Mercati e variabili di mercato: alcuni richiami 1. Le strutture tipiche di un mercato Il mercato è il luogo economico in cui si svolge l’attività di scambio tra venditori e acquirenti. Tra le grandi forme o strutture nelle quali vengono tradizionalmente classificati i mercati, nel seguito ci si limiterà a considerare la concorrenza perfetta, il monopolio e l’ oligopolio. Sul versante dell’offerta non si considererà la concorrenza monopolistica, che è caratterizzata, come è noto, dalla presenza di un gran numero di imprese che vendono varietà diversificate di un particolare prodotto. Allo stesso modo, sul versante della domanda, non si considereranno: il monopsonio, che si riferisce al caso in cui la domanda proviene da un unico acquirente, l’oligopsonio, che si riferisce al caso in cui vi sono pochi acquirenti che controllano una percentuale rilevante delle transazioni complessive, e la concorrenza monopsonistica, che si riferisce al caso in cui vi sono molti acquirenti, ma i venditori non sono indifferenti nei confronti di coloro cui desiderano vendere. Ciò precisato, si definisce perfettamente concorrenziale [Sloman, 2002] un mercato caratterizzato dalla: esistenza di un considerevole numero di venditori e acquirenti, così che il peso economico di ciascun operatore è relativamente trascurabile ai fini della determinazione delle variabili di mercato (prezzi e quantità); omogeneità del prodotto, così che nessun compratore ha motivo di preferire la merce posta in vendita dall’uno o dall’altro venditore; facilità e piena libertà di entrata e di uscita nel mercato, nel senso che non esistono vincoli di natura istituzionale e di natura economicofinanziaria che lo impediscono; 290 Appendice B informazione perfetta e simmetrica tra tutti gli agenti economici in merito alle condizioni di mercato presenti e future. Si assume inoltre che consumatori e produttori trattino direttamente l’uno con l’altro senza alcuna intermediazione. Dal soddisfacimento congiunto delle quattro condizioni precedenti discende che, quantunque si parli di concorrenza perfetta, in effetti non vi è rivalità tra i venditori. Ciascuno di questi può decidere la propria politica di vendita senza preoccuparsi del comportamento degli altri e, poiché c’è omogeneità del prodotto, ciascun produttore può vendere qualunque ammontare di merce desideri al prezzo corrente di mercato, prezzo che egli non può a sua volta influenzare in virtù del fatto che la sua quota di mercato è infinitesima e che la possibilità di entrata è totale e perfetta (comportamento da price taker). Non c’è dunque spazio, in un simile mercato, per attività collusive da parte dei produttori i quali agiscono in un contesto di completa indipendenza l’uno dall’altro [Zamagni, 1992]. Come si può intuire, la concorrenza perfetta costituisce una struttura di mercato ideale, assunta a riferimento per sviluppare l’analisi delle altre forme di concorrenza. Ogni deviazione da una o più delle condizioni di mercato ideale enunciate conduce a situazioni di concorrenza non perfetta, qual è il caso, ad esempio, del monopolio e dell’oligopolio. Si ha una struttura di monopolio quando, nel periodo di tempo considerato, opera sul mercato un solo venditore, in presenza, per quel che interessa, di molti acquirenti. Viene indicata invece con oligopolio la forma di mercato in cui opera un numero ristretto di imprese produttrici, in presenza, per quel che interessa, di molti acquirenti. 2. L’approccio marginalista per la determinazione delle variabili di mercato Qualunque sia la struttura di mercato, la teoria economica neoclassica riconduce l’agire razionale dell’impresa venditrice all’obiettivo della massimizzazione del profitto, dato dalla differenza, in un certo periodo, tra i suoi ricavi ed i suoi costi correnti, più la variazione netta del valore delle sue attività patrimoniali. Mercati e variabili di mercato: alcuni richiami 291 È questa, dunque, una massimizzazione del profitto di lungo periodo, da distinguersi da una massimizzazione di breve, che non tiene conto delle variazioni del valore delle attività patrimoniali. I due tipi di massimizzazione non risultano in generale coerenti1. Lo diventano se si assume – come fa la teoria tradizionale – che esiste indipendenza ed uguaglianza dei singoli periodi: quanto accade in un periodo non interferisce in alcun modo sui risultati economici dei periodi successivi. Poiché ciascun periodo è a sé e tutti sono tra loro uguali dal momento che in essi non si verificano mutamenti strutturali di sorta, il lungo periodo si riduce semplicemente alla somma di tanti brevi periodi. È chiaro allora che in un contesto di analisi del genere scompare ogni possibile incompatibilità tra le due forme di massimizzazione; anzi la massimizzazione del profitto di lungo periodo presuppone quella di breve. La teoria economica neoclassica assume inoltre che: l’imprenditore è anche il proprietario dell’impresa: non c’è dunque separazione tra proprietà e controllo; non esiste incertezza: l’impresa ha piena e perfetta conoscenza delle condizioni presenti e future che la riguardano; in particolare, conosce le sue condizioni di domanda e le sue curve di costo che sono a forma di U; l’impresa possiede un solo tipo di impianto e produce un unico tipo di prodotto. L’atteggiamento massimizzante porta a stabilire una sorta di intervallo di distorsione nel sistema dei prezzi di mercato, che va da un minimo nel caso di concorrenza perfetta, ad un massimo con il monopolio, passando attraverso situazioni intermedie con l’oligopolio. 3. La concorrenza perfetta 3.1 Le offerte nel breve periodo Il livello di produzione dell’impresa j-esima è determinato risolvendo il problema di massimo, supposto non vincolato: 1 L’intraprendere azioni diverse dalla massimizzazione della differenza tra ricavi e costi correnti potrebbe variare i guadagni futuri dell’impresa; ad esempio, un prezzo più elevato potrebbe aumentare la differenza tra ricavi e costi correnti, ma allo stesso tempo attrarre nuove imprese nell’industria e diminuire i profitti futuri previsti dall’impresa. 292 Appendice B max j ( Pg j ) max [ RT j ( Pg j ) CT j ( Pg j )] . Pg j Pg j (1) Nella (1), indicata con Pg j la quantità da produrre, j è il profitto, rappresentando RT j ( Pg j ) il ricavo totale e CT j ( Pg j ) il costo totale, comprensivo del saggio normale di profitto. Poiché il produttore non può influenzare il prezzo di mercato , si ha: RT j ( Pg j ) Pg j . Ciò indica che il ricavo marginale R 'j specifico Rsp j RT j ( Pg j ) Pg j (2) dRT j ( Pg j ) dPg j è uguale al ricavo ed entrambi sono uguali al prezzo, qualunque esso sia: la curva di domanda dell’impresa è, allora, quella di fig. B.1. La (1) inoltre indica che il problema di massimo consiste nella ricerca della quantità Pg j Pg*j a cui corrisponde la massima distanza tra RT j e CT j (fig. B.2). FIG. B.1 Curva di domanda dell’impresa R 'j Pg j Mercati e variabili di mercato: alcuni richiami 293 FIG. B.2 Interpretazione grafica della massimizzazione del profitto RT j CT j Pg*j Pg j Le condizioni di ottimo, che prevedono che nel punto Pg j Pg*j sia: R 'j dR 'j dPg j dRT j ( Pg j ) dPg j dCT j ( Pg j ) d 2 RT j ( Pg j ) dPg2j dPg j j ( Pg j ) d 2 CV j ( Pg j ) dPg2j (3) , si specificano dunque nelle condizioni: j ( Pg ) j d j ( Pg j ) dPg j 0 , (4) (5) avendo indicato con CV j e j il costo variabile ed il costo marginale di produzione, rispettivamente. La (4) indica che la potenza ottima Pg*j è tale per cui il prezzo, qualunque esso sia, eguaglia il costo marginale; la (5), che la quantità 294 Appendice B venduta si deve trovare nel tratto crescente della curva del costo marginale stesso. Tutto ciò, posto che all’impresa convenga produrre. Infatti, all’impresa, conviene sospendere l’attività quando il profitto che deriva dal non produrre nulla, sostenendo comunque i costi fissi C F j , è superiore a quello che si ottiene in corrispondenza del prezzo pari al costo marginale, quando cioè: CFj Pg j CV j ( Pg j ) CFj . (6) Riscrivendo la (6) nella forma: CV , sp j ( Pg j ) CV j ( Pg j ) Pg j si può affermare, in altre parole, che se i costi variabili specifici CV , sp j sono maggiori di , all’impresa conviene non produrre affatto, poiché i ricavi derivanti dalla vendita della potenza Pg j non coprono nemmeno i costi variabili di produzione: non producendo nulla, deve sostenere comunque i costi fissi, ma evita le perdite ancora maggiori che avrebbe se continuasse a produrre. La curva di offerta dell’impresa è allora determinata dalla (4), dalla (5) e dall’ulteriore condizione: CV , sp j ( Pg j ) CV j ( Pg j ) Pg j . ( 7) Poiché la curva dei costi marginali interseca la curva del costo variabile specifico nel punto di minimo di questo ultimo, si può concludere che la curva di offerta di un’impresa in concorrenza perfetta coincide con il tratto crescente della curva del costo marginale al di sopra del punto di minimo della curva del costo variabile specifico (fig. B.3). A prezzi minori di ' , invece, il produttore non offre nulla. FIG. B.3 La curva di offerta Mercati e variabili di mercato: alcuni richiami 295 CV , sp j , j , j CV , sp j ' Pg j Pg' j Evidentemente, coprire i costi variabili non è sufficiente a realizzare un profitto positivo, che è garantito solo se si ha CT , sp j ( Pg j ) . Se il prezzo cade infatti tra le due curve CT , sp e CV , sp , l’impresa incorre in una perdita poiché il prezzo è inferiore al costo totale specifico. Ma essa perderebbe ancora di più se decidesse di non produrre. Per un’offerta Pg*j al prezzo * , la differenza tra l’area * Pg*j e l’area ' Pg* rappresenta il profitto (oltre quello normale) (fig. B.4). j FIG. B.4 Profitto del produttore CT , sp j Csp j , j , * j profitto CV ,sp j ' Pg*j Pg j La differenza tra i ricavi ed i costi variabili, cioè la quantità 296 Appendice B ( S g j * Pg*j CV j ( Pg*j ) , 8) si definisce, invece, surplus del produttore, graficamente rappresentato dalla differenza tra l’area dei ricavi e l’area Pg*j CV ,sp j ( Pg*j ) . Poiché l’area al disotto della curva del costo marginale rappresenta i costi variabili, il surplus del produttore può essere visto graficamente anche sottraendo l’area al di sotto della curva del costo marginale dall’area dei ricavi, come si vede nella fig. B.5. FIG. B.5 Surplus del produttore Csp j , j , CT , sp j j * CV ,sp j surplus del produttore Pg*j Pg j Si possono infine combinare questi due metodi, impiegando la prima definizione per il tratto della curva fino al punto in cui il costo marginale è uguale ai costi variabili specifici, e successivamente l’area al di sopra della curva del costo marginale, come nella fig B.6. Mercati e variabili di mercato: alcuni richiami 297 FIG. B.6 Surplus del produttore CT , sp j Csp j , j , j * CV ,sp j surplus del produttore Pg*j Pg j Questo ultimo metodo è il più adatto in molte applicazioni, poiché il valore che ne risulta corrisponde alla superficie a sinistra della curva di offerta. Spesso è utile evidenziare non tanto il surplus del produttore, ma piuttosto la sua variazione che si ha passando da un livello di produzione Pg*j ad un livello Pg**j . Essa è rappresentata da una regione di forma trapezoidale, come quella di fig B.7. FIG. B.7 Variazione del surplus del produttore 298 Appendice B j * ** variazione del surplus del produttore Pg**j Pg*j Pg j Poiché i costi fissi non variano, la variazione del surplus del produttore corrisponde alla variazione del profitto che si ha per la stessa variazione, da Pg*j a Pg**j , del livello dell’output. È quindi possibile misurare l’effetto sul profitto di una variazione del livello dell’output impiegando solamente la curva del costo marginale, senza fare riferimento alla curva del costo specifico. Per quanto riguarda gli acquirenti, si assume che ciascuno di essi sia capace di esprimere una domanda decrescente in funzione del prezzo. Ogni punto della curva di domanda rappresenta la disponibilità a pagare la quantità corrispondente al prezzo corrispondente, così che l’area sottesa dalla curva rappresenta il beneficio, Bd j ( Pd j ) , del consumatore, essendo2: dBd j dPd j . (9) Se, ad esempio, la relazione tra prezzo e quantità è lineare (fig B.8), ovvero del tipo b1 j b2 j Pd j , si ha: 1 Bd j ( Pd j ) b2 j Pd2j b1 j Pd j b0 j . 2 2 (10) La (9) deriva dal fatto che il consumatore tende a massimizzare la differenza tra i benefici e i costi e che non può influenzare il prezzo di mercato. Mercati e variabili di mercato: alcuni richiami 299 FIG. B.8 Curva di domanda del j-mo consumatore Pd j Per una domanda Pd*j al prezzo * , la misura del vantaggio che deriva al consumatore dallo scambio, detta surplus del consumatore, è data dalla quantità S d j Bd j ( Pd*j ) * Pd*j . ( 11) Con riferimento alla fig B.9, il surplus è rappresentato dall’area punteggiata. FIG. B.9 Surplus del consumatore 300 Appendice B Per una variazione di prezzo da * a ** , con ** * , si ha una variazione di surplus rappresentata nella fig B.10. L’area del rettangolo A rappresenta la perdita di surplus dovuta al fatto che il consumatore paga un prezzo più elevato per le unità di potenza che continua a consumare; ma questa perdita non rappresenta l’intera riduzione del benessere del consumatore, perché, a causa dell’aumento del prezzo, egli ora consuma una quantità minore del bene, con una conseguente perdita misurata dall’area indicata con B. FIG. B.10 Variazioni di surplus del consumatore 3.2 L’equilibrio competitivo di breve periodo Si indichi con d l’insieme dei consumatori. La loro domanda aggregata, ricavata sommando orizzontalmente, a parità di prezzo, le singole curve di domanda, è pari a: PD P . jd dj ( 12) Mercati e variabili di mercato: alcuni richiami 301 Si indichi, invece, con g l’insieme delle imprese produttrici. L’offerta aggregata, ricavata sommando orizzontalmente, a parità di prezzo, le singole curve di offerta, è pari a: PG P . j g ( gj 13) Il prezzo di equilibrio (Market Clearing Price) è il prezzo in corrispondenza del quale si ha l’eguaglianza tra quantità complessivamente domandata e quantità complessivamente offerta. Esso è dato, dunque, dall’interse-zione tra la curva di domanda inversa, PD , e la curva di offerta inversa, PG , ovvero è quello che risolve l’equazione: PD PG PD (14) essendo PD il costo marginale equivalente di tutto il sistema di produzione. Nell’ipotesi di curve continue strettamente monotone, quanto detto è illustrato in fig. B.11. FIG. B.11 Equilibrio in un mercato perfettamente concorrenziale ( PD ) * ( PG ) P* P 302 Appendice B La condizione di equilibrio (14) costituisce la soluzione del problema di massimizzazione del benessere sociale: PD PD PD dPD PD dPD . 0 0 Il primo integrale rappresenta, infatti, il beneficio totale BT ( 15) B j d dj ( Pd j ) di tutti i consumatori; il secondo, dato il tipo di offerta (curva dei costi marginali), il costo variabile aggregato CV di tutti i produttori CV C j g Vj ( Pg j ) . La condizione di equilibrio è quindi efficiente da un punto di vista allocativo: in corrispondenza del prezzo e della quantità di equilibrio, il valore delle risorse addizionali necessarie per produrre l’ultima unità di quantità venduta è esattamente uguale al valore dell’ultima unità di quantità acquistata, significando ciò che non possono verificarsi ulteriori scambi reciprocamente vantaggiosi. Determinata la condizione di equilibrio caratterizzata dal prezzo di equilibrio * , le quantità accettate dal mercato per ciascun consumatore e per ciascun produttore si ricavano sulle singole curve, rispettivamente, di domanda e di offerta: Pg*j Pg j * j g P Pd j j d , * dj * ( 16) essendo ovviamente esclusi i consumatori e i produttori per i quali * non è compreso nell’intervallo di definizione dei prezzi, rispettivamente, domandati e offerti. Con riferimento alla fig. B.12, l’area A rappresenta il surplus dei consumatori mentre l’area B rappresenta il surplus dei produttori. Infatti si ha: Mercati e variabili di mercato: alcuni richiami Sd S jd dj [ B dj j d e Sg S j g * G [ B dj j d ( Pd*j ) * Pd*j ] ( ( P )] P BT ( P ) P * dj gj P * 303 * [ j g [C j g Vj * * D * D * * D 17) Pg*j CV j ( Pg*j )] ( Pg*j )] * PG* CV ( PG* ) . (18) FIG. B.12 Surplus dei consumatori e dei produttori La condizione di equilibrio è quella che massimizza il surplus totale (dato dalla somma delle aree A e B). Ciò assicura la minimizzazione dei costi di quanto prodotto, ossia l’efficienza produttiva, e la massimizzazione di quanto consumato. Nel caso di domanda anelastica, si ha invece la situazione di fig. B.13. FIG. B.13 L’equilibrio nel caso di domanda anelastica 304 Appendice B ( PD ) ( PG ) * P* P La condizione di equilibrio (14) costituisce, in tal caso, la soluzione del solo problema di minimizzazione dei costi variabili di produzione. Da quanto detto, nel breve periodo, le imprese produttrici possono sia sopportare delle perdite che conseguire extraprofitti. Le imprese che sopportano perdite e non possono modificare i loro impianti cesseranno l’attività, mentre nuove imprese saranno attirate nel mercato dagli extraprofitti esistenti. Entrata ed uscita di imprese e aggiustamenti della capacità produttiva delle rimanenti imprese del settore, determineranno un equilibrio di lungo periodo nel quale le imprese conseguono solo profitti normali, non verificandosi più alcuna entrata e/o uscita dal mercato. In altre parole, nel lungo periodo l’uguaglianza tra prezzo di mercato e costo marginale si avrà in corrispondenza del punto di minimo del costo totale specifico. 4. Il monopolio 4.1 Monopolio e monopolio naturale È il tipo di relazione tra la curva del costo specifico, determinata dalla tecnologia, e la curva di domanda ( PD ) che stabilisce l’esistenza o meno di un mercato monopolistico [Varian, 2002], un mercato in cui il Mercati e variabili di mercato: alcuni richiami 305 meccanismo concorrenziale è impedito dall’esistenza di specifiche barriere all’entrata. L’elemento rilevante è costituito dall’entità della scala minima efficiente (MES), cioè il livello di produzione che minimizza il costo specifico, relativamente alle dimensioni del mercato. Se la scala è grande rispetto alla dimensione del mercato (fig. B.14.a), non c’è spazio per altre imprese e ci si può aspettare che il mercato funzioni come monopolio; se è piccola, si avrà probabilmente un mercato concorrenziale (fig. B.14.b). FIG. B.14 Relazione tra scala minima efficiente e dimensione del mercato CV ,sp , CV ,sp , ( PD ) ( PD ) CV , sp CV , sp MES a) PD MES PD b) Caso particolare di monopolio è il monopolio naturale. Si ha quando la dimensione ottimale dell’impianto è tanto grande che il minimo del costo specifico si trova a destra della curva di domanda (fig. B.15). FIG. B.15 Monopolio naturale 306 Appendice B CV ,sp , ( PD ) CV , sp MES PD Il monopolio naturale è dunque connotato da costi specifici decrescenti al variare della produzione, e, quindi, essendo: dCV , sp ( PD ) dPD 1 dCV ( PD ) CV ( PD ) 0 , PD dPD PD ( 19) da costi marginali inferiori ai costi specifici. In termini più rigorosi, un’industria costituisce un monopolio naturale, se, nell’intero intervallo rilevante di produzione determinato dalla domanda, la tecnologia di produzione è rappresentata da una funzione di costo subadditiva [Tirole, 1988]. La condizione di subadditività dei costi si verifica qualora il costo totale per produrre PD* è inferiore alla somma dei costi sostenuti dalle n imprese che complessivamente producono PD* . Se è cioè: n CT ( PD* ) CT j ( Pg j ) ( 20) j 1 n per ogni possibile n-pla ( Pg1 ,..., Pg n ), con n>1, tale che P j 1 gj PD . Mercati e variabili di mercato: alcuni richiami 307 Tale circostanza non consente a più di un’impresa di beneficiare delle economie di scala3. Solo un’impresa, cioè, è in grado di produrre a condizioni economiche più favorevoli rispetto a tutte le altre. 4.2 L’offerta nel breve periodo La curva di domanda dell’impresa monopolistica è, per definizione, la curva di domanda del mercato ( PD ) , supposta completamente prevedibile. Il monopolista, con riferimento ad un periodo di tempo breve a cui si riferiscono le curve di costo, risolve il problema di massimo supposto non vincolato: max RT ( PD ) CT ( PD ) . PD ( 21) Poiché in monopolio si assume che il mercato sia disposto ad acquistare ogni data quantità PD ad un prezzo ben preciso, si ha: RT PD PD PD ( 22) Con l’espressione economie di scala vengono designati tutti quei fattori che fanno sì che i costi unitari relativi alla produzione di livelli elevati di output siano inferiori a quelli che verrebbero sostenuti per produrre livelli più bassi del medesimo output. Le economie di scala sono distinte in pecuniarie e reali. Economie di tipo pecunario sono, ad esempio, quelle di cui beneficia l’impresa allorché riesce a pagare prezzi più bassi per gli inputs che utilizza, e ciò in conseguenza del fatto che, al crescere della scala aumenta la quantità richiesta di inputs. Prezzi più bassi per le materie prime, costi minori per il finanziamento esterno sono esempi di economie di scala pecuniarie. Economie di scala reali sono invece quelle associate a riduzione della quantità impiegata degli inputs all’aumentare dei livelli di outputs dell’impresa: economie sui costi fissi (quanto più elevato è il livello di produzione del bene tanto minore sarà l’incidenza dell’esborso iniziale per unità di prodotto); economie di capacità di riserva (una piccola impresa dovrebbe quasi raddoppiare il macchinario per garantirsi dal rischio di interruzione); economie di scorte (in generale l’ammontare delle scorte – il cui mantenimento costituisce un costo per l’impresa – varia in misura meno che proporzionale rispetto all’aumento dell’out-put); economie connesse ai rendimenti crescenti di scala. 3 308 Appendice B indicando ciò che la curva di domanda PD coincide con il ricavo medio R P o specifico Rsp T D . PD Le condizioni di ottimo: dR P dC P R ' T D V D PD (23) dPD dPD d 2 RT PD d 2CV PD dPD2 dPD2 ( 24) impongono l’uguaglianza tra ricavo marginale, R ' , e costo marginale, , e richiedono, inoltre, che la pendenza della curva dei costi marginali sia maggiore della pendenza della curva del ricavo marginale nel punto in cui le curve si intersecano o, in altre parole, che la curva del costo marginale intersechi dal basso la curva del ricavo marginale. Nel caso di legame lineare tra prezzo e quantità domandata, si ha: 0 1 PD (25) RT PD PD PD 0 PD 1 PD2 (26) R ' PD PD d PD 0 2 1 PD dPD Rsp PD 0 1 PD , (27) (28) mostrando ciò che il ricavo specifico coincide con la curva di domanda e che la retta del ricavo marginale ha pendenza doppia rispetto alla curva di domanda. Le condizioni di ottimo consentono di individuare il valore di output PD* che massimizza il profitto, ma non anche il prezzo di vendita * che deve essere letto sulla curva di domanda. Le considerazioni fatte sono evidenziate nelle figure B.16 e B.17 per il monopolio e per il monopolio naturale, rispettivamente. Mercati e variabili di mercato: alcuni richiami 309 L’area tratteggiata, ottenuta come differenza tra l’area * PD* , rappresentativa del ricavo, e l’area ' PD* , rappresentativa dei costi, indica il profitto. FIG. B.16 L’equilibrio di breve periodo nel monopolio * CT , sp ' Rsp R' PD* 0 / 2 1 0 / 1 PD FIG. B.17 L’equilibrio di breve periodo nel monopolio naturale CT , sp * ' R' PD* Rsp PD 310 Appendice B Una volta note le condizioni di costo e di domanda, il monopolista possiede un unico prezzo ed un’unica quantità ottimali e non ha, dunque, senso chiedersi quale quantità egli offrirebbe in corrispondenza di ciascun livello di prezzo (come avviene in concorrenza perfetta). In definitiva non esiste in monopolio una curva di offerta, ma solo un punto di offerta (supply point). Si introduca ora la nota definizione di elasticità della domanda: PD dPD . PD (29) PD d PD Si vede facilmente che4: 1 R ' 1 ( 30) di modo che il margine percentuale di extraprofitti (scostamento relativo dal costo marginale), misurato dal cosiddetto indice di Lerner, risulta pari a: 1 (31) Esso è tanto più elevato quanto meno elastica è la domanda di mercato e quindi più elevate sono le possibilità di sfruttamento dell’utenza, dato che essa non dispone di soluzioni alternative o beni sostituti. Per una domanda anelastica (=0), l’indice è infinito; in tal caso il valore di potenza è fissato dalla domanda PD0 , R ' è indeterminato e può essere qualsiasi. 4.3 La regolamentazione del monopolio Nei casi di monopolio è frequente l’intervento dell’autorità pubblica, che agisce o gestendo in proprio l’attività in questione oppure regolamentando il prezzo che il monopolista (privato) è autorizzato a praticare. Si ricorda che il segno dell’elasticità è negativo, perché la curva di domanda ha generalmente andamento decrescente. Il segno è positivo se l’elasticità si riferisce alla curva di offerta. 4 Mercati e variabili di mercato: alcuni richiami 311 Se la regolamentazione avviene imponendo che il prezzo sia pari a quello concorrenziale, imponendo cioè: PD PD , (32) si ha la situazione illustrata in fig. B.18. FIG. B.18 Regolamentazione del monopolio * ** A CV , sp B C R' PD* PD** ( PD ) PD Passando dal livello di output PD* , che massimizza il profitto in monopolio, a quello, PD** , che corrisponde all’equilibrio in concorrenza, il surplus del monopolista diminuisce dell’area contrassegnata con A, poiché diminuisce il prezzo delle unità che già vendeva, e aumenta dell’area C, a causa dei profitti provenienti dalla vendita delle unità addizionali. Il surplus del consumatore, invece, aumenta di A, poiché ora è possibile acquistare ad un prezzo inferiore le unità che erano acquistate in precedenza, ed aumenta anche di B perché il consumatore ottiene un surplus dalle unità addizionali ora in vendita. La somma delle aree B e C rappresenta l’aumento del surplus totale. Se si è di fronte ad una situazione di monopolio naturale, essendo questo caratterizzato dal fatto che il costo marginale risulta inferiore al costo specifico, la condizione (32) comporta una perdita netta per il monopolista che non potrebbe coprire i suoi costi totali. 312 Appendice B Due sono i rimedi usualmente suggeriti per finanziare la perdita dovuta alla fissazione del prezzo pari al costo marginale: il ricorso a forme diverse di tassazione, da un lato, e la modificazione delle condizioni di ottimo in modo da tener conto del vincolo di extraprofitti nulli per l’impresa monopolistica, dall’altro. La prima soluzione viene criticata perché spesso la sua attuazione introduce ulteriori distorsioni nel sistema economico oppure perché comporta conseguenze non accettabili sulla distribuzione del reddito (ad esempio, perché viene costretto a pagare per il servizio offerto dal monopolista anche chi non usufruisce affatto del servizio). Per questi motivi, particolare attenzione è stata dedicata ai tentativi di soluzione del problema del prezzo ottimo di monopolio, che evitino il ricorso a fonti di finanziamento esterne al settore, tanto che tale problema è divenuto il caso esemplare di analisi di secondo ottimo (second best), cioè di quelle analisi che cercano di avvicinarsi quanto più possibile alla soluzione che massimizza il benessere, data la presenza di qualche vincolo considerato non eliminabile [Zamagni, 1992]. La soluzione di second best è quella illustrata in fig. B.19: se il monopolista naturale producesse in corrispondenza di un prezzo uguale al costo marginale, il suo livello PD* sarebbe efficiente dal punto di vista allocativo, ma non sarebbe in grado di coprire i costi; gli si impone allora di produrre PD** a cui corrisponde un prezzo pari al costo specifico; in tal caso, riuscirà a coprire i costi, ma produrrà una quantità inferiore a quella efficiente. FIG. B.19 Monopolio naturale Mercati e variabili di mercato: alcuni richiami 313 CV , sp ** * Perdita in corrispondenza del prezzo uguale al costo marginale PD** PD* PD 5. L’oligopolio 5.1 L’interdipendenza oligopolistica La posizione di equilibrio di un’impresa è individuabile se si è in grado di definire per quell’impresa una curva di offerta oppure una curva di domanda, o entrambe. Così avviene in monopolio ed in concorrenza perfetta. E questo perchè sia l’impresa monopolistica che quella concorrenziale sanno come il mercato reagirà alle loro decisioni. Nel caso dell’oligopolio, invece, le imprese sono strategicamente collegate fra loro e la politica ottimale di un’impresa dipende anche dalla politica seguita da ciascun rivale sul mercato. Anche l’oligopolista, al pari del monopolista e dell’impresa concorrenziale, conosce la sua curva di costo; ma mentre questi ultimi possono confrontare tale curva con una curva di domanda, all’oligopolista ciò non è consentito, dato che egli può non sapere con certezza quale quota della domanda di mercato gli spetta [Zamagni, 1992]. Naturalmente questo non significa che il mercato oligopolistico non raggiunga, nella realtà, una determinata configurazione, vale a dire che non si stabiliscano una certa quantità ed un certo prezzo. Vuol dire, piuttosto, che i valori di queste variabili non sono univocamente determinabili 314 Appendice B mediante gli strumenti di analisi (curve di costo e curve di domanda) che invece sono sufficienti nelle altre forme di mercato. Come si vedrà, i fenomeni di interdipendenza sono di vario tipo. Per trattarli, molti sono stati gli studi tendenti a ricavare i modelli di comportamento più adeguati. L’analisi, inizialmente impostata con l’ausilio degli strumenti tradizionali già in uso per la concorrenza perfetta e il monopolio, è stata successivamente generalizzata e potenziata con strumenti fondati sulla teoria dei giochi, materia nata proprio per analizzare in astratto le situazioni di interdipendenza strategica. 5.2 L’oligopolio simmetrico È definito dalla presenza sul mercato di imprese dalla dimensione essenzialmente simile. Le imprese possono decidere il livello di produzione e lasciare che sia il mercato a determinare il prezzo di vendita, oppure fissare il prezzo e vendere qualunque quantità di prodotto venga richiesta a quel prezzo. Al momento di effettuare le proprie scelte, ciascuna impresa non conosce le decisioni prese dalle altre e, per poter prendere decisioni ragionevoli, dovrà esprimere congetture circa le scelte delle altre. L’interazione strategica avrà la forma di un gioco simultaneo. Tra i modelli classici di oligopolio simmetrico, si accenna ora solo al modello della determinazione simultanea delle quantità (modello di Cournot). Consideriamo che nel mercato operino n imprese, costituenti l’insieme g, senza che altre abbiano possibilità di entrata. Sia PD , con PD P j g gj , la funzione inversa della domanda complessiva, supposta nota, relativa ad un determinato periodo di tempo. Poiché le imprese scelgono simultaneamente le proprie quantità, al momento della decisione ogni impresa non conosce le quantità scelte dalle altre; di conseguenza decide in base alle scelte che prevede che le altre facciano. Mercati e variabili di mercato: alcuni richiami 315 Assumiamo che la j-esima impresa si aspetti che le altre imprese producano le quantità Pge1 , Pge2 ,..., Pge, j 1 , Pge, j 1 ,...Pgen . Allora, essa decide di produrre la quantità Pg j che massimizza il profitto: j ( Pge1 , Pge2 ,..., Pgen ) ( PD ) Pg j CT j ( Pg j ) , ovvero la potenza Pg j ottenibile dalla relazione: ( PD ) Pg j d ( PD ) dPD dCT j ( Pg j ) 0 . dPD dPg j dPg j ( 33) n Nella (33) è PD Pg j Pgei . i 1 i j La funzione: Pg j f j ( Pge1 , Pge2 ,..., Pgej 1 , Pgej 1 ,..., Pgen ) , (34) ricavata dalla (33), è detta curva di reazione: essa esprime, infatti, la scelta ottima della j-ma impresa come funzione delle sue aspettative circa la scelta delle altre imprese. In modo analogo si comportano le altre imprese: ciascuna di esse decide di produrre la potenza che massimizza il suo profitto assumendo un certo livello di output delle altre. È generato, così, l’insieme delle curve di reazione: Pg1 f1 Pge2 ,..., Pgen ... P Pg j 1 f j 1 Pge1 , Pge2 ,..., Pgej 2 , Pgej ,..., Pgen Pg j 1 f j 1 ... e g1 , Pge2 ,..., Pgej , Pgej 2 ,..., Pgen Pg n f n Pge1 , Pge2 ,..., Pg n 1 . (35) 316 Appendice B Si può dimostrare che esiste una soluzione di equilibrio (equilibrio di Nash5) rappresentata dalla combinazione di potenza ricavabile dalla soluzione del sistema delle curve di reazione: Pg*1 f1 Pg*2 ,..., Pg*n ... Pg*n f n Pg*1 ,..., Pg*n 1 . In altri termini, in equilibrio, ciascuna impresa massimizza il profitto, date le aspettative circa la scelta di output delle altre. Tali aspettative si realizzano in equilibrio: la scelta ottima di ciascuna impresa è uguale a quella che le altre si aspettano. In equilibrio, nessuna impresa ritiene utile variare l’output quando viene a conoscenza delle scelte effettive delle altre. Si fa notare che nel caso di carico anelastico il modello non ha significato. Come nel caso del monopolio, è possibile calcolare anche ora, per ciascuna impresa, l’indice di Lerner. Stante la (33), si ha: j j Pg PD j j 1,..., n . (36) L’indice, inversamente correlato, come in monopolio, all’elasticità della domanda, è a parità di (assunto diverso da zero e da infinito), tanto più elevato quanto maggiore è la quota di mercato (market share) s j Pg j / PD acquisita dall’impresa. Esso mostra, poi, che, quando il numero di imprese 5 Sia n il numero di giocatori e si indichi con S j l’insieme delle strategie accessibili al giocatore j-mo. Se H j è la funzione obiettivo (il cosiddetto pay-off del giocatore), si dice che il vettore ndimensionale S* è un equilibrio di Nash se, per tutte le j, s*j S j e, per ogni . s j S j , risulta: H j s1* , s2* ,..., s*j1, s j , s*j1,..., sn* H j S * * In altri termini S è una soluzione di Nash se, tra le strategie accessibili ai giocatori, date le scelte degli altri (n-1) giocatori, nessun giocatore può ottenere un risultato migliore scegliendo una strategia diversa. Mercati e variabili di mercato: alcuni richiami 317 tende a crescere all’infinito, la configurazione di equilibrio tende alla configurazione efficiente. Moltiplicando la (36) per Pg j PD e sommando per tutte le imprese, l’indice di Lerner medio risulta: n P j 1 gj PD . Pg j / PD Pg j j 1 PD n 2 1 . ( 37) 5.3 L’oligopolio asimmetrico La seconda tipologia di oligopolio è quella caratterizzata dalla presenza di un’impresa dominante, che è leader nella determinazione del prezzo o della quantità. Si tratta in questo caso di un gioco sequenziale. La caratteristica precipua di un’impresa dominante è da ritenersi nel grado di indipendenza delle strategie poste in essere da detta impresa, senza essere condizionata dai rischi di reazione. L’impresa dominante può essere leader di prezzo o leader di quantità, a seconda che fissi il prezzo o la quantità. Nel seguito si illustra il modello relativo alla leadership di prezzo. Il modello prevede la coesistenza di un’impresa dominante leader di prezzo e di un numero, più o meno grande, di piccoli produttori che si comportano da price taker, massimizzando il profitto a prezzo dato e fissato dal leader. Se si indicano con Pt j la potenza offerta dal generico price taker e con PDt ( ) e PDR ( ) le curve di domanda, rispettivamente, degli n price taker aggregati e dell’impresa leader, il processo che porta alla determinazione dell’equilibrio di mercato si sviluppa ricavando successivamente: Pt j f j ( ) j 1,..., n ( 38) n PDt ( ) Pt j j 1 (39) 318 Appendice B PDR ( ) PD ( ) PDt ( ) (40) ( ( PD ) . 41) R Nota la curva di domanda residua relativa all’impresa dominante, questa determina la quantità Pg*R dalla relazione che esprime l’uguaglianza tra ricavo marginale e costo marginale: ( Pg ) Pg R d ( Pg R ) R dPg R dCTR ( Pg R ) dPg R 0 . (42) Determinato Pg*R , si ricavano * e quindi le Pt*j . Il processo descritto è illustrato graficamente nella fig. B.20. Sia ( PDt ) la curva di offerta complessiva dell’insieme dei price taker, ottenuta sommando orizzontalmente le curve del loro costo marginale e si supponga che l’impresa dominante imponga il prezzo 0 . A quel prezzo le imprese price-taker offriranno Pt0 e la domanda soddisfatta complessivamente, determinata sulla curva ( PD ) , sarà PD0 ; la quantità che l’impresa dominante dovrà offrire sarà Pg R , 0 PD0 Pt0 . Se PDR indica la curva di domanda residua dell’impresa dominante, ottenuta sottraendo l’offerta delle imprese price taker dalla domanda del mercato per ogni livello di prezzo, e la curva del suo costo marginale, è possibile ottenere la curva del ricavo marginale R’. Il livello produttivo ottimale per l’impresa dominante è quello in cui il suo costo marginale è uguale al ricavo marginale, cioè PR1 ; per produrre fino a quel punto, l’impre-sa dominante dovrà imporre il prezzo 1 ; così la produzione complessiva dell’industria sarà PD1 e la quantità offerta dalle piccole imprese sarà Pt1 PD1 PR1 . Mercati e variabili di mercato: alcuni richiami 319 FIG. B.20 Determinazione del prezzo e della quantità prodotta con il modello dell’impresa dominante leader di prezzo PD PD t 1 R ' PD R 0 Pt0 Pt1 Pg R ,1 Pg R , 0 PD1 PD0 PD 5.4 La collusione Altra forma di interazione è quella collusiva: alcune imprese, riconoscendo che l’interdipendenza strategica che le lega conduce ad un equilibrio che non è ottimale per il loro comune interesse, possono operare in maniera non conflittuale al fine di guadagnare insieme una posizione di dominanza. È una situazione questa che è un esempio di gioco cooperativo. Il coordinamento della strategia d’impresa può essere esplicito, cioè sancito attraverso accordi diretti (i cosiddetti cartelli), spesso segreti in quanto in molti paesi non sono legali6; ma può essere anche tacito, cioè derivante da comportamenti razionali individuali senza richiedere regole e meccanismi vincolanti. 6 Act. Come, ad esempio, negli USA ove sono ancora ufficialmente vietati dallo Scherman Antitrust 320 Appendice B Si fa osservare che, a prima vista, la via più diretta per stabilire un cartello sembra quella della fusione orizzontale tra imprese, che in tal modo cessano di competere e agiscono come una sola unità, eliminando la rivalità più efficacemente e stabilmente di quanto faccia la stessa collusione. Ma occorre considerare che, sebbene, la fusione sia uno strumento potenzialmente utilizzabile per assicurarsi il controllo del mercato, questa può risultare anche in favore della concorrenza: una fusione tra piccoli produttori può infatti contribuire a limitare il potere delle grandi imprese. In secondo luogo, non è detto che una fusione che permetta ad una singola impresa di possedere una quota rilevante del mercato si traduca necessariamente nella capacità di quest’ultima di fissare prezzi a livelli monopolistici [Petretto, 2002]. Se un cartello raggruppa tutti i venditori di un prodotto omogeneo, esso è, di fatto, assimilabile ad un’impresa monopolistica con impianti multipli. Se l’obiettivo è la massimizzazione dei profitti congiunti, allora, sotto certe condizioni, il cartello può considerare la curva di domanda del mercato come la sua curva di domanda e la somma orizzontale delle curve di costo marginale delle singole imprese come la sua curva del costo marginale. A questo punto il cartello procede a determinare quantità e prezzo applicando la regola monopolistica che eguaglia costo marginale e ricavo marginale, ripartendo poi tra le varie imprese la quantità così individuata secondo la regola dell’uguaglianza dei costi marginali di tutte le imprese. Considerando il caso di due imprese, esse, cioè dovrebbero scegliere i livelli di output, Pg1 e Pg 2 , che massimizzano il profitto totale dell’industria: max PD PD CT1 Pg1 CT2 Pg 2 Pg1 , Pg 2 con il vincolo: PD Pg1 Pg 2 . Le condizioni necessarie del primo ordine: dC1 Pg1 dPg1 Mercati e variabili di mercato: alcuni richiami 321 dC2 Pg 2 dPg 2 R' d PD PD PD dPD Pg1 Pg 2 PD mostrano appunto che, nell’ottimo, il ricavo marginale è uguale al costo marginale di ciascuna delle due imprese. Se una delle due imprese ha un vantaggio in termini di costo, per cui la curva del costo marginale si trova sempre al di sotto di quella dell’altra impresa, nell’equilibrio corrispondente alla soluzione di cartello produrrà necessariamente una quantità maggiore di output. In realtà, la cosiddetta distribuzione ideale della produzione complessiva, ovvero dei profitti complessivi, tra i membri del cartello quasi mai viene raggiunta nella pratica. Molto spesso l’allocazione viene decisa sulla base del livello delle vendite passate, ovvero sulla base della capacità produttiva del momento in cui l’accordo collusivo viene siglato. In altri casi si seguono criteri di spartizione del mercato di natura geografica. In generale, comunque, la ripartizione dei profitti è problema essenzialmente conflittuale per la cui soluzione sono inevitabili laboriosi processi di negoziazione. Per questa e simili ragioni i cartelli sono intrinsecamente instabili. Come è stato detto, il coordinamento delle strategie collusive d’impresa può essere anche tacito7. Incentivano la collusione tacita molti fattori, tra cui il grado di trasparenza delle informazioni (quanto maggiore è la trasparenza sulle principali variabili di mercato tanto più facile è modulare il proprio comportamento tenendo conto della possibile reazione degli altri operatori), la stabilità dell’offerta e della domanda, l’omogeneità del prodotto, la simmetria delle imprese in termini di quote di mercato e di livello di capacità produttiva. 7 Può essere intesa come collusione tacita anche la leadership di prezzo o di quantità. 322 Appendice B I due possibili assetti ritenuti ugualmente collusivi da un punto di vista economico (in quanto in grado di definire livelli dei prezzi superiori a quelli competitivi) richiedono però diverse analisi ove si voglia valutare la collusione in un’ottica antitrust, quindi di liceità o meno. 6. La concorrenza potenziale Il concetto di concorrenza potenziale si afferma all’interno della teoria dei mercati contendibili. Secondo tale teoria, è contendibile un mercato caratterizzato dal fatto che l’entrata è libera e l’uscita è assolutamente senza costi [Baumol et al., 1982]. È presupposta quindi l’assenza di barriere all’entrata e all’uscita del settore, sia di tipo legale e regolamentare, sia di tipo economico-finanziario. Così, perché l’entrata sia libera, occorre che tutti i potenziali concorrenti abbiano accesso alla medesima tecnologia di produzione; occorre inoltre che i potenziali entranti possano valutare l’opportunità di entrata fondando la loro decisione sulla certezza che il comportamento di chi già opera nel mercato (incumbents) non vari, soprattutto nei riguardi delle politiche di prezzo (come l’attuazione di politiche che tengano artificiosamente il prezzo basso per poi innalzarlo successivamente). Perché l’uscita sia libera, essa non deve comportare costi: possono esserci economie di scala (e quindi costi fissi), ma devono essere assenti investimenti strategici irrecuperabili (i cosiddetti sunk costs). In un mercato contendibile una configurazione industriale è definita sostenibile se esiste un vettore di prezzi ed un insieme di vettori di outputs, uno per ogni impresa operante, tale che siano soddisfatte le seguenti proprietà [Zamagni, 1992]: a) la produzione complessiva uguaglia la domanda; b) nessuna impresa incorre in perdite; c) un potenziale entrante, che consideri fissi i prezzi delle imprese già operanti, non ha convenienza ad entrare nel mercato. Dalle definizioni di mercato contendibile e di configurazione industriale sostenibile si trae che in tali mercati solo configurazioni sostenibili sono anche di equilibrio. Infatti, in presenza di mercati contendibili, la non sostenibilità di una certa struttura di mercato innescherebbe un processo di entrata, con la conseguenza di alterare la configurazione industriale finale. Mercati e variabili di mercato: alcuni richiami 323 Se le condizioni di contendibilità e di sostenibilità sono verificate, l’operare della concorrenza assicura il conseguimento di risultati allocativi ottimali. Tale teoria si pone quindi come alternativa e/o come generalizzazione del modello di concorrenza perfetta: all’assunzione di comportamento pricetaking, peculiare del regime di concorrenza perfetta, qui subentra l’enfasi sul ruolo delle rapide entrate ed uscite dal mercato. Trattandosi di una nozione di concorrenza potenziale, essa è compatibile anche con situazioni di oligopolio e monopolio. Se dunque le condizioni di contendibilità e sostenibilità sono verificate, non è giustificato alcun intervento di regolazione diretto, ma soli interventi volti ad impedire che gli incumbents possano sfruttare il loro di potere di mercato.