (D). 5. Se, data la funzione f : D → E, D ed E sono sottoinsiemi dei numeri reali, essa è detta funzione reale di variabile reale. In una funzione reale di variabile reale, il dominio può essere dato a priori oppure si considera il dominio massimale; anche l’insieme di arrivo può essere dato a priori oppure si considera R. 6. In una funzione f reale di variabile reale f (x) è l’espressione analitica, y = f (x) è l’equazione cartesiana della funzione. 7. Ogni funzione reale di variabile reale è individuata assegnando il dominio, l’insieme di arrivo e l’espressione analitica. 8. Data la funzione f : D ⊆ R → R, l’insieme G = {(x, f (x)) /x ∈ D} si dice grafo di f . Introdotto un sistema di riferimento cartesiano, l’insieme G può essere rappresentato graficamente ottenendo così il grafico della funzione. 9. Ogni retta parallela all’asse y, passante per un elemento di D, incontra il grafico della funzione in un solo punto. Esempio 2.1.1. Data la funzione f :R→R 699 CAPITOLO 2. FUNZIONI f (x) = sin (x) (espressione analitica) y = sin (x) (equazione cartesiana della funzione) D=R f (D) = [−1, 1] Se in una funzione si modificano il dominio o l’insieme di arrivo, si ottiene una nuova funzione. Esempio 2.1.2. • Data la funzione f :R→R f (x) = x2 4 y 3 2 1 x −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 −1 Figura 2.1: grafico di f (x) = x2 La funzione g : [0, +∞[ → R g (x) = x2 si ottiene da f con una restrizione del dominio. 4 y 3 2 1 x −4 −3 −2 −1 O 1 2 −1 Figura 2.2: grafico di g(x) = x2 700 3 4 2.2. FUNZIONI SURIETTIVE, INIETTIVE, BIIETTIVE • Data la funzione f :R→R f (x) = sin (x) y 1 x −2π 3 − π 2 −π π − 2 O π 2 π 3 π 2 2π 5 π 2 −1 Figura 2.3: grafico di f (x) = sin (x) La funzione g : R → [−1, 1] g (x) = sin (x) si ottiene da f con una restrizione dell’insieme di arrivo. y 1 x −2π 3 − π 2 −π − π 2 O π 2 π 3 π 2 2π 5 π 2 −1 Figura 2.4: grafico di g(x) = sin (x) Per semplicità, quando si restringono il dominio o l’insieme di arrivo, la funzione verrà indicata con lo stesso nome. 2.2 Funzioni suriettive, iniettive, biiettive Definizione 2.2.1 (Funzione suriettiva). Una funzione f : D → E si dice suriettiva, se e solo se ogni elemento di E ammette almeno una controimmagine. Se una funzione è suriettiva, il codominio è E. Data una funzione f : D → E reale di variabile reale, f è suriettiva, se e solo se ogni retta parallela all’asse x, passante per un elemento di E, incontra il grafico della funzione almeno in un punto. 701 CAPITOLO 2. FUNZIONI 4 y 3 2 1 x −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 −1 Figura 2.5: grafico di una funzione f : R → R suriettiva Definizione 2.2.2 (Funzione iniettiva). Una funzione f : D → E si dice iniettiva, se e solo se ogni elemento di E ammette al più una controimmagine. Data una funzione f : D → E reale di variabile reale, f è iniettiva, se e solo se ogni retta parallela all’asse x, passante per un elemento di E, incontra il grafico della funzione al più in un punto. 4 y 3 2 1 x −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 −1 Figura 2.6: grafico di una funzione f : R → R iniettiva Definizione 2.2.3 (Funzione biiettiva). Una funzione f : D → E si dice biiettiva, se e solo se è iniettiva e suriettiva. Una funzione biiettiva si dice anche biiezione o corrispondenza biunivoca. Dalla definizione si deduce che una funzione f : D → E è una biiezione, se e solo se ogni elemento di E ammette una e una sola controimmagine. Data una funzione f : D → E reale di variabile reale, f è biiettiva, se e solo se ogni retta parallela all’asse x, passante per un elemento di E, incontra il grafico della funzione in un solo punto. 702 2.3. FUNZIONE INVERSA 4 y 3 2 1 x −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 −1 −2 −3 −4 Figura 2.7: grafico di una funzione f : R → R biiettiva 2.3 Funzione inversa Definizione 2.3.1 (Funzione inversa). Data la funzione f : D → E, se esiste la funzione f −1 : E → D definita nel seguente modo: x = f −1 (y) ⇔ y = f (x) , ∀x ∈ D, ∀y ∈ E f è invertibile e f −1 è la funzione inversa. Osservazioni 1. Una funzione è invertibile, se e solo se è biiettiva; la funzione inversa è ancora biiettiva. 2. Per una funzione reale di variabile reale, il grafico della sua inversa è il simmetrico rispetto alla bisettrice del primo e terzo quadrante del grafico della funzione data. Esempio 2.3.1. La funzione f :R→R f (x) = x3 è biiettiva, quindi è invertibile. Il grafico della funzione inversa è il simmetrico rispetto alla bisettrice del primo e terzo quadrante del grafico di f . 703 CAPITOLO 2. FUNZIONI y 3 2 1 x −3 −2 O −1 1 2 3 −1 −2 −3 Figura 2.8: grafico di f (x) = x3 e della sua inversa Osservazione Una funzione f non invertibile, si può rendere invertibile restringendo opportunamente il dominio e l’insieme di arrivo. Esempio 2.3.2. La funzione f :R→R f (x) = x2 non è biiettiva. 4 y 3 2 1 x −4 −3 −2 −1 O 1 2 −1 Figura 2.9: grafico di f (x) = x2 La funzione f : [0, +∞[ → [0, +∞[ f (x) = x2 è biiettiva, quindi è invertibile. 704 3 4 2.3. FUNZIONE INVERSA 4 y 3 2 1 x −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 −1 Figura 2.10: grafico di f (x) = x2 e della sua inversa Per ricavare la funzione inversa di una funzione invertibile f : D → E: 1. si scrive l’equazione cartesiana della funzione: y = f (x) 2. si ricava la variabile x ottenendo x = f −1 (y) 3. si scambiano le variabili: y = f −1 (x) 4. la funzione inversa è f −1 : E → D Esempio 2.3.3. • La funzione f :R→R f (x) = 2x + 5 è biiettiva, quindi è invertibile. L’equazione cartesiana è y = 2x + 5 Ricavando la variabile x, si ottiene x= y−5 2 Scambiando le variabili, si ottiene y= x−5 2 La funzione inversa è f −1 : R → R f −1 (x) = x−5 2 • La funzione f :R→R f (x) = x3 705 CAPITOLO 2. FUNZIONI è biiettiva, quindi è invertibile. L’equazione cartesiana è y = x3 Ricavando la variabile x, si ottiene x= √ 3 y Scambiando le variabili, si ottiene y= √ 3 x La funzione inversa è f −1 : R → R f −1 (x) = √ 3 x • La funzione f :R→R f (x) = x2 − 4 non è biiettiva, quindi non è invertibile. 1. La funzione f : [0, +∞[→ [−4, +∞[ f (x) = x2 − 4 è biiettiva, quindi è invertibile. L’equazione cartesiana è y = x2 − 4 Ricavando la variabile x, si ottiene x= √ y+4∨x=− y+a p Poiché x ∈ [0, +∞[ si ha x= p y+4 Scambiando le variabili, si ottiene y= √ x+4 La funzione inversa è f −1 : [−4, +∞[→ [0, +∞[ f −1 (x) = √ x+4 706 2.4. COMPOSIZIONE DI FUNZIONI 2. La funzione f :] − ∞, 0] → [−4, +∞[ f (x) = x2 − 4 è biiettiva, quindi è invertibile. L’equazione cartesiana è y = x2 − 4 Ricavando la variabile x, si ottiene p √ x= y+4∨x=− y+a Poiché x ∈] − ∞, 0] si ha p x=− y+4 Scambiando le variabili, si ottiene √ y =− x+4 La funzione inversa è f −1 : [−4, +∞[→] − ∞, 0] √ f −1 (x) = − x + 4 2.4 Composizione di funzioni Definizione 2.4.1 (Funzione composta). Siano f : A → B e g : C → D due funzioni tali che il codominio di f sia incluso nel dominio di g. Si dice funzione composta di f e g la funzione g ◦ f : A → D (g composto f ) definita nel seguente modo: (g ◦ f ) (x) = g (f (x)) , ∀x ∈ A Se il codominio di f non è incluso nel dominio di g si può restringere opportunamente il dominio di f in modo che il suo codominio sia incluso nel dominio di g Esempio 2.4.1. • Date le funzioni f :R→R f (x) = 2x g:R→R g (x) = x + 2 determiniamo g ◦ f e f ◦ g. Poiché il codominio di f è incluso nel dominio di g determiniamo g◦f :R→R (g ◦ f ) (x) = g (f (x)) = g (2x) = 2x + 2 La composizione di funzioni non è commutativa. Infatti, date le due funzioni precedenti, poiché il codominio di g è incluso nel dominio di f , si può determinare f ◦ g: f ◦g :R→R (f ◦ g) (x) = f (g (x)) = f (x + 2) = 2 (x + 2) = 2x + 4 Pertanto g ◦ f 6= f ◦ g. 707 CAPITOLO 2. FUNZIONI • Date le funzioni f :R→R f (x) = x2 − 1 g : [0, +∞[→ R √ g (x) = x determiniamo g ◦ f . Il codominio di f è [−1, +∞[: poiché non è incluso nel dominio di g restringiamo opportunamente il dominio di f : f :] − ∞, −1] ∪ [1, +∞[→ R f (x) = x2 − 1 Il codominio di f è [0, +∞[ ed è incluso nel dominio di g g ◦ f :] − ∞, −1] ∪ [1, +∞[→ R Ä ä (g ◦ f ) (x) = g (f (x)) = g x2 − 1 = p x2 − 1 708 Capitolo 3 Funzioni reali di variabile reale 3.1 Zeri di una funzione Definizione 3.1.1 (Zero di una funzione). Si dice zero della funzione f : D ⊆ R → R ogni valore del dominio che la annulla. Per determinare gli zeri si risolve l’equazione f (x) = 0 in D. Esempio 3.1.1. Data la funzione f (x) = x3 − x D=R Determiniamo gli zeri, risolvendo l’equazione x3 − x = 0. Le soluzioni sono: 0, 1, −1 e l’insieme degli zeri è Z = {0, 1, −1}. 3.2 Massimi e minimi Definizione 3.2.1 (Massimo). Data una funzione f : D → R si dice che x0 ∈ D è un punto di massimo (assoluto) per f se ∀x ∈ D f (x) 6 f (x0 ); f (x0 ) si dice massimo (assoluto) e si indica con max (f ). Definizione 3.2.2 (Minimo). Data una funzione f : D → R si dice che x0 ∈ D è un punto di minimo (assoluto) per f se ∀x ∈ D f (x) > f (x0 ); f (x0 ) si dice minimo (assoluto) e si indica con min (f ). Esempio 3.2.1. • Data la funzione f (x) = sin (x) D=R f (D) = [−1, 1] max (f ) = 1, π + 2kπ (k ∈ Z) sono punti di massimo, 2 min (f ) = −1, π − + 2kπ (k ∈ Z) sono punti di minimo. 2 • Data la funzione f (x) = ex D=R 709 CAPITOLO 3. FUNZIONI REALI DI VARIABILE REALE f (D) =]0, +∞[ min (f ) non esiste, max (f ) non esiste • Data la funzione f (x) = ln (x) D =]0, +∞[ f (D) = R min (f ) non esiste, max (f ) non esiste • Data la funzione f (x) = arctan (x) D=R ô π π f (D) = − , 2 2 ñ max(f ) non esiste, min(f ) non esiste. • Data la funzione f (x) = arcsin (x) D = [−1, 1] ñ f (D) = − π π , 2 2 ô π max (f ) = , 2 1 è un punto di massimo, π min (f ) = − , 2 −1 è un punto di minimo. 3.3 Funzioni monotòne Definizione 3.3.1 (Funzione monotòne). Dato un intervallo I, una funzione f : I → R si dice: • crescente in senso stretto su I, se ∀x1 , x2 ∈ I x1 < x2 ⇒ f (x1 ) < f (x2 ) • crescente su I, se ∀x1 , x2 ∈ I x1 < x2 ⇒ f (x1 ) 6 f (x2 ) • decrescente in senso stretto su I, se ∀x1 , x2 ∈ I x1 < x2 ⇒ f (x1 ) > f (x2 ) • decrescente su I, se ∀x1 , x2 ∈ I x1 < x2 ⇒ f (x1 ) > f (x2 ) In tutti questi casi si dice che la funzione è monotòna su I. In particolare se la funzione è crescente o decrescente in senso stretto si dice strettamente monotòna o monotòna in senso stretto. 710 3.3. FUNZIONI MONOTÒNE y f (x2 ) f (x1 ) x x1 O x2 Figura 3.1: funzione crescente in senso stretto y f (x1 ) = f (x2 ) x x1 O x2 Figura 3.2: funzione crescente y f (x1 ) f (x2 ) x O x1 x2 Figura 3.3: funzione decrescente in senso stretto 711 CAPITOLO 3. FUNZIONI REALI DI VARIABILE REALE y f (x1 ) = f (x2 ) x x1 O x2 Figura 3.4: funzione decrescente Esempio 3.3.1. • Le funzioni: f (x) = 2x − 1 f (x) = x3 √ f (x) = 3 x f (x) = arcsin(x) f (x) = arctan(x) f (x) = ax con a > 1 f (x) = loga (x) con a > 1 sono crescenti in senso stretto sul dominio. • Le funzioni: f (x) = arccos(x) f (x) = arccot(x) f (x) = ax con 0 < a < 1 f (x) = loga (x) con 0 < a < 1 sono decrescenti in senso stretto sul dominio. • La funzione f (x) = 2 è crescente e decrescente sul dominio. • Le funzioni: f (x) = x2 1 x f (x) = sin (x) f (x) = f (x) = cos (x) f (x) = tan (x) f (x) = cot (x) non sono monotòne sul dominio. 712 3.4. CLASSIFICAZIONE DELLE FUNZIONI 3.4 Classificazione delle funzioni Le funzioni reali di variabile reale si possono suddividere in funzioni algebriche e funzioni trascendenti. Una funzione si dice algebrica se è espressa solo mediante le operazioni: addizione, sottrazione, moltiplicazione, divisione, potenza e radice. Una funzione si dice trascendente se non è algebrica. 3.4.1 Funzioni razionali intere o polinomiali La funzione che ha come espressione analitica un polinomio di grado n si dice razionale intera. D=R Osservazioni 1. Se n è dispari, il codominio è f (D) = R. 2. Se n = 0, il grafico è una retta parallela all’asse x 3. Se n = 1, il grafico è una retta non parallela agli assi. 4. Se n = 2, il grafico è una parabola. 5. Se f (x) = xn con n pari maggiore di 2, il grafico è simile a quello di g (x) = x2 6. Se f (x) = xn con n dispari maggiore di 3, il grafico è simile a quello di g (x) = x3 Esempio 3.4.1. La funzione f (x) = x3 ha dominio D=R codominio f (D) = R e grafico 3 y 2 1 x −4 −3 −2 −1 O 1 2 −1 −2 −3 Figura 3.5: grafico di f (x) = x3 713 3 4 CAPITOLO 3. FUNZIONI REALI DI VARIABILE REALE 3.4.2 Funzioni razionali fratte La funzione che ha come espressione analitica il rapporto tra due polinomi, con il secondo di grado maggiore di 0, si dice razionale fratta. Il dominio D è R privato degli zeri del denominatore. Esempio 3.4.2. La funzione f (x) = 1 x ha dominio D = ]−∞, 0[ ∪ ]0, +∞[ codominio f (D) = ]−∞, 0[ ∪ ]0, +∞[ e grafico 3 y 2 1 x −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 −1 −2 −3 Figura 3.6: grafico di f (x) = 3.4.3 1 x Funzioni irrazionali La funzione che ha come espressione analitica la radice ennesima di una funzione razionale, si dice irrazionale. Il dominio è: quello della funzione razionale se n è dispari, i valori che rendono non negativa la funzione razionale se n è pari. Esempio 3.4.3. • La funzione √ f (x) = x ha dominio D = [0, +∞[ codominio f (D) = [0, +∞[ e grafico 714 3.4. CLASSIFICAZIONE DELLE FUNZIONI y 3 2 1 x −4 −3 −2 O −1 1 2 3 4 −1 Figura 3.7: grafico di f (x) = √ x • La funzione f (x) = √ 3 x ha dominio D=R codominio f (D) = R e grafico y 3 2 1 x −3 −2 −1 O 1 2 3 −1 −2 −3 Figura 3.8: grafico di f (x) = √ 3 x Osservazioni √ √ √ 1. Se f (x) = n x con n pari, il grafico è simile a quello di g (x) = x. Se f (x) = n x con n dispari, √ il grafico è simile a quello di g (x) = 3 x. 3.4.4 Funzioni goniometriche Esempio 3.4.4. 715 CAPITOLO 3. FUNZIONI REALI DI VARIABILE REALE • La funzione f (x) = sin (x) ha dominio D=R codominio f (D) = [−1, 1] e grafico y 1 x 3 − π 2 −2π −π π − 2 O π 2 π 3 π 2 2π 5 π 2 −1 Figura 3.9: grafico di f (x) = sin (x) • La funzione f (x) = cos (x) ha dominio D=R codominio f (D) = [−1, 1] e grafico y 1 x −2π 3 − π 2 −π π − 2 O π 2 π −1 Figura 3.10: grafico di f (x) = cos (x) • La funzione f (x) = tan (x) ha dominio ® ´ π D = x ∈ R/x 6= + kπ, k ∈ Z 2 716 3 π 2 2π 3.4. CLASSIFICAZIONE DELLE FUNZIONI codominio f (D) = R e grafico y 3 2 1 x 3 − π 2 −π − O π 2 π 2 π −1 −2 −3 Figura 3.11: grafico di f (x) = tan (x) 3.4.5 Funzioni inverse delle funzioni goniometriche Esempio 3.4.5. • La funzione f (x) = arcsin (x) ha dominio D = [−1, 1] codominio ñ f (D) = π π − , 2 2 ô e grafico π 2 y x O −1 − 1 π 2 Figura 3.12: grafico di f (x) = arcsin (x) 717 3 π 2 CAPITOLO 3. FUNZIONI REALI DI VARIABILE REALE • La funzione f (x) = arccos (x) ha dominio D = [−1, 1] codominio f (D) = [0, π] e grafico π y x −1 O 1 Figura 3.13: grafico di f (x) = arccos (x) • La funzione f (x) = arctan (x) ha dominio D=R codominio ô π π f (D) = − , 2 2 ñ e grafico y π 2 x −4 −3 −2 −1 O − 1 2 3 π 2 Figura 3.14: grafico di f (x) = arctan (x) 718 3.4. CLASSIFICAZIONE DELLE FUNZIONI 3.4.6 Funzione esponenziale La funzione f (x) = ax con a > 0, a 6= 1 è esponenziale. Il dominio è D=R il codominio è f (D) = ]0, +∞[ Il grafico della funzione esponenziale varia a seconda che 0 < a < 1 o a > 1. Esempio 3.4.6. • Il grafico della funzione Å ãx f (x) = 1 2 è 8 y 7 6 5 4 3 2 1 x −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 5 −1 Å ãx Figura 3.15: grafico di f (x) = • Il grafico della funzione f (x) = ex è 719 1 2 6 7 8 CAPITOLO 3. FUNZIONI REALI DI VARIABILE REALE 8 y 7 6 5 4 3 2 1 x −7 −6 −5 −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 Figura 3.16: grafico di f (x) = ex 3.4.7 Funzione logaritmica La funzione f (x) = loga (x) con a > 0, a 6= 1 è logaritmica ed è la funzione inversa della funzione esponenziale. Il dominio è D = ]0, +∞[ il codominio f (D) = R Il grafico della funzione logaritmica varia a seconda che 0 < a < 1 o a > 1. Esempio 3.4.7. • Il grafico della funzione f (x) = log 1 (x) 2 è 720 4 5 3.4. CLASSIFICAZIONE DELLE FUNZIONI y 5 4 3 2 1 x −2 O −1 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 −1 −2 −3 Figura 3.17: grafico di f (x) = log 1 (x) 2 • Il grafico della funzione f (x) = ln (x) è 3 y 2 1 x O −1 1 2 3 4 5 6 7 8 −1 −2 −3 −4 Figura 3.18: grafico di f (x) = ln (x) 3.4.8 Funzione valore assoluto Esempio 3.4.8. La funzione ( f (x) = |x| = x se x > 0 −x se x < 0 721 9 10 11 12 CAPITOLO 3. FUNZIONI REALI DI VARIABILE REALE è la funzione valore assoluto. Il dominio è D=R il codominio f (D) = [0, +∞[ e il grafico y 4 3 2 1 x −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 −1 Figura 3.19: grafico di f (x) = |x| 3.5 Domini di funzioni Se una funzione è data solo con l’espressione analitica, si deve determinare il dominio massimale. Esso si determina tenendo conto dei domini delle funzioni analizzate precedentemente. Al fine di ottenere il grafico della funzione, si può rappresentare il dominio sul piano cartesiano Esempio 3.5.1. • la funzione f (x) = 2x3 − x4 ha dominio D=R y x O Figura 3.20: dominio 722 3.5. DOMINI DI FUNZIONI • la funzione f (x) = x4 x3 − 1 ha come zero del denominatore 1, quindi il dominio è: D = ]−∞, 1[ ∪ ]1, +∞[ y x O 1 Figura 3.21: dominio • la funzione p f (x) = 3x + 4 1 − x2 ha dominio D = {x ∈ R/1 − x2 > 0} cioè: D = [−1, 1] y x −1 O 1 Figura 3.22: dominio 723 CAPITOLO 3. FUNZIONI REALI DI VARIABILE REALE • la funzione f (x) = 1 − sin (x) cos (x) ha dominio ® ´ D = x ∈ R/ cos (x) 6= 0 cioè: ® ´ π D = x ∈ R/x 6= ± + 2kπ, k ∈ Z 2 y x π − 2 3 − π 2 O π 2 3 π 2 Figura 3.23: dominio • la funzione 1 f (x) = xe− x ha dominio D = ]−∞, 0[ ∪ ]0, +∞[ 724 3.6. FUNZIONI PARI E FUNZIONI DISPARI y x × O Figura 3.24: dominio • la funzione f (x) = ln (x) + ln2 (x) ha dominio D = ]0, +∞[ y × O x Figura 3.25: dominio 3.6 Funzioni pari e funzioni dispari Definizione 3.6.1 (Funzione pari). Una funzione f : D → R si dice pari se • x ∈ D ⇒ −x ∈ D • ∀x ∈ D f (−x) = f (x) Per determinare se una funzione è pari, è sufficiente vedere se il dominio è simmetrico rispetto all’origine, calcolare f (−x) e vedere se si ottiene la stessa espressione analitica. Il grafico di una funzione pari è simmetrico rispetto all’asse y. 725 CAPITOLO 3. FUNZIONI REALI DI VARIABILE REALE Esempio 3.6.1. Determiniamo se è pari la funzione f (x) = x4 − 3x2 + 3 D=R Poiché il dominio è simmetrico rispetto all’origine, calcoliamo f (−x): f (−x) = (−x)4 − 3 (−x)2 + 3 = x4 − 3x2 + 3 = f (x) La funzione è pari, il suo grafico è simmetrico rispetto all’asse y. y 4 3 2 1 x −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 −1 Figura 3.26: grafico di f (x) = x4 − 3x2 + 3 Definizione 3.6.2 (Funzione dispari). Una funzione f : D → R si dice dispari se • x ∈ D ⇒ −x ∈ D • ∀x ∈ D f (−x) = −f (x) Per determinare se una funzione è dispari, è sufficiente vedere se il dominio è simmetrico rispetto all’origine, calcolare f (−x) e vedere se si ottiene l’opposto dell’espressione analitica data. Il grafico di una funzione dispari è simmetrico rispetto all’origine. Esempio 3.6.2. Determiniamo se è dispari la funzione f (x) = x3 − 2x D=R Poiché il dominio è simmetrico rispetto all’origine, calcoliamo f (−x): f (−x) = (−x)3 − 2 (−x) = −x3 + 2x = −f (x) La funzione è dispari, il suo grafico è simmetrico rispetto all’origine. 726 3.6. FUNZIONI PARI E FUNZIONI DISPARI y 3 2 1 x −3 −2 −1 O 1 2 3 −1 −2 −3 Figura 3.27: grafico di f (x) = x3 − 2x Esempio 3.6.3. • Determiniamo se è pari o dispari la funzione f (x) = 2x3 − x4 D=R Poiché il dominio è simmetrico rispetto all’origine, calcoliamo f (−x): f (−x) = 2 (−x)3 − (−x)4 = −2x3 − x4 Poiché f (−x) 6= f (x) e f (−x) 6= −f (x), la funzione non è pari e non è dispari. • Determiniamo se è pari o dispari la funzione f (x) = x4 x3 − 1 D = ]−∞, 1[ ∪ ]1, +∞[ Poiché il dominio non è simmetrico rispetto all’origine, la funzione non è pari e non è dispari. • Determiniamo se è pari o dispari la funzione p f (x) = 3x + 4 1 − x2 D = [−1, 1] Poiché il dominio è simmetrico rispetto all’origine, calcoliamo f (−x): » p f (−x) = 3 (−x) + 4 1 − (−x)2 = −3x + 4 1 − x2 Poiché f (−x) 6= f (x) e f (−x) 6= −f (x), la funzione non è pari e non è dispari. • Determiniamo se è pari o dispari la funzione f (x) = 1 − sin (x) cos (x) ® ´ π D = x ∈ R/x 6= ± + 2kπ, k ∈ Z 2 Poiché il dominio è simmetrico rispetto all’origine, calcoliamo f (−x): f (−x) = 1 − sin (−x) 1 + sin (x) = cos (−x) cos (x) Poiché f (−x) 6= f (x) e f (−x) 6= −f (x), la funzione non è pari e non è dispari. 727 CAPITOLO 3. FUNZIONI REALI DI VARIABILE REALE • Determiniamo se è pari o dispari la funzione 1 f (x) = xe− x D = ]−∞, 0[ ∪ ]0, +∞[ Poiché il dominio è simmetrico rispetto all’origine, calcoliamo f (−x): 1 f (−x) = −xe x Poiché f (−x) 6= f (x) e f (−x) 6= −f (x), la funzione non è pari e non è dispari. • Determiniamo se è pari o dispari la funzione f (x) = ln (x) + ln2 (x) D = ]0, +∞[ Poiché il dominio non è simmetrico rispetto all’origine, la funzione non è pari e non è dispari. 3.7 Funzioni periodiche Definizione 3.7.1 (Funzione periodica). Una funzione f : D → R si dice periodica di periodo T 6= 0 se • x∈D ⇔x+T ∈D • ∀x ∈ D f (x + T ) = f (x) Si può osservare che se f è periodica di periodo T , allora: ∀x ∈ D, ∀k ∈ Z x + kT ∈ D ∧ f (x + kT ) = f (x) Se T è il periodo di una funzione, allora anche kT (k 6= 0) è un periodo della funzione. Il minimo tra i periodi positivi, se esiste, viene detto periodo principale. Esistono funzioni periodiche che non hanno periodo principale: nella funzione costante tutti i numeri reali non nulli sono periodi ma non esiste il più piccolo positivo. Tutte le volte che si parla di periodo si intende il periodo principale. Esempio 3.7.1. • la seguente funzione è periodica senza periodo principale f (x) = 2 • le seguenti funzioni sono periodiche di periodo T = π: f (x) = tan(x) f (x) = cot(x) • le seguenti funzioni sono periodiche di periodo T = 2π: f (x) = sin(x) f (x) = cos(x) Osservazioni 1. Una funzione con dominio inferiormente limitato o superiormente limitato non può essere periodica. 728 3.7. FUNZIONI PERIODICHE 2. Se il dominio di una funzione è R, la condizione x ∈ D ⇔ x + T ∈ D è sempre verificata. In generale non si possono stabilire regole per determinare il periodo delle funzioni, e nemmeno regole per dedurre il periodo di funzioni ottenute mediante somme, prodotti o composizioni di altre funzioni periodiche. Ci si può solo attenere alle indicazioni che seguono: • se una funzione f è periodica di periodo T , allora la funzione g, definita da g (x) = f (kx), con T k ∈ R − {0}, è periodica di periodo |k| Esempio 3.7.2. – Determiniamo il periodo della funzione g(x) = sin(2x). Poiché la funzione f (x) = sin(x) è periodica di periodo 2π, la funzione g(x) = sin(2x) è periodica di periodo 2π =π 2 x . 3 Å ã x Poiché la funzione f (x) = sin(x) è periodica di periodo 2π, la funzione g(x) = sin è 3 periodica di periodo Å ã – Determiniamo il periodo della funzione g(x) = sin 2π = 6π 1 3 • se si hanno due funzioni periodiche con diversi periodi T1 e T2 , e se esistono multipli interi comuni dei due periodi, allora le funzioni somma, prodotto, quoziente, hanno periodo uguale al minimo comune multiplo dei periodi Esempio 3.7.3. Å Determiniamo il periodo della funzione g(x) = sin(x) cos 2 x . 3 ã Å Poiché la funzione f1 (x) = sin(x) è periodica di periodo 2π, la funzione f2 (x) = cos Å periodica di periodo 3π,la funzione g(x) = sin(x) cos 2 x è periodica di periodo 3 2 x 3 ã è ã 6π • se si hanno due funzioni periodiche con lo stesso periodo T , allora le funzioni somma, prodotto, quoziente (se non si ottiene una costante), hanno periodo minore o uguale al periodo comune T Esempio 3.7.4. Determiniamo il periodo della funzione g(x) = sin(x) cos(x). Poiché la funzione f1 (x) = sin(x) è periodica di periodo 2π, la funzione f2 (x) = cos(x) è periodica di periodo 2π,la funzione g(x) = sin(x) cos(x) è periodica di periodo 6 2π Esempio 3.7.5. • Determiniamo il periodo della funzione f (x) = 2x3 − x4 D=R La funzione non è periodica. 729 CAPITOLO 3. FUNZIONI REALI DI VARIABILE REALE • Determiniamo il periodo della funzione f (x) = x4 x3 − 1 D = ]−∞, 1[ ∪ ]1, +∞[ La funzione non è periodica. • Determiniamo il periodo della funzione p f (x) = 3x + 4 1 − x2 D = [−1, 1] La funzione non è periodica. • Determiniamo il periodo della funzione f (x) = 1 − sin (x) cos (x) ® ´ π D = x ∈ R/x 6= + kπ, k ∈ Z 2 La funzione è periodica di periodo non superiore a 2π. • Determiniamo il periodo della funzione 1 f (x) = xe− x D = ]−∞, 0[ ∪ ]0, +∞[ La funzione non è periodica. • Determiniamo il periodo della funzione f (x) = ln (x) + ln2 (x) D = ]0, +∞[ La funzione non è periodica. 3.8 Intersezioni con gli assi Per determinare gli eventuali punti di intersezione del grafico di una funzione f : D → R con gli assi cartesiani, si risolve il sistema costituito dall’equazione cartesiana della funzione e dall’equazione di uno dei due assi. Le coordinate dei punti di intersezione con l’asse x sono le soluzioni del sistema ( y = f (x) y=0 Poiché tale sistema è equivalente a ( f (x) = 0 y=0 il grafico interseca l’asse x nei punti che hanno come ascissa gli zeri della funzione e come ordinata 0. Le coordinate dei punti di intersezione con l’asse y sono le soluzioni del sistema ( y = f (x) x=0 730 3.8. INTERSEZIONI CON GLI ASSI Il grafico interseca l’asse y al più in un punto. Se 0 non appartiene al dominio, il sistema è impossibile e quindi il grafico non interseca l’asse y. Se 0 appartiene al dominio, il sistema è equivalente a ( y = f (0) x=0 e il grafico interseca l’asse y nel punto che ha come ascissa 0 e come ordinata f (0). Osservazioni 1. Se il grafico di una funzione interseca l’asse x nell’origine, allora l’origine è anche il punto di intersezione con l’asse y. 2. Se la funzione è periodica di periodo T , si possono determinare le intersezioni con l’asse x in un dominio D1 incluso in un intervallo di ampiezza T e, successivamente, estendere i risultati in D 3. Al fine di ottenere il grafico della funzione, si possono rappresentare i punti di intersezione sul piano cartesiano Esempio 3.8.1. • Determiniamo le intersezioni con gli assi del grafico della funzione f (x) = x2 + 3x + 2 D=R Determiniamo le intersezioni con l’asse x, trovando gli zeri della funzione: x2 + 3x + 2 = 0 Gli zeri della funzione sono: −1, −2; il grafico interseca l’asse x in A (−2, 0) , B (−1, 0). Poiché 0 appartiene al dominio, calcoliamo f (0): f (0) = 2; il grafico interseca l’asse y in C (0, 2). • Determiniamo le intersezioni con gli assi della funzione f (x) = x+1 x D = ]−∞, 0[ ∪ ]0, +∞[ Determiniamo le intersezioni con l’asse x, trovando gli zeri della funzione: x+1 =0 x Lo zero della funzione è −1; il grafico interseca l’asse x in A (−1, 0). Poiché 0 non appartiene al dominio, il grafico non interseca l’asse y. • Determiniamo le intersezioni con gli assi del grafico della funzione f (x) = ex x D = ]−∞, 0[ ∪ ]0, +∞[ Determiniamo le intersezioni con l’asse x, trovando gli zeri della funzione: ex =0 x La funzione non ha zeri; il grafico non interseca l’asse x. Poiché 0 non appartiene al dominio, il grafico non interseca l’asse y. 731 CAPITOLO 3. FUNZIONI REALI DI VARIABILE REALE • Determiniamo le intersezioni con gli assi del grafico della funzione f (x) = 2x3 − x4 D=R Determiniamo le intersezioni con l’asse x, trovando gli zeri della funzione: 2x3 − x4 = 0 x3 (2 − x) = 0 Gli zeri della funzione sono: 0, 2; il grafico interseca l’asse x in O (0, 0) , A (2, 0). Il grafico interseca l’asse y in O (0, 0). y A O x 2 Figura 3.28: intersezioni con gli assi • Determiniamo le intersezioni con gli assi del grafico della funzione f (x) = x4 −1 x3 D = ]−∞, 1[ ∪ ]1, +∞[ Determiniamo le intersezioni con con l’asse x, trovando gli zeri della funzione: x4 =0 x3 − 1 Lo zero della funzione è 0; il grafico interseca gli assi in O (0, 0). 732 3.8. INTERSEZIONI CON GLI ASSI y x O 1 Figura 3.29: intersezioni con gli assi • Determiniamo le intersezioni con gli assi del grafico della funzione p f (x) = 3x + 4 1 − x2 D = [−1, 1] Determiniamo le intersezioni con l’asse x, trovando gli zeri della funzione: p 3x + 4 1 − x2 = 0 p 4 1 − x2 = −3x ( − 3x > 0 16 − 16x2 = 9x2 x 6 0 x = ±4 5 4 x=− 5 4 4 Lo zero della funzione è − ; il grafico interseca l’asse x in A − , 0 . 5 5 Poiché 0 appartiene al dominio, calcoliamo f (0): f (0) = 4; il grafico interseca l’asse y in B (0, 4). Å ã y 4 B x A −1 − 4O 5 1 Figura 3.30: intersezioni con gli assi 733 CAPITOLO 3. FUNZIONI REALI DI VARIABILE REALE • Determiniamo le intersezioni con gli assi del grafico della funzione f (x) = 1 − sin (x) cos (x) ® ´ π D = x ∈ R/x 6= + kπ, k ∈ Z 2 Poiché la funzione è periodica di periodo T 6 2π, consideriamo il dominio ñ ñ D1 = − π, − ô ñ ô π π π π ∪ − , ∪ ,π 2 2 2 2 ô Determiniamo le intersezioni con l’asse x, trovando gli zeri della funzione in D1 : 1 − sin (x) =0 cos (x) 1 − sin (x) = 0 sin (x) = 1 π x= 2 impossibile. La funzione non ha zeri; il grafico non interseca l’asse x in D1 e quindi il grafico non interseca l’asse x in D. Poiché 0 ∈ D, calcoliamo f (0): f (0) = 1; il grafico interseca l’asse y in A (0, 1). y 1 A x π − 2 3 − π 2 O π 2 3 π 2 Figura 3.31: intersezione con gli assi • Determiniamo le intersezioni con gli assi del grafico della funzione 1 f (x) = xe− x D = ]−∞, 0[ ∪ ]0, +∞[ 734 3.9. SEGNO DI UNA FUNZIONE Determiniamo le intersezioni con l’asse x, trovando gli zeri della funzione: 1 xe− x = 0 La funzione non ha zeri; il grafico non interseca l’asse x. Poiché 0 non appartiene al dominio, il grafico non interseca l’asse y. • Determiniamo le intersezioni con gli assi della funzione f (x) = ln (x) + ln2 (x) D = ]0, +∞[ Determiniamo le intersezioni con l’asse x, trovando gli zeri della funzione: ln (x) + ln2 (x) = 0 ln (x) (1 + ln (x)) = 0 ln (x) = 0 ∨ ln (x) = −1 x=1∨x= 1 e 1 1 ,0 . Gli zeri della funzione sono: 1, ; il grafico interseca l’asse x in A (1, 0), B e e Poiché 0 non appartiene al dominio, il grafico non interseca l’asse y. Å ã y ×B O 1 A x 1 e Figura 3.32: intersezioni con gli assi 3.9 Segno di una funzione Studiare il segno di una funzione f significa determinare gli intervalli nei quali la funzione è positiva, nulla, negativa. Per far questo si risolve la disequazione f (x) > 0 nel dominio. Osservazioni 1. Se la funzione è periodica di periodo T , si può determinare il segno in un dominio D1 incluso in un intervallo di ampiezza T e, successivamente, estendere i risultati in D 2. Al fine di ottenere il grafico della funzione, si può rappresentare il segno sul piano cartesiano Esempio 3.9.1. 735 CAPITOLO 3. FUNZIONI REALI DI VARIABILE REALE • Determiniamo il segno della funzione f (x) = x+2 x−3 D = ]−∞, 3[ ∪ ]3, +∞[ risolvendo la disequazione f (x) > 0: x+2 >0 x−3 x + 2 > 0 ⇒ x > −2 x−3>0⇒x>3 −2 3 − − 0 − + × + − × + + 0 − × + La funzione è: positiva su ] − ∞, −2[∪]3, +∞[, nulla per x = −2, negativa su ] − 2, 3[. • Determiniamo il segno della funzione f (x) = 2x3 − x4 D=R risolvendo la disequazione f (x) > 0: 2x3 − x4 > 0 x3 (2 − x) > 0 x3 > 0 ⇒ x > 0 2−x>0⇒x<2 0 2 − 0 + + + + + + 0 − − 0 + 0 − La funzione è: positiva su ]0, 2[, nulla per x = 0 ∨ x = 2, negativa su ] − ∞, 0[∪]2, +∞[. 736 3.9. SEGNO DI UNA FUNZIONE y x O 2 Figura 3.33: segno • Determiniamo il segno della funzione f (x) = x4 x3 − 1 D = ]−∞, 1[ ∪ ]1, +∞[ risolvendo la disequazione f (x) > 0: x4 >0 x3 − 1 x4 > 0 ⇒ x 6= 0 x3 − 1 > 0 ⇒ x > 1 0 1 + 0 + × + − − − × + − 0 − × + La funzione è: positiva su ]1, +∞[, nulla per x = 0, negativa su ] − ∞, 0[∪]0, 1[. 737 CAPITOLO 3. FUNZIONI REALI DI VARIABILE REALE y x 1 O Figura 3.34: segno • Determiniamo il segno della funzione p f (x) = 3x + 4 1 − x2 D = [−1, 1] risolvendo la disequazione f (x) > 0 : p 3x + 4 1 − x2 > 0 p 4 1 − x2 > −3x ( 1 − x2 > 0 − 3x < 0 ( ( ∨ −16x61 x>0 − 3x > 0 16 − 16x2 > 9x2 ∨ x 6 0 −4 <x< 4 5 5 4 0<x61∨− <x60 5 4 − <x61 5 La funzioneôè: ô 4 positiva su − , 1 , 5 4 nulla per x = − , ñ 5 ñ 4 negativa su − 1, − . 5 738 3.9. SEGNO DI UNA FUNZIONE y 4 B x A −1 − 4O 5 1 Figura 3.35: segno • Determiniamo il segno della funzione f (x) = 1 − sin (x) cos (x) ® ´ π D = x ∈ R/x 6= + kπ, k ∈ Z 2 Poiché la funzione è periodica di periodo T 6 2π, consideriamo il dominio ñ D1 = ñ ô ñ ô π π π π − π, − ∪ − , ∪ ,π 2 2 2 2 ô Determiniamo il segno risolvendo in D1 la disequazione: f (x) > 0. 1 − sin (x) >0 cos (x) 1 − sin (x) > 0 ⇒ sin (x) < 1 ⇒ ∀x ∈ D1 π π cos(x) > 0 ⇒ − < x < 2 2 π π −π − π 2 2 × + + × + × + + × × − − × + × − − × × − − × + × − − × La funzioneòin D1 è: ï π π positiva su − , , ï 2 2 ï ò ò π π ∪ ,π . negativa su −π, − 2 2 La funzione in ôD è: ñ [ π π positiva su − + 2kπ, + 2kπ 2 2 k∈Z ô ñ [ π 3 negativa su + 2kπ, π + 2kπ 2 2 k∈Z 739 CAPITOLO 3. FUNZIONI REALI DI VARIABILE REALE y 1 A x π − 2 3 − π 2 π 2 O 3 π 2 Figura 3.36: segno • Determiniamo il segno della funzione 1 f (x) = xe− x D = ]−∞, 0[ ∪ ]0, +∞[ risolvendo la disequazione f (x) > 0: 1 xe− x > 0 x>0 La funzione è: positiva su ]0, +∞[, negativa su ] − ∞, 0[. 740 3.9. SEGNO DI UNA FUNZIONE y x × O Figura 3.37: segno • Determiniamo il segno della funzione f (x) = ln (x) + ln2 (x) D = ]0, +∞[ risolvendo la disequazione f (x) > 0: ln (x) + ln2 (x) > 0 ln (x) (1 + ln (x)) > 0 ln (x) > 0 ⇒ x > 1 ln (x) > −1 ⇒ x > 1 e 1 1 e × × − − − 0 + × × − 0 + + + 0 × × + 0<x< 0 − 0 + 1 ∨x>1 e La funzioneôè: ñ 1 positiva su 0, ∪]1, +∞[, e 1 nulla per x = ∨ x = 1, ô e ñ 1 ,1 . negativa su e 741 CAPITOLO 3. FUNZIONI REALI DI VARIABILE REALE y × O 1 1 x e Figura 3.38: segno 3.10 Le trasformazioni geometriche e i grafici delle funzioni Definizione 3.10.1 (Trasformazione geometrica). Dato un sistema di riferimento Oxy si dice trasformazione geometrica una funzione che a ogni punto P (x, y) associa il punto P 0 (x0 , y 0 ) Data la funzione f : D → R, si possono definire altre funzioni g : Dg → R, i cui grafici si ottengono da quello di f mediante trasformazioni geometriche. 3.10.1 Traslazione Il grafico della funzione g (x) Ç =åf (x + a) + b con (a, b) 6= (0, 0) è il grafico della funzione f traslato di −a un vettore di componenti . b Osservazioni 1. Se a = 0, il vettore è parallelo all’asse y e quindi si ha una traslazione verso l’alto (b > 0) o verso il basso (b < 0). 2. Se b = 0, il vettore è parallelo all’asse x e quindi si ha una traslazione verso destra (a < 0) o verso sinistra (a > 0). 3. Se a 6= 0 ∧ b 6= 0 il vettore non è parallelo agli assi. Esempio 3.10.1. • Determiniamo il grafico di g (x) = x2 + 2 Il di g si ottiene da quello di f (x) = x2 con una traslazione di vettore di componenti Ç grafico å 0 . 2 742 3.10. LE TRASFORMAZIONI GEOMETRICHE E I GRAFICI DELLE FUNZIONI 4 y 3 2 1 x −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 −1 Figura 3.39: grafico di g(x) = x2 + 2 • Determiniamo il grafico di g (x) = (x + 2)2 Il di g si ottiene da quello di f (x) = x2 con una traslazione di vettore di componenti Ç grafico å −2 . 0 4 y 3 2 1 x −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 −1 Figura 3.40: grafico di g(x) = (x + 2)2 • Determiniamo il grafico di g (x) = (x − 3)2 − 1 Il di g si ottiene da quello di f (x) = x2 con una traslazione di vettore di componenti Ç grafico å 3 . −1 743 CAPITOLO 3. FUNZIONI REALI DI VARIABILE REALE 4 y 3 2 1 x −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 −1 Figura 3.41: grafico di g(x) = (x − 3)2 − 1 3.10.2 Simmetrie Il grafico della funzione g (x) = −f (x) è il simmetrico rispetto all’asse x del grafico di f . Esempio 3.10.2. Determiniamo il grafico di g (x) = −x2 Il grafico di g è il simmetrico rispetto all’asse x del grafico di f (x) = x2 . 3 y 2 1 x −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 −1 −2 −3 Figura 3.42: grafico di g(x) = −x2 Il grafico della funzione g (x) = f (−x) è il simmetrico rispetto all’asse y del grafico di f . Esempio 3.10.3. Determiniamo il grafico di g (x) = ln (−x) Il grafico di g è il simmetrico rispetto all’asse y del grafico di f (x) = ln (x). 744 3.10. LE TRASFORMAZIONI GEOMETRICHE E I GRAFICI DELLE FUNZIONI 3 y 2 1 x −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 −1 −2 −3 Figura 3.43: grafico di g(x) = ln (−x) Il grafico della funzione g (x) = −f (−x) è il simmetrico rispetto all’origine del grafico di f . Esempio 3.10.4. Determiniamo il grafico di g (x) = − ln (−x) Il grafico di g è il simmetrico rispetto all’origine del grafico di f (x) = ln (x). 3 y 2 1 x −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 −1 −2 −3 Figura 3.44: grafico di g(x) = − ln (−x) 3.10.3 Valore assoluto Poiché: ( |f (x) | = f (x) se f (x) > 0 −f (x) se f (x) < 0 il grafico della funzione g (x) = |f (x) | è il grafico di f dove f è positiva o nulla, è il simmetrico rispetto all’asse x del grafico di f dove f è negativa. Esempio 3.10.5. Determiniamo il grafico di g (x) = | ln (x) | 745 CAPITOLO 3. FUNZIONI REALI DI VARIABILE REALE Il grafico di g è il grafico di f (x) = ln (x) in [1, +∞[, è il simmetrico rispetto all’asse x del grafico di f (x) = ln (x) in ]0, 1[. 3 y 2 1 x −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 −1 −2 −3 Figura 3.45: grafico di g(x) = | ln (x) | Poiché: ( f (|x|) = f (x) se x ∈ D ∧ x > 0 f (−x) se − x ∈ D ∧ x < 0 il grafico della funzione g (x) = f (|x|) è il grafico di f per x ∈ D ∧ x > 0, mentre, per −x ∈ D ∧ x < 0, è il simmetrico rispetto all’asse y della parte del grafico di f per x ∈ D ∧ x > 0. Esempio 3.10.6. Determiniamo il grafico di g (x) = ln (|x|) Il grafico di g è il grafico di f (x) = ln (x) in ]0, +∞[, è il simmetrico rispetto all’asse y del grafico di f (x) = ln (x) in ]−∞, 0[. 3 y 2 1 x −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 −1 −2 −3 Figura 3.46: grafico di g(x) = ln (|x|) 3.10.4 Dilatazione e contrazione Il grafico della funzione g (x) = bf (ax) con a, b ∈ R+ e (a, b) 6= (1, 1) è il grafico della funzione f dilatato o contratto. 746 3.10. LE TRASFORMAZIONI GEOMETRICHE E I GRAFICI DELLE FUNZIONI Osservazioni 1. Se b = 1, si ottiene g (x) = f (ax) e, se 0 < a < 1, si ha una dilatazione lungo l’asse x, se a > 1, si ha una contrazione lungo l’asse x. 2. Se a = 1, si ottiene g (x) = bf (x) e, se b > 1, si ha una dilatazione lungo l’asse y, se 0 < b < 1, si ha una contrazione lungo l’asse y. 3. Se b 6= 1 ∧ a 6= 1 si ha una dilatazione o contrazione lungo i due assi. Esempio 3.10.7. • Determiniamo il grafico di g (x) = sin (2x) Il grafico di g si ottiene da quello di f (x) = sin (x) con una contrazione lungo l’asse x. y 1 x −2π 3 − π 2 π − 2 −π O π 2 π 3 π 2 2π 5 π 2 −1 Figura 3.47: grafico di g(x) = sin (2x) • Determiniamo il grafico di g (x) = 2 sin (x) Il grafico di g si ottiene da quello di f (x) = sin (x) con una dilatazione lungo l’asse y. y 2 1 x −2π 3 − π 2 −π − π 2 O π 2 π 3 π 2 2π 5 π 2 −1 −2 Figura 3.48: grafico di g(x) = 2 sin (x) • Determiniamo il grafico di x 2 Å ã g (x) = 3 sin Il grafico di g si ottiene da quello di f (x) = sin (x) con una dilatazione lungo l’asse x e una dilatazione lungo l’asse y. 747 CAPITOLO 3. FUNZIONI REALI DI VARIABILE REALE y 3 2 1 x −2π 3 − π 2 −π − π 2 O π 2 3 π 2 π −1 −2 −3 x 2 Å ã Figura 3.49: grafico di g(x) = 3 sin 748 2π 5 π 2 Capitolo 4 Topologia 4.1 Introduzione La topologia è la parte della matematica che studia i luoghi geometrici. Nello studio di R da un punto di vista topologico, i suoi elementi vengono anche detti punti. 4.2 Intorno Definizione 4.2.1 (Intorno elementare). Si dice intorno elementare di x0 ∈ R ogni intervallo aperto contenente x0 . Esempio 4.2.1. Consideriamo x0 = 0. L’intervallo ]−1, 1[ è un intorno elementare di 0 perché è un intervallo aperto contenente 0. L’intervallo ]−3, 2[ è un intorno elementare di 0 perché è un intervallo aperto contenente 0. L’intervallo ]0, 1[ non è un intorno elementare di 0 perché non contiene 0. L’intervallo [0, 1[ non è un intorno elementare di 0 perché, pur contenendo 0, non è un intervallo aperto. L’intervallo [−1, 1] non è un intorno elementare di 0 perché, pur contenendo 0, non è un intervallo aperto. Definizione 4.2.2 (Intorno). Si dice intorno di x0 ∈ R ogni sottoinsieme di R contenente un intorno elementare di x0 . Un intorno di x0 si indica in uno dei seguenti modi: 1. I (x0 ) 2. U (x0 ) 3. V (x0 ) Osservazioni 1. Tutti gli intorni elementari di x0 ∈ R sono intorni di x0 . 2. Per ogni x0 ∈ R, esiste almeno un intorno. 3. Se esiste un intorno di x0 ∈ R, allora ne esistono infiniti. Esempio 4.2.2. Consideriamo x0 = 0. L’insieme ]−1, 1[ è un intorno di 0 perché è un intorno elementare di 0. L’insieme ]0, 1[ non è un intorno di 0 perché non esistono intorni elementari di 0 contenuti in esso. L’insieme [0, 1[ non è un intorno di 0 perché non esistono intorni elementari di 0 contenuti in esso. L’insieme [−1, 1] è un intorno di 0 perché contiene l’intorno elementare ]−1, 1[ di 0. L’insieme [−1, 1] ∪ [5, 6] è un intorno di 0 perché contiene l’intorno elementare ]−1, 1[ di 0. L’insieme [−1, 1] ∪ {3} è un intorno di 0 perché contiene l’intorno elementare ]−1, 1[ di 0. 749 CAPITOLO 4. TOPOLOGIA 4.2.1 Proprietà degli intorni Per gli intorni valgono le seguenti proprietà. 1. Un intorno di x0 ∈ R non è mai vuoto, infatti contiene almeno x0 . 2. L’intersezione di due intorni di x0 è un intorno di x0 . 3. Se U (x0 ) è un intorno di x0 e U (x0 ) ⊆ A, allora A è un intorno di x0 . 4. Dati x1 , x2 ∈ R con x1 6= x2 , esistono un intorno di x1 e un intorno di x2 tali che la loro intersezione è vuota. Con il concetto di intorno è possibile definire nuovi termini. 4.3 Punti interni ad un insieme Definizione 4.3.1 (Punto interno). Un punto x0 ∈ R si dice interno ad A ⊆ R se esiste un intorno di x0 incluso in A. L’insieme di tutti i punti interni ad A si dice parte interna di A e si indica con Int (A). Osservazione Un punto interno ad un insieme appartiene all’insieme. Esempio 4.3.1. • Dato A = ]0, 2[, 1 è interno ad A, 0 non è interno, Int (A) = A. • Dato A = [0, 2], 1 è interno ad A, 0 non è interno, Int (A) = ]0, 2[. • Dato A = {0, 1}, non ci sono punti interni ad A, Int (A) = ∅. 4.4 Punti esterni ad un insieme Definizione 4.4.1 (Punto esterno). Un punto x0 ∈ R si dice esterno ad A ⊆ R se esiste un intorno di x0 che ha intersezione vuota con A. L’insieme di tutti i punti esterni di A si dice parte esterna di A e si indica con Ext (A). Osservazione Un punto esterno ad un insieme non appartiene all’insieme. Esempio 4.4.1. • Dato A = ]0, 2[, 0 non è esterno ad A, 3 è esterno, Ext (A) =] − ∞, 0[∪]2, +∞[ 4.5 Punti di frontiera di un insieme Definizione 4.5.1 (Punto di frontiera). Un punto x0 ∈ R si dice punto di frontiera di A ⊆ R se ogni intorno di x0 contiene dei punti appartenenti a A e dei punti appartenenti al complementare di A. L’insieme di tutti i punti di frontiera di A si dice frontiera di A e si indica con Fr (A). Osservazione Un punto di frontiera di un insieme può appartenere o non appartenere all’insieme. Esempio 4.5.1. Dato A = [0, 2[, Fr (A) = {0, 2}. 750 4.6. PUNTI ADERENTI AD UN INSIEME 4.6 Punti aderenti ad un insieme Definizione 4.6.1 (Punto aderente). Un punto x0 ∈ R si dice aderente ad A ⊆ R se è un punto interno o un punto di frontiera di A. L’insieme di tutti i punti aderenti ad A si dice chiusura di A e si indica con A. Osservazioni 1. Un punto aderente ad un insieme può appartenere o non appartenere all’insieme. 2. A ⊆ A Esempio 4.6.1. • Dato A = [1, 2], A = [1, 2]. • Dato A = [1, 2[, A = [1, 2] • Dato A = ]1, 2[ ∪ {5}, 5 è un punto aderente ad A perché è un punto di frontiera: infatti in ogni intorno di 5 cadono punti di A (5) e punti del suo complementare; quindi A = [1, 2] ∪ {5}. 1 • Dato A = x = /n ∈ N0 , tutti i punti di A sono punti di frontiera, 0 è un punto di frontiera, n quindi tutti i punti di A e 0 sono aderenti ad A: A = A ∪ {0}. ß 4.7 ™ Punti isolati di un insieme Definizione 4.7.1 (Punto isolato). Un punto x0 ∈ R si dice punto isolato di A ⊆ R se esiste un intorno di x0 che ha in comune con A solo x0 . Osservazione Un punto isolato di un insieme appartiene all’insieme. Esempio 4.7.1. • Dato A = Z, tutti i numeri interi sono punti isolati. • Dato A = ]1, 2[ ∪ {5}, 5 è un punto isolato. 4.8 Punti di accumulazione di un insieme Definizione 4.8.1 (Punto di accumulazione). Un punto x0 ∈ R si dice punto di accumulazione di A ⊆ R se è aderente ad A e non è un punto isolato di A. L’insieme dei punti di accumulazione di A viene chiamato derivato di A e si indica con D (A). Osservazione Un punto di accumulazione di un insieme può appartenere o non appartenere all’insieme. Esempio 4.8.1. • Dato A = Z, D (A) = ∅. • Dato A = ]1, 2[ ∪ {5}, D (A) = [1, 2]; 5 non è un punto di accumulazione perchè è un punto aderente ad A ma è isolato. 1 • Dato A = x = /n ∈ N − {0} , l’unico punto di accumulazione è 0 perché gli altri punti sono n isolati. ß ™ Osservazione Se x0 ∈ R è un punto di accumulazione di A, ogni intorno di x0 contiene infiniti punti di A 751 Capitolo 5 Limiti di funzioni 5.1 Limite finito Esempio 5.1.1. • Consideriamo la funzione f (x) = x2 D=R y 4 3 2 1 x −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 −1 Figura 5.1: grafico di f (x) = x2 Calcolando la funzione per valori di x vicini a 2 ma diversi da 2 (la funzione è definita in 2), si ha: x x2 1 1, 9 1, 99 1, 999 3 2, 1 2, 01 2, 001 1 3, 61 3, 9601 3, 996001 9 4, 41 4, 0401 4, 004001 • Consideriamo la funzione ( f (x) = x2 1 se x 6= 2 se x = 2 752 5.1. LIMITE FINITO D=R y 4 × 3 2 1 x −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 −1 Figura 5.2: grafico di f (x) Calcolando la funzione per valori di x vicini a 2 ma diversi da 2 (la funzione è definita in 2), si ha: x f (x) 1 1, 9 1, 99 1, 999 3 2, 1 2, 01 2, 001 1 3, 61 3, 9601 3, 996001 9 4, 41 4, 0401 4, 004001 • Consideriamo la funzione f (x) = x2 − 4 x−2 D = ]−∞, 2[ ∪ ]2, +∞[ y 4 × 3 2 1 x −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 −1 Figura 5.3: grafico di f (x) = 753 x2 − 4 x−2 4 CAPITOLO 5. LIMITI DI FUNZIONI Calcolando la funzione per valori di x vicini a 2 ma diversi da 2 (la funzione non è definita in 2), si ha: x f (x) 1 1, 9 1, 99 1, 999 3 2, 1 2, 01 2, 001 3 3, 9 3, 99 3, 999 5 4, 1 4, 01 4, 001 Dagli esempi fatti si può notare che, per valori di x vicini a 2, le funzioni assumono valori vicini a 4: si dice che le funzioni tendono a 4 per x tendente a 2 e si scrive lim f (x) = 4 x→2 Il concetto di limite serve per studiare il comportamento di una funzione f : D → R nelle vicinanze di un punto x0 in cui la funzione può essere definita oppure no; il punto x0 deve essere un punto di accumulazione del dominio. Il concetto di limite si può estendere ad altri casi. 5.2 Limite infinito Esempio 5.2.1. Consideriamo la funzione 1 f (x) = (x − 2)2 D = ]−∞, 2[ ∪ ]2, +∞[ y 3 2 1 x −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 −1 Figura 5.4: grafico di f (x) = 1 (x − 2)2 Calcolando la funzione per valori di x vicini a 2 ma diversi da 2 (la funzione non è definita in 2), si ha: x f (x) 1 1, 9 1, 99 1, 999 3 2, 1 2, 01 2, 001 1 100 10000 1000000 1 100 10000 1000000 754 5.3. LIMITE FINITO DI UNA FUNZIONE ALL’INFINITO Si può notare che, per valori di x vicini a 2, la funzione assume valori molto grandi: si dice che la funzione tende a +∞ per x tendente a 2 e si scrive lim f (x) = +∞ x→2 Esempio 5.2.2. Consideriamo la funzione f (x) = − 1 (x − 2)2 D = ]−∞, 2[ ∪ ]2, +∞[ y 1 x −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 −1 −2 −3 Figura 5.5: grafico di f (x) = − 1 (x − 2)2 Calcolando la funzione per valori di x vicini a 2 ma diversi da 2 (la funzione non è definita in 2), si ha: x f (x) 1 1, 9 1, 99 1, 999 3 2, 1 2, 01 2, 001 −1 −100 −10000 −1000000 −1 −100 −10000 −1000000 Si può notare che, per valori di x vicini a 2, la funzione assume valori molto piccoli: si dice che la funzione tende a −∞ per x tendente a 2 e si scrive lim f (x) = −∞ x→2 5.3 Limite finito di una funzione all’infinito Esempio 5.3.1. Consideriamo la funzione f (x) = 1+x x D = ]−∞, 0[ ∪ ]0, +∞[ 755 CAPITOLO 5. LIMITI DI FUNZIONI y 4 3 2 1 x −3 −2 −1 O 1 2 3 4 −1 −2 Figura 5.6: grafico di f (x) = 1+x x Calcolando la funzione per valori di x sempre più grandi, si ha: x f (x) 1 10 100 1000 2 1, 1 1, 01 1, 001 Si può notare che, per valori di x molto grandi, la funzione assume valori vicini a 1: si dice che la funzione tende a 1 per x tendente a +∞ e si scrive lim f (x) = 1 x→+∞ Esempio 5.3.2. Consideriamo la funzione f (x) = 1+x x D = ]−∞, 0[ ∪ ]0, +∞[ y 4 3 2 1 x −3 −2 −1 O −1 1 2 3 4 −2 Figura 5.7: grafico di f (x) = 756 1+x x 5.4. LIMITE INFINITO DI UNA FUNZIONE ALL’INFINITO Calcolando la funzione per valori di x sempre più piccoli, si ha: x f (x) −1 −10 −100 −1000 0 0, 9 0, 99 0, 999 Si può notare che, per valori di x molto piccoli, la funzione assume valori vicini a 1: si dice che la funzione tende a 1 per x tendente a −∞ e si scrive lim f (x) = 1 x→−∞ 5.4 Limite infinito di una funzione all’infinito Esempio 5.4.1. Consideriamo la funzione f (x) = x2 D=R 4 y 3 2 1 x −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 −1 Figura 5.8: grafico di f (x) = x2 Calcolando la funzione per valori di x sempre più grandi, si ha: x f (x) 1 10 100 1000 1 100 10000 1000000 Si può notare che, per valori di x molto grandi, la funzione assume valori molto grandi: si dice che la funzione tende a +∞ per x tendente a +∞ e si scrive lim f (x) = +∞ x→+∞ Analogamente si può avere: lim f (x) = −∞ x→+∞ lim f (x) = +∞ x→−∞ lim f (x) = −∞ x→−∞ 757 CAPITOLO 5. LIMITI DI FUNZIONI 5.5 Limite destro e limite sinistro Supponiamo di avere una funzione f : D → R che ha il seguente grafico y × 3 1 x −1 O Figura 5.9: limite destro e limite sinistro Per questa funzione non esiste il limite per x tendente a −1. Per questi casi si introducono i concetti di limite sinistro e limite destro. Si dice che la funzione tende a 3 per x tendente a −1 da sinistra e si scrive lim f (x) = 3 x→−1− Si dice che la funzione tende a 1 per x tendente a −1 da destra e si scrive lim f (x) = 1 x→−1+ Analogamente si può avere: lim f (x) = +∞ x→x− 0 lim f (x) = +∞ x→x+ 0 lim f (x) = −∞ x→x− 0 lim f (x) = −∞ x→x+ 0 5.6 Teoremi sui limiti Teorema 5.6.1 (Unicità del limite). Se lim f (x) = l ∈ R x→x0 allora l è unico 758 5.6. TEOREMI SUI LIMITI Il teorema vale anche per x → ±∞ e per l = ±∞. Teorema 5.6.2 (Limite destro e limite sinistro). lim f (x) = l ⇔ lim f (x) = l ∧ lim f (x) = l x→x0 x→x− 0 x→x+ 0 Osservazione Se 1. lim f (x) = l ∈ R x→x+ 0 2. il limite sinistro non si può effettuare allora si pone lim f (x) = l x→x0 Analogamente per il limite sinistro. Teorema 5.6.3 (Limite di una somma). Se 1. lim f (x) = l x→x0 2. lim g (x) = m x→x0 allora lim (f (x) + g (x)) = l + m x→x0 Teorema 5.6.4 (Limite di un prodotto). Se 1. lim f (x) = l x→x0 2. lim g (x) = m x→x0 allora lim f (x) g (x) = lm x→x0 Teorema 5.6.5 (Limite di un quoziente). Se 1. lim f (x) = l x→x0 2. lim g (x) = m 6= 0 x→x0 allora f (x) l lim = x→x0 g (x) m Teorema 5.6.6. Se 1. f è limitata 2. lim g (x) = 0 x→x0 allora lim f (x) g (x) = 0 x→x0 + Tutti i teoremi visti valgono anche per x → x− 0 , x → x0 , x → ±∞. Esistono teoremi analoghi in cui il limite è ±∞ e i cui risultati verranno sintetizzati con delle tabelle. In precedenza, quando il limite è 0, si è scritto lim f (x) = 0. Per applicare correttamente le x→x0 generalizzazioni dei teoremi precedenti, a volte si dovrà scrivere lim f (x) = 0− o lim f (x) = 0+ . x→x0 759 x→x0 CAPITOLO 5. LIMITI DI FUNZIONI 5.6.1 Valore assoluto lim f (x) x→x0 |l| +∞ +∞ l +∞ −∞ 5.6.2 Addizione lim f (x) x→x0 l l l +∞ −∞ +∞ −∞ 5.6.3 l l>0 l<0 l>0 l<0 0 0 −∞ −∞ +∞ +∞ lim g (x) x→x0 m +∞ −∞ +∞ −∞ −∞ +∞ lim (f (x) + g (x)) x→x0 l+m +∞ −∞ +∞ −∞ forma indeterminata forma indeterminata Moltiplicazione lim f (x) x→x0 lim |f (x)| x→x0 lim g (x) x→x0 m +∞ +∞ −∞ −∞ +∞ −∞ −∞ +∞ +∞ −∞ lim f (x) · g (x) x→x0 l·m +∞ −∞ −∞ +∞ forma indeterminata forma indeterminata +∞ −∞ +∞ −∞ 760 5.7. LIMITI DI ALCUNE FUNZIONI 5.6.4 Divisione lim g (x) lim f (x) l m 6= 0 l>0 l>0 l<0 l<0 0 0 l l +∞ +∞ −∞ −∞ +∞ +∞ −∞ −∞ +∞ +∞ −∞ −∞ 0+ 0− 0+ 0− 0 m 6= 0 +∞ −∞ +∞ −∞ −∞ +∞ m>0 m<0 m>0 m<0 0+ 0− 0+ 0− f (x) g (x) l m +∞ −∞ −∞ +∞ indeterminata 0 0 0 indeterminata indeterminata indeterminata indeterminata +∞ −∞ −∞ +∞ +∞ −∞ −∞ +∞ lim x→x0 x→x0 x→x0 forma forma forma forma forma + I risultati delle tabelle valgono anche per x → x− 0 , x → x0 , x → ±∞. 5.7 Limiti di alcune funzioni Esempio 5.7.1. • • lim x = +∞ x→+∞ lim x→+∞ √ n x = +∞ • dato n dispari, lim x→−∞ √ n x = −∞ • Dati i polinomi P (x) e Q (x), con Q (x0 ) 6= 0 lim x→x0 • • P (x) P (x0 ) = Q (x) Q (x0 ) lim ex = +∞ x→+∞ lim ex = 0 x→−∞ • se a > 1 lim ax = +∞ x→+∞ lim ax = 0 x→−∞ 761 CAPITOLO 5. LIMITI DI FUNZIONI y x O Figura 5.10: grafico di f (x) = ax con a > 1 se 0 < a < 1 lim ax = 0 x→+∞ lim ax = +∞ x→−∞ y x O Figura 5.11: grafico di f (x) = ax con 0 < a < 1 • lim ln (x) = +∞ x→+∞ • lim ln (x) = −∞ x→0+ • se a > 1 lim loga (x) = +∞ x→+∞ lim loga (x) = −∞ x→0+ 762 5.7. LIMITI DI ALCUNE FUNZIONI y x O Figura 5.12: grafico di f (x) = loga (x) con a > 1 se 0 < a < 1 lim loga (x) = −∞ x→+∞ lim loga (x) = +∞ x→0+ y x O Figura 5.13: grafico di f (x) = loga (x) con 0 < a < 1 • se lim f (x) = 0+ e lim g(x) = +∞ x→x0 x→x0 allora lim f (x)g(x) = 0 x→x0 763 CAPITOLO 5. LIMITI DI FUNZIONI • se lim f (x) = 0+ e lim g(x) = −∞ x→x0 x→x0 allora lim f (x)g(x) = +∞ x→x0 • lim sin (x) = @ x→±∞ y 1 x −2π 3 − π 2 −π π − 2 O π 2 π 3 π 2 2π 5 π 2 −1 Figura 5.14: grafico di f (x) = sin (x) • lim cos (x) = @ x→±∞ y 1 x −2π 3 − π 2 −π π − 2 O π 2 π −1 Figura 5.15: grafico di f (x) = cos (x) • lim tan (x) = +∞ x→ π2 − lim tan (x) = −∞ x→ π2 + 764 3 π 2 2π 5.8. CALCOLO DI LIMITI y 3 2 1 x 3 − π 2 π − 2 −π O π 2 3 π 2 π −1 −2 −3 Figura 5.16: grafico di f (x) = tan (x) • lim cot (x) = −∞ x→0− lim cot (x) = +∞ x→0+ y 3 2 1 x 3 − π 2 −π π − 2 O −1 π 2 π −2 −3 Figura 5.17: grafico di f (x) = cot (x) 5.8 Calcolo di limiti Esempio 5.8.1. • Calcolare lim (3x3 + 5x) x→−∞ Ü lim x→−∞ ê −∞ −∞ ↑ ↑ 3 + 5x 3x = −∞ • Calcolare lim x→+∞ Ä x3 + 3x + 5 ä 765 3 π 2 CAPITOLO 5. LIMITI DI FUNZIONI Ü +∞ ê +∞ ↑ ↑ 3 + 3x + 5 lim = +∞ x x→+∞ • Calcolare Ä ä Ü −4 ↑ Ö lim −x2 + ln (x) x→2 2 + ln −x lim x→2 2 èê ↑ x = −4 + ln (2) • Calcolare lim p x→−3 x2 − 4 à 5 ↑ √ 2 x − 4 = lim x→−3 5 (Abbiamo applicato il teorema del limite di funzioni composte) • Calcolare lim e5−x x→2 3 ↑ 5−x 3 =e lim e x→2 • Calcolare lim ln (sin (x)) x→0+ á 0+ ↑ lim ln sin (x) x→0+ ë = −∞ • Calcolare 1 lim e x x→0+ +∞ ↑ 1 lim e x = +∞ x→0+ • Calcolare lim x→+∞ » ln (x) à lim x→+∞ +∞ ↑ ln x = +∞ 766 5.9. FORME INDETERMINATE 5.9 Forme indeterminate I teoremi sui limiti non si possono applicare se non sono verificate tutte le ipotesi. Per esempio, se nel quoziente di due funzioni il numeratore e il denominatore tendono entrambi a zero, non si può 0 dire nulla sul limite del quoziente. In questo caso si dice che è una forma indeterminata. Le forme 0 indeterminate che si incontrano nei limiti sono le seguenti: 0 ±∞ , , +∞ − ∞, −∞ + ∞, 0 · (±∞) , 1±∞ , (±∞)0 , 00 0 ±∞ 5.9.1 Forme indeterminate con funzioni razionali Forma indeterminata 0 0 Esempio 5.9.1. • Calcolare x2 − 4 x→2 x − 2 lim Poiché Ä ä lim x2 − 4 = 0 x→2 lim (x − 2) = 0 x→2 si ha una forma indeterminata del tipo 0 . 0 x2 − 4 (x + 2) (x − 2) = lim = lim (x + 2) = 4 x→2 x − 2 x→2 x→2 x−2 lim • Calcolare x3 + 6x2 + 11x + 6 x→−3 x2 − 9 lim Poiché lim Ä lim Ä ä x3 + 6x2 + 11x + 6 = 0 x→−3 ä x2 − 9 = 0 x→−3 si ha una forma indeterminata del tipo 0 . 0 (x + 3) x2 + 3x + 2 x2 + 3x + 2 1 x3 + 6x2 + 11x + 6 lim = lim = lim =− 2 x→−3 x→−3 x→−3 x −9 (x + 3) (x − 3) x−3 3 • Calcolare lim x→1+ x2 − x x2 − 2x + 1 Poiché lim Ä lim Ä x→1+ x→1+ ä x2 − x = 0 ä x2 − 2x + 1 = 0 si ha una forma indeterminata del tipo lim x→1+ 0 . 0 x2 − x x (x − 1) x = lim = lim = +∞ 2 2 + + x − 2x + 1 x→1 (x − 1) x→1 x − 1 767 CAPITOLO 5. LIMITI DI FUNZIONI • Calcolare x2 − x x→1− x2 − 2x + 1 Poiché lim lim Ä lim Ä ä x2 − x = 0 x→1− ä x2 − 2x + 1 = 0 x→1− si ha una forma indeterminata del tipo lim x→1− x2 0 . 0 x (x − 1) x x2 − x = lim = lim = −∞ − 2x + 1 x→1− (x − 1)2 x→1− x − 1 • Calcolare x2 − x x→1 x2 − 2x + 1 lim Poiché i limiti per x → 1− e x → 1+ sono diversi x2 − x =@ x→1 x2 − 2x + 1 lim Dagli esempi si può osservare che, per calcolare questo tipo di limiti, si devono scomporre numeratore e denominatore e poi semplificare. Forme indeterminate +∞ − ∞ e −∞ + ∞ Esempio 5.9.2. Calcolare lim Ä 2x3 − 3x + 5 x→−∞ ä Poiché lim ä Ä 2x3 = −∞ x→−∞ lim (−3x) = +∞ x→−∞ si ha una forma indeterminata del tipo −∞ + ∞. −∞ lim à ↑ 0 ↑ 0 ↑ í 3 5 2x − 3x + 5 = lim x3 2 − 2 + 3 x→−∞ x x Ä x→−∞ ä 3 = −∞ Dall’esempio si può osservare che, per calcolare questo tipo di limiti, si deve raccogliere la potenza con esponente maggiore. Per calcolare questo tipo di limiti si può utilizzare il seguente teorema. Teorema 5.9.1. Il limite per x → ±∞ di una funzione razionale intera è uguale al limite del termine di grado massimo. Esempio 5.9.3. Calcolare lim Ä 2x4 + 5x + 1 x→−∞ ä Poiché lim Ä lim Ä x→−∞ x→−∞ ä 2x4 = +∞ ä 2x4 + 5x + 1 = +∞ 768 5.9. FORME INDETERMINATE Forme indeterminate ±∞ ±∞ Esempio 5.9.4. • Calcolare 1+x x→+∞ x lim Poiché lim (1 + x) = +∞ x→+∞ lim x = +∞ x→+∞ si ha una forma indeterminata del tipo +∞ . +∞ 0 ↑ Å 1+x = lim x→+∞ x→+∞ x lim x ã 1 1 +1 +1 x x = lim = 1 x→+∞ x 1 • Calcolare 3x2 + 3x + 2 x→+∞ 2x + 4 lim Poiché lim x→+∞ Ä ä 3x2 + 3x + 2 = +∞ lim (2x + 4) = +∞ x→+∞ si ha una forma indeterminata del tipo +∞ . +∞ à í 0 0 ↑ ↑ +∞ 3 2 + 2 Å x ãx 4 x 2+ x Å lim 3x2 x→+∞ + 3x + 2 = lim x→+∞ 2x + 4 x2 3 + ↑ x ã = lim x→+∞ 3+ 3 2 + 2 x x 0 ↑ = +∞ 4 2+ x Per calcolare questi limiti si deve raccogliere la potenza con esponente maggiore a numeratore e a denominatore e semplificare. Per calcolare questo tipo di limiti si può utilizzare il seguente teorema. Teorema 5.9.2. Il limite per x → ±∞ del quoziente di polinomi è uguale al limite del rapporto tra i termini di grado massimo. Esempio 5.9.5. • Calcolare 2x3 + 3x − 1 x→−∞ 3x3 + 5 lim 769 CAPITOLO 5. LIMITI DI FUNZIONI Poiché lim Ä lim Ä ä 2x3 + 3x − 1 = −∞ x→−∞ ä 3x3 + 5 = −∞ x→−∞ si ha una forma indeterminata del tipo −∞ . −∞ 2 2x3 + 3x − 1 2x3 2 = lim = lim = 3 3 x→−∞ x→−∞ x→−∞ 3x + 5 3x 3 3 lim • Calcolare 3x2 − 2x + 2 x→−∞ 5x3 + 4 lim Poiché lim Ä lim Ä x→−∞ x→−∞ ä 3x2 − 2x + 2 = +∞ ä 5x3 + 4 = −∞ si ha una forma indeterminata del tipo +∞ . −∞ 3x2 3 3x2 − 2x + 2 = lim = lim =0 3 3 x→−∞ x→−∞ x→−∞ 5x + 4 5x 5x lim 5.9.2 Calcolo di limiti che presentano forme indeterminate In generale, quando si presenta una forma indeterminata, non c’è un metodo per decidere se il limite esiste e per calcolarlo. Si analizzeranno alcuni esempi. Rapporto di radici Esempio 5.9.6. Calcolare √ x+3−2 lim x→1 x−1 Poiché Ä√ ä lim x+3−2 =0 x→1 lim (x − 1) = 0 x→1 si ha una forma indeterminata del tipo √ lim x→1 lim x→1 x+3−2 = lim x→1 x−1 x−1 (x − 1) Ä√ Ä√ ä Ä√ ä x+3−2 x+3+2 Ä√ ä = (x − 1) x + 3 + 2 ä = lim √ x+3+2 0 . 0 x→1 1 1 = 4 x+3+2 Per risolvere questo tipo di limiti, si deve razionalizzare il numeratore o il denominatore. 770 5.9. FORME INDETERMINATE Esempio 5.9.7. Calcolare √ 5x + 2 lim √ x→+∞ 3x − 1 Poiché √ lim 5x + 2 = +∞ x→+∞ lim √ x→+∞ 3x − 1 = +∞ +∞ . +∞ si ha una forma indeterminata del tipo √ 5x + 2 5x + 2 5x 5 lim √ = lim = lim = x→+∞ 3 3x − 1 x→+∞ 3x − 1 x→+∞ 3x L’esercizio può anche essere risolto nel seguente modo: 1. si raccoglie la potenza con esponente maggiore del radicando al numeratore e al denominatore 2. si applica la proprietà del prodotto di radicali, facendo attenzione al segno del radicando Differenza di radici Esempio 5.9.8. • Calcolare ä Ä√ √ 2x + 3 − 3x + 5 lim x→+∞ Poiché √ lim 2x + 3 = +∞ x→+∞ √ lim − 3x + 5 = −∞ x→+∞ si ha una forma indeterminata del tipo +∞ − ∞. lim Ä√ x→+∞ lim x→+∞ √ x→+∞ x 3 2+ − x ⌠+∞ lim Å ä √ 2x + 3 − 3x + 5 = lim √↑ x→+∞ x 5 3+ x 0 ↑ ! = Œ 0 ↑ 3 2+ − x 3 x 2+ − x ì 5 3+ x = −∞ • Calcolare lim Äp x→+∞ 3x2 − 5x + 1 − √ x−2 ä Poiché lim x→+∞ p 3x2 − 5x + 1 = +∞ √ lim − x − 2 = −∞ x→+∞ 771 ã Å 5 x 3+ x ã! = CAPITOLO 5. LIMITI DI FUNZIONI si ha una forma indeterminata del tipo +∞ − ∞. ä Äp √ 3x2 − 5x + 1 − x − 2 = lim x→+∞ x2 lim x→+∞ 5 1 3− + 2 − x x Å ã 5 1 3− + 2 − x x lim x x→+∞ ⌠0 Äp x→−∞ 2 1 − x x2 Œ 0 x2 − x − √ 3−x 1 2 − x x2 ã! = ! = 0 0 ì ↑ ↑ 5 1 3− + 2 − x x Esempio 5.9.9. Calcolare Å x2 ↑ ↑ +∞ ↑ lim x x→+∞ lim 1 2 − 2 x x = +∞ ä Poiché p x2 − x = +∞ √ lim − 3 − x = −∞ lim x→−∞ x→−∞ si ha una forma indeterminata del tipo +∞ − ∞. lim Äp x→−∞ x2 − x − lim −x x→−∞ ↑ lim −x x→−∞ ä x2 3 − x = lim x→−∞ 1 1− − x ⌠+∞ √ 0 ↑ 3 1 − 2 x x Œ 1 1− − x 0 ↑ 1 1− − x Å ã x2 Å 3 1 − 2 x x ã! = ! = 0 ↑ ì 3 1 − 2 x x = +∞ Esempio 5.9.10. Calcolare Ä√ ä √ lim 3x + 2 − 3x − 5 x→+∞ Poiché √ lim 3x + 2 = +∞ x→+∞ √ lim − 3x − 5 = −∞ x→+∞ si ha una forma indeterminata del tipo +∞ − ∞. Ä√ ä √ lim 3x + 2 − 3x − 5 = x→+∞ √ √ Ä√ ä 3x + 2 + 3x − 5 √ √ lim 3x + 2 − 3x − 5 √ = x→+∞ 3x + 2 + 3x − 5 7 √ lim √ =0 x→+∞ 3x + 2 + 3x − 5 L’esercizio non può essere risolto con il raccoglimento perché si crea la forma indeterminata +∞ · 0. Dagli esempi precedenti si può osservare che, per calcolare questo tipo di limiti, a volte si deve raccogliere la potenza con esponente maggiore e portare fuori dal segno di radice o applicare la proprietà del prodotto di radicali facendo attenzione al segno del radicando; a volte è necessario razionalizzare. 772 5.10. LIMITI NOTEVOLI 5.10 Limiti notevoli Ci sono limiti che presentano forme indeterminate che non possono essere eliminate con i metodi visti precedentemente. 5.10.1 Primo limite notevole Consideriamo il limite sin (x) x→0 x lim D = R − {0} 0 Si ha una forma indeterminata del tipo . 0 Si dimostra che lim x→0 sin (x) =1 x Esempio 5.10.1. • Calcolare tan (x) x→0 x lim Si ha una forma indeterminata del tipo 1 ↑ 0 . 0 tan (x) sin (x) 1 lim = lim · =1 x→0 x→0 x x cos (x) • Calcolare lim x→0 1 − cos (x) x Si ha una forma indeterminata del tipo lim x→0 0 . 0 1 − cos (x) (1 − cos (x)) (1 + cos (x)) = lim = x→0 x x (1 + cos (x)) 1 ↑ sin2 (x) sin (x) sin (x) lim = lim · =0 x→0 x (1 + cos (x)) x→0 x 1 + cos (x) • Calcolare lim x→0 1 − cos (x) x2 Si ha una forma indeterminata del tipo 0 . 0 1 − cos (x) (1 − cos (x)) (1 + cos (x)) sin2 (x) = lim = lim = x→0 x→0 x→0 x2 (1 + cos (x)) x2 x2 (1 + cos (x)) lim Ç lim x→0 1 ↑ sin (x) x å2 · 1 1 = 1 + cos (x) 2 773 CAPITOLO 5. LIMITI DI FUNZIONI • Calcolare sin (3x) x→0 x lim 0 Si ha una forma indeterminata del tipo . 0 y Posto 3x = y, si ha x = e 3 1 ↑ sin (3x) sin (y) lim = lim ·3=3 x→0 y→0 x y • Calcolare sin (ax) , con a, b 6= 0 x→0 bx lim 0 Si ha una forma indeterminata del tipo . 0 y Posto ax = y, si ha x = e a 1 ↑ sin (ax) sin (y) a a lim = lim · = x→0 y→0 bx y b b 5.10.2 Secondo limite notevole Consideriamo il limite 1 1+ x Å lim x→+∞ ãx Si ha una forma indeterminata del tipo 1+∞ . Si può dimostrare che Å lim x→+∞ 1+ 1 x ãx =e Consideriamo il limite Å lim x→−∞ 1+ 1 x ãx Si ha una forma indeterminata del tipo 1−∞ . Si può dimostrare che 1 1+ x Å lim x→−∞ ãx =e Esempio 5.10.2. • Calcolare 1 lim (1 + x) x x→0 Consideriamo 1 lim (1 + x) x x→0+ 774 5.10. LIMITI NOTEVOLI Si ha una forma indeterminata del tipo 1+∞ . 1 1 Posto = y, si ha x = e x y Å 1 lim (1 + x) x = lim 1+ y→+∞ x→0+ 1 y ãy =e Consideriamo 1 lim (1 + x) x x→0− Si ha una forma indeterminata del tipo 1−∞ . 1 1 Posto = y, si ha x = e x y Å 1 lim (1 + x) x = lim y→−∞ x→0− 1+ 1 y ãy =e Quindi 1 lim (1 + x) x = e x→0 • Calcolare Å lim x→+∞ 1+ 3 x ãx Si ha è una forma indeterminata del tipo 1+∞ . 1 x 3 Posto = , si ha x = 3y, y = e x y 3 3 1+ x Å lim x→+∞ ãx 1 1+ y Å = lim y→+∞ ã3y 1 1+ y ÅÅ = lim y→+∞ ãy ã3 = e3 • Calcolare 1 1− x Å lim x→+∞ ãx Si ha una forma indeterminata del tipo 1+∞ . 1 1 Posto − = , si ha x = −y, y = −x e x y 1 1− x Å lim x→+∞ ãx 1 1+ y Å = lim y→−∞ ã−y 1 1+ y ÅÅ = lim y→−∞ ãy ã−1 = e−1 = • Calcolare Å lim x→+∞ 1+ a x ãbx con a, b 6= 0 Si ha una forma indeterminata del tipo 1±∞ . a 1 x Posto = , si ha x = ay, y = e x y a a 1+ x Å lim x→+∞ ãbx 1 1+ y Å = lim y→±∞ ãaby = lim y→±∞ Analogamente si ha Å lim x→−∞ 1+ a x ãbx 1 1+ y ÅÅ = eab con a, b 6= 0 775 ãy ãab = eab 1 e CAPITOLO 5. LIMITI DI FUNZIONI • Calcolare ln(1 + x) x→0 x lim Si ha una forma indeterminata del tipo 0 . 0 1 ln(1 + x) = lim ln (1 + x) x = ln(e) = 1 x→0 x→0 x lim • Calcolare ax − 1 con a > 0 ∧ a 6= 1 x→0 x lim 0 Si ha una forma indeterminata del tipo . 0 Posto ax − 1 = y, si ha ax = 1 + y, da cui x ln(a) = ln(1 + y) e x = ln(1 + y) ln(a) ax − 1 y = lim · ln(a) = 1 · ln(a) = ln(a) x→0 y→0 ln(1 + y) x lim • Calcolare ex − 1 x→0 x lim ex − 1 = ln(e) = 1 x→0 x lim 5.11 Esercizi di riepilogo sui limiti Esempio 5.11.1. • Calcolare Ä ä Ä ä lim 3x2 − 5x + 1 x→3 lim 3x2 − 5x + 1 = 27 − 15 + 1 = 13 x→3 • Calcolare x2 − 9 x→3 x − 3 lim Si ha una forma indeterminata del tipo 0 . 0 x2 − 9 (x + 3) (x − 3) = lim = lim (x + 3) = 6 x→3 x − 3 x→3 x→3 x−3 lim • Calcolare √ x−1 lim x→1 x − 1 0 Si ha una forma indeterminata del tipo . 0 Si può risolvere razionalizzando oppure scomponendo. √ √ x−1 x−1 1 1 √ lim = lim √ = lim √ = x→1 x − 1 x→1 ( x + 1) ( x − 1) x→1 x+1 2 776 5.11. ESERCIZI DI RIEPILOGO SUI LIMITI • Calcolare lim x→3 2 (x − 3)4 2 = +∞ x→3 (x − 3)4 lim • Calcolare lim x→2+ |x − 2| x−2 Si ha una forma indeterminata del tipo lim x→2+ 0 . 0 x−2 |x − 2| = lim = lim 1 = 1 + x−2 x→2 x − 2 x→2+ • Calcolare lim x→3− 2|x − 3| x−3 Si ha una forma indeterminata del tipo lim x→3− 0 . 0 2|x − 3| 2 (−x + 3) = lim = lim (−2) = −2 − x−3 x−3 x→3 x→3− • Calcolare 1 lim sin + x−2 x→2 Å ã Poiché lim x→2+ 1 = +∞ x−2 Å lim sin x→2+ 1 =@ x−2 ã • Calcolare 3x3 − 5x + 1 x→+∞ 2x3 + 4x + 1 lim Si ha una forma indeterminata del tipo +∞ . +∞ 3x3 − 5x + 1 3x3 3 3 = lim = lim = x→+∞ 2x3 + 4x + 1 x→+∞ 2x3 x→+∞ 2 2 lim • Calcolare 1 x Å ã lim x sin x→0 1 x Å ã Poiché lim x = 0 e f (x) = sin x→0 è limitata, 1 =0 x Å ã lim x sin x→0 777 CAPITOLO 5. LIMITI DI FUNZIONI • Calcolare Ç sin (x) x Ç sin (x) x lim x→0 lim x→0 å(1+x) x1 å(1+x) x1 = 1e = 1 • Calcolare √ 1+x−1 lim √ x→0 3 1 + x − 1 Si ha una forma indeterminata del tipo 0 . 0 √ å 1+x−1 1+x+1 √ = ·√ 3 1+x−1 1+x+1 Ç√ lim x→0 lim Ä √ 3 x ä Ä√ » 3 ä· » (1 + x)2 + 1 + √ 3 1+x = 1+x+1 (1 + +1+ 1+x » √ » √ 3 x 3 (1 + x)2 + 1 + 3 1 + x (1 + x)2 + 1 + 3 1 + x 3 Ä√ ä √ = lim lim = x→0 x→0 2 1+x+1 x 1+x+1 x→0 5.12 1+x−1 3 x)2 √ 3 Funzioni equivalenti Definizione 5.12.1 (Funzioni equivalenti). Siano f, g : D → R e x0 punto di accumulazione di D. Si dice che f è equivalente a g per x → x0 , se e solo se lim x→x0 f (x) =1 g (x) e si scrive f ∼ g per x → x0 . − La definizione data vale anche per x → +∞, x → −∞, x → x+ 0 e x → x0 . Esempio 5.12.1. Si può dimostrare che: sin(x) ∼ x per x → 0 tan(x) ∼ x per x → 0 1 1 − cos(x) ∼ x2 per x → 0 2 arcsin(x) ∼ x per x → 0 arctan(x) ∼ x per x → 0 ln(1 + x) ∼ x per x → 0 ax − 1 ∼ x ln(a) per x → 0 (1 + x)k − 1 ∼ kx per x → 0 Teorema 5.12.1. Siano f, g, f1 , g1 : D → R e x0 punto di accumulazione di D. Se 1. f ∼ f1 per x → x0 778 5.13. LIMITI DI UNA FUNZIONE AGLI ESTREMI DEL DOMINIO 2. g ∼ g1 per x → x0 3. esiste lim x→x0 f1 (x) g1 (x) allora lim x→x0 f1 (x) f (x) = lim g (x) x→x0 g1 (x) − Il teorema vale anche per x → +∞, x → −∞, x → x+ 0 , x → x0 e per il limite del prodotto delle funzioni. Osservazione Il teorema non vale per la somma Esempio 5.12.2. Calcolare sin(5x) = x→0 3x lim Poiché lim sin(5x) = 0 x→0 lim 3x = 0 x→0 0 si ha una forma indeterminata del tipo . 0 Poiché: sin(5x) ∼ 5x per x → 0 3x ∼ 3x per x → 0 lim x→0 5x 5 = 3x 3 allora sin(5x) 5x 5 = lim = x→0 x→0 3x 3x 3 lim 5.13 Limiti di una funzione agli estremi del dominio Data una funzione f : D → R, si possono calcolare i limiti per x tendente a ogni punto x0 punto di accumulazione di D e, se è possibile, per x tendente a ±∞. Tra questi, i limiti più significativi sono quelli agli estremi del dominio. Osservazioni 1. Se la funzione è periodica di periodo T , si possono determinare i limiti agli estremi di un dominio D1 incluso in un intervallo di ampiezza T e, successivamente, estendere i risultati in D 2. Se la funzione è periodica, i limiti per x tendente a ±∞ non esistono o non si possono effettuare. 3. Se la funzione è definita per casi è opportuno calcolare i limiti per x tendente ai valori di separazione dei casi. 4. Al fine di ottenere il grafico della funzione, si possono rappresentare i limiti agli estremi del dominio sul piano cartesiano. Esempio 5.13.1. 779 CAPITOLO 5. LIMITI DI FUNZIONI • Data la funzione f (x) = 2x3 − x4 D=R Calcoliamo i limiti agli estremi del dominio: lim Ä ä lim Ä ä 2x3 − x4 = −∞ x→−∞ x→+∞ 2x3 − x4 = −∞ y x O Figura 5.18: limiti • Data la funzione x4 x3 − 1 f (x) = D = ]−∞, 1[ ∪ ]1, +∞[ Calcoliamo i limiti agli estremi del dominio: x4 = −∞ −1 lim x→−∞ x3 lim x→1− lim x→1+ x4 = −∞ −1 x3 x4 = +∞ x3 − 1 x4 = +∞ x→+∞ x3 − 1 lim 780 5.13. LIMITI DI UNA FUNZIONE AGLI ESTREMI DEL DOMINIO y x O 1 Figura 5.19: limiti • Data la funzione p f (x) = 3x + 4 1 − x2 D = [−1, 1] Calcoliamo i limiti agli estremi del dominio: Ä x→−1+ lim x→1− p ä 3x + 4 1 − x2 = −3 lim Ä p ä 3x + 4 1 − x2 = 3 y x 3 O −1 1 −3 Figura 5.20: limiti • Data la funzione f (x) = ® 1 − sin (x) cos (x) ´ π D = x ∈ R/x 6= + kπ, k ∈ Z 2 781 CAPITOLO 5. LIMITI DI FUNZIONI Poiché la funzione è periodica di periodo T 6 2π, consideriamo il dominio ñ ñ ô ñ ô π π π π − π, − ∪ − , ∪ ,π 2 2 2 2 D1 = ô Calcoliamo i limiti agli estremi di D1 lim 1 − sin (x) = −1 cos (x) lim 1 − sin (x) = −∞ cos (x) lim 1 − sin (x) = +∞ cos (x) x→−π + x→− π2 − x→− π2 + lim 1 − sin (x) = cos (x) lim (1 − sin (x))(1 + sin(x)) = cos (x) (1 + sin(x)) lim 1 − sin2 (x) = cos (x) (1 + sin(x)) lim cos2 (x) = cos (x) (1 + sin(x)) lim cos (x) =0 1 + sin(x) lim 1 − sin (x) = cos (x) lim (1 − sin (x))(1 + sin(x)) = cos (x) (1 + sin(x)) lim 1 − sin2 (x) = cos (x) (1 + sin(x)) lim cos2 (x) = cos (x) (1 + sin(x)) lim cos (x) =0 1 + sin(x) lim 1 − sin (x) = −1 cos (x) x→ π2 − x→ π2 − x→ π2 − x→ π2 − x→ π2 − x→ π2 + x→ π2 + x→ π2 + x→ π2 + x→ π2 + x→π − I limiti agli estremi di D sono lim 1 − sin (x) = −∞ cos (x) ) − − π2 +2kπ x→( 1 − sin (x) = +∞ cos (x) x→(− π2 +2kπ ) lim lim x→( + 1 − sin (x) =0 cos (x) ) − π +2kπ 2 1 − sin (x) =0 cos (x) x→( π2 +2kπ ) lim + 782 5.13. LIMITI DI UNA FUNZIONE AGLI ESTREMI DEL DOMINIO y x π − 2 3 − π 2 O π 2 3 π 2 Figura 5.21: limiti • Data la funzione 1 f (x) = xe− x D = ]−∞, 0[ ∪ ]0, +∞[ Calcoliamo i limiti agli estremi del dominio: lim x→−∞ 1 xe− x = −∞ 1 lim x→0− 1 xe− x = lim x→0− e− x 1 x 1 1 Ponendo y = − , si ha x = − e x y 1 lim x→0− lim e− x ey = −∞ = lim 1 y→+∞ −y x x→0+ lim x→+∞ 1 xe− x = 0 1 xe− x = +∞ 783 CAPITOLO 5. LIMITI DI FUNZIONI y × O x Figura 5.22: limiti • Data la funzione f (x) = ln (x) + ln2 (x) D = ]0, +∞[ Calcoliamo i limiti agli estremi del dominio: lim Ä x→0+ lim x→+∞ ä ln (x) + ln2 (x) = +∞ Ä ä ln (x) + ln2 (x) = +∞ y × O Figura 5.23: limiti 784 x Capitolo 6 Funzioni continue 6.1 Introduzione Definizione 6.1.1 (Funzione continua). Una funzione f : D → R si dice continua in x0 ∈ D, se e solo se x0 è un punto isolato oppure x0 non è isolato e lim f (x) = f (x0 ). x→x0 La continuità di una funzione è una proprietà locale. Se f è continua in tutti i punti di un insieme E ⊆ D, si dice che è continua su E. Se f è continua in tutti i punti di D, si dice che è continua sul dominio. Esempio 6.1.1. La funzione: f (x) = 2 x − 4 se x 6= 2 4 se x = 2 x−2 è continua in 2. Infatti: 1. f (2) = 4 x2 − 4 =4 x→2 x − 2 2. lim f (x) = lim x→2 6.2 Proprietà delle funzioni continue Teorema 6.2.1 (Proprietà delle funzioni continue). Siano f, g : D → R e x0 ∈ D. 1. Se f e g sono continue in x0 , allora f + g e f · g sono continue in x0 . 2. Se f e g sono continue in x0 e g (x0 ) 6= 0, allora f è continua in x0 . g 3. Se f (D) ⊆ D, f è continua in x0 e g è continua in f (x0 ), allora g ◦ f è continua in x0 . La dimostrazione di queste proprietà si effettua applicando i teoremi sui limiti. 6.3 6.3.1 Esempi di funzioni continue sul loro dominio Funzione costante Esempio 6.3.1. Consideriamo la funzione costante f (x) = k 785 CAPITOLO 6. FUNZIONI CONTINUE D=R Dato x0 ∈ D, lim k = k = f (x0 ) x→x0 quindi f è continua in x0 . Data l’arbitrarietà di x0 in D, f è continua su D. 6.3.2 Funzione identica Esempio 6.3.2. Consideriamo la funzione identica f (x) = x D=R Dato x0 ∈ D, lim x = x0 = f (x0 ) x→x0 quindi f è continua in x0 . Data l’arbitrarietà di x0 in D, f è continua su D. 6.3.3 Funzione polinomiale Esempio 6.3.3. Consideriamo la funzione polinomiale f (x) = an xn + · · · + a0 D=R Dato x0 ∈ D, f è continua in x0 per le proprietà del prodotto e della somma di funzioni continue. Data l’arbitrarietà di x0 in D, f è continua su D. 6.3.4 Altre funzioni continue sul dominio Le seguenti funzioni sono continue sul dominio: • funzioni razionali fratte • funzioni irrazionali • funzioni goniometriche e loro inverse • funzione valore assoluto • funzione logaritmica • funzione esponenziale 6.4 Punti singolari di una funzione Definizione 6.4.1 (Funzione discontinua in un punto). Una funzione f : D → R è discontinua in x0 ∈ D, se e solo se non è continua in x0 . 786 6.4. PUNTI SINGOLARI DI UNA FUNZIONE Esempio 6.4.1. La funzione ( f (x) = x + 2 se x 6= 5 6 se x = 5 con dominio D = R, è discontinua in 5. Infatti: 1. f (5) = 6 2. lim f (x) = lim (x + 2) = 7 6= f (5) x→5 x→5 Definizione 6.4.2 (Punto singolare). Un punto x0 ∈ R si dice punto singolare di una funzione f : D → R, se e solo se: f è discontinua in x0 oppure x0 ∈ Fr(D) − D. Esempio 6.4.2. • Data la funzione ( f (x) = x + 2 se x 6= 5 6 se x = 5 con dominio D = R, x0 = 5 è un punto singolare di f perché f è discontinua in 5. • Data la funzione 1 f (x) = x−1 con dominio D = ]−∞, 1[ ∪ ]1, +∞[, x0 = 1 è un punto singolare di f perché appartiene alla frontiera del dominio ma non al dominio. Si possono avere 3 tipi di singolarità. Definizione 6.4.3 (Classificazione dei punti singolari). Siano f : D → R e x0 un punto singolare di f : 1. x0 si dice punto singolare di prima specie, se i limiti destro e sinistro per x tendente a x0 sono finiti e diversi. 2. x0 si dice punto singolare di seconda specie, se tra i limiti destro e sinistro per x tendente a x0 almeno uno è infinito oppure almeno uno non esiste. 3. x0 si dice punto singolare di terza specie, se il limite per x tendente a x0 è finito. y × × x O x0 Figura 6.1: punto singolare di prima specie 787 CAPITOLO 6. FUNZIONI CONTINUE y x x0 O Figura 6.2: punto singolare di seconda specie y × x O x0 Figura 6.3: punto singolare di terza specie La singolarità di terza specie viene anche detta eliminabile. Infatti, se x0 è un punto singolare di terza specie di una funzione f con dominio D lim f (x) = l ∈ R x→x0 La funzione f˜ : D ∪ {x0 } → R definita da ( f˜ (x) = f (x) se x ∈ D ∧ x 6= x0 l se x = x0 è continua in x0 , quindi x0 non è un punto singolare di f˜. La funzione f˜ si dice prolungamento per continuità di f . Un punto singolare appartenente al dominio della funzione si dice anche punto di discontinuità; per i punti di discontinuità vale la classificazione data per i punti singolari. Osservazione Se • x0 è un punto singolare • lim f (x) = l ∈ R x→x+ 0 • il limite sinistro non si può effettuare allora x0 è un punto singolare di terza specie. Analogamente con il limite sinistro. Esempio 6.4.3. • Data la funzione f (x) = x |x| 788 6.5. DETERMINAZIONE DEI PUNTI SINGOLARI con dominio D = ]−∞, 0[ ∪ ]0, +∞[, si consideri x0 = 0. Poiché 0 appartiene alla frontiera di D ma non a D, 0 è un punto singolare di f . lim x = −1 |x| lim x =1 |x| x→0− x→0+ Poiché i limiti sinistro e destro sono finiti e diversi, 0 è un punto singolare di prima specie. • Data la funzione f (x) = 1 x3 con dominio D = ]−∞, 0[ ∪ ]0, +∞[, si consideri x0 = 0. Poiché 0 appartiene alla frontiera di D ma non a D, 0 è un punto singolare di f . lim x→0− 1 = −∞ x3 1 = +∞ x3 Poiché i limiti sinistro e destro sono infiniti, 0 è un punto singolare di seconda specie. lim x→0+ • Data la funzione f (x) = sin(x) x con dominio D = ]−∞, 0[ ∪ ]0, +∞[, si consideri x0 = 0. Poiché 0 appartiene alla frontiera di D ma non a D, 0 è un punto singolare di f . sin(x) =1 x→0 x lim Poiché il limite è finito, 0 è un punto singolare di terza specie. 6.5 Determinazione dei punti singolari Per determinare i punti singolari di una funzione f : D → R si considerano gli estremi del dominio D (esclusi ±∞). Per classificare un punto singolare x0 si analizza il limite per x tendente a x0 : • se i limiti destro e sinistro sono finiti e diversi, x0 è un punto singolare di prima specie • se tra i limiti destro e sinistro almeno uno è infinito oppure almeno uno non esiste, x0 è un punto singolare di seconda specie • se il limite è finito, x0 è un punto singolare di terza specie • se x0 è un punto singolare e x0 ∈ D, allora x0 è anche un punto di discontinuità Osservazione Se la funzione è periodica di periodo T , si possono determinare i punti singolari considerando un dominio D1 incluso in un intervallo di ampiezza T e, successivamente, estendere i risultati in D Esempio 6.5.1. • Determiniamo i punti singolari della funzione f (x) = 2x3 − x4 D=R La funzione f è continua su R. Non ci sono punti singolari. 789 CAPITOLO 6. FUNZIONI CONTINUE • Determiniamo i punti singolari della funzione f (x) = x4 x3 − 1 D = ]−∞, 1[ ∪ ]1, +∞[ La funzione f è continua su D. Poiché 1 appartiene alla frontiera del dominio ma non al dominio, 1 è un punto singolare di f . x4 = −∞ x3 − 1 lim x→1− Poiché il limite sinistro è infinito, 1 è un punto singolare di seconda specie. • Determiniamo i punti singolari della funzione p f (x) = 3x + 4 1 − x2 D = [−1, 1] La funzione f è continua su D. Non ci sono punti singolari. • Determiniamo i punti singolari della funzione f (x) = 1 − sin (x) cos (x) ® ´ π D = x ∈ R/x 6= + kπ, k ∈ Z 2 Poiché la funzione è periodica di periodo T 6 2π, consideriamo il dominio ñ D1 = ñ ô ñ ô π π π π − π, − ∪ − , ∪ ,π 2 2 2 2 ô π π La funzione f è continua su D1 . Poiché − , appartengono alla frontiera di D1 ma non a D1 , 2 2 sono punti singolari di f . lim x→− π2 − 1 − sin (x) = −∞ cos (x) Poiché il limite sinistro è infinito, − lim 1 − sin (x) =0 cos (x) lim 1 − sin (x) =0 cos (x) x→ π2 − x→ π2 + π è un punto singolare di seconda specie. 2 Poiché i limiti sinistro e destro sono uguali e finiti, limπ x→ 2 1 − sin (x) =0 cos (x) π è un punto singolare di terza specie. 2 π π La funzione f è continua su D. − + 2kπ sono punti singolari di seconda specie. + 2kπ sono 2 2 punti singolari di terza specie. quindi 790 6.6. PROPRIETÀ DELLE FUNZIONI CONTINUE SU UN INTERVALLO • Determiniamo i punti singolari della funzione 1 f (x) = xe− x D = ]−∞, 0[ ∪ ]0, +∞[ La funzione f è continua su D. Poiché 0 appartiene alla frontiera del dominio ma non al dominio, 0 è un punto singolare di f . 1 lim x→0− 1 xe− x = lim x→0− e− x 1 x 1 1 Ponendo y = − , si ha x = − e x y 1 ey e− x = lim lim = −∞ y→+∞ −y x→0− 1 x Poiché il limite sinistro è infinito, 0 è un punto singolare di seconda specie. • Determiniamo i punti singolari della funzione f (x) = ln (x) + ln2 (x) D = ]0, +∞[ La funzione f è continua su D. Poiché 0 appartiene alla frontiera del dominio ma non al dominio, 0 è un punto singolare di f . lim x→0+ Ä ä ln (x) + ln2 (x) = +∞ Poiché il limite destro è infinito, 0 è un punto singolare di seconda specie. 6.6 Proprietà delle funzioni continue su un intervallo Per le funzioni continue su un intervallo valgono alcune proprietà. Teorema 6.6.1 (Teorema di esistenza degli zeri). Sia f : [a, b] → R. Se 1. f è continua su [a, b] 2. f (a)f (b) < 0 allora ∃x0 ∈]a, b[/f (x0 ) = 0 791 CAPITOLO 6. FUNZIONI CONTINUE y f (b) x a O b f (a) Figura 6.4: teorema di esistenza degli zeri Teorema 6.6.2 (Teorema di Weierstrass). Ogni funzione continua su un intervallo chiuso e limitato è dotata di massimo e minimo assoluto. y f (x1 ) x O a x2 x1 b f (x2 ) Figura 6.5: teorema di Weierstrass 792 Capitolo 7 Asintoti 7.1 Introduzione Definizione 7.1.1 (Asintoto). Una retta è detta asintoto del grafico di una funzione, se la distanza di un punto generico del grafico da tale retta tende a 0 quando l’ascissa o l’ordinata del punto tendono a ±∞. y x O Figura 7.1: asintoto 7.2 Asintoti orizzontali Teorema 7.2.1 (Asintoti orizzontali). Sia f : D → R. Se lim f (x) = l x→+∞ allora il grafico della funzione f ammette un asintoto orizzontale di equazione y = l. Sia f : D → R. Se lim f (x) = l x→−∞ allora il grafico della funzione f ammette un asintoto orizzontale di equazione y = l. 793 CAPITOLO 7. ASINTOTI Esempio 7.2.1. Data la funzione f (x) = 2x2 − 7x x2 + 1 con dominio D=R poiché 2x2 − 7x =2 x→+∞ x2 + 1 lim il grafico della funzione f ammette un asintoto orizzontale di equazione y = 2. y x O Figura 7.2: asintoto orizzontale Osservazione Al massimo possono esserci due asintoti orizzontali. 7.3 Asintoti verticali Teorema 7.3.1 (Asintoti verticali). Sia f : D → R. Se lim f (x) = ±∞ o lim f (x) = ±∞ x→x− 0 x→x+ 0 allora il grafico della funzione f ammette un asintoto verticale di equazione x = x0 . Esempio 7.3.1. Data la funzione f (x) = x3 5x − 5 con dominio D =] − ∞, 1[∪]1, +∞[ poiché lim x→1− x3 = −∞ 5x − 5 il grafico della funzione f ammette un asintoto verticale di equazione x = 1. 794 7.4. ASINTOTI OBLIQUI y x O Figura 7.3: asintoto verticale 7.4 Asintoti obliqui Teorema 7.4.1 (Asintoti obliqui). Sia f : D → R. Se 1. 2. 3. lim f (x) = ±∞ x→+∞ f (x) = m 6= 0 x lim x→+∞ lim (f (x) − mx) = q x→+∞ allora il grafico della funzione f ammette un asintoto obliquo di equazione y = mx + q. Sia f : D → R. Se 1. 2. 3. lim f (x) = ±∞ x→−∞ f (x) = m 6= 0 x→−∞ x lim lim (f (x) − mx) = q x→−∞ allora il grafico della funzione f ammette un asintoto obliquo di equazione y = mx + q. Esempio 7.4.1. Data la funzione f (x) = x3 + 5x2 − 10x 5x2 + 5 con dominio D=R poiché 1. x3 + 5x2 − 10x = +∞ x→+∞ 5x2 + 5 2. x3 + 5x2 − 10x 1 x3 + 5x2 − 10x 1 · = lim = 2 3 x→+∞ 5x + 5 x x→+∞ 5x + 5x 5 3. lim lim lim x→+∞ Ç 3 x + 5x2 − 10x 5x2 + 5 1 − x 5 å 5x2 − 11x =1 x→+∞ 5x2 + 5 = lim 795 CAPITOLO 7. ASINTOTI 1 il grafico della funzione f ammette un asintoto obliquo di equazione y = x + 1. 5 y x O Figura 7.4: asintoto obliquo Osservazione Al massimo possono esserci due asintoti obliqui. 7.5 Determinazione degli asintoti Per determinare gli asintoti del grafico di una funzione f si analizzano i limiti agli estremi del dominio: • se lim f (x) = l, allora il grafico ammette un asintoto orizzontale di equazione y = l x→±∞ • se lim f (x) = ±∞ allora il grafico ammette un asintoto verticale di equazione x = x0 x→x± 0 • se 1. lim f (x) = ±∞ x→±∞ f (x) = m 6= 0 x→±∞ x 3. lim (f (x) − mx) = q lim 2. x→±∞ allora il grafico ammette un asintoto obliquo di equazione y = mx + q. Osservazioni 1. Al fine di ottenere il grafico della funzione, si possono rappresentare gli asintoti sul piano cartesiano. 2. Il grafico di una funzione periodica non ha asintoti orizzontali e obliqui. 3. Se la funzione è periodica di periodo T , si possono determinare gli asintoti verticali considerando un dominio D1 incluso in un intervallo di ampiezza T e, successivamente, estendere i risultati in D Esempio 7.5.1. • Determiniamo gli asintoti del grafico della funzione f (x) = 2x3 − x4 D=R Calcoliamo i limiti agli estremi del dominio: lim Ä ä lim Ä ä x→−∞ x→+∞ 2x3 − x4 = −∞ 2x3 − x4 = −∞ 796 7.5. DETERMINAZIONE DEGLI ASINTOTI Non ci sono asintoti orizzontali e verticali. Ä ä 2x3 − x4 = lim 2x2 − x3 = +∞ x→−∞ x→−∞ x lim Ä ä 2x3 − x4 = lim 2x2 − x3 = −∞ x→+∞ x→+∞ x non ci sono asintoti obliqui. lim • Determiniamo gli asintoti del grafico della funzione f (x) = x4 −1 x3 D = ]−∞, 1[ ∪ ]1, +∞[ Calcoliamo i limiti agli estremi del dominio: x4 = −∞ x→−∞ x3 − 1 lim lim x→1− x4 = −∞ x3 − 1 x4 = +∞ x→+∞ x3 − 1 Non ci sono asintoti orizzontali. Il grafico ha un asintoto verticale di equazione x = 1. Poiché lim x4 x4 = lim =1 x→−∞ x (x3 − 1) x→−∞ x4 − x lim Ç lim x→−∞ x4 −x x3 − 1 å x4 − x4 + x x = lim 3 =0 3 x→−∞ x→−∞ x −1 x −1 = lim x4 x4 = lim =1 x→+∞ x4 − x x→+∞ x (x3 − 1) lim Ç lim x→+∞ x4 −x x3 − 1 å x4 − x4 + x x = lim 3 =0 3 x→+∞ x→+∞ x −1 x −1 = lim il grafico ha un asintoto obliquo di equazione y = x. y x O 1 Figura 7.5: asintoti 797 CAPITOLO 7. ASINTOTI • Determiniamo gli asintoti del grafico della funzione p f (x) = 3x + 4 1 − x2 D = [−1, 1] Calcoliamo i limiti agli estremi del dominio: Ä p ä 3x + 4 1 − x2 = −3 lim x→−1+ p Ä ä 3x + 4 1 − x2 = 3 lim x→1− Non ci sono asintoti orizzontali, verticali, obliqui. • Determiniamo gli asintoti del grafico della funzione f (x) = 1 − sin (x) cos (x) ® ´ π D = x ∈ R/x 6= + kπ, k ∈ Z 2 Poiché la funzione è periodica, non ci sono asintoti orizzontali e obliqui. Poiché la funzione è periodica di periodo T 6 2π, consideriamo il dominio ñ D1 = ñ ô ñ ô π π π π ∪ − , ∪ ,π − π, − 2 2 2 2 ô Calcoliamo i limiti agli estremi di D1 lim 1 − sin (x) = −1 cos (x) lim 1 − sin (x) = −∞ cos (x) x→−π + x→− π2 − lim 1 − sin (x) = cos (x) lim (1 − sin (x))(1 + sin(x)) = cos (x) (1 + sin(x)) lim 1 − sin2 (x) = cos (x) (1 + sin(x)) lim cos2 (x) = cos (x) (1 + sin(x)) lim cos (x) =0 1 + sin(x) lim 1 − sin (x) = cos (x) lim (1 − sin (x))(1 + sin(x)) = cos (x) (1 + sin(x)) lim 1 − sin2 (x) = cos (x) (1 + sin(x)) lim cos2 (x) = cos (x) (1 + sin(x)) x→ π2 − x→ π2 − x→ π2 − x→ π2 − x→ π2 − x→ π2 + x→ π2 + x→ π2 + x→ π2 + 798 7.5. DETERMINAZIONE DEGLI ASINTOTI lim cos (x) =0 1 + sin(x) lim 1 − sin (x) = −1 cos (x) x→ π2 + x→π − π In D1 il grafico ha un asintoto verticali di equazione x = − . 2 π In D il grafico ha asintoti verticali di equazione x = − + 2kπ. 2 y x π − 2 3 − π 2 π 2 O 3 π 2 Figura 7.6: asintoti • Determiniamo gli asintoti del grafico della funzione 1 f (x) = xe− x D = ]−∞, 0[ ∪ ]0, +∞[ Calcoliamo i limiti agli estremi del dominio: lim x→−∞ 1 xe− x = −∞ 1 e− x lim xe = lim x→0− x→0− 1 x 1 1 Ponendo y = − , si ottiene x = − e x y − x1 1 lim x→0− e− x ey = lim = −∞ 1 y→+∞ −y x Quindi lim x→0− 1 xe− x = −∞ 799 CAPITOLO 7. ASINTOTI lim x→+∞ 1 xe− x = +∞ Non ci sono asintoti orizzontali. Il grafico ha un asintoto verticale di equazione x = 0. Poiché 1 1 xe− x = lim e− x = 1 x→−∞ x→−∞ x lim lim x→−∞ 1 xe− x − x = lim x→−∞ 1 x e− x − 1 1 − (ey − 1) = −1 y ã Å = lim y→0+ 1 1 xe− x = lim e− x = 1 x→+∞ x→+∞ x lim lim 1 xe− x − x = lim x→+∞ x→+∞ 1 x e− x − 1 1 − (ey − 1) = −1 y Å = lim y→0− ã il grafico ha un asintoto obliquo di equazione y = x − 1. y x × O Figura 7.7: asintoti • Determiniamo gli asintoti del grafico della funzione f (x) = ln (x) + ln2 (x) D = ]0, +∞[ Calcoliamo i limiti agli estremi del dominio: lim Ä x→0+ lim x→+∞ ä ln (x) + ln2 (x) = +∞ Ä ä ln (x) + ln2 (x) = +∞ Non ci sono asintoti orizzontali. Il grafico ha un asintoto verticale di equazione x = 0. ln (x) + ln2 (x) lim = lim x→+∞ x→+∞ x Ç ln (x) ln2 (x) + x x 800 å = 7.5. DETERMINAZIONE DEGLI ASINTOTI Ç lim x→+∞ ln (x) ln (x) ln (x) √ + √ x x x å =0 non ci sono asintoti obliqui. y × O Figura 7.8: asintoti 801 x Capitolo 8 Calcolo differenziale 8.1 Rapporto incrementale Definizione 8.1.1 (Rapporto incrementale). Siano f : D → R una funzione e x0 ∈ D un punto non isolato. Si dice rapporto incrementale della funzione f rispetto ad x0 la funzione f (x) − f (x0 ) x − x0 con dominio D − {x0 }. 8.1.1 Significato geometrico del rapporto incrementale Dati i punti P0 (x0 , f (x0 )) e P (x, f (x)) con x 6= x0 , appartenenti al grafico della funzione f , il rapporto incrementale è il coefficiente angolare della retta passante i punti P e P0 . y f (x) f (x0 ) P P0 x O x0 x Figura 8.1: rapporto incrementale 8.2 Derivata Definizione 8.2.1 (Derivata). Siano f : D → R una funzione e x0 ∈ D un punto non isolato. Si dice che f è derivabile in x0 se il limite per x tendente a x0 del rapporto incrementale esiste ed è finito. Tale limite si dice derivata della funzione f in x0 e si indica con f 0 (x0 ). In simboli f 0 (x0 ) = lim x→x0 f (x) − f (x0 ) x − x0 802 8.2. DERIVATA La derivata della funzione f in x0 si può anche indicare con D(f )(x0 ) o con dfx0 . dx Esempio 8.2.1. Data f (x) = 2x2 − 5 con dominio D=R calcoliamo la derivata in x0 = 2. lim x→x0 f (x) − f (x0 ) 2x2 − 5 − 3 = lim = x→2 x − x0 x−2 2x2 − 8 2(x − 2)(x + 2) = lim = lim 2(x + 2) = 8 x→2 x − 2 x→2 x→2 x−2 lim Quindi f è derivabile in 2 e f 0 (2) = 8. 8.2.1 Significato geometrico della derivata Dati i punti P0 (x0 , f (x0 )) e P (x, f (x)) con x 6= x0 , appartenenti al grafico della funzione f , per x tendente a x0 il punto P si avvicina al punto P0 e quindi la retta passante per P e P0 si avvicina alla tangente al grafico della funzione in P0 . Pertanto la derivata della funzione in x0 è il coefficiente angolare della tangente al grafico in P0 . y f (x0 ) P0 x O x0 Figura 8.2: derivata Se la funzione f è derivabile in tutti i punti di un insieme E ⊆ D si dice che è derivabile su E. Se la funzione f è derivabile in tutti i punti di D si dice che è derivabile sul dominio. Definizione 8.2.2 (Funzione derivata). Sia f : D → R una funzione derivabile in un insieme E ⊆ D. Si dice funzione derivata la funzione che ad ogni x ∈ E associa la derivata di f in x e si indica con f 0 df o con D(f ) o con . dx In simboli f0 : E ⊆ D → R x 7→ f 0 (x) 803 CAPITOLO 8. CALCOLO DIFFERENZIALE 8.2.2 Derivata destra e derivata sinistra Definizione 8.2.3 (Derivata destra). Siano f : D → R una funzione e x0 ∈ D un punto non isolato. Si dice che f è derivabile in x0 a destra, se il limite per x tendente a x+ 0 del rapporto incrementale esiste ed è finito. Tale limite si dice derivata destra della funzione f in x0 e si indica con f+0 (x0 ). In simboli f+0 (x0 ) = lim x→x+ 0 f (x) − f (x0 ) x − x0 Definizione 8.2.4 (Derivata sinistra). Siano f : D → R una funzione e x0 ∈ D un punto non isolato. Si dice che f è derivabile in x0 a sinistra, se il limite per x tendente a x− 0 del rapporto incrementale esiste ed è finito. Tale limite si dice derivata sinistra della funzione f in x0 e si indica con f−0 (x0 ). In simboli f−0 (x0 ) = lim x→x− 0 f (x) − f (x0 ) x − x0 Esempio 8.2.2. Data f (x) = |x| con dominio D=R calcoliamo le derivate destra e sinistra in x0 = 0 lim |x| =1 x lim |x| = −1 x x→0+ x→0− Quindi f+0 (0) = 1 e f−0 (0) = −1. Teorema 8.2.1. Sia f : D → R. f è derivabile in x0 ∈ Int(D), se e solo se esistono le derivate destra e sinistra in x0 e sono uguali. 8.3 Calcolo di derivate 8.3.1 Derivata della funzione costante f (x) = k D=R Dato x0 ∈ D lim x→x0 k−k 0 f (x) − f (x0 ) = lim = lim = lim 0 = 0 x→x0 x − x0 x→x0 x − x0 x→x0 x − x0 Quindi f 0 (x0 ) = 0. Data l’arbitrarietà di x0 in D, f è derivabile su D e f 0 (x) = 0. 804 8.3. CALCOLO DI DERIVATE 8.3.2 Derivata della funzione identità f (x) = x D=R Dato x0 ∈ D lim x→x0 x − x0 f (x) − f (x0 ) = lim = lim 1 = 1 x→x0 x − x0 x→x0 x − x0 Quindi f 0 (x0 ) = 1. Data l’arbitrarietà di x0 in D, f è derivabile su D e f 0 (x) = 1. 8.3.3 Derivata della funzione quadratica f (x) = x2 D=R Dato x0 ∈ D lim x→x0 f (x) − f (x0 ) x2 − x20 (x − x0 )(x + x0 ) = lim = lim = x→x x→x 0 x − x0 0 x − x0 x − x0 lim (x + x0 ) = 2x0 x→x0 Quindi f 0 (x0 ) = 2x0 . Data l’arbitrarietà di x0 in D, f è derivabile su D e f 0 (x) = 2x. 8.3.4 Derivata della funzione radice quadrata f (x) = √ x D = [0, +∞[ Se x0 = 0, si ha √ f (x) − f (x0 ) x 1 lim = lim √ = +∞ = lim + + x→x0 x − x0 x x x→0 x→0 Quindi f non è derivabile in 0. Se x0 > 0, si ha √ √ √ √ x − x0 x − x0 f (x) − f (x0 ) √ lim = lim = lim √ = √ √ x→x0 x→x0 x→x0 ( x − x0 )( x + x0 ) x − x0 x − x0 lim √ x→x0 1 1 √ = √ x + x0 2 x0 1 Quindi f 0 (x0 ) = √ . 2 x0 1 Data l’arbitrarietà di x0 in ]0, +∞[, f è derivabile su ]0, +∞[ e f 0 (x) = √ . 2 x 805 CAPITOLO 8. CALCOLO DIFFERENZIALE 8.4 Derivate elementari f (x) D f 0 (x) D0 k R 0 R x R 1 R xn , n ∈ N0 R nxn−1 R √ x ]0, +∞[ xα , α ∈ R0 ]0, +∞[ 2 x 1 √ n n xn−1 1 √ 3 3 x2 1 √ n n xn−1 αxα−1 ax , a > 0 ∧ a 6= 1 R ax ln(a) R ex R ex R loga (x) , a > 0 ∧ a 6= 1 ]0, +∞[ ln (x) ]0, +∞[ sin (x) R 1 x ln(a) 1 x cos (x) cos (x) R − sin (x) √ n x, n pari √ 3 x √ n x, n dispari [0, +∞[ R R ® 8.5 1 √ [0, +∞[ π + kπ 2 tan (x) R− cot (x) R − {kπ} arcsin (x) [−1, 1] arccos (x) [−1, 1] arctan (x) R arccot (x) R |x| R ´ 1 ]0, +∞[ R0 R0 ]0, +∞[ ]0, +∞[ ]0, +∞[ R R ® tan2 (x) =1+ cos2 (x) 1 = −1 − cot2 (x) − 2 sin (x) 1 √ 1 − x2 1 −√ 1 − x2 1 1 + x2 1 − 1 + x2 x |x| = |x| x Continuità delle funzioni derivabili Teorema 8.5.1 (Teorema sulla continuità delle funzioni derivabili). Sia f : D → R. Se f è derivabile in x0 ∈ D allora f è continua in x0 . Osservazione 806 R− π + kπ 2 ´ R − {kπ} ] − 1, 1[ ] − 1, 1[ R R ] − ∞, 0[∪]0, +∞[ 8.6. REGOLE DI DERIVAZIONE Il teorema precedente non è invertibile, cioè esistono funzioni continue in un punto non derivabili in quel punto. Per esempio, la funzione radice quadrata è continua in 0 ma non è derivabile in 0. 8.6 8.6.1 Regole di derivazione Derivata di una somma Teorema 8.6.1. Siano f, g : D → R Se f e g sono derivabili in x0 ∈ D allora f + g è derivabile in x0 e (f + g)0 (x0 ) = f 0 (x0 ) + g 0 (x0 ) Il teorema si può estendere alla funzione derivata: D (f + g) = D (f ) + D (g) Esempio 8.6.1. Calcolare la derivata di f (x) = x + sin(x). D=R La funzione è derivabile su D e f 0 (x) = D(x + sin(x)) = D(x) + D(sin(x)) = 1 + cos(x) 8.6.2 Derivata del prodotto di una costante per una funzione Teorema 8.6.2. Siano k ∈ R e f : D → R. Se f è derivabile in x0 ∈ D allora kf è derivabile in x0 e (kf )0 (x0 ) = kf 0 (x0 ) Il teorema si può estendere alla funzione derivata: D (kf ) = kD (f ) Esempio 8.6.2. Calcolare la derivata di f (x) = 3x. D=R La funzione è derivabile su D e f 0 (x) = D(3x) = 3D(x) = 3 8.6.3 Derivata di un prodotto Teorema 8.6.3. Siano f, g : D → R Se f e g sono derivabili in x0 ∈ D allora f g è derivabile in x0 e (f g)0 (x0 ) = f 0 (x0 )g(x0 ) + f (x0 )g 0 (x0 ) 807 CAPITOLO 8. CALCOLO DIFFERENZIALE Il teorema si può estendere alla funzione derivata: D (f g) = D (f ) g + f D (g) Esempio 8.6.3. Calcolare la derivata di f (x) = x sin(x). D=R La funzione è derivabile su D e f 0 (x) = D(x sin(x)) = D(x) sin(x) + xD(sin(x)) = sin(x) + x cos(x) 8.6.4 Derivata del reciproco Teorema 8.6.4. Sia f : D → R. Se 1. f è derivabile in x0 ∈ D 2. f (x0 ) 6= 0 allora 1 è derivabile in x0 e f Å ã0 1 f (x0 ) = − f 0 (x0 ) (f (x0 ))2 Il teorema si può estendere alla funzione derivata: 1 f Å ã D =− D (f ) f2 Esempio 8.6.4. Calcolare la derivata di f (x) = 1 . x D =] − ∞, 0[∪]0, +∞[ La funzione è derivabile su D e 1 D(x) 1 =− 2 =− 2 x x x Å ã 0 f (x) = D 8.6.5 Derivata di un quoziente Teorema 8.6.5. Siano f, g : D → R. Se 1. f e g sono derivabili in x0 ∈ D 2. g(x0 ) 6= 0 allora f è derivabile in x0 e g Å ã0 f g (x0 ) = f 0 (x0 )g(x0 ) − f (x0 )g 0 (x0 ) (g(x0 ))2 808 8.6. REGOLE DI DERIVAZIONE Il teorema si può estendere alla funzione derivata: f g Å ã D = D (f ) g − f D (g) g2 Esempio 8.6.5. Calcolare la derivata di f (x) = x2 − 1 . x+2 D =] − ∞, −2[∪] − 2, +∞[ La funzione è derivabile su D e 0 f (x) = D Ç 2 å x −1 x+2 D x2 − 1 (x + 2) − (x2 − 1)D (x + 2) = = (x + 2)2 2x(x + 2) − (x2 − 1) x2 + 4x + 1 = (x + 2)2 (x + 2)2 8.6.6 Derivata di una funzione composta Teorema 8.6.6. Siano f : D → D0 , g : D0 → R. Se 1. f è derivabile in x0 ∈ D 2. g è derivabile in f (x0 ) ∈ D0 allora g ◦ f è derivabile in x0 e (g ◦ f )0 (x0 ) = g 0 (f (x0 )) f 0 (x0 ) Il teorema si può estendere alla funzione derivata: D (g ◦ f ) = (D (g)) (f ) · D (f ) Esempio 8.6.6. • Calcolare la derivata di f (x) = ln(sin(x)). D = {x ∈ R/2kπ < x < π + 2kπ, k ∈ Z} La funzione è derivabile su D e f 0 (x) = D(ln(sin(x))) = 1 cos(x) D (sin(x)) = = cot(x) sin(x) sin(x) • Calcolare la derivata di f (x) = ln(|x|). D =] − ∞, 0[∪]0, +∞[ La funzione è derivabile su D e f 0 (x) = D(ln(|x|)) = 1 1 |x| 1 D (|x|) = = |x| |x| x x 809 CAPITOLO 8. CALCOLO DIFFERENZIALE 8.7 Schema riassuntivo delle regole di derivazione (f + g)0 = f 0 + g0 (kf )0 = kf 0 (f g)0 = f 0g + f g0 = − Å ã0 1 f Å ã0 f g (g ◦ f )0 = = f0 f2 0 f g − f g0 g2 g 0 (f )f 0 Osservazione Per calcolare la derivata di h(x) = (f (x))g(x) , si può procedere nel seguente modo: g(x) 1. scrivere h(x) come h(x) = eln(f (x) ) = eg(x) ln(f (x)) 2. calcolare la derivata di h(x) = eg(x) ln(f (x)) 8.8 Derivate di ordine superiore Siano f : D → R una funzione derivabile su D0 ⊆ D e f 0 : D0 → R la sua funzione derivata. Se f 0 è derivabile su D00 ⊆ D0 , si dice derivata seconda o derivata di ordine 2 di f , la funzione derivata della funzione derivata e si indica con f 00 o con f (2) . In simboli f 00 = D(f 0 ) Analogamente si possono ottenere le derivate successive: f (n) = D(f (n−1) ) Esempio 8.8.1. • Data f (x) = x3 , determinare le derivate successive. f 0 (x) = 3x2 f 00 (x) = 6x f 000 (x) = 6 f IV (x) = 0 Le derivate di ordine superiore al quarto sono tutte nulle. • Data f (x) = sin(x), determinare le derivate successive fino al quarto ordine. f 0 (x) = cos(x) f 00 (x) = − sin(x) f 000 (x) = − cos(x) f IV (x) = sin(x) Osservazione f (n) = Dn (f ) 810 8.9. EQUAZIONE DELLA RETTA TANGENTE AL GRAFICO DELLA FUNZIONE IN UN SUO PUNTO 8.9 Equazione della retta tangente al grafico della funzione in un suo punto Se la funzione f : D → R è derivabile in x0 ∈ D, il coefficiente angolare della tangente al grafico nel punto P0 (x0 , f (x0 )) è f 0 (x0 ). L’equazione della retta tangente in P0 (x0 , f (x0 )) è y − f (x0 ) = f 0 (x0 ) (x − x0 ) y f (x0 ) P0 x x0 O Figura 8.3: retta tangente Esempio 8.9.1. Data f (x) = sin(x) determinare l’equazione della retta tangente al grafico nel punto di ascissa π. Se x0 = π, f (π) = 0 e P0 (π, 0). f 0 (x) = cos(x) f 0 (π) = −1 L’equazione della retta tangente in P0 è y − 0 = −1(x − π) y = −x + π 811 Capitolo 9 Teoremi fondamentali del calcolo differenziale 9.1 Funzioni monotone Riprendiamo le definizioni di funzione crescente, decrescente, crescente in senso stretto, decrescente in senso stretto. Definizione 9.1.1 (Funzione monotòne). Dato un intervallo I, una funzione f : I → R si dice: • crescente in senso stretto su I, se ∀x1 , x2 ∈ I x1 < x2 ⇒ f (x1 ) < f (x2 ) • crescente su I, se ∀x1 , x2 ∈ I x1 < x2 ⇒ f (x1 ) 6 f (x2 ) • decrescente in senso stretto su I, se ∀x1 , x2 ∈ I x1 < x2 ⇒ f (x1 ) > f (x2 ) • decrescente su I, se ∀x1 , x2 ∈ I x1 < x2 ⇒ f (x1 ) > f (x2 ) In tutti questi casi si dice che la funzione è monotòna su I. In particolare se la funzione è crescente o decrescente in senso stretto si dice strettamente monotòna o monotòna in senso stretto. 9.2 Estremi relativi e assoluti Riprendiamo le definizioni di punto di minimo e massimo assoluto di una funzione. Definizione 9.2.1 (Punto di minimo assoluto). Data la funzione f : D → R, x0 ∈ D si dice punto di minimo assoluto per f se ∀x ∈ D f (x) > f (x0 ) f (x0 ) si dice minimo assoluto. Definizione 9.2.2 (Punto di massimo assoluto). Data la funzione f : D → R, x0 ∈ D si dice punto di massimo assoluto per f se ∀x ∈ D f (x) 6 f (x0 ) f (x0 ) si dice massimo assoluto. Definiamo ora i punti di minimo e massimo relativo di una funzione. Definizione 9.2.3 (Punto di minimo relativo). Data la funzione f : D → R, x0 ∈ D si dice punto di minimo relativo per f se ∃ un intorno U (x0 )/∀x ∈ U (x0 ) ∩ D f (x) > f (x0 ) f (x0 ) si dice minimo relativo. 812 9.3. TEOREMA DI FERMAT Definizione 9.2.4 (Punto di massimo relativo). Data la funzione f : D → R, x0 ∈ D si dice punto di massimo relativo per f se ∃ un intorno U (x0 )/∀x ∈ U (x0 ) ∩ D f (x) 6 f (x0 ) f (x0 ) si dice massimo relativo. Osservazione I punti di massimo e minimo assoluti sono anche punti di massimo e minimo relativo. y x x1 x2 Figura 9.1: punti di massimo e minimo relativo Nella figura x1 è un punto di massimo relativo; x2 è un punto di minimo relativo; non esistono punti di massimo e minimo assoluti. 9.3 Teorema di Fermat Teorema 9.3.1. Sia f : D → R. Se 1. x0 è un punto di massimo o minimo relativo di f interno a D 2. f è derivabile in x0 allora f 0 (x0 ) = 0 Osservazione Esistono punti che annullano la derivata prima ma che non sono né di massimo né di minimo relativo. Esempio 9.3.1. Data la funzione f (x) = x3 D=R f 0 (0) = 0 Il punto 0 annulla la derivata, ma non è un punto di massimo o minimo relativo. 813 CAPITOLO 9. TEOREMI FONDAMENTALI DEL CALCOLO DIFFERENZIALE 3 y 2 1 x −4 −3 −2 −1 O 1 2 3 4 −1 −2 −3 Figura 9.2: grafico di f (x) = x3 Definizione 9.3.1 (Punto di stazionarietà). Data la funzione f : D → R, x0 ∈ D si dice punto di stazionarietà di f se f è derivabile in x0 e f 0 (x0 ) = 0. Quindi, per determinare i punti di stazionarietà di una funzione: 1. si determina la funzione derivata f 0 2. i punti di stazionarietà sono le soluzioni dell’equazione f 0 (x) = 0 Esempio 9.3.2. Determiniamo i punti di stazionarietà della funzione f (x) = x3 − 4x D=R f 0 (x) = 3x2 − 4 D0 = R 3x2 − 4 = 0 2√ 2√ x=− 3∨x= 3 3 3 I punti di stazionarietà di f sono − 9.4 2√ 2√ 3e 3. 3 3 Teorema di Rolle Teorema 9.4.1. Sia f : [a, b] → R. Se 1. f è continua su [a, b] 2. f è derivabile su ]a, b[ 3. f (a) = f (b) allora ∃x0 ∈]a, b[ /f 0 (x0 ) = 0 814 9.4. TEOREMA DI ROLLE y f (a) = f (b) x a O x0 b Figura 9.3: teorema di Rolle Osservazione La tangente al grafico della funzione in P0 (x0 , f (x0 )) è parallela all’asse x. Osservazione Se una delle ipotesi non è soddisfatta la tesi può non essere vera. y f (a) f (b) x a O b Figura 9.4: f (a) 6= f (b) y f (a) × f (b) x O a b Figura 9.5: f non continua in a 815 CAPITOLO 9. TEOREMI FONDAMENTALI DEL CALCOLO DIFFERENZIALE y f (a) = f (b) x O a b Figura 9.6: f non derivabile Esempio 9.4.1. • Data f (x) = x2 + 3 + p 1 − x2 su I = [−1, 1] controllare se soddisfa le ipotesi del teorema di Rolle e, in caso affermativo, determinare i punti che lo verificano. D = [−1, 1] I⊆D f è continua su [−1, 1] f è derivabile su ] − 1, 1[ f (−1) = 4, f (1) = 4 Sono perciò soddisfatte le ipotesi del teorema di Rolle, quindi ∃x0 ∈] − 1, 1[/f 0 (x0 ) = 0 √ −2x 2x 1 − x2 − x √ f (x) = 2x + √ = 2 1 − x2 1 − x2 √ 2x 1 − x2 − x √ =0 1 − x2 0 p 2x 1 − x2 − x = 0 p x(2 1 − x2 − 1) = 0 x=0∨ p 1 − x2 = x = 0 ∨ 1 − x2 = x = 0 ∨ x2 = 1 2 1 4 3 4 √ √ 3 3 x=0∨x=− ∨x= 2 2 I punti che verificano il teorema di Rolle sono √ √ 3 3 x=0∨x=− ∨x= 2 2 816 9.5. TEOREMA DI CAUCHY • Data f (x) = x3 + 3x2 + 5 su I = [−2, 1] controllare se soddisfa le ipotesi del teorema di Rolle e, in caso affermativo, determinare i punti che lo verificano. D=R I⊆D f è continua su [−2, 1] f è derivabile su ] − 2, 1[ f (−2) = 9, f (1) = 9 Sono perciò soddisfatte le ipotesi del teorema di Rolle, quindi ∃x0 ∈] − 2, 1[/f 0 (x0 ) = 0 f 0 (x) = 3x2 + 6x 3x2 + 6x = 0 3x(x + 2) = 0 x = 0 ∨ x = −2 Poiché −2 6∈] − 2, 1[, il punto che verifica il teorema di Rolle è x = 0. 9.5 Teorema di Cauchy Teorema 9.5.1. Siano f, g : [a, b] → R Se 1. f e g sono continue su [a, b] 2. f e g sono derivabili su ]a, b[ 3. g 0 (x) 6= 0 ∀x ∈]a, b[ allora ∃x0 ∈]a, b[ / f 0 (x0 ) f (b) − f (a) = 0 g (b) − g (a) g (x0 ) Esempio 9.5.1. Date f (x) = x2 + 3x g (x) = x3 + 5x2 + 1 su I = [1, 4] controllare se soddisfano le ipotesi del teorema di Cauchy e, in caso affermativo, determinare i punti che lo verificano. Df = R 817 CAPITOLO 9. TEOREMI FONDAMENTALI DEL CALCOLO DIFFERENZIALE Dg = R I ⊆ Df ∩ Dg f e g sono continue su [1, 4] f e g sono derivabili su ]1, 4[ g 0 (x) = 3x2 + 10x g 0 (x) 6= 0 ∀x ∈]1, 4[ Sono perciò soddisfatte le ipotesi del teorema di Cauchy, quindi ∃x0 ∈]1, 4[/ f (4) − f (1) f 0 (x0 ) = 0 g (4) − g (1) g (x0 ) 28 − 4 2x + 3 = 2 145 − 7 3x + 10x 12 2x + 3 = 2 69 3x + 10x 36x2 + 120x = 138x + 207 36x2 − 18x − 207 = 0 4x2 − 2x − 23 = 0 √ √ 1 + 93 1 − 93 ∨ x= 4 4 √ 1 − 93 6∈]1, 4[, il punto che verifica il teorema di Cauchy è Poiché 4 √ 1 + 93 x= 4 9.6 Teorema di Lagrange Teorema 9.6.1. Sia f : [a, b] → R Se 1. f è continua su [a, b] 2. f è derivabile su ]a, b[ allora ∃x0 ∈]a, b[ / f (b) − f (a) = f 0 (x0 ) b−a y B f (b) f (a) O A x a c b Figura 9.7: teorema di Lagrange 818 9.6. TEOREMA DI LAGRANGE Osservazione La tangente al grafico della funzione in P0 (x0 , f (x0 )) è parallela alla retta passante per A(a, f (a)), B(b, f (b)). Esempio 9.6.1. Data f (x) = x3 − 3x su I = [1, 3] controllare se soddisfa le ipotesi del teorema di Lagrange e, in caso affermativo, determinare i punti che lo verificano. D=R I⊆D f è continua su [1, 3] f è derivabile su ]1, 3[ Sono perciò soddisfatte le ipotesi del teorema di Lagrange, quindi ∃x0 ∈]1, 3[ / f (3) − f (1) = f 0 (x0 ) 3−1 18 + 2 = 3x2 − 3 3−1 10 = 3x2 − 3 3x2 = 13 13 x2 = 3 x=− 13 ∨x= 3 … Poiché − 13 3 13 6∈]1, 3[, il punto che verifica il teorema di Lagrange è x = 3 Dal teorema di Lagrange si ottengono i seguenti corollari. Teorema 9.6.2. Siano I un intervallo e f : I → R. Se 1. f è continua su I 2. f è derivabile su Int(I) 3. f 0 (x) > 0 ∀x ∈ Int(I) allora f è crescente in senso stretto su I. Teorema 9.6.3. Siano I un intervallo e f : I → R. Se 1. f è continua su I 2. f è derivabile su Int(I) 819 … 13 . 3 CAPITOLO 9. TEOREMI FONDAMENTALI DEL CALCOLO DIFFERENZIALE 3. f 0 (x) < 0 ∀x ∈ Int(I) allora f è decrescente in senso stretto su I. Teorema 9.6.4. Siano I un intervallo e f : I → R. Se 1. f è continua su I 2. f è derivabile su Int(I) 3. f 0 (x) = 0 ∀x ∈ Int(I) allora f è costante su I. Teorema 9.6.5. Siano I un intervallo, f, g : I → R. Se 1. f e g sono continue su I 2. f e g sono derivabili su Int(I) 3. f 0 (x) = g 0 (x) ∀x ∈ Int(I) allora ∃k ∈ R/f (x) = g(x) + k ∀x ∈ I 9.7 Criterio di derivabilità Teorema 9.7.1. Sia f : [a, x0 ] → R. Se 1. f è continua su [a, x0 ] 2. f è derivabile su ]a, x0 [ 3. lim f 0 (x) esiste ed è finito x→x− 0 allora f è derivabile in x0 a sinistra e f−0 (x0 ) = lim f 0 (x) x→x− 0 Teorema 9.7.2. Sia f : [x0 , b] → R. Se 1. f è continua su [x0 , b] 2. f è derivabile su ]x0 , b[ 3. lim f 0 (x) esiste ed è finito x→x+ 0 allora f è derivabile in x0 a destra e f+0 (x0 ) = lim f 0 (x) x→x+ 0 820 9.7. CRITERIO DI DERIVABILITÀ Da questi due teoremi si deduce il seguente criterio di derivabilità: Teorema 9.7.3. Sia f : [a, b] → R. Se 1. f è continua su [a, b] 2. f è derivabile su ]a, x0 [∪]x0 , b[ 3. lim f 0 (x) esiste ed è finito x→x0 allora f è derivabile in x0 f 0 (x0 ) = lim f 0 (x) x→x0 Esempio 9.7.1. Data ( f (x) = ax + 2 se x > 1 2 bx + 5x se x < 1 Determinare i valori di a, b in modo che f sia continua e derivabile su R La funzione è continua e derivabile su R − 1 e ( f 0 (x) = a se x > 1 2bx + 5 se x < 1 Per applicare il criterio di derivabilità imponiamo che f sia continua in 1. Poiché 1. f (1) = a + 2 2. lim f (x) = b + 5 x→1− 3. lim f (x) = a + 2 x→1+ f è continua in 1 se b+5=a+2 Poiché 1. lim f 0 (x) = 2b + 5 x→1− 2. lim f 0 (x) = a x→1+ f è derivabile in 1 se è continua e 2b + 5 = a Quindi f è derivabile in 1 se ( b+5=a+2 2b + 5 = a ( a=1 b = −2 821 CAPITOLO 9. TEOREMI FONDAMENTALI DEL CALCOLO DIFFERENZIALE 9.8 Teoremi di De L’Hôpital Teorema 9.8.1. Siano f, g : D → R. Se 1. f e g sono derivabili su D 2. lim f (x) = 0 x→x0 3. lim g(x) = 0 x→x0 4. g 0 (x) 6= 0 ∀x ∈ D 5. esiste lim x→x0 f 0 (x) g 0 (x) allora lim x→x0 f (x) f 0 (x) = lim 0 g(x) x→x0 g (x) Il teorema precedente si può applicare anche con limiti per x tendente a ±∞ e nei casi di limiti destri e sinistri e nella forma indeterminata ±∞/ ± ∞ Esempio 9.8.1. • Calcolare x2 − 1 x→1 x − 1 lim D =] − ∞, 1[∪]1, +∞[ 0 . 0 2 Le funzioni f (x) = x − 1 e g(x) = x − 1 soddisfano le ipotesi del teorema di De L’Hôpital su D. Poiché Si ha una forma indeterminata del tipo f 0 (x) = lim 2x = 2 x→1 g 0 (x) x→1 lim si ha x2 − 1 =2 x→1 x − 1 lim • Calcolare lim x2 ln(x) x→0+ D =]0, +∞[ Si ha una forma indeterminata del tipo 0 · (−∞). lim x2 ln(x) = lim x→0+ x→0+ ln(x) 1 x2 −∞ . +∞ 1 Le funzioni f (x) = ln(x) e g(x) = 2 soddisfano le ipotesi del teorema di De L’Hôpital su D. x Poiché 1 f 0 (x) x2 x lim 0 = lim = lim − =0 2 2 x→0+ g (x) x→0+ x→0+ − 3 x Si ha una forma indeterminata del tipo 822 9.9. DETERMINAZIONE DEGLI INTERVALLI DI MONOTONIA E DEI PUNTI DI MASSIMO E MINIMO RELATIVO si ha lim x2 ln(x) = 0 x→0+ • Calcolare lim x→+∞ ln(x) x D =]0, +∞[ +∞ . +∞ Le funzioni f (x) = ln(x) e g(x) = x soddisfano le ipotesi del teorema di De L’Hôpital su D. Poiché Si ha una forma indeterminata del tipo f 0 (x) 1 = lim =0 0 x→+∞ g (x) x→+∞ x lim si ha ln(x) =0 x→+∞ x lim 9.9 Determinazione degli intervalli di monotonia e dei punti di massimo e minimo relativo Per determinare gli intervalli di monotonia e i punti di massimo e minimo relativo di una funzione: 1. Si determina l’insieme su cui la funzione è continua 2. Si determina l’insieme su cui la funzione è derivabile. 3. Si calcola la derivata prima. 4. Si determinano i punti di stazionarietà della funzione, cioè i punti che annullano la derivata prima e si calcolano le corrispondenti ordinate. 5. Si studia il segno della derivata prima e lo si rappresenta, inserendo: (a) % in corrispondenza dei segni + compresi tra due valori (b) & in corrispodenza dei segni − compresi tra due valori (c) • in corrispondenza dello 0 (d) • in corrispondenza di × se la funzione in quel punto è continua e non derivabile (e) • in corrispondenza dei + e dei − al di sotto di un valore (f) × in corrispondenza dei punti in cui la funzione non è definita (g) nessun simbolo in corrispondenza dei punti in cui la funzione non è continua Si determinano gli intervalli di monotonia interpretando lo schema nel seguente modo: (a) nell’intervallo con % la funzione è crescente in senso stretto (b) nell’intervallo con & la funzione è decrescente in senso stretto (c) se è presente il • l’estremo appartiene all’intervallo di monotonia (d) se è presente il × l’estremo non appartiene all’intervallo di monotonia (e) se non è presente alcun simbolo si valuta se l’estremo appartiene all’intervallo in base al valore della funzione e ai limiti In base agli intervalli di monotonia si determinano i punti di massimo e minimo relativo con le corrispondenti ordinate 823 CAPITOLO 9. TEOREMI FONDAMENTALI DEL CALCOLO DIFFERENZIALE Osservazioni 1. Se una funzione è crescente (decrescente) in senso stretto su [a, b] e su [b, c] allora è crescente (decrescente) in senso stretto su [a, c]. 2. Al fine di ottenere il grafico della funzione, si possono rappresentare i punti di massimo e minimo relativi 3. Se la funzione è periodica di periodo T , si possono determinaregli intervalli di monotonia e i punti di massimo e minimo relativo in un dominio D1 incluso in un intervallo di ampiezza T e, successivamente, estendere i risultati in D Esempio 9.9.1. • Determiniamo gli intervalli di monotonia e i punti di massimo e minimo relativo della funzione f (x) = 2x3 − x4 D=R 1. La funzione f è continua sul dominio. 2. La funzione f è derivabile su R. 3. Calcoliamo la derivata prima: f 0 (x) = 6x2 − 4x3 4. Determiniamo i punti di stazionarietà, risolvendo l’equazione f 0 (x) = 0: 6x2 − 4x3 = 0 x2 (6 − 4x) = 0 3 2 Calcoliamo le corrispondenti ordinate: x=0∨x= x = 0 ⇒ f (0) = 2 · 03 − 04 = 0 O (0, 0) Å ã3 3 3 3 ⇒f =2· 2 2 2 Å ã 3 27 A , 2 16 Å ã x= − Å ã4 3 2 = 27 16 5. Studiamo il segno della derivata prima, risolvendo la disequazione f 0 (x) > 0: 6x2 − 4x3 > 0 x2 (6 − 4x) > 0 x2 > 0 ⇒ x 6= 0 + + 0 + 3 2 3 2 + + + 0 + % 0 • + % 6 − 4x > 0 ⇒ x < 0 f0 f 0 • + − − & 824 9.9. DETERMINAZIONE DEGLI INTERVALLI DI MONOTONIA E DEI PUNTI DI MASSIMO E MINIMO RELATIVO La funzione è: ô ô 3 crescente in senso stretto su − ∞, , 2 ñ ñ 3 decrescente in senso stretto su , +∞ . 2 27 3 è il massimo relativo x = è un punto di massimo relativo, 2 16 y 27 16 A O 3 2 x Figura 9.8: massimi e minimi relativi • Determiniamo gli intervalli di monotonia e i punti di massimo e minimo relativo della funzione f (x) = x4 x3 − 1 D = ]−∞, 1[ ∪ ]1, +∞[ 1. La funzione f è continua sul dominio. 2. La funzione f è derivabile sul dominio. 3. Calcoliamo la derivata prima: 4x3 x3 − 1 − x4 · 3x2 4x6 − 4x3 − 3x6 = = f (x) = (x3 − 1)2 (x3 − 1)2 0 x6 − 4x3 x3 x3 − 4 = (x3 − 1)2 (x3 − 1)2 4. Determiniamo i punti di stazionarietà, risolvendo l’equazione f 0 (x) = 0: x3 x3 − 4 =0 (x3 − 1)2 Ä ä x3 x3 − 4 = 0 √ 3 x=0∨x= 4 825 CAPITOLO 9. TEOREMI FONDAMENTALI DEL CALCOLO DIFFERENZIALE Calcoliamo le corrispondenti ordinate: x = 0 ⇒ f (0) = 04 =0 03 − 1 O (0, 0) x= Ç A √ 3 √ 3 4⇒f √ 434 = 4 = √ 3 3 3 4 −1 √ 3 Ä√ ä 3 4 4 √ å 434 4, 3 5. Studiamo il segno della derivata prima, risolvendo la disequazione f 0 (x) > 0: x3 x3 − 4 >0 (x3 − 1)2 x3 > 0 ⇒ x > 0 x3 − 4 > 0 ⇒ x > Ä x3 − 1 ä2 4 > 0 ⇒ x 6= 1 0 f0 f √ 3 √ 3 1 4 − − + 0 − + + − + × × × + − + + 0 + + + + + % 0 • − & × × − & 0 • + % La funzione è: √ 3 crescente in senso stretto su ] − ∞, 0] e su [ √ 4, +∞[, 3 decrescente in senso stretto su [0, 1[ e su ]1, 4]. x = 0 è un punto di massimo relativo, 0 è√il massimo relativo √ 434 x = 3 4 è un punto di minimo relativo, è il minimo relativo. 3 y A 4√ 3 4 3 O 1 √ 3 x 4 Figura 9.9: massimi e minimi relativi 826 9.9. DETERMINAZIONE DEGLI INTERVALLI DI MONOTONIA E DEI PUNTI DI MASSIMO E MINIMO RELATIVO • Determiniamo gli intervalli di monotonia e i punti di massimo e minimo relativo della funzione p f (x) = 3x + 4 1 − x2 D = [−1, 1] 1. La funzione f è continua sul dominio. 2. La funzione f è derivabile su D0 =] − 1, 1[ 3. Calcoliamo la derivata prima: 1 4x f 0 (x) = 3 + 4 √ (−2x) = 3 − √ 2 2 1−x 1 − x2 4. Determiniamo i punti di stazionarietà, risolvendo l’equazione f 0 (x) = 0: 3− √ 4x =0 1 − x2 p 3 1 − x2 = 4x ( 4x > 0 9(1 − x2 ) = 16x2 ( x>0 9 − 25x2 = 0 x > 0 x = −3 ∨ x = 3 5 5 3 x= 5 Calcoliamo la corrispondente ordinata 3 9 9 9 16 3 x= ⇒f = +4 1− = + =5 5 5 5 25 5 5 Å ã Å A 3 ,5 5 ã 5. Studiamo il segno della derivata prima, risolvendo la disequazione f 0 (x) > 0: 3− √ 4x >0 1 − x2 p 3 1 − x2 > 4x ( 1 − x2 > 0 4x < 0 ( ∨ 9 − 9x2 > 16x2 4x > 0 ( 3 3 −1<x<1 − <x< 5 5 ∨ x<0 x>0 −1 < x < 0 ∨ 0 6 x < −1 < x < 3 5 3 5 827 CAPITOLO 9. TEOREMI FONDAMENTALI DEL CALCOLO DIFFERENZIALE −1 f0 f × × × • + % 3 5 0 • 1 − & × • × × La funzione è: ï ò 3 crescente in senso stretto su −1, , ï 5ò 3 decrescente in senso stretto su ,1 . 5 3 x = è un punto di massimo relativo, 5 è il massimo relativo 5 x = −1 e x = 1 sono puntio di minimo relativo Calcoliamo le corrispondenti ordinate: f (−1) = −3 B (−1, −3) f (1) = 3 C (1, 3) −3 e 3 sono i minimi relativi y A C x O −1 1 B Figura 9.10: massimi e minimi relativi • Determiniamo gli intervalli di monotonia e i punti di massimo e minimo relativo della funzione f (x) = 1 − sin (x) cos (x) ® ´ π D = x ∈ R/x 6= + kπ, k ∈ Z 2 Poiché la funzione è periodica di periodo T 6 2π, consideriamo il dominio ñ D1 = ñ ô ñ ô π π π π − π, − ∪ − , ∪ ,π 2 2 2 2 ô 1. La funzione è continua su D1 828 9.9. DETERMINAZIONE DEGLI INTERVALLI DI MONOTONIA E DEI PUNTI DI MASSIMO E MINIMO RELATIVO 2. La funzione è derivabile su D1 3. Calcoliamo la derivata prima: f 0 (x) = − cos2 (x) − (1 − sin(x))(− sin(x) = cos2 (x) − cos2 (x) + sin(x) − sin2 (x) sin(x) − 1 = 2 (cos (x) cos2 (x) 4. Determiniamo i punti di stazionarietà, risolvendo l’equazione f 0 (x) = 0 in D1 : sin(x) − 1 =0 cos2 (x) sin(x) = 1 π x= 2 Impossibile Non ci sono punti di stazionarietà 5. Studiamo il segno della derivata prima, risolvendo la disequazione f 0 (x) > 0 in D1 : sin(x) − 1 >0 cos2 (x) sin(x) > 1 Impossibile. −π f0 × f × − • π 2 × × − − & π π 2 − × − − × & × & • × La funzione in D1 è: ñ ñ ô ñ ô ô π π π π decrescente in senso stretto su − π−, , su − , e su ,π 2 2 2 2 x = −π è un punto di massimo relativo, calcoliamo la corrispondente ordinata: f (−π) = −1 ⇒ A (−π, −1) −1 è il massimo relativo x = π è un punto di minimo relativo, calcoliamo la corrispondente ordinata: f (π) = −1 ⇒ B (π, −1) −1 è il minimo relativo In D La funzione è: ñ ñ ô ñ ô π π π π decrescente in senso stretto su − π2kπ, − + 2kπ , su − + 2kπ, + 2kπ e su + 2kπ, π + 2 2 2 2 ô 2kπ Non ci sono punti di massimo e minimo relativo • Determiniamo gli intervalli di monotonia e i punti di massimo e minimo relativo della funzione 1 f (x) = xe− x D = ]−∞, 0[ ∪ ]0, +∞[ 829 CAPITOLO 9. TEOREMI FONDAMENTALI DEL CALCOLO DIFFERENZIALE 1. La funzione f è continua sul dominio. 2. La funzione f è derivabile sul dominio. 3. Calcoliamo la derivata prima: 1 1 f 0 (x) = e− x + xe− x − x1 0 Å f (x) = e x+1 x 1 1 1 1 1 1 = e− x + e− x = e− x 1 + = 2 x x x Å ã ã 4. Determiniamo i punti di stazionarietà, risolvendo l’equazione f 0 (x) = 0: 1 e− x Å x+1 =0 x ã x+1 =0 x x = −1 Calcoliamo le corrispondenti ordinate: 1 x = −1 ⇒ f (−1) = (−1)e− −1 = −e A (−1, −e) 5. Studiamo il segno della derivata prima, risolvendo la disequazione f 0 (x) > 0: 1 e− x Å x+1 >0 x ã x+1 >0 x x < −1 ∨ x > 0 −1 f0 f + % 0 • 0 − & × × + % La funzione è: crescente in senso stretto su ] − ∞, −1] e su ]0, +∞[, decrescente in senso stretto su [−1, 0[. x = −1 è un punto di massimo relativo, −e è il massimo relativo. y × −1 O A −e x Figura 9.11: massimi e minimi relativi • Determiniamo gli intervalli di monotonia e i punti di massimo e minimo relativo della funzione f (x) = ln (x) + ln2 (x) D = ]0, +∞[ 830 9.9. DETERMINAZIONE DEGLI INTERVALLI DI MONOTONIA E DEI PUNTI DI MASSIMO E MINIMO RELATIVO 1. La funzione f è continua sul dominio. 2. La funzione f è derivabile sul dominio. 3. Calcoliamo la derivata prima: f 0 (x) = 1 2 1 + 2 ln(x) + ln (x) = x x x 4. Determiniamo i punti di stazionarietà, risolvendo l’equazione f 0 (x) = 0: 1 + 2 ln(x) =0 x ln(x) = − 1 2 1 x= √ e Calcoliamo le corrispondenti ordinate: 1 x= √ ⇒f e Ç A 1 1 √ ,− e 4 Ç 1 √ e å Ç = ln 1 √ e å + ln2 Ç 1 √ e å 1 1 1 =− + =− 2 4 4 å 5. Studiamo il segno della derivata prima, risolvendo la disequazione f 0 (x) > 0: 1 + 2 ln(x) >0 x 1 1 + 2 ln(x) > 0 ⇒ x > √ e x>0 1 √ e 0 f0 f × × × × − + 0 + + + × × × × − & 0 • + % La funzione è: ô ô 1 decrescente in senso stretto su 0, √ , eñ ñ 1 crescente in senso stretto su √ , +∞ . e 1 1 x = √ è un punto di minimo relativo, − è il minimo relativo. e 4 831 CAPITOLO 9. TEOREMI FONDAMENTALI DEL CALCOLO DIFFERENZIALE y 1× − 4 1 √ e x A Figura 9.12: massimi e minimi relativi 9.10 Funzioni convesse e funzioni concave Definizione 9.10.1 (Funzione convessa). Dato l’intervallo I, una funzione f : I → R si dice convessa su I se, per ogni coppia di punti A, B ¯ appartenenti al grafico della funzione, la corda AB non sta al di sotto dell’arco AB. y A B x O Figura 9.13: funzione convessa Definizione 9.10.2 (Funzione convessa in senso stretto). Dato l’intervallo I, una funzione f : I → R si dice convessa in senso stretto su I se, per ogni coppia ¯ di punti A, B appartenenti al grafico della funzione, la corda AB sta al di sopra dell’arco AB. y A B x O Figura 9.14: funzione convessa in senso stretto 832 9.10. FUNZIONI CONVESSE E FUNZIONI CONCAVE Osservazione Se la funzione è convessa, l’epigrafo, cioè la parte di piano che sta sopra il grafico, è una figura convessa. Definizione 9.10.3 (Funzione concava). Dato l’intervallo I, una funzione f : I → R si dice concava su I se, per ogni coppia di punti A, B ¯ appartenenti al grafico della funzione, la corda AB non sta al di sopra dell’arco AB. y B A x O Figura 9.15: funzione concava Definizione 9.10.4 (Funzione concava in senso stretto). Dato l’intervallo I, una funzione f : I → R si dice concava in senso stretto su I se, per ogni coppia di ¯ punti A, B appartenenti al grafico della funzione, la corda AB sta al di sotto dell’arco AB. y A B x O Figura 9.16: funzione concava in senso stretto Osservazione Se la funzione è concava, l’ipografo, cioè la parte di piano che sta sotto il grafico, è una figura convessa. Teorema 9.10.1. Siano I un intervallo e f : I → R. Se 1. f è continua su I 2. f è derivabile due volte su Int(I) 3. f 00 (x) > 0 ∀x ∈ Int(I) allora f è convessa su I. Teorema 9.10.2. Siano I un intervallo e f : I → R. Se 1. f è continua su I 2. f è derivabile due volte su Int(I) 3. f 00 (x) > 0 ∀x ∈ Int(I) allora f è convessa in senso stretto su I. 833 CAPITOLO 9. TEOREMI FONDAMENTALI DEL CALCOLO DIFFERENZIALE Teorema 9.10.3. Siano I un intervallo e f : I → R. Se 1. f è continua su I 2. f è derivabile due volte su Int(I) 3. f 00 (x) 6 0 ∀x ∈ Int(I) allora f è concava su I. Teorema 9.10.4. Siano I un intervallo e f : I → R. Se 1. f è continua su I 2. f è derivabile due volte su Int(I) 3. f 00 (x) < 0 ∀x ∈ Int(I) allora f è concava in senso stretto su I. 9.11 Punto di flesso Definizione 9.11.1 (Punto di flesso). Data la funzione f : D → R, x0 ∈ D si dice punto di flesso se esistono un intervallo [x1 , x0 ] ⊆ D su cui la funzione è convessa (concava) in senso stretto e un intervallo [x0 , x2 ] ⊆ D su cui la funzione è concava (convessa) in senso stretto. y x O x1 x0 x2 Figura 9.17: punto di flesso Teorema 9.11.1. Siano I un intervallo e f : I → R. Se 1. f è derivabile due volte su Int(I) 2. x0 ∈ Int(I) è un punto di flesso allora f 00 (x0 ) = 0 Non è vero in generale il viceversa, cioè non necessariamente i punti che annullano la derivata seconda sono dei punti di flesso. 834 9.12. DETERMINAZIONE DEGLI INTERVALLI DI CONCAVITÀ E CONVESSITÀ E DEI PUNTI DI FLESSO 9.12 Determinazione degli intervalli di concavità e convessità e dei punti di flesso Per determinare gli intervalli di concavità e convessità e i punti di flesso di una funzione: 1. Si determina l’insieme su cui la funzione è continua. 2. Si determina l’insieme su cui la funzione è derivabile due volte. 3. Si calcola la derivata seconda. 4. Si determinano i punti che annullano la derivata seconda e si calcolano le corrispondenti ordinate. 5. Si studia il segno della derivata seconda e lo si rappresenta. Si rappresentano gli intervalli di concavità e convessità inserendo: (a) ∪ in corrispondenza dei segni + (b) ∩ in corrispodenza dei segni − (c) • in corrispondenza dello 0, degli estremi del dominio in cui la funzione è continua, della × se la funzione in quel punto è continua e non derivabile (d) × se la funzione non è definita o non è continua. In tal modo, tenendo conto di eventuali punti di discontinuità, si determinano gli intervalli di concavità e convessità e i punti di flesso con le corrispondenti ordinate. Osservazioni 1. Se una funzione è convessa (concava) in senso stretto su [a, b] e su [b, c] non » è detto che sia convessa (concava) in senso stretto su [a, c]. Per esempio la funzione f (x) = |x| è concava in senso stretto su ] − ∞, 0] e su [0, +∞[, ma non è concava in senso stretto su R 2. Al fine di ottenere il grafico della funzione, si possono rappresentare i punti di flesso 3. Se la funzione è periodica di periodo T , si possono determinaregli intervalli di concavità e convessità e i punti di flesso in un dominio D1 incluso in un intervallo di ampiezza T e, successivamente, estendere i risultati in D Esempio 9.12.1. • Determiniamo gli intervalli di concavità e convessità e i punti di flesso della funzione f (x) = 2x3 − x4 D=R 1. La funzione f è continua sul dominio. 2. La funzione f è derivabile due volte sul dominio. 3. Calcoliamo la derivata seconda: f 00 (x) = 12x − 12x2 4. Determiniamo i punti che annullano la derivata seconda, risolvendo l’equazione f 00 (x) = 0: 12x − 12x2 = 0 12x (1 − x) = 0 x=0∨x=1 Calcoliamo le corrispondenti ordinate: x = 0 ⇒ f (0) = 2 · 03 − 04 = 0 O (0, 0) x = 1 ⇒ f (1) = 2 · 13 − 14 = 1 A (1, 1) 835 CAPITOLO 9. TEOREMI FONDAMENTALI DEL CALCOLO DIFFERENZIALE 5. Studiamo il segno della derivata seconda, risolvendo la disequazione f 00 (x) > 0: 12x − 12x2 > 0 12x (1 − x) > 0 12x > 0 ⇒ x > 0 1−x>0⇒x<1 0 f 00 f 1 − + 0 + + + + 0 + − − ∩ 0 • + ∪ 0 • − ∩ La funzione è: concava in senso stretto su ] − ∞, 0] e su [1, +∞[, convessa in senso stretto su [0, 1]. x = 0 è un punto di flesso, x = 1 è un punto di flesso. y A 1 x O 1 Figura 9.18: flessi • Determiniamo gli intervalli di concavità e convessità e i punti di flesso della funzione f (x) = x4 −1 x3 D = ]−∞, 1[ ∪ ]1, +∞[ 1. La funzione f è continua sul dominio. 2. La funzione f è derivabile due volte sul dominio. 3. Calcoliamo la derivata seconda: 00 f (x) = 2 x3 − 1 − 2x6 − 8x3 (x3 − 1)4 x3 − 1 · 3x2 3x2 x3 − 4 + x3 · 3x2 3x5 − 12x2 + 3x5 6x2 x3 − 2 x3 − 1 x3 − 1 − x3 x3 − 4 2 x3 − 1 · 3x2 = (x3 − 1)4 2 2 − x6 − 4x3 (x3 − 1)4 x3 − 1 · 6x2 836 = = 9.12. DETERMINAZIONE DEGLI INTERVALLI DI CONCAVITÀ E CONVESSITÀ E DEI PUNTI DI FLESSO 6x2 x3 − 2 x3 − 1 − x6 − 4x3 · 6x2 = (x3 − 1)3 6x2 x6 − 3x3 + 2 − x6 + 4x3 = (x3 − 1)3 6x2 2 + x3 (x3 − 1)3 4. Determiniamo i punti che annullano la derivata seconda, risolvendo l’equazione f 00 (x) = 0: 6x2 2 + x3 =0 (x3 − 1)3 Ä ä 6x2 2 + x3 = 0 √ 3 x=0∨x=− 2 Calcoliamo le corrispondenti ordinate: x = 0 ⇒ f (0) = 04 =0 03 − 1 O (0, 0) Ä √ ä4 √ Ä √ ä √ −32 232 3 3 x = − 2 ⇒ f − 2 = Ä √ ä3 =− 3 −32 −1 √ å 232 A − 2, − 3 Ç √ 3 5. Studiamo il segno della derivata seconda, risolvendo la disequazione f 00 (x) > 0: 6x2 2 + x3 >0 (x3 − 1)3 6x2 > 0 ⇒ x 6= 0 √ 3 2 + x3 > 0 ⇒ x > − 2 Ä x3 − 1 ä3 >0⇒x>1 √ −32 f 00 f 0 1 + − − + 0 − + + − 0 + − + + − × × × + + + + ∪ 0 • − ∩ 0 • − ∩ × × + ∪ La funzione è: √ concava in senso stretto su [− 3 2, 1[, √ convessa in senso stretto su ] − ∞, − 3 2] e su ]1, +∞[. √ 3 x = − 2 è un punto di flesso. 837 CAPITOLO 9. TEOREMI FONDAMENTALI DEL CALCOLO DIFFERENZIALE y √ −32 x O A 1 2√ − 32 3 Figura 9.19: flessi • Determiniamo gli intervalli di concavità e convessità e i punti di flesso della funzione p f (x) = 3x + 4 1 − x2 D = [−1, 1] 1. La funzione f è continua sul dominio. 2. La funzione f è derivabile due volte su D0 =] − 1, 1[ 3. Calcoliamo la derivata seconda: √ 1 − 1 − x2 + 4x √ (−2x) 2 2 1 − x 00 f (x) = = 1 − x2 −4(1 − x2 ) − 4x2 » (1 − x2 )3 = −4 » (1 − x2 )3 4. Determiniamo i punti che annullano la derivata seconda, risolvendo l’equazione f 00 (x) = 0: −4 » (1 − x2 )3 =0 impossibile. 5. Studiamo il segno della derivata seconda, risolvendo la disequazione f 00 (x) > 0: −4 » (1 − x2 )3 >0 6 ∃x ∈ D0 −1 f 00 f × × × • 1 − ∩ × • × × La funzione è concava in senso stretto su [−1, 1]. Non ci sono punti di flesso. 838 9.12. DETERMINAZIONE DEGLI INTERVALLI DI CONCAVITÀ E CONVESSITÀ E DEI PUNTI DI FLESSO • Determiniamo gli intervalli di concavità e convessità e i punti di flesso della funzione f (x) = 1 − sin (x) cos (x) ® ´ π D = x ∈ R/x 6= + kπ, k ∈ Z 2 Poiché la funzione è periodica di periodo T 6 2π, consideriamo il dominio ñ D1 = ñ ô ñ ô π π π π − π, − ∪ − , ∪ ,π 2 2 2 2 ô 1. La funzione è continua su D1 2. La funzione è derivabile due volte su D1 3. Calcoliamo la derivata seconda: f 00 (x) = cos3 (x) + (sin(x) − 1)2 cos(x) sin(x) = cos4 (x) cos(x)(cos2 (x) + 2 sin2 (x) − 2 sin(x)) = cos4 (x) sin2 (x) − 2 sin(x) + 1 = cos3 (x) (sin(x) − 1)2 cos3 (x) 4. Determiniamo i punti che annullano la derivata seconda, risolvendo l’equazione f 00 (x) = 0 in D1 : (sin(x) − 1)2 =0 cos3 (x) sin(x) = 1 π x= 2 impossibile. 5. Studiamo il segno della derivata seconda, risolvendo la disequazione f 00 (x) > 0 in D1 : (sin(x) − 1)2 >0 cos3 (x) cos(x) > 0 π π − <x< 2 2 −π f 00 × f × − • π 2 × × − − ∩ π π 2 + × − − × ∪ × ∩ • × La funzione in D1 è: ô ñ π π , , 2 2 ñ ñ ô ô π π concava in senso stretto su − π, − e su ,π . 2 2 Non ci sono punti di flesso. convessa in senso stretto su − 839 CAPITOLO 9. TEOREMI FONDAMENTALI DEL CALCOLO DIFFERENZIALE La funzione in D è: ô ñ ñ π π π convessa in senso stretto su − + 2kπ, + 2kπ concava in senso stretto su − π + 2kπ, − + 2 2 ñ ô ô 2 π 2kπ e su + 2kπ, π + 2kπ . 2 Non ci sono punti di flesso. • Determiniamo gli intervalli di concavità e convessità e i punti di flesso della funzione 1 f (x) = xe− x D = ]−∞, 0[ ∪ ]0, +∞[ 1. La funzione f è continua sul dominio. 2. La funzione f è derivabile due volte sul dominio. 3. Calcoliamo la derivata seconda: 1 f 00 (x) = e− x 1 e− x 1 1 1 1 1+ + e− x − 2 2 x x x Å ã Å ã = 1 1 1+ −1 = 2 x x Å ã 1 −1 e x x3 4. Determiniamo i punti che annullano la derivata seconda, risolvendo l’equazione f 00 (x) = 0: 1 −1 e x =0 x3 impossibile. 5. Studiamo il segno della derivata seconda, risolvendo la disequazione f 00 (x) > 0: 1 −1 e x >0 x3 x>0 0 f 00 f − ∩ × × + ∪ La funzione è: convessa in senso stretto su ]0, +∞[, concava in senso stretto su ] − ∞, 0[. Non ci sono punti di flesso. • Determiniamo gli intervalli di concavità e convessità e i punti di flesso della funzione f (x) = ln (x) + ln2 (x) D = ]0, +∞[ 1. La funzione f è continua sul dominio. 2. La funzione f è derivabile due volte sul dominio. 3. Calcoliamo la derivata seconda: f 00 (x) = 2 − 1 − 2 ln(x) 1 − 2 ln(x) = 2 x x2 840 9.12. DETERMINAZIONE DEGLI INTERVALLI DI CONCAVITÀ E CONVESSITÀ E DEI PUNTI DI FLESSO 4. Determiniamo i punti che annullano la derivata seconda, risolvendo l’equazione f 00 (x) = 0: 1 − 2 ln(x) =0 x2 1 − 2 ln(x) = 0 x= √ e Calcoliamo le corrispondenti ordinate: x= √ e⇒f Ä√ ä 1 1 3 + = 2 4 4 e = √ 3ã e, 4 Å A 5. Studiamo il segno della derivata seconda, risolvendo la disequazione f 00 (x) > 0: 1 − 2 ln(x) >0 x2 x< √ e √ 0 f 00 f × × × × + ∪ e 0 • − ∩ La funzione è: √ concava in senso stretto su [ e, +∞[, √ convessa in senso stretto su ]0, e]. √ x = e è un punto di flesso. y 3 4 A × O √ e Figura 9.20: flessi 841 x CAPITOLO 9. TEOREMI FONDAMENTALI DEL CALCOLO DIFFERENZIALE 9.13 Classificazione dei punti di non derivabilità Definizione 9.13.1 (Classificazioni dei punti di non derivabilità). Siano f : D → R una funzione e x0 ∈ D un punto interno a D in cui f è continua e non derivabile. Se lim x→x− 0 f (x) − f (x0 ) f (x) − f (x0 ) = lim = +∞ + x − x0 x − x0 x→x0 oppure lim x→x− 0 f (x) − f (x0 ) f (x) − f (x0 ) = lim = −∞ + x − x0 x − x0 x→x0 allora x0 è un punto di flesso a tangente verticale. Se lim x→x− 0 f (x) − f (x0 ) f (x) − f (x0 ) = +∞ e lim = −∞ + x − x0 x − x0 x→x0 oppure lim x→x− 0 f (x) − f (x0 ) f (x) − f (x0 ) = −∞ e lim = +∞ + x − x0 x − x0 x→x0 allora x0 è un punto di cuspide. Se lim x→x− 0 f (x) − f (x0 ) =l∈R x − x0 e lim x→x+ 0 f (x) − f (x0 ) = m ∈ R(l 6= m) x − x0 oppure uno dei due limiti è infinito e l’altro è finito, allora x0 è un punto angoloso. y y x O x O x0 x0 Figura 9.21: punto di flesso a tangente verticale y y x O x O x0 Figura 9.22: punto di cuspide 842 x0 9.13. CLASSIFICAZIONE DEI PUNTI DI NON DERIVABILITÀ y y x O x O x0 x0 Figura 9.23: punto angoloso Osservazione Se il dominio D è un intervallo, x0 ∈ D è un estremo e il limite destro o sinistro del rapporto incrementale è ±∞, allora x0 è un punto a tangente verticale. y x O x0 Figura 9.24: punto a tangente verticale Osservazione Se il limite del rapporto incrementale può essere calcolato applicando il teorema dell’Hôpital, allora i punti di non derivabilità si possono anche classificare calcolando il limite sinistro o destro della derivata della funzione. Osservazione Dopo aver trovato e classificato i punti in cui la funzione è continua e non derivabile, si calcolano le corrispondenti ordinate Esempio 9.13.1. • Determiniamo i punti di non derivabilità della funzione f (x) = 2x3 − x4 D=R La funzione f è derivabile sul dominio; non ci sono punti di non derivabilità. • Determiniamo i punti di non derivabilità della funzione f (x) = x4 x3 − 1 D = ]−∞, 1[ ∪ ]1, +∞[ La funzione f è derivabile sul dominio; non ci sono punti di non derivabilità. • Determiniamo i punti di non derivabilità della funzione p f (x) = 3x + 4 1 − x2 D = [−1, 1] 1. La funzione f è derivabile su D0 =]1, 1[ 843 CAPITOLO 9. TEOREMI FONDAMENTALI DEL CALCOLO DIFFERENZIALE 2. In −1 la funzione è continua. Il limite destro del rapporto incrementale è: √ 3x + 4 1 − x2 + 3 lim = x+1 x→−1+ Ç 4x 3− √ 1 − x2 lim x→−1+ å = +∞ In −1 la funzione non è derivabile. x = −1 è un punto a tangente verticale. Calcoliamo la corrispondente ordinata: A (−1, −3) 3. In 1 la funzione è continua. Il limite sinistro del rapporto incrementale è: √ 3x + 4 1 − x2 − 3 lim = x−1 x→1− Ç lim x→1− 4x 3− √ 1 − x2 å = −∞ In 1 la funzione non è derivabile. x = 1 è un punto a tangente verticale. Calcoliamo la corrispondente ordinata: B (1, 3) • Determiniamo i punti di non derivabilità della funzione f (x) = 1 − sin (x) cos (x) D = {x ∈ R/x 6= π + kπ, k ∈ Z} 2 La funzione f è derivabile sul dominio; non ci sono punti di non derivabilità. • Determiniamo i punti di non derivabilità della funzione 1 f (x) = xe− x D = ]−∞, 0[ ∪ ]0, +∞[ La funzione f è derivabile sul dominio; non ci sono punti di non derivabilità. • Determiniamo i punti di non derivabilità della funzione f (x) = ln (x) + ln2 (x) D = ]0, +∞[ La funzione f è derivabile sul dominio; non ci sono punti di non derivabilità. 844 9.14. METODO DELLE DERIVATE SUCCESSIVE PER DETERMINARE PUNTI DI MASSIMO, MINIMO E FLESSO 9.14 Metodo delle derivate successive per determinare punti di massimo, minimo e flesso Teorema 9.14.1. Siano I un intervallo e f : I → R Se 1. f è derivabile due volte su Int(I) 2. x0 ∈ Int(I) 3. f 0 (x0 ) = 0 4. f 00 (x0 ) > 0 (f 00 (x0 ) < 0) allora x0 è un punto di minimo (massimo) relativo. Dimostrazione Dato x0 ∈ Int(I), consideriamo il caso in cui f 00 (x0 ) > 0. Poiché f è derivabile due volte su Int(I) e x0 ∈ Int(I): lim x→x0 f 0 (x) − f 0 (x0 ) f 0 (x) = lim = f 00 (x0 ) > 0 x→x0 x − x0 x − x0 Per il teorema della permanenza del segno, esiste un intorno U (x0 ) di x0 tale che: f 0 (x) > 0 ∀x ∈ A = U (x0 ) ∩ Int(I) − {x0 } x − x0 Quindi, in B = {x ∈ A/x < x0 }, f 0 (x) < 0 e in C = {x ∈ A/x > x0 }, f 0 (x) > 0. Per il corollario del teorema di Lagrange, f è decrescente in senso stretto su B e crescente in senso stretto su C, quindi x0 è un punto di minimo relativo. Analogamente si dimostra il caso in cui f 00 (x0 ) < 0. Per determinare i punti di massimo e minimo relativo di una funzione f con il metodo delle derivate successive: 1. si determina l’insieme su cui la funzione f è derivabile due volte 2. si calcola la derivata prima f 0 3. si determinano i punti di stazionarietà della funzione, risolvendo l’equazione f 0 (x) = 0 e si calcolano le corrispondenti ordinate 4. si calcola la derivata seconda f 00 5. si calcola il valore della derivata seconda nei punti di stazionarietà: • se il valore è positivo, il punto di stazionarietà è un punto di minimo relativo • se il valore è negativo, il punto di stazionarietà è un punto di massimo relativo • se il valore è nullo, non si può stabilire se il punto di stazionarietà è di massimo o minimo relativo Esempio 9.14.1. Determinare i punti di massimo e di minimo relativo della funzione f (x) = 3x2 − 2x + 1 con il metodo delle derivate successive. Il dominio della funzione è D=R 1. La funzione è derivabile due volte su D 845 CAPITOLO 9. TEOREMI FONDAMENTALI DEL CALCOLO DIFFERENZIALE 2. La derivata prima è f 0 (x) = 6x − 2 3. Determiniamo i punti di stazionarietà della funzione f 0 (x) = 0 6x − 2 = 0 1 x= 3 Å ã 1 2 f = 3 3 4. La derivata seconda è f 00 (x) = 6 5. Calcoliamo il valore della derivata seconda nel punto di stazionarietà f 00 1 =6>0 3 Å ã Quindi x = 1 è un punto di minimo relativo. 3 Teorema 9.14.2. Siano I un intervallo e f : I → R Se 1. f è derivabile tre volte su Int(I) 2. x0 ∈ Int(I) 3. f 00 (x0 ) = 0 4. f 000 (x0 ) 6= 0 allora x0 è un punto di flesso. Per determinare i punti di flesso di una funzione f con il metodo delle derivate successive: 1. si determina l’insieme su cui la funzione f è derivabile tre volte 2. si calcola la derivata seconda f 00 3. si determinano i punti che annullano la derivata seconda, risolvendo l’equazione f 00 (x) = 0 e si calcolano le corrispondenti ordinate 4. si calcola la derivata terza f 000 5. si calcola il valore della derivata terza nei punti che annullano la derivata seconda: • se il valore non è nullo, il punto che annulla la derivata seconda è un punto di flesso • se il valore è nullo, non si può stabilire se il punto è un punto di flesso Esempio 9.14.2. x4 x2 Determinare i punti di flesso della funzione f (x) = − con il metodo delle derivate successive. Il 12 2 dominio della funzione è D=R 846 9.14. METODO DELLE DERIVATE SUCCESSIVE PER DETERMINARE PUNTI DI MASSIMO, MINIMO E FLESSO 1. La funzione è derivabile tre volte su D 2. La derivata seconda è f 00 (x) = x2 − 1 3. Determiniamo i punti che annullano la derivata seconda f 00 (x) = 0 x2 − 1 = 0 x = −1 ∨ x = 1 f (−1) = − f (1) = − 5 12 5 12 4. La derivata terza è f 000 (x) = 2x 5. Calcoliamo il valore della derivata terza nei punti che annullano la derivata seconda f 000 (−1) = −2 6= 0 f 000 (1) = 2 6= 0 Quindi x = −1 e x = 1 sono punti di flesso. I teoremi precedenti si possono generalizzare. Teorema 9.14.3. Siano I un intervallo e f : I → R Se 1. f è derivabile n volte (n > 2) su Int(I) 2. x0 ∈ Int(I) 3. f 0 (x0 ) = f 00 (x0 ) = . . . = f (n−1) (x0 ) = 0 4. f (n) (x0 ) > 0 (f (n) (x0 ) < 0) con n pari allora x0 è un punto di minimo (massimo) relativo. Esempio 9.14.3. Determinare i punti di massimo e di minimo relativo della funzione f (x) = x5 − x4 con il metodo delle derivate successive. Il dominio della funzione è D=R 1. La funzione è derivabile infinite volte su D 2. La derivata prima è f 0 (x) = 5x4 − 4x3 847 CAPITOLO 9. TEOREMI FONDAMENTALI DEL CALCOLO DIFFERENZIALE 3. Determiniamo i punti di stazionarietà della funzione f 0 (x) = 0 5x4 − 4x3 = 0 4 x=0∨x= 5 f (0) = 0 4 256 =− 5 3125 Å ã f 4. La derivata seconda è f 00 (x) = 20x3 − 12x2 5. Calcoliamo il valore della derivata seconda nel punto di stazionarietà x = 0 f 00 (0) = 0 6. La derivata terza è f 000 (x) = 60x2 − 24x 7. Calcoliamo il valore della derivata terza nel punto di stazionarietà x = 0 f 000 (0) = 0 8. La derivata terza è f 0000 (x) = 120x − 24 9. Calcoliamo il valore della derivata quarta nel punto di stazionarietà x = 0 f 0000 (0) = −24 < 0 Quindi x = 0 è un punto di massimo relativo. 10. Calcoliamo il valore della derivata seconda nel punto di stazionarietà x = f 00 4 64 = >0 5 25 Å ã Quindi x = 4 è un punto di minimo relativo. 5 Teorema 9.14.4. Siano I un intervallo e f : I → R Se 1. f è derivabile n volte (n > 3) su Int(I) 2. x0 ∈ Int(I) 3. f 00 (x0 ) = f 000 (x0 ) = . . . = f (n−1) (x0 ) = 0 4. f (n) (x0 ) 6= 0 con n dispari allora x0 è un punto di flesso. 848 4 5 9.14. METODO DELLE DERIVATE SUCCESSIVE PER DETERMINARE PUNTI DI MASSIMO, MINIMO E FLESSO Esempio 9.14.4. 1 1 Determinare i punti di flesso della funzione f (x) = x6 − x5 con il metodo delle derivate successive. 30 20 Il dominio della funzione è D=R 1. La funzione è derivabile infinite volte su D 2. La derivata seconda è f 00 (x) = x4 − x3 3. Determiniamo i punti che annullano la derivata seconda f 00 (x) = 0 x4 − x3 = 0 x=0∨x=1 f (0) = 0 f (1) = − 1 60 4. La derivata terza è f 000 (x) = 4x3 − 3x2 5. Calcoliamo il valore della derivata terza nel punto x = 0 f 000 (0) = 0 6. La derivata quarta è f 0000 (x) = 12x2 − 6x 7. Calcoliamo il valore della derivata quarta nel x = 0 f 0000 (0) = 0 8. La derivata quinta è f v (x) = 24x − 6 9. Calcoliamo il valore della derivata quinta nel punto x = 0 f v (0) = −6 6= 0 Quindi x = 0 è un punto di flesso. 10. Calcoliamo il valore della derivata terza nel punto x = 1 f 000 (1) = 1 Quindi x = 1 è un punto di flesso. 849 Capitolo 10 Studio di una funzione 10.1 Introduzione Studiare una funzione significa determinare alcune sue proprietà e utilizzarle per rappresentarla graficamente. 10.2 Schema riassuntivo per lo studio di una funzione Per studiare una funzione si seguirà il seguente schema. 1. Dominio Se il dominio non è assegnato, si determina il dominio massimale della funzione 2. Parità, disparità, periodicità Con la parità e disparità si individuano eventuali simmetrie del grafico della funzione: se la funzione è pari, il grafico è simmetrico rispetto all’asse delle ordinate; se la funzione è dispari, il grafico è simmetrico rispetto all’origine. Se la funzione è periodica, il grafico è lo stesso in ogni intervallo di ampiezza pari al periodo. 3. Intersezioni con gli assi cartesiani Si determinano le coordinate degli eventuali punti di intersezione del grafico della funzione con gli assi cartesiani. 4. Segno Si determinano gli intervalli nei quali la funzione è positiva, quelli in cui è negativa e quelli in cui è nulla. 5. Limiti Si calcolano i limiti agli estremi del dominio. 6. Continuità Si determina l’insieme in cui la funzione è continua e si classificano gli eventuali punti singolari e di discontinuità. 7. Asintoti Si determinano le equazioni degli eventuali asintoti orizzontali, verticali e obliqui. In taluni casi è opportuno determinare anche le intersezioni del grafico della funzione con gli asintoti orizzontali e obliqui. 8. Intervalli di monotonia, punti di massimo e minimo (a) Si determina l’insieme su cui la funzione è derivabile. (b) Si calcola la derivata prima. (c) Si determinano i punti di stazionarietà della funzione, cioè i punti che annullano la derivata prima e si calcolano le corrispondenti ordinate. 850 10.3. STUDIO DI UNA FUNZIONE ALGEBRICA RAZIONALE INTERA (d) Si studia il segno della derivata prima: in tal modo, tenendo conto di eventuali punti di discontinuità, si determinano gli intervalli di monotonia e i punti di massimo e minimo relativo con le corrispondenti ordinate. In alternativa, per decidere se un punto di stazionarietà è un punto di massimo o minimo relativo, si può utilizzare il metodo delle derivate successive. (e) Si classificano i punti del dominio in cui la funzione è continua e non derivabile. 9. Intervalli di concavità e convessità, punti di flesso (a) Si determina l’insieme su cui la funzione è derivabile due volte. (b) Si calcola la derivata seconda. (c) Si determinano i punti che annullano la derivata seconda e si calcolano le corrispondenti ordinate. (d) Si studia il segno della derivata seconda: in tal modo, tenendo conto di eventuali punti di discontinuità, si determinano gli intervalli di concavità e convessità e i punti di flesso con le corrispondenti ordinate. In alternativa, per decidere se un punto che annulla la derivata seconda è un punto di flesso, si può utilizzare il metodo delle derivate successive. In taluni casi può essere utile determinare la tangente al grafico della funzione nei flessi. 10. Grafico Si traccia un grafico qualitativo della funzione, utilizzando i risultati ottenuti nei punti precedenti Osservazioni 1. Se la funzione è definita su due intervalli si può scrivere che è definita sull’unione dei due intervalli. 2. Se la funzione è positiva (negativa) su due intervalli si può scrivere che è positiva (negativa) sull’unione. 3. Se la funzione è crescente (decrescente) in senso stretto su due intervalli disgiunti si scrive che è crescente (decrescente) in senso stretto sul primo e sul secondo (non sull’unione). 4. Se la funzione è crescente (decrescente) in senso stretto su due intervalli con un’estremo in comune si scrive che è crescente (decrescente) in senso stretto sull’intervallo ottenuto dall’unione dei due. 5. Se la funzione è convessa (concava) in senso stretto su due intervalli disgiunti o con un’estremo in comune e in esso non derivabile si scrive che è convessa (concava) in senso stretto sul primo e sul secondo (non sull’unione). 6. Se la funzione è convessa (concava) in senso stretto su due intervalli con un’estremo in comune e in esso derivabile si scrive che è convessa (concava) in senso stretto sull’intervallo ottenuto dall’unione dei due 10.3 Studio di una funzione algebrica razionale intera f (x) = 2x3 − x4 1. Dominio D=R 2. Parità, disparità, periodicità Poiché il dominio è simmetrico rispetto all’origine, calcoliamo f (−x): f (−x) = 2 (−x)3 − (−x)4 = −2x3 − x4 Poiché f (−x) 6= f (x) e f (−x) 6= −f (x), la funzione non è pari e non è dispari. La funzione non è periodica. 851 CAPITOLO 10. STUDIO DI UNA FUNZIONE 3. Intersezioni con gli assi cartesiani Determiniamo le intersezioni con l’asse x, trovando gli zeri della funzione: 2x3 − x4 = 0 x3 (2 − x) = 0 Gli zeri della funzione sono: 0, 2; il grafico interseca l’asse x in O (0, 0) , A (2, 0). Il grafico interseca l’asse y in O (0, 0). y A O 2 Figura 10.1: dominio e intersezioni con gli assi 4. Segno Determiniamo il segno della funzione, risolvendo la disequazione f (x) > 0: 2x3 − x4 > 0 x3 (2 − x) > 0 x3 > 0 ⇒ x > 0 2−x>0⇒x<2 0 2 − 0 + + + + + + 0 − − 0 + 0 − La funzione è: positiva su ]0, 2[, nulla per x = 0 ∨ x = 2, negativa su ] − ∞, 0[∪]2, +∞[. 852 x 10.3. STUDIO DI UNA FUNZIONE ALGEBRICA RAZIONALE INTERA y A O x 2 Figura 10.2: segno 5. Limiti Calcoliamo i limiti agli estremi del dominio: lim Ä ä lim Ä ä x→−∞ x→+∞ 2x3 − x4 = −∞ 2x3 − x4 = −∞ 6. Continuità La funzione è continua sul dominio; non ci sono punti singolari. 7. Asintoti Non ci sono asintoti orizzontali e verticali. Ä ä 2x3 − x4 = lim 2x2 − x3 = +∞ x→−∞ x→−∞ x lim ä Ä 2x3 − x4 = lim 2x2 − x3 = −∞ x→+∞ x→+∞ x non ci sono asintoti obliqui. lim y A O 2 Figura 10.3: limiti e asintoti 853 x CAPITOLO 10. STUDIO DI UNA FUNZIONE 8. Intervalli di monotonia, punti di massimo e minimo (a) La funzione è derivabile su R. (b) Calcoliamo la derivata prima: f 0 (x) = 6x2 − 4x3 (c) Determiniamo i punti di stazionarietà, risolvendo l’equazione f 0 (x) = 0: 6x2 − 4x3 = 0 x2 (6 − 4x) = 0 x=0∨x= 3 2 Calcoliamo le corrispondenti ordinate: x = 0 ⇒ f (0) = 2 · 03 − 04 = 0 O (0, 0) Å ã3 3 3 3 x= ⇒f =2· 2 2 2 Å ã Å B 3 27 , 2 16 − Å ã4 3 2 = 27 16 ã (d) Studiamo il segno della derivata prima, risolvendo la disequazione f 0 (x) > 0: 6x2 − 4x3 > 0 x2 (6 − 4x) > 0 x2 > 0 ⇒ x 6= 0 6 − 4x > 0 ⇒ x < + + 0 + + + 3 2 + 0 + % 0 • + % 0 • 0 f0 f 3 2 + − − & La funzione è: ô crescente in senso stretto su ô − ∞, ñ 3 , 2 ñ 3 , +∞ . 2 3 27 x = è un punto di massimo relativo, è il massimo relativo 2 16 3 27 (e) x = è un punto di massimo assoluto, è il massimo assoluto 2 16 Non ci sono punti di minimo assoluto decrescente in senso stretto su 854 10.3. STUDIO DI UNA FUNZIONE ALGEBRICA RAZIONALE INTERA y 27 16 B O 3 2 2 A x Figura 10.4: massimi e minimi 9. Intervalli di concavità e convessità, punti di flesso (a) La funzione è derivabile due volte su R. (b) Calcoliamo la derivata seconda: f 00 (x) = 12x − 12x2 (c) Determiniamo i punti che annullano la derivata seconda, risolvendo l’equazione f 00 (x) = 0: 12x − 12x2 = 0 12x (1 − x) = 0 x=0∨x=1 Calcoliamo le corrispondenti ordinate: x = 0 ⇒ f (0) = 2 · 03 − 04 = 0 O (0, 0) x = 1 ⇒ f (1) = 2 · 13 − 14 = 1 C (1, 1) (d) Studiamo il segno della derivata seconda, risolvendo la disequazione f 00 (x) > 0: 12x − 12x2 > 0 12x (1 − x) > 0 12x > 0 ⇒ x > 0 1−x>0⇒x<1 0 f 00 f 1 − + 0 + + + + 0 + − − ∩ 0 • + ∪ 0 • − ∩ 855 CAPITOLO 10. STUDIO DI UNA FUNZIONE La funzione è: concava in senso stretto su ] − ∞, 0] e su [1, +∞[, convessa in senso stretto su [0, 1]. x = 0 è un punto di flesso a tangente orizzontale, x = 1 è un punto di flesso. Determiniamo l’equazione della tangente al grafico della funzione nel punto C: f 0 (1) = 6(1)2 − 4(1)3 = 2 L’equazione della tangente è: y − 1 = 2(x − 1) y = 2x − 1 y 27 16 1 O B C A 13 2 2 Figura 10.5: flessi 10. Grafico 856 x 10.4. STUDIO DI UNA FUNZIONE ALGEBRICA RAZIONALE FRATTA y B 27 16 C 1 A 13 2 O x 2 Figura 10.6: grafico di f (x) = 2x3 − x4 y 27 16 1 O B C A 13 2 x 2 Figura 10.7: grafico di f (x) = 2x3 − x4 10.4 Studio di una funzione algebrica razionale fratta f (x) = x4 x3 − 1 1. Dominio D = ]−∞, 1[ ∪ ]1, +∞[ 2. Parità, disparità, periodicità Poiché il dominio non è simmetrico rispetto all’origine, la funzione non è pari e non è dispari. La funzione non è periodica. 3. Intersezioni con gli assi cartesiani Determiniamo le intersezioni con con l’asse x, trovando gli zeri della funzione: x4 =0 x3 − 1 857 CAPITOLO 10. STUDIO DI UNA FUNZIONE Lo zero della funzione è 0; il grafico interseca gli assi in O (0, 0). y x O 1 Figura 10.8: dominio e intersezioni con gli assi 4. Segno Determiniamo il segno della funzione, risolvendo la disequazione f (x) > 0: x4 >0 −1 x3 x4 > 0 ⇒ x 6= 0 x3 − 1 > 0 ⇒ x > 1 0 1 + 0 + × + − − − × + − 0 − × + La funzione è: positiva su ]1, +∞[, nulla per x = 0, negativa su ] − ∞, 0[∪]0, 1[. y x O 1 Figura 10.9: segno 858 10.4. STUDIO DI UNA FUNZIONE ALGEBRICA RAZIONALE FRATTA 5. Limiti Calcoliamo i limiti agli estremi del dominio: x4 = −∞ −1 lim x→−∞ x3 lim x4 = −∞ x3 − 1 lim x4 = +∞ x3 − 1 x→1− x→1+ x4 = +∞ x→+∞ x3 − 1 lim 6. Continuità La funzione è continua sul dominio; x = 1 è un punto singolare di seconda specie. 7. Asintoti Non ci sono asintoti orizzontali. Il grafico ha un asintoto verticale di equazione x = 1. x4 x4 = lim =1 x→−∞ x (x3 − 1) x→−∞ x4 − x lim Ç lim x→−∞ x4 −x x3 − 1 å x4 − x4 + x x = lim 3 =0 3 x→−∞ x→−∞ x − 1 x −1 = lim x4 x4 = lim =1 x→+∞ x (x3 − 1) x→+∞ x4 − x lim Ç lim x→+∞ x4 −x x3 − 1 å x4 − x4 + x x = lim 3 =0 3 x→+∞ x→+∞ x − 1 x −1 = lim il grafico ha un asintoto obliquo di equazione y = x. Determiniamo l’intersezione tra l’asintoto obliquo e il grafico della funzione: 4 y = x x3 − 1 y=x 4 x = x x3 − 1 y=x ( x=0 y=0 Il grafico interseca l’asintoto in O(0, 0) 859 CAPITOLO 10. STUDIO DI UNA FUNZIONE y x O 1 Figura 10.10: limiti e asintoti 8. Intervalli di monotonia, punti di massimo e minimo (a) La funzione f è derivabile sul dominio. (b) Calcoliamo la derivata prima: 4x3 x3 − 1 − x4 · 3x2 4x6 − 4x3 − 3x6 f (x) = = = (x3 − 1)2 (x3 − 1)2 0 x6 − 4x3 x3 x3 − 4 = (x3 − 1)2 (x3 − 1)2 (c) Determiniamo i punti di stazionarietà, risolvendo l’equazione f 0 (x) = 0: x3 x3 − 4 =0 (x3 − 1)2 Ä ä x3 x3 − 4 = 0 √ 3 x=0∨x= 4 Calcoliamo le corrispondenti ordinate: x = 0 ⇒ f (0) = 04 =0 03 − 1 O (0, 0) x= Ç A √ 3 √ 3 4⇒f √ 3 √ 434 4 = √ 3 = 3 3 4 −1 Ä√ ä 3 √ å 434 4, 3 4 4 (d) Studiamo il segno della derivata prima, risolvendo la disequazione f 0 (x) > 0: x3 x3 − 4 >0 (x3 − 1)2 x3 > 0 ⇒ x > 0 x3 − 4 > 0 ⇒ x > √ 3 4 860 10.4. STUDIO DI UNA FUNZIONE ALGEBRICA RAZIONALE FRATTA Ä x3 − 1 ä2 > 0 ⇒ x 6= 1 0 f0 f √ 3 1 4 − − + 0 − + + − + × × × + − + + 0 + + + + + % 0 • − & × × − & 0 • + % La funzione è: √ 3 crescente in senso stretto su ] − ∞, 0] e su [ √ 4, +∞[, 3 decrescente in senso stretto su [0, 1[ e su ]1, 4]. x = 0 è un punto di massimo relativo,0 è il massimo relativo √ 4√ x = 3 4 è un punto di minimo relativo, 3 4 è il minimo relativo 3 (e) non ci sono punti di massimo e minimo assoluti y A 4√ 3 4 3 x √ 1 34 O Figura 10.11: massimi e minimi 9. Intervalli di concavità e convessità, punti di flesso (a) La funzione è derivabile due volte sul dominio. (b) Calcoliamo la derivata seconda: 00 f (x) = 2 x3 − 1 − 2x6 − 8x3 (x3 − 1)4 x3 − 1 · 3x2 3x2 x3 − 4 + x3 · 3x2 3x5 − 12x2 + 3x5 x3 − 1 − x3 x3 − 4 2 x3 − 1 · 3x2 = (x3 − 1)4 2 2 6x2 x3 − 2 x3 − 1 6x2 x3 − 2 x3 − 1 − x6 − 4x3 · 6x2 = (x3 − 1)3 − x6 − 4x3 (x3 − 1)4 x3 − 1 · 6x2 6x2 x6 − 3x3 + 2 − x6 + 4x3 6x2 2 + x3 = (x3 − 1)3 (x3 − 1)3 861 = = CAPITOLO 10. STUDIO DI UNA FUNZIONE (c) Determiniamo i punti che annullano la derivata seconda, risolvendo l’equazione f 00 (x) = 0: 6x2 2 + x3 =0 (x3 − 1)3 Ä ä 6x2 2 + x3 = 0 √ 3 x=0∨x=− 2 Calcoliamo le corrispondenti ordinate: x = 0 ⇒ f (0) = 04 =0 03 − 1 O (0, 0) ä4 Ä √ 3 √ − 2 232 =− x = − 2 ⇒ f − 2 = Ä √ ä3 3 −32 −1 √ 3 Ä √ ä 3 √ å 232 B − 2, − 3 Ç √ 3 (d) Studiamo il segno della derivata seconda, risolvendo la disequazione f 00 (x) > 0: 6x2 2 + x3 >0 (x3 − 1)3 6x2 > 0 ⇒ x 6= 0 √ 3 2 + x3 > 0 ⇒ x > − 2 Ä x3 − 1 ä3 >0⇒x>1 √ −32 f 00 f 0 1 + − − + 0 − + + − 0 + − + + − x x x + + + + ∪ 0 • − ∩ 0 • − ∩ x × + ∪ La funzione è: √ concava in senso stretto su [− 3 2, 1[, √ convessa in senso stretto su ] − ∞, − 3 2] e su ]1, +∞[. √ x = − 3 2 è un punto di flesso. Determiniamo l’equazione della tangente al grafico della funzione nel punto B: Ä √ ä √ 3 3 (− 3 2)3 − 4 2) (− −2 (−2 − 4) 4 f 0 (− 2) = = = Ä √ ä 2 2 3 (−2 − 1) (− 3 2)3 − 1 √ 3 L’equazione della tangente è: √ √ 232 4 3 y+ = (x + 2) 3 3 2√ 4 3 2 y = x+ 3 3 862 10.4. STUDIO DI UNA FUNZIONE ALGEBRICA RAZIONALE FRATTA y A 4√ 3 4 3 √ −32 O − B 1 √ 3 x 4 2√ 3 2 3 Figura 10.12: flessi 10. Grafico y A 4√ 3 4 3 √ −32 O B 1 √ 3 x 4 2√ − 32 3 Figura 10.13: grafico di f (x) = 863 x4 x3 − 1 CAPITOLO 10. STUDIO DI UNA FUNZIONE y A 4√ 3 4 3 √ −32 O − B 1 2√ 3 2 3 Figura 10.14: grafico di f (x) = 10.5 x √ 3 4 x4 x3 − 1 Studio di una funzione algebrica irrazionale p f (x) = 3x + 4 1 − x2 1. Dominio D = {x ∈ R/1 − x2 > 0} cioè D = [−1, 1] y x −1 O 1 Figura 10.15: dominio 864 10.5. STUDIO DI UNA FUNZIONE ALGEBRICA IRRAZIONALE 2. Parità, disparità, periodicità Poiché il dominio è simmetrico rispetto all’origine, calcoliamo f (−x): » p f (−x) = 3 (−x) + 4 1 − (−x)2 = −3x + 4 1 − x2 Poiché f (−x) 6= f (x) e f (−x) 6= −f (x), la funzione non è pari e non è dispari. La funzione non è periodica. 3. Intersezioni con gli assi cartesiani Determiniamo le intersezioni con l’asse x, trovando gli zeri della funzione: p 3x + 4 1 − x2 = 0 p 4 1 − x2 = −3x ( − 3x > 0 16 − 16x2 = 9x2 x 6 0 x = ±4 5 x=− 4 5 4 4 Lo zero della funzione è − ; il grafico interseca l’asse x in A − , 0 . 5 5 Poiché 0 appartiene al dominio, calcoliamo f (0): f (0) = 4; il grafico interseca l’asse y in B (0, 4). Å ã 4. Segno Determiniamo il segno della funzione, risolvendo la disequazione f (x) > 0 : p 3x + 4 1 − x2 > 0 p 4 1 − x2 > −3x ( 1 − x2 > 0 − 3x < 0 ( ( ∨ −16x61 x>0 − 3x > 0 16 − 16x2 > 9x2 ∨ x 6 0 −4 <x< 4 5 5 4 0<x61∨− <x60 5 4 − <x61 5 La funzioneôè: ô 4 positiva su − , 1 , 5 4 nulla per x = − , ñ 5 ñ 4 negativa su − 1, − . 5 865 CAPITOLO 10. STUDIO DI UNA FUNZIONE y 4 B x A −1 − 4O 5 1 Figura 10.16: intersezione con gli assi e segno 5. Limiti Calcoliamo i limiti agli estremi del dominio: Ä x→−1+ lim x→1− p ä 3x + 4 1 − x2 = −3 lim Ä p ä 3x + 4 1 − x2 = 3 6. Continuità La funzione è continua sul dominio; non ci sono punti singolari. 7. Asintoti Non ci sono asintoti orizzontali, verticali, obliqui. y 4 B 3 x A −1 − 4O 5 1 −3 Figura 10.17: limiti e asintoti 866 10.5. STUDIO DI UNA FUNZIONE ALGEBRICA IRRAZIONALE 8. Intervalli di monotonia, punti di massimo e minimo (a) La funzione è derivabile su D0 =] − 1, 1[ (b) Calcoliamo la derivata prima: 1 4x f 0 (x) = 3 + 4 √ (−2x) = 3 − √ 2 2 1−x 1 − x2 (c) Determiniamo i punti di stazionarietà, risolvendo l’equazione f 0 (x) = 0: 3− √ 4x =0 1 − x2 p 3 1 − x2 = 4x ( 4x > 0 9(1 − x2 ) = 16x2 ( x>0 9 − 25x2 = 0 x > 0 x = −3 ∨ x = 3 5 5 3 5 Calcoliamo la corrispondente ordinata x= 3 9 9 9 16 3 = +4 1− = + =5 x= ⇒f 5 5 5 25 5 5 Å ã 3 ,5 C 5 Å ã (d) Studiamo il segno della derivata prima, risolvendo la disequazione f 0 (x) > 0: 3− √ 4x >0 1 − x2 p 3 1 − x2 > 4x ( 1 − x2 > 0 4x < 0 ( ( ∨ −1<x<1 x<0 9 − 9x2 > 16x2 4x > 0 −3 <x< 3 5 5 ∨ x>0 −1 < x < 0 ∨ 0 6 x < −1 < x < 3 5 −1 f0 f × × 3 5 × • + % 3 5 0 • 1 − & × • × × 867 CAPITOLO 10. STUDIO DI UNA FUNZIONE La funzione è: ï ò 3 crescente in senso stretto su −1, , ï 5ò 3 decrescente in senso stretto su ,1 . 5 3 x = è un punto di massimo relativo, 5 è il massimo relativo 5 x = −1 e x = 1 sono puntio di minimo relativo Calcoliamo le corrispondenti ordinate: f (−1) = −3 D (−1, −3) f (1) = 3 E (1, 3) −3 e 3 sono i minimi relativi (e) x = −1 è un punto di minimo assoluto, −3 è il minimo assoluto 3 x = è un punto di massimo assoluto, 5 è il massimo assoluto 5 (f) In −1 la funzione è continua. Il limite destro del rapporto incrementale è: 4x √ 3− √ 3x + 4 1 − x2 + 3 1 − x2 = +∞ = lim lim x+1 1 x→−1+ x→−1+ In −1 la funzione non è derivabile. x = −1 è un punto a tangente verticale. In 1 la funzione è continua. Il limite sinistro del rapporto incrementale è: 4x √ 3− √ 3x + 4 1 − x2 − 3 1 − x2 = −∞ lim = lim x−1 1 x→1− x→1− In 1 la funzione non è derivabile. x = 1 è un punto a tangente verticale. y 5 4 3 C B E x A −1 − 4O 5 3 1 5 D −3 Figura 10.18: massimi e minimi 868 10.5. STUDIO DI UNA FUNZIONE ALGEBRICA IRRAZIONALE 9. Intervalli di concavità e convessità, punti di flesso (a) La funzione è derivabile due volte su D0 =] − 1, 1[ (b) Calcoliamo la derivata seconda: √ 1 − 1 − x2 + 4x √ (−2x) 2 1 − x2 = f 00 (x) = 1 − x2 −4(1 − x2 ) − 4x2 » (1 − x2 )3 = −4 » (1 − x2 )3 (c) Determiniamo i punti che annullano la derivata seconda, risolvendo l’equazione f 00 (x) = 0: −4 » (1 − x2 )3 =0 impossibile. (d) Studiamo il segno della derivata seconda, risolvendo la disequazione f 00 (x) > 0: −4 » (1 − x2 )3 >0 6 ∃x ∈ D0 −1 f 00 f × × × • 1 − ∩ × • × × La funzione è concava in senso stretto su [−1, 1]. Non ci sono punti di flesso. 10. Grafico y 5 4 3 C B E x A −1 − 4O 5 3 1 5 D −3 √ Figura 10.19: grafico di f (x) = 3x + 4 1 − x2 869 CAPITOLO 10. STUDIO DI UNA FUNZIONE y 5 4 C B E 3 x A 4O −1 − 5 3 1 5 D −3 √ Figura 10.20: grafico di f (x) = 3x + 4 1 − x2 10.6 Studio di una funzione trascendente goniometrica f (x) = 1 − sin (x) cos (x) 1. Dominio Il dominio è ® ´ D = x ∈ R/ cos (x) 6= 0 cioè ´ ® π D = x ∈ R/x 6= + kπ, k ∈ Z 2 2. Parità, disparità, periodicità Poiché il dominio è simmetrico rispetto all’origine, calcoliamo f (−x): f (−x) = 1 − sin (−x) 1 + sin (x) = cos (−x) cos (x) Poiché f (−x) 6= f (x) e f (−x) 6= −f (x) la funzione non è pari e non è dispari. La funzione è periodica di periodo T 6 2π. Poiché la funzione è periodica di periodo T 6 2π, la studiamo in un dominio D1 incluso nell’intervallo [−π, π] e, successivamente, estendiamo i risultati in D. ñ D1 = ñ ô ñ ô π π π π − π, − ∪ − , ∪ ,π 2 2 2 2 ô 3. Intersezioni con gli assi cartesiani Determiniamo le intersezioni con l’asse x, trovando gli zeri della funzione in D1 : 1 − sin (x) =0 cos (x) 1 − sin (x) = 0 870 10.6. STUDIO DI UNA FUNZIONE TRASCENDENTE GONIOMETRICA sin (x) = 1 x= π 2 impossibile. La funzione non ha zeri; il grafico non interseca l’asse x. Poiché 0 ∈ D1 , calcoliamo f (0): f (0) = 1; il grafico interseca l’asse y in A (0, 1). 4. Segno Determiniamo il segno della funzione, risolvendo la disequazione f (x) > 0 in D1 : 1 − sin (x) >0 cos (x) 1 − sin (x) > 0 ⇒ sin (x) < 1 ⇒ ∀x ∈ D1 cos(x) > 0 ⇒ − π π <x< 2 2 × × + − + − π 2 × × × − − × −π − π π 2 + × + + × + × − − × + × − − × La funzioneòè: ï π π positiva su − , , ï 2 2 ï ò ò π π negativa su −π, − ∪ ,π . 2 2 y 1 A x −π π − 2 O π 2 π Figura 10.21: intersezione con gli assi e segno 871 CAPITOLO 10. STUDIO DI UNA FUNZIONE 5. Limiti Calcoliamo i limiti agli estremi di D1 : lim 1 − sin (x) = −1 cos (x) lim 1 − sin (x) = −∞ cos (x) lim 1 − sin (x) = +∞ cos (x) x→−π + x→− π2 − x→− π2 + lim 1 − sin (x) = cos (x) lim − cos (x) =0 − sin(x) lim 1 − sin (x) = cos (x) lim − cos (x) =0 − sin(x) lim 1 − sin (x) = −1 cos (x) x→ π2 − x→ π2 − x→ π2 + x→ π2 + x→π − 6. Continuità π π La funzione è continua su D1 , x = − è un punto singolare di seconda specie, x = è un punto 2 2 singolare di terza specie. 7. Asintoti Non ci sono asintoti orizzontali e obliqui. π Il grafico, ha un asintoto verticale di equazione x = − 2 y 1 A x −π π − 2 O π 2 π −1 Figura 10.22: limiti e asintoti 872 10.6. STUDIO DI UNA FUNZIONE TRASCENDENTE GONIOMETRICA 8. Intervalli di monotonia, punti di massimo e minimo (a) La funzione è derivabile su D1 (b) Calcoliamo la derivata prima: f 0 (x) = − cos2 (x) − (1 − sin(x))(− sin(x) = cos2 (x) sin(x) − 1 − cos2 (x) + sin(x) − sin2 (x) = 2 (cos (x) cos2 (x) (c) Determiniamo i punti di stazionarietà, risolvendo l’equazione f 0 (x) = 0 in D1 : sin(x) − 1 =0 cos2 (x) sin(x) = 1 x= π 2 Impossibile Non ci sono punti di stazionarietà (d) Studiamo il segno della derivata prima, risolvendo la disequazione f 0 (x) > 0 in D1 : sin(x) − 1 >0 cos2 (x) sin(x) > 1 Impossibile. −π f0 × f × − • π 2 × × − − & π π 2 − × − − × & × & • × La funzione è: ñ ñ ô ñ ô ô π π π π decrescente in senso stretto su − π−, , su − , e su ,π 2 2 2 2 x = −π è un punto di massimo relativo, calcoliamo la corrispondente ordinata: f (−π) = −1 ⇒ B (−π, −1) −1 è il massimo relativo x = π è un punto di minimo relativo, calcoliamo la corrispondente ordinata: f (π) = −1 ⇒ C (π, −1) −1 è il minimo relativo (e) non ci sono punti di massimo e minimo assoluti 873 CAPITOLO 10. STUDIO DI UNA FUNZIONE y 1 A x π − 2 −π O B π 2 π C −1 Figura 10.23: massimi e minimi 9. Intervalli di concavità e convessità, punti di flesso (a) La funzione è derivabile due volte su D1 (b) Calcoliamo la derivata seconda: f 00 (x) = cos3 (x) + (sin(x) − 1)2 cos(x) sin(x) = cos4 (x) cos(x)(cos2 (x) + 2 sin2 (x) − 2 sin(x)) = cos4 (x) sin2 (x) − 2 sin(x) + 1 = cos3 (x) (sin(x) − 1)2 cos3 (x) (c) Determiniamo i punti che annullano la derivata seconda, risolvendo l’equazione f 00 (x) = 0 in D1 : (sin(x) − 1)2 =0 cos3 (x) sin(x) = 1 π x= 2 impossibile. (d) Studiamo il segno della derivata seconda, risolvendo la disequazione f 00 (x) > 0 in D1 : (sin(x) − 1)2 >0 cos3 (x) 874 10.6. STUDIO DI UNA FUNZIONE TRASCENDENTE GONIOMETRICA cos(x) > 0 π π − <x< 2 2 −π f 00 × f × − • π 2 × × − − ∩ π π 2 + × − − × ∪ × ∩ • × La funzione è: ô ñ π π convessa in senso stretto su − , , 2 2 ñ ñ ô ô π π concava in senso stretto su − π, − e su ,π . 2 2 Non ci sono punti di flesso. 10. Grafico Il grafico della funzione su D1 è: y 1 A x −π B π − 2 O π π 2 C −1 Figura 10.24: grafico di f (x) = 875 1 − sin (x) su D1 cos (x) CAPITOLO 10. STUDIO DI UNA FUNZIONE 11. Estendiamo i risultati ottenuti in D partendo dal grafico (a) Grafico Il grafico della funzione su D è: y A × 3 5 − π 2 − π 2 π − 2 O Figura 10.25: grafico di f (x) = (b) Intersezioni con gli assi cartesiani Il grafico non interseca l’asse x. Il grafico interseca l’asse y in A (0, 1). (c) Segno La funzioneôè: π π positiva su − + 2kπ, + 2kπ 2 ô 2 ñ 3 π negativa su + 2kπ, + 2kπ 2 2 ñ (d) Limiti I limiti agli estremi di D sono lim 1 − sin (x) = −∞ cos (x) lim 1 − sin (x) = +∞ cos (x) x→− π2 +2kπ − x→− π2 +2kπ + lim 1 − sin (x) =0 cos (x) lim 1 − sin (x) =0 cos (x) x→ π2 +2kπ − x→ π2 +2kπ + 876 π× 2 1 − sin (x) cos (x) x 3 π 2 10.7. STUDIO DI UNA FUNZIONE TRASCENDENTE ESPONENZIALE (e) Continuità π La funzione è continua su D, x = − + 2kπ sono punti singolari di seconda specie, x = 2 π + 2kπ sono punti singolari di terza specie. 2 (f) Asintoti Non ci sono asintoti orizzontali e obliqui. π Il grafico, ha asintoti verticali di equazione x = − + 2kπ 2 (g) Intervalli di monotonia, punti di massimo e minimo La funzione è: ô ñ ô ñ π π π 3 decrescente in senso stretto su − + 2kπ, + 2kπ e su + 2kπ, π + 2kπ 2 2 2 2 non ci sono punti di massimo e minimo relativi. Non ci sono punti di massimo e minimo assoluti. (h) Intervalli di concavità e convessità, punti di flesso La funzione è: ô ñ π π convessa in senso stretto su − + 2kπ, + 2kπ , 2 2 ô ñ π 3 concava in senso stretto su + 2kπ, π + 2kπ . 2 2 Non ci sono punti di flesso. 10.7 Studio di una funzione trascendente esponenziale 1 f (x) = xe− x 1. Dominio D = ]−∞, 0[ ∪ ]0, +∞[ 2. Parità, disparità, periodicità Poiché il dominio è simmetrico rispetto all’origine, calcoliamo f (−x): 1 f (−x) = −xe x Poiché f (−x) 6= f (x) e f (−x) 6= −f (x), la funzione non è pari e non è dispari. La funzione non è periodica. 3. Intersezioni con gli assi cartesiani Determiniamo le intersezioni con l’asse x, trovando gli zeri della funzione: 1 xe− x = 0 impossibile. La funzione non ha zeri; il grafico non interseca l’asse x. Poiché 0 non appartiene al dominio, il grafico non interseca l’asse y. 4. Segno Determiniamo il segno della funzione, risolvendo la disequazione f (x) > 0: 1 xe− x > 0 x>0 La funzione è: positiva su ]0, +∞[, negativa su ] − ∞, 0[. 877 CAPITOLO 10. STUDIO DI UNA FUNZIONE y x × O Figura 10.26: dominio, intersezioni con gli assi e segno 5. Limiti Calcoliamo i limiti agli estremi del dominio: 1 lim xe− x = −∞ x→−∞ 1 1 lim xe− x = lim x→0− x→0− e− x 1 x 1 1 Ponendo y = − , si ottiene x = − e x y 1 e− x ey lim = lim = −∞ y→+∞ −y x→0− 1 x 1 lim xe− x = 0 x→0+ 1 lim xe− x = +∞ x→+∞ 6. Continuità La funzione è continua sul dominio; x = 0 è un punto singolare di seconda specie. 7. Asintoti Non ci sono asintoti orizzontali. Il grafico ha un asintoto verticale di equazione x = 0. 1 1 xe− x = lim e− x = 1 lim x→−∞ x→−∞ x lim x→−∞ 1 1 1 xe− x − x = lim x e− x − 1 = lim − (ey − 1) = −1 x→−∞ y y→0+ 1 1 xe− x lim = lim e− x = 1 x→+∞ x→+∞ x lim x→+∞ 1 1 1 xe− x − x = lim x e− x − 1 = lim − (ey − 1) = −1 − x→+∞ y y→0 878 10.7. STUDIO DI UNA FUNZIONE TRASCENDENTE ESPONENZIALE il grafico ha un asintoto obliquo di equazione y = x − 1. y x × O Figura 10.27: limiti e asintoti 8. Intervalli di monotonia, punti di massimo e minimo (a) La funzione è derivabile sul dominio. (b) Calcoliamo la derivata prima: 0 f (x) = e − x1 + xe − x1 1 1 1 1 1 x + 1 1 1 = e− x + e− x = e− x 1 + = e− x 2 x x x x Å ã (c) Determiniamo i punti di stazionarietà, risolvendo l’equazione f 0 (x) = 0: 1 e− x x+1 =0 x x+1 =0 x x = −1 Calcoliamo le corrispondenti ordinate: 1 x = −1 ⇒ f (−1) = (−1)e− −1 = −e A (−1, −e) (d) Studiamo il segno della derivata prima, risolvendo la disequazione f 0 (x) > 0: 1 e− x x+1 >0 x x+1 >0 x x < −1 ∨ x > 0 −1 f0 f + % 0 • 0 − & × × + % 879 CAPITOLO 10. STUDIO DI UNA FUNZIONE La funzione è: crescente in senso stretto su ] − ∞, −1] e su ]0, +∞[, decrescente in senso stretto su [−1, 0[. x = −1 è un punto di massimo relativo, −e è il massimo relativo. (e) non ci sono punti di massimo e minimo assoluti y −1 x × A O −e Figura 10.28: massimi e minimi 9. Intervalli di concavità e convessità, punti di flesso (a) La funzione è derivabile due volte sul dominio. (b) Calcoliamo la derivata seconda: − x1 00 f (x) = e 1 1 1 1 1+ + e− x − 2 2 x x x Å ã Å ã =e − x1 1 1 1 1 1 + − 1 = 3 e− x 2 x x x Å ã (c) Determiniamo i punti che annullano la derivata seconda, risolvendo l’equazione f 00 (x) = 0: 1 −1 e x =0 x3 impossibile. (d) Studiamo il segno della derivata seconda, risolvendo la disequazione f 00 (x) > 0: 1 −1 e x >0 x3 x>0 0 f 00 f − ∩ × × + ∪ La funzione è: convessa in senso stretto su ]0, +∞[, concava in senso stretto su ] − ∞, 0[. Non ci sono punti di flesso. 880 10.8. STUDIO DI UNA FUNZIONE TRASCENDENTE LOGARITMICA 10. Grafico y −1 x × O A −e 1 Figura 10.29: grafico di f (x) = xe− x y −1 A x × O −e 1 Figura 10.30: grafico di f (x) = xe− x 10.8 Studio di una funzione trascendente logaritmica f (x) = ln (x) + ln2 (x) 1. Dominio D = ]0, +∞[ 881 CAPITOLO 10. STUDIO DI UNA FUNZIONE y x × O Figura 10.31: dominio 2. Parità, disparità, periodicità Poiché il dominio non è simmetrico rispetto all’origine, la funzione non è pari e non è dispari. La funzione non è periodica. 3. Intersezioni con gli assi cartesiani Determiniamo le intersezioni con l’asse x, trovando gli zeri della funzione: ln (x) + ln2 (x) = 0 ln (x) (1 + ln (x)) = 0 ln (x) = 0 ∨ ln (x) = −1 x=1∨x= 1 e 1 1 Gli zeri della funzione sono: 1, ; il grafico interseca l’asse x in A (1, 0) e B ,0 . e e Poiché 0 non appartiene al dominio, il grafico non interseca l’asse y. Å 882 ã 10.8. STUDIO DI UNA FUNZIONE TRASCENDENTE LOGARITMICA y B × 1 O A 1 e Figura 10.32: intersezioni con gli assi 4. Segno Determiniamo il segno della funzione, risolvendo la disequazione f (x) > 0: ln (x) + ln2 (x) > 0 ln (x) (1 + ln (x)) > 0 ln (x) > 0 ⇒ x > 1 ln (x) > −1 ⇒ x > 1 e 1 1 e × × − − − 0 + × × − 0 + + + 0 × × + 0 La funzioneôè: − 0 + ñ 1 positiva su 0, ∪]1, +∞[, e 1 nulla per x = ∨ x = 1, ô e ñ 1 negativa su ,1 . e 883 x CAPITOLO 10. STUDIO DI UNA FUNZIONE y B × 1 O A x 1 e Figura 10.33: segno 5. Limiti Calcoliamo i limiti agli estremi del dominio: lim Ä x→0+ lim x→+∞ ä ln (x) + ln2 (x) = +∞ Ä ä ln (x) + ln2 (x) = +∞ 6. Continuità La funzione è continua sul dominio; x = 0 è un punto singolare di seconda specie. 7. Asintoti Non ci sono asintoti orizzontali. Il grafico ha un asintoto verticale di equazione x = 0. ln (x) + ln2 (x) = x→+∞ x lim 1 2 + ln (x) lim x x = x→+∞ 1 2 ln (x) = x→+∞ x lim 2 =0 x→+∞ x lim non ci sono asintoti obliqui. 884 10.8. STUDIO DI UNA FUNZIONE TRASCENDENTE LOGARITMICA y B A 1 e x 1 Figura 10.34: limiti e asintoti 8. Intervalli di monotonia, punti di massimo e minimo (a) La funzione è derivabile sul dominio. (b) Calcoliamo la derivata prima: f 0 (x) = 2 1 + 2 ln(x) 1 + ln (x) = x x x (c) Determiniamo i punti di stazionarietà, risolvendo l’equazione f 0 (x) = 0: 1 + 2 ln(x) =0 x ln(x) = − 1 2 1 x= √ e Calcoliamo le corrispondenti ordinate: 1 x= √ ⇒f e Ç C 1 1 √ ,− e 4 Ç 1 √ e å Ç = ln 1 √ e å + ln 2 Ç 1 √ e å 1 1 1 =− + =− 2 4 4 å (d) Studiamo il segno della derivata prima, risolvendo la disequazione f 0 (x) > 0: 1 + 2 ln(x) >0 x 1 1 + 2 ln(x) > 0 ⇒ x > √ e x>0 885 CAPITOLO 10. STUDIO DI UNA FUNZIONE 1 √ e 0 f0 f × × × × − + 0 + + + × × × × − & 0 • + % La funzione è: ô ô 1 decrescente in senso stretto su 0, √ , eñ ñ 1 crescente in senso stretto su √ , +∞ . e 1 1 x = √ è un punto di minimo relativo, − è il minimo relativo e 4 1 1 (e) x = √ è un punto di minimo assoluto, − è il minimo assoluto e 4 non ci sono punti di massimo assoluto y 1 √ e B 1 − 4 1 e A x 1 C Figura 10.35: massimi e minimi 9. Intervalli di concavità e convessità, punti di flesso (a) La funzione è derivabile due volte sul dominio. (b) Calcoliamo la derivata seconda: f 00 (x) = 2 − 1 − 2 ln(x) 1 − 2 ln(x) = 2 x x2 (c) Determiniamo i punti che annullano la derivata seconda, risolvendo l’equazione f 00 (x) = 0: 1 − 2 ln(x) =0 x2 1 − 2 ln(x) = 0 √ x= e Calcoliamo le corrispondenti ordinate: x= √ e⇒f Ä√ ä e = 1 1 3 + = 2 4 4 886 10.8. STUDIO DI UNA FUNZIONE TRASCENDENTE LOGARITMICA √ 3ã D e, 4 Å (d) Studiamo il segno della derivata seconda, risolvendo la disequazione f 00 (x) > 0: 1 − 2 ln(x) >0 x2 x< √ e √ 0 f 00 f × × × × + ∪ e 0 • − ∩ La funzione è: √ concava in senso stretto su [ e, +∞[, √ convessa in senso stretto su ]0, e]. √ x = e è un punto di flesso. Determiniamo l’equazione della tangente al grafico della funzione nel punto D: 1 1+2 1 + 2 ln( e) 0 √ √ √ 2 f ( e) = = e e Å ã √ 2 =√ e L’equazione della tangente è: y− √ ä 3 2 Ä = √ x− e 4 e 2 5 y = √ x− e 4 y D 3 4 1 √ e B − 1 4 1 e A 1 C Figura 10.36: flessi 10. Grafico 887 √ e x CAPITOLO 10. STUDIO DI UNA FUNZIONE y D 3 4 1 √ e B − 1 e 1 4 A √ e x 1 C Figura 10.37: grafico di f (x) = ln(x) + ln2 (x) y D 3 4 − 1 4 B 1 √ e 1 e C A √ e 1 Figura 10.38: grafico di f (x) = ln(x) + ln2 (x) 888 x Capitolo 11 Calcolo integrale 11.1 Primitive di una funzione Definizione 11.1.1 (Primitiva di una funzione). Siano I un intervallo e f : I → R una funzione. Si dice primitiva di f su I ogni funzione F : I → R derivabile su I tale che F 0 (x) = f (x) ∀x ∈ I. Esempio 11.1.1. Determiniamo alcune primitive della funzione f :R→R f (x) = cos(x) F (x) = sin(x) è una primitiva di f su R perché F 0 (x) = cos(x) ∀x ∈ R. F (x) = sin(x) + 5 è una primitiva di f su R perché F 0 (x) = cos(x) ∀x ∈ R. 11.2 Integrale indefinito Definizione 11.2.1 (Integrale indefinito). Siano I un intervallo e f : I → R una funzione. Si dice integrale indefinito di f l’insieme di tutte le primitive di f su I e si indica con Z f (x) dx Quindi, se F è una primitiva di f su I, si avrà Z f (x) dx = F (x) + c La funzione f si dice funzione integranda. 11.2.1 Integrali indefiniti elementari Dalla definizione di integrale indefinito e dalla tabella delle derivate elementari si può ricavare la tabella degli integrali indefiniti elementari. Le formule indicate sono sempre riferite a funzioni definite su intervalli I ⊆ R. Z 0 dx = c Z 1 dx = x + c Z xα dx = xα+1 + c per α 6= −1 α+1 889 CAPITOLO 11. CALCOLO INTEGRALE 1 dx = ln(|x|) + c x Z ax ax dx = +c ln(a) Z Z Z ex dx = ex + c sin(x) dx = − cos(x) + c Z cos(x) dx = sin(x) + c Z 1 dx = tan(x) + c cos2 (x) Z 1 dx = − cot(x) + c sin2 (x) 1 dx = arcsin(x) + c 1 − x2 Z 1 dx = arctan(x) + c 1 + x2 Z √ 11.2.2 Proprietà degli integrali indefiniti Z Z kf (x) dx = k f (x) dx Z Z Z (f (x) + g(x)) dx = f (x) dx + g(x) dx Esempio 11.2.1. • Z 3 • (3x2 + sin(x))dx = 3 Z x2 dx + Z sin(x)dx = x3 − cos(x) + c = x3 − cos(x) + c 3 √ Z Å 5 x+ − 4ex dx = 1 + x2 ã Z 1 2 Z x dx + 5 1 dx − 4 1 + x2 Z ex dx = √ 3 x2 2x x + 5 arctan(x) − 4ex + c = + 5 arctan(x) − 4ex + c 3 3 2 • Z Ç 3 4 √ − 2 x 1−x å Z dx = 3 1 √ dx − 4 1 − x2 Z 1 dx = x 3 arcsin(x) − 4 ln(|x|) + c 11.3 11.3.1 Metodi di integrazione degli integrali indefiniti Integrazione per sostituzione Per calcolare alcuni integrali si può utilizzare il metodo di sostituzione che consiste nel porre t = h(x). Z Per calcolare l’integrale f (x)dx con il metodo di sostituzione: 1. si pone t = h(x), 2. tenendo conto che dt dt = h0 (t), si ha dx = 0 dx h (t) 890 11.3. METODI DI INTEGRAZIONE DEGLI INTEGRALI INDEFINITI Z 3. si calcola l’integrale f (t) dt, ottenendo F (t) + c h0 (t) Z f (x)dx = F (h(x)) + c 4. Esempio 11.3.1. Calcolare l’integrale Z sin5 (x) cos(x)dx Si pone t = sin(x) da cui dt = cos(x)dx Si sostituisce nell’integrale: Z t5 dt Si calcola l’integrale: Z t5 dt = t6 +c 6 Si sostituisce la variabile t: Z sin5 (x) cos(x)dx = 11.3.2 1 sin6 (x) + c 6 Integrazione per parti Per calcolare l’integrale del prodotto di due funzioni può essere utile il metodo di integrazione per parti. Si può osservare che, in generale, l’integrale del prodotto di due funzioni è diverso dal prodotto degli integrali. l’integrale del prodotto di due funzioni è uguale al prodotto del primo fattore per una primitiva dell’altro diminuito dell’integrale del prodotto della derivata del primo fattore per la primitiva dell’altro Osservazione R R A volte, per calcolare f (x)dx, si può scrivere f (x) · 1dx e applicare il metodo di integrazione per parti, considerando 1 come fattore da integrare. Esempio 11.3.2. • Calcolare l’integrale Z x sin(x)dx Come fattore finito si sceglie x: Z x sin(x)dx = x(− cos(x)) − −x cos(x) + Z Z 1(− cos(x))dx = cos(x)dx = −x cos(x) + sin(x) + c 891 CAPITOLO 11. CALCOLO INTEGRALE • Calcolare l’integrale Z ln(x)dx Z ln(x) · 1dx Come fattore finito si sceglie ln(x): Z ln(x) · 1dx = ln(x)x − Z 1 xdx = x ln(x) − x Z dx = x ln(x) − x + c • Calcolare l’integrale Z x2 ex dx Come fattore finito si sceglie x2 : Z 2 x 2 x x e dx = x e − Z x 2 x 2xe dx = x e − 2 Z xex dx = Riapplicando il metodo di integrazione per parti e scegliendo come fattore finito x, si ottiene: Å x2 ex − 2 xex − Z ã ex dx = x2 ex − 2(xex − ex ) + c = x2 ex − 2xex + 2ex + c • Calcolare l’integrale Z ex sin(x)dx Come fattore finito si sceglie ex : Z x x e sin(x)dx = e (− cos(x)) − x −e cos(x) + Z Z ex (− cos(x))dx = ex cos(x)dx = Riapplicando il metodo di integrazione per parti e scegliendo come fattore finito ex , si ottiene: Å −ex cos(x) + ex sin(x) − Z ex sin(x)dx ã Quindi Z x x x e sin(x)dx = −e cos(x) + e sin(x) − Z ex sin(x)dx da cui Z 2 ex sin(x)dx = −ex cos(x) + ex sin(x) Z 1 ex sin(x)dx = ex (sin(x) − cos(x)) + c 2 892 11.3. METODI DI INTEGRAZIONE DEGLI INTEGRALI INDEFINITI 11.3.3 Integrazione delle funzioni razionali fratte Per integrare le funzioni razionali fratte si trasforma la frazione in una somma di frazioni di cui si conosce l’integrale. Consideriamo una funzione razionale fratta in cui il grado del numeratore è minore di quello del denominatore e il denominatore è di secondo grado e scomponibile in fattori: f (x) = ex + f + bx + c ax2 con a ∈ R − {0}, b, c, e, f ∈ R (e, f ) 6= (0, 0) Distinguiamo due casi. 1. Il denominatore ammette due zeri reali distinti x1 , x2 , cioè si scompone in a(x − x1 )(x − x2 ) ex + f ex + f A B = = + + bx + c a(x − x1 )(x − x2 ) a(x − x1 ) x − x2 ax2 I numeri A e B si determinano applicando il principio di identità dei polinomi. Z ex + f dx = 2 ax + bx + c Z A dx + a(x − x1 ) Z B dx x − x2 Esempio 11.3.3. Calcolare l’integrale Z x2 2x − 3 dx + 3x + 2 2x − 3 2x − 3 A B = = + = x2 + 3x + 2 (x + 2)(x + 1) x+2 x+1 Ax + A + Bx + 2B (A + B)x + A + 2B A(x + 1) + B(x + 2) = = (x + 2)(x + 1) (x + 2)(x + 1) (x + 2)(x + 1) Applichiamo il principio di identità dei polinomi: ( 2=A+B − 3 = A + 2B ( A=2−B − 3 = 2 − B + 2B ( A=7 B = −5 2x − 3 7 dx = dx − 2 x + 3x + 2 x+2 7 ln(|x + 2|) − 5 ln(|x + 1|) + c Z Z Z 5 dx = x+1 2. Il denominatore ammette due zeri reali coincidenti x1 , cioè si scompone in a(x − x1 )2 . ex + f ex + f A B = = + 2 + bx + c a(x − x1 ) a(x − x1 ) (x − x1 )2 ax2 I numeri A e B si determinano applicando il principio di identità dei polinomi. Z ex + f dx = 2 ax + bx + c Z A dx + a(x − x1 ) Z B dx (x − x1 )2 893 CAPITOLO 11. CALCOLO INTEGRALE Esempio 11.3.4. Calcolare l’integrale 3x − 1 dx + 4x + 1 Z 4x2 3x − 1 A B 3x − 1 = = + = 2 + 4x + 1 (2x + 1) 2x + 1 (2x + 1)2 4x2 A(2x + 1) + B 2Ax + A + B = 2 (2x + 1) (2x + 1)2 Applichiamo il principio di identità dei polinomi: ( 3 = 2A −1=A+B 3 A = 2 3 −1= +B 2 3 A = 2 5 B = − 2 Z 3 4 3x − 1 dx = 2 4x + 4x + 1 Z 2 5 dx − 2x + 1 4 Z Z 3 5 Z − 2 dx + 2 dx = 2x + 1 (2x + 1)2 2 dx = (2x + 1)2 3 5 −1 3 5 ln(|2x + 1|) − + c = ln(|2x + 1|) + +c 4 4 2x + 1 4 4(2x + 1) 11.4 Integrale definito Definizione 11.4.1 (Integrale definito). Sia f : [a, b] → R una funzione integrabile e F una primitiva di f su [a, b], si dice integrale definito di f su [a, b] il numero reale F (b) − F (a), in simboli Z b f (x)dx = F (b) − F (a) a Z b L’uguaglianza f (x)dx = F (b) − F (a) si può anche scrivere come a a Esempio 11.4.1. Calcoliamo Z 3 2 (x + 3x)dx = 1 9+ Z b ñ 3 x x2 +3 3 2 ô3 1 33 32 = +3 − 3 2 Ç 3 1 12 +3 3 2 27 1 3 124 62 − − = = 2 3 2 6 3 894 å = f (x)dx = [F (x)]ba . 11.5. SIGNIFICATO GEOMETRICO DELL’INTEGRALE DEFINITO 11.5 Significato geometrico dell’integrale definito Se f ∈ R([a, b]) e f (x) > 0 ∀x ∈ [a, b], allora Z b f (x)dx è l’area della regione di piano delimitata dal a grafico della funzione f , dall’asse x e dalle rette di equazione x = a e x = b. y x O a b Figura 11.1: area 895 Indice I CLASSE PRIMA LINGUISTICO 0 1 Logica 1.1 Teoria matematica . . . . . . . . . . . . . 1.2 Proposizioni . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3 Connettivi . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3.1 Connettivo non . . . . . . . . . . . 1.3.2 Connettivo e . . . . . . . . . . . . 1.3.3 Connettivo o . . . . . . . . . . . . 1.3.4 Precedenza delle operazioni logiche 1.3.5 Tautologie e contraddizioni . . . . 1.3.6 Espressioni equivalenti . . . . . . . 1.4 Proprietà delle operazioni logiche . . . . . 1.5 Proposizioni aperte e quantificatori . . . . 1.5.1 Insiemi e elementi . . . . . . . . . 1.5.2 Proposizioni aperte . . . . . . . . . 1.5.3 Quantificatori . . . . . . . . . . . . 1.6 Implicazione logica . . . . . . . . . . . . . 1.7 Equivalenza logica o biimplicazione logica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 1 1 2 2 2 3 3 4 4 5 7 7 7 8 9 9 2 Insiemi 2.1 Rappresentazione degli insiemi . . . . . . . . . . . . . . 2.2 Uguaglianza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.3 Insiemi particolari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.4 Inclusione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.5 Insieme delle parti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.6 Operazioni tra insiemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.6.1 Unione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.6.2 Intersezione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.6.3 Differenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.6.4 Insieme complementare . . . . . . . . . . . . . . 2.6.5 Proprietà delle operazioni tra insiemi . . . . . . . 2.7 Partizione di un insieme . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.8 Prodotto cartesiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.8.1 Rappresentazione grafica del prodotto cartesiano 2.8.2 Prodotto cartesiano di più insiemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10 10 10 11 11 11 12 12 12 13 14 14 15 15 16 17 3 Relazioni tra due insiemi 3.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2 Grafo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.3 Rapprentazione grafica di una relazione 3.4 Relazione inversa . . . . . . . . . . . . . 3.5 Tipi di relazioni . . . . . . . . . . . . . . 3.5.1 Relazioni ovunque definite . . . . 3.5.2 Relazioni funzionali . . . . . . . . 3.5.3 Relazioni suriettive . . . . . . . . 3.5.4 Relazioni iniettive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19 19 19 20 21 23 23 24 25 26 . . . . . . . . . 896 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . INDICE 3.6 Funzioni . . . . . . . . . . . . . . 3.6.1 Biiezioni . . . . . . . . . . 3.6.2 Funzione inversa . . . . . 3.6.3 Composizione di funzioni . . . . . . . . . . . . . . . . 4 Relazioni in un insieme 4.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . 4.2 Proprietà delle relazioni in un insieme . 4.2.1 Proprietà riflessiva . . . . . . . . 4.2.2 Proprietà simmetrica . . . . . . . 4.2.3 Proprietà antisimmetrica . . . . . 4.2.4 Proprietà transitiva . . . . . . . . 4.3 Relazione d’ordine . . . . . . . . . . . . 4.3.1 Massimo e minimo di un insieme 4.4 Relazione di equivalenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27 29 30 33 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35 35 35 36 36 37 38 39 40 41 5 Numeri naturali 5.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.2 Addizione e moltiplicazione . . . . . . . . . . . . . . 5.2.1 Proprietà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.2.2 Precedenza delle operazioni . . . . . . . . . . 5.3 Relazioni nell’insieme dei numeri naturali . . . . . . 5.3.1 Relazioni minore e maggiore . . . . . . . . . . 5.3.2 Relazioni divisore e multiplo . . . . . . . . . . 5.4 Sottrazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.4.1 Precedenza delle operazioni . . . . . . . . . . 5.5 Divisione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.5.1 Precedenza delle operazioni . . . . . . . . . . 5.5.2 Criteri di divisibilità . . . . . . . . . . . . . . 5.6 Potenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.6.1 Proprietà delle potenze . . . . . . . . . . . . . 5.6.2 Precedenza delle operazioni . . . . . . . . . . 5.7 Massimo comune divisore e minimo comune multiplo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43 43 43 43 44 44 44 46 47 48 48 49 49 49 50 50 51 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . numeri naturali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55 55 55 55 56 57 57 57 58 58 58 58 59 59 60 61 62 63 63 64 64 65 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6 Numeri interi 6.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.2 Addizione e moltiplicazione . . . . . . . . . . 6.2.1 Proprietà . . . . . . . . . . . . . . . . 6.2.2 Numeri interi concordi e discordi . . . 6.2.3 Valore assoluto . . . . . . . . . . . . . 6.2.4 Opposto . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.2.5 Regola per l’addizione . . . . . . . . . 6.2.6 Regola per la moltiplicazione . . . . . 6.2.7 Precedenza delle operazioni . . . . . . 6.3 Sottrazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.3.1 Precedenza delle operazioni . . . . . . 6.4 Relazioni nell’insieme dei numeri interi . . . . 6.4.1 Relazioni minore e maggiore . . . . . . 6.4.2 Relazioni divisore e multiplo . . . . . . 6.4.3 Relazione di congruenza modulo n . . 6.5 Divisione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.5.1 Precedenza delle operazioni . . . . . . 6.6 Potenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.6.1 Proprietà delle potenze . . . . . . . . . 6.6.2 Precedenza delle operazioni . . . . . . 6.7 L’insieme dei numeri interi come ampliamento 897 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . dell’insieme . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . dei INDICE 6.8 6.9 Valore assoluto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Massimo comune divisore e minimo comune multiplo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66 66 7 Numeri razionali 7.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.2 Addizione e moltiplicazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.2.1 Proprietà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.2.2 Opposto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.2.3 Reciproco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.2.4 Numeri razionali concordi e discordi . . . . . . . . . . 7.2.5 Proprietà invariantiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.2.6 Regola per l’addizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.2.7 Regola per la moltiplicazione . . . . . . . . . . . . . . 7.2.8 Precedenza delle operazioni . . . . . . . . . . . . . . . 7.3 Sottrazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.3.1 Precedenza delle operazioni . . . . . . . . . . . . . . . 7.4 Divisione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.4.1 Precedenza delle operazioni . . . . . . . . . . . . . . . 7.5 Potenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.5.1 Proprietà delle potenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.5.2 Precedenza delle operazioni . . . . . . . . . . . . . . . 7.6 Relazioni minore e maggiore nell’insieme dei numeri razionali 7.6.1 Ordinamento dei numeri razionali . . . . . . . . . . . . 7.6.2 Compatibilità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.7 Densità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.8 Numeri decimali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.8.1 Trasformazione dei numeri decimali in frazione . . . . 7.8.2 Notazione scientifica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.8.3 Ordine di grandezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.9 Espressioni con i numeri razionali . . . . . . . . . . . . . . . . 7.10 Rapporti e proporzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.10.1 Proprietà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.10.2 Percentuali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 68 68 69 69 70 70 71 71 72 73 73 74 74 74 75 75 76 77 77 78 78 79 79 81 82 82 83 84 85 87 8 Numeri reali 8.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . 8.2 Numeri irrazionali . . . . . . . . . . . . 8.3 Insieme dei numeri reali . . . . . . . . . 8.4 Addizione e moltiplicazione . . . . . . . 8.5 Sottrazione . . . . . . . . . . . . . . . . 8.6 Divisione . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.7 Relazioni minore e maggiore nell’insieme 8.7.1 Compatibilità . . . . . . . . . . . 8.8 Densità . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.9 Continuità dei numeri reali . . . . . . . 8.10 Approssimazione dei numeri reali . . . . . . . . . . . . . . . . dei . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . numeri reali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 88 88 89 89 89 90 90 91 91 91 91 92 9 Sistemi di numerazione 9.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . 9.2 Sistemi di numerazione posizionali . 9.3 Passaggio da base qualsiasi a base 10 9.4 Passaggio da base 10 a base qualsiasi 9.5 Passaggio da base 2 a base 8 e 16 . . 9.6 Operazioni con i numeri in base 2 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93 93 93 94 94 95 96 . . . . . . . . . . . . 10 Monomi e polinomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97 898 INDICE 10.1 Monomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.1.1 Monomi in forma normale . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.1.2 Grado di un monomio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.1.3 Monomi simili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.2 Addizione di monomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.3 Opposto di un monomio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.4 Sottrazione di monomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.5 Addizione algebrica di monomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.6 Moltiplicazione di monomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.6.1 Precedenza delle operazioni . . . . . . . . . . . . . . . . 10.7 Elevamento a potenza di monomi . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.7.1 Precedenza delle operazioni . . . . . . . . . . . . . . . . 10.8 Divisibilità di monomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.9 Divisione di monomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.9.1 Precedenza delle operazioni . . . . . . . . . . . . . . . . 10.10Massimo comune divisore e minimo comune multiplo di monomi 10.11Polinomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.11.1 Polinomi in forma normale . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.11.2 Grado di un polinomio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.11.3 Polinomi omogenei, ordinati, completi . . . . . . . . . . 10.11.4 Polinomi uguali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.12Addizione di polinomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.13Opposto di un polinomio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.14Sottrazione di polinomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.15Moltiplicazione di polinomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.15.1 Precedenza delle operazioni . . . . . . . . . . . . . . . . 10.16Prodotti notevoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.16.1 Precedenza delle operazioni . . . . . . . . . . . . . . . . 10.16.2 Somma di due monomi per la loro differenza . . . . . . . 10.16.3 Quadrato di un binomio . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.16.4 Quadrato di un trinomio . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.16.5 Cubo di un binomio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.16.6 Somma di cubi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.16.7 Differenza di cubi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.17Divisibilità di un polinomio per un monomio . . . . . . . . . . . 10.18Divisione di un polinomio per un monomio . . . . . . . . . . . . 10.18.1 Precedenza delle operazioni . . . . . . . . . . . . . . . . 10.19Polinomi come funzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.19.1 Principio di identità dei polinomi . . . . . . . . . . . . . 10.19.2 Regola di Ruffini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.19.3 Teorema di Ruffini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97 98 99 99 99 100 100 101 101 102 102 103 103 104 105 105 106 107 108 108 109 110 110 111 111 114 114 114 114 115 117 118 119 119 120 120 121 121 122 122 124 11 Scomposizione di polinomi 125 11.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 125 12 Scomposizione di polinomi 12.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12.2 Metodi di scomposizione dei polinomi . . . . . . . . . . . . . . . 12.2.1 Raccoglimento a fattor comune totale . . . . . . . . . . . 12.2.2 Raccoglimento a fattor comune parziale . . . . . . . . . . 12.2.3 Scomposizione mediante prodotti notevoli . . . . . . . . . 12.2.4 Trinomio particolare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12.2.5 Scomposizione con la regola di Ruffini . . . . . . . . . . . 12.3 Osservazioni conclusive sulla scomposizione . . . . . . . . . . . . 12.4 Massimo comune divisore e minimo comune multiplo di polinomi 899 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 127 127 128 128 129 131 139 144 147 150 INDICE 13 Frazioni algebriche 13.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13.2 Frazioni algebriche come funzioni . . . . . . 13.3 Frazioni algebriche equivalenti . . . . . . . . 13.4 Proprietà invariantiva . . . . . . . . . . . . 13.5 Semplificazione di frazioni algebriche . . . . 13.6 Addizione di frazioni algebriche . . . . . . . 13.7 Opposto di una frazione algebrica . . . . . . 13.8 Sottrazione di frazioni algebriche . . . . . . 13.9 Moltiplicazione di frazioni algebriche . . . . 13.9.1 Precedenza delle operazioni . . . . . 13.10Inversa di una frazione algebrica . . . . . . 13.11Divisione di frazioni algebriche . . . . . . . 13.11.1 Precedenza delle operazioni . . . . . 13.12Frazione di frazioni algebriche . . . . . . . . 13.13Elevamento a potenza di frazioni algebriche 13.13.1 Precedenza delle operazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 153 153 153 154 155 156 157 159 159 162 164 165 166 167 168 170 171 14 Assiomi e definizioni della geometria piana 14.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14.2 Assiomi di appartenenza . . . . . . . . . . . 14.3 Assiomi di ordinamento . . . . . . . . . . . 14.4 Semiretta, segmento, angolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 174 174 174 175 177 15 Congruenza fra figure 15.1 Relazione di congruenza . . . . . . . . . . . . . . . . . 15.2 Confronto di segmenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15.2.1 Lunghezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15.3 Confronto di angoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15.3.1 Ampiezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15.4 Addizione di segmenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15.5 Sottrazione di segmenti . . . . . . . . . . . . . . . . . 15.6 Multipli e sottomultipli di un segmento . . . . . . . . . 15.7 Operazioni con le lunghezze . . . . . . . . . . . . . . . 15.8 Punto medio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15.9 Addizione di angoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15.10Sottrazione di angoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15.11Multipli e sottomultipli di un angolo . . . . . . . . . . 15.12Operazioni con le ampiezze . . . . . . . . . . . . . . . 15.13Bisettrice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15.14Angolo retto, acuto, ottuso . . . . . . . . . . . . . . . 15.15Rette perpendicolari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15.16Retta perpendicolare passante per un punto e distanza 15.17Asse di un segmento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15.18Angoli complementari, supplementari, esplementari . . 15.19Angoli opposti al vertice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 183 183 183 183 184 184 185 185 186 186 186 186 187 187 188 188 188 189 190 190 190 193 16 Triangoli 16.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . 16.2 Mediane, bisettrici, altezze, assi . . 16.3 Criteri di congruenza dei triangoli . 16.4 Proprietà dei triangoli isosceli . . . 16.5 Disuguaglianze nei triangoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 195 195 198 199 200 203 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 Rette parallele 204 17.1 Assioma di Euclide . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 204 900 INDICE 17.2 17.3 17.4 17.5 Rette parallele tagliate da una trasversale . . Applicazioni del parallelismo ai triangoli . . . Triangoli rettangoli . . . . . . . . . . . . . . . Asse di un segmento e bisettrice di un angolo 18 Quadrilateri 18.1 Introduzione . . . 18.2 Parallelogrammi 18.3 Rettangoli . . . . 18.4 Rombi . . . . . . 18.5 Quadrati . . . . . 18.6 Trapezi . . . . . II . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 204 205 207 207 . . . . . . 208 208 208 213 213 214 214 CLASSE SECONDA LINGUISTICO 217 1 Circonferenza 1.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2 Proprietà della corda . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3 Archi, angoli, segmenti circolari e settori circolari 1.4 Posizioni reciproche tra circonferenza e retta . . . 1.5 Posizioni reciproche tra due circonferenze . . . . 1.6 Angoli alla circonferenza . . . . . . . . . . . . . . 1.7 Punti notevoli di un triangolo . . . . . . . . . . . 1.8 Poligoni inscritti e circoscritti . . . . . . . . . . . 1.9 Poligoni regolari . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 Equiestensione 2.1 Figure equiestese . . . . . . . 2.2 Primo teorema di Euclide . . 2.3 Teorema di Pitagora . . . . . 2.4 Secondo teorema di Euclide . 2.5 Area . . . . . . . . . . . . . . 2.5.1 Operazioni con le aree . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 Grandezze geometriche e misure 3.1 Classe di grandezze omogenee . . . . . . . . . . 3.2 Rapporti fra grandezze . . . . . . . . . . . . . . 3.3 Proporzioni fra grandezze . . . . . . . . . . . . 3.4 La misura delle grandezze . . . . . . . . . . . . 3.5 Aree dei poligoni . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.6 Lunghezza della circonferenza e area del cerchio 3.6.1 Lunghezza della circonferenza . . . . . . 3.6.2 Lunghezza di un arco . . . . . . . . . . 3.6.3 Area del cerchio . . . . . . . . . . . . . 3.6.4 Area di un settore circolare . . . . . . . 3.7 Teorema di Talete . . . . . . . . . . . . . . . . 4 Similitudine fra poligoni 4.1 Poligoni simili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.2 Criteri di similitudine dei triangoli . . . . . . . 4.3 La similitudine e i teoremi di Euclide . . . . . . 4.4 La similitudine e la circonferenza . . . . . . . . 4.5 La sezione aurea . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.5.1 Costruzione di Erone della sezione aurea 4.5.2 Numero aureo . . . . . . . . . . . . . . . 901 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .